Essere E non essere: questo è il problema
di Francesco Berto
Come ripensare oggi la questione del Principio di Non-Contraddizione anche alla
luce delle ricerche logiche più recenti? Il lettore potrà trovare qualche risposta
nella recente riedizione di Che cos’è una contraddizione di Francesco Berto e
Lorenzo Bottai (Carocci, Roma, 2015). Il testo è qui presentato da uno degli
autori, che ringraziamo.
«
vero:
unico e medesimo tempo sia e non sia». Così Aristotele introduce, nel quarto libro
della Metafisica, un principio destinato al
“Principio di Non-C
z
”
– e a diventare la legge più autorevole del pensiero occidentale (firmissimum omnium
principiorum, dicevano i medievali).
Anni fa scrissi un libr
’
. Si intitolava Teorie dell’assurdo e
parlava di certe logiche non classiche, dette paraconsistenti (fra poco vi spiego), delle
loro tecniche matematiche e motivazioni filosofiche. Quando la seconda edizione di
Teorie andò esaurita, Carocci mi propose di prepararne una versione più accessibile.
Ho coinvolto Lorenzo Bottai, e il risultato è questo Che cos’è una contraddizione.
Perché firmissimum? Aristotele produsse una difesa del Principio contro un
presunto negatore; ne riparliamo qui sotto. Il Principio fu poi dato perlopiù per
acquisito. Thomas Reid lo incluse nella sua lista delle verità di senso comune, insieme
ad altre presunte ovvietà: che le cose che ricordo chiaramente sono accadute davvero,
ad esempio.
Ci sono eccezioni. Da un lato, qualche filosofo è tornato ad argomentare per il
Principio: gli idealisti inglesi Bradley e McTaggart, ad esempio; o, in Italia, autori
come Emanuele Severino e Vero Tarca (nota per i non-filologi severiniani là fuori:
Severino in realtà non intende difendere le formulazioni aristoteliche del Principio.
Sono affette da nichilismo: includono riferimenti al tempo. Tuttavia, Severino ritiene
’
,
v ho promesso di parlare qui sotto, funzioni a
difesa di una cosa diversa dal Principio aristotelico: una cosa che, invece, sancisce
’
à
’
).
D ’
,
o sospettato di negare il Principio. Aristotele fa
il nome di Eraclito. A volte si menziona Nietzsche, che nei frammenti postumi sembra
intendere il Principio non come una legge della realtà, ma come espressione della
nostra volontà che il mondo vada in ordine. Altri presunti negatori del Principio sono
Hegel, che avrebbe posto la contraddizione al cuore del famoso “
”;
Marx, per il quale il capitalismo sarebbe una contraddizione realizzata. Le
contraddizioni finiscono aufgehoben: nella società senza classi, ad esempio.
Nel ’
, però, girano per il mondo. Tuttavia, è dubbio che Hegel o Marx siano veri
negatori del Principio. Alcuni sostengono che, quando sembrano metterlo in
questione, questi filosofi hanno in mente qualcosa di diverso dal Principio come
inteso da chi lo accetta.
Questo è un primo problema col Principio: come dobbiamo intenderlo,
esattamente? Tizio afferma, per qualche enunciato P, sia P che non-P. Forse sta dando
a qualche parola un senso speciale. Forse
“
”
viante. Dice: “U
T
”,
“U
T
”. M
“ ”
:“
”. A
realtà dicendo che Uma Thurman è single e Uma Thurman, per
fortuna, è single. Non sembra che si contraddica.
Quando si parla di Principio di Non-Contraddizione si crede spesso di
intendere già cosa vogliano dire le parole usate per formularlo. Il che produce reazioni
affrettate. C’
terlo in questione sia semplicemente ridicolo. C’
invece vuol farlo saltare nella postmoderna liberazione dalle presunte verità assolute
della logica: “P
v,
è una vagina; ma una fessura nel
terreno non è una vagina; perciò nel pensiero primitivo non vale il Principio di NonC
z
”. Così argomentava ’
,
’
,
di filosofia.
Meglio esaminare la faccenda in modo più meticoloso. Cosa vuol dire che una
cosa è insieme così e non-così? C
v
“
”
? C
v
“
”?
Cosa vuol dire che una contraddizione può essere vera? A
:
’
v à?
Inneschiamo alcune delle nozioni più fondamentali: oggettività, negazione, realtà,
v à. N
’
a faccenda non si risolve in fretta.
Il tema è caldo perché oggi alcuni logici e filosofi detti dialeteisti, come
Graham Priest, JC Beall, Zach Weber e Dave Ripley, sostengono che il Principio non
ha validità universale: che vi sono contraddizioni vere. “Dialetheia” v
“
v à”: una verità, P, la cui negazione, non-P, è a sua volta vera (se vi va di leggere in
inglese,
’introduzione dalla Stanford Encyclopedia of Philosophy:
http://plato.stanford.edu/entries/dialetheism). Una precondizione del dialeteismo è
stata lo sviluppo delle summenzionate logiche paraconsistenti. “P
” è
inteso come: “
à
z ”. Un motivo per cui dedurre una
contraddizione da una teoria sembra disastroso per la teoria, è che in logica classica –
la logica di Frege e Russell – vale una legge spesso detta “Ex contradictione
quodlibet”: a P e dal suo contraddittorio, non-P, segue un Q arbitrario. Qualcuno
preferisce
“L
’Esplosione”: se una sola contraddizione è vera, tutto
è vero, incluso che io sono Luke Skywalker, che la luna è fatta di marzapane. Il che è
’
, anche per i più creduloni.
Ma “P,
-P,
Q” è una strana inferenza. Perché da P e dal suo
contraddittorio dovrebbe seguire un arbitrario Q, che con P non ha niente a che fare?
La logica classica ha un problema duale c
L
T z
: “Q
Q”. Una legge logica segue da qualsiasi cosa. S
é “P,
Q
-Q” è
’
z v
. anche questo suona strano (“Venezia è in Italia; quindi o la
C
G
v ,
”).
Le mie logiche paraconsistenti preferite, dette logiche rilevanti, rigettano
queste inferenze come irrilevanti, o come non sequitur: la conclusione non ha a che
vedere con la premessa. Le logiche rilevanti appartengono alla famiglia delle logiche
substrutturali, come la linear logic di Girard. Una ragione per adottarle è che
dobbiamo gestire credenze, informazioni, database, o teorie inconsistenti, e non
vogliamo dedurne cose a caso. Un agente della CIA vi spia: inserisce nel vostro
dossier di L
y
v
’
, P. U ’
nello stesso dossier che no, voi non avete obbligo di occhiali alla guida: non-P. Se
’
V
applicasse la logica classica, potrebbe dedurre da P e non-P
che voi siete il Nemico Pubblico Numero Uno. Per voi sarebbero guai.
Questo però non ha a che fare con il Principio. Le logiche paraconsistenti sono
neutrali in proposito. Si può adottare una logica paraconsistente per trattare dati
inconsistenti senza credere affatto che ci siano contraddizioni vere. Che motivi ci
potrebbero essere, allora, per credere una cosa del genere? Eccone uno:
2
(1) L’
.1
questa pagina è falso.
È vero o falso? Supponiamo che sia vero. Allora le cose stanno come dice; sicché è
falso. Allora supponiamo che sia falso. Questo è precisamente quel che dice; sicché è
vero. Dunque (1) è vero se e solo se è falso. Dal che segue, in logica classica, che è
sia vero che falso: contraddizione.
È questo il
“
M
”, che dà noie ai logici da oltre
duemila anni. In Outline of a Theory of Truth, Saul Kripke – il massimo logico
vivente – ha proposto di far
’
z
el genere siano veri o
,
’
ento al primo step. Certi enunciati dichiarativi, fra cui (1),
non sono né veri né falsi. Ma consideriamo questo:
(2) L’
.2
questa pagina non è vero.
Ora se (2) è vero, allora le cose stanno come dice, sicché non è vero. Se è falso, o se
non è né vero né falso, allora non è vero. Ma questo è quel che dice di essere; sicché è
vero. In qualsiasi caso, è vero e non è vero: contraddizione.
(2) viene a volte chiamato revenge Liar, perché vendica (1). La teoria formale
di Kripke non è direttamente soggetta a questa vendetta. Ciò perché, nella teoria, non
è possibile dire che qualcosa non è né vero né falso, e dire una cosa vera. Ma questo
sembra strano: noi possiamo dirlo. Se la teoria kripkeana non ce la fa, deve avere
qualche limitazione espressiva.
La situazione si complica in fretta: le tecniche matematiche usate dai logici
per affrontare il problema sono estremamente sofisticate. E hanno tutte problemi di
vendetta. Al che i dilettanti di logica spesso si spazientiscono: che importano questi
giochetti formali? Eppure, il concetto di verità è al centro della nostra semantica più
promettente: la semantica vero-condizionale, in cui il significato di un enunciato
dichiarativo è dato dalle sue condizioni di verità (ricordate Wittgenstein, Tractatus,
4.024: «Comprendere una proposizione è sapere che cosa accade se essa è vera»). Se
il concetto di verità è inconsistente perché alcune verità sono false, la semantica dei
linguaggi naturali che noi tutti parliamo – ’
, ’
,
w li – è nei guai.
A meno di adottare una teoria dialeteista del significato.
Ci sono comunque altre motivazioni dialeteiste, meno semantiche e più
metafisiche, che potrebbero portarci a dubitare del Principio,
’
spazio. N
v
’ rticolo della Stanford a cui rinviavo sopra. Alcune
hanno a che fare con il divenire; altre con i paradossi della teoria degli insiemi. Ad
ognuna, naturalmente, si può resistere. Di fronte a qualsiasi presunta contraddizione
vera, possiamo sempre rigettare
’
v , una
regola logica
’
. Il problema serio è come motivare il rifiuto
’
z
prescelta indipendentemente dal fatto che ne venga una
contraddizione. “R
X perché altrimenti … e segue una
contraddizione!”, non è qui una mossa soddisfacente: è dialetticamente inutile quando
abbiamo di fronte un interlocutore che, invece, la contraddizione è incline ad
accettarla.
Questa è secondo me la questione più interessante sul Principio: come diavolo
si fa a discutere razionalmente con chi lo mette in questione? Discutere, anziché
ignorare semplicemente il tizio come ’ignora un troll, o magari picchiarlo finché non
la smette. Di fronte al negatore del Principio anche David Lewis – uno dei filosofi più
3
geniali del nostro tempo – si arrendeva. Non che gli desse ragione. Non sapeva come
argomentare:
«Niente può essere vero e falso. Lo sappiamo per certo, e a priori … P ò
suonare dogmatico. E lo è: sto affermando la tesi che [i rivali del Principio]
hanno messo in questione e – contrariamente alle regole del dibattito – rifiuto
di difenderla. Concedo inoltre che è indifendibile di fronte alla loro sfida».
(Logic for Equivocators)
Aristotele sapeva che non si può argomentare via reductio contro chi nega il
Principio. La reductio ci dice che se da una tesi, T, deduciamo una contraddizione, P e
non-P, dobbiamo rigettare la tesi: non-T. Se una contraddizione non può mai essere
vera, ciò che la implica v’
. Ma che nessuna contraddizione possa esser
vera è messo in questione da un negatore del Principio. Non è saggio opporre che si
contraddice a chi ritiene che, contraddicendosi, si possa dire il vero. Se neppure la
reductio– una regola della logica minimale – funziona, a cosa ricorreremo?
Nella Metafisica, Aristotele ha una strategia che è stata in seguito chiamata
“
” (
“élenchos”;
“
z
”).
Cosa sia ’élenchos è difficile da dire. Di certo Aristotele richiede che chi intende
negare il Principio dica qualcosa – dia un senso determinato alle parole che usa. Se
non lo fa, semplicemente non dice nulla (è «come una pianta», dice Aristotele). Se lo
fa, presuppone il Principio che intendeva mettere in questione, e si toglie il terreno
sotto i piedi. Esattamente perché per Aristotele il negatore del Principio si confuta da
sé quando cerca di dire qualcosa di determinato, è materia su cui è fiorita una mole di
letteratura. Se ne sono occupati logici come Sergio Galvan, storici della filosofia
come Enrico Berti. Non vi dirò qui come la penso. Se volete saperne di più, consiglio
’
Che cos’è una contraddizione.
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