Georges Banu - Associazione Sigismondo Malatesta

Seminari Internazionali
“L’Oriente e la scena del Novecento”
Castello di Torre in Pietra – Roma
14-15 novembre 2003
Georges Banu
Université de Paris III
Il paradosso delle avanguardie: l’utopia comunista e l’uso della tradizione asiatica
Questa riflessione è animata da un’osservazione preliminare concernente il rapporto tra i
programmi politici e i prestiti estetici. Poco dopo la Rivoluzione d’Ottobre, artisti come Meyerhold,
Eisenstein, Tretiakov o Brecht formulano il progetto di legare l’arte alla trasformazione del mondo, di
coinvolgerla in quell’avventura segnata dalla “utopia” comunista. Fondamentalmente si appoggiano
all’idea di progresso e di metamorfosi: lo scopo consiste nel partecipare al cambiamento sociale
progettato in base alla convinzione che, grazie alla lotta politica e al sostegno ideologico, la società
potrà mostrarsi malleabile e perciò trasformabile. Ma, sorpresa!, tutti scoprono l’Oriente e i suoi
teatri, dai quali decidono di prendere in prestito strumenti pratici, principi lavorativi, in breve tutta
una serie di processi da integrare nelle nuove estetiche ricercate. Eppure – e qui sta il paradosso – le
società che si trovano all’origine delle forme teatrali tanto ammirate sono società imperiali, statiche,
immobili, tutto il contrario del modello sociale di cui si fanno fautori questi artisti della modernità.
Ciò porta a chiedersi se essi pensino che l’arte possa essere dissociata dalla società che l’ha generata,
se i prestiti possano essere operati senza che l’impronta degli ambienti dai quali provengono intacchi
il loro “nuovo uso”. Come rivendicare un’arte della trasformazione sociale appoggiandosi
sull’efficacia di un teatro delle società imperiali? C’è una contraddizione? C’è una premonizione?
Bisogna interrogarsi circa la contraddizione tra l’attrazione per un’arte e la repulsione per il mondo
che l’ha partorita. Ciò verrà dapprima rilevato poi commentato in questa comunicazione.