5 Mobbing e violenze psicologiche sul luogo di

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Mobbing e violenze psicologiche sul luogo di lavoro
Mobbing and psychological violences in workplace
Roberta Mordanini1, Valeria Verrastro2
Abstract
Abstract
È indubbio che la parola “mobbing” ormai
smuova l’opinione pubblica, i lavoratori dipendenti, i sindacati, i politici (dato il numero delle
leggi presentate), gli avvocati e i giudici, aprendo un dibattito permanente sul mondo del lavoro
riguardo il clima relazionale nelle aziende e nelle
istituzioni pubbliche e private. D’altro canto la
violenza sul lavoro c’è sempre stata, motivo per
cui da sempre il lavoro, quello manuale e pesante, è stato sinonimo di travaglio, fatica, schiacciamento e oppressione. La società contemporanea è piena di atti violenti, che vanno dalla banale mancanza di rispetto di chi vuole scavalcare
nella fila in ufficio pubblico a chi vuole farci pagare più del dovuto un oggetto, a chi ci deruba in
casa. Molte sono le violenze anche nel luogo di
lavoro, dove nessuno guarda in faccia a nessuno
per accaparrarsi un posticino dirigenziale più
alto e dove il singolo individuo, che troppo spesso viene squalificato, non viene tutelato. Queste
dinamiche vanno a compromettere l’integrità
dell’individuo come persona e successivamente
andranno a ledere anche la sfera relazionale,
familiare, professionale. L’integrità psicofisica
dell’individuo è messa in crisi e se non si riuscirà
a reagire a tale affronto vi saranno conseguenze
patologiche da non sottovalutare.
Doubtless the word bullying now moves public
opinion, employees, trade unions, political (given
the number of bills submitted), lawyers, judges,
opening an ongoing discussion on the world of
work, about the relational climate in companies,
public and private institutions. On the other hand
violence on work has always been, since that always work, the manual and heavy work has been
the synonymous of words as difficulty, crush and
oppression. Contemporary society is full of violence, ranging from the banal lack of respect for
those who want to climb the ranks in public office, who wants us to overpay an object, who robs
at home. Many are also violence on workplace,
where nobody looks at anybody to grab a spot
higher management and where the individual is
disqualified and too often not protected. These
dynamics compromise the integrity of the first as
a person firstly then affect the relational, family
and, of course, professional sphere. The physical
or mental integrity of the subject is thrown into
crisis, and if there will be no possibilities to cope
with this affront to his person, there will be
pathological consequences which should not be
underestimated.
Keywords
Parole chiave
Relational risk - Mobbing - Guidelines - Subject at
risk - Identity and self respect - Adapting disorder
and Post Traumatic Stress Disorder - Loss of social relation - Problem solving - Psychological
assistance - Treatment.
Rischio relazionale - Mobbing - Linee guida Soggetti a rischio - Identità ed autostima - Disturbo dell’adattamento e disturbo post traumatico da
stress - Perdita delle relazioni sociali - Problem
solving - Trattamento.
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Introduzione
sono: l’ambiente lavorativo, la frequenza di almeno una volta alla settimana, la durata di almeno sei
mesi, il tipo di azioni, il dislivello tra antagonisti,
l’andamento per fasi fino a quella di rendere la vittima totalmente indifesa e l’intento persecutorio
consapevole da parte dell’aggressore per raggiungere la finalità di eliminare la vittima
dall’organizzazione. Generalmente si parla di
mobbing quando la vittima ha subito oggettivamente o ha vissuto soggettivamente un evento
stressante, che lo ha condotto a disturbi psicopatologici. Il mobbing è quindi una forma di molestia o
violenza psicologica esercitata quasi sempre con
intenzionalità lesiva, ripetuta in modo perpetuante,
con modalità polimorfe; l’azione persecutoria è intrapresa per un periodo determinato, arbitrariamente stabilito in almeno sei mesi sulla base dei primi
rilievi svedesi, ma con ampia variabilità dipendente dalle modalità di attuazione e dai tratti della personalità dei soggetti, con la finalità o la conseguenza dell’estromissione del soggetto da quel posto di lavoro. È opportuno parlare di “soglia individuale di resistenza alla violenza psicologica” capace di indurre una condizione di mobbing che è
possibile esprimere come funzione di: intensità
della violenza, tempo di esposizione, e tratti della
personalità (Ege, 2001).
La violenza morale viene esercitata mediante attacchi contro il lavoratore, il lavoro svolto, la funzione lavorativa ricoperta e, infine, lo status del lavoratore, da parte di un singolo soggetto protagonista (mobber), generalmente un superiore. In alcuni
casi viene “investito” da dinamiche di gruppo
complesse, intrecciate e gestite da un numero sostanzioso di colleghi che concorre, più o meno
consapevolmente, alla violenza psicologica, partecipa con atteggiamento di attiva partecipazione,
come testimone passivo, come incapace di contrastare tale attività per presunte convenienze secondarie. L’individualità del lavoratore viene ripetutamente umiliata, offesa, isolata e ridicolizzata anche nella sfera della propria vita privata (Leymann,
1996). Il suo lavoro viene deprezzato, continuamente criticato o addirittura sabotato, svuotato di
contenuti; il soggetto viene privato degli strumenti
necessari a svolgere l’attività (sindrome della scrivania vuota) o al contrario viene sovraccaricato di
lavoro e di compiti impossibili da portare materialmente a termine o inutili, ma tali da provocare o
acuire sentimenti di frustrazione e di impotenza
(sindrome della scrivania piena). Il suo ruolo viene
Accanto ai rischi tradizionali (chimici, fisici e biologici) per la salute del lavoratore i rischi psicosociali ed organizzativi stanno diventando una delle
principali cause di alterazione della salute sul posto
di lavoro. Fra questi va sicuramente segnalato il
“rischio relazionale” o “interpersonale”. Negli ultimi anni il mobbing è in incremento per motivazioni di carattere macroeconomico (es. globalizzazione) e per il cambiamento delle tipologie di lavoro e dei correlati rischi lavorativi. Fra gli elevati
costi individuali, aziendali e sociali, di particolare
rilevanza sono le conseguenze sulla salute, riscontrate dopo un periodo variabile di esposizione alla
condizione mobbizzante. Queste conseguenze possono manifestarsi inizialmente a carico della sfera
neuropsichica e, successivamente, con importanti
ricadute psicosomatiche e fisiche, che comportano
non solo una riduzione della capacità lavorativa
fino a stati invalidanti ma possono definire altresì
un quadro di rilevante danno biologico, con risvolti
di tipo esistenziale, sociale e relazionale. È pertanto opportuno un accordo tra gli organi competenti
che, oltre al riconoscimento della rilevanza del fenomeno, sviluppino linee guida per la gestione
complessiva del fenomeno mobbing, comprendente gli aspetti informativi, formativi, divulgativi,
clinico-diagnostici, terapeutici, riabilitativi, medico-legali, legali e preventivi.
Descrizione
Per mobbing si intende l’aggressività espressa
all’interno di una struttura lavorativa. Secondo una
definizione accreditata si tratta di “attacchi che
provengono da colleghi, superiori (a volte), sottoposti” (Ege, 2001). Il termine deriva dal verbo inglese to mob, che si riferisce all’attaccare,
all’assalire da parte di una folla (Mottola, 2003).
Già Lorenz nel 1966 utilizzò questo termine per
descrivere gli attacchi di animali verso altri della
stessa specie. Heinemann, nel 1972, utilizzò il termine per indicare comportamenti aggressivi tra i
bambini a scuola in seguito a ciò fu definito il fenomeno del bullismo. Nel 1996 Leymann trasferì
questo fenomeno nel mondo delle relazioni degli
adulti in ambito lavorativo. Sempre Ege riconobbe
sette criteri, la cui presenza contemporanea in una
data situazione delimita il mobbing. Questi criteri
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-
declassato, le sue capacità personali e professionali
messe in discussione, o comunque fortemente in
dubbio. Infine, vengono esercitate nei suoi confronti continue azioni sanzionatorie, spesso pretestuose, mediante un uso eccessivo di strumenti
quali visite fiscali o di idoneità, contestazioni disciplinari, trasferimenti in sedi lontane (sotto forma
di minaccia o anche materialmente effettuati), rifiuto di permessi, di ferie e/o di trasferimenti (Mottola, 2003).
L’interrogativo che ci si pone in questo contributo
è quello di riuscire a spiegare se nelle difficoltà e
nei disadattamenti da lavoro risulta possibile che il
mobbing sia un fenomeno nuovo e in crescita che
richiede attenzione e riflessione specifiche e, ancora, se esiste davvero o è un’invenzione. Rappresenta un fenomeno unico o è scomponibile in situazioni diverse non unificabili ad una generalizzazione? Dal 1998 Buzzi lo ha inserito tra gli argomenti riguardanti la salute mentale sul lavoro. Per
fronteggiarlo è stato sottolineato da un lato di ridurre gli eventuali effetti di stress presenti,
dall’altro di potenziare le risorse di coping dei lavoratori. Lo stress lavorativo si integra in vari modi con le patologie psichiche, talvolta comportandosi come la “solita goccia con un vaso colmo”.
Ciò porta ad applicare in parte una nozione di
stress semplicistica, perché ne è valorizzata la personalità premorbosa con la sua abnorme fragilità e
vulnerabilità. Dunque il mobbing non può essere
preso come causa di disagio ma come possibile fattore di rischio, pari a numerose situazioni ambientali stressanti.
È possibile distinguere differenti tipi di mobbing:
- il mobbing strategico, che corrisponde ad un
preciso disegno di esclusione di un lavoratore
da parte della stessa azienda e/o del management aziendale che, con tale azione premeditata e programmata, intende realizzare un ridimensionamento delle attività di un determinato
lavorato o il suo allontanamento dal lavoro
(Petrella, 2000);
- il mobbing emozionale o relazionale, che deriva da un’alterazione delle relazioni interpersonali (esaltazione ed esasperazione dei comuni
sentimenti di ciascun individuo di rivalità, gelosia, antipatia, diffidenza, paura, ecc.) e può
svilupparsi sia a livello gerarchico che tra colleghi;
il mobbing senza intenzionalità dichiarata, che si
verifica nel caso in cui non vi sia da parte del ma-
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nagement aziendale una precisa volontà strategica
di eliminare o condizionare negativamente un determinato lavoratore con azioni di violenza psicologica. All’interno della complessa organizzazione
del lavoro di un’azienda esiste piuttosto una nicchia di conflitto, che esorbita dalla dimensione
normale del conflitto interpersonale sul luogo di
lavoro. Questa azione di molestia morale viene
esercitata da parte di un pari grado (per eliminare
eventuali ostacoli alle proprie ambizioni carrieristiche), o da parte di un superiore, al fine di tutelare la propria posizione gerarchica, giudicata in pericolo (Mottola, 2003).
Il soggetto-bersaglio
Ogni lavoratore, indipendentemente dalle caratteristiche della propria personalità e del proprio carattere, può essere oggetto di molestie morali. Tuttavia, oltre alla soglia individuale di resistenza alla
violenza psicologica, alcune caratteristiche personologiche o situazionali possono favorirne
l’insorgenza o la diffusione. Ci sono potenziali
soggetti bersaglio, rappresentati soprattutto da lavoratori con elevato coinvolgimento nell’attività
svolta o con capacità innovative e creative; soggetti con ridotte capacità lavorative o portatori di handicap collocati obbligatoriamente nel posto di lavoro, ma osteggiati dal datore di lavoro, dal preposto,
dai nuovi compagni di lavoro; soggetti “diversi”
sotto vari punti di vista e tratti socio-culturali (provenienza geografica, religione, abitudini di vita,
preferenze sessuali); lavoratori rimasti estranei a
pratiche illecite di colleghi.
Nelle situazioni di possono rilevare tre diverse
condizioni: una in cui il soggetto bersaglio precedentemente era un individuo con un soddisfacente
equilibrio psico-fisico, una in cui il soggetto bersaglio già in precedenza è possessore di una personalità con disturbi comportamentali, una in cui il
soggetto bersaglio è già portatore di disturbi comportamentali conclamati (Fulcheri, 2005).
Merita d’esser anche specificato che se il mobbing
colpisce un uomo è facile che si tratti di una persona con manifesta debolezza, soggettivamente vissuta come inferiorità e che coinvolge l’identità sociale ed è possibile che il vissuto di inferiorità, o
meglio il complesso di inferiorità che sottende al
vissuto, sia la concausa del mobbing. Molte donne,
invece, non ancora affrancate dal sentirsi inferiori
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rispetto a colleghi e superiori, possono addirittura
illudersi di poter vivere la propria “debolezza
femminile” come un vantaggio (Gilioni et al,
2000).
Il mobbing colpisce in qualche misura l’identità
della persona in genere, attraverso esperienze che
possono incidere in modo negativo sull’autostima.
Questo, però, avviene non solamente nel campo di
competenze professionali ma soprattutto nella fiducia verso se stessi che, se colpita, può essere
compromessa (Ansbacher & Ansbacher, 1956).
Tuttavia è da sottolineare che la condizione di
preesistenza di disturbi neuro-comportamentali non
esclude l’esistenza di un nesso eziologico tra ambiente di lavoro e patologia psichiatrica derivata. È
importante, invece, verificare da un punto di vista
medico-legale che esista un nesso di causalità tra
l’ambiente lavorativo, inteso nella sua accezione
più complessa, anche come forma di organizzazione del lavoro e gestione delle risorse umane, e il
peggioramento del quadro clinico del soggetto,
evidenziando eventuali ulteriori concause significative o fattori eziopatogenici. Ad ogni modo il fenomeno si accompagna ad una grave condizione di
inadeguatezza dell’organizzazione del lavoro
nell’azienda, spesso incapace di costruire meccanismi di rilevamento e pronta alla correzione del fenomeno.
conseguenze sulla salute che possono derivare da
una condizione di mobbing dovrebbero essere
comprese nell’insieme definito “Reazioni ad Eventi”. Tali reazioni includono:
- il Disturbo dell’adattamento (DA), che indica la
risposta psicologica ad uno o più fattori stressanti identificabili. che concludono allo sviluppo di sintomi emotivi e comportamentali clinicamente significati (questo può essere innescato
da un fattore stressante di qualsiasi gravità);
- il Disturbo acuto da stress (DAS) e il Disturbo
post-traumatico da stress (DPTS), che sono caratterizzati dalla presenza di un fattore stressante estremo e da una specifica costellazione
di sintomi.
Occorre comunque tener presente che in ambito
lavorativo esiste un vasto insieme di disturbi psichiatrici classificabili come “reazioni ad eventi”
identificabili, per nesso eziologico, come malattie
professionali o malattie correlate al lavoro (workrelated) che nulla hanno a che vedere con la condizione di mobbing (Cooper, 1998). Va difatti considerato, ad esempio, che la messa in cassa integrazione, il licenziamento dovuto a cause strutturali di
crisi aziendale, una fase di forte conflitto aziendale
e tutta una serie di eventi analoghi che si possono
realizzare in ambito lavorativo, senza alcun elemento di intenzionale violenza psicologica, possono ugualmente determinare quadri di patologia anche molto gravi, senza per questo essere inquadrabili all’interno di una sindrome provocata da una
condizione di mobbing.
Nell’esperienza della Clinica del Lavoro di Milano
il disturbo dell’adattamento è largamente prevalente (oltre i 2/3 dei casi con caratteristiche di attendibilità) mentre il disturbo post-traumatico da stress
(stessi sintomi del disturbo dell’adattamento ma
più gravi e con possibilità di sequele associato a
intrusività del pensiero, comportamenti di evitamento in situazioni che possano anche indirettamente richiamare il problema lavorativo e blocco
dell’io) rappresenta un evento meno frequente.
Circa un terzo della casistica totale è, infine, costituito da casi di patologia psichiatrica comune o di
patologia fittizia.
Al contrario, la casistica osservata nel centro di
Napoli, ancora in fase di sperimentazione, ha permesso di rilevare una notevole presenza dei casi
più drammatici del fenomeno, che si è manifestato
prevalentemente come Disturbo post-traumatico da
stress, mentre il 20% dei casi è costituito da rea-
Conseguenze sulla salute
I primi effetti derivanti da situazioni mobbizzanti
sono osservabili sulla salute delle vittime che, quasi inevitabilmente, dopo un intervallo di tempo variabile, si altera con manifestazioni nella sfera neuropsichica. Precoci sono i segnali di allarme psicosomatico: cefalea, tachicardia, gastroenteralgie, dolori
osteoarticolari,
mialgie,
disturbi
dell’equilibrio. Altri possono essere di tipo emozionale: ansia, tensione, disturbi del sonno,
dell’umore (D’Antonio, 2005), o comportamentale,
come anoressia, bulimia, farmacodipendenza. Se lo
stimolo avverso è duraturo oltre al possibile concorso nello sviluppo di patologia d’organo i sintomi descritti possono organizzarsi nei due quadri
sindromici principali che rappresentano le risposte
psichiatriche a condizionamenti o situazioni esogene: il disturbo dell’adattamento e il disturbo
post-traumatico da stress. Tenendo conto della sistematizzazione nosografica del DSM-IV-TR le
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zioni ad eventi in ambito lavorativo, nei quali
l’evento-causa della reazione non è individuabile
in una condizione di mobbing, quanto piuttosto in
una condizione di conflitto aziendale, senza valenze intenzionali di tipo persecutorio.
compenso temporaneo e variabile ed è oltre
certi limiti incapace di assorbire e metabolizzare le tensioni che le si ripercuotono pericolosamente contro, implicandola in comportamenti reattivi di natura “patologica” (Sprini, 2007);
- il coinvolgimento del tessuto della vita di relazione, quando gli effetti del mobbing ledono
significativamente
la
vita
relazionale
dell’individuo mobbizzato, che subisce una
progressiva contrazione, motivata in genere da
una caduta del ruolo lavorativo vissuta anche
come caduta dello stato sociale, che poi si traduce in una fuga dai contatti sociali tradizionali.
Conseguentemente la problematica del mobbing
diventa pervasiva e totalizzante, determinando una
progressiva caduta d’interesse per la vita di relazione. A ciò si aggiunge anche che i costi delle
conseguenze del mobbing non riguardano solo gli
aspetti individuali ma si riflettono più generalmente a livello aziendale, in termini di ore lavorative
perse e scadimento della qualità del lavoro, della
produttività e, a livello della collettività, con un
aumento dei pre-pensionamenti, delle invalidità civili e della spesa sanitaria (Hart, 1990). Il soggetto
mobbizzato è diventato improduttivo e di peso per
la società, per la famiglia, per se stesso: di ciò egli
è consapevole, ma non ha più energie da spendere,
né entusiasmo da investire (Dominici, 2006).
Conseguenze sociali
Le conseguenze sociali possono essere devastanti,
in quanto la persistenza dei disturbi psicofisici porta ad assenze dal luogo di lavoro sempre più prolungate, con “sindrome da rientro al lavoro” sempre più accentuata, fino alle dimissioni o al licenziamento
(Cordaro,
2006).
La
perdita
dell’autostima e del ruolo sociale comporta insicurezza e difficoltà relazionali; per le fasce d’età più
avanzate l’impossibilità di nuovi inserimenti lavorativi.
Il soggetto porta all’interno dell’ambito familiare il
proprio stato di grave disagio e non sono rari i casi
di separazioni e divorzi, disturbi nello sviluppo
psicofisico dei figli e disturbi nelle relazioni sociali. Più nello specifico le conseguenze devastanti
della situazione di mobbing in ambito sociale interessano tre aree ben distinte:
- il difficile recupero dell’inserimento occupazionale, che riguarda le condizioni del mercato
del lavoro fortemente selettivo e si caratterizza
in alcuni elementi come la collocazione di un
quadro dirigenziale ad alto livello che presenta
difficoltà maggiori di un lavoratore di tipologia
media, dal momento che le nicchie di mercato
per ruoli dirigenziali sono molto ristrette e
“protette” in termini di scalata gerarchica interna alle aziende (Dominici, 2006). In Italia
un contenzioso legale per veder riconosciuti i
diritti al recupero della posizione lavorativa
precedentemente ricoperta prevede tempi talmente lunghi che la stessa attesa diventa elemento di sofferenza concomitante alla sindrome da mobbing. Inoltre, un lungo periodo di
attesa (che può ricoprire anche diversi anni)
determina una perdita di professionalità ad alti
livelli, che si fonda sul costante esercizio pratico dell’attività manageriale.
- il coinvolgimento del nucleo familiare, perché
agli occhi del soggetto mobbizzato la famiglia
appare come la struttura sociale immediatamente più disponibile per temporanee forme di
compenso. Essa costituisce comunque un
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Diagnosi
L’analisi delle situazioni lavorative di mobbing e
delle malattie mobbing-correlate è particolarmente
critica per diversi motivi. La fonte d’informazione
è rappresentata, nella situazione attuale, quasi
esclusivamente dalla raccolta anamnestica diretta.
Quindi la possibilità di verifica di dati è scarsa, in
quanto solitamente la collaborazione dell’ambiente
di lavoro è carente. Queste difficoltà devono essere
affrontate con una strategia ad ampio raggio che
non esclude la possibilità di falsi positivi, ma ne
può ridurre la frequenza, mediante una rigorosa osservazione rispetto una dichiarazione autocertificata della situazione lavorativa da parte del soggetto,
tramite un’identificazione del livello di attendibilità del paziente con l’esclusione di un possibile disturbo fittizio. Ancora, l’identificazione di un disturbo psichiatrico non legato al lavoro e il riconoscimento di caratteristiche comportamentali che
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definiscono la situazione di mobbing (Fulcheri et
al, 1995). Inoltre vi è la necessità di un contatto
formale con il medico competente, al fine di aggiungere elementi in grado di validare l’anamnesi
fornita e sottoscritta dal lavoratore vittima del
mobbing. C’è bisogno di una definizione del quadro clinico e della sua compatibilità con le sindromi mobbing-correlate. Per soddisfare questi criteri
c’è bisogno di strumenti mirati, come la specifica
preparazione alla conduzione di colloqui psicologico-psichiatrici mirati (Quadrio, 1997).
L’utilizzo di metodi psicodiagnostici validi e sensibili per poter in ultimo effettuare una diagnosi
sindromica è altrettanto necessario. In ogni caso la
diagnosi verrà effettuata nei luoghi di lavoro da
una équipe multidisciplinare di specialisti che operano in parallelo e coordinati tra loro. Le figure lavorative che si ritrovano sono il medico del lavoro,
(con riferimento all’anamnesi lavorativa e
all’anamnesi dell’organizzazione del lavoro), lo
psicologo del lavoro (per l’analisi e la valutazione
dei fattori di rischio trasversali, in particolare sociali e psicologici), il medico psichiatra (per determinare la tipologia di reazione ad un evento determinatosi e quindi la diagnosi psichiatrica), lo
psicologo clinico (per l’analisi e la valutazione delle manifestazioni psicopatologiche attuali e/o pregresse con l’ausilio di somministrazione di batterie
di test mirati), il medico legale (per la valutazione
analitica della sussistenza di un nesso di casualità e
per l’individuazione di un eventuale danno biologico) (Trombini, 1994). In base a questa serie di
strumenti, che sono indispensabili per arrivare ad
una diagnosi affidabile, vanno ulteriormente distinti i due inquadramenti diagnostici di disturbo
dell’adattamento e disturbo post traumatico da
stress, in base al ruolo che svolgono i fattori occupazionali sui disturbi stessi. Il disturbo
dell’adattamento andrà differenziato in disturbo
dell’adattamento in situazione occupazionale vissuta come avversativa e disturbo dell’adattamento
in situazione occupazione stressogena. Queste due
diagnosi fanno riferimento a componenti soggettive di valutazione da parte del paziente e a situazioni di stress generico. Stessa cosa per quanto riguarda il disturbo post traumatico da stress, che si
suddivide in disturbo post traumatico da stress con
prevalente componente occupazione e in disturbo
post traumatico da stress occupazionale
(D’Antonio, 2001).
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Competenze e gestione
Le statistiche evidenziano che le problematiche afferenti alla psicopatologia organizzativa sono in
continua crescita. Ciò porta alla necessità evidente
di individuazione delle proprie competenze psicologiche per accrescere la conoscenza e la capacità
di riconoscere e gestire le stesse.
Il fenomeno del mobbing si configura nell’attuale
contesto del mondo del lavoro come uno dei più
importanti temi oggetto di interesse, oltre che della
medicina del lavoro, della psichiatria, della sociologia e della psicologia, anche nel mondo giuridico
del management delle imprese e delle istituzioni
politiche. Quasi sempre il mobbing è caratterizzato
da gravi perdite economiche e umane che si riscontrano in aspetti come il distacco, la demotivazione,
l’aggressività, le umiliazioni, la dequalificazione
professionale,
la
sofferenza
psichica,
l’estromissione dal mondo del lavoro a danno di
soggetti vittime. Il fenomeno è connesso anche a
problematiche quali il bossing e problematiche afferenti, quali lo stress e il burnout, che costituiscono un’effettiva emergenza sociale (Fulcheri, 2008).
Nell’osservazione globale del fenomeno va messo
l’accento sulle competenze psicologiche in ambito
manageriale afferenti all’organizzazione, che vanno a prendere in considerazione la centralità della
gestione delle risorse umane, l’instabilità lavorativa, la formazione continua, i fattori di sviluppo e la
psicologia dei consumi e sulle competenze psicologiche afferenti l’individualità che, invece, approfondiscono
l’autostima,
l’intelligenza
e
l’adattamento emotivo, le abilità cognitive, i processi decisionali e la capacità mnemonica. Ma ci
sono anche competenze psicologiche afferenti i
ruoli, relative alla considerazione del comportamento organizzativo, la dinamica del potere, la capacità di delega e l’analisi delle mansioni.
Trattamento
Quando un’azione risolutiva non è possibile bisogna riflettere e “distanziare emotivamente” la propria
condizione,
ridefinendola,
valutando
l’eventuale complicità nel causarla e misurandone
la propria esposizione. Spesso risulta impossibile e
dannoso ricorrere a soluzioni già sperimentate. In
questo senso è necessario fornire una guida
all’individuo per essere accompagnato, che gli
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consenta di ampliare le diverse possibilità di profetti positivi sull’equilibrio emotivo e fisiologico.
blem-solving. La creatività, difatti, non è un dono
Efficace è risultato anche il training autogeno –
innato che pochi possiedono bensì una capacità richiamato autogeno per essere differenziato dalle
solutiva che tutti hanno ma che pochi applicano.
tecniche ipnotiche – che è uno strumento che porta
La principale limitazione della creatività è proprio
a modificazioni psicofisiologiche e dello stato di
l’errata convinzione di non essere creativi. La
coscienza mediante esercizi graduati di concentracompetenza psicologica, in questo caso, è invece
zione psichica passiva.
molto utile nel rimuovere blocchi e barriere
d’azione se individuata e sostenuta, liberando tutte
quelle energie che concernono la capacità di affrontare e risolvere i problemi complessi che si
presentano in situazioni come queste (Legrenzi, De
Bono, Cocco, 2001).
Per raggiungere questi obiettivi vi sono diversi
supporti. Si pensi, ad esempio, al counseling, che
agisce sull’elaborazione iniziale della situazione
stressante; alla figura del counselor, infatti, è chie sto supporto affettivo, disponibilità all’ascolto e
alla comprensione, collaborazione non direttiva
all’analisi e al chiarimento. Ancora le tecniche di
rilassamento, adatte ad alleviare reazioni emozio nali di ansia e le risposte psicofisiologiche che le
accompagnano; esse agiscono sull’equilibrio neu rovegetativo ottenendo una diminuzione della fre quenza cardiaca e della pressione sistolica, della
conduttività elettrica cutanea, della tensione muscolare e del consumo di ossigeno, registrando ef Bibliografia Dominici, R., 2006. Il danno psichico esistenziale. Milano, Giuffrè Editore;
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