News del 06/11/2000 LA NUOVA FRONTIERA PER LA PSICOLOGIA DEL LAVORO: IL MOBBING Tra i fenomeni oggi emergenti, sia in letteratura di Psicologia del Lavoro e della Organizzazione sia nelle concrete condizioni lavorative delle imprese e degli enti pubblici e privati sempre più «globali», spicca il mobbing: una forma di violenza messa in atto, più o meno deliberatamente nei confronti di una, più o meno designata, vittima. La fenomenologia del «mobbing», in inglese «attacco», benché, con questo specifico termine, sia stata per la prima volta esaminata dallo svedese Heinz Leymann (cfr. Leymann H., Mobbing and psychological terror at workplaces. Violenze and Victims, 1991) fu oggetto di un’analisi specifica già nel lontano 1978 a cura di Borella (cfr. Borella P., La violenza sub, infra e sopra liminale nel rapporto gerarchico, in «L’uomo e la violenza», a cura di A. Devoto, Angeli, Milano, 1978). Al momento si contano in oltre 9.000 i lavori (testi e articoli), italiani e stranieri, che si occupano, dai più diversificarti punti di vista, di questa particolare sindrome post traumatica da stress ed i relativi contenuti sono entrati ormai in tutte le discipline universitarie a base psicologica e psicologico sociale. Dal punto psicologico dinamico, tale forma di violenza psicologica, come già dettagliatamente descritto nel citato testo del 1978, si manifesta allorché un superiore o dei pari mettono in atto attacchi e ingiustizie verso un determinato soggetto che, a lungo andare, lo portano ad una condizione di estremo disagio quando non addirittura ad un crollo del suo equilibrio psicofisico più o meno necessitante dell’intervento psicoterapeutico. Secondo l’esperienza di Leyman (acquisita come Psicologo del lavoro nei Paesi del Nord Europa) la dinamica del mobbing si manifesta in un quattro fasi. Una prima fase iniziale, piuttosto breve, ancora dall’incerta definizione caratteriologico situazionale, nella quale una relazione, precedentemente neutra o, addirittura, positiva subisce un cambiamento in negativo. Per dirla con l’ormai celebre perifrasi di Spaltro, muta da virtuosa in viziosa (cioè si rinforza sempre più in negativo). La casistica è la più ampia possibile: può trattarsi del caso di un nuovo assunto che viene a ingranarsi in un gruppo di lavoro già costituito, di una promozione ricevuta da un componente del gruppo, di una nuova mansione. In tutti questi casi e in altri simili, resta fermo il fatto che la «vittima» inizia a ricevere delle critiche sul modo di condurre il proprio lavoro, fino a quel momento apprezzato o, perlomeno, rispettato. In una seconda fase lo stress da violenza psicologica da contingente diventa conclamato: la vittima subisce continui attacchi da un superiore o dai colleghi. Gli attacchi possono avere obiettivi diversi, quali ledere la sua reputazione (ad esempio, attraverso maldicenze, calunnie, esponendolo al ridicolo, con allusioni, mezze frase e tutto uno strumentario sub e infra liminale ampiamente dettagliato nel testo dello scrivente); impedirgli ogni forma di comunicazione e di espressione in modo da escluderlo dal flusso comunicativo e, quindi, isolandolo socialmente; impedirgli di svolgere il proprio lavoro in modo soddisfacente, ad esempio, attraverso l’assegnazione di incarichi lavorativi insignificanti o umilianti . La terza fase si caratterizza dal «riconoscimento» di fatto e poi formale della situazione che potrà divenire oggetto di una specifica inchiesta dell’Ufficio del Personale. Leyman fa presente che, spesso, in questa fase, quando i colleghi vengono interpellati per chiedere informazioni a riguardo, questi tendono a colpevolizzare ulteriormente la «vittima» imputando la causa del problema alla sua personalità, ritenuta debole e fragile, piuttosto che a condizioni esterne oggettive. La quarta fase è quella dell’allontanamento dal gruppo di lavoro. A questo punto il soggetto è totalmente isolato da ciò che succede nell’ambiente originario di lavoro, viene dequalificato professionalmente anche assegnandogli incarichi di scarso rilievo e poco gratificanti. Egli va fatalmente incontro ad un lungo periodo di malessere generale, caratterizzato da disturbi depressivi e psicosomatici, tali da indurlo a rivolgersi a specialisti. La situazione può collassarsi quando sopraggiunge, in una dinamica viziosa parossistica, il licenziamento o le dimissioni. Per lo psicologo del lavoro che deve interessarsi di questi casi, spesso pietosi e delicati, è di fondamentale importanza rendersi conto che il mobbing è un sintomo, cioè la manifestazione di un conflitto tra individui all’interno delle organizzazioni; manifestazione che non ha, tuttavia, una sola origine, ma ne può avere diverse. Da qui la necessità di considerare anche gli aspetti organizzativi dell’azienda che, come già è stato trattato in un recente articolo dello scrivente (Borella P., Aspetti criminologici delle lesioni all’organizzazoione conmplessa, in Rivista Internazionale dei Temi Basali», 12, 2000), spesso sono contemporaneamente causa ed effetto dei disturbi da mobbing. Qualora lo Psicologo del lavoro sia anche Psicoterapeuta non potrà fare a meno di constatare che il soggetto colpito da mobbing soffrirà di disturbi d’ansia caratterizzati dalla sperimentazione di stati d’animo di particolare risonanza affettiva a volte messi in moto dalla sola evocazione di eventi estremamente traumatizzanti di cui il soggetto sia vittima o sia testimone o risulti comunque coinvolto. La sintomatologia è quella classica del pensiero invasivo comportante nel mobbizzato una vasta gamma di disturbi neurovegetativi, secondo un’insorgenza, una evoluzione, un decorso estremamente variabili da soggetto a soggetto, da organizzazione a organizzazione, da periodo a periodo. Qualora lo Psicologo del lavoro sia anche Psicologo della Organizzazione non potrà fare a meno di considerare le conseguenze economiche del fenomeno mobbing; basti pensare ai periodi di malattia, alle lesioni che nel concreto può subire l’organizzazione alla sua efficienza e alla sua efficacia operazionale. Ciò comporta costi notevoli per l’azienda in termini di produttività ed investimenti nella formazione, per il soggetto in termini di perdita di professionalità, per l’intera collettività in termini di costi sociali. Qualora lo Psicologo del lavoro sia anche Criminologo non potrà fare a meno di riscontrare che i riflessi del mobbing sul rapporto di lavoro e sulla salute vengono definiti a partire dalla sentenza 184/1986 della Corte Costituzionale, dalla dottrina medico legale e anche dalla giurisprudenza più evoluta come danno biologico da «danno psichico». Può qui osservarsi che il problema medico legale, contestualmente alla maggiore numerosità dei casi ed alla elevata incidenza, si va ampliando e diffondendo sempre più; esso ha pertanto non solo natura medica e sociale, in quanto comporta il ricorso sempre più frequente a cure specialistiche, ma anche natura giuridico lavorativa in senso stretto (basti pensare alla violazione dell’articolo 2103 del codice civile). A cura di Professionalaudit con la collaborazioine del Dott. Patrizio Borella (Psicologo Psicoterapeuta – Specialista in Relazioni Industriali e del Lavoro)