Il giornalismo sportivo, i mondiali e i social media,Twitter, tra

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Il giornalismo sportivo, i mondiali e i
social media
I #Mondiali2014 sul campo stanno per concludersi, ma traccia del loro passaggio rimarrà ben
ancorata nei motori di ricerca per molto tempo ancora. Oltre allo “speciale” servizio informativo di
Google, in Rete non si è mai assistito prima d’ora a una così persistente e costante copertura socialmediatica (via Twitter e altri social network) di un evento sportivo mondiale. Basti per esempio
pensare che solamente durante la fatidica partita dell’Italia con il Costa Rica sono stati postati circa
3,2 milioni di Tweet e la semifinale tra Germania e Brasile è diventato l’evento sportivo più twittato
di sempre.
With 35.6 million Tweets, #BRA v #GER is the most-discussed single sports game ever on
Twitter. #WorldCup pic.twitter.com/pRjssAZmhg
— Twitter Data (@TwitterData) 9 Luglio 2014
Questi numeri ci ricordano ancora una volta di quanto a fondo i social media siano entrati nel nostro
quotidiano, e di come il loro utilizzo – nel bene e nel male – influenzi il modo in cui apprendiamo le
notizie e di conseguenza il modo di lavorare dei giornalisti, soprattutto di quelli che trattano eventi
molto sentiti, come i mondiali di calcio.
La tecnologia dei social media e del Web 2.0 da un lato rende il mestiere del giornalista più facile,
permettendo la raccolta e la verifica di informazioni in tempo reale; da un altro, pone elevate
esigenze perché sono necessarie abilità e competenze tecniche che non tutti i giornalisti della
“vecchia scuola” possono avere. In altre parole, Twitter e i social media sono una banca dati
fenomenale e fondamentale per il lavoro di un giornalista 2.0. Tuttavia, chi non è in grado di
lavorare su più piattaforme (ossia essere “convergente”) e a mantenersi aggiornato, rischia di non
restare al passo.
Questo ambivalente ruolo dei social media emerge in modo preponderante da uno studio di Edward
Kian e Ray Murray della School of Media & Strategic Communications dell’Oklahoma State
University, sull’impatto di Twitter sul lavoro e sulla routine dei giornalisti che si occupano di sport,
pubblicato sulla rivista ufficiale dell’International Symposium on Online Journalism (#ISOJ). Lo
studio ha investigato gli atteggiamenti e le percezioni dei giornalisti sportivi nei confronti dei social
media (Twitter in particolare) e ne ha descritto le esperienze d’uso.
Sebbene sia basato su un campione piuttosto modesto di partecipanti (12 giornalisti sportivi di
quotidiani americani, aventi diffusione superiore alle 30mila copie), lo studio rivela comunque un
interessante rapporto di amore-odio tra loro e Twitter: anche se lo usano per cercare notizie e
postare i propri pezzi pubblicati su carta, si dedicano molto poco all’interazione con i propri follower
e a creare engagement.
Dal punto di vista dei contenuti, i social media sono visti con una certa diffidenza: “Twitter”, dichiara
uno degli intervistati, “ha banalizzato il giornalismo sportivo in nome della necessità di arrivare
prima e subito sulla notizia”. Questo ha anche favorito l’emergere di blog di successo – come
Deadspin, negli Usa – che minano la credibilità del lavoro del giornalista e hanno modificato
completamente il cursus honorum tradizionale della professione nell’ambito sportivo.
Il Web 2.0 quindi è visto con particolare diffidenza, almeno nello studio di Kian e Murray, risultato
che ha stupito i ricercatori stessi. Secondo alcuni degli intervistati, ad esempio, Internet avrebbe
contribuito alla rovina dell’industria dei giornali statunitensi, minando la sicurezza del lavoro del
tradizionale giornalista redazionale. Tuttavia questo ha anche fatto emergere nuove professionalità e
la necessità di essere “giornalisti 2.0”, più flessibili e migliori imprenditori di se stessi, soprattutto
per chi segue eventi sportivi.
Quanto all’apporto di Internet e dei social media sull’idea di breaking news, alcuni partecipanti allo
studio hanno dichiarato come anche arrivare primi su una notizia abbia cambiato significato e,
nonostante la crescente competizione digitale, non sia poi così importante. Un intervistato ha anche
dichiarato come, prima dell’avvento di Internet, i giornalisti avrebbero avuto l’incubo di comprare i
giornali concorrenti e di vedere una notizia non pubblicata dal proprio giornale, mentre adesso “si
viene battuti di 15 minuti, e nessuno se ne accorge davvero”.
Paradossalmente, anche se dallo studio emerge un rapporto che non è dei più felici tra giornalisti
sportivi e strumenti digitali, è bene notare come proprio i reporter sportivi siano spesso tra i
maggiori adopter delle tecnologie digitali. Ne è un ottimo esempio la Espn che, proprio in occasione
del clamoroso 1-7 di Brasile – Germania, ha visto la sua “social media war room” lavorare a pieno
regime, come racconta AdWeek: 15 persone a ritmo serrato, con aggiornamenti su ogni piattaforma
disponibile, Vine e Instagram comprese. Proprio durante la semifinale, l’emittente americana ha
anche registrato il record di like su Facebook per un suo contenuto.
Kian, E. M., & Murray, R. (2014). Curmudgeons but Yet Adapters: Impact of Web 2.0 and Twitter on
Newspaper Sports Journalists’ Jobs, Responsibilities, and Routines. # ISOJ Journal, 4(1): 61-76.
Photo credits: Crystian Cruz / Flickr CC
Twitter, tra attivismo e giornalismo
partecipativo
Giornalismo e politica, un rapporto sempre più stretto, che diventa ancora più ravvicinato grazie a
Twitter. Non solo per i giornalisti professionisti o per chi vuole occuparsi di elezioni o campagne
politiche, bensì anche per chi vuole favorire l’attivismo o fare giornalismo partecipativo. Lo hanno
dimostrano i movimenti della primavera Araba, e i più recenti accadimenti in Turchia, con il blocco
della piattaforma di microblogging. In altre parole, Twitter può essere usato per mobilitare
l’opinione pubblica e favorire la partecipazione al dibattito, ma anche da chi, cittadino comune,
vuole coordinare una protesta o diffondere informazioni su un particolare accadimento, in
alternativa all’attività giornalistica convenzionale.
Tale prospettiva viene confermata da un recente studio di Aaron Veenstra e dei suoi colleghi della
Southern Illinois University Carbondale, che hanno analizzato le motivazioni che hanno spinto alcuni
attivisti del movimento di protesta, nato in seguito all’introduzione di una legge di stabilità per il
budget dello Stato americano del Wisconsin (il “2011 Wisconsin Act 10”, anche conosciuto come
“Buget Repair Bill”), propugnata dal Governatore Scott Walker.
Tra il 17 febbraio e il 13 marzo 2011 – rispettivamente tre giorni dopo l’introduzione della legge e
dopo la sua definitiva approvazione – la legge ha scatenato un acceso dibattito (online e offline) e
un’ampia protesta, fomentata principalmente dai sindacati dei lavoratori dello Stato del Wisconsin.
Più di 100 mila persone hanno manifestato la propria contrarietà al decreto e il dissenso si è diffuso
anche in altri stati americani. Su Twitter, questo si è tradotto in circa 775 mila post con l’hashtag
#wiunion, contenenti notizie di prim’ora, aggiornamenti in diretta e approfondimenti sulla legge e
sulle manifestazioni a cura di numerosi utenti.
L’hashtag #wiunion, più neutrale e usato sia dai sostenitori (#standwithwalker), sia dagli oppositori
della legge, (#killthebill), è stato usato come criterio di selezione del campione per la ricerca di
Veenstra e colleghi. Partendo da un campione iniziale di centinaia di utenti tra i più attivi – in base
alla frequenza di post taggati #wiunion, tra il 17 febbraio e 13 marzo 2011 –, 70 sono stati
selezionati in modo casuale e successivamente invitati a partecipare alla ricerca. Di questi,
quattordici hanno acconsentito a partecipare allo studio e a essere intervistati.
Lo studio di Veenstra e colleghi offre un esempio concreto di quali siano le motivazioni che spingono
persone comuni a utilizzare Twitter per diffondere informazioni e favorire il dibattito su un tema da
loro sentito, oltre che per controllare e validare l’informazione diffusa dai media tradizionali. La
maggior parte degli intervistati era tuttavia contraria al decreto e quindi sostenitrice della protesta,
un elemento che gli autori stessi dello studio indicano come una limitazione da tenere in
considerazione.
Malgrado questo aspetto, la ricerca mostra come gli attivisti abbiano utilizzato Twitter per
mobilizzare le masse, coordinare le azioni di gruppo, cercare informazioni e restare aggiornati sugli
eventi, nonché – e questo è forse l’aspetto più interessante per la pratica giornalistica – proporsi
criticamente come alternativa ai media mainstream. Sebbene non tutti gli utenti-attivisti amassero
definirsi giornalisti, nei fatti hanno dimostrato come Twitter fosse da loro usato come principale
strumento per fare dell’attività giornalistica – spesso con l’esplicita volontà di sostituirsi ai canali di
informazione mainstream -, sia per diffondere informazioni in tempo reale, sia per cercare e
verificare le notizie offerte dalle testate ufficiali, oltre che, ovviamente, per diffondere la propria
opinione.
Gli utenti-attivisti hanno quindi dimostrato interesse verso la produzione di una copertura
informativa in un qualche modo giornalistica, sebbene sulla definizione di “giornalismo” i risultati
non siano stati univoci. Contrariamente ad altri risultati di ricerca su casi simili, ad esempio, dove le
risposte andavano nella direzione del rifiuto netto di tale etichetta, nei risultati dello studio di
Veenstra e colleghi è invece emersa anche la tendenza a definire, da parte dei partecipanti, le
proprie attività come “giornalismo” classicamente inteso. Alla voce “giornalismo”, comunque, è
emersa come preponderante l’idea di un’attività svolta in modo istituzionale, da attribuirsi ai media
tradizionali, in forma di articoli e reportage.
Per quanto riguarda la strategia di verifica dell’informazione diffusa su Twitter, invece gli utentiattivisti intervistati da Veenstra e colleghi hanno dichiarato una grande attenzione nei confronti
della veridicità dell’informazione da loro condivisa con gli altri utenti del social media. Inoltre, è
anche emerso il riferimento a un gran numero di fonti diverse, per paragonare i risultati. I materiali
postati e ritenuti come fonti di riferimento erano soprattutto quelli provenienti da persone
conosciute personalmente. Inoltre, gli intervistati hanno dichiarato di tenere in grande
considerazione post che presentassero link a foto o a video di YouTube e Twitpics.
Filmati e immagini sono stati percepiti come più credibili prove che un evento o un fatto fosse
realmente accaduto, perché “qualcuno era lì e l’ha mostrato”. Questi risultati mostrano come i
metodi di attribuzione di autorità emersi varino rispetto a quelli canonici del giornalismo. Molti
intervistati hanno dichiarato infatti di aver partecipato personalmente alle proteste, utilizzando
smartphone o portatili per fare livetweeting e offrire prove concrete di quanto stesse accadendo.
Veenstra, A. S., Iyer, N., Park, C. S., & Alajmi, F. (2014). Twitter as “a journalistic substitute”?
Examining #wiunion tweeters’ behavior and self-perception. Journalism, 1-18.
doi:10.1177/1464884914521580
Photo credits: Garrett Heath / Flickr CC
Una proposta teorica per la verifica degli
Ugc
Il mondo dei social media costituisce una ricchissima banca dati di informazioni generate dagli
utenti e di dati molto utili anche per i giornalisti. Gli Ugc costituiscono infatti una grande risorsa per
il giornalismo e per il marketing, visto che sono più creativi, ispirati e credibili dei contenuti
sponsorizzati o della pubblicità e proprio perché sono spontanemanente generati dai lettori.
Qui su Ejo abbiamo già visto di recente come Instagram possa essere usato per fare giornalismo e
già presentato due startup che permettono di cercare nelle enormi banche dati di immagini postate
sui network sociali. Applicazioni per smartphone come Banjo, Geofeedia, Highlight o Vyclone
possono essere utilizzate dai reporter per ricercare foto, video e aggiornamenti Ugc a partire dal
luogo da dove vengono creati. Anche altre piattaforme più diffuse tra il grande pubblico, come
Instagram, Vine, Snapchat o Flickr possono essere usate come poderose banche dati per risalire a
specifici eventi e stabilirne l’origine e l’evoluzione, oppure per identificare certi stream di
discussione.
Tuttavia, navigare nel “mare magnum” degli Ugc e ricavare potenziali notizie è un compito assai
arduo. Da un lato perché la mole dei dati da analizzare è spesso enorme e in continua espansione,
dall’altro perché i dati in sé si presentano in forma destrutturata, senza filtri, devono essere
verificati e si trovano sparsi su un ampio spettro di piattaforme.
Per ovviare a questi problemi e garantire una ricostruzione più precisa degli eventi, Bahareh
Rahmanzadeh Heravi Heravi e il suo team hanno recentemente proposto un modello teorico
(framework), basato sulla localizzazione spazio-temporale degli eventi e sui principi del web
semantico. Lo scopo del modello è aiutare i giornalisti a valutare la veridicità degli eventi riportati
sui social media e a risalire ai resoconti in prima persona offerti dagli utenti. Questa proposta nasce
con l’idea di migliorare l’accesso alle informazioni sugli eventi basati sulla location in tempo reale, in
modo da ridurre il tempo che intercorre tra accadimento e redazione della notizia.
Nello specifico, gli autori spiegano come si possano definire gli eventi e identificare le fonti
utilizzando un elaborato sistema modulare d identificazione di un evento, il raggruppamento dei dati
(per esempio con i tweet generati dagli utenti) e la verifica semi-automatica dei risultati. Tale
sistema combina coordinate Gps ricavate dal dispositivo o dal contesto (da Facebook o Twitter),
punti di interesse citati ed entità semantiche, usando una procedura basata sull’elaborazione del
linguaggio naturale.
Il framework permette così di ricostruire gli eventi sulla base di due possibilità: nel primo, il
giornalista può definire a priori il filtro per trovare l’informazione su una specifica location (per es.
“Sochi”, per le Olimpiadi). Il sistema permetterebbe in questo caso di risalire a tutti i tweet ricavati
dagli stream degli utenti che twittano da quell’area. Nel secondo scenario, invece, il sistema
identifica gli eventi e li classifica in base alla loro tipologia (per es. “notizie dell’ultim’ora”) e al luogo
dell’evento. Il giornalista può quindi scegliere su quale argomento concentrarsi. A differenza dei
modelli esistenti, il sistema proposto da Heravi e colleghi permette di raccogliere dati più dettagliati
sulla location attraverso le banche dati Linked Geo Data e OpenGeoSpatial, che permettono di avere
informazioni più precise sulla posizione di un accadimento.
Una volta identificata la posizione dell’evento, il sistema può scavare a fondo nei dati e identificare
delle burst keywords (parole chiave usate nei tweet con un’alta frequenza, che superano un certo
limite definito dal sistema, nda). I tweet vengono poi raggruppati in base alla loro similarità
semantica, determinando un evento. I tweet generati successivamente dagli stream degli utenti
vengono sottoposti allo stesso processo, inclusi o esclusi a seconda dei parametri definiti dal sistema
e raggruppati negli stessi gruppi di tweet. Dopo averli raggruppati e classificati, il sistema permette
di valutare il contesto dei tweet e l’occorrenza dei fenomeni interrogando archivi di dati come
Linked Open Data, fornendo informazioni ancora più dettagliate sul significato e sul valore
dell’evento stesso.
Per verificare la credibilità e l’autenticità dell’informazione, gli autori suggeriscono di suddividere i
gruppi di tweet generati da diversi utenti in gruppi via via più piccoli, in modo tale da poterli
analizzare attraverso tecniche di social network analysis o attraverso un classificatore che utilizza
un dizionario definito (per esempio con il software Liwc). Il dizionario contiene un insieme di parole,
espressione di diverse dimensioni linguistiche, affettive e cognitive, che ipoteticamente possano
identificare un utente come “testimone oculare”. Il sistema può filtrare i tweet in base al numero di
follower, tweet e attività degli utenti stessi (intesi come indici di credibilità della fonte) e dare un
“peso” diverso agli utenti che twittano da una località precisa.
L’efficacia, l’efficienza, la validità e l’accuratezza di questo sistema devono essere valutate
attraverso esperimenti con dati e situazioni reali di ciascun modulo (identificazione dell’evento,
estrazione della location, selezione dei tweet e verifica dell’autenticità), come suggerito dagli autori
stessi. Una delle maggiori sfide per questo genere di analisi sarà, tuttavia, quella di riuscire a filtrare
la mole di “rumore di fondo” che giunge con le informazioni generati dagli utenti.
Photo credits: Mark Smiciklas / Flickr CC
Anche la Cnn punta sul mobile
Notizie pensate e sviluppate per essere fruite attraverso smartphone e tablet: è questa la tendenza
che caratterizzerà la futura strategia editoriale di un gigante dell’informazione come la Cnn. La
decisione di investire sul mobile da parte del broadcaster americano è stata influenzata dai dati di
utilizzo dei suoi siti: nel 2013 sono stati circa 30 milioni i visitatori unici mensili attraverso
piattaforme mobili, il 40% in più rispetto all’anno precedente. Inoltre, le app della Cnn sono state
scaricate 42 milioni di volte, 12 milioni solo nel corso dell’anno da poco concluso.
I dati di accesso ai servizi dell’emittente via mobile sono in linea con quelli riportati da altri siti di
informazione, come la Bbc o Espn, e confermano le tendenze di utilizzo della rete: sono infatti quasi
due miliardi gli smartphone disponibili a livello globale con un consumo mediatico via mobile in
grande crescita. Dal punto di vista delle aziende che intendono investire nel mobile per pubblicità e
servizi, secondo Thomas Husson di Forrester Research, la tendenza di utilizzo di cellulari,
smartphone e tablet per il consumo mediatico comporterà una serie di cambiamenti che
trasformeranno il modo in cui le aziende operano.
Sembra essere così anche per i colossi dell’informazione come la Cnn, che sempre più di frequente
scelgono di investire maggiori risorse sui dispositivi mobili. Nel caso del colosso americano,
l’obiettivo è raggiungere il 50% di utenti in mobilità, come ha dichiarato Meredith Artley, direttore
responsabile di Cnn Digital. La strategia mobile di Cnn però non riguarda solo lo sviluppo di
applicazioni o browser per smartphone, ma include anche lo sviluppo di un nuova versione del sito
“responsive” (cioè capace di adattarsi al dispositivo utilizzato, nda), nonché una maggiore
integrazione con i social media.
L’analisi dei dati di accesso ai siti della Cnn, oltre al crescente numero di utenti che accedono via
cellulare o tablet, ha svelato come a diversi momenti della giornata corrispondano un aumento del
traffico da dispositivo mobile a desktop e viceversa. Per esempio, il picco di accessi via computer
avviene tra mezzogiorno e l’una del pomeriggio, mentre la sera tra le otto e le undici avviene il
l’apice di accessi attraverso i dispositivi mobili, ha sottolineato Etan Horowitz, editor di Cnn Mobile.
Di conseguenza, anche i contenuti si adatteranno alle esigenze dei lettori in base all’orario di utilizzo
e al dispositivo. La piattaforma che gestisce i contenuti digitali di Cnn permette di programmare il
sito mobile in modo differente rispetto a quello accessibile attraverso un normale computer. Per
esempio, il nuovo sito Cnn Mobile potrà offrire agli utenti più informazioni meteorologiche, sul
traffico aereo o, più generalmente, informazioni utili per chi si trova in viaggio.
La decisione strategica della rete tv statunitense di investire sulle piattaforme mobili riafferma
quanto suggerito dal rapporto del Reuters Institute sulle tendenze dei media digitali (di cui abbiamo
già scritto), e quelle del giornalismo per il 2014, e sottolinea quanto ogni strategia “mobile first” (o
basata sui dispositivi e sulle dimensioni degli schermi di smartphone o tablet) non possa realizzarsi a
prescindere dai dati reali di utilizzo. Allo stesso tempo, pone l’accento su come i contenuti
giornalistici digitali debbano adattarsi alle tendenze del mercato dell’informazione.
In questo senso si colloca quindi il lavoro del College of Journalism (l’istituto di formazione dei
giornalisti della Bbc) che ha lanciato un corso per spiegare ai giornalisti come usare smartphone e
tablet per la creazione di notizie. Uno dei docenti, Marc Settle, ricorda però che: “Anche se questi
dispositivi sono un fantastico passo avanti (per l’attività giornalistica), in fin dei conti si tratta solo di
mezzi per registrare, editare e trasmettere materiale: rimangono sempre le abilità giornalistiche di
base, quali una mente curiosa e tenace, un occhio per le buone immagini e un orecchio per una
giusta frase, a costituire il nocciolo del giornalismo in stile Bbc”.
Stream, Forbes cambia approccio ai social
Nuove funzionalità per la fruizione dei contenuti digitali e la loro condivisione sui social network
stanno facendo capolino nel vasto panorama e mercato delle applicazioni mobile e tablet. Forbes, la
rinomata rivista americana di economia e finanza, il 6 gennaio 2014 ha rilasciato un aggiornamento
della sua app per iOS (iPhone e iPad con sistema operativo iOS 7) che rivoluziona di fatto il modo in
cui vengono fruiti i contenuti delle riviste digitali.
Nell’aggiornamento, infatti, oltre a rinnovare grafica e layout, l’app di Forbes offre l’esclusiva
funzionalità di selezione, ritaglio e condivisione di contenuti nel social network di utenti di Forbes,
attraverso lo strumento chiamato “Stream”. Come si legge nella descrizione dell’aggiornamento, con
il semplice tocco di due dita per selezionare e ingrandire i contenuti della pagina, gli utenti possono
ora salvare porzioni dell’articolo, come fossero schermate, e condividerle tra i loro contatti su
Stream o su altri social network come Facebook, Twitter, LinkedIn, Pinterest, Tumblr, ed Evernote
così anche via email e iMessage, in una sorta di flusso continuo di immagini e ritagli (uno “stream”
appunto).
Stream, che ricorda per certi versi la funzionalità del Web clipper di Evernote o di selezione e
cattura schermate in Mac OS X, tuttavia, rappresenta una vera novità e innovazione nel settore, in
primo luogo perché permette di salvare dei “preferiti visuali” e condividerli online, tutto ciò senza
dover uscire dall’app o aprire nuove finestre o applicazioni. In secondo luogo, perché si tratta di
un’applicazione pensata e sviluppata per un sistema operativo mobile. In terzo luogo, perché Forbes
conferma di voler percorrere la strada dei social network, creando una comunità tutta sua di utenti
che condividono contenuti. La nuova funzionalità di Stream è stata aggiunta dagli sviluppatori di
MAZ Digital, in seguito a un’attenta analisi dei dati di utilizzo dell’app di Forbes, lanciata circa un
anno fa, come riportato da Journalism.co.uk.
Secondo Lewis DVorkin, responsabile dei prodotti Forbes Media, come riportato nell’articolo Gavin
O’Malley su Online MediaDaily: “Stream è la risposta a due tendenze che stanno ridefinendo il
mondo dei media: la prima è la condivisione di contenuti visivi, non più solo testuali, e la seconda è
la condivisione continua, a ‘flusso’, come appare nei profili di Twitter e Facebook”. “Gli utenti non
visitano più le prime pagine dei siti di informazione – ha continuato DVorkin –, ma ricevono le
informazioni e le condividono nei loro diversi stream di contenuto”. Ormai il fenomeno della coda
lunga nella fruizione dei contenuti online è un dato assodato per qualsiasi testata. Nel caso di
Forbes, infatti, il 50% delle pagine viste provengono infatti dagli archivi.
Queste novità hanno chiare ripercussioni non solo sul modo in cui gli utenti fruiscono e fruiranno i
contenuti digitali, ma anche sul modo in cui la pubblicità potrà essere inserita su queste riviste.
Dall’analisi d’uso dell’applicazione, Forbes ha notato come sempre più spesso gli utenti
condividessero autonomamente anche messaggi e immagini pubblicitarie, decidendo così di
potenziare ulteriormente questa funzionalità. In questo modo, le aziende che volessero fare
pubblicità sulla rivista, potrebbero quindi sfruttare al massimo le caratteristiche di interattività e di
condivisione del flusso social di Forbes, per la quale sarebbero nuove opportunità di finanziamento.
Da un punto di vista pratico, però, ci si inizia a interrogare sugli effetti che questi flussi di contenuti
hanno sul modo di fruire le informazioni. Nell’apoteosi dello scorrimento continuo e degli stream di
Twitter Facebook o LinkedIn, riemergono pertanto problematiche legate al sovraccarico cognitivo.
Come dice Joshua Benton del Nieman Journalism Lab, è facile sentirsi sommersi dallo stream di
Twitter, da flusso si potrebbe trasformare in un’esondazione di informazioni. Come ha scritto
Mathew Ingram su Gigaom, parlando di Twitter, servirebbero quindi nuovi o semplicemente migliori
strumenti per gestire e filtrare i contenuti delle persone che seguiamo, piuttosto che offrire solo
suggerimenti su chi seguire o aggiungere tra i nostri contatti. Al momento queste funzionalità non
sono promosse da Twitter o da altri social network, che offrono semplicemente possibilità di creare
liste, cerchie o gruppi di utenti. Sviluppare strumenti per una migliore gestione degli stream e dei
follower potrebbe essere quindi una delle strade che social network come Twitter dovrebbero
intraprendere per offrire agli utenti una navigazione più piacevole nel fiume di informazioni.
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