La soluzione allo slalom
Una volta capite le forze, la strada è tutta in discesa
di A. Abrikosov
Nel mondo degli sport invernali, la discesa libera (o lo sci alpino), lo slittino e il bob sono
specialità distinte. Guardando una gara viene da chiedersi se esiste un modo per essere il
più veloce a scendere giù dalla montagna. Forse il tempo di discesa in queste gare è
puramente stocastico.
Giunti a questo punto, tutti avrete affrontato il problema di un corpo che scivola giù per un
piano inclinato (figura 1); il sistema di equazioni che ne descrive il moto restituisce
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l’accelerazione del corpo all’inizio, la velocità “a regime”, e la durata del moto, dall’inizio
alla fine.
Stando a questo sistema, il risultato appare assurdo: la velocità di discesa in gara non
dipende dall’azione del concorrente. Tuttavia, il fattore “abilità” non è stato preso in
considerazione in queste equazioni. Andiamo a vedere come possiamo fattorizzare la…
bravura dell’atleta.
Prima di iniziare, dobbiamo considerare il problema dell’attrito e della resistenza dell’aria. Il
coefficiente d’attrito è determinato dalla scelta della sciolina. Il ruolo dell’aerodinamica non
va sottovalutato soprattutto nel caso degli specialisti di slittino e di salto con gli sci (così
come per le gare di discesa e di supergigante). Oltre alla giusta postura è vitale anche la
scelta e il taglio dei materiali che compongono la tuta da sci.
Un esempio lampante è la leggendaria vittoria della squadra francese di discesa. Essi
furono i primi a intuire che alla velocità di 100km/h non ci si poteva permettere di portare
il numero di gara su una pettorina svolazzante. Così incollarono i numeri sulle tute da sci,
accompagnati dai risolini e dagli sghignazzi dei presenti. Che però non ridevano più tanto,
quando i francesi arrivarono primi al traguardo.
Oggi i giochi si decidono ai centesimi di secondo – per questo i pattinatori indossano tute
ultraerodinamiche e i discesisti vengono testati nella galleria del vento. Racchette piegate
aiutano gli sciatori a mantenere l’assetto ottimale; sono allo studio nuove scioline e altri
indumenti, nonché leghe innovative per costruire bob. Il furto della sciolina descritto dal
celebre scrittore per bambini Leo Kassil nel romanzo La mossa della regina bianca è un
gioco da bambini paragonato agli sforzi per conquistare l’oro olimpico.
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Comunque, le attrezzature moderne dei vari partecipanti più o meno si equivalgono. Il
ruolo chiave è affidato alle qualità atletiche: una volontà ferrea di vincere, le condizioni
fisiche e l’allenamento mirato.
Andiamo a vedere come le leggi della meccanica possono trasformare le caratteristiche
fisiche e il desiderio di vittoria in preziosi secondi. Nella nostra analisi non prenderemo in
considerazione la discesa libera, dove contano soprattutto l’aerodinamica, il controllo e la
scelta della traiettoria; piuttosto ci concentriamo sullo slalom – una corsa in discesa su
percorso a zig-zag. In una gara del genere, gli atleti possono contare solo sui propri sforzi,
e a volte dimostrano autentiche doti acrobatiche.
Forze
Torniamo sulle forze che agiscono su uno sciatore. Come spettatori, guardiamo lo sciatore
in un sistema di riferimento inerziale (in laboratorio) fissato sul pendio o sulla telecamera.
Al contrario, il punto d’osservazione degli sciatori è un sistema non inerziale, fissato su di
loro. Anche se il calcolo in un tale sistema non è semplice, cerchiamo di guardare la
traiettoria con gli occhi dello sciatore.
Mettiamo che lo sciatore scende lungo un arco a velocità costante. Oltre alle forze reali,
come la gravità, l’attrito, la forza normale e la resistenza dell’aria, c’è un’altra forza nel
sistema non inerziale: la forza centrifuga Fcf diretta verso il centro dell’arco, data da: (1)
Fcf = mv / R
2
Dove v è la velocità dello sciatore e R il raggio dell’arco (figura 2).
Il baricentro dello sciatore è fisso all’interno del sistema in movimento. Quindi, la somma
di tutte le forze applicate allo sciatore (la forza risultante) è zero in ogni punto nel tempo.
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Dunque, la forza reattiva della neve dev’essere inclinata verso il centro dell’arco, visto che
l’unica che può controbilanciare la forza centrifuga Fcf . Nel bob l’inclinazione necessaria
della forza reattiva è fornita inclinando i pattini. Gli sci hanno una punta metallica per
migliorare la presa sulla neve. In virata, lo sciatore angola gli sci per “afferrare” la neve,
proprio come i pattinatori fanno sul ghiaccio. Nel sistema di riferimento inerziale (di
laboratorio) la componente orizzontale della forza reattiva impartisce un’accelerazione
centripeta (diretta verso il centro) allo sciatore. Per avere una presa sicura su pendii
insidiosi perché accidentati o ghiacciati, i profili degli sci devono essere affilati
regolarmente, soprattutto prima delle gare.
Ma quali carichi agiscono su uno sciatore? Proviamo a determinarli. La velocità media di
uno slalomista è di circa 10 m/sec e il raggio (di curvatura) dell’arco è di 5 m circa; quindi,
( Fcf = mv / R = m ⋅ 20m/ sec ), che è pari al doppio del peso dello sciatore. Questa
2
2
componente va aggiunta alla forza di gravità perpendicolare al pendio, che ha un valore di
mg cos α (di solito α < 30°, quindi α > 1/ 2 ). Così il carico totale è maggiore di 2g ed è
applicato prevalentemente sulla gamba esterna (il tentativo di tenere il peso all’interno,
cioè a valle, risulta normalmente in una caduta). I carichi prodotti da una tavola vibrante
hanno caratteristiche molto simili. Ora è chiaro perché gli sciatori tengono i muscoli in
allenamento anche in estate (ad esempio, fanno gli squat – tipo di flessioni sulle ginocchia
n.d.t. – con pesi aggiuntivi).
Traiettoria
Cerchiamo di scomporre una bella gara in componenti singole. Perché uno sciatore non si
può paragonare a una perla che scorre lungo un filo curvo e liscio? Per prima cosa, perché
gli sciatori scelgono la loro traiettoria all’interno del corridoio delimitato dalle bandierine (o
dallo scivolo nel caso del bob). Da un punto di vista fisico, il pendio è uno spazio
bidimensionale in cui lo sciatore (anche se inteso come punto materiale) deve trovare la
traiettoria ottimale. Il movimento della perla sul filo, invece è unidimensionale. Può
simulare la gara di bob (la disciplina più “unidimensionale”), dove la traiettoria è più o
meno fissa e il tempo di gara dipende soprattutto dall’accelerazione che l’equipaggio è
riuscito ad imprimere al momento della partenza.
Il percorso ottimale è determinato da diversi fattori. Per prima cosa, è auspicabile
scegliere la strada più breve, riducendo al minimo le deviazioni dalla linea di caduta (figura
3).
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Il vantaggio qui è duplice: la brevità e la maggiore ripidezza del percorso: più ripido il
pendio, maggiore la forza motrice e minore l’attrito. E’ per questo che gli slalomisti
tendono a sciare il più vicino possibile alle bandierine: spesso addirittura le toccano con le
spalle o con il tronco.
Possiamo stimare quanto tempo si perde allungando il percorso. Mettiamo che la
deviazione dalla curva ottimale sia di soli 10 cm. Una gara di slalom di solito conta 50
porte. Alla velocità media di 10 m/sec, il tempo perduto risulta considerevole:
∆t ≈ (50 ⋅ 0.1m ) / (10m/sec ) = 0.5sec
Per contrasto, nella discesa libera o nello slalom gigante, dove ci sono meno porte e la
velocità media è più alta, piccole deviazioni dal percorso ottimale non sono così
significative. Per quanto possa sembrare strano, “correre sulla bandiera”, cioè raddrizzare
la traiettoria in modo da passare al centro delle bandierine, risulta controproducente. Per
prima cosa, gli sciatori devono rallentare per eseguire curve più strette; inoltre, non
sempre una linea dritta si percorre in meno tempo.
Facciamo un esempio facile: una perla scorre con velocità iniziale uguale a zero dal punto
A al punto B lungo due traiettorie: prima lungo un arco, poi lungo la corda sottesa (figura
4).
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Se la misura angolare dell’arco è bassa, la durata del moto nel primo caso è 1/4 del
periodo d’oscillazione di un semplice pendolo di lunghezza R (non teniamo conto
dell’attrito).
T1 =
π
R/ g
2
La lunghezza della corda è l = 2Rsen(θ / 2) e l’accelerazione della perla, nel secondo caso,
è a = gsen(θ/ 2) ; così la durata corrispondente del movimento sarà
T2 = 2l /a = 2 R / g
Poiché T1 / T2 = π / 4 < 1, la perla che scorre lungo l’arco sarà la prima al traguardo.
Non è magia: anche se il percorso dell’arco è più lungo, la perla parte con una pendenza
maggiore. Quindi accelera più rapidamente, e il vantaggio guadagnato con la velocità è
più rilevante dello svantaggio dovuto alla maggiore lunghezza del percorso. Possiamo
ugualmente supporre che una traiettoria composta da due archi che si uniscono
morbidamente sia migliore di una in cui segmenti dritti si alternano a curve strette.
Anche Galileo, ai suoi tempi, era molto interessato alla curva brachistocrona, che è il nome
del percorso più rapido da un punto a un altro. Egli credeva che la curva in questione
fosse un arco circolare (come nel nostro esempio). Tuttavia, nel 1697 Johann Bernoulli
dimostrò che in assenza di attrito questa curva “magica” non è un arco circolare ma un
cicloide. L’equazione della brachistocrona è utilizzata per progettare le piste da bob e le
montagne russe; ma è impossibile calcolare la traiettoria ottimale per uno slalomista con
sistemi puramente teorici. Gli sciatori devono avere intuito ed esperienza. Devono studiare
attentamente la disposizione delle bandierine sulla pista. Come sosteneva il famoso
campione francese Jean-Claude Killy, devono pensare “cinque porte avanti”.
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Gli Sci
Nello sci alpino, così come in qualsiasi altro sport, il progresso nella tecnica va di pari
passo con le migliorie nell’equipaggiamento. Così come sembrava un sogno una porta
larga 6 metri prima dell’invenzione delle bandiere in fibra di vetro, così era impensabile lo
stile e la tecnica della sciata moderna con i vecchi sci tedeschi di legno e gli attacchi
“Kandahar”.
Un paio di sci veloci, non solo deve scivolare con il minimo attrito, ma devono tenere la
pendenza e non slittare trasversalmente. Effettivamente, la formula per la forza centrifuga
dice che la velocità in curva è proporzionale alla radice quadrata della forza di reazione
trasversale F della neve:
v = FR/ m
Questa però non è l’unica ragione per non scivolare di lato, o slittare. Più importante è il
fatto che slittare richiede energia – preziosa energia cinetica sprecata a raschiar via la
neve dal pendio. Solitamente gli sciatori usano lo slittamento per aver ragione di un
pendio troppo ripido, su cui i principianti non si sentono troppo sicuri della loro tecnica, o
anche solo per ammorbidire la traiettoria dopo l’allenamento. Ma se uno sciatore slitta in
curva durante una gara, il cronometro lo registra immediatamente. Ora capiamo perché gli
sciatori angolano il più possibile gli sci al pendio, e li infilano di taglio nella neve (oggi
questo mostra il marchio di fabbrica stampato sul retro degli sci).
La discesa deve le sue origini a Fridtjof Nansen, un grande politico ed esploratore
norvegese, nonché insignito del premio Nobel, che fu anche l’autore del primo libro su
questa disciplina.
All’epoca di Nansen, gli sciatori disponevano di scarponi di cuoio morbido, fissati a sci rigidi
e senza finali in metallo. Il primo strumento dello sciatore è la curva tipo telemark (figura
5), bella ma che richiede abilità e non ripara dal rischio di cadute.
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La tecnica telemark venne sostituita dalla più comune curva a spazzaneve (figura 6).
Oggi, è spesso la prima che viene insegnata agli sciatori alle prime armi. E’ il modo più
semplice per cambiare direzione, ma sfortunatamente anche il più lento.
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L’ultima parola in fatto di curve è quella in cui gli sci vengono mantenuti paralleli;
continuamente migliorata nel corso del tempo, questo tipo di curva è diventato l’elemento
principale della tecnica di un discesista. All’inizio la curva a sci paralleli veniva eseguita con
uno slittamento (la cristiania, figura 7).
Lo sci interno non sostiene il peso, il tronco dello sciatore è proteso leggermente in avanti,
così da trasferire la maggior parte del peso sulle punte alleggerendo le code degli sci, che
quindi slittano leggermente durante la curva. Rispetto allo spazzaneve e al telemark, è un
sistema più sicuro e più veloce.
Col tempo arrivarono ulteriori progressi nella tecnica di curva. E’ la cosiddetta “di taglio”
(figura 8) con la quale la resistenza al moto si riduce al minimo.
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Man mano che aumentava la velocità di discesa, i vecchi criteri per l’equipaggiamento da
sciatore venivano rimpiazzati da altri opposti. I moderni scarponi sono fatti di materiale
plastico rigido, con gambale alto. Trasferiscono la forza direttamente dalla parte inferiore
della gamba allo sci e consentono buone angolazioni. Gli stessi sci sono flessibili, così da
poter essere piegati ad arco per eseguire la curva, lasciando una sottile scia incisa. Per far
sì che fosse più semplice piegarli ad arco, gli sci si presentano più stretti nell’area sotto lo
scarpone (figura 9).
Quando si inclinano, gli sci tengono più saldamente la neve alle estremità, così la
pressione riesce a curvarli nel modo giusto.
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Non è semplice realizzare buoni sci. Il fabbricante deve rispettare almeno due condizioni
contraddittorie. In primo luogo, lo sci si piega in modo elastico lungo un arco disposto
longitudinalmente. In secondo luogo, per prevenire la derapata, gli sci devono presentare
una certa consistenza per evitare che assumano una forma ad elica. Gli sci devono poi
mantenere una direzione, senza curvare sul versante del pendio (cioè non devono curvarsi
a sciabola).
Riunire in una felice soluzione anche solo queste due caratteristiche, per i fabbricanti non
è un problema da poco, perché non c’è una risposta pronta. Nello slalom standard, con le
curve più ripide ma a velocità inferiore, gli sciatori usano sci più corti e più flessibili di
quelli adatti allo slalom gigante. Il tipo di neve e le condizioni atmosferiche, poi, hanno il
loro peso. Ecco perché prima del via, i futuri campioni sceglieranno un particolare paio di
sci da un set accuratamente selezionato in precedenza.
Fortunatamente, gli appassionati di discesa libera non debbono preoccuparsi di tutto
questo. Gli sci speciali che vediamo in tv rappresentano solo la punta dell’iceberg. Mentre
l’equipaggiamento sportivo professionale è “esigente”, e non perdona anche piccoli errori,
esistono moltissimi tipi di sci più comodi che soddisfano appieno le esigenze dell’atleta
dilettante, il vero fan di questa importante disciplina.
Alcuni trucchetti
Ora vediamo qualche elemento senza il quale la tecnica dello slalom moderno e gigante
sarebbe impossibile. Sebbene i principi fisici di base sono chiari, qualcosa di ciò che diremo
potrebbe sembrare controverso. Alcuni non credono che gli sciatori sono in grado di
aumentare la propria velocità mettendo in atto alcune manovre, anche se le riprese di
sciatori famosi lo confermano. Le possibilità nascoste dello sci attivo sono state dimostrate
da Ingemar Stenmark già all’inizio della sua strabiliante carriera. Il “tornado svedese”
stracciava i suoi rivali distanziandoli di oltre un secondo, mentre loro lottavano duramente
per guadagnare vantaggi nell’ordine dei decimi.
Ciò che diremo potrà sembrare incredibile per chi sa sciare. Senza nulla togliere alla loro
esperienza, descriveremo il fenomeno dal nostro punto di vista, cioè della fisica.
Per spiegare l’accelerazione nella discesa, ci rifacciamo a un indizio fornitoci da un altro
sport: lo sci di fondo. Oggi è molto in voga la tecnica a “pattinaggio” (figura 10a), che ha
portato in gara a nuovi record.
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Gli slalomisti possono adattarla alle loro necessità?
L’idea non è nuova. La tecnica a pattinaggio venne testata inizialmente nello sci alpino
prima di arrivare al fondo. Giù per una collina grosso modo appare così: ogni curva viene
affrontata con una singola spinta dello sci esterno, e le tracce mostrano un leggero
allontanamento alla fine dell’arco rispetto all’inizio (fig. 10b). L’origine dell’aumento di
velocità è ovvia, ma non senza conseguenze. Per prima cosa, il pattinaggio richiede
un’ottima coordinazione di gambe per mantenere l’equilibrio quando si sposta il peso sulla
gamba interna. Secondo, allunga i tempi tra una curva e l’altra. Nei punti d’intersezione tra
la traiettoria e la linea di caduta lo sciatore passa da un arco ad un altro e sposta il
baricentro sugli sci. Poi si passa alla curva successiva. Se gli sci sono divaricati, spostare il
baricentro richiederà più tempo e la porzione lineare della traiettoria aumenterà. Inoltre,
gli sci risulteranno “non spigolati” per un tempo prolungato, e lo sciatore verrà rallentato
dall’effetto derapata. Questo effetto è evidente su piste in cui è difficile mantenere la
presa sul pendio. Quindi il pattinaggio non è la tecnica migliore per acquistare velocità.
Sarebbe consigliabile accelerare e nello stesso tempo mantenere vicini gli sci. Ma è
possibile? Analizziamo la tecnica del pattinaggio ancora una volta (figura 10a). Il
baricentro di uno sciatore di fondo traccia una scia ondulata (la linea rossa della figura
10a). Il corpo è avanzato e ad una certa angolazione rispetto allo sci che sostiene il peso.
E’ qui, e non nel cambio dello sci col peso che lo sciatore compie il lavoro e guadagna
velocità.
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Abbiamo già visto questo tipo di moto? Certo che sì: anche lo slalomista procede a zig zag,
e il suo corpo non segue pedissequamente gli sci. Alla fine di ogni curva il baricentro dello
sciatore passa sopra gli sci e si posiziona in avanti, cioè all’interno dell’arco successivo. Ci
può aggiungere anche una spinta? La risposta è sì.
Comunque, la spinta appare diversa da quella osservata nella tecnica del pattinaggio, e
sfugge ad un occhio inesperto. In effetti, è un particolare tipo di moto che si compone di
due fasi: la flessione e la distensione. Inizialmente, al punto in cui gli archi si uniscono
(cioè in cui la traiettoria incontra la linea di caduta e in cui il corpo oltrepassa gli sci), gli
sciatori si flettono come per assorbire un impatto. Questa flessione (a volte piuttosto
rapida) consente di mantenere la spinta guadagnata senza l’effetto “derapata”. Le
ginocchia vengono distese subito dopo il passaggio del punto in cui gli archi si uniscono, e
questo movimento porta il corpo leggermente in avanti, impartendo un impulso ulteriore in
direzione della linea di caduta. Alla fine dell’arco, gli sci sono di nuovo davanti al tronco
dello sciatore e il ciclo di flessione (assorbimento dello shock) e di distensione
(l’allontanamento) ricomincia. Tutto questo avviene a sci ravvicinati.
Va detto che quando si osservano discesisti, a volte si nota che fanno dei passi laterali da
sci a sci. Questo non contraddice quanto esposto finora: innanzitutto, la rotta degli sci non
è sempre perfetta. Inoltre, i passetti permettono allo sciatore di conservare l’equilibrio, e
infine, anche i grandi campioni sbagliano, dopo tutto.
Per chiarire la fisica dello sci, ci rivolgiamo ora a un altro tipo di svago assai lontano dagli
sport invernali.
Similitudini estive
Mettiamo un attimo da parte lo sci, in favore delle belle estati trascorse sulle altalene nei
parchi. Passato il punto più basso, l’altalena risale con una graduale decelerazione. A
questo punto, quando si ferma nel punto più alto, noi ci piegavamo sulle ginocchia e
spingevamo verso terra, con il vento che ci sibilava nelle orecchie. Nel punto più basso,
quello col massimo carico, ci rialziamo in piedi e di nuovo voliamo verso l’alto, con il cuore
in tumulto – e stavolta arriviamo un po’ più in alto della precedente. Durante questo
dondolio, il baricentro del sistema descrive una figura a otto (figura 11).
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L’aumento dell’ampiezza in un sistema in oscillazione, per variazioni nei parametri (nella
nostra altalena è la distanza tra la sospensione e il baricentro) si chiama risonanza
parametrica. Rialzandoci nel punto più basso, compiamo un lavoro contrario alle forze
centrifuga e gravitazionale unite (considerando il moto in una cornice di riferimento non
inerziale). Nel punto più alto, la forza centrifuga è zero, e l’unica azione della forza di
gravità èmg cosα . Quindi il lavoro negativo compiuto con il piegamento sulle ginocchia
(dalla stessa ampiezza)è inferiore in valori assoluti. Il lavoro totale compiuto nel ciclo è
positivo, così l’energia del sistema aumenta costantemente.
Similmente, possiamo valutare il bilancio energetico di un discesista. Ma qui ci attende una
sorpresa. A prima vista, sembra tutto come per l’altalena. Le forza centrifuga e quella di
gravità agiscono anche sullo sciatore che si muove lungo un arco (figura 12).
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L’angolo tra queste due forze varia, e la forza risultante è minima all’inizio dell’arco ( Fr 1 ) e
raggiunge il valore massimo alla fine ( Fr 2 ). Quando si piega, lo sciatore parimenti compie
un lavoro negativo, che diventa positivo quando si estende. Tuttavia, in questa seconda
fase a inzio arco, lo sciatore è soggetto a una forza minore rispetto al momento in cui si
piega, alla fine dell’arco. Quindi il lavoro totale compiuto nel ciclo flessione-estensione
(ovvero “assorbimento-spinta”) è negativo! Siamo di fronte a un paradosso? Sarebbe
meglio per lo sciatore compiere lavoro positivo, in modo da incrementare l’energia
cinetica. Non ci sono errori: lo sciatore compie un lavoro per diminuire la velocità. Finora
non ci siamo occupati di bilancio energetico, ma solo della possibilità di aumentare la
velocità con il minimo dispendio. Nel nostro fervore teorico c’era da aspettarsi un intralcio,
ma ora vediamo di mettere il puntini sulle “i”. Scriviamo la legge di conservazione
dell’energia relativa ad alcune porzioni del percorso in questo modo:
∆E = mg∆h +
∆( mv2 )
− Wattr. + Waria + Wsciatore
2
Sulla sinistra dell’equazione troviamo le variazioni dell’energia potenziale ( mg∆h ) e
(
)
cinetica ( ∆ mv / 2 ) , mentre sulla destra c’è il lavoro compiuto dallo sciatore, dall’attrito,
2
dalla resistenza dell’aria. Quali sono i valori comparativi di queste componenti? Iniziamo
l’analisi dalla parte sinistra dell’equazione. La velocità media dello sciatore non varia di
molto lungo la pista, quindi il secondo termine non è significativo e possiamo eliminarlo
(
)
dall’espressione per il bilancio energetico. Cioè, diciamo che ∆ mv 2 / 2 = 0 . Per contrasto,
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il primo termine è grande. In effetti, per acquistare la velocità tipica di questo sport (v ∼
10m/sec), uno slalomista deve scendere solo ∆h = v / 2 g = 5m . E’ un valore assai esiguo
2
su una pista da slalom, il cui dislivello viene valutato in centinaia di metri.
Ora, diamo un’occhiata alla parte destra dell’equazione. L’azione frenante degli sci durante
una curva a taglio è ridotta. La resistenza dell’aria è maggiore e dipende dalla velocità.
Tuttavia, entrambi i fattori non impediranno allo sciatore di arrivare alla velocità di circa
100 km/h (28m/sec). L’attrito degli sci nello slalom è maggiore che nella discesa libera, ma
la differenza non è comunque tale da invalidare le nostre conclusioni. A una simile
velocità, le bandierine i pioli di uno steccato e la pista sembra impraticabile. La prima
preoccupazione dello sciatore, quindi sarà quella di perdere e non di guadagnare velocità.
Quindi, il lavoro negativo compiuto nel ciclo flessione-estensione è necessario per
rispettare i requisiti del bilancio energetico:
Wsciatore < 0
Per vincere, lo sciatore comunque compiere un lavoro, ma il segno negativo non lo rende
più facile. Anche la fisica conferma il principio per cui non c’è risultato senza duro
impegno.
Perché allora questo modo di diminuire l’energia è più efficace della graduale dissipazione
osservata con la curva “pattinata”? Per prima cosa, i carichi statici sono sostituiti da altri
dinamici e meno stancanti. Qui non bisogna far forza contro la neve con le punte degli sci
per perdere velocità alla fine dell’arco. Inoltre, ricordiamo l’esempio delle due palline sul
filo (figura 4). Se l’energia dello sciatore viene impiegata per sconfiggere l’attrito, il moto
lungo l’arco può essere ritenuto grosso modo come un’accelerazione uniforme, proprio
come quella delle palline sul filo teso. Eseguendo una curva con accelerazione, lo sciatore
compie un lavoro e acquista velocità all’inizio dell’arco, perdendola alla fine. Di
conseguenza, la velocità media aumenta e ci vuole meno tempo per disegnare la curva
(come per la pallina sul filo). In questo modo, vediamo che il ciclo flessione-estensione è
un ulteriore modo per controllare la velocità.
A differenza del bob e dello slittino, la discesa offre maggior libertà di movimento e
possibilità dinamiche uniche. In questo è paragonabile allo skateboard. Ad ogni modo, lo
skateboard è un esempio di come la tecnica del “pattinaggio” non sia l’unica per acquisire
velocità – e come potrebbe visto che sullo stesso skateboard prendono posto entrambi i
piedi? L’accelerazione acquistata con la risonanza parametrica rende possibile anche
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percorrere brevi tratti in salita con lo skateboard. Il meccanismo è sempre quello: il corpo
è angolato rispetto all’arco, il piegamento all’inizio corrisponde all’estensione alla fine,
producendo così un impulso nella direzione del moto. Non bisogna farsi fuorviare dal fatto
che lo skater accompagna il piegamento con un’energica rotazione del busto: gli serve
mantenersi in arco.
Dall’esterno, sembrerebbe che il ruolo principale è riservato al componente della forza
d’attrito perpendicolare all’asse dello skateboard, cosa che ricorda la componente della
forza reattiva della neve durante l’angolatura degli sci da discesa. Questa forza si alterna
in direzione e valore, durante un percorso a zig-zag, ma mediamente è diretta in avanti.
Ecco quindi che il mistero è svelato. Non che l’argomento sia esaurito: il nostro modello
teorico “piega-estendi” è oltremodo semplificato. A nuotare si impara nell’acqua! Non c’è
nessuno sciatore che non abbia disegnato un paio di curve a spazzaneve con tutto il
proprio corpo.
Conclusioni
La discesa con gli sci dà un’incomparabile sensazione di libertà, con il mondo che si
catapulta incontro a voi, scintillante di cristalli di neve. Questo le formule non possono
renderlo. I più piccoli imparano a sciare imitando gli adulti senza sapere niente dei
fondamenti fisici dello sci. Tuttavia, sapere è potere, e allora scopriamo che la legge di
Newton ha qualcosa da insegnare su come padroneggiare gli sci – da capo a piedi,
insomma.
Nella nostra analisi abbiamo sorvolato alcuni punti. Ad esempio, che gli sciatori non sono
soggetti solo alle forze ma anche ai loro momenti. In altre parole, uno sciatore non è un
punto materiale, ma un corpo fisico in rotazione. Magari qualche appassionato di sci si
cimenterà nel risolvere questo problema. E gli indifferenti? Ora che hanno imparato una
teoria sullo sci, potrebbero provare ad applicarla a qualche altro sport, perché non
tentare?
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