l`idea di rivelazione nell`ermeneutica biblica di ricoeur (1)

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Studia theologica I, 2/2003, 54-64
L’IDEA DI RIVELAZIONE NELL'ERMENEUTICA BIBLICA DI RICOEUR
(1)
Approccio metodologico della riflessione ermeneutica biblica
Marius TALOŞ SJ
Introduzione
L’ermeneutica, dopo aver designato a lungo nella storia della cultura occidentale una
disciplina della tecnica filologica preposta alla contestualizzare e lettura di testi particolari, assume
un significato controverso all’interno della filosofia contemporanea. Da un lato, la tendenza
ermeneutica si identifica a larghi tratti con una tradizione di filosofia continentale, storicisticoidealistica, che rimane critica nei confronti del sapere scientifico di tipo fisico-matematico ed è
strettamente intrecciata all’analisi della storia della cultura. Dall’altro lato, l’ermeneutica è un valido
stimolo alla convergenza di tradizioni teoriche diverse e alla’esperimento di una lettura e analisi
attualizzante di testi antichi.
Paul Ricoeur, fa parte degli autori che si sono resi conto del carattere antinomico e non
cumulativo del sapere ermeneutico. Di fronte a questa natura mobile e aperta dell’ermeneutica - che
ne costituisce nello stesso tempo una debolezza, in quanto la allontana da una scientificità
controlabile - stà una nuova interpretazione della realtà che si avvale dei modelli teorici dello
strutturalismo, psicanalismo o della fenomenologia. Però, man mano che ampliava la sua
comprensione dell’ermeneutica, egli si rese conto che il linguaggio della confessione, il linguaggio
mitico o il linguaggio significante il desiderio, proprio dell’interpretazione freudiana (per prendere
solo alcuni esempi) sono soltanto parte del problema più ampio del linguaggio stesso: “Mi sembra
che oggi vi sia un’area in cui tutte le ricereche filosofiche si incrocciano reciprocamente - quella del
linguaggio. Il linguaggio è il terreno comune di incontro di Wittgenstein, della filosfia linguistica di
inglese, della fenomenologia che deriva da Husserl, delle ricerche di Heidegger, delle opere della
scuola bultmanniana e delle altre scuole dell’esegesi del Nuovo Testamento, delle opere della storia
comparata delle religioni e dell’antropologia concernente il mito, il rito e la credenza, ed infine della
psicoanalisi. Oggi siamo alla ricerca di una grande filosofia del linguaggio, che possa render conto
delle molteplici funzioni del significare umano e delle loro relazioni mutue”1.
Anche nel caso del linguaggio, nonostante la molteplicità dei suoi significati, Ricoeur è in
grado di trovarne un principio di unità, quallora afferma che la ricostruzione del significato muove
sempre verso il kérygma: “Parlo del Totalmente Altro solo in quanto egli si è rivolto a me; e il
kérygma, buona novella, è precisamente che esso si rivolge a me e cessa di essere Totalmente
Altro... poiché ciò che si annienta nella nostra carne è il Totalmente Altro come logos. In ciò stesso
Egli diviene un evento della parola umana e può essere riconosciuto solo nel movimento
dell’interpretazione di questa parola umana2”.
L’intento di questo lavoro è duplice. Anzitutto ci si propone di seguire da vicino lo
spostamento compiuto da Ricoeur verso un interesse per il linguaggio come elemento centrale della
comprensione ermeneutica, e in particolare di quella biblica. Questa prima parte sarà quindi un
inquadramento della metodologia ricoeuriana. In seguito, la seconda e la terza parte analizzeranno
l’impatto di questo approccio metodologico nel caso dell’ermeneutica della rivelazione e nel caso
dell’ermeneutica della testimonianza.
Approccio metodologico della riflessione ermeneutica biblica
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L’analisi delle strutture antropologiche fondamentali che Ricoeur intraprese in L’Homme
faillible l’aveva condotto al concetto di fallibilità, questa possibillità del male iscritta nel cuore del
uomo per lo stesso fatto della sua fragilità affettiva. Ciò che invece rimaneva ancora non chiarita era
la questione di capire il passaggio dalla possibilità all’effettività del male nel mondo. Infatti, “il
salto dal fallibile al già decaduto” resta un’enigma (HF,159).
Ricoeur si rese conto che doveva ricorrere a un altro metodo per poter comprendere un tale
passaggio. Questo nuovo metodo é una ermeneutica filosofica, cioé in primo luogo una
interpretazione del linguaggio della confessione, così come esso si esprime nelle tradizioni del
pensiero religioso e mitico. Infatti, questo linguaggio della confessione é quello che si trova più
vicino all’esperienza viva del male e assume il triplice carattere dell’esperienza che ne mette in luce
la cecità, l’equivocità e lo scandalo. Nello stesso tempo, questo linguaggio, il più primitivo, è
oscuro, indiretto e imaginario proprio perchè l’esperienza del male è molto complessa nelle sue
componenti ed è accecata dall’emozione e dalla paura. Così, i racconti mitici del male appaiono
composti a partire di ciò che è già un linguaggio, un linguaggio dei simboli primari.
Possiamo quindi dire insieme a Ricoeur che la speculazione non é che secondaria rispetto
alla coscienza di sé costituita nella profondità del simbolismo. Sono proprio i simboli quelli che
conferiranno al pensiero di Ricoeur la sua particolarità, cioé il suo orientamento ermeneutico.
Cerchiamo pertanto di capire le sue parole: “il simbolo dà a pensare”. Anzittutto, il
simbolo non deve essere compreso come un vestito scuro che nasconda un senso staccato e
preesistente. Il simbolo, a differenza dell’allegoria, non é una traduzione di un dato che potrebbe
essere tradotto adeguatamente in un’altro linguaggio. Anzi, é un donatore di senso attraverso la
“trasparenza opaca dell’enigma” . Il simbolo, attraverso il primo senso, letterale, rimanda a un
secondo senso che non é altrimenti dato se non in lui. Quindi i simboli sono rivelanti e formano
l’espressione primitiva della condizione umana storica.
Il simbolo da, dunque, a pensare. Questo fatto significa due cose. Prima di tutto dona, fatto
che permette alla filosofia di risalire verso il suo punto di partenza, verso i suoi presupposti. Poi, ciò
che il simbolo dà é proprio da pensare. Il pensiero che viene donato a se stesso nel regno dei simboli
e che si lasci guidare da essi é anche capace di promuovere un senso autonomo. Con altre parole, il
pensiero non é condannato a ripetere il simbolo perché quest’ultimo non è un’allegoria o un senso
già dato, ma solo ciò che per natura è aperto all’interpretazione. Ed è proprio la restaurazione del
senso che dev’essere critica. Infatti, la demitologizzazione, la non-accettazione del carattere
esplicativo del mito, costituisce una condizione della veracità del mito che è l’emergenza del suo
senso simbolico. Se all’inizio l’immediatezza della credenza, la prima ingenuità, viene perduta, si
deve tentare una seconda ingenuità, che consiste nell’interpretare, e attraverso questo stesso atto,
ascoltare di nuovo. Infatti, la seconda ingenuità caratterizza chi aderisce a una parola in cui ha
trovato la risposta alle esigenze fondamentali e costitutive dell’uomo, conservando però un
attegiamento critico, cosciente dei propri limiti, delle precomprensioni che lo muovono e lo
orientano nell’interpretare. Questo incrocio trà la donazione del senso del simbolo e lo sforzo
dell’intellegere è reso possibile secondo Ricoeur solo dalla ermeneutica3.
Il cerchio ermeneutico
Ma è proprio l’ermeneutica che trasforma questo incrocio in un cerchio. Ricoeur stesso
riprende a questo proposito la parole di Bultmann: “si deve comprendere per credere, ma si deve
credere per comprendere”. Tuttavia, questo cerchio non appare a Ricoeur come vizioso, ma virtuoso
e stimolativo. Egli accetta che l’interpretazione supponga una precomprensione della cosa sulla
quale si interroga il testo4. Egli però non accetta di comprendere questa partecipazione al senso
come una coincidenza psicologica tra l’interprete e l’esperienza, ma come una parentela tra il
pensiero e la cosa mirata dal testo. Nello stesso tempo però, non si può più credere oggi senza
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interpretare. Questa è la modalità moderna del credere: “Tel est le cercle: l’hermeneutique procède
de la précomprehension de cela même qu’en interprétant elle tâche de comprendre. Mais grâce à ce
cercle de l’herméneutique, je puis encore aujourd’hui communiquer au sacré en explicitant la
précomprehension qui anime l’interprétation”5
Tuttavia Ricoeur non si accontenta più di una fenomenologia comparatista alla maniera di
Mircea Eliade, bensì affronta il problema della verità e quindi dell’impegno di fronte a questi
simboli mitici. Non si tratta più di pensare all’interno dei simboli ripetendoli, ma di pensare a
partire da e al di là dei simboli.
Riprendendo ciò che è stato affermato finora osserviamo che il principio dell’ermeneutica
di Ricoeur riposa su una scommessa di fede. Infatti, una tale ermeneutica opera la scommessa
secondo cui “potrò comprendere meglio l’uomo e il legame tra il suo essere e l’essere di tutti gli
essenti seguendo l’indicazione del pensiero simbolico”6. Anzi, Ricoeur scommette che il significato
del simbolo sarà messo in luce attraverso la riflessione, nell’elemento del discorso. Nel progetto di
Ricoeur, al decifrare dei simboli e dei miti ne segue una decodificazione dell’esperienza umana.
Non si tratta però di un’apologetica che pretenda di incanalare la riflessione, ma di una filosofia
avviata dal simbolo già presente e che cerca l’intelligibilità della fede che precede la comprensione.
Così la fede che ha attraversato l’esperienza del sospetto è più capace di comprendere se stessa e di
comprendere il suo mondo.
La critica del Cogito cartesiano e dell’idealismo husserliano
Come abbiamo visto, la svolta ermeneutica del pensiero di Ricoeur è stata determinata
dall’impossibilità da parte della pura riflessione di raggiungere direttamente le espressioni più
profonde dell’esistenza umana. Da qui ne segue una critica mossa alla filosofia del Cogito che
pretendeva partire dalla certezze immediate del soggetto attraverso la sua coscienza. Secondo
Ricoeur, la riflessione non è una filosofia della coscienza immediata, ma un ritorno su se stesso che
passa attraverso la mediazione delle rappresentazioni, delle azioni, delle opere delle istituzioni che
oggettivano l’io dell’io penso. La comprensione di se stesso necessita l’interpretazione di questi
termini di mediazione dove l’io si esprime perdendosi. Allora il Sé perde l’ilusione di poter fondare
la sua certezza su se stesso, e la riflessione si attacca a un’ermeneutica. Ecco allora qual’è il compito
della riflessione: la riappropriazione della nostra posizione del sé, perche questa non è un dato, ma
qualcosa da ricercare.
Di pari passo, Ricoeur intende criticare anche la tendenza idealista della fenomenologia di
Husserl, in quanto autofondazione radicale del sapere tramite la sospensione dei presupposti
(l’epoché). Secondo Husserl la messa tra parentesi del contesto storico e temporale dell’esperienza
permette di raggiungere un regno del senso puramente immanente.
Ricoeur si oppone a questa riduzione della fenomenologia a un idealismo che pretende di
partire da una coscienza immediata a se stessa, autofondata, autonoma e quindi responsabile7.
All’ideale di autofondazione, egli oppone la finitezza radicale della coscienza e la necessità per ogni
comprensione di essere mediata da una interpretazione. Sulla scia di Heidegger, Ricoeur ribadisce
che noi siamo prima di tutto in un mondo al quale apparteniamo con appartenenza partecipativa.
Quindi prima di ogni relazione soggetto-oggetto di cui l’idealismo husserliano resta tributario, c’è la
comprensione di un legame ontologico.
Nonostante la critica mossa a Husserl, Ricoeur gli riconosce il merito di aver scoperto
l’intenzionalità. Infatti, la coscienza, prima di essere coscienza di sé, è una coscienza di qualcosa.
L’intenzionalità significa che l’atto di mirare a qualcosa non si compie che attraverso l’unità del
senso mirato. La coscienza è orientata verso il senso, è prima di tutto un’uscita da se stessi, e posta
di fronte a un senso8. Inoltre, lo stesso Husserl avvia nei suoi ultimi lavori (per esempio in Krisis)
un’ermeneutica dell’esperienza storica. Il tema della Lebenswelt, il mondo della vita, mira a
rimontare dalle oggettivazioni storiche verso l’esperienza artistica e linguistica che le precedono. La
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Lebenswelt designa una riserva di senso dell’esperienza viva che rende possibile l’attitudine
oggettivante ed esplicativa. Notiamo dunque che l’ultima fenomenologia husserliana apre la via per
una ermeneutica dei simboli. Quindi il progetto ermeneutico di Ricoeur vuole essere una
fenomenologia ermeneutica, dove la costituzione del sé si opera attraverso un’interpretazione dei
segni, dei simboli e dei testi che mediatizzano il sé9.
La sfida dello strutturalismo e della psicanalisi
Negli anni sessanta la psicanalisi e la linguistica strutturale rimettono in questione la
possibilità di una riflessione sul soggetto, l’una insistendo sulle strutture nascoste dell’inconscio,
l’altra sulle strutture nascoste del linguaggio. Prima di rispondere, Ricoeur si rende conto che questo
conflitto è segno di una diversità più grande, per lo stesso fatto che le espressioni simboliche sono
polisemiche. Così per esempio, la dove la fenomenologia delle religioni prova a decodificare nel
senso nascosto dei simboli religiosi un senso trascendente che precede la coscienza, Freud ne vede
l’espressione di un’economia di pulsioni arcaiche, Nietzsche la menzogna uscita da risentimento e
da una volontà di potere e Marx l’espressione ideologica di una dominazione mascherata. Ciascuno
di questi tre maestri del sospetto hanno il loro procedimento di decodificare la realtà simbolica e il
loro proprio campo di analisi particolare, pur avendo in comune la denuncia della coscienza.
La psicanalisi
Come risposta alla sfida della psicanalisi, Ricoeur pubblica il suo lavoro intitolato De
l’interpretation. Essai sur Freud (1965). Mentre l’interpretazione psicanalitica dei simboli e dei
sogni tenta di limitarli all’espressione delle pulsioni rimmosse della libido incosciente,
l’interpretazione di Ricoeur cerca di spiegare i simboli non a partire dalle loro cause, ma di
raccogliere il senso che si trova già deposto nel linguaggio.
Di fronte a queste ermeneutiche del sospetto Ricoeur mostra tre linee principali della
fenomenologia della religione alla quale lui stesso aderisce.
1) Prima di tutto la fenomenologia della religione ha il compito di descrivere l’oggetto
religioso mirato attraverso il culto e la fede, e non di ridurre questo spiegandolo tramite le sue cause,
la sua genesi, o la sua funzione.
2) Inoltre, la fenomenologia considera che vi sia una verità del simbolo. Mentre
l’interpretazione freudiana non vedeva nei simboli che un’illusione il cui ruolo non è altro che
aiutare a sopportare la durezza della vita, per Ricoeur il simbolo possiede una pienezza che esprime
la relazione stretta, per esempio, tra il significante cosmico e il significato esistenziale o spirituale.
3) Infine, se per Freud la religione non è che la riapparizione di immagini dimenticate del
passato dell’umanità e dell’individuo, per Ricoeur i simboli del Sacro hanno una portata ontologica,
in quanto sono una parola dell’essere.
Dopo aver risposto all’interpretazione di Freud, Ricoeur affronta la domanda successiva:
com’è possibile che gli stessi segni possano essere interpretati sia come simboli del Sacro che come
sintomi dell’inconscio? Inoltre, egli si rende conto di dover integrare questo conflitto nell’atto
proprio della riflessione per poter arbitrare il dibattito tra queste due ermeneutiche.
Se Freud aveva messo in luce l’anteriorità del soggetto rispetto alla sua coscienza
(interpretazione che Ricoeur chiama l’archeologia del soggetto), Ricoeur afferma che l’archeologia
del soggetto rimane astratta se non è messa in opposizione con una teleologia, ovvero con un senso
verso il quale il soggetto tende.
Ricoeur mostra come i due movimenti di regressione e di progressione non siano
antinomici, perche sono portati dagli stessi simboli. Infatti, gli stessi simboli che marcano al livello
dei sogni l’emergenza dei significati arcaici appartenenti all’infanzia, rappresentano, al livello
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dell’immaginario creatore, l’emergenza delle figure anticipatrici della nostra avventura spirituale e
rappresentano la proiezione delle nostre proprie possibilità10.
Lo strutturalismo
Se la psicanalisi rimette in questione la coscienza e il senso, lo strutturalismo tende a
ridurre l’ermeneutica a una pura analisi strutturale della significanza linguistica. Anche in questo
caso, la risposta di Ricoeur consiste nel riprendere il meglio del discorso strutturale mirando ad
un’ermeneutica più generale e più integrata.
Per i rappresentanti dello strutturalismo linguistico, Propp, Greimas, e Barthes, il senso del
racconto risiede sull’arrangiamento stesso dei segni, ovvero nel potere di integrare tutte le sottounità. Così questi postulati definiscono la chiusura del racconto: non esiste niente fuori del testo.
Spiegare un racconto diventa allora percepire la concatenazione dei nodi di azione che costituiscono
la continuità strutturale del racconto.
Ricoeur riconosce la legitimità dello strutturalismo nella sfera epistemologica della
spiegazione, cioé il fatto che il testo, una volta scritto, gode di un’autonomia propria che sfugge alla
situazione particolare vissuta dall’autore e dall’uditorio originale del messaggio. Con altre parole, il
senso di un testo non coincide più con l’intenzione psicologica dell’autore.
Ma concesso questo punto Ricoeur si stacca dalla concezione strutturalista, perche secondo
lui la sospensione del riferimento diretto alla situazione sperimentata non significa affatto l’assenza
di ogni tipo di riferimento per il testo. Infatti, il linguaggio non parla solo di se stesso, ma parla di
qualcosa. Il mondo di cui i testi parlano è un mondo simbolico che ci apre nuove dimensioni di
ssere nel mondo. Ecco perchè possiamo raggiungere la nostra situazione presente. Infatti, attraverso
l’analisi esplicativa dei testi possiamo avere una migliore comprensione di noi stessi.
Possiamo quindi concludere questa parte dicendo che mentre la sfida della psicanalisi
struturalista aveva indotto Ricoeur a operare un’estensione della sua nozione del simbolo che
comprendesse differenti ermeneutiche, la sfida strutturalista aiuta Ricoeur a trasformare la sua
ermeneutica del simbolo in una ermeneutica del testo.
L’ermeneutica del testo
Quando Ricoeur riprende la tradizione ermeneutica, egli la definisce in questi termini:
“ermeneutica è la teoria delle operazioni della comprensione nel loro rapporto con l’interpretazione
dei testi”11. Come si può osservare dalla definizione, Ricoeur rifiuta la separazione radicale operata
da Dilthey tra la comprensione, riservata alle scienze dello spirito e la spiegazione che sarebbe
propria alle scienze naturali.
Pertanto la sua teoria del testo è una sintesi originale che permette di allargare sia la
categoria della spiegazione che quella della comprensione. Alla luce delle ricerche contemporanee
sul linguaggio, Ricoeur fa della spiegazione testuale il cammino obbligatorio della comprensione,
intesa come percezione del mondo dell’opera e ultimamente come comprensione di sé. La sua
convinzione si riassume nelle parole: spiegare di più è capire meglio. La sua teoria comprende
quattro categorie:
1) Anzitutto il linguaggio si effettua come discorso, cioé la struttura della lingua si
distingue dall’evento della parola dove qualcuno parla. Se il segno è l’unità di base della linguistica
della lingua, la frase è l’unità di base della linguistica del discorso. A questo livello si articola una
prima dialettica tra evento e senso. Il discorso è evento da una parte, perchè si situa nel tempo, ma
d’altra parte esso è compreso come significazione. Così la significazione è l’esteriorizzazione del
dire nel detto12. Questa è la prima ogettivazione del discorso13.
2) Questa esteriorizzazione rende possibile l’oggettivazione del discorso nell’opera e nello
scritto, in particolare nei racconti. L’opera è una sequenza di frasi chiusa e finita, cioé una
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composizione. Essa appartiene a un genere letterario, e riceve una configurazione propria al suo
autore, cioé uno stile. Una seconda dialettica appare così all’interno del senso tra l’intenzione
dell’autore e la oggettivazione nelle forme del discorso che sfuggono all’autore. Il processo di
stilizzazione è evento in quanto manifesta l’emergenza di una presa di posizione individuale
all’interno di una situazione concreta. Nello stesso tempo però, questa singolarità s’iscrive nel
materiale del linguaggio che gli dona intelligibilità. In questo modo, l’evento dello stile non è da
cercare che nella forma stessa dell’opera.
Vediamo allora che l’opera di un discorso presenta le caratteristiche che permettono di
applicare ad essometodi strutturali, applicate all’inizio al livello di fonologia o di semantica.
Ricoeur mostra così che “la spiegazione è il cammino obbligatorio della comprensione”. E se il
discorso dell’uomo si oggettiva in una opera strutturata, una nuova forma di ermeneutica emerge.
Ecco infatti le parole di Ricoeur: “l’ermeneutica rimane l’arte del discernere il discorso dentro
l’opera. Ma questo discorso non è dato altrimenti che e tramite le strutture dell’opera”14.
3) Sappiamo che Dilthey operava una separazione nétta tra oggettivazione e
interpretazione. Per costui, l’analisi strutturale procedeva a una oggettivazione estranea al
messaggio del testo, inseparabile lui stesso dall’intenzione specifica del suo autore. La
distanziazione del testo dall’intenzione dell’autore gli permette di far apparire ciò che Gadamer
chiama la “cosa” del testo e che Ricoeur designa sotto il termine di “mondo del testo”. Infatti,
rinunciare a percepire l’anima dell’autore non porta pertanto a limitarsi a un’interpretazione
strutturalista e riduttrice. se si può distinguere in ogni proposizione da una parte il suo senso, cioè
l’oggetto ideale che essa designa e che resta immanente al discorso, e d’altra parte la sua referenza,
cioè la sua pretesa di raggiungere la realtà, allora il discorso divenuto testo e opera modifica
profondamente il rapporto alla referenza15. Tuttavia Ricoeur dichiara: “La mia tesi è che
l’abolizione di una referenza di primo grado, abolizione operata dalla finzione e dalla poesia, è la
condizione di possibilità affinché sia liberata una referenza di secondo grado, che raggiunge il
mondo non più al livello degli oggetti manipolabili, ma al livello che Husserl designava con
l’espressione di Lebenswelt e Heidegger con quella di essere-nel-mondo”16.
L’ermeneutica non consiste più nel cercare le intenzioni dell’autore, bensì nell’esplicitare
la sorte di essere - al - mondo che lo stesso testo svolge davanti a lui. Si tratta di decifrare la
proposizione del mondo del testo, un mondo che io possa abitare, e tramite questo di riconoscere le
nuove possibiltà di essere-al-mondo aperte attraverso la finzione all’interno della realtà
quotidiana.17 La letteratura opera sul reale ciò che Ricoeur chiama “variazioni immaginative”. Già
Aristotele mostrava che la tragedia non imita la realtà dell’azione umana che per ridescriverla
tramite un muthos, cioé una messa in scena, una fiaba che tocca la realtà nella sua essenza. Così
avviene il terzo tipo di distanziazione che l’ermeneutica prende in considerazione.
4) La quarta categoria fondamentale dell’ermeneutica è, secondo Ricoeur, l’appropriazione.
Questa mette in luce la soggettività del lettore. Di fronte alla sospensione della referenza diretta
instaurata dal testo, quest’ultimo può essere compiuto in una parola e una azione attuale. Questa è la
vera destinazione di una lettura, perche il testo non è ripiegato su se stesso. L’appropriazione tramite
il lettore del mondo del testo non è comunione affettiva con l’intenzione del’autore, ma la
comprensione della distanza attraverso la mediazione delle oggettivazioni strutturali del testo: “per
appropriazione intendo che l’interpretazione di un testo si completa in quanto autointerpretazione di
un soggetto che, d’ora in avanti, si comprende meglio, si comprende diversamente, o anche
comincia a comprendersi.18
Così la spiegazione di un testo è la mediazione della riflessione di un soggetto su se stesso.
La costituzione di sé e la costituzione del senso sono contemporanee. Non esiste comprensione di sé
che non sia mediata da segni, simboli e testi. Anzi, la comprensione di sé propriamente detta
coincide con l’interpretazione applicata a questi termini di mediazione. Quindi, comprendere è
“comprendersi davanti al testo”. Così, il famoso cerchio ermeneutico tra il senso oggettivo di un
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testo e la sua precomprensione da parte di un lettore è ormai costituita dala correlazione reciproca
tra la spiegazione e comprensione.
In conclusione, interpretare significa portarsi nella direzione del senso offerto dal testo. Il
testo si interpreta se stesso prima di essere interpretato. L’appropriazione è l’ultima tappa di un arco
ermeneutico, le cui fasi mediane sono una spiegazione delle strutture del testo.
Il confronto col metodo storico-critico
Dopo aver criticato e integrato il metodo strutturale, Ricoeur procede a un confronto con il
metodo storico-critico. Il metodo storico-critico ci permette di cogliere un punto importante per
l’esegesi biblica, cioé che “i testi che noi leggiamo non sono in ultima istanza dei testi su altri testi
ma su testimonianze che portano su degli avvenimenti”19. Perciò esso è insostituibile come
orizzonte in cui collocarsi per fare dell’esegesi biblica corretta, visto che l’obietivvo per l’esegeta è
quello di risalire alle testimonianze degli eventi che sono all’origine del testo. La testimonianza
dunque, è legata sia agli avvenimenti da cui scaturisce la fede sia alla realtà storica nella quale si
inserisce. Sotto questo profilo ritroviamo anche il raccordo con l’esperienza ermeneutica intesa
come riflessione ulteriore sul rapporto testimonianza-evento-testo, in quanto ci ricorda che il testo è
già la sedimentazione di una tradizione della testimonianza e che dal testo stesso si diparte l’atto
dell’interpretazione20. La concatenazione parola - scrittura - parola o quella scittura - parola scrittura rende possibile la tradizione perché essa, prima di essere fonte supplementare accanto alla
scrittura, è la dimensione storica del collegamento fra parola e scrittura. Tradizione e interpretazione
d’altronde, si concatenano in modo evidente nella storia stessa che ricollega la testimonianza agli
eventi, come mostra anche l’esperienza della lettura, visto che lettore e testo si collocano entrambi
nella stessa tradizione comunitaria alla quale appartengono.
Ricoeur individua in seguito alcuni elementi premessi acriticamente al lavoro dell’esegeta
d’impostazione storico-critica. Più precisamente si tratta dell’illusione delle fonti, dell’autore e del
destinatario.
1) La prima illusione consiste nel credere che la fonte di per sé fa capire il testo. Ricoeur
sostiene che a questo proposito avviene piuttosto il contrario, e cioé che l’origine del testo, la sua
redazione, è ancora parte integrante del testo.
2) Quanto alla seconda illusione, quella dell’autore, bisogna sbarazzarsi di ogni pretesa di
ricostruzione psico-sociologica in quanto l’autore è tale solo nel testo, cioé nei riferimenti diretti e
indiretti che il testo stesso rivela.
3) Infine, la terza illusione consiste nel cogliere il senso di un testo a partire da un
destinatario primigenio: “L’interpretazione è un’operazione del testo prima di essere
un’interpretazione del lettore”. Da quanto si è detto, resta inteso che la nozione stessa di verità del
testo va ripensata a partire da una pratica ermeneutica sviluppata metodologicamente con l’adozione
di tecniche strutturali per analizzare la grammatica del testo. L’apporto della scrittura, infatti,
consiste nella distanziazione tramite cui il messaggio si slega dalla sua situazione originaria. Perciò
il mondo del testo, con la sua oggettività, rappresenta la tappa intermedia tra l’analisi strutturale e
l’appropriazione personale del testo. Prima di suscitare una qualsiasi decisione del lettore,
l’ermeneutica rivela e dispiega un mondo, il mondo del testo: “L’affermazione che la Bibbia è
rivelata riguarda la cosa detta dalla Bibbia, l’esser nuovo che la Bibbia dispiega. Oserei allora
affermare che la Bibbia è opera rivelata nella misura in cui l’essere nuovo di cui si parla è a sua
volta rivelante nei riguardi del mondo e di tutta intera la realtà, ivi compresi il mio mondo e la mia
storia. Se vogliamo che l’espressione abbia veramente un significato, dobbiamo considerare la
rivelazione come una caratteristica esenziale del mondo biblico”21.
Ermeneutica e metodologia
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Abbiamo già visto in precedenza che la via della riflessione proposta da Ricoeur deve fare i
conti con il linguaggio, poiché, in primo luogo, la riflessione è linguaggio, e, in secondo luogo, la
riflessione tenta di comprendere le manifestazioni linguistiche degli altri sé. Siccome invece il
linguaggio è sempre ambiguo, Ricoeur ha sottolineato la necessità di una teoria dell’interpretazione
che consenta all’interprete di affrontare criticamente la natura dell’evento linguistico. Quindi, in
opposizione all’acritica concezione gadameriana22 della comprensione, Ricoeur propone
l’introduzione di una dimensione critica nel cuore stesso del’esperienza ermeneutica23.
A questo scopo, egli mette in luce il fatto che un testo rappresenta, una volta reso pubblico,
una composizione indipendente e suscettibile di sempre nuove appropriazioni. A differenza di
Gadamer, Ricoeur discute diversi modelli di appropriazione testuale e cerca l’aiuto di tutte le
metodologie collegate ai suoi fini ermeneutici, quali le teorie già accennate dello strutturalismo e
della psicoanalisi freudiana. Discutendo queste teorie, egli riconosce che non vi è alcuna mossa
interpretativa capace di liberare da sola il significato del testo; vi sono invece finalità, interessi, e
metodi differenti che se ne contendono l’appropriazione. Ricoeur rifiuta qualsiasi pretesa totalitaria
da parte delle diverse metodologie, ed esige che ogni proposta metodologica sia messa ala prova.
Conformemente a tale disponibilità verso l’impiego di mosse esplicative nel corso
dell’interpretazione, Ricoeur rifiuta tanto la scissione diltheyana fra il comprendere e la spiegazione,
quanto l’ermeneutica antimetodologica di Gadamer. Egli sostiene invece che sia la comprensione
che la spiegazione costituiscono degli stadi necessari ad ogni atto interpretativo. Esse devono
rapportarsi dialetticamente fra loro. Questa nuova concezione del rapporto fra le due mosse
interpretative consente a Ricoeur di considerare l’effettivo carattere linguistico di un testo come un
evento linguistico, poiché percepisce il testo come un tutto semiotico dotato di struttura e non solo
come un potenziale semantico.
Ma, come abbiamo già indicato, le mosse esplicative di Ricoeur non sono limitate ad
analisi strutturalistiche o linguistiche. Sulle orme di Freud, Marx e Nietzsche, esse comprendono
anche i modi del sospetto. Insieme a Habermas, Ricoeur è convinto del bisogno di una critica delle
ideologie e delle possibili distorsioni sistematiche del processo dell’interpretazione. Ma, a
differenza di Habermas, Ricoeur ritiene questa dimensione critica come una dimensione
propriamente ermeneutica e pertanto egli dimostra che tali preoccupazioni critiche sono esse stesse
essenzialmente ermeneutiche24.
Ermeneutica filosofica ed ermeneutica biblica
Ci proponiamo adesso di analizzare i rapporti tra l’ermeneutica filosofica e quella biblica.
Infatti, Ricoeur distingue tra il piano filosofico, dove l’interpretazione si aggancia alla
comprensione comune a tutti gli uomini attraverso delle oggettivazioni ugualmente comuni e il
piano teologico che mira ad un’intelligenza della fede attraverso l’interpretazione dei testi biblici.
Pertanto possiamo dire che mentre il compito dell’ermeneutica filosofica è quello di rispondere a un
problema che noi poniamo, l’ermeneutica biblica cerca di rispondere all’appello di un Altro in un
sentimento religioso di fronte al dono di esistenza. Questo appello s’iscrive in una Parola raccolta
nelle Scritture e trasmessa tramite le tradizioni.
Mettere in luce tali differenze non significa però che la filosofia resti chiusa dentro una
torre d’avorio o che la fede biblica rimanga un fideismo religioso irrazionale. Abbiamo già visto che
la filosofia ermeneutica praticata da Ricoeur è consapevole dei suoi presupposti e non è totalizzante
nei suoi risultati. Questa filosofia senza assoluto è aperta proprio per la sua struttura a un approccio
filosofico della kerygma. Nello stesso tempo essa mette l’apporto della religione non al livello degli
argomenti del pensiero ma al livello delle fonti della creazione e della rigenerazione del nostro
essere. Sulla scia di Kant, Ricoeur crede che le rappresentazioni bibliche tocchino la nostra
imaginazione per restituirci la capacità originaria di entrare nella problematica morale, capacità
raggiunta radicalmente attraverso il fenomeno del male. D’altra parte, anche un’intelligenza della
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fede è di per sé possibile. La rivelazione biblica trova nella funzione poetica del linguaggio e
nell’ermeneutica del linguaggio delle strutture d’accoglienza che rendono comprensibile la
possibilità di una esperienza religiosa, anche se questa rimane al di là di ogni deduzione a partire da
queste categorie filosofiche.
Inoltre, Ricoeur insiste su queste differenze tra l’ermeneutica filosofica e quella biblica con
lo scopo di dare una svolta più dialettica agli scambi che non cessano mai di prodursi tra l’una e
l’altra. A questo punto Ricoeur individua tre tipi di scambio: metodologico, concettuale25, e praticoesistenziale26. L’estensione e la finalità di questo lavoro ci consente a fermarci solo al primo
scambio.
Prendiamo in considerazione lo scambio di ordine metodologico. Sia l’ermeneutica
filosofica che quella biblica sono ermeneutiche, cioé dei metodi che consistono nell’elevare la
comprensione primaria all’interpretazione, tramite le diverse oggettivazioni che mediatizzano una
tale comprensione iniziale. In questo senso l’ermeneutica biblica appare come piùttosto regionale,
un’applicazione dell’ermeneutica generale a un corpus particolare. La Bibbia è un poema
dell’esistenza tra tanti altri. Essa è un caso particolare, perché l’essere nuovo di cui parla il poema
biblico non può essere altrove che nel mondo di questo testo che è un testo fra altri. Ma proprio
trattando i testi biblici come testi tra i tanti altri, è possibile che appaiono dei tratti talmente originali
che la relazione si rovescia progressivamente. La sua specificità risiede nella proclamazione che ha
di mira la nominazione di Dio. Questa nominazione si manifesta contemporaneamente come
referente-limite che raduna la polifonia delle diverse forme di discorso religioso, e come ciò che
marca la loro incompiutezza fondamentale. Il ritratto del Nome è altrettanto confermato dalla
trasgressione che operano certe forme bibliche facendo saltare i limiti del linguaggio ordinario.
Infatti, tutti i discorsi della Bibbia si riferiscono al Nome di Dio, punto di incrocio e punto di fuga di
tutti i nostri discorsi su Dio. Inoltre, questo Nome non funziona come un concetto filosofico, magari
quello di Essere, ne è il nome religioso di un tale concetto. La parola Dio dice di più: “il referente
<<Dio>> è ad un tempo il coordinatore di questi dicorsi diversi, e il punto di fuga, l’indice di
incompletezza, di tali discorsi parziali”27. Così, comprendere la parola Dio è seguire la freccia di
senso di questa parola, dove per freccia di senso Ricoeur intende il suo duplice potere: di riunire
tutti i significati proposti dai discorsi parziali, e di aprire un orizzonte che sfugga alla chiusura del
discorso.
Note
1
De l’intepretation. Essai sur Freud, Du Seuil, Paris 1965. (trad. it. Dell’interpretazione, Il melangolo, Genova, 1991,
p. 13).
2
Ibid., p.504.
3
La Symbolique du Mal, p. 482.
4
Già Heidegger parla del circolo ermeneutico. La necessaria pre-conformazione di ogni comprensione fa sì che questa
sia sempre circolare: “L'interpretazione, che è promotrice di nuova comprensione, deve aver già compreso
l'interpretando” (Essere e Tempo, 193). Inoltre, Heidegger ci avverte che questo circolo non è vizioso, poiché esso
include la possibilità stessa del conoscere: “In esso si nasconde una possibilità positiva del conoscere più originario,
possibilità che è afferrata in modo genuino solo se l'interpretazione ha compreso che il suo compito primo, durevole e
ultimo, è quello di non lasciarsi mai imporre pre-disponibilità, pre-veggenza e pre-cognizione dal caso o dalle opinioni
comuni, ma di farle emergere dalle cose stesse, garantendosi così la scientificità del proprio tema” (Essere e Tempo,
195).
5
La Symbolique du Mal, p. 483.
6
Finitudine e colpa, II parte: La simbolica del male, Bologna, il Mulino, 1970, 623.
7
Già nel suo libro Il volontario e l' involontario aveva descritto una volontà che non è sovrana, ma una volontà che ha a
che fare con un involontario costitutivo, sotto la forma dei motivi del corpo e della necessità.
62
8
D'altronde la sospensione fenomenologica (epoché) del vissuto, in vista di una ricerca del senso, corrisponde a ciò che
l'ermeneutica effettua nel campo delle scienze umane. Infatti, essa ricorre alla distanziazione all'interno stesso del
rapporto di appartenenza.
9
Cf. Per una fenomenologia ermeneutica, in Dal testo all'azione, pp. 52-71
10
L’esempio sviluppato da Ricoeur in questo senso è l’Edipo di Sofocle. Qui il simbolo del padre è
contemporaneamente figura della paternità e dell’origine (archeologia) e figura della nascita alla verità attraverso la
notte del senso (teleologia).
11
Il compito dell'ermeneutica partendo da Schleiermacher e da Dilthey, in Dal testo all'azione, p. 71.
12
Ricoeur riprende a questo proposito la teoria degli atti del linguaggio elaborata da Austin e Searle. Questa teoria
descrive l'esteriorizzazione menzionata sopra, distinguendo tre livelli. Quando dico, per esempio, “Chiudi la porta!” io
faccio tre cose: 1) rapporto il predicato dell'azione (chiudere) a due argomenti (tu e la porta) - questo è il livello locutivo
o proposizionale; 2) enuncio la proposizione sotto una forma determinata (modo imperativo)- livello illocutivo; 3)
infine, posso provocare un effetto di paura che influisca l'interlocutore - livello perlocutivo. Dobbiamo quindi intendere
per «significazione» l'esteriorizzazione di questi tre livelli attraverso i codici grammaticali e delle regole di espressione.
13
Cf. La funzione ermeneutica della distanziazione, in Dal testo all'azione, pp. 99-103.
14
Cf. La funzione ermeneutica della distanziazione, in Dal testo all'azione, pp. 103-106.
15
La referenza nel discorso orale risiede nella capacità del locutore di mostrare una realtà che resta comune agli
interlocutori. Con lo scritto invece, questa riferenza immediata al mondo quotidiano scompare. La letteratura di finzione,
come anche la letteratura poetica, sembrano distruggere il mondo reale.
16
Ibid. p. 109.
17
In questo modo l'ermeneutica di Ricoeur rimane fedele all'intuizione ontologica di Heidegger, ma fino a un punto.
Infatti, mentre Heidegger sceglie la via breve dell'accesso diretto all'Essere attraverso una spiegazione della
precomprensione ontologica, Ricoeur sceglie la via lunga tramite l'interpretazione dei segni della cultura: simboli, testi,
opere, ecc.
18
Che cos'è un testo, in Dal testo all’azione, p. 148.
19
Esquisse de conclusion, in AA;VV; Exégèse et herméneutique, op.cit., pp. 285-295, p.291 (trad. di Francesco
Franco).
20
Questa caratteristica si muove in una duplice direzione, mediante la concatenazione di parola-scrittura-parola, o anche
scrittura-parola-scrittura, dove la parola fa da connessione tra due scritture, come nel caso della parola di Gesù in
rapporto all’Antico e Nuovo Testamento, e la scrittura fa da connessione tra due parole com’è nel caso del Vangelo in
relazione alla predicazione della chiesa primitiva e alla predicazione contemporanea.
21
Ermeneutica filosofica ed ermeneutica biblica, in F. Bovon - G. Rouiller (a cura di), Exegesis. Problèmes de methode
et exercises de lecture, Neuchâtel 1975, trad.it., Brescia 1977, p. 91.
22
In effetti, l’ermeneutica di Gadamer ha una natura decisamente antimetodologica. Egli sospetta che la combinazione
dell’approfondimento ermeneutico e del metodo interpretativo porterebbe ad un concetto puramente tecnico
dell’ermeneutica, declassandola così al livello di altre tecnologie moderne. Ma questa impostazione dell’ermeneutica
solleva alcuni interogativi, tra i quali la questione della critica. Come è possibile al lettore tutelarsi contro i
fraintendimenti? Perché un testo possiede autorità e può dunque esigere sottomissione alla tradizione che rappresenta?
(Cf. il saggio di Ricoeur, Ermeneutica e critica delle ideologie, in Dal testo all’azione, pp. 321-364.)
23
Cf. Ermeneutica e critica delle ideologie, in Dal testo all’azione, pp. 321-365.
24
Cf. Ermeneutica e critica delle ideologie, in Dal testo all’azione, pp. 321-365.
25
Il secondo scambio tra le due ermeneutiche è di ordine concettuale. Se da una parte Ricoeur rifiuta lo spirito assoluto
hegeliano che integra finalmente la religione dentro il concetto, dall’altra parte egli adotta l’intuizione di Hegel che
consiste nell’asserire la potenza speculativa del pensiero figurato della religione. Se per lui Ricoeur, la ricerca della
Ragione (Vernunft) verso il pensiero dell’Incondizionato pone da una parte un limite alla nostra conoscenza oggettiva
condizionata, essa trova tuttavia una certa pienezza nelle presentazioni indirette del linguaggio metaforico, che non dice
che le cose siano quelle o quelle ma che esse sono come.... Questo nuovo linguaggio (che utilizza termini come
Avvenimento, Salvezza, Redenzione) non é un linguaggio oggettivo, ma la presentazione figurativa dell’Incondizionato.
26
L’ultimo tipo di scambio tra la filosofia e la fede biblica è di ordine esistenziale e pratico. La fede biblica mette
un'etica comune in una prospettiva nuova e singolare, quella di un'economia del dono e del amore. Così l’ermeneutica
biblica ci mette sotto gli occhi (come la metafora per Aristotele) la relazione tra il nostro desiderio fondamentale della
vita buona e la proclamazione del messaggio biblico.
27
Ermeneutica filosofica e biblica, in Dall testo all’azione, p. 124.
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