VERSO UNA SOCIETA’ DELLA DECRESCITA? Ad Arezzo, un circolo di studio sull’economia solidale Verso un nuovo modo di vivere e consumare consapevolmente di Stefania Chiodi L’8 aprile scorso, presso la sala della Comunità Montana, a Sansepolcro, si è tenuto un incontro seminariale col Prof. Mauro Bonaiuti dell’Università di Modena e Reggio Emilia sul tema della decrescita, mutuato dalla filosofia di Serge Latouche, storico dell’economia e della cultura ed esperto d’epistemologia delle scienze sociali. Mauro Bonaiuti è docente d’istituzioni d’economia, economia e organizzazione aziendale ed economia e gestione delle imprese, e da oltre dieci anni si occupa del rapporto tra economia ed ecologia. E’ tra i promotori dell'associazione anti-utilitarista di critica sociale (Mauss), della R.E.S. (Rete di Economia Solidale) e della Rete per la Decrescita, nonché coordinatore della Scuola Estiva "Oltre il pensiero Unico". Il seminario - previsto nell’ambito del Circolo di Studio “Verso la costituzione di un Distretto di Economia Solidale nell’aretino”, finanziato dalla Provincia di Arezzo - è stato proposto da alcuni soggetti impegnati sul terreno dell’economia solidale ad Arezzo e provincia: il Gruppo d’Acquisto Solidale della Valtiberina, i due Gruppi d’Acquisto di Arezzo e l’ARCI. Proporre la ‘decrescita conviviale’ come uno degli obiettivi globali urgenti, identificabili attualmente significa, in altre parole, rinunciare ‘all'immaginario economico’, vale a dire alla credenza che ‘di più è uguale a meglio’. Riscoprire la vera ricchezza nel fiorire di rapporti sociali conviviali in un mondo sano può ottenersi con serenità nella frugalità, nella sobrietà. La corrente di pensiero che si riferisce alla decrescita è nata negli anni sessanta, il decennio dello sviluppo, da una riflessione critica sui presupposti dell'economia e sul fallimento delle politiche di sviluppo e s'inscrive nel più ampio movimento dell'International Network for Cultural Alternatives to Development (INCAD), il quale mette al centro della sua analisi la critica radicale della nozione di sviluppo che, nonostante le evoluzioni formali conosciute, resta il punto di rottura decisivo in seno al movimento di critica al capitalismo e della globalizzazione. Si può definire lo sviluppo realmente esistente come una impresa che mira a trasformare in merci le relazioni degli uomini tra loro e con la natura e che causa i problemi sociali e ambientali attuali: esclusione, sovrappopolazione, povertà, inquinamenti diversi ecc… Di fronte alla globalizzazione, che non è altro che il trionfo planetario del mercato, bisogna concepire e volere una società nella quale i valori economici non siano più centrali (o unici). L'economia deve essere rimessa al suo posto come semplice mezzo della vita umana e non come fine ultimo. Ciò non è solo necessario per evitare la distruzione definitiva delle condizioni di vita sulla Terra ma anche e soprattutto per fare uscire l'umanità dalla miseria psichica e morale. Si tratta di mettere al centro della vita umana altri significati e altre ragioni d'essere che l'espansione della produzione e del consumo. A partire da questa critica, la corrente procede ad una vera e propria ‘decostruzione’ del pensiero economico. Sono pertanto rimesse in discussione le nozioni di crescita, povertà, bisogno, aiuto ecc… 1 In particolare, la decrescita non è la crescita negativa. Si sa che il semplice rallentamento della crescita sprofonda le nostre società nel disordine con riferimento alla disoccupazione e all'abbandono dei programmi sociali, culturali e ambientali che assicurano un minimo di qualità della vita. La decrescita è auspicabile soltanto in una ‘società di decrescita’. Ciò presuppone tutt'altra organizzazione in cui il tempo libero è valorizzato al posto del lavoro, dove le relazioni sociali prevalgono sulla produzione e sul consumo dei prodotti inutili o nocivi. Ispirandosi alla carta su ‘consumi e stili di vita’ proposta al Forum delle ONG di Rio, è possibile sintetizzare il tutto in un programma di sei R: rivalutare, ristrutturare, ridistribuire, ridurre, riutilizzare, riciclare. Questi sono i sei obiettivi interdipendenti un circolo virtuoso di decrescita conviviale e sostenibile. Queste, in sintesi, le considerazioni alla base della riflessione che ha portato alla costituzione della Rete Italiana per la Decrescita. La Rete ‘destruttura’ i fondamenti del pensiero economico dominante, teorizzando una società basata sulla limitazione dei flussi di produzione e consumo, su forme politiche partecipate e conviviali, sulle relazioni interpersonali, l’equità, ecc… A tal proposito è stato creato anche il sito Internet www.decrescita.it , dove è attiva una mailing list, per favorire un fecondo confronto d’idee e d’esperienze (estratto dal Manifesto del Doposviluppo di Serge Latouche). La lezione è stata suddivisa in tre fasi, ciascuna delle quali seguita da un dibattito: la prima incentrata sui concetti basilari della decrescita, la seconda sulla cittadinanza della decrescita e la terza sulle reti d’economia solidale. L’incontro, molto partecipato, si è svolto in modo decisamente informale: al posto di una ‘liturgica’ lezione in ‘docenza frontale’, l’uditorio è stato predisposto senza tavolo e con sedie collocate in cerchio: un tentativo di comunicazione circolare, poiché lo ‘stile’ a volte è sostanza. Anche gli interventi sono stati svolti secondo il medesimo ‘protocollo’ informale: l’obiettivo era trovare un filo conduttore, una sintesi all’interno del progetto avviato sul territorio che consentisse agli interlocutori di misurarsi con idee meno ‘volatili’ ma più vicine alle buone pratiche di cittadinanza responsabile. Si è profilato così un nuovo ‘immaginario’, un concreto ‘altro mondo possibile’. Il concetto di ‘sviluppo’, paradossalmente, non equivale alla soluzione del problema della povertà: è sufficiente vedere la qualità della vita degli strati poveri delle popolazioni – sia nei paesi industrializzati che in quelli del sud del mondo – per notare, al contrario, che l’indice di sviluppo è inversamente proporzionale all’incremento del PIL e sembra sempre più difficile coniugare la crescita economica con una redistribuzione più equa della ricchezza. Ciò dipende anche del fatto che la produzione è un processo entropico, vale a dire, che, nel contempo, determina la distruzione delle risorse impiegate. Il passo successivo è chiedersi cosa si può fare, anche in piccolo, nella vita di tutti i giorni, per provare a cambiare la situazione, mediante le pratiche individuali, in altre parole gli stili di vita. Per profilare un ‘nuovo immaginario’ è indispensabile mettere in discussione ‘l’immaginario economico’ così com’è stato precostituito e dare una dimensione politica alla trasformazione che vogliamo operare. 2 Importante è partire dal presupposto che, nonostante siamo efficienti in termini tecnologici, consumiamo di più e, in modo sistemico, più produciamo e più si trasformano i nostri stili di vita, cioè pretendiamo di più. Contestualmente cambia il nostro immaginario, ma sempre in termini economici e i consumi aumentano più di quanto aumenti l’efficienza. La scelta di costituire una collaborazione solidale è sicuramente dettata dalla volontà di mettersi in gioco e monitorarsi vicendevolmente e il gruppo è il primo luogo dove sperimentare la solidarietà. Si rende necessario, a questo punto, cercare di passare da una pratica economica completamente competitiva ad una che mescoli competitività a cooperazione. La società dell’economia solidale non è fondata sul mercato ma sulla ‘reciprocità’, come anche le società arcaiche erano basate sul dono e il legame sociale si manifestava sul triplice principio donare/ricevere/ricambiare (reciprocità). Tutt’ora nei paesi del sud permangono forme di reciprocità e mutualità che rendono quelle comunità più ricche di legami e relazioni solidali. Nell’attuale economia di mercato, invece, il ciclo del reddito non implica nessun legame sociale, quindi, invertire la spirale del mercato è dare spazio maggiore alle relazioni di reciprocità a scapito dello scambio d’equivalenti (merce contro moneta o merce contro merce). Ciò significa che bisogna fare in maniera – attraverso la rete di relazioni reciproche – che tutte le realtà (sia culturali che economiche) escano dalla nicchia e si proteggano dalla mercificazione operata dal mercato. Premesso che non si possono prescrivere ricette confezionate e che ogni realtà esprime esigenze che le sono connaturali e più adatte, si è tentato di elaborare una sorta di ‘decalogo per la cittadinanza della decrescita’ che mira a creare una riflessione sullo spostamento degli stili di vita di ciascuno. Alcuni dei punti essenziali per entrare nella resistenza con la decrescita sono i seguenti: prendere coscienza dei propri condizionamenti, il cui primo portatore è la televisione. La prima scelta sarà quella tendente a liberarsene e al suo posto di preferire e dare spazio alla vita interiore, alla propria creatività e a tenersi informati mediante altri mezzi (lettura, teatro, incontrare gente, ecc…); liberarsi dell’automobile, simbolo della società dei consumi e maggiore responsabile della distruzione delle risorse naturali e dei diversi tipi d’inquinamento, tra cui l’aumento dell’effetto serra. Preferirle il ‘rifiuto dell’ipermobilità’: camminare, andare in bicicletta, utilizzare i trasporti collettivi, ecc…; non utilizzare il telefonino. Il sistema genera dei bisogni che diventano delle dipendenze, il telefonino rappresenta uno di quelli; boicottare la grande distribuzione perché favorisce l’agricoltura intensiva, centralizza il capitale, ecc…. ; cercare di avere uno stile di vita più sobrio, che non si nutra di eccessi, il richiamo al rispetto delle persone e dell’ambiente, conseguentemente consumare di meno e meglio, quello che è necessario. Incrementare l’autoproduzione; preferire le botteghe di quartiere, le cooperative, l’artigianato alla produzione industriale. Cercare di consumare preferibilmente prodotti locali, affinché ogni popolazione ritrovi la sua capacità d’autosufficienza; stimolare lo sviluppo sociale e umano della persona, privilegiare la 3 qualità della relazione con se stessi e gli altri a detrimento della volontà di possedere oggetti. Cercare di vivere in armonia con la natura; essere coerenti perché le idee sono fatte per essere vissute. La tensione è quella verso la capacità di metterle in pratica e rendere credibili i propri principi. Al termine dell’incontro il dibattito è proseguito a tavola, con una sobria cena conviviale. 4