UNIVERSITÀ DEGLI STUDI SUOR ORSOLA BENINCASA FACOLTÀ DI GIURISPRUDENZA CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN GIURISPRUDENZA TESI DI LAUREA IN DIRITTO DEL LAVORO DELL’UNIONE EUROPEA L’attuazione della direttiva 2008/104 in materia di lavoro interinale Relatore Ch.mo Prof. Luca Calcaterra Candidata Alessia Cardillo Matricola 052000848 Anno Accademico 2013/2014 Ai miei genitori. INDICE Elenco delle abbreviazioni p.I Introduzione. Il processo ‘formativo’ della direttiva 2008/104/CE. 1. Obiettivi della Direttiva 2008/104/CE 2. La Convenzione OIL 181/1997 sulle agenzie per l’impiego privato 3. Contesto 4. (Segue): Il rapporto tra il lavoro a tempo determinato e il lavoro tramite agenzia interinale 4.1 La direttiva 99/70/CE sul lavoro a tempo determinato 4.2 Il lavoro somministrato 4.3 La Corte di Giustizia dall’ordinanza Briot C-386/09 alla sentenza C-290/12 Della Rocca 5. La negoziazione della direttiva sul lavoro tramite agenzia interinale 6. La Parità di trattamento e il lavoratore comparabile p.1 p.5 p.9 p.12 p.13 p.18 p.19 p.23 p.32 Capitolo I. La direttiva 2008/104. Analisi dei ‘considerando’ Ambito di applicazione Finalità Definizioni Riesame dei divieti e delle restrizioni Principio della parità di trattamento 6.1 Il rapporto con l’art. 3 6.2 Deroghe alla parità di trattamento 6.3 Abuso nell’applicazione dell’art. 5 7. Accesso all’occupazione, alle attrezzature collettive e alla formazione professionale 8. Rappresentanza dei lavoratori tramite agenzia interinale 9. Informazione dei rappresentanti dei lavoratori 10. Disposizioni finali 1. 2. 3. 4. 5. 6. p.39 p.42 p.47 p.48 p.53 p.57 p.59 p.64 p.68 p.69 p.73 p.75 p.76 Capitolo II. Implementazione della direttiva 2008/104 nei Paesi membri. 1. 2. 3. 4. 5. Introduzione L’effettiva attuazione nei Paesi membri Determinazione dei termini chiave La parità di trattamento Analisi e rimozione di proibizioni e limitazioni da parte degli Stati membri 6. Mezzi e strumenti riconosciuti ai lavoratori interinali 7. Il computo dei lavoratori interinali ai fini della costituzione degli organi rappresentativi 8. Obbligo di fornire informazioni sul ricorso alla somministrazione dei lavoratori 9. Standard minimi di tutela 10. I rimedi in caso di inosservanza della disciplina p.80 p.83 p.85 p.88 p.100 p.105 p.108 p.110 p.111 p.112 Capitolo III. Somministrazione, distacco e libertà di circolazione: il problema dei lavoratori transfrontalieri. 1. La direttiva 96/71/CE relativa al distacco dei lavoratori nell’ambito di una prestazione di servizi. 2. Rapporti tra la direttiva 2008/104/CE e la direttiva 96/71/CE 3. La protezione minima dei lavoratori distaccati corrisponde a quella prevista dall'agenzia interinale per incarichi transfrontalieri? 4. La direttiva 2014/67/UE di esecuzione della direttiva 96/71 sul distacco dei lavoratori p.115 p.119 p.124 p.127 Conclusioni p.131 Riferimenti bibliografici p.140 Riferimenti giurisprudenziali p.150 Riferimenti normativi p.151 Ringraziamenti p.153 ELENCO DELLE ABBREVIAZIONI CEEP Centro Europeo delle Imprese a Partecipazione Pubblica CES Confederazione Europea dei Sindacati CGUE Corte di Giustizia dell’ Unione Europea CIETT Confederazione Internazionale delle Agenzie di Lavoro Temporaneo Eurociett Associazione europea delle Agenzie per il Lavoro OIL Organizzazione internazionale del lavoro TCE Trattato che istituisce la Comunità Europea TCEE Trattato che istituisce la Comunità Economica Europea TFUE Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea UEAPME Unione Europea dell’Artigianato e delle Piccole e Medie Imprese UNICE Unione delle confederazioni europee dell’industria e dei datori di lavoro, ora denominata BusinessEurope. UNI-Europa Confederazione Europea Sindacati, Servizi e Comunicazioni. I INTRODUZIONE IL PROCESSO ‘‘FORMATIVO’’ DELLA DIRETTIVA 2008/104 SOMMARIO: 1. Obiettivi della Direttiva 2008/104/CE. - 2. La Convenzione OIL 181/1997 sulle agenzie per l’impiego privato. - 3. Contesto. - 4. (Segue): Il rapporto tra il lavoro a tempo determinato e il lavoro tramite agenzia interinale. - 4.1 La direttiva 99/70/CE sul lavoro a tempo determinato. - 4.2 Il lavoro somministrato. - 4.3. La Corte di Giustizia dall’ordinanza Briot C-386/09 alla sentenza C-290/12 Della Rocca. - 5. La negoziazione della direttiva sul lavoro tramite agenzia interinale. - 6. La Parità di trattamento e il lavoratore comparabile. 1. Obiettivi della Direttiva 2008/104/CE. La direttiva 2008/104/CE è stata adottata il 19 novembre 2008 dal Parlamento e dal Consiglio dell’Unione Europea e disciplina il lavoro tramite agenzia interinale1. Il suo tormentato iter di adozione si riflette ancora oggi nelle difficoltà relative alla sua implementazione interna. La direttiva 2008/104/CE costituisce il primo intervento normativo del legislatore comunitario in relazione alla fornitura di manodopera, tema anteriormente lasciato alla libera regolamentazione da parte dei legislatori nazionali. A tal proposito, va considerato che in precedenza fu emanata la direttiva 91/383/CEE volta alla tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori aventi un rapporto di lavoro a tempo determinato o un rapporto di lavoro 1 Secondo la direttiva 91/383 per rapporti di lavoro interinale devono intendersi quelli << tra un’agenzia di lavoro interinale che è il datore di lavoro e il lavoratore, quando quest’ultimo è messo a disposizione per lavorare per e sotto il controllo di una impresa e/o di uno stabilimento utilizzatori >> . 1 interinale e il cui contenuto è lasciato invariato dalla direttiva oggetto di questo elaborato. La direttiva del 2008 è stata avvertita come necessaria data la forte differenziazione nei vari Stati membri dell’Unione Europea - soprattutto tra i paesi di civil law e il Regno Unito - della disciplina relativa alla posizione giuridica, allo status, alle condizioni di lavoro dei lavoratori tramite agenzia. L’intervento comunitario è volto a tutelare i lavoratori interinali attraverso un quadro normativo non discriminatorio, trasparente e proporzionato che tenga conto e rispetti la diversità dei mercati e delle relazioni industriali e che tuteli i lavoratori prevedendo che gli Stati membri riesaminino, previa consultazione delle parti sociali, le restrizioni o i divieti sul ricorso al lavoro tramite agenzia interinale al fine di accertarne l’effettiva necessità. A tal proposito viene in rilievo il considerando n.18 per il quale << il miglioramento della base minima di tutela dei lavoratori tramite agenzia interinale dovrebbe essere accompagnato da un riesame delle eventuali restrizioni o divieti imposti al ricorso al lavoro tramite agenzia interinale. Essi possono essere giustificati soltanto da ragioni d’interesse generale che investono in particolare la tutela dei lavoratori, le prescrizioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro nonché la necessità di garantire il buon funzionamento del mercato del lavoro e la prevenzione di abusi>>. Viene anche in rilievo a livello comunitario l’applicazione del principio di parità di trattamento dei lavoratori somministrati rispetto ai lavoratori che si 2 trovano alle dirette dipendenze dell’utilizzatore. Questo principio deve assicurare un livello minimo di protezione evitando l’utilizzo di forme negoziali di assunzione che potrebbero portare alla precarizzazione del lavoro e all’abbassamento delle tutele. Il principio di parità è derogabile solo in circostanze limitate ex art. 5: 1) con riferimento alla retribuzione quando i lavoratori interinali sono legati da un contratto a tempo indeterminato con l’agenzia e sono retribuiti anche nel periodo intercorrente tra una missione e l’altra (art. 5.2); 2) quando gli Stati Membri lasciano alle parti sociali la possibilità di mantenere o concludere contratti collettivi che stabiliscono modalità alternative relative alle condizioni di lavoro e d’occupazione, comunque nel rispetto della protezione globale dei lavoratori (art. 5.3); 3) quando le modalità alternative sono previste da accordi conclusi dalle parti sociali in Paesi in cui i contratti collettivi non risultano essere universalmente applicabili né vi sia un sistema legislativo che consenta di estendere questi contratti a tutte le imprese simili di un determinato settore od area geografica (art. 5.4). Questa direttiva svolge un ruolo fondamentale nella regolamentazione a livello europeo del lavoro temporaneo tramite agenzia. Lo scopo della direttiva non è solo quello di tutelare i lavoratori ma è anche quello di un futuro sviluppo delle agenzie interinali che, a parere della Commissione Europea e delle associazioni dei datori di lavoro, sono strumenti per la creazione di posti di lavoro (così come anche indicato nell’art. 2 della 3 direttiva stessa dove si parla di << necessità di inquadrare adeguatamente il ricorso al lavoro tramite agenzia interinale al fine di contribuire efficacemente alla creazione di posti di lavoro e allo sviluppo di forme di lavoro flessibili >>). Un precedente intervento in materia si era avuto con la direttiva 91/383/CEE del Consiglio, che garantiva la parità di trattamento in rapporto alle condizioni di lavoro, con particolare riguardo alle attrezzature di protezione individuali. A livello internazionale, la materia era stata già regolata dalla Convenzione OIL n. 181/1997 sulle agenzie per l’impiego private. È in questo contesto che si inserisce la direttiva del 2008, i cui punti fondamentali sono proprio quelli sulla parità di trattamento e sulle opportunità di accesso all’occupazione. L’art. 2 dice che lo scopo della stessa è << (…) garantire la tutela dei lavoratori tramite agenzia interinale e migliorare la qualità del lavoro tramite agenzia interinale garantendo il rispetto del principio della parità di trattamento di cui all’articolo 5 nei confronti dei lavoratori tramite agenzia interinale e riconoscendo tali agenzie quali datori di lavoro, tenendo conto nel contempo della necessità di inquadrare adeguatamente il ricorso al lavoro tramite agenzia interinale al fine di contribuire efficacemente alla creazione di posti di lavoro e allo sviluppo di forme di lavoro flessibili >> . Le forme di lavoro flessibile possono essere considerate accettabili quando sono rispettate le condizioni di tutela dei lavoratori e quando si 4 riesce nell’obiettivo di conciliare la vita privata e professionale dei lavoratori dipendenti permettendo in tale modo la creazione di posti di lavoro e la partecipazione e l’inserimento nel mercato del lavoro. Il legislatore comunitario individua nella somministrazione temporanea uno strumento positivo dal punto di vista sociale ed economico in quanto capace << di aprire l’accesso al mondo del lavoro e consentire l’inserimento graduale di lavoratori provenienti dalle classi meno agiate e meno avvantaggiate anche in tempi di recessione economica, nonché a lavoratori come gli studenti che hanno la necessità di integrare i loro proventi economici con un’attività di lavoro flessibile. Il legislatore comunitario quindi si pone nell’ottica di valorizzare questo tipo di rapporto garantendogli autonomia strutturale rispetto al rapporto di lavoro a tempo determinato e dignità dell’istituto del diritto nazionale e sovranazionale2>>. 2. La Convenzione OIL 181/1997 sulle agenzie per l’impiego privato. La Convenzione OIL 181/1997 consente la mediazione privata di manodopera contribuendo così a costruire un sistema dei servizi per l’impiego che vede la compresenza di operatori pubblici e privati. Del resto ciò è coerente con la normativa comunitaria che pone sullo stesso piano imprese pubbliche e private e ritiene non giustificate eventuali differenze di disciplina, a meno che non sussistano ragioni oggettive. 2 Trib. Vicenza, 17 febbraio 2011, n. 1378, in Dir. Relaz. Ind., 2011, IV, 1136. 5 L’interazione tra pubblico e privato è non solo un mezzo legittimo di realizzazione dei servizi per l’impiego ma deve essere considerata come normale forma di erogazione degli stessi. Questa necessità emerge dalla Convenzione stessa e dal suo Rapporto preparatorio del 1981 nel quale, date le carenze strutturali dei servizi pubblici, si ritenne necessario integrare l’azione degli operatori pubblici e privati attraverso un modello di gestione mista del mercato del lavoro definito come ‘‘coesistenza attiva’’. Allo Stato sono riservate in via esclusiva le funzioni inalienabili quali ad esempio la definizione delle regole e condizioni d’ingresso e permanenza dei diversi operatori nel mercato attraverso il rilascio di autorizzazioni e la definizione degli standard minimi da rispettare, la risoluzione dei conflitti, la garanzia della circolazione delle informazioni e il controllo sui finanziamenti. Al di fuori di quest’ambito, l’attività dei soggetti pubblici e privati si deve svolgere in un regime concorrenziale da un lato e di cooperazione dall’altro in modo da consentire che ai privati vengano affidati compiti che il settore pubblico non è in grado di svolgere. La Convenzione segna il definitivo superamento della regolamentazione restrittiva e per un certo verso proibitiva che aveva a lungo caratterizzato l’esperienza comparata e predispone delle tutele minime per il lavoratore temporaneo. All’art. 1 lett.b include tra le agenzie di impiego private quelle che assumono lavoratori per metterli a disposizione di persone terze fisiche o morali (imprese utilizzatrici) che ne stabiliscono i compiti e sorvegliano la 6 relativa esecuzione. Da questa norma si deduce quindi che l’agenzia assume formalmente il lavoratore e l’impresa utilizzatrice ha poteri direttivi e di controllo. Non sono invece presenti disposizioni espresse volte a stabilire la struttura complessiva del rapporto e la ripartizione di diritti, obblighi e responsabilità tra i tre soggetti coinvolti; questo aspetto è lasciato alla legislazione degli Stati nazionali. A tal proposito, l’art. 11 precisa quali sono le tutele dei lavoratori che devono essere regolate dai singoli Paesi conformemente alle leggi e prassi interne. Tra i vari aspetti vi rientrano la libertà sindacale, la negoziazione collettiva, i minimi salariali, le condizioni di lavoro, la sicurezza sociale, la formazione, l’igiene e la sicurezza, etc. Questi stessi profili vengono poi considerati nell’articolo successivo per quanto riguarda la ripartizione degli obblighi tra l’agenzia di somministrazione e l’impresa utilizzatrice, ripartizione che è rimessa alle legislazioni nazionali. Nella Convenzione non sono predisposti meccanismi di tutela dei lavoratori quali ad esempio la parità di trattamento tra lavoratori somministrati e lavoratori stabili dell’impresa. Agli artt. 5, 6 e 7 sono presenti specifici strumenti volti a proteggere il lavoratore nella fase precontrattuale. Abbiamo rispettivamente: - il divieto di discriminazioni basate su sesso, razza, religione, colore, opinione politica, nazionalità, origine sociale e ogni altra forma coperta dalla legislazione o dalla prassi nazionale gravante sulle agenzie per 7 l’impiego privato e volta a promuovere la parità di opportunità e di trattamento nell’accesso all’impiego; - la tutela dei dati personali forniti dai lavoratori e utilizzati dalle agenzie che li devono elaborare limitandosi a quanto concerne le qualifiche e le esperienze professionali dei lavoratori nel rispetto della loro vita privata e secondo quanto previsto dagli ordinamenti nazionali; - il divieto per le agenzie di far pagare ai lavoratori spese o altri costi. Sono fatte salve le eccezioni espressamente autorizzate, previa consultazione delle parti sociali più rappresentative, per alcune categorie di lavoratori e alcuni servizi specificamente identificati. Si tratta comunque di elementi parziali dato che la Convenzione non prevede nemmeno che l’agenzia di lavoro interinale sia assoggettata ad autorizzazione amministrativa; vincolo che è normalmente presente nella maggior parte dei modelli nazionali che regolamentano la fattispecie. Possiamo quindi dire che la convenzione in esame si caratterizza più per il superamento di un modello di regolamentazione restrittivo/proibitivo che per una regolamentazione positiva della struttura della somministrazione di lavoro. A questo superamento in realtà era arrivata contemporaneamente anche l’Unione Europea e ciò potrebbe spiegare lo scarso successo della Convenzione nei Paesi che già regolano la fattispecie. Difatti la ratifica c’è stata solo in Italia, Spagna, Portogallo, Belgio, Finlandia e Paesi Bassi. 8 3. Contesto. Il cammino che ha portato all’adozione della direttiva è stato lungo. A livello europeo, il primo riferimento a un rapporto di lavoro triangolare tra un’agenzia di lavoro, un lavoratore e un utilizzatore si è avuto nel 1970 con il caso Manpower in cui la Corte di Giustizia si è espressa identificando l’agenzia di impiego con il datore di lavoro. Negli anni 70 quasi tutti gli Stati europei, con l'eccezione del Regno Unito, prevedevano severe restrizioni o divieti assoluti al lavoro tramite agenzia, conformemente alla Convenzione OIL n. 96/1949 che ricomprendeva le agenzie di lavoro temporaneo nella stringente disciplina dell’intermediazione nel mercato del lavoro. Questo periodo è stato caratterizzato da cambiamenti importanti (quali ad esempio la globalizzazione, la concorrenza su scala mondiale, la diversificazione e personalizzazione della domanda). Di conseguenza, è emersa la necessità di adeguare i sistemi produttivi al nuovo contesto concorrenziale in via di sviluppo. Ciò ha portato alla diffusione dei lavori flessibili cd. <<atipici>> che si affiancano tuttora al modello standard dell’impiego a tempo pieno ed indeterminato in modo da adeguare il reclutamento di manodopera alle effettive esigenze delle imprese. A livello comunitario, il primo atto in cui si è fatto un esplicito riferimento al lavoro tramite agenzia è la Risoluzione del Consiglio del 1974, il cd. Programma di azione sociale, la cui intenzione era la protezione dei lavoratori reclutati tramite imprese di lavoro temporaneo e l'eliminazione 9 degli abusi attraverso il controllo dell'attività delle imprese. Da questa previsione emergeva l'idea del lavoro temporaneo come fattispecie intrinsecamente pericolosa. Negli anni '80 è cambiato il punto di vista comunitario sul lavoro temporaneo data la diffusione di nuove tecnologie, la terziarizzazione dell'economia, la scoperta di nuove modalità organizzative che hanno portato a profonde trasformazioni dei processi produttivi e ad una maggiore flessibilità nell'utilizzo della forza lavoro. È in questo contesto che ci sono state le prime iniziative della Commissione di regolamentazione delle principali forme di lavoro flessibile. Si è arrivati così a una prima proposta di direttiva presentata dalla Commissione il 7 maggio 1982 che riguardava simultaneamente sia il lavoro a termine che il lavoro tramite agenzia 3. In questo testo, le caratteristiche specifiche del lavoro interinale venivano ricondotte alle istanze comunitarie di uniformazione della competizione tra imprese e le esigenze di tutela dei lavoratori erano considerate in modo unitario all’interno del nuovo fenomeno del lavoro atipico. L’art. 7 della Carta di Strasburgo sui diritti sociali fondamentali dei lavoratori del 1989 indicava come necessario un maggior progresso nelle condizioni di lavoro atipico riferendosi indistintamente e congiuntamente al lavoro a tempo determinato, parziale e temporaneo; il Programma d’azione della Commissione prevedeva la presentazione di un’unica 3 COMMISSIONE CE, Proposta di direttiva in materia di lavoro temporaneo, COM(82)155 def., ripresentata come Proposta modificata di direttiva del Consiglio in materia di lavoro interinale e di contratti a tempo determinato, COM(84)159 def. 10 direttiva disciplinante i rapporti di lavoro atipico. Questa direttiva però non ha mai visto la luce data l’opposizione del Regno Unito. Negli anni ’90 c’è stato uno sviluppo considerevole del lavoro tramite agenzia in quanto forma di impiego in grado di adattare i livelli occupazionali alle fluttuazioni della domanda. La Commissione Europea ha elaborato tre bozze relative rispettivamente alla salute e sicurezza dei lavoratori temporanei, alle condizioni di lavoro e la distorsione della competizione, al lavoro part-time e il lavoro temporaneo. Solo la prima è stata effettivamente adottata nel 1991 e prevede la parità di trattamento in termini di protezione della salute e della sicurezza dei lavoratori temporanei o a tempo determinato. La necessità di una regolamentazione a livello europeo era fortemente avvertita per tre ordini di motivi. Innanzitutto, le agenzie di lavoro temporaneo costituivano e ancora costituiscono un settore d’importanza crescente in Europa e pertanto è d'obbligo una disciplina di tale livello. In secondo luogo, il lavoro temporaneo era stato già parzialmente regolato da due direttive: la direttiva 91/383/CEE sulla salute e sicurezza dei lavoratori atipici; la direttiva 96/71/CE relativa al distacco dei lavoratori nell'ambito di una prestazione di servizi. Quest’ultima nell’assicurare ai lavoratori distaccati in ambito transnazionale condizioni d’impiego non inferiori a quelle applicate ai lavoratori nazionali include nell’ambito di applicazione la fornitura di lavoro tramite agenzia. Infine un altro incentivo è stato fornito dall'entrata nell'Unione Europea di nuovi Stati membri nel 11 20044. 4. (Segue): Il rapporto tra il lavoro a tempo determinato e il lavoro tramite agenzia interinale. Inizialmente, le due tipologie di contratto, disciplinanti rispettivamente il lavoro a tempo determinato e il lavoro tramite agenzia interinale, erano accomunate. Ciò si evinceva già dalla proposta di direttiva del 1982 che era volta a contrastare << gli abusi in materia di lavoro temporaneo nelle sue due forme principali, ossia i contratti di lavoro interinale o i contratti a tempo determinato >>. Da ciò si evince l’intenzione del legislatore di disciplinare congiuntamente le due tipologie di contratto di lavoro considerandoli come due species dello stesso genus ‘‘lavoro temporaneo’’ e come oggetto di quella che in quegli anni era considerata come un’unica forma di abuso: l’utilizzazione di forme di lavoro temporaneo per far fronte ad << esigenze permanenti e durevoli del datore di lavoro5 >>. La proposta di direttiva del 1982 prevedeva un’analoga tecnica di tutela consistente nel limitare il ricorso a queste forme contrattuali ai soli casi in cui ciò fosse legittimato da una temporanea riduzione dell’organico, da missioni sporadiche e non permanenti o da altri motivi tali da giustificare una durata limitata del contratto. 4 I trattati che regolano l'entrata nell'Unione Europea limitano la libertà di movimento dei lavoratori provenienti dai nuovi Stati membri con l'eccezione della libera prestazione di servizi. Pertanto, le agenzie di lavoro interinale possono essere uno strumento per raggirare questo tipo di restrizioni. 5 C. giust. 23 aprile 2009, cause riunite C-378/07 a C-380/07, Angelidaki e altri, in Racc., I-03071, punti 103 e 181. 12 La separazione tra le due forme contrattuali cominciò a delinearsi solo successivamente quando la Commissione decise di fare affidamento sul negoziato delle parti sociali che portò all’accordo quadro del 18 marzo 1999 attuato nel giugno dello stesso anno dal Consiglio con la direttiva 1999/70/CE. 4.1 La direttiva 99/70/CE sul lavoro a tempo determinato. La direttiva 99/70/CE ha un contenuto limitato all’attuazione dell’accordo quadro sui contratti a tempo determinato concluso il 18 marzo 1999 fra le organizzazioni sindacali e degli imprenditori (rispettivamente CES da un lato, UNICE e CEEP dall’altro). Il suo processo di adozione rispetta alcuni degli elementi fondamentali che sono alla base del funzionamento dell’Unione Europea: L’art 152 TFUE per cui << L'Unione riconosce e promuove il ruolo delle parti sociali al suo livello, tenendo conto della diversità dei sistemi nazionali. Essa facilita il dialogo tra tali parti, nel rispetto della loro autonomia >>. L’art 154 TFUE che prevede che la Commissione, prima di presentare una proposta nel settore della politica sociale, consulti le parti sociali e adotti tutte le misure necessarie a facilitarne il dialogo per capire se e quale possa essere l’orientamento di un’azione 13 comunitaria; successivamente un’ulteriore consultazione sarà necessaria per determinarne il relativo contenuto. L’art 155 TFUE che stabilisce che il dialogo tra le parti sociali possa portare a concludere contratti ed accordi purché siano rispettate le prassi e le procedure proprie delle parti sociali e degli Stati membri. Il meccanismo descritto in questi articoli è perfettamente rispettato nella direttiva del 1999 così come si evince sia dal titolo stesso della direttiva 6 che dall’art. 1 per il quale << Scopo della presente direttiva è attuare l'accordo quadro sui contratti a tempo determinato, che figura nell'allegato, concluso il 18 marzo 1999 fra le organizzazioni intercategoriali a carattere generale (CES, CEEP e UNICE) >>. La direttiva si pone come obiettivi quello di migliorare la qualità del lavoro a tempo determinato evitando discriminazioni tra lavoratori assunti a termine e quelli stabili e di prevenire gli abusi derivanti dalla reiterazione di assunzioni con contratto a termine. I contratti a tempo indeterminato devono ancora essere considerati come la forma comune dei rapporti di lavoro mentre i contratti a termine rispondono alle esigenze d’imprese e lavoratori solo in alcune circostanze. La direttiva 99/70 si applica a tutte le assunzioni a termine effettuate direttamente dal datore di lavoro; difatti, secondo la clausola n.3 dell’accordo quadro allegato alla direttiva, per lavoratore a tempo determinato deve intendersi << una persona con un contratto o un 6 Direttiva 1999/70/ce del consiglio del 28 giugno 1999 relativa all'accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato. 14 rapporto di lavoro definiti direttamente fra il datore di lavoro e il lavoratore e il cui termine è determinato da condizioni oggettive, quali il raggiungimento di una certa data, il completamento di un compito specifico o il verificarsi di un evento specifico >>. La struttura della direttiva è la seguente: 1) vi sono i ‘considerando’ contenenti le motivazioni che giustificano l’adozione della direttiva. Tra questi spicca il n. 3 che richiama l’art. 7 della Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori nella parte in cui prevede che la realizzazione del mercato interno deve portare a un miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro dei lavoratori nella Comunità europea; miglioramento che deve avvenire attraverso il ravvicinamento di tali condizioni, soprattutto in relazione alle forme di lavoro diverse dal lavoro a tempo indeterminato, quali il lavoro a tempo determinato, il lavoro a tempo parziale, il lavoro interinale e il lavoro stagionale. Il considerando n.5 sottolinea la necessità di incrementare l’intensità occupazionale della crescita attraverso un’organizzazione del lavoro che sia più flessibile, che venga incontro ai desideri dei lavoratori e alle esigenze di competitività. In questo contesto le parti si sono concentrate sul lavoro a tempo determinato ma dal considerando n.13 emerge l’intenzione di regolare con analoghi accordi anche il lavoro temporaneo. 2) La parte normativa della direttiva è composta da quattro articoli. Il primo è essenziale in quanto ne indica lo scopo ( << (…)attuare l'accordo quadro 15 sui contratti a tempo determinato, che figura nell'allegato, concluso il 18 marzo 1999 fra le organizzazioni intercategoriali a carattere generale (CES, CEEP e UNICE) >> ). 3) L’allegato contenente l’accordo quadro costituisce la parte fondamentale della direttiva. È composto da un preambolo, dalle considerazioni generali e dalle clausole. Nel preambolo troviamo le motivazioni per l’adozione dell’accordo (migliorare l’equilibrio tra la flessibilità dell’orario di lavoro e la sicurezza dei lavoratori) e il campo di applicazione. Difatti è espressamente statuito che l’accordo << si applica ai lavoratori a tempo determinato ad eccezione di quelli messi a disposizione di un'azienda utilizzatrice da parte di un'agenzia di lavoro interinale. È intenzione delle parti considerare la necessità di un analogo accordo relativo al lavoro interinale >>. Al quarto paragrafo del preambolo troviamo quindi l’esplicita esclusione della somministrazione dal campo di applicazione della direttiva. Questa esclusione si evince anche dalla stessa definizione di lavoratore a tempo determinato fornita nella clausola n.3 dove ci si riferisce espressamente ad un contratto o un rapporto di lavoro conclusi direttamente tra il datore di lavoro e il lavoratore. Nel caso del lavoro interinale, invece, è l’agenzia stessa che, ex art. 3.1 lett.b della direttiva 2008/104, << (…) conformemente alla legislazione nazionale, sottoscrive contratti di lavoro o inizia rapporti di lavoro con lavoratori tramite agenzia interinale al fine di inviarli in missione presso imprese 16 utilizzatrici affinché prestino temporaneamente la loro opera sotto il controllo e la direzione delle stesse>>. In tal senso, c’è stato anche un contributo determinante da parte della giurisprudenza comunitaria con la sentenza C-290/12 Della Rocca. Qui la CGUE ha stabilito espressamente che la direttiva 1999/70 e l’accordo quadro << (…)devono essere interpretati nel senso che non si applicano né al rapporto di lavoro a tempo determinato tra un lavoratore interinale e un’agenzia di lavoro interinale né al rapporto di lavoro a tempo determinato tra tale lavoratore e un’impresa utilizzatrice >>. Le disposizioni generali hanno carattere dichiarativo e danno indicazioni relative all’interpretazione della parte normativa. Anche qui (come nella direttiva sul lavoro interinale) si afferma che il lavoro a tempo indeterminato è la forma comune dei rapporti di lavoro. Per quanto riguarda le clausole, la quarta stabilisce l’uguaglianza delle condizioni d’impiego dei lavoratori a tempo determinato che non possono essere trattati in modo meno favorevole rispetto ai lavoratori a tempo indeterminato comparabili a meno che non vi siano ragioni oggettive. Il principio si applica a tutte le condizioni con l’esclusione dei trattamenti previdenziali pubblici affidati ai singoli Stati. La quinta è volta alla prevenzione degli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o rapporti a tempo determinato. Tre sono i meccanismi espressamente previsti in tal senso e tra i quali gli Stati possono scegliere: specificare le ragioni oggettive giustificatrici del 17 rinnovo; fissare la durata massima totale dei contratti successivi; fissare il numero di rinnovi. La Corte di Giustizia nel caso Adeneler chiarisce quali sono le ragioni oggettive alla cui esistenza è subordinata la rinnovazione di un contratto a termine. Sostiene che la clausola << osta all’utilizzazione di contratti di lavoro a tempo determinato successivi che sia giustificata dalla sola circostanza di essere prevista da una disposizione legislativa o regolamentare generale di uno Stato membro >>, ci devono essere elementi concreti relativi all’attività e alle condizioni del suo esercizio. 4.2 Il lavoro somministrato. Per quanto concerne invece la somministrazione, i negoziati avviati nel maggio del 2000 non hanno prodotto risultati data la difficoltà delle parti sociali di raggiungere un accordo e le difficoltà riscontrate nel cercare una definizione comune di ‘‘lavoratore comparabile’’. Successivamente, la Commissione riprese la sua iniziativa legislativa che condusse, anche se con un ritardo quasi decennale, alla redazione della direttiva 104 del 2008 relativa al lavoro tramite agenzia interinale. La direttiva 2008/104/CE riflette i principi di flexicurity7 volti alla creazione di condizioni giuridiche favorevoli allo sviluppo della concorrenza, all’organizzazione del lavoro che possa adeguarsi alle fluttuazioni della 7 La flexicurity (flessibilità e sicurezza) è una strategia politica che prova a migliorare la flessibilità dei mercati del lavoro, delle organizzazioni lavorative e dei rapporti di lavoro da una parte, e di migliorare la sicurezza sociale e dell’occupazione, in particolare per i gruppi deboli dentro e fuori dal mercato del lavoro dall’altra parte. 18 domanda dovute all’internalizzazione degli scambi. Il processo di adozione di questa direttiva si è basato proprio sull’esigenza di flessibilità nella gestione della manodopera. La somministrazione di lavoro, da un lato coniuga flessibilità e sicurezza adattandosi a quelle che sono le esigenze attuali dell’economia, ma dall’altro non comporta un incremento dell’occupazione dato che il monte ore di lavoro resta invariato ma lo si divide tra più soggetti. 4.3 La Corte di Giustizia dall’ordinanza Briot C-386/09 alla sentenza C-290/12 Della Rocca. La Corte di Giustizia nell’ordinanza Briot8 ha accertato che il mancato rinnovo di un contratto di lavoro a tempo determinato di un lavoratore interinale, terminato, per effetto della sopravvenienza della sua scadenza, in una data anteriore a quella del trasferimento dell’attività cui era stato assegnato tale lavoratore, non violasse la Direttiva 2001/23/CE sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti d’imprese, di stabilimenti o di parti d’imprese o di stabilimenti. Inoltre la Corte ha precisato al punto 36 che il lavoratore interinale << potrebbe all’occorrenza beneficiare contro l’abuso di contratti di lavoro a tempo determinato successivi (…) di altre disposizioni di diritto comunitario, segnatamente 8 CGUE, 15 settembre 2010, C-386/09, Briot. 19 della direttiva del Consiglio 28 giugno 1999, 1999/70/CE, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, nonché dell’interpretazione che la Corte dovrà fornire di queste ultime >>. Quanto sostenuto in questa pronuncia risulta essere ridimensionato da quanto affermato nella successiva sentenza C-290/12 Della Rocca che segna definitivamente la conclusione di un percorso che ha portato a differenziare la disciplina del lavoro a tempo determinato da quella del lavoro tramite agenzia interinale. In quest’ultima sentenza i giudici compiono un passo indietro nella definizione delle tutele dei lavoratori a tempo determinato assunti dalle agenzie di lavoro interinale: la Corte ha escluso che al rapporto di lavoro a tempo determinato alle dipendenze di un’agenzia di lavoro interinale si applichi la direttiva comunitaria 1999/70/CE, stante l’espressa esclusione in questa contenuta al quarto paragrafo del preambolo dove si legge che << Il presente accordo si applica ai lavoratori a tempo determinato, ad eccezione di quelli messi a disposizione di un'azienda utilizzatrice da parte di un'agenzia di lavoro interinale. È intenzione delle parti considerare la necessità di un analogo accordo relativo al lavoro interinale >>. Nel caso Della Rocca, la sez. VIII della CGUE si è pronunciata relativamente alla questione sottopostale dal Giudice del Lavoro di Napoli, adito da un lavoratore per giudicare circa la legittimità o meno di tre contratti di lavoro a tempo determinato in forza dei quali veniva messo a disposizione delle Poste Italiane come portalettere sulla 20 base di un contratto di somministrazione di lavoro a tempo determinato concluso tra l’agenzia di somministrazione e le Poste Italiane, al fine di provvedere alla sostituzione del personale assente addetto al servizio recapito presso la regione Campania. Il lavoratore reputava i motivi del ricorso alla somministrazione di lavoro a tempo determinato generici e insussistenti e la proroga non motivata. Adì il Tribunale di Napoli per far accertare la somministrazione irregolare e l’esistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con le Poste Italiane. Il Tribunale di Napoli, ritenuta pregiudiziale la questione se la direttiva 1999/70/CE sul lavoro a tempo determinato e l’accordo quadro si applicassero al rapporto di lavoro a tempo determinato tra un lavoratore interinale e un’agenzia di lavoro interinale e al rapporto di lavoro a tempo determinato tra tale lavoratore e un’impresa utilizzatrice, la sottoponeva alla Corte di Giustizia Europea. La Corte ha stabilito che << la direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, e l’accordo quadro che compare in allegato a tale direttiva, devono essere interpretati nel senso che non si applicano né al rapporto di lavoro a tempo determinato tra un lavoratore interinale e un’agenzia di lavoro interinale né al rapporto di lavoro a tempo determinato tra tale lavoratore e un’impresa utilizzatrice. L’esclusione che compare nel preambolo dell’accordo quadro è riportata anche nella 21 clausola 3, punto 1, di quest’ultimo, secondo la quale soltanto il rapporto di lavoro concluso «direttamente» con il datore di lavoro rientra nell’ambito di tale accordo quadro >>. Questa esclusione riguarda il lavoratore interinale in quanto tale e non si riferisce ai suoi rapporti di lavoro quali quello con l’agenzia di lavoro interinale e quello con l’azienda utilizzatrice. Per i giudici comunitari, è pacifico che il rapporto di lavoro interinale rientri nell’ambito di applicazione ratione materiae della direttiva 2008/104 che disciplina in maniera analitica ed esclusiva il lavoro temporaneo. Dato che il legislatore comunitario ha previsto una legislazione ad hoc per il lavoro somministrato, è a questa che bisogna fare riferimento. Nel caso di specie invece era stata richiesta l’applicabilità dell’accordo quadro sul contratto a tempo determinato poiché i contratti di somministrazione erano stati stipulati prima dell’entrata in vigore della direttiva del 2008. La Corte, analizzando tutto il contenuto dell’accordo, ha spiegato come esso non possa e non debba avere un’applicazione illimitata. Già nel suo preambolo incontriamo l’esclusione dal campo di applicazione del “lavoratore temporaneo in quanto tale” e la Corte precisa ulteriormente << con la conseguenza che tanto il suo rapporto di lavoro con l’agenzia interinale quanto quello sorto con l’azienda utilizzatrice esulano dall’ambito di applicazione di tale accordo quadro >>. La Corte si è soffermata ancora sulla circostanza che << la somministrazione di lavoratori interinali costituisce una costruzione 22 complessa e specifica del diritto del lavoro che implica, (….) un duplice rapporto di lavoro tra, da un lato, l’agenzia di lavoro interinale e il lavoratore interinale, e, dall’altro, quest’ultimo e l’impresa utilizzatrice, nonché un rapporto di somministrazione tra l’agenzia di lavoro interinale e l’impresa utilizzatrice. Orbene, l’accordo quadro non contiene disposizioni vertenti su questi aspetti specifici >>. La Corte di Giustizia ha chiarito come l’istituto del lavoro in somministrazione e le tutele a esso connesse debbano essere distinte dal contratto di lavoro a tempo determinato e dalle tutele tipiche di tale istituto. Infatti, la stessa ha più volte affermato come i due istituti siano differenti e abbiano delle discipline diverse, anche se in alcuni casi presentino delle analogie. La Corte ha affermato pure che tale esclusione non è limitata solo al contratto concluso tra lavoratore e società di somministrazione, ma anche a quello commerciale (ovvero il contratto stipulato tra agenzia di somministrazione e società utilizzatrice). Questa precisazione si è rivelata necessaria, dato che alcuni Giudici erano soliti assoggettare il contratto commerciale di somministrazione alle tutele del contratto a tempo determinato. 5. La negoziazione della direttiva sul lavoro tramite agenzia interinale. 23 Il procedimento che porta alla formazione della direttiva 2008/104/CE si compone di due fasi, il tentativo negoziale e l’intervento legislativo vero e proprio. Nel 2000 si è aperta la fase ‘‘negoziale’’ caratterizzata dalla ricerca di un accordo sulle soluzioni da adottare da parte delle organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro9. Le organizzazioni dei lavoratori non erano certe del valore aggiunto che potesse essere dato da una regolamentazione a livello comunitario del lavoro temporaneo tramite agenzia. Avendo però l'Unione Europea varato una procedura che prevedeva la consultazione delle parti sociali europee, la CES (Confederazione Europea dei Sindacati) e l'UNICE (Unione delle confederazioni europee dell’industria e dei datori di lavoro, ora denominata BusinessEurope) dovevano valutare se la possibilità di partecipare ai negoziati avrebbe portato a risultati migliori. L'incentivo a questo tipo di negoziazioni era dato dalla presenza della CIETT (Confederazione Internazionale delle Agenzie di Lavoro Temporaneo). Le negoziazioni tra CES, UNI-Europa (Confederazione Europea Sindacati, Servizi e Comunicazioni, è parte della CES) - dalla parte dei lavoratori - e UNICE, CIETT e CEEP (Centro Europeo delle Imprese a Partecipazione Pubblica) - dalla parte dei datori di lavoro - sono iniziate nel maggio del 2000. 9 Le speranze di successo erano numerose dati gli esiti positivi riscontrati da questo modus operandi relativamente agli accordi-quadro sui congedi parentali del 1996, sul lavoro a tempo parziale del 1997, sul lavoro a tempo determinato del 1999 conclusi dalle organizzazioni intercategoriali a livello europeo (UNICE, CEES e CEP) e trasfusi rispettivamente nelle direttive 1996/34/Ce, 1997/81/Ce, 1999/70/Ce. 24 All’interno della CES era evidente un certo protagonismo della Federazione UNI-Europa che, durante il processo di negoziazione, ha raggiunto con la CIETT una dichiarazione comune incentrata principalmente su due punti: a) il lavoro tramite agenzia come strumento positivo per lo sviluppo del mercato del lavoro; b) il dialogo sociale come strumento per migliorare le condizioni di lavoro e di impiego dei lavoratori forniti da agenzie. Questa dichiarazione poteva essere interpretata come un segnale di una possibile intesa a livello settoriale ma invece ha segnato solo l’inizio della fine dei negoziati dato che la CES non la accolse con favore, considerando il lavoro temporaneo tramite agenzia come privo di un ruolo positivo nel mercato del lavoro e volendo marginalizzare il suo utilizzo. I negoziati sono falliti nel 2001 dato il disaccordo troppo forte su temi chiave dell'accordo stesso (restrizioni all’uso del lavoro interinale, parità di trattamento tra i lavoratori dell’agenzia e quelli alle dirette dipendenze dell’utilizzatore) e sul contenuto delle negoziazioni. Non c'era unanimità di vedute sullo scopo dell'accordo in quanto la CES avrebbe voluto dare un’importanza marginale alle agenzie di lavoro temporaneo o almeno prevedere maggior protezione per i lavoratori mentre i rappresentanti dei datori di lavoro indicavano le agenzie di lavoro temporaneo come strumento utile alla creazione di posti di lavoro. Le tematiche più discusse sono state: a) l'inclusione o meno del salario tra le condizioni essenziali dell'impiego tenendo conto del principio di parità di 25 trattamento; b) lo scopo dell'accordo ed in particolare se estenderlo o meno ad agenzie di lavoro interinale con lavoratori con contratti a tempo indeterminato; c) l'attuazione del principio di parità di trattamento e la definizione di un possibile lavoratore comparabile. Per la CES, il lavoratore comparabile avrebbe dovuto essere un lavoratore a tempo pieno dell’impresa con gli stessi incarichi del lavoratore interinale, ma non si riuscì a trovare un accordo con le organizzazioni dei datori di lavoro. I rappresentanti dei lavoratori sostenevano che il punto di riferimento per le condizioni essenziali quali la retribuzione, l’orario di lavoro, la salute e la sicurezza fosse un lavoratore dell’impresa utilizzatrice con lo stesso impiego o con un impiego simile. I rappresentanti dei datori di lavoro non erano invece d’accordo nell’estendere questa definizione a tutti gli Stati membri considerato che, in alcuni Paesi, i lavoratori temporanei avevano un contratto a tempo indeterminato con l’agenzia e pertanto erano pagati anche tra una missione e l’altra. Sostenevano pertanto che il concetto di lavoratore comparabile servisse come termine di paragone in relazione al numero massimo di ore di lavoro, il periodo minimo di riposo, la tutela della salute e sicurezza. La definizione di altre condizioni, quali appunto la retribuzione, doveva essere lasciata agli Stati membri e alle rispettive parti sociali. Un altro fattore che ha portato alla mancata approvazione della direttiva è stato l'intervento del servizio legale della Commissione che, chiamata a pronunciarsi sull'includere o meno il salario tra le condizioni d’impiego dei 26 lavoratori, ha indicato una tale inclusione non coerente con l'art. 137 TCE (oggi 153 TFUE) dato che questo articolo esclude espressamente l’intervento dell’Unione Europea a sostegno e completamento dell’azione degli Stati membri nel settore della retribuzione in quanto si tratta di un’area sensibile influenzata particolarmente dai sistemi di relazioni industriali e che si collega alla tutela dei diritti fondamentali riconosciuti dalle Costituzioni degli Stati membri. Non avendo raggiunto un accordo sui punti chiave dopo nove mesi di negoziazione, le parti chiesero la concessione di un ulteriore mese ma comunque le differenze di opinioni sul ‘lavoratore comparabile’ non hanno permesso il raggiungimento di un accordo e il 21 maggio 2001 le negoziazioni si sono concluse. Si è aperta così la fase ‘‘legislativa’’. La Commissione ha ripreso l'esercizio del suo potere d’iniziativa legislativa, sospeso durante le negoziazioni. Ha elaborato un progetto di direttiva tenendo conto delle bozze precedenti inviatele dalle parti sociali e dell'ulteriore accordo stretto tra UNI-Europa e CIETT contenente le relative aspettative sulla direttiva sul lavoro interinale tramite agenzia. La proposta della Commissione è stata emessa nel marzo del 200210 con l'intento di valorizzare i punti di intesa già raggiunti e superare le divergenze emerse ed è stata sottoposta al Parlamento Europeo così come prevede la procedura legislativa ordinaria di codecisione ex art. 251 TCE (oggi 294 TFUE). 10 COMMISSIONE EUROPEA, COM(2002)149 def., Proposta di direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio relativa alle condizioni di lavoro dei lavoratori temporanei, Bruxelles, 20 marzo 2002. 27 La proposta della Commissione cercava di raggiungere un equilibrio tra le istanze di protezione dei lavoratori temporanei, l'esigenza di un mercato del lavoro più fluido e trasparente e le aspettative di un ulteriore sviluppo del settore del lavoro temporaneo. Il cuore della proposta combinava due elementi: a) la definizione dello status di lavoratore temporaneo e l'uniformazione delle principali condizioni di lavoro a quelle del lavoratore comparabile nell'impresa utilizzatrice; b) l'obbligo di riesame periodico dei divieti e delle restrizioni operanti eventualmente a livello nazionale per alcune categorie di lavoratori o per alcuni settori produttivi, al fine di controllare la persistenza delle condizioni che ne giustificassero l'esistenza con l'obbligo di sopprimere le restrizioni in caso di riscontro negativo. Si fa quindi riferimento per la prima volta al 'lavoratore comparabile' come strumento di attuazione del principio di parità di trattamento e nel novembre 2002 il testo così emendato è stato inviato al Consiglio dove è rimasto fino al 2008 a causa dell'opposizione di una minoranza di Stati Membri (Danimarca, Germania, Irlanda, Regno Unito e, in seguito all'allargamento dell’Unione Europea del 2004, anche Slovacchia e Polonia). Le principali ragioni dell'opposizione erano relative al trattamento dei lavoratori temporanei e all'ampiezza delle deroghe soprattutto considerando mancante, in Danimarca, Regno Unito ed Irlanda, il principio 28 di parità di trattamento in materia di condizioni di lavoro e di retribuzione tra lavoratori temporanei e lavoratori dell'impresa utilizzatrice. L'ordinamento slovacco prevedeva invece una deroga più ampia rispetto a quella prevista nella proposta di direttiva all'art. 5, par. 4 secondo il quale quanto previsto dal primo paragrafo11 non si applica << al lavoratore temporaneo che svolge una prestazione o una serie di prestazioni, presso la stessa impresa utilizzatrice, nell'ambito di un lavoro che, tenuto conto della sua durata o natura, può essere realizzato in un periodo che non superi le sei settimane >>; difatti il principio di parità di trattamento trovava applicazione solo a partire dal compimento di un periodo di missione pari a sei mesi. Per quanto riguarda la Germania, il lavoro tramite agenzia è stato oggetto di modificazioni con la Riforma Hartz del 2002 che si è attenuta alle proposte di direttiva sembrando quasi uno strumento di attuazione anticipata. Il Regno Unito, invece, aveva sempre mostrato una forte opposizione all'approvazione della direttiva, data l'assoluta liberalizzazione del lavoro intermediato nell'ordinamento britannico. Le ragioni di questa opposizione risiedevano nel fatto che il lavoro tramite agenzia era uno strumento importante di flessibilità per le imprese britanniche ed infatti le uniche norme presenti, rinvenibili nell’Employment Agencies Act 1973 e nell’Employment Business Regulations aggiornato al 2003, regolavano 11 I lavoratori temporanei nel corso della loro prestazione ricevono un trattamento almeno equivalente a quello di cui gode un lavoratore comparabile in relazione alle condizioni di base di lavoro e d'occupazione, salvo che ragioni oggettive giustifichino un trattamento diverso. 29 esclusivamente i diritti di informazione sulle condizioni contrattuali e sui rischi per la salute, i limiti alle facoltà delle agenzie di richiedere compensi ai lavoratori temporanei, il divieto di sostituzione dei lavoratori in sciopero. Mancava quindi del tutto la definizione legale della relazione giuridica intercorrente tra l'agenzia fornitrice e il lavoratore inviato in missione che fu risolta dalla giurisprudenza con soluzioni divergenti12. Uno dei problemi principali era poi causato da tre obiezioni che si erano mosse contro la parità di trattamento: la deroga nordica: possibilità di derogare al principio attraverso la contrattazione collettiva. Nei paesi nordici, soprattutto in Svezia e Danimarca, essendo le condizioni dei lavoratori regolate da contratti collettivi, si voleva evitare che questo potere della contrattazione collettiva potesse essere ridotto dall’adozione della direttiva. Questa deroga è confluita nell’art. 5.3 della direttiva che prevede che gli Stati possano accordare alle parti sociali la possibilità di concludere o mantenere contratti collettivi nel rispetto della protezione globale dei lavoratori e che attraverso i quali possono prevedere modalità alternative di condizioni di lavoro e d’occupazione; la deroga tedesca: possibilità di derogare al principio per quanto concerne il salario dei lavoratori con contratto a tempo indeterminato stipulato dall'agenzia di lavoro interinale e previa 12 Il rapporto di lavoro è stato definito tanto come autonomo quanto come subordinato. 30 consultazione delle parti sociali (oggi cfr. art. 5 par.2 direttiva 2008/104). L'includere o meno i lavoratori assunti a tempo indeterminato dall’agenzia tra i lavoratori cui si applica la direttiva è stato uno dei punti più discussi del processo di contrattazione tra le parti sociali europee e la deroga tedesca sembrava essere una soluzione intermedia al problema; la deroga inglese: compimento di un periodo di qualificazione, cioè il periodo di dodici settimane durante le quali il lavoratore interinale svolge lo stesso incarico presso lo stesso cliente e fino alla conclusione del quale non si applica il principio di pari trattamento con i dipendenti dell’utilizzatore. Nella maggior parte dei paesi europei, il lavoro attraverso agenzia è prettamente temporaneo e gli incarichi sono di breve durata. La previsione di un lungo periodo di qualificazione dei lavoratori comporta l’esclusione di un grande numero di questi dall'applicazione della direttiva. Raggiunto un accordo sul principio di parità di trattamento13 e sul lavoratore comparabile, comunque, gli Stati continuavano ad essere in disaccordo sullo scopo della direttiva: alcuni enfatizzavano l’esigenza di flessibilità del mercato del lavoro mentre altri Stati premevano per la 13 Il contrasto sulla parità di trattamento tra le parti sociali e il Consiglio riguardava vari aspetti: ci si domandava se riguardasse solo il trattamento economico o anche quello normativo, se si dovesse applicare dal primo giorno di missione o dopo un certo periodo, se fosse possibile prevedere delle deroghe alla parità retributiva in caso di impiego a tempo indeterminato alle dipendenze dell’agenzia interinale. Su tutti questi argomenti, le posizioni erano discordanti e un punto d’incontro si è raggiunto con la previsione di cotante deroghe. 31 protezione dei lavoratori temporanei delle agenzie. Nel maggio 2008, i partner sociali europei per le agenzie di lavoro temporaneo si dichiararono pronti a raggiungere un accordo sull'attuazione del principio di parità di trattamento ribadendo la necessità di una regolamentazione a livello europeo. Ciò portò il governo del Regno Unito e le principali organizzazioni sindacali e dei datori di lavoro a trovare un accordo sul principio stesso. Negli ultimi tempi era emerso qualche segno di rottura rispetto al tradizionale astensionismo britannico. Si era infatti introdotto nel 2004, in seguito ad un episodio tragico14, il Gangmaster Licensing Act entrato pienamente in vigore nel 2006 e contenente la previsione di un sistema di licenze per la fornitura di lavoro temporaneo nel settore del packaging industriale, dell’agricoltura ed orticultura, della raccolta dei frutti di mare. Il cambiamento di rotta del Regno Unito dimostra come la disputa debba essere risolta prima a livello nazionale in modo da evitare di contaminare le negoziazioni a livello europeo. Con la conversione del principale oppositore, fu possibile l'adozione di una nuova bozza che fu inviata al Parlamento Europeo e alla fine adottata dal Parlamento e dal Consiglio dell’Unione Europea il 19 novembre 2008. 6. La Parità di trattamento e il lavoratore comparabile. 14 Ci riferiamo alla tragedia di Morecambe Bay, nel Lancashire, dove annegarono il 5 febbraio 2004 ventitré lavoratori cinesi intenti nella raccolta di vongole. La tragedia evidenziò i rischi e i pericoli della immigrazione clandestina verso l'economia britannica e portò all’emanazione del Gangmaster Licensing Act. 32 Definizione di questi concetti nella proposta di direttiva n. 149 del 2002 relativa alle condizioni di lavoro dei lavoratori temporanei. La Commissione nella Relazione allegata alla proposta di direttiva del 20 marzo 2002 ritenne possibile uno sviluppo armonico e socialmente sostenibile del lavoro somministrato attraverso una piena legittimazione sociale di questa forma di lavoro e una generalizzazione in tutti gli Stati membri del principio di parità di trattamento come presupposto giuridico necessario per superare qualsiasi tipo di speculazione parassitaria sul lavoro altrui. Difatti la previsione di una base minima di diritti per i lavoratori temporanei ne avrebbe aumentato l’attrattiva richiamando quindi un maggior numero di lavoratori e di conseguenza ampliando le possibilità di scelta dell’impresa utilizzatrice. Le deroghe potevano essere ammesse solo in funzione di specifiche misure di politica attiva volte all’inserimento o reinserimento nel mercato del lavoro di soggetti svantaggiati così come si legge all’art 1.3 della proposta di direttiva dove si prevedeva la possibilità per gli Stati di non applicare la direttiva << ai rapporti di lavoro conclusi nell’ambito di un programma di formazione, d’inserimento e di riqualificazione professionale erogato direttamente o patrocinato da enti pubblici15 >>. All’art. 2, relativo alle finalità della direttiva, si affermava che il miglioramento della qualità del lavoro temporaneo si poteva ottenere garantendo il rispetto del principio di non discriminazione nei confronti dei 15 La deroga si trova anche nel testo definitivo della direttiva. 33 lavoratori temporanei. In virtù di questo principio i lavoratori temporanei, nel corso della prestazione, dovevano godere di un trattamento almeno equivalente a quello di un lavoratore comparabile con riferimento alle condizioni di base di lavoro e d’occupazione, comprese quelle che derivano dall’anzianità lavorativa. Quindi per evitare qualsiasi tipo di discriminazione bisognava avere ben chiari due concetti: ‘lavoratore comparabile’ e ‘condizioni di base di lavoro e d’occupazione’. La definizione di lavoratore comparabile era posta nell’art. 3 lett.b della proposta di direttiva in cui lo si identificava con << il lavoratore dell’impresa utilizzatrice che occupa un posto identico o analogo a quello occupato dal lavoratore messo a disposizione dall’impresa di fornitura di lavoro temporaneo, tenuto conto dell’anzianità, delle qualifiche e delle competenze >>. L’art 5.5 prevedeva che nel caso non fosse rinvenibile presso l’utilizzatore un lavoratore comparabile, si dovesse fare riferimento al contratto collettivo applicabile all’impresa utilizzatrice o, in sua assenza, al contratto collettivo applicabile all’agenzia interinale. Nel caso questi parametri non fossero riscontrabili, si sarebbero dovute prendere in considerazione le condizioni di base di lavoro e d’occupazione del lavoratore temporaneo secondo le leggi e prassi nazionali16. Agli artt. 5 e 6 della proposta, si prevedeva che il principio di non discriminazione si applicasse almeno che non vi fossero ragioni oggettive giustificatrici di una sua deroga e sempre che la missione o la serie di 16 Rientravano in queste condizioni (e alcune di esse rientrano tutt’oggi) secondo l’art. 3 lett.d l’orario di lavoro, i periodi di riposo, il lavoro notturno, le ferie retribuite, le festività, la retribuzione, il lavoro durante gravidanza e allattamento, etc. 34 missioni avessero una durata superiore alle sei settimane. Si derogava alla parità di trattamento rispetto al lavoratore comparabile in relazione alla retribuzione nel caso in cui il contratto di lavoro del lavoratore interinale con l’agenzia fosse a tempo indeterminato e prevedesse la percezione di un trattamento economico nel periodo intercorrente tra una missione e l’altra. La parità si rifletteva anche nel diritto del lavoratore temporaneo di dover essere informato relativamente ai posti di lavoro permanenti disponibili presso l’utilizzatore e la possibilità per i lavoratori somministrati di godere dei servizi sociali dell’impresa utilizzatrice salvo oggettive ragioni giustificatrici di un trattamento diverso. Gli artt. 7 e 8 prevedevano un quadro minimo di tutela dei diritti collettivi tanto dei lavoratori temporanei quanto di quelli alle dirette dipendenze dell’utilizzatore. Disponevano rispettivamente che: - i lavoratori temporanei dovevano essere computati nell’organico dell’agenzia interinale ai fini della costituzione delle rappresentanze sindacali. Agli Stati membri era poi attribuita la facoltà di prevedere che fossero computati, allo stesso fine, anche presso l’utilizzatore; - l’impresa utilizzatrice doveva informare le rappresentanze sindacali dei propri lavoratori della presenza di lavoratori somministrati. Nel periodo di negoziazione della direttiva, si erano discusse le possibili modifiche al principio della parità di trattamento per cercare di raggiungere un accordo tra i vari Stati membri senza mai riuscirci. Il punto più rilevante 35 riguardava però l’applicazione della parità di retribuzione tra lavoratore interinale e lavoratore comparabile fin dal primo giorno di missione voluta da undici Paesi, andando contro la previsione del periodo di esenzione per incarichi di durata inferiore alle sei settimane (appoggiata da Regno Unito, Irlanda, Germania e Danimarca). Definizione secondo la direttiva 104 del 2008. Dal combinato disposto dell’art. 5.1 e del considerando n.14 deduciamo che le condizioni di base di lavoro e di occupazione dei lavoratori interinali devono essere almeno identiche a quelle che si applicherebbero loro se fossero stati assunti direttamente dall’impresa per svolgere gli stessi incarichi. Nel testo della direttiva adottato in via definitiva, a parte il richiamo su citato, manca all’art. 3 un’espressa definizione di ‘lavoratore comparabile’ che era invece presente nella proposta di direttiva del 2002. La Commissione, comunque, è incaricata di verificare se nella pratica il riferimento a un lavoratore comparabile permetta la corretta applicazione del principio o se invece dia luogo a pratiche discriminatorie nei confronti dei lavoratori interinali. In quest’ultimo caso dovrà adottare le misure necessarie a garantire la piena osservanza della direttiva. La parità di trattamento potrebbe essere vista per un verso come divieto di discriminazione dato che proibisce le differenziazioni basate sulla diversa natura del modello di assunzione, per un altro come estrinsecazione di un 36 generale principio di uguaglianza sostanziale caratterizzato sia dall’imposizione di divieti che da misure promozionali che gli Stati devono attuare affinché sia rispettato il principio in questione. La parità di trattamento e il confronto con il lavoratore comparabile si traducono in parità di opportunità. I singoli ordinamenti devono concedere ai lavoratori interinali ex art. 6: - la possibilità di ricorrere all’interno dell’impresa utilizzatrice alle strutture collettive (servizi di ristorazione, di trasporto, infrastrutture di accoglienza dell’infanzia); - la di chance accesso all’impiego stabile attraverso obblighi d’informazione sull’esistenza di posti vacanti e il divieto di meccanismi che limitino o impediscano l’assunzione alle dirette dipendenze dell’utilizzatore. Nel progetto di direttiva del 2002 si parlava di ‘principio di non discriminazione’ come strumento volto a ottimizzare la qualità del lavoro temporaneo mentre nella direttiva in esame si parla di ‘principio di parità di trattamento’ sulla base del quale sono vietate le differenze di trattamento fondate sulla diversa natura del modello di assunzione ed è promossa l’uguaglianza sostanziale. Si può dire che questo cambio non sia stato casuale, bensì sottolinea la maggior ampiezza degli obiettivi che sono repressivi e promozionali allo stesso tempo. La direttiva del 2008 ha poi mantenuto le previsioni della proposta relative al diritto dei lavoratori interinali di essere informati sui posti disponibili 37 all’interno dell’impresa stessa e di ricorrere alle attrezzature collettive (art. 6), e alla possibilità di essere presi in considerazione per il calcolo della soglia al di sopra della quale si devono costituire gli organi rappresentativi dei lavoratori (art. 7). Si è mantenuta inoltre (all’art. 5.2) la parità di retribuzione prevedendo però la possibilità degli Stati di derogarvi << nel caso in cui lavoratori tramite agenzia interinale che sono legati da un contratto a tempo indeterminato a un’agenzia interinale continuino a essere retribuiti nel periodo che intercorre tra una missione e l’altra >>. 38 CAPITOLO 1 LA DIRETTIVA 2008/104 SOMMARIO: 1. Analisi dei ‘considerando’. - 2. Ambito di applicazione. - 3. Finalità. - 4. Definizioni. - 5. Riesame dei divieti e delle restrizioni. - 6. Principio della parità di trattamento. - 6.1 Rapporto con l’art. 3. - 6.2 Deroghe alla parità di trattamento. - 6.3 Abuso nell’applicazione dell’art.5 . - 7. Accesso all’occupazione, alle attrezzature collettive e alla formazione professionale. - 8. Rappresentanza dei lavoratori tramite agenzia interinale. - 9. Informazione dei rappresentanti dei lavoratori. - 10. Disposizioni finali. 1. Analisi dei ‘considerando’. La direttiva si applica ai lavoratori che hanno un contratto o un rapporto di lavoro con un’agenzia interinale e che sono assegnati ad un’impresa utilizzatrice sotto la direzione e il controllo della quale prestano il proprio lavoro temporaneamente. La direttiva è volta ad armonizzare la normativa comunitaria per la tutela dei lavoratori tramite agenzia interinale tenendo conto di come siano considerati in maniera differente la posizione giuridica, lo status, le condizioni di lavoro dei lavoratori interinali nei diversi paesi dell’Unione Europea (considerando 10). La grande varietà di discipline esistenti nei Paesi dell’Unione aveva costituito il principale ostacolo all’introduzione di una normativa europea in materia ed era stata causa del fallimento del dialogo delle parti sociali. La situazione era così eterogenea da non rendere possibile al legislatore l’individuazione di un modello unico di lavoro interinale. 39 La direttiva in realtà non sceglie tra i diversi possibili modelli di lavoro interinale ma fissa un certo grado di tutela per questa categoria di lavoratori atipici basato sul principio della parità di trattamento. Premesso che il lavoro somministrato permette ai lavoratori dipendenti di conciliare la vita privata e professionale rispondendo alle esigenze di flessibilità delle imprese (considerando 11), la direttiva stessa non manca però di sottolineare la centralità dei contratti di lavoro a tempo indeterminato indicandoli come << la forma comune dei rapporti di lavoro>> (considerando 15). Del resto lo stesso art. 6 della direttiva prevede al primo paragrafo che gli interinali siano << informati dei posti vacanti nell’impresa utilizzatrice, affinché possano aspirare, al pari degli altri dipendenti dell’impresa, a ricoprire posti di lavoro a tempo indeterminato >> ed al secondo paragrafo prevede che siano nulle le clausole che vietano o impediscono << la stipulazione di un contratto di lavoro o l’avvio di un rapporto di lavoro tra l’impresa utilizzatrice e il lavoratore tramite agenzia interinale al termine della sua missione>>. Al considerando 12 si prevede un quadro normativo << non discriminatorio, trasparente e proporzionato nel rispetto della diversità dei mercati del lavoro e delle relazioni industriali >>. Inoltre deve essere applicato anche il principio di sussidiarietà1 infatti, secondo il considerando 23, l’obiettivo della direttiva di istituire << un 1 Secondo l’art. 5,3 TUE << In virtù del principio di sussidiarietà, nei settori che non sono di sua competenza esclusiva l'Unione interviene soltanto se e in quanto gli obiettivi dell'azione prevista non possono essere conseguiti in misura sufficiente dagli Stati membri, né a livello centrale né a 40 quadro armonizzato a livello comunitario per la tutela dei lavoratori tramite agenzia interinale non può essere realizzato in maniera sufficiente dagli Stati membri e può dunque, a causa delle dimensioni o degli effetti dell’azione prevista, essere realizzato meglio a livello comunitario tramite l’introduzione di prescrizioni minime applicabili all’intera Comunità >>. La realizzazione del mercato interno deve portare a un miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro dei lavoratori e questo risultato si può raggiungere attraverso il ravvicinamento, nel progresso, di tali condizioni soprattutto per alcune forme di lavoro quali il lavoro a tempo determinato, a tempo parziale, tramite agenzia interinale, stagionale (considerando 2). Le condizioni di base di lavoro e occupazione del lavoratore somministrato << dovrebbero essere almeno identiche a quelle che si applicherebbero a tali lavoratori se fossero direttamente impiegati dall’impresa utilizzatrice per svolgervi lo stesso lavoro >> (considerando 14). Gli Stati membri, data la diversità dei mercati del lavoro, possono accordare alle parti sociali la possibilità di individuare le condizioni di lavoro e d’occupazione nel rispetto del livello globale di tutela dei lavoratori tramite agenzia interinale (considerando 16). Le parti sociali <<hanno il diritto di negoziare e di concludere contratti collettivi conformemente alle legislazioni e alle prassi nazionali pur rispettando l’attuale normativa comunitaria>> (considerando 19). Al verificarsi di livello regionale e locale, ma possono, a motivo della portata o degli effetti dell'azione in questione, essere conseguiti meglio a livello di Unione >>. 41 alcune circostanze ben individuate2, gli Stati membri devono avere la possibilità di derogare al principio della parità di trattamento attraverso accordi conclusi dalle parti sociali di livello nazionale che siano in grado di garantire un appropriato livello di tutela (considerando 17). Per migliorare la tutela minima dei lavoratori interinali si deve procedere a un riesame delle eventuali restrizioni o divieti imposti al ricorso al lavoro tramite agenzia; restrizioni o divieti che sono giustificati solo da ragioni di interesse generale quali la tutela dei lavoratori, le prescrizioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro nonché la necessità di garantire il buon funzionamento del mercato del lavoro e la prevenzione di abusi. Sicuramente valido è poi il divieto di sostituire i lavoratori in sciopero con i lavoratori tramite agenzia previsto da alcuni Stati membri. 2. Ambito di applicazione. Articolo 1 1. La presente direttiva si applica ai lavoratori che hanno un contratto di lavoro o un rapporto di lavoro con un’agenzia interinale e che sono assegnati a imprese utilizzatrici per lavorare temporaneamente e sotto il 3 controllo e la direzione delle stesse. 2. La presente direttiva si applica alle imprese pubbliche e private che sono agenzie di lavoro interinale o imprese utilizzatrici che esercitano un’attività economica con o senza fini di lucro. 3. Gli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali, possono prevedere che la presente direttiva non si applichi ai contratti o ai rapporti di 2 Si può derogare alla parità di trattamento al ricorrere delle circostanze indicate all’art. 5 della direttiva: con riferimento alla retribuzione quando i lavoratori interinali sono legati da un contratto a tempo indeterminato con l’agenzia e sono retribuiti anche nel periodo intercorrente tra una missione e l’altra; quando gli Stati Membri lasciano alle parti sociali la possibilità di mantenere o concludere contratti collettivi che stabiliscono modalità alternative relative alle condizioni di lavoro e d’occupazione; quando le modalità alternative sono previste da accordi conclusi dalle parti sociali in Paesi in cui i contratti collettivi non risultano essere universalmente applicabili né vi sia un sistema legislativo che consenta di estendere questi contratti a tutte le imprese simili di un determinato settore od area geografica. 3 I termini oggetto di questo paragrafo sono definiti nell’art. 3 e pertanto si rimanda al relativo paragrafo. 42 lavoro conclusi nell’ambito di un programma specifico di formazione, d’inserimento e di riqualificazione professionali, pubblico o sostenuto da enti pubblici. La bozza iniziale presentata il 20 marzo 2002 dalla Commissione affermava che la direttiva fosse applicabile alle imprese pubbliche e private esercenti un’attività economica con o senza fini di lucro. Non era però chiaro se con ‘imprese pubbliche e private’ ci si riferisse alle agenzie interinali e/o alle imprese utilizzatrici. Il punto fu chiarito successivamente nel novembre dello stesso anno dal Parlamento Europeo il quale specificò che la direttiva si applicava alle imprese pubbliche e private impegnate in attività economiche e che operavano come agenzie interinali con o senza fini di lucro e alle imprese utilizzatrici pubbliche o private impegnate o meno in attività economiche con o senza fini di lucro. Parallelamente, il gruppo di lavoro sulle questioni sociali cominciò ad esaminare la proposta della Commissione articolo per articolo. Il Belgio, la Finlandia e il Regno Unito chiesero espressamente dei chiarimenti in relazione all’ambito di applicazione della direttiva in quanto non risultava chiaro quali fossero i tipi di imprese incluse. La Commissione affermò che ci si riferiva a imprese esercenti attività economiche (pertanto risultavano incluse imprese pubbliche controllate dallo Stato) e che erano coperte sia le agenzie di lavoro interinale che le imprese utilizzatrici. Secondo il testo finale accolto, sia l’agenzia interinale che l’impresa utilizzatrice devono essere impegnate in attività economiche. Normalmente questo requisito risulta essere rispettato dalle agenzie; più 43 complessa è invece la situazione delle imprese utilizzatrici dato che non tutte le attività possono essere identificate come tali. Il testo definitivo del secondo paragrafo non impone agli Stati membri di applicare la direttiva alle imprese utilizzatrici che non svolgono attività economiche e pertanto questi hanno il diritto di escluderne l’applicazione a quella parte del settore pubblico che non è impegnato in attività di tale tipo. In linea con il principio previsto dall’art. 153 TFUE che stabilisce gli standard minimi di protezione, gli Stati possono mantenere o stabilire <<misure, compatibili con i trattati, che prevedano una maggiore protezione>> e quindi è accettabile l’applicazione della direttiva ad imprese utilizzatrici che non esercitano attività economica. Dunque è lasciata alla discrezionalità degli Stati membri la decisione relativa all’estensione della direttiva, decisione da prendere nel momento della trasposizione della stessa. Le parti sociali avevano espresso poi un parere positivo in relazione ad un’applicazione estesa della direttiva. Tra queste anche i rappresentanti di UEAPME ed Eurociett per i quali la nozione di ‘attività economica’ avrebbe dovuto ricevere un’ampia definizione in modo da evitare la concorrenza sleale e da far rientrare tra le imprese utilizzatrici anche le pubbliche amministrazioni, i sindacati e le organizzazioni di beneficenza. La direttiva si applica alle imprese che sono agenzie interinali e, dato che 44 all’art. 3 troviamo un’autonoma definizione di agenzia interinale4, la direttiva potrebbe in alcune situazioni essere applicata a determinate categorie di datori di lavoro che non rientrano nel concetto di agenzia interinale proprio della legislazione nazionale. Ovviamente l’impresa in questione deve perfettamente rispettare le indicazioni contenute negli artt. 1 e 3 della direttiva. In questo senso, la direttiva non è applicabile a: a) lavoratori impiegati da un’azienda che non sia un’agenzia interinale e che in un determinato momento vengano messi a disposizione di un’altra azienda appartenente allo stesso gruppo di imprese con lo scopo di farli adattare al cambiamento economico; b) contabili impiegati presso un’azienda specializzata in contabilità che potrebbero essere distaccati presso un’altra azienda per un periodo di tempo limitato in maniera tale da lavorare sotto la direzione e la supervisione giornaliera di quest’ultima azienda. In questo caso i contabili sono solo casualmente messi a disposizione di un’altra impresa ma non sono stati assunti con questo specifico scopo. La direttiva è invece applicabile a: a) contabili assunti da agenzie interinali e messi a disposizione dell’azienda per un periodo limitato di tempo; 4 Alla lett.b dell’art. 3.1 leggiamo che per agenzia interinale si intende << qualsiasi persona fisica o giuridica che, conformemente alla legislazione nazionale, sottoscrive contratti di lavoro o inizia rapporti di lavoro con lavoratori tramite agenzia interinale al fine di inviarli in missione presso imprese utilizzatrici affinché prestino temporaneamente la loro opera sotto il controllo e la direzione delle stesse >>. 45 b) servizio pubblico per l'impiego che può, in alcuni Stati membri, impiegare lavoratori e assegnarli a imprese utilizzatrici sotto la cui direzione e controllo lavorano provvisoriamente. Quest’attività è tipica delle agenzie interinali e pertanto i servizi pubblici d’impiego devono essere considerati alla pari di queste agenzie quando svolgono tali attività. Ovviamente, è fatta salva la deroga espressamente prevista nel terzo paragrafo per cui la direttiva non si applica << ai contratti o ai rapporti di lavoro conclusi nell’ambito di un programma specifico di formazione, d’inserimento e di riqualificazione professionali, pubblico o sostenuto da enti pubblici>> quando espressamente previsto. Lo scopo della deroga è la promozione di misure volte al miglioramento dell’inserimento professionale di alcune categorie di lavoratori che incontrano difficoltà nell’entrare o nel rientrare nel mercato del lavoro. Si applica inoltre agli enti di beneficenza che operano come agenzie interinali mettendo a disposizione delle imprese utilizzatrici persone svantaggiate (es: portatori di handicap o ex detenuti) in modo da permettergli un graduale riadattamento alle normali condizioni di lavoro. Ovviamente questi enti non operano con intenti lucrativi e sono spesso finanziati dalle comunità religiose, dai sindacati, dalle organizzazioni dei datori di lavoro e dalle ONG umanitarie. Questo terzo paragrafo è un’eccezione alla regola generale, eccezione che per UNI-Europa e CES va interpretata in senso restrittivo. 46 3. Finalità. Articolo 2 La presente direttiva è volta a garantire la tutela dei lavoratori tramite agenzia interinale e migliorare la qualità del lavoro tramite agenzia interinale garantendo il rispetto del principio della parità di trattamento di cui all’articolo 5 nei confronti dei lavoratori tramite agenzia interinale e riconoscendo tali agenzie quali datori di lavoro, tenendo conto nel contempo della necessità di inquadrare adeguatamente il ricorso al lavoro tramite agenzia interinale al fine di contribuire efficacemente alla creazione di posti di lavoro e allo sviluppo di forme di lavoro flessibili. Lo scopo del ricorrere alle agenzie di lavoro interinale quali datori di lavoro e non come semplici mediatori è quello di contribuire alla creazione di nuovi posti di lavoro e alla flessibilizzazione dello stesso. La normativa comunitaria concilia quindi due esigenze: tutela dei lavoratori e flessibilità delle aziende. Le finalità della direttiva si possono realizzare distinguendo tra il contratto commerciale di somministrazione e quello di lavoro. Non vi è alcuna sincronizzazione temporale tra la durata del contratto di lavoro tra l’agenzia e il lavoratore ed il contratto commerciale tra l’agenzia e l’utilizzatore. Il lavoratore interinale è tutelato dall’applicazione del principio della parità di trattamento rispetto al lavoratore impiegato direttamente dalla stessa impresa per svolgervi il medesimo lavoro. Questo principio è volto a migliorare la qualità del lavoro interinale e le parti sociali possono prevedere condizioni particolari di lavoro purché sia rispettato il livello globale di tutela. Il testo finale della direttiva impone delle puntualizzazioni in merito agli obiettivi che si propone di perseguire. Da un esame attento dell’iter 47 legislativo e dei relativi documenti emerge una novità: la finalità antielusiva a cui il processo di armonizzazione deve tendere. Il Consiglio di Lussemburgo del 9 e 10 giugno 2008 ha raggiunto un accordo politico volto ad assicurare l’equilibrio tra la protezione dei lavoratori interinali e la necessaria flessibilità con riferimento all’uso e alle condizioni di tutela. Per trovare un accordo su questo punto bisognava effettuare una ponderazione tra il principio di parità di trattamento e le relative deroghe. Accanto alle finalità occupazionali e di tutela delle condizioni di lavoro, l’armonizzazione delle normative è avvenuta con un’intenzione anti-abusiva: il vizio da reprimere doveva essere l’abusiva successione di missioni a cui venivano di volta in volta adibiti i lavoratori. L’obiettivo di contrastare la precarizzazione del lavoro ha un’applicazione trasversale, volta a promuovere un’occupazione di qualità e la tutela delle condizioni dei lavoratori. Del resto, la strategia europea in materia sociale e di politiche occupazionali è una politica di flexicurity che coniuga l’allentamento dei vincoli contrattuali con il rafforzamento delle tutele nel mercato. 4. Definizioni. Articolo 3 1. Ai fini della presente direttiva si intende per: a) «lavoratore»: qualsiasi persona che, nello Stato membro interessato, è protetta in qualità di lavoratore nel quadro del diritto nazionale del lavoro; b) «agenzia interinale»: qualsiasi persona fisica o giuridica che, conformemente alla legislazione nazionale, sottoscrive contratti di lavoro o inizia rapporti di lavoro con lavoratori tramite agenzia interinale al fine di inviarli in missione presso imprese utilizzatrici affinché prestino temporaneamente la loro opera sotto il controllo e la direzione delle stesse; c) «lavoratore tramite agenzia interinale»: il lavoratore che sottoscrive un 48 contratto di lavoro o inizia un rapporto di lavoro con un’agenzia interinale, al fine di essere inviato in missione presso un’impresa utilizzatrice per prestare temporaneamente la propria opera sotto il controllo e la direzione della stessa; d) «impresa utilizzatrice»: qualsiasi persona fisica o giuridica presso cui e sotto il cui controllo e direzione un lavoratore tramite agenzia interinale presti temporaneamente la propria opera; e) «missione»: il periodo durante il quale il lavoratore tramite agenzia interinale è messo a disposizione di un’impresa utilizzatrice affinché presti temporaneamente la propria opera sotto il controllo e la direzione della stessa; f) «condizioni di base di lavoro e d’occupazione»: le condizioni di lavoro e d’occupazione previste da disposizioni legislative, regolamentari e amministrative, da contratti collettivi e/o da altre disposizioni vincolanti di portata generale in vigore nell’impresa utilizzatrice relative a: i) l’orario di lavoro, le ore di lavoro straordinario, le pause, i periodi di riposo, il lavoro notturno, le ferie e i giorni festivi; ii) la retribuzione. 2. La presente direttiva lascia impregiudicate le definizioni di retribuzione, contratto di lavoro, rapporto di lavoro o lavoratore, contenute nella legislazione nazionale. Gli Stati membri non escludono dall’ambito d’applicazione della presente direttiva i lavoratori, i contratti o i rapporti di lavoro unicamente per il fatto che riguardano lavoratori a tempo parziale, lavoratori a tempo determinato o persone che hanno un contratto o un rapporto di lavoro con un’agenzia interinale. Da questo articolo risulta chiaro che quando si parla di ‘lavoratore’ ci si riferisce alla nozione propria del diritto del lavoro di ciascuno Stato membro e, in virtù del secondo paragrafo, si devono includere i lavoratori a tempo parziale, i lavoratori a tempo determinato ed i lavoratori tramite agenzia interinale. La definizione data è quindi di tipo sussidiario visto che è rimessa ai legislatori nazionali. Si fa però un passo in avanti rispetto alle direttive 97/81/CE e 99/70/CE in quanto il soggetto destinatario della direttiva è il lavoratore protetto. Ci si concentra sullo status di protezione conferito dai legislatori nazionali e a livello europeo si tenta di superare la dicotomia nei rapporti di lavoro 49 tra lavoro autonomo e subordinato consentendo di attribuire con la direttiva stessa ulteriori tutele. Si vuole apprestare una tutela che vada oltre lo status di lavoratore subordinato e che possa essere riferita a qualsiasi persona che ha un contratto o un rapporto di lavoro con un’agenzia interinale anche se non possa essere considerata come lavoratore protetto nell’ordinamento interno. La definizione di ‘agenzia interinale’ è tanto ampia quanto necessario a includere le imprese pubbliche, private e anche quelle che operano senza scopo di lucro. Sono ricomprese sia le persone fisiche, sia le persone giuridiche. Premesso che l’attività può essere svolta a prescindere dalla forma giuridica e dalle dimensioni, risulta comunque difficile immaginare la presenza di agenzie interinali che non abbiano personalità giuridica. Queste difatti rappresentano rare eccezioni. Quando si parla di ‘lavoratore tramite agenzia interinale’, la direttiva permette di coprire una vasta gamma di situazioni, a prescindere dalle differenze proprie delle legislazioni nazionali. Sono inclusi i lavoratori a tempo determinato così come quelli che hanno un contratto a tempo indeterminato con l’agenzia. La caratteristica principale del lavoro tramite agenzie interinali è la partecipazione di tre parti. Il lavoratore interinale è impiegato e retribuito dall’agenzia interinale ma non lavora sotto la sua supervisione giornaliera. Viene messo a diposizione di un altro ente, l’impresa utilizzatrice, presso il quale fornisce il suo lavoro insieme ad altri lavoratori che sono impiegati 50 direttamente dall’impresa stessa ed alla cui supervisione e direzione è sottoposto. La direttiva non si applica alle agenzie la cui funzione è limitata al mettere in contatto i lavoratori con le imprese che devono assumere personale a tempo indeterminato. In questi casi, infatti, ci troviamo davanti un’attività d’intermediazione5: i lavoratori sono impiegati direttamente dall’impresa e non vi è alcuna relazione contrattuale tra l’agenzia d’intermediazione ed il lavoratore. La direttiva si applica esclusivamente alle situazioni d’impiego del lavoratore con lo scopo di assegnarlo a un’impresa utilizzatrice per un periodo di tempo limitato. Il lavoratore interinale è alle dipendenze dell’agenzia interinale. In alcuni casi però, soprattutto nei paesi di common law, questi lavoratori anche se sono pagati dalle agenzie interinali non sono considerati, dalla legislazione nazionale, come impiegati da quest’ultime. Tuttavia, se sono rispettate le condizioni indicate nell’art. 1.16, il lavoratore è inteso come impiegato presso l’agenzia interinale a prescindere dalla qualificazione giuridica data a questo rapporto dall’ordinamento nazionale. 5 Ex art. 2.1 del d. lgs. 273/2001 l’intermediazione è << l'attività di mediazione tra domanda e offerta di lavoro, anche in relazione all'inserimento lavorativo dei disabili e dei gruppi di lavoratori svantaggiati, comprensiva tra l'altro: della raccolta dei curricula dei potenziali lavoratori; della preselezione e costituzione di relativa banca dati; della promozione e gestione dell'incontro tra domanda e offerta di lavoro; della effettuazione, su richiesta del committente, di tutte le comunicazioni conseguenti alle assunzioni avvenute a seguito della attività di intermediazione; dell'orientamento professionale; della progettazione ed erogazione di attività formative finalizzate all'inserimento lavorativo >>. 6 Si deve trattare di un << contratto di lavoro o un rapporto di lavoro con un’agenzia interinale e che sono assegnati a imprese utilizzatrici per lavorare temporaneamente e sotto il controllo e la direzione delle stesse>>. 51 Le agenzie interinali devono essere distinte dai contratti di subappalto con cui l’appaltatore affida a un terzo l’esecuzione parziale o totale dell’opera o del servizio che si è impegnato a compiere in forza di un precedente contratto di appalto, ferma restando la responsabilità dell’originario appaltatore nei confronti del committente per l’esecuzione dell’opera o del servizio. Ovviamente in questi casi la direttiva non trova applicazione. Dal combinato disposto dell’art. 3.1 lett. b e lett. c si desume con sicurezza che il datore di lavoro è l’agenzia anche se manca un’espressa qualificazione del tipo di rapporto che intercorre tra questa ed il lavoratore. Quando si parla di ‘impresa utilizzatrice’, ci si riferisce alle persone sia fisiche che giuridiche mentre non hanno rilevanza la relativa forma giuridica e le dimensioni minime. Il lavoratore interinale, infatti, può prestare la propria opera temporaneamente anche presso un lavoratore autonomo come per es. un artigiano. È dunque evidente che all’espressione ‘impresa utilizzatrice’ è stato attribuito un significato ampio tanto più se si considera che la direttiva si applica anche agli enti pubblici impegnati in attività economiche con o senza scopo di lucro, senza pregiudizio alcuno per l’art. 1.3 secondo il quale gli Stati membri possono prevedere che la direttiva non si applichi ai contratti o rapporti di lavoro conclusi nell’ambito di un programma di formazione, riqualificazione o inserimento professionale sostenuto da enti pubblici. La durata della missione è temporanea ma non è espressamente stabilito 52 alcun limite. Questa differisce nei vari Paesi membri, può tanto essere limitata ad alcuni giorni quanto prolungarsi per mesi a seconda della natura dell’incarico che, comunque, rimane di carattere temporaneo. 5. Riesame dei divieti e delle restrizioni. Articolo 4 1. I divieti o le restrizioni imposti quanto al ricorso al lavoro tramite agenzie di lavoro interinale sono giustificati soltanto da ragioni d’interesse generale che investono in particolare la tutela dei lavoratori tramite agenzia interinale, le prescrizioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro o la necessità di garantire il buon funzionamento del mercato del lavoro e la prevenzione di abusi. 2. Entro il 5 dicembre 2011 gli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali, conformemente alla legislazione dei contratti collettivi e delle prassi nazionali, riesaminano le restrizioni o i divieti sul ricorso al lavoro tramite agenzia interinale al fine di accertarne la fondatezza in forza delle disposizioni di cui al paragrafo 1. 3. Se i summenzionati divieti o restrizioni sono fissati da contratti collettivi, il riesame di cui al paragrafo 2 può essere effettuato dalle parti sociali che hanno negoziato il pertinente contratto. 4. I paragrafi 1, 2 e 3 lasciano impregiudicati i requisiti nazionali in materia di registrazione, autorizzazione, certificazione, garanzia finanziaria o controllo delle agenzie di lavoro interinale. 5. Gli Stati membri comunicano alla Commissione i risultati del riesame di cui ai paragrafi 2 e 3 entro il 5 dicembre 2011. La direttiva vuole raggiungere un giusto equilibrio tra il proteggere i lavoratori interinali e il supportare il compito positivo svolto dalle agenzie nell’offrire flessibilità al mercato del lavoro. Fin dall’inizio delle negoziazioni era chiaro che quest’articolo avrebbe fatto parte del compromesso politico tra gli Stati membri che insistevano sulla necessità di rimuovere ogni ostacolo relativo all’attività delle agenzie interinali e quelli che enfatizzavano il riconoscimento del principio di parità di trattamento fin dal primo giorno di lavoro presso l’impresa utilizzatrice. 53 Gli Stati membri avevano il dovere di riesaminare le restrizioni o proibizioni nazionali poste all’utilizzo di questa forma d’impiego e di informare la Commissione circa la loro fondatezza entro il 5 dicembre 2011, data fissata per la conformazione degli ordinamenti nazionali alla direttiva7. Il riesame doveva riguardare qualsiasi misura interna limitativa prevista dalle leggi, dai regolamenti, dalle disposizioni amministrative a qualsiasi livello: nazionale, regionale, locale. Tra i divieti e le restrizioni che sono applicabili ai lavoratori interinali si rinvengono i seguenti: divieto di impiego in attività considerate pericolose; divieto di offrire contratti a tempo indeterminato; limitazione dei possibili rinnovi al contratto di lavoro; limitazione al numero di lavoratori interinali che l’impresa può utilizzare. Queste indicazioni non sono vincolanti ed è possibile aggiungere altri limiti nel rispetto della normativa. Il riesame deve essere effettuato da autorità competenti e preceduto dalla consultazione delle parti sociali conformemente alla legislazione nazionale e alla contrattazione collettiva. Se le limitazioni sono state inserite dalle parti sociali che hanno negoziato i contratti collettivi, il terzo paragrafo riconosce alle stesse la possibilità di revisione. Ciò accade ad es. quando la legislazione nazionale non fissa una durata massima per le missioni ma lascia alle parti sociali il compito di stabilirla e queste la fissano nel contratto collettivo. 7 Al tempo in cui si scrive, sono state emanate misure per implementare i principi della direttiva in diciannove Paesi. L’argomento sarà analizzato nel successivo capitolo. 54 Le limitazioni sono giustificate solo da interessi generali relativi a << la tutela dei lavoratori tramite agenzia interinale, le prescrizioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro o la necessità di garantire il buon funzionamento del mercato del lavoro e la prevenzione di abusi >>. Sono questi gli unici argomenti che giustificano delle limitazioni. Le restrizioni si devono basare sull’interesse generale del lavoratore o non hanno alcuna giustificazione. Durante il processo di negoziazione della direttiva, l’obiettivo che ci si era posti era quello di rivedere solo le restrizioni specifiche come quelle settoriali (es: nell’edilizia) e non gli aspetti generali che possono ricadere nell’ambito dell’art. 5.5 volto a prevenire possibili abusi. La Commissione, al contrario, sosteneva che il riesame si dovesse applicare a tutte le restrizioni e i divieti senza distinzioni, nel rispetto dei requisiti fissati dagli ordinamenti nazionali ex art. 4.4. Dal testo finale della direttiva si evince che questa è parte integrante della politica dell’Unione volta a bilanciare flessibilità e sicurezza per i lavoratori e che l’art. 4 gioca un ruolo fondamentale in questo bilanciamento. L’interesse generale deve essere interpretato in senso stretto e se le restrizioni e i divieti non risultano essere necessari e proporzionati allo scopo o legittimi dovranno essere rimossi. Secondo la CES ed UNIEuropa, però, l’abolizione di restrizioni e divieti non rientra nello scopo della direttiva che è invece volta a proteggere i diritti dei lavoratori. 55 Stabilito che gli Stati membri devono rivedere i limiti legali mentre le parti sociali quelli posti dalla contrattazione collettiva, la responsabilità della revisione nonché quella di informare la Commissione dei risultati della stessa, grava sugli Stati membri. Essenziale è il rispetto degli accordi stretti dalle parti sociali dato che in alcuni Paesi costituiscono una fonte importante di regolamentazione del lavoro temporaneo. In tal senso Eurociett e UEAPME sostengono che il processo di revisione non dovrebbe coinvolgere solo le parti sociali a livello intersettoriale ma che queste dovrebbero essere affiancate dalle federazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori rappresentanti il settore delle agenzie interinali data la loro estesa esperienza in questo campo. Le limitazioni devono essere analizzate alla luce dei << requisiti nazionali in materia di registrazione, autorizzazione, certificazione, garanzia finanziaria o controllo delle agenzie di lavoro interinale >>. Pertanto, le condizioni che rientrano in una di queste categorie non sono soggette ad alcun obbligo di revisione purché rispettino la libertà di stabilimento e la libertà di prestazione dei servizi ex artt. 49 e 56 TFUE così come interpretati dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea. Ciò comporta che le previsioni nazionali che subordinano l’accesso o l’esercizio dell’attività di somministrazione alla presenza di autorizzazioni, garanzie finanziarie, certificazioni o a qualsiasi altro tipo di restrizione o di divieto devono essere giustificate e proporzionate allo scopo che si intende realizzare nel 56 rispetto delle due libertà suindicate e della relativa giurisdizione comunitaria8. Questo articolo sembra quindi imporre un’incisiva liberalizzazione del ricorso a lavoro tramite agenzia ma in realtà la formulazione ampia delle eccezioni riduce l’influenza del legislatore comunitario sull’ordinamento interno. Il risultato è che si è attivato un processo di verifica delle normative interne imponendo la rimozione di divieti e di restrizioni. Ciò che si richiede esattamente ai legislatori nazionali non è l’eliminazione tout court di tutte le restrizioni e divieti, ma che questi non costituiscano impedimenti ingiustificati al ricorso alla somministrazione di lavoro. 6. Principio della parità di trattamento. Articolo 5 1. Per tutta la durata della missione presso un’impresa utilizzatrice, le condizioni di base di lavoro e d’occupazione dei lavoratori tramite agenzia interinale sono almeno identiche a quelle che si applicherebbero loro se fossero direttamente impiegati dalla stessa impresa per svolgervi il medesimo lavoro. Ai fini dell’applicazione del primo comma le regole in vigore nell’impresa utilizzatrice riguardanti: a) la protezione delle donne in stato di gravidanza e in periodo di allattamento e la protezione dei bambini e dei giovani; e b) la parità di trattamento fra uomini e donne e ogni azione volta a combattere qualsiasi forma di discriminazione fondata su sesso, razza o origine etnica, religione o convinzioni personali, disabilità, età o tendenze sessuali, devono essere rispettate a norma di quanto stabiliscono le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative, i contratti collettivi e/o le altre disposizioni di portata generale. 2. Per quanto riguarda la retribuzione, gli Stati membri possono, previa consultazione delle parti sociali, prevedere una deroga al principio di cui al paragrafo 1 nel caso in cui i lavoratori tramite agenzia interinale che sono legati da un contratto a tempo indeterminato a un’agenzia interinale continuino a essere retribuiti nel periodo che intercorre tra una missione e l’altra. 3. Dopo aver consultato le parti sociali, gli Stati membri possono accordare loro, al livello appropriato e alle condizioni da essi previste, l’opzione di 8 Si può fare riferimento soprattutto a due casi: C-279/80 Webb e C-279/00 Commissione contro Italia. 57 mantenere o concludere contratti collettivi che, nel rispetto della protezione globale dei lavoratori tramite agenzia interinale, possono stabilire modalità alternative riguardanti le condizioni di lavoro e d’occupazione dei lavoratori tramite agenzia interinale, diverse da quelle di cui al paragrafo 1. 4. A condizione che sia garantito ai lavoratori tramite agenzia interinale un livello adeguato di protezione, gli Stati membri che non possiedono né un sistema legislativo che dichiari i contratti collettivi universalmente applicabili, né un sistema legislativo o di prassi che consenta di estendere le disposizioni di tali contratti a tutte le imprese simili in un determinato settore o area geografica possono, previa consultazione delle parti sociali a livello nazionale e in base a un accordo concluso dalle stesse, stabilire modalità alternative riguardanti le condizioni di base di lavoro e d’occupazione in deroga al principio di cui al paragrafo 1. Tali modalità alternative possono prevedere un periodo di attesa per il conseguimento della parità di trattamento. Le modalità alternative di cui al presente paragrafo sono conformi alla normativa comunitaria e sufficientemente precise e accessibili da consentire ai settori e alle aziende interessate di individuare e assolvere i loro obblighi. Gli Stati membri precisano, in particolare, in applicazione dell’articolo 3, paragrafo 2, se regimi professionali di sicurezza sociale, inclusi i regimi pensionistici, i regimi relativi alle prestazioni per malattia o i regimi di partecipazione finanziaria dei lavoratori, sono compresi nelle condizioni di base di lavoro e d’occupazione di cui al paragrafo 1. Tali modalità alternative lasciano inoltre impregiudicati eventuali accordi a livello nazionale, regionale, locale o settoriale che non siano meno favorevoli ai lavoratori. 5. Gli Stati membri adottano le misure necessarie, conformemente alla legislazione e/o le pratiche nazionali, per evitare il ricorso abusivo all’applicazione del presente articolo e, in particolare, per prevenire missioni successive con lo scopo di eludere le disposizioni della presente direttiva. Essi informano la Commissione di qualsiasi misura in tal senso. Se leggiamo quest’articolo congiuntamente al considerando n. 14 possiamo dire che le condizioni di base di lavoro e di occupazione dei lavoratori assunti tramite agenzia interinale devono essere almeno identiche a quelle che si applicherebbero loro se fossero stati impiegati direttamente dalla stessa impresa per svolgere le medesime mansioni. Il principio della parità di trattamento rappresenta il cuore della regolamentazione; è stato il punto centrale del dibattito in sede di adozione della direttiva. Si discuteva infatti se la parità riguardasse solo il trattamento economico o anche il profilo normativo, se si dovesse applicare dal primo giorno di missione o dopo un certo periodo temporale, 58 se fosse possibile prevedere delle deroghe alla parità retributiva nel caso in cui il lavoratore fosse impiegato a tempo indeterminato presso l’agenzia interinale. 6.1 Il rapporto con l’art. 3. Per capire quali sono le condizioni che devono essere garantite in maniera paritaria, quest’articolo deve essere letto insieme all’art. 3.1 lett.f. L’art. 3.1 lett.f fornisce la definizione di condizioni di base di lavoro e d’occupazione basandosi su << l’orario di lavoro, le ore di lavoro straordinario, le pause, i periodi di riposo, il lavoro notturno, le ferie e i giorni festivi; la retribuzione >>. L’art. 5.1 dispone che durante la missione, le condizioni di base dei lavoratori interinali devono essere almeno identiche a quelle che sarebbero dovute essere applicate ai lavoratori stessi se fossero stati assunti direttamente dall’impresa per svolgere lo stesso lavoro e aggiunge che devono essere rispettati i contratti collettivi e le disposizioni di portata generale. La parità inoltre è volta a proteggere le donne in stato di gravidanza o allattamento, i bambini e i giovani, nonché a combattere qualsiasi forma di discriminazione ed ovviamente si riflette anche sul rapporto uomo-donna. Leggendo congiuntamente queste due disposizioni, il principio assume una portata molto ampia e difatti incide su tutti gli aspetti del rapporto di lavoro. 59 Secondo Zappalà9, assume la forma di un divieto di discriminazione in quanto proibisce le differenziazioni fondate sulla diversa natura del modello negoziale di assunzione. Non sarebbe possibile comunque altra interpretazione data la mancanza in molti Paesi europei, tra cui l’Italia, di un principio di parità di trattamento per i lavoratori del settore privato per cui non sarebbe affatto scontata la concessione di trattamenti normativi ed economici uguali a parità di mansioni. Il confronto non avviene in relazione ai trattamenti applicati in concreto ai singoli lavoratori, bensì rispetto al contratto di lavoro applicato all’unità produttiva di riferimento. Soprattutto per quanto riguarda la retribuzione, non possono essere presi come parametri di riferimento le deroghe in melius individuali. Se poi nell’unità produttiva che si prende in considerazione non è applicato alcun contratto collettivo, sorgono problemi interpretativi ed è onere dell’agenzia motivare le differenze nei trattamenti partendo da una presunzione iuris tantum di un’identità di trattamento. Spetterà poi al giudice verificare quali trattamenti attribuiti ai lavoratori siano riconosciuti intuitu personae ai prestatori d’opera per loro specifiche caratteristiche. Quando si applica un determinato contratto collettivo, l’impresa determina sulla base dello stesso la retribuzione del personale considerando le relative qualifiche, esperienze professionali, l’anzianità. Il lavoratore 9 ZAPPALÀ L., La «flessibilità nella sicurezza» alla prova. Il caso del lavoro temporaneo fra soft law e hard law, in DLRI, 2003, 69 ss. 60 interinale impiegato nell’impresa avrà diritto alla stessa retribuzione del lavoratore assunto direttamente dall’impresa per occupare una posizione di pari livello e gli si applicheranno le stesse disposizioni vincolanti di carattere generale. Le sue qualificazioni ed esperienze professionali dovranno essere prese in considerazione sulla base dei criteri stabiliti dalla relativa contrattazione collettiva. Se invece all’impresa utilizzatrice non si applica alcun contratto collettivo, questa utilizzerà le tabelle salariali per l’organico stabile. Queste tabelle si basano sull’esperienza professionale dei lavoratori e quindi si applicheranno anche ai lavoratori interinali tenendo in conto le esperienze rilevanti precedenti la data di inizio dell’incarico. Per quanto riguarda la natura giuridica delle condizioni base di lavoro e occupazione, la CES ha adottato un’interpretazione molto ampia che tenga conto sia delle leggi che delle prassi nazionali. La direttiva prevede che il principio della parità di trattamento si applichi alle condizioni di base di lavoro e occupazione senza alcuna restrizione. Non si deve però pregiudicare la possibilità degli ordinamenti nazionali di derogarvi secondo quanto previsto dai paragrafi 2 e 5 dell’art. 5, per esempio in relazione alla retribuzione (come già detto riguardo alle possibili deroghe in melius individuali), e senza compromettere l’adozione delle misure necessarie volte ad ostacolare possibili abusi a siffatto potere di deroga. 61 Per quanto riguarda l’orario di lavoro, le ore di lavoro straordinario, le pause, i periodi di riposo, il lavoro notturno, le problematiche devono essere risolte considerando che il lavoratore interinale deve avere almeno gli stessi diritti che gli sarebbero stati riconosciuti se fosse stato assunto direttamente dall’impresa utilizzatrice per svolgere i medesimi incarichi. La comparazione deve essere basata sulle disposizioni normative in vigore presso l’impresa e ciò comporta che i diritti dei lavoratori interinali possano essere inferiori rispetto alle indicazioni minime previste nelle direttive europee sull’orario di lavoro. Il concetto di retribuzione non è definito nella direttiva e l’art. 3.2 lascia agli Stati membri il compito di determinarne il contenuto. Tuttavia, se quest’incarico spettasse alla Corte di Giustizia, sarebbe possibile prevedere un ricorso all’art. 157 TFUE per il quale non ci devono essere discriminazioni fondate sul sesso per uno stesso lavoro o per uno di pari valore. L’art. 157.2 stabilisce inoltre che il termine ‘retribuzione’ indica << il salario o trattamento normale di base o minimo e tutti gli altri vantaggi pagati direttamente o indirettamente, in contanti o in natura, dal datore di lavoro al lavoratore in ragione dell'impiego di quest'ultimo>>. Secondo la giurisprudenza della CGUE il concetto di ‘retribuzione’ include anche le ore di lavoro straordinario, i bonus, le agevolazioni per i viaggi, le indennità per la frequenza di corsi di formazione, i regimi pensionistici, etc. 62 L’art 153 TFUE al quinto comma (prima 137.5 TCE) statuisce esplicitamente che le disposizioni10 in esso contenute non si applicano alla retribuzione dei lavoratori. Questa indicazione però non è sufficiente a evitare che il legislatore europeo stabilisca che la parità di trattamento si applichi anche al salario del lavoratore interinale con la conseguenza che questo dovrebbe essere pari a quello che egli avrebbe percepito se fosse stato impiegato direttamente dall’impresa utilizzatrice per svolgere gli stessi compiti11. La Commissione ha inoltre specificato che l’elenco delle condizioni di base di lavoro e d’occupazione fissato alla lettera F dell’art. 3 non costituisce una lista esaustiva dato che gli Stati membri possono applicare il principio della parità di trattamento anche ad altre condizioni. La regola generale è che tutte le direttive che si basano sull’art. 153 TFUE stabiliscono i requisiti minimi per la protezione dei lavoratori. In virtù dell’art. 9 della direttiva 2008/104, gli Stati possono applicare o introdurre disposizioni volte a consentire la conclusione di contratti collettivi e accordi 10 Per l’art. 153, l’Unione Europea completa e sostiene l’azione degli Stati membri adottando misure destinate a incoraggiare la cooperazione tra Stati membri o adottando attraverso le direttive le prescrizioni minime applicabili. Ciò non vale per la retribuzione. 11 Quanto detto, è stato confermato dalla CGUE nella causa C-307/05 Yolanda Del Cerro Alonso e Osakidetza-Servicio Vasco de Salud dove ai punti 40 e 41 si legge che: <<Per quanto riguarda in particolare l'eccezione relativa alle «retribuzioni», di cui all'art. 137, n. 5, CE, essa trova la sua ragion d'essere nel fatto che la determinazione del livello degli stipendi rientra nell'autonomia contrattuale delle parti sociali su scala nazionale, nonché nella competenza degli Stati membri in materia. Ciò posto, è stato giudicato appropriato, allo stato attuale del diritto comunitario, escludere la determinazione del livello delle retribuzioni da un'armonizzazione in base agli artt. 136 CE e seguenti. Tuttavia, la detta eccezione non può essere estesa a ogni questione avente un nesso qualsiasi con la retribuzione, pena svuotare taluni settori contemplati dall'art. 137, n. 1, CE, di gran parte dei loro contenuti>>. 63 più favorevoli ai lavoratori interinali. Il livello di protezione si fa quindi più rigoroso rispetto a quanto previsto dalla direttiva stessa. 6.2 Deroghe alla parità di trattamento. La prima deroga (art. 5.2) è quella relativa alla retribuzione ed è valida nell’ipotesi in cui i lavoratori tramite agenzia siano legati da un contratto a tempo indeterminato con l’agenzia stessa e continuino ad essere retribuiti nel periodo che intercorre tra una missione e l’altra. Già nel 15° considerando vi è un’anticipazione in tal senso laddove si prevede con favore la costituzione di rapporti a tempo indeterminato con l’agenzia. Si può quindi derogare alla parità di trattamento in materia di retribuzione nei casi in cui i lavoratori siano soggetti a particolare tutela dato il rapporto a tempo indeterminato e di conseguenza siano retribuiti nel periodo intercorrente tra le missioni. Il termine ‘retribuiti’ ha creato non pochi dubbi interpretativi; soprattutto ci si è chiesti se dovesse riferirsi o meno ad una mera indennità di disponibilità percepita dal lavoratore nei periodi in cui non è in missione. Questa questione deve essere risolta sulla base della legislazione interna e della relativa contrattazione collettiva. Se l’indennità risulta essere troppo ridotta rispetto alla retribuzione comunemente percepita dal lavoratore durante lo svolgimento della prestazione lavorativa non è 64 realizzata quella particolare tutela che ex art. 5.2 giustifica il trattamento derogatorio. Il lavoratore che è retribuito nel periodo in cui non svolge alcuna missione, può lavorare presso l’agenzia di somministrazione. Quest’ipotesi è ritenuta legittima sia da parte del legislatore comunitario che della dottrina italiana, considerata la preferenza accordata al lavoro a tempo indeterminato alle dipendenze dell’agenzia. Del resto, sarebbe irragionevole e in contrasto con la flexicurity favorire questa forma d’impiego e poi limitare la possibilità in concreto di svolgere la prestazione lavorativa presso l’agenzia. La deroga alla parità di trattamento deve essere preceduta dalla consultazione delle parti sociali; la direttiva non specifica però quali organizzazioni consultare attribuendo piena discrezionalità alle tradizioni e alle prassi di concertazione e dialogo sociale degli Stati membri. La tutela del rapporto di lavoro è comunque un elemento centrale della direttiva e quindi tutte le facoltà di derogare alla parità di trattamento devono essere interpretate in maniera restrittiva. Non ci possono essere deroghe incisive relative agli elementi fondamentali della retribuzione e devono essere rispettati i trattamenti minimi tabellari garantiti dai contratti collettivi. Altra deroga (art. 5.3) riguarda il mantenimento della facoltà delle parti sociali di mantenere o concludere contratti collettivi stabilendo modalità alternative relative alle condizioni di lavoro ed occupazione dei lavoratori 65 somministrati. La possibilità di derogare è rimessa alla contrattazione collettiva e sono gli Stati membri a dover determinare il livello di contrattazione adeguato per la previsione delle eventuali deroghe. Pare ragionevole ritenere che l’ambito più appropriato sia quello territoriale decentrato, che secondo la dottrina (Corazza12) si presta maggiormente a confrontarsi con le peculiarità del lavoro tramite agenzia; difatti tramite la contrattazione territoriale potrebbero essere introdotte deroghe al principio della parità di trattamento volte a incentivare l’occupazione in zone svantaggiate. La possibilità di deroga deve essere intesa anche qui in senso restrittivo; non sono possibili deroghe in bianco, il legislatore deve delimitare gli ambiti e predefinire le motivazioni a fronte delle quali risulta possibile prevedere trattamenti differenziati. Il quarto paragrafo introduce un’ulteriore deroga al principio della parità di trattamento, prevedendo che gli Stati membri possono stabilire modalità alternative relative alle condizioni di base di lavoro e di occupazione dei lavoratori tramite agenzia interinale. Si deve trattare di ordinamenti privi di un sistema legislativo che dichiari i contratti collettivi universalmente applicabili o privi di meccanismi tali da consentire l’estensione delle disposizioni di questi contratti a tutte le imprese simili; deve essere comunque garantito un livello adeguato di protezione e infine si deve 12 CORAZZA L., 2004, “Contractual integration” e rapporti di lavoro. Uno studio sulle tecniche di tutela del lavoratore, Cedam, Padova. 66 raggiungere un accordo attraverso la consultazione delle parti sociali a livello nazionale. Varie sono le difficoltà interpretative presentate da questo paragrafo. Innanzitutto è necessario interrogarsi su quale sia il <<livello adeguato di protezione>> che deve essere garantito ai lavoratori interinali tenendo presente che il riferimento è al livello minimo in quanto si rimette la tutela alla discrezionalità dei legislatori nazionali. Il termine ‘adeguatezza’ è un termine vuoto in quanto il legislatore comunitario non fornisce altri elementi per verificare quali siano in concreto i livelli di protezione adeguata a parte la parità di trattamento sulla quale si fonda la direttiva. La disposizione non deve però favorire la competizione a ribasso tra gli ordinamenti a sfavore di quelli dotati di un sistema di applicazione generalizzata della contrattazione collettiva. Al quarto paragrafo si dice che le << modalità alternative riguardanti le condizioni di base di lavoro e d’occupazione possono prevedere un periodo di attesa per il conseguimento della parità di trattamento >>. Questa formulazione pare suggerire che la possibilità di deroga concessa agli ordinamenti si riduca a una mera dilazione dell’entrata in vigore del principio della parità di trattamento anche se nel periodo di dilazione è comunque necessario un livello adeguato di protezione. Le misure derogatorie che possono essere adottate dagli Stati membri devono essere conformi alla normativa comunitaria e accessibili alle 67 aziende interessate di modo che queste possano facilmente individuarle ed applicarle. La deroga al principio non permette di modificare in peius le condizioni di tutela del lavoratore conformi ad altre previsioni dell’ordinamento comunitario; sono, comunque, fatti salvi i trattamenti normativi ed economici non peggiorativi previsti dalla contrattazione collettiva sia a livello nazionale che locale o settoriale. 6.3 Abuso nell’applicazione dell’art.5 . Le misure che gli Stati possono adottare ex art. 5 sono volte a prevenire un uso abusivo delle deroghe al principio della parità di trattamento. Risulta difficile prevedere quale possa essere il contenuto di queste misure considerata l’influenza della contrattazione collettiva nazionale e la situazione di ciascun Paese membro. Gli Stati sono tenuti a informare la Commissione delle misure nazionali volte a prevenire gli abusi nell’applicazione di questo articolo con particolare riferimento allo svolgimento di missioni successive con il fine di eludere quanto previsto dalla direttiva. Per quanto riguarda lo svolgimento di missioni successive con lo scopo di raggirare la direttiva, non è facile comprendere in che modo la realizzazione di più missioni possa eludere l’applicazione del principio di parità di trattamento dato che l’agenzia è tenuta comunque ad applicare le 68 disposizioni normative ed i trattamenti economici espressamente previsti per i periodi in cui il lavoratore è impegnato con l’impresa utilizzatrice. Si è arrivati alla conclusione che il riferimento alle ripetute missioni come prassi fraudolenta sia un residuo delle precedenti versioni della direttiva non opportunamente adattato alle successive modifiche. Infatti, nella precedente versione dell’art. 5.4, il Consiglio aveva previsto un’ulteriore deroga: gli Stati membri potevano non applicare la parità di trattamento in relazione alla retribuzione del lavoratore temporaneo che svolgesse presso la stessa impresa utilizzatrice una prestazione od una serie di prestazioni relative ad un incarico della durata non superiore alle sei settimane. 7. Accesso all’occupazione, alle attrezzature collettive e alla formazione professionale. Articolo 6 1. I lavoratori tramite agenzia interinale sono informati dei posti vacanti nell’impresa utilizzatrice, affinché possano aspirare, al pari degli altri dipendenti dell’impresa, a ricoprire posti di lavoro a tempo indeterminato. Tali informazioni possono essere fornite mediante un avviso generale opportunamente affisso all’interno dell’impresa presso la quale e sotto il controllo della quale detti lavoratori prestano la loro opera. 2. Gli Stati membri adottano le misure necessarie affinché siano dichiarate nulle o possano essere dichiarate nulle le clausole che vietano o che abbiano l’effetto d’impedire la stipulazione di un contratto di lavoro o l’avvio di un rapporto di lavoro tra l’impresa utilizzatrice e il lavoratore tramite agenzia interinale al termine della sua missione. Il presente paragrafo lascia impregiudicate le disposizioni in virtù delle quali le agenzie di lavoro interinale ricevono un compenso ragionevole per i servizi resi all’impresa utilizzatrice in relazione alla missione, all’impiego e alla formazione dei lavoratori tramite agenzia interinale. 3. Le agenzie di lavoro interinale non richiedono compensi ai lavoratori in cambio di un’assunzione presso un’impresa utilizzatrice o nel caso in cui essi stipulino un contratto di lavoro o avviino un rapporto di lavoro con l’impresa utilizzatrice dopo una missione nella medesima. 4. Fatto salvo l’articolo 5, paragrafo 1, i lavoratori tramite agenzia interinale accedono, nell’impresa utilizzatrice, alle strutture o alle attrezzature collettive 69 e, in particolare, ai servizi di ristorazione, alle infrastrutture d’accoglienza dell’infanzia e ai servizi di trasporto alle stesse condizioni dei lavoratori impiegati direttamente dall’impresa stessa, a meno che ragioni oggettive giustifichino un trattamento diverso. 5. Gli Stati membri adottano le misure adeguate o favoriscono il dialogo tra le parti sociali, conformemente alle loro tradizioni e pratiche nazionali, al fine di: a) migliorare l’accesso dei lavoratori tramite agenzia interinale alle opportunità di formazione e alle infrastrutture d’accoglienza dell’infanzia nelle agenzie di lavoro interinale, anche nei periodi che intercorrono tra una missione e l’altra, perfavorirne l’avanzamento della carriera e l’occupabilità; b) migliorare l’accesso dei lavoratori tramite agenzia interinale alle opportunità di formazione di cui godono i lavoratori delle imprese utilizzatrici. Il primo paragrafo deve essere interpretato nella maniera più estesa possibile. Le informazioni relative ai posti vacanti nell’impresa sono normalmente comunicate all’intero personale attraverso bandi pubblicati sul sito intranet o avvisi cartacei. Allo stesso modo ne deve essere data conoscenza ai lavoratori interinali a prescindere se siano o meno idonei a svolgere quelle determinate funzioni e se abbiano un contratto a tempo determinato o indeterminato (in tal senso anche Business Europe). Inoltre, per i rappresentanti di CES e UNI-Europa, i lavoratori interinali dovrebbero ricevere queste informazioni anche quando sono relative a posizioni superiori rispetto a quella da loro occupata. La portata della disposizione è comunque limitata perché non pone alcun obbligo di assunzione dei lavoratori temporaneamente impiegati rispetto a quelli provenienti dall’esterno; introduce solo una regola di trasparenza volta ad agevolare la conoscenza delle possibilità di assunzione. Al secondo paragrafo si sostiene che gli Stati membri debbano adottare le misure necessarie a dichiarare nulle le clausole impeditive di un rapporto di lavoro tra il lavoratore interinale e l’impresa utilizzatrice. Questa 70 disposizione deve essere interpretata estensivamente; il termine ‘impedire’ non si riferisce solo alle clausole che prevedono la stipulazione del contratto di lavoro ma anche a quelle che prevedono una stipulazione più onerosa e difficoltosa tale da rendere svantaggiosa per una delle due parti il ricorso a questa forma di assunzione. A tal proposito, sono illegittime le clausole che prevedono il pagamento di penali eccessive a favore dell’agenzia se l’impresa assume il lavoratore interinale. La nullità colpisce sia le clausole pattuite tra l’agenzia e l’utilizzatore sia quelle inserite nel contratto di lavoro. Sono ovviamente esclusi da questa disposizione i compensi che l’agenzia di somministrazione di lavoro riceve purché siano ragionevoli e proporzionali ai servizi svolti a favore dell’utilizzatore (selezione, assunzione, formazione ed aggiornamento del lavoratore; invio dello stesso in missione). Si tratta quindi di un corrispettivo dovuto per l’attività di gestione del personale. Se il lavoratore viene poi assunto presso l’impresa utilizzatrice o comunque stipula con essa un contratto od un rapporto di lavoro in seguito ad una missione, è previsto espressamente che non deve essergli richiesto alcun compenso per l’assunzione. Il divieto non riguarda la previsione di un corrispettivo per l’assunzione e l’invio in missione in quanto si tratta di misure finalizzate a proteggere il lavoratore dall’utilizzo abusivo e fraudolento dell’interposizione. Per quanto riguarda l’accesso alle strutture ed attrezzature collettive (ristorazione, infrastrutture di accoglienza dell’infanzia, trasporto), risulta 71 difficile immaginare delle situazioni nelle quali sia possibile derogare alla parità di accesso. Non sembrano esserci in tal senso ragioni giustificatrici oggettive, non venendo in rilievo la durata dell’incarico dato che è previsto che queste ‘comodità’ si applichino a tutte le categorie di lavoratori assunti direttamente dall’impresa. Le limitazioni sono possibili nei casi in cui non si riesca nemmeno a soddisfare l’intero personale assunto direttamente dall’impresa come quando ad esempio i servizi di trasporto sono previsti solo per determinate categorie di lavoratori o quando le strutture per l’infanzia possono accogliere un numero limitato di bambini. Queste devono essere considerate come eccezioni dato che la parità di accesso è sempre e comunque la regola. Secondo la Commissione, le ragioni economiche (quali i costi dei servizi collettivi) non possono essere generalmente indicate come giustificazioni oggettive della disparità di trattamento, bisognerà decidere caso per caso quando potranno essere valutate come tali. Secondo i rappresentanti di CES ed UNI-Europa, le giustificazioni derogatorie oggettive devono essere negoziate dalle parti sociali. Gli Stati devono adottare le misure necessarie a promuovere il dialogo tra le parti sociali per migliorare le possibilità di accesso dei lavoratori interinali alle opportunità di formazione e alle infrastrutture d’accoglienza dell’infanzia con la finalità dichiarata di favorire l’occupabilità e la progressione in carriera dei lavoratori stessi. Questa disposizione si 72 applica alle agenzie interinali, anche per il periodo intercorrente tra una missione e l’altra. La ratio, dunque, è di migliorare le condizioni e la qualità della vita e del lavoro e, a tal fine, si lascia un ampio margine di discrezionalità ai legislatori dei Paesi membri date le diversità tra gli ordinamenti e la difficoltà di armonizzare i diversi sistemi sindacali. In conclusione, tale disposizione si aggiunge a quelle volte a consolidare la funzione di promozione dell’occupazione attribuita al lavoro tramite agenzia e appare come il giusto completamento del principio di parità di trattamento di cui all’art. 5 della medesima direttiva. 8. Rappresentanza dei lavoratori tramite agenzia interinale. Articolo 7 1. I lavoratori tramite agenzia interinale sono presi in considerazione, alle condizioni stabilite dagli Stati membri, per il calcolo della soglia sopra la quale si devono costituire gli organi rappresentativi dei lavoratori previsti dalla normativa comunitaria e nazionale o dai contratti collettivi in un’agenzia interinale. 2. Gli Stati membri hanno la facoltà di prevedere, alle condizioni da essi definite, che i lavoratori tramite agenzia interinale siano presi in considerazione, in un’impresa utilizzatrice, come lo sono o lo sarebbero i lavoratori direttamente impiegati dall’impresa medesima per lo stesso periodo di tempo, per il calcolo della soglia sopra la quale si possono costituire gli organi rappresentativi dei lavoratori previsti dalla normativa comunitaria e nazionale e dai contratti collettivi. 3. Gli Stati membri che si avvalgono della facoltà di cui al paragrafo 2 non sono tenuti ad applicare le disposizioni del paragrafo 1. L’art. 7 pone norme di carattere generale volte a regolare la rappresentanza dei lavoratori interinali per tutelarne le esigenze nell’assetto delle relazioni industriali dei Paesi membri. Ha una logica duplice. Innanzitutto obbliga gli Stati membri a conteggiare il numero di 73 lavoratori interinali impiegati per verificare se si raggiunge la soglia per la costituzione degli organi rappresentativi dei lavoratori. In secondo luogo permette il conteggio di questa tipologia di lavoratori presso l’agenzia (co.1), presso l’impresa utilizzatrice (co.2) o presso entrambe. Vi è quindi uno sdoppiamento della figura datoriale il che pone problemi dal punto di vista della rappresentanza sindacale che è sempre stata incentrata sulla permanenza stabile dei lavoratori presso il medesimo luogo di lavoro. Secondo BusinessEurope, il criterio per conteggiare i lavoratori si basa sulla durata dell’incarico presso l’impresa utilizzatrice e l’anzianità presso l’agenzia interinale. Questi elementi devono essere determinati secondo i criteri propri di ciascun ordinamento. Gli Stati sono liberi di decidere se computare i lavoratori tra i dipendenti dell’agenzia o quelli dell’impresa fermo restando l’obbligo della loro rilevanza nella verifica delle soglie dimensionali. La presenza di un duplice datore di lavoro accresce le esigenze di tutela dei lavoratori. Questi devono essere conteggiati all’interno dell’organico dell’agenzia in quanto fanno parte dell’organizzazione produttiva della stessa ma il prestare la propria opera pressa l’impresa utilizzatrice influisce sulle esigenze di rappresentanza collettiva presso questa struttura. Considerata l’importanza crescente di questa forma d’impiego, è facile immaginare che anche l’importanza dei lavoratori interinali nell’organizzazione produttiva dell’utilizzatore sia destinata ad aumentare. È quindi necessario adattare i modelli di rappresentanza sindacale dei 74 lavoratori temporanei alle relative esigenze di tutela anche attraverso meccanismi che consentano di tenere in considerazione i lavoratori interinali per la determinazione delle soglie dimensionali ai fini della costituzione delle rappresentanze collettive. La scelta del computo presso l’agenzia o l’utilizzatore, così come posta nell’art. 7, non consente una piena soddisfazione della richiesta di rappresentanza di questi soggetti. 9. Informazione dei rappresentanti dei lavoratori. Articolo 8 Fatte salve le disposizioni nazionali e comunitarie, più restrittive e/o più specifiche, relative all’informazione e alla consultazione e, in particolare, la direttiva 2002/14/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 marzo 2002, che istituisce un quadro generale relativo all’informazione e alla consultazione dei lavoratori (1), l’impresa utilizzatrice è tenuta a fornire informazioni adeguate sul ricorso a lavoratori tramite agenzia interinale all’interno dell’impresa all’atto della presentazione dei dati sulla propria situazione occupazionale agli organi rappresentativi dei lavoratori, istituiti conformemente alla normativa comunitaria e nazionale. L’informazione e la consultazione sono temi centrali dell’intervento comunitario sia a livello transnazionale che nazionale e locale. L’impresa utilizzatrice, quando fornisce informazioni relative alla situazione occupazionale al suo interno, è tenuta a fornire tutte quelle che sono ritenute necessarie sull’utilizzo dei lavoratori interinali. Questa disposizione va letta insieme all’art. 4.2 della direttiva 2002/14/EC che alla lettera B prevede <<l'informazione e la consultazione sulla situazione, la struttura e l'evoluzione probabile dell'occupazione nell'ambito dell'impresa o dello stabilimento, nonché sulle eventuali misure anticipatrici previste, segnatamente in caso di minaccia per l'occupazione>>. 75 Per CES ed UNI-Europa i dati forniti relativi all’uso dei lavoratori interinali devono essere dettagliati e negli Stati dove il ricorso a questa forza lavoro deve essere giustificato da ragioni oggettive, queste ragioni devono essere accessibili ai rappresentanti dei lavoratori su richiesta. L’art. 8 fissa uno standard minimo da rispettare che non deve assolutamente essere considerato come limitativo della qualità e quantità di informazioni che possono essere rilasciate. Le ‘informazioni adeguate’ cui si fa riferimento nell’articolo coprono le questioni relative al numero di lavoratori interinali utilizzati, la durata del loro impiego, la natura dell’incarico, le motivazioni del ricorso a questa forma di impiego, la progressiva stabilizzazione dei rapporti con tali dipendenti. Non si prevedono nuovi obblighi d’informazione ma si specifica il contenuto di quelli già previsti. Alle imprese che sono escluse dai sistemi d’informazione e consultazione considerati i relativi livelli occupazionali non si applica l’articolo in esame. 10. Disposizioni finali. Articolo 9 Requisiti minimi 1. La presente direttiva lascia impregiudicato il diritto degli Stati membri di applicare o introdurre disposizioni legislative, regolamentari o amministrative più favorevoli ai lavoratori, o di agevolare o consentire contratti collettivi o accordi conclusi tra le parti sociali più favorevoli ai lavoratori. 2. In nessun caso l’attuazione della presente direttiva costituisce una ragione sufficiente per giustificare una riduzione del livello generale di protezione dei lavoratori rientranti nel suo ambito d’applicazione. La sua attuazione lascia impregiudicati i diritti degli Stati membri e/o delle parti sociali, tenuto conto di eventuali cambiamenti della situazione, di emettere disposizioni legislative, regolamentari o contrattuali diverse da quelle che 76 esistono al momento dell’adozione della presente direttiva, purché i requisiti minimi previsti dalla presente direttiva siano rispettati. Articolo 10 Sanzioni 1. Gli Stati membri dispongono misure idonee in caso di inosservanza della presente direttiva da parte di agenzie interinali o imprese utilizzatrici. In particolare, essi si adoperano affinché sussistano procedure amministrative o giudiziarie appropriate intese a fare rispettare gli obblighi che derivano dalla presente direttiva. 2. Gli Stati membri determinano il regime delle sanzioni applicabili a violazioni delle disposizioni nazionali di attuazione della presente direttiva e adottano ogni misura necessaria a garantirne l’attuazione. Le sanzioni previste devono essere effettive, proporzionate e dissuasive. Gli Stati membri notificano queste disposizioni alla Commissione entro il 5 dicembre 2011. Gli Stati membri comunicano alla Commissione tempestivamente ogni ulteriore modifica di tali disposizioni. In particolare, essi garantiscono che i lavoratori e/o i loro rappresentanti dispongano di procedure adeguate ai fini dell’esecuzione degli obblighi previsti dalla presente direttiva. L’applicazione della direttiva non impedisce l’introduzione di misure nazionali legislative, regolamentari e amministrative più favorevoli ai lavoratori o di disposizioni contenute in accordi e contratti collettivi conclusi dalle parti sociali. L’art. 153 TFUE statuisce che l’Unione sostiene e completa l’azione degli Stati membri e prevede che le misure adottate da Parlamento e Consiglio secondo la procedura legislativa ordinaria comunque non devono compromettere <<la facoltà riconosciuta agli Stati membri di definire i principi fondamentali del loro sistema di sicurezza sociale e non devono incidere sensibilmente sull'equilibrio finanziario dello stesso; non ostano a che uno Stato membro mantenga o stabilisca misure, compatibili con i trattati, che prevedano una maggiore protezione>>. Si applica quindi il principio di salvaguardia della norma più favorevole che era già stato riconosciuto dal TCEE. 77 La Corte di Giustizia ha dato un contributo notevole sul rapporto tra le fonti internazionali, comunitarie e nazionali del diritto del lavoro. Nella sentenza del 12 novembre 1996, Regno Unito v. Consiglio ci sono indicazioni importanti sulla relazione tra diritto dell’Unione e diritti nazionali. La Corte ha chiarito che quando il trattato parla di ‘prescrizioni minime’ riconosce agli Stati membri la possibilità di adottare norme più rigorose rispetto a quelle dell’intervento comunitario, ma non limita la facoltà d’intervento degli organi comunitari. L’applicazione della direttiva non è una ragione sufficiente a giustificare una riduzione del livello generale di protezione rispetto alle previsioni dell’ordinamento nazionale. Restano quindi valide le disposizioni preesistenti, di qualsiasi livello (legislativo, regolamentare, contrattuale), purché siano rispettati i requisiti della direttiva. Quando i legislatori nazionali sono chiamati a confrontarsi con l’obbligo di trasposizione nell’ordinamento interno di una direttiva, si trovano davanti solo un obbligo di risultato e ciò significa che la trasposizione deve essere compiuta lasciando gli Stati liberi di decidere la forma e i mezzi. Nel diritto del lavoro, le normative nazionali di trasposizione si devono misurare con il principio di non regresso: la normativa interna successiva all’attuazione della direttiva non può mai essere deteriore, non può mai prevedere un trattamento peggiorativo rispetto alla normativa nazionale precedente all’attuazione della direttiva stessa. L’eventuale reformatio in peius deve essere fondata su motivi di politica sociale diversi dall’obbligo 78 di trasposizione delle regole comunitarie; non è sufficiente che questi motivi siano semplicemente enunciati, dovranno essere rigorosamente dimostrati da parte dello Stato interessato. Gli Stati membri devono prevedere le misure adeguate (procedure amministrative o giudiziarie) a garantire il rispetto degli obblighi previsti dalla direttiva stessa. Le sanzioni devono essere effettive, proporzionate e dissuasive, sono determinate da ogni Paese membro autonomamente e comunicate alla Commissione13. Questa autonomia è giustificata dalle ampie differenze tra gli Stati membri rispetto alle conseguenze in cui incorrono i soggetti che pongono in essere fattispecie interpositorie illegittime. Data la natura trilaterale del rapporto, la sanzione deve essere distribuita ragionevolmente tra i soggetti che realizzano l’illecito sia per quanto concerne la solidarietà economica e imprenditoriale che per il grado di colpevolezza (effettiva o presunta) nella realizzazione. La Corte di Giustizia è chiamata a controllare che le previsioni adottate rispettino le caratteristiche su indicate. L’art. 11 della direttiva ha imposto agli Stati membri di adottare le misure legislative, regolamentari, amministrative necessarie all’attuazione della stessa entro il 5 dicembre 2011. Come si sia effettivamente proceduto in ogni singolo Paese sarà oggetto di studio nel prossimo capitolo. 13 Precisamente, al secondo paragrafo dell’art. 10 si legge che gli Stati erano tenuti a notificare alla Commissione le sanzioni applicabili alle violazioni della direttiva entro il 5 dicembre 2011, data prevista per l’attuazione della stessa. Inoltre sono tenuti a comunicare tutte le modifiche che si apportano nel tempo alle disposizioni interne. 79 CAPITOLO 2 IMPLEMENTAZIONE DELLA DIRETTIVA 2008/104 NEI PAESI MEMBRI SOMMARIO: 1. Introduzione. - 2. L’effettiva attuazione nei Paesi membri. - 3. Determinazione dei termini chiave. - 4. La parità di trattamento. - 5. Analisi e rimozione di proibizioni e limitazioni da parte degli Stati membri. - 6. Mezzi e strumenti riconosciuti ai lavoratori interinali. - 7. Il computo dei lavoratori interinali ai fini della costituzione degli organi rappresentativi. - 8. Obbligo di fornire informazioni sul ricorso alla somministrazione dei lavoratori. - 9. Standard minimi di tutela. - 10. I rimedi in caso di inosservanza della disciplina. 1. Introduzione. Questo capitolo ha lo scopo di esaminare l’applicazione della direttiva da parte degli Stati membri tenendo in conto quanto stabilito dall’art. 12 secondo il quale entro il 5 dicembre 2013 si sarebbe dovuto svolgere il riesame della direttiva da parte della Commissione in consultazione con gli Stati membri e le parti sociali a livello comunitario per proporre, se del caso, le modifiche necessarie. La Commissione ha: analizzato le disposizioni nazionali di attuazione della direttiva da parte dei Paesi membri; predisposto due questionari, uno sulle modalità scelte per il recepimento della direttiva e l’altro sul riesame della direttiva e sui relativi costi. Il primo è stato sottoposto agli Stati membri, il secondo anche alle parti sociali a livello europeo; 80 ottenuto informazioni da altre fonti, ad esempio da esperti indipendenti dell’European Labour Law Network. L’art. 11.1 ha imposto agli Stati di recepire la direttiva entro il 5 dicembre 2011 attraverso l’adozione delle misure legislative, regolamentari e amministrative necessarie o rimettendo alle parti sociali la previsione delle disposizioni essenziali all’attuazione mediante accordo collettivo. La direttiva è stata recepita da tutti gli Stati membri con modalità differenti dato che, prima della sua entrata in vigore, in alcuni ordinamenti il lavoro interinale era disciplinato da disposizioni legislative, in altri da contratti collettivi e in altri ancora da entrambi. Altri Stati, infine, non prevedendo alcuna disciplina per la somministrazione, hanno regolato questa forma di lavoro per la prima volta con il recepimento della direttiva. Francia, Lussemburgo e Polonia, invece, hanno ritenuto che le proprie disposizioni nazionali fossero già conformi alla direttiva e pertanto non necessitassero alcuna modifica. Per quanto concerne la Spagna la disciplina è contenuta nella Ley n.14 dell’1 giugno 1994. La direttiva ha avuto un impatto “moderato”, dato che gran parte dei principi in essa contenuti erano già presenti nella Ley 14/94 e nella contrattazione collettiva. In ogni caso, la Ley 35/2010, ha introdotto alcune modifiche volte a rendere effettivo il principio di parità di trattamento di cui all’art. 11, Ley 14/1994, ed è intervenuta in materia di divieti e restrizioni. Ha affidato alla contrattazione collettiva il compito di 81 individuare le misure necessarie a facilitare l’accesso alla formazione da parte dei lavoratori assunti dall’agenzia, in eguale maniera rispetto ai lavoratori dell’impresa utilizzatrice, nonché le ipotesi di lavori o professioni particolarmente pericolose per la sicurezza e la salute sul luogo di lavoro, tali da escludere la possibilità di ricorrere al contratto di fornitura. In Italia la trasposizione della direttiva 2008/104/CE è avvenuta ad opera del d.lgs. n. 24 del 2 marzo 2012 che ha introdotto alcune significative modifiche alla disciplina dell’istituto di cui agli artt. 20 e ss. d.lgs. n. 276 del 2003. Quest’ultimo, come è noto, ha permesso il superamento del divieto di intermediazione ed interposizione nelle prestazioni di lavoro di cui alla L. 1369/1960; divieto che era già stato temperato dalla L. 196/1997, con l’introduzione del lavoro interinale a termine. Negli anni successivi al 2003, salvo qualche circoscritto intervento (come ad esempio l’abolizione del concetto di somministrazione a tempo indeterminato con la L. 247/2007 poi reintrodotto nel 2009 nonostante il suo quasi nullo utilizzo), la disciplina è rimasta pressoché inalterata, sino, appunto, all’intervento del 2012 attuativo della direttiva. La Svezia, la Danimarca e Cipro hanno proceduto alla ratifica della direttiva in ritardo, non rispettando quindi il termine previsto all’art. 11. La Commissione ha attivato contro questi Paesi la procedura di infrazione richiedendo con un parere motivato la comunicazione, entro il 21 dicembre 2012, delle misure di attuazione impiegate. 82 In Norvegia c’era stata un’iniziale opposizione all’attuazione della direttiva da parte del sindacato Fellesforbundet che riteneva che la possibilità di concludere contratti di lavoro temporanei dovesse spettare alla contrattazione collettiva. Venne indetto pertanto uno sciopero nazionale nel gennaio 2012 per protestare contro il piano di adozione del Governo ed esprimere il proprio timore in quanto era percepito come minacciato il lavoro a tempo indeterminato ed indebolito il potere dei sindacati. Nonostante ciò, il Governo ha preso le misure necessarie per provvedere all’attuazione entro l’1 gennaio 2013. 2. L’effettiva attuazione nei Paesi membri. L’art. 1 stabilisce che il lavoro interinale è caratterizzato da una relazione triangolare tra il lavoratore, l’agenzia interinale e l’impresa utilizzatrice. La direttiva si applica alle agenzie interinali che agiscono con o senza scopo di lucro e alle imprese utilizzatrici pubbliche e private. Normalmente le imprese svolgono un’attività economica; per attività economica si deve intendere qualsiasi prestazione di servizi remunerata (non necessariamente da chi ne beneficia). Le attività svolte dalle imprese del settore pubblico non sempre rientrano tra quelle delle imprese esercenti un’attività dietro corrispettivo economico. È stata rimessa agli Stati la scelta dell’includere o meno, nel campo di applicazione della direttiva, gli utilizzatori che non esercitano un’attività economica. 83 Diciannove Stati membri hanno optato per l’applicazione della direttiva anche alle imprese che non esercitano attività economica mentre altri Paesi (Bulgaria, Cipro, Danimarca, Irlanda, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Regno Unito e Romania) le hanno escluse. In Austria, il campo di applicazione è stato eccezionalmente esteso alle agenzie di collocamento interinali no-profit, al collocamento in imprese pubbliche nazionali, regionali e comunali nel settore dell’agricoltura e silvicoltura, al programma pubblico di formazione professionale. Il terzo paragrafo prevede che la direttiva non si applichi ai rapporti di lavoro conclusi nell’ambito di uno specifico programma di formazione, inserimento o riqualificazione professionale pubblico o comunque sostenuto da enti pubblici. Gli unici Stati a prevedere questa esclusione sono stati l’Austria, Cipro, la Danimarca, l’Irlanda, Malta, la Svezia e l’Ungheria. A Cipro e in Irlanda, l’esclusione è stata giustificata con il voler agevolare l’inserimento o reinserimento di persone che potrebbero avere difficoltà a collocarsi nel mercato del lavoro. In Svezia sono esclusi dall’applicazione del principio di parità di trattamento i lavoratori che beneficiano del sostegno di occupazione speciale o di forme di lavoro protetto. Gli si applica invece l’art. 6 relativo all’accesso alle strutture ed attrezzature collettive e al diritto di essere informati sui posti vacanti a tempo indeterminato presso l’utilizzatore. 84 3. Determinazione dei termini chiave. L’art. 3 dà la definizione di vari termini chiave quali: missione, datore di lavoro, condizioni di base di lavoro e d’occupazione. Alcuni Stati (Cipro, Grecia, Irlanda, Lituania, Malta, Portogallo, Regno Unito, Svezia e Ungheria) hanno dato delle definizioni proprie nelle normative interne di attuazione che si avvicinano molto a quelle usate nella direttiva e che di conseguenza ne chiariscono il campo di applicazione. Concetto di ‘missione’. È un concetto che esiste nella maggior parte dei Paesi membri e si riferisce al periodo temporaneo durante il quale il lavoratore somministrato presta la propria opera presso l’impresa utilizzatrice. In Belgio non esiste questo concetto, la durata di un incarico coincide con quella del contratto o con la somma di più contratti successivi. La natura temporanea è assicurata dall’elenco dei motivi ammissibili per ricorrere alle agenzie temporaneo interinali: del lavoro, sostituzione lavoro di un lavoratore, eccezionale. Ognuna incremento di queste giustificazioni incorpora dei limiti di tempo o prevede delle procedure volte ad assicurare la durata temporanea della missione. Il 30 gennaio 2012 le parti sociali hanno concluso un accordo che prevede la possibilità per i lavoratori interinali di essere assunti in via permanente; ciò non comporta che l’utilizzatore sia costretto ad assumere il lavoratore interinale ma che è costretto a giustificare un eventuale rifiuto. 85 Concetto di ‘datore di lavoro’. Secondo la Direttiva, il datore di lavoro è da identificare con l'agenzia interinale difatti l’art. 3 lett.b afferma che l’agenzia è identificabile con <<qualsiasi persona fisica o giuridica che (…) sottoscrive contratti di lavoro o inizia rapporti di lavoro con i lavoratori (…) al fine di inviarli in missione presso imprese utilizzatrici affinché prestino temporaneamente la loro opera sotto il controllo e la direzione delle stesse>>. Questa disposizione è rispettata nella maggior parte dei Paesi (ad esempio in Lettonia dove la normativa interna afferma espressamente che l’agenzia interinale è il datore di lavoro o in Irlanda dove, superate le iniziali differenze, adesso la legislazione risulta in linea con la direttiva). Per l’ordinamento ceco, rientrano nel concetto di datore di lavoro tanto l’agenzia quanto l’utilizzatore. Concetto di ‘condizioni di base di lavoro e d’occupazione’. Secondo l’art. 3 lett.f sono incluse nelle condizioni di base l’orario di lavoro, le ore di lavoro straordinario, le pause, i periodi di riposo, il lavoro notturno, le ferie e i giorni festivi.1 Alcuni ordinamenti, come ad esempio quello belga, vi fanno rientrare anche il lavoro part-time e la giornata lavorativa di domenica, quello francese e portoghese la salute e sicurezza dei lavoratori, quello italiano la gravidanza e la parità di genere. In Bulgaria le condizioni di base sono tutte quelle previste da leggi, atti 1 Discorso a parte va fatto per la retribuzione. 86 amministrativi, accordi collettivi e altre disposizioni applicate dall’impresa utilizzatrice. Risulta difficile comunque fare una comparazione tra i vari Stati dato che questi danno definizioni diverse ai concetti su menzionati. Concetto di ‘retribuzione’. La sua definizione è rimessa agli Stati membri. Alcuni hanno fornito una definizione alquanto ampia come il Belgio, l’Olanda, la Finlandia, la Spagna e la Danimarca. La Polonia non ne dà uno specifico significato in relazione ai lavoratori interinali; si limita a prevedere che all’interno della parità di trattamento rientrino tutte le condizioni lavorative compresa la remunerazione. È invece data ogni anno dal Ministero un’indicazione del salario minimo che normalmente si aggira intorno ai 350 euro. Nel Regno Unito si è adottata una definizione ampia basata sul salario minimo annuo che il lavoratore avrebbe percepito se contrattato direttamente dall'impresa utilizzatrice. Sono inclusi gli straordinari, i bonus e le provvigioni relative alla quantità e qualità del lavoro svolto dal soggetto. Non sono comprese invece l’indennità per malattia, per licenziamento e la previdenza professionale. In Francia, se alla fine della missione il lavoratore non dovesse beneficiare immediatamente di un contratto di lavoro a durata indeterminata con l’impresa utilizzatrice avrà diritto a titolo di supplemento della retribuzione ad un’indennità di fine missione pari al 10% della retribuzione totale lorda 87 in modo da compensare la situazione di precarietà in cui il soggetto viene a trovarsi. Pochi sono gli Stati che hanno invece adottato un approccio restrittivo. In Portogallo, i lavoratori interinali con contratti a tempo determinato hanno diritto al salario minimo previsto dagli accordi collettivi applicabili presso l’utilizzatore o l’agenzia secondo le funzioni svolte, o al salario pagato al lavoratore che svolge le stesse funzioni o un impiego di ugual valore. Queste regole valgono anche per i lavoratori interinali con contratti a tempo indeterminato; nel periodo tra una missione e l’altra, la retribuzione può essere pari al salario minimo nazionale; può essere determinata sulla base del contratto collettivo applicabile all’utilizzatore o all’agenzia; può coprire almeno i due terzi del salario percepito per l’ultimo incarico se risulta essere più elevato rispetto a quello che spetterebbe al lavoratore utilizzando i primi due metodi. 4. La parità di trattamento L’art. 2 prevede che lo scopo della direttiva sia quello di migliorare la qualità del lavoro interinale garantendo la parità di trattamento così come disciplinata dall’art. 5. L’art. 5 fissa il principio della parità di trattamento secondo il quale i lavoratori in missione presso l’utilizzatore devono godere fin dal primo giorno delle stesse condizioni di base di lavoro e d’occupazione che si 88 applicherebbero loro se fossero direttamente impiegati presso l’impresa utilizzatrice. Vari Stati, prima che la direttiva entrasse in vigore, applicavano già il principio della parità di trattamento; con l’adozione della direttiva è attualmente riconosciuto da tutti i Paesi. L’ordinamento italiano ha attribuito al principio una portata più ampia rispetto a quanto previsto prima dell’attuazione della direttiva. Mentre la previgente formulazione riconosceva al lavoratore il diritto a un «trattamento economico e normativo complessivamente non inferiore a quello dei dipendenti di pari livello dell’utilizzatore, a parità di mansioni svolte», l’attuale formulazione della norma prevede che tale parità di trattamento sia garantita «per tutta la durata della missione presso un utilizzatore» ed in riferimento alle «condizioni di base di lavoro e d’occupazione». La maggior parte degli Stati ha optato per una formulazione che si distacca in modo notevole dalla terminologia utilizzata nella direttiva per definire sia la parità di trattamento che le condizioni di base di lavoro e d’occupazione. In Estonia, il principio della parità di trattamento si basa sul concetto del ‘lavoratore comparabile’ dell’utilizzatore. Nel caso non se ne possa rinvenire uno, il confronto si dovrà effettuare in riferimento al contratto collettivo applicabile; nel caso non vi fosse una contrattazione collettiva, si 89 dovrà prendere in considerazione un dipendente addetto ad un incarico simile o identico nella stessa regione. Anche nel Regno Unito ed in Polonia le condizioni da applicare ai lavoratori interinali sono determinate sulla base del raffronto con il lavoratore comparabile. Difatti, in Polonia, i lavoratori interinali che prestano la propria opera presso l’impresa utilizzatrice non possono subire dei trattamenti meno favorevoli rispetto a quelli riservati ai dipendenti contrattati direttamente dall’impresa utilizzatrice che svolgono un lavoro uguale o simile. Essi inoltre hanno diritto all'equa retribuzione a carico dell'agenzia sulla base delle informazioni fornite dall'impresa utilizzatrice. Le disposizioni dei regolamenti sulla remunerazione o dei contratti collettivi che prevedono espressamente una paga inferiore per i lavoratori somministrati non sono accettabili. Nella pratica però capita che i lavoratori interinali svolgano compiti che non sono comparabili con quelli di nessun altro lavoratore stabile dell’impresa e ottengono una retribuzione inferiore a quella che avrebbe percepito il lavoratore impiegato direttamente dall’utilizzatore per svolgere gli stessi incarichi. La Commissione ha il dovere di verificare se nella pratica il riferimento ad un lavoratore comparabile sia in grado di garantire la corretta applicazione del principio o se invece dia luogo a pratiche discriminatorie nei confronti dei lavoratori interinali. In quest’ultimo caso adotterà le misure adeguate a garantire la piena osservanza della direttiva. 90 In Slovenia la parità di trattamento deve essere attuata dall’agenzia interinale quale datore di lavoro che deve assicurare al lavoratore i diritti che gli spettano ex lege e lo stesso vale per l’utilizzatore durante la missione. In Lituania, il principio della parità di trattamento è solo vagamente formulato e ciò comporta difficoltà pratiche come per esempio quella di definire il salario che spetterebbe al lavoratore interinale se fosse direttamente assunto dall’impresa. Secondo la Repubblica Ceca, la parità di trattamento è un principio generalmente valido nel diritto del lavoro. È inserito nel Codice del Lavoro nella sezione 309-5 e afferma che l’agenzia interinale e l’impresa utilizzatrice devono assicurare che le condizioni lavorative e retributive del lavoratore temporaneo non siano inferiori a quelle applicabili al lavoratore comparabile impiegato stabilmente presso l’utilizzatore. Se le condizioni effettive non rispettano questo standard, l’agenzia deve provvedere all’applicazione del principio o di propria iniziativa o su segnalazione del lavoratore. In Portogallo, la legge distingue tra i contratti di lavoro temporanei, definiti in modo molto simile rispetto a quanto si legge nella direttiva, e quelli a tempo indeterminato per il lavoro temporaneo. L’art. 185 della L. 7/2009 prevede che, durante la missione, i lavoratori temporanei (a prescindere da quale sia la forma del loro contratto) hanno diritto a che gli vengano applicate le regole proprie previste dall’utilizzatore in relazione alle 91 modalità di lavoro, l’orario lavorativo, la salute e la sicurezza, l’accesso ai servizi forniti dall’impresa stessa. L’art. 184 prevede che tra una missione e l’altra, l’indennità dei lavoratori sia pari almeno al salario minimo nazionale o a quanto previsto dal contratto collettivo applicabile presso l’impresa utilizzatrice o l’agenzia interinale o ancora ai due terzi di quanto ricevuto per l’ultimo incarico (se questo risulta essere il maggior importo applicabile). In Belgio, il principio dell'equa retribuzione per uno stesso incarico si applica indipendentemente dalla natura temporanea dello stesso almeno che la contrattazione collettiva non preveda vantaggi di uguale valore. Deroghe alla parità di trattamento. L'art. 5 (dal secondo paragrafo in poi) prevede la possibilità di derogare al principio al ricorrere di alcune circostanze. Sono dodici gli Stati che si sono avvalsi di questa possibilità. L’art. 5.2 concede agli Stati membri la possibilità di derogare alla parità di retribuzione nel caso in cui i lavoratori interinali continuino a essere retribuiti nel periodo che intercorre tra una missione e l’altra purché abbiano un contratto a tempo indeterminato con l’agenzia. Questa deroga, a parte che in Irlanda, Malta, Regno Unito, Svezia e Ungheria, è stata poco applicata. In Ungheria si prevede che questo tipo di lavoratori abbia diritto alla parità di retribuzione dal 184° giorno di lavoro presso l’utilizzatore. 92 In Irlanda, il Protection of Employees (Temporary Agency Work) Act del 2012 stabilisce che i lavoratori interinali con contratto a tempo indeterminato non hanno diritto alla parità di retribuzione per tutta la durata dell’incarico se nel periodo che intercorre tra una missione e l’altra gli è corrisposta almeno la metà della retribuzione loro spettante per la missione più recente sempre che non sia inferiore al salario minimo nazionale. Il lavoratore, prima di sottoscrivere questo tipo di contratto, deve essere informato per iscritto dall’agenzia interinale del fatto che non avrà diritto alla parità di retribuzione. Nel Regno Unito, gli Agency Workers Regulations 2010 derogano alla parità di trattamento per ciò che concerne la retribuzione e le ferie per i lavoratori interinali con contratto a tempo indeterminato con l’agenzia. Questi, tra una missione e l’altra, hanno diritto al 50% minimo della retribuzione di base che è stata corrisposta loro nelle ultime dodici settimane della missione precedente e, in ogni caso, al salario minimo nazionale. A Malta ed in Svezia ci si limita ad affermare che ai lavoratori interinali che hanno un contratto a tempo indeterminato e che sono retribuiti tra una missione e l’altra non si applica la parità. L’art. 5.3 prevede che gli Stati membri, dopo la consultazione delle parti sociali, possono permettere alle stesse di mantenere o concludere contratti collettivi riguardanti le condizioni di lavoro e d’occupazione dei lavoratori interinali in deroga al principio della parità di trattamento e nel 93 rispetto della protezione globale dei lavoratori stessi. Questo paragrafo va letto insieme all’art 2.2 della direttiva 91/383/CEE sulla sicurezza e sulla salute durante il lavoro dei lavoratori aventi un rapporto di lavoro a durata determinata o un rapporto di lavoro interinale che indica come non giustificata una differenza di trattamento relativa alla protezione della salute e sicurezza durante il lavoro. Austria, Bulgaria, Danimarca, Finlandia, Germania, Irlanda, Italia, Paesi Bassi, Svezia e Ungheria hanno adottato disposizioni che permettono ai contratti collettivi di lavoro di derogare alla parità di trattamento dei lavoratori tramite agenzia interinale. In Austria, Irlanda e Svizzera, ciò è possibile a condizione che i contratti collettivi di lavoro siano opportunamente equilibrati al fine di non pregiudicare la protezione globale dei lavoratori somministrati. In Italia il principio di parità di trattamento era già esistente nella legislazione nazionale ma è stato nuovamente sancito nel decreto 24/2012 adottato per la trasposizione della direttiva. In aggiunta, sono stati conclusi degli accordi tra le agenzie interinali e Italia Lavoro, ente strumentale del Ministero del Lavoro, per derogare al principio nel caso di assunzione di lavoratori svantaggiati2. Sono considerati tali quei soggetti che trovano particolari difficoltà ad entrare nel mondo del lavoro e la deroga alla parità è ammessa se vengono assunti dall’agenzia di 2 Sono considerati soggetti svantaggiati i disoccupati percettori dell’indennità ordinaria di disoccupazione non agricola con requisiti normali o ridotti, da almeno 6 mesi; i percettori di ammortizzatori sociali, anche in deroga, da almeno 6 mesi; i lavoratori definiti “svantaggiati” o “molto svantaggiati” ai sensi del regolamento 800/2008 CE. 94 somministrazione per almeno sei mesi con un piano individuale di inserimento o reinserimento nel mercato del lavoro. Secondo l’art. 5.4, gli Stati membri che non possiedono un sistema che dichiari i contratti collettivi universalmente applicabili né un sistema che consenta di estendere le disposizioni di tali contratti a tutte le imprese simili in un determinato settore o area geografica possono, in base a un accordo concluso dalle parti sociali nazionali, derogare al principio della parità di trattamento per quanto riguarda le condizioni di base di lavoro e d'occupazione dei lavoratori tramite agenzia interinale, a condizione che a tali lavoratori sia garantito un livello adeguato di protezione. In tal caso può essere previsto un periodo di attesa per il conseguimento della parità di trattamento. Gli unici Paesi che hanno fatto ricorso a questa deroga sono stati Malta e il Regno Unito. Nel Regno Unito, un accordo prevede espressamente che, dopo dodici settimane di lavoro, si riconosca al lavoratore interinale il diritto alla parità di trattamento almeno in relazione alle condizioni di base che si applicherebbero al lavoratore se fosse stato contrattato direttamente presso l’utilizzatore per svolgere mansioni uguali o simili. Sono state anche adottate delle norme volte ad assicurare la parità nella retribuzione ed è stata elaborata, fin dalla trasposizione della direttiva una nuova strategia che spinge i lavoratori interinali a firmare nuovi contratti di lavoro 95 contenenti l’indicazione della loro considerazione come lavoratori a tempo indeterminato. Questa pratica ha però preoccupato i sindacati i quali temono che questa possa essere una tecnica volta a evitare in realtà l’applicazione della parità nel trattamento e nella retribuzione. Il legislatore britannico ha anche previsto un 'real comparator defence' che permette all'impresa di dimostrare che il principio di parità di trattamento è stato rispettato in quanto il lavoratore interinale gode delle stesse condizioni di lavoro di un reale lavoratore comparabile dell'impresa utilizzatrice. Il rischio di questo meccanismo è che il datore di lavoro possa assumere un lavoratore per lo scopo della comparazione riconoscendogli condizioni di lavoro inferiori. A Malta, per quanto riguarda la retribuzione si è previsto che la parità non si applichi per le prime quattro settimane in relazione a missioni la cui durata non è inferiore alle quattordici. Gli Stati che applicano questo paragrafo devono anche precisare se i regimi professionali di sicurezza sociale (inclusi i regimi pensionistici) sono compresi o meno nelle condizioni di base. Si rileva che entrambi i Paesi su menzionati (Regno Unito e Malta) li escludono. Misure volte a prevenire gli abusi. L’art. 5.5 impone agli Stati di prevedere misure volte a evitare il ricorso abusivo all’articolo 5 e volte a prevenire missioni successive che potrebbero eludere le disposizioni di questa direttiva. 96 Due sono le misure più utilizzate: 1) la limitazione della durata delle missioni. In Polonia si prevede che un lavoratore interinale possa lavorare per un impresa per un massimo di 18 mesi all’interno di un periodo di 36 mesi consecutivi. Una volta raggiunto questo limite potrà lavorare di nuovo per lo stesso utilizzatore solo quando saranno passati 36 mesi dalla cessazione dell’incarico. In Grecia, il lavoratore interinale potrà prestare la propria opera presso l’impresa per un massimo di 36 mesi, in modo da evitare un abuso nell’assegnazione successiva. In Lussemburgo, la durata non può superare i 12 mesi per lo stesso incarico, rinnovi inclusi. Il Ministro del Lavoro può però estendere i termini quando per lo svolgimento della missione siano richieste conoscenze altamente specializzate ed elevata esperienza professionale. In Spagna, la durata massima dipende dalla ragione del ricorso al lavoro tramite agenzia così come indicato nell’art. 15 dello Statuto dei Lavoratori. Differente è la situazione in Portogallo dove non è permessa l’assegnazione di incarichi successivi ma la durata degli stessi è limitata solo in determinate situazioni come un eccezionale aumento dell’attività lavorativa. In Francia, a differenza di altri ordinamenti, il contratto con il quale l’agenzia assume il lavoratore poteva essere stipulato esclusivamente a tempo determinato e la sua durata non poteva eccedere i diciotto mesi, 97 rinnovi inclusi. Il 10 luglio 2013 le parti sociali hanno concluso un accordo collettivo che prevede espressamente che le agenzie interinali possano stipulare contratti a tempo indeterminato per assegnare un lavoratore interinale presso un’impresa utilizzatrice per svolgere più missioni consecutive. I contratti a tempo indeterminato devono essere obbligatoriamente redatti per iscritto e devono specificare la durata del periodo di prova, l’orario di lavoro, il salario minimo. 2) La previsione di un periodo di attesa tra una missione e l’altra. In Grecia, se viene superata la durata massima dell’incarico (36 mesi) senza che vi sia stata almeno una pausa di 45 giorni, il contratto o la relazione di lavoro temporanea con l’impresa utilizzatrice si trasforma in contratto/relazione a tempo indeterminato. Fanno eccezione i lavoratori impiegati in hotel o imprese alimentari contrattati per eventi sociali. L’ordinamento francese prevede che alla fine di un contratto di missione, lo stesso posto non possa essere ricoperto mediante l’assunzione di un lavoratore a tempo determinato o con il ricorso alla somministrazione di lavoro se prima non trascorre un periodo di attesa calcolato sulla base della durata della missione appena cessata, incluso un suo eventuale rinnovo. Tale periodo è pari ad un terzo della durata complessiva del contratto di missione cessato, inclusa una possibile proroga, nel caso di contratti di durata superiore a quattordici giorni; alla metà della durata se questa è stata inferiore ai quattordici giorni. 98 In alcuni casi le legislazioni nazionali prevedono soluzioni originali. In Polonia, i lavoratori interinali possono essere assunti solo con contratti a tempo determinato o per il compimento di un incarico specifico. In Irlanda, una serie d’incarichi uguali o simili svolti dallo stesso lavoratore sarà considerata come un’unica missione almeno che tra un compito e l’altro non vi sia stata una pausa di almeno tre mesi. In Italia nel caso di un incarico successivo, i contratti collettivi nazionali firmati da CGIL, CISL, UIL fissavano il numero massimo di estensioni possibili dello stesso contratto con la stessa agenzia e la stessa impresa utilizzatrice in sei rinnovi in un arco temporale di 36 mesi. Adesso, con la L. 78/20143, la somministrazione a termine con la quale un’agenzia per il lavoro invia dei lavoratori presso un’impresa utilizzatrice è consentita per i primi 36 mesi senza alcun limite per i rinnovi. Altra novità introdotta dalla legge 78/2014 è il superamento della cd. “causale” per la stipulazione di un contratto di somministrazione a tempo determinato. La regola generale diventa quella della cd. “acausalità” del contratto: non è più richiesta, come requisito per la valida stipulazione di un contratto di somministrazione a tempo determinato, la sussistenza di specifiche ragioni di ordine tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo. Per quanto riguarda invece i limiti quantitativi all’utilizzazione della somministrazione di lavoro, l’art. 20.4 del d. lgs. 276/2003 prevede che questi sono stabiliti 3 La L. 78/2014 è la legge di conversione del d.l. 34/2014 che modifica il d.lgs. 368/2001 di attuazione della direttiva 99/70/CE sul lavoro a tempo determinato, tenendo conto della crisi occupazionale e dell’incerta situazione economica in cui le imprese sono costrette a operare in questo momento storico. Stando a quanto espresso all’art. 22.2 del d.lgs. 276/2003, le disposizioni del d.lgs. 368/2001 si applicano alla somministrazione in quanto compatibili. 99 nei contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi. Per i datori di lavoro che occupano fino a cinque dipendenti è sempre possibile stipulare un contratto di lavoro a tempo determinato. Le proroghe sono ammesse, fino a un massimo di cinque volte, nell'arco dei complessivi trentasei mesi, indipendentemente dal numero dei rinnovi, a condizione che si riferiscano alla stessa attività lavorativa per la quale il contratto è stato stipulato a tempo determinato. Con esclusivo riferimento a tale ipotesi la durata complessiva del rapporto a termine non potrà essere superiore ai tre anni. Ai fini del suddetto computo del periodo massimo di durata del contratto a tempo determinato, pari a trentasei mesi, si tiene altresì conto dei periodi di missione aventi ad oggetto mansioni equivalenti, svolti fra i medesimi soggetti. 5. Analisi e rimozione di proibizioni e limitazioni da parte degli Stati membri. L’art. 4 prevede che i divieti e le restrizioni poste al ricorso al lavoro interinale possano essere giustificate solo sulla base di ragioni d’interesse generale relative alla tutela dei lavoratori, alla salute e sicurezza, alla necessità di garantire il buon funzionamento del mercato del lavoro e la prevenzione di abusi (questo è un elenco esemplificativo e non tassativo). Si sono incontrate sempre molte difficoltà nel definire il concetto di ‘interesse generale’ dato che i giudici dei singoli Paesi non ne hanno mai 100 fornito una definizione chiara e la Corte di Giustizia dell’Unione Europea prevede un ampio margine di apprezzamento. In Belgio non si è riusciti a raggiungere un accordo sulla definizione e i sindacati enfatizzano il riferimento agli aspetti relativi a salute e sicurezza; in Slovenia, il concetto di interesse generale è stato collegato alle restrizioni relative ai lavoratori in sciopero e alle problematiche su salute e sicurezza dei lavoratori. Sugli Stati gravava l’obbligo di rivedere queste limitazioni, consultare le parti sociali e fornire alla Commissione i risultati del riesame entro il 5 dicembre 2011 (data fissata per la trasposizione della direttiva). Tutti gli Stati hanno rispettato tale obbligo e comunicato alla Commissione la loro posizione riguardo al riesame di divieti e restrizioni. Quattro Paesi (Irlanda, Lussemburgo, Malta e Regno Unito) hanno dichiarato di non aver svolto alcun riesame in quanto avevano ritenuto non esistenti restrizioni o divieti all’interno dei loro ordinamenti. Nel caso del Lussemburgo, la Commissione, al contrario di quanto dichiarato, ha riscontrato delle restrizioni nella legislazione nazionale relativamente alla durata delle missioni e all’esistenza di un elenco di ragioni che rendono ammissibile il ricorso al lavoro tramite agenzia interinale. Queste dovranno essere riesaminate previa consultazione delle parti sociali e conformemente ai contratti collettivi e alle prassi nazionali secondo quanto disposto dall’art. 4.2 della direttiva. 101 Le relazioni sul riesame di divieti e restrizioni erano molto eterogenee per vari motivi: il formato, la lunghezza, la varietà di situazioni incontrate nei vari Paesi. Nella maggior parte dei casi la Commissione ha dovuto richiedere informazioni più specifiche e accurate. Benché il lavoro tramite agenzia interessi solo una percentuale esigua di lavoratori dipendenti, in alcuni Stati è più diffuso che in altri; in alcuni di essi la regolamentazione a livello nazionale si è avuta tra gli anni ’60 o ’70 (Paesi Bassi, Francia, Germania, Regno Unito) e in altri molto più di recente (alcuni hanno provveduto solo con la trasposizione della direttiva). Gli Stati hanno elencato i divieti e le restrizioni imposti al lavoro tramite agenzia interinale utilizzando, nella maggior parte dei casi, giustificazioni molto generiche e avvalendosi delle indicazioni dell’art. 4.1: ragioni di interesse generale che investono la tutela dei lavoratori, la salute e sicurezza, il buon funzionamento del mercato del lavoro, la prevenzione di abusi. Belgio, Bulgaria, Croazia, Francia, Germania, Grecia, Italia, Polonia, Portogallo, Repubblica ceca, Slovenia, Ungheria hanno citato la ‘tutela del lavoratore interinale’ per spiegare alcuni limiti. La Germania per esempio se ne è avvalsa per legittimare le restrizioni nel settore edile. Molti Paesi sono ricorsi alle ‘prescrizioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro’ per giustificare le limitazioni o il divieto totale al ricorso ai lavoratori interinali in relazione a mansioni particolarmente rischiose. 102 A tal proposito viene in rilievo l’art. 5.1 della direttiva 91/383/CEE sulla sicurezza e sulla salute durante il lavoro dei lavoratori aventi un rapporto di lavoro a durata determinata o un rapporto di lavoro interinale. Ai sensi di detto articolo, gli Stati membri hanno la facoltà di vietare il ricorso a lavoratori tramite agenzia interinale <<per taluni lavori particolarmente pericolosi per la loro sicurezza o salute (…) ed in particolare per taluni lavori che formano oggetto di una sorveglianza medica speciale (…)>>. Il diritto dell'Unione non fornisce definizioni del concetto di lavori particolarmente pericolosi per la sicurezza o la salute dei lavoratori ed è quindi rimessa agli Stati membri la responsabilità di individuare le attività cui l’articolo si riferisce con il controllo della Corte di giustizia. ‘La necessità di garantire il buon funzionamento del mercato del lavoro’ è servita per giustificare l’adozione di un elenco limitativo delle ragioni che permettono il ricorso alla somministrazione in Francia e Polonia; nonché per limitare il numero o la percentuale di lavoratori tramite agenzia interinale di cui può avvalersi un’impresa utilizzatrice in Belgio e Italia. Alcuni Paesi hanno giustificato il ricorso a divieti e restrizioni sulla base della ‘necessità di garantire la prevenzione di abusi’. In Belgio è stato previsto che l’impresa utilizzatrice debba ottenere il consenso della sua delegazione sindacale prima di avvalersi della somministrazione di lavoratori. 103 Inoltre in Austria, Belgio, Bulgaria, Croazia, Francia, Grecia, Italia, Polonia, Slovenia, Spagna, Ungheria è vietato ricorrere ai lavoratori interinali per sostituire i lavoratori che esercitano il diritto di sciopero. Alcuni Stati (Belgio, Francia, Grecia, Polonia) hanno previsto misure restrittive volte a tutelare l’occupazione a tempo indeterminato e quindi ad evitare che posti fissi possano essere ricoperti da lavoratori assunti temporaneamente. Sulla base di questa giustificazione, hanno anche limitato la durata degli incarichi e stilato un elenco di ragioni ammissibili per il ricorso a questa forma di impiego come per esempio la sostituzione di un lavoratore assente, un aumento temporaneo del volume di lavoro, lo svolgimento di mansioni straordinarie o stagionali. Le restrizioni e i divieti sono giustificate solo da ragioni di interesse generale secondo quanto disposto dall’art. 4.1 e devono essere il risultato di scelte politiche basate su motivi legittimi e proporzionati all’obiettvo perseguito. Se comportano una discriminazione nei confronti dei lavoratori interinali non li si può considerare giustificati sulla base dell’interesse generale (ad esempio, il divieto di assumere i disabili come lavoratori somministrati non è giustificato dal garantire il buon funzionamento del mercato del lavoro né dalla tutela di questi soggetti o dalle prescrizioni in materia di salute e sicurezza). Ai sensi dell’art. 5.2, gli Stati nel riesaminare i divieti e le restrizioni hanno coinvolto le parti sociali in vari modi: alcuni le hanno consultate nel quadro del riesame dei divieti e delle restrizioni; altri hanno affidato il riesame alle 104 parti sociali stesse essendo i limiti fissati nei contratti collettivi; ci sono poi Paesi che hanno consultato le parti sociali nell’adozione della normativa di recepimento. Questo diverso modo di coinvolgerle riflette le varie sfumature di funzioni e ruoli che le parti sociali rivestono all’interno dell’Unione Europea. 6. Mezzi e strumenti riconosciuti ai lavoratori interinali. L'articolo 6 migliora l'accesso dei lavoratori tramite agenzia interinale all'occupazione permanente, alle attrezzature collettive e alla formazione professionale. Prevede che: i lavoratori tramite agenzia interinale siano informati dei posti vacanti nell'impresa utilizzatrice; garantisce ai lavoratori tramite agenzia interinale la parità di accesso alle strutture e alle attrezzature collettive nell'impresa utilizzatrice, in particolare ai servizi di ristorazione, alle infrastrutture d'accoglienza dell'infanzia e ai servizi di trasporto, a meno che ragioni oggettive giustifichino un trattamento diverso; chiede agli Stati membri o alle parti sociali di migliorare l'accesso dei lavoratori tramite agenzia interinale alle opportunità di formazione nelle agenzie interinali e nelle imprese utilizzatrici. 105 L’art. 6.1 prevede che i lavoratori interinali debbano essere informati, nei modi opportuni, dei posti vacanti nell’impresa affinché possano aspirare a ricoprire posti di lavoro a tempo indeterminato. Questo paragrafo è stato recepito senza problemi di alcun tipo dai vari Stati (Grecia, Polonia, Slovenia, Austria, Germania, Irlanda) e non sembra creare problemi. In Italia si prevede l’obbligo per le imprese utilizzatrici di informare i lavoratori somministrati dei posti vacanti in azienda attraverso un avviso generale opportunamente affisso nei locali dell’utilizzatore in modo che i lavoratori somministrati possano aspirare a ricoprire posti di lavoro a tempo indeterminato. In Grecia, sono nulle le clausole che proibiscono la conclusione di contratti di lavoro tra le agenzie interinali e le imprese utilizzatrici o che limitano l’accesso alla previdenza sociale. In Slovenia, l’impresa deve assicurare ai lavoratori interinali pari opportunità di conclusione di contratti a tempo indeterminato e il datore di lavoro non ne può impedire la conclusione una volta terminata la missione né può richiedere un pagamento o qualsiasi altro tipo di compenso per la conclusione del contratto. La metà dei Paesi membri ha poi dichiarato di volersi avvalere della possibilità di derogare al principio della parità di accesso alle strutture ed attrezzature collettive nell’impresa utilizzatrice in casi eccezionali e se sussistono ragioni giustificatrici. Il fatto che esista questa possibilità, non significa che sia effettivamente applicata. 106 Al quinto paragrafo, si incoraggiano le parti sociali a migliorare l’accesso dei lavoratori interinali alle opportunità di formazione professionale e alle infrastutture per l’infanzia presso l’agenzia interinale, anche nel periodo intercorrente tra una missione e l’altra, in modo da permettere al lavoratore di dedicarsi alla carriera. Inoltre, si auspica e si promuove l’accesso dei lavoratori suddetti alla formazione di cui usufruiscono i lavoratori impiegati direttamente presso le imprese utilizzatrici. In Belgio, i lavoratori somministrati hanno pari accesso alle infrastrutture (quali quelle per l’infanzia, i trasporti, la mensa) rispetto ai lavoratori permanenti, salva restando la possibilità di deroghe. A Malta, i lavoratori interinali accedono alla formazione professionale alle stesse condizioni dei lavoratori dipendenti dell’utilizzatore. Non ci sono stati problemi di attuazione nemmeno in Polonia, Germania, Irlanda. In Romania, peraltro, una previsione di questo tenore esisteva nella legislazione nazionale già prima dell’attuazione della direttiva. La questione più problematica è stata l’organizzazione e l’accesso alla formazione. Su questo punto, la direttiva si è rivelata poco vincolante. In Francia, deve provvedervi l’agenzia di somministrazione anche se la formazione riguardante gli aspetti di salute e sicurezza era già da prima affidata all’utilizzatore. In Polonia, si richiede un’anzianità di sei settimane per accedere al programma di formazione professionale presso l’impresa utilizzatrice. 107 Inoltre, la Spagna, l’Austria, l’Olanda e la Francia hanno previsto l’istituzione di fondi speciali per finanziare la formazione dei lavoratori interinali. L’ordinamento spagnolo ha espressamente stabilito che le agenzie sono tenute a versare l’1% del monte salari alla formazione dei lavoratori assunti. Queste devono garantire che il lavoratore, prima di essere messo a disposizione dell’impresa, riceva la formazione teorica e pratica necessaria a prevenire i rischi professionali collegati al lavoro da svolgere. Anche in Italia si è previsto un fondo per la formazione dei lavoratori in somministrazione, Forma.Temp4, che rende disponibili le risorse finanziarie destinate a qualificare ulteriormente il lavoro in somministrazione nel sistema delle politiche del lavoro. È finanziato dal contributo pari al 4% delle retribuzioni lorde corrisposte ai lavoratori somministrati a tempo determinato ed ha quali finalità la promozione di percorsi di qualificazione e riqualificazione anche in funzione di continuità di occasioni di impiego; la previsione di specifiche misure previdenziali per i lavoratori somministrati. 7. Il computo dei lavoratori interinali ai fini della costituzione degli organi rappresentativi. Secondo quanto stabilito nell’art. 7, per il calcolo della soglia al di sopra della quale si possono costituire gli organi rappresentativi dei lavoratori, i 4 Questo fondo è stato autorizzato all’esercizio delle attività con Decreto del Ministero del Lavoro il quale esercita sullo stesso un potere di vigilanza e controllo. 108 lavoratori interinali possono essere presi in considerazione o presso l’agenzia stessa, o presso l’utilizzatore o presso entrambi. Nella maggior parte degli Stati membri (Bulgaria, Croazia, Danimarca, Estonia, Finlandia, Irlanda, Italia, Lituania, Malta, Polonia, Regno Unito, Repubblica ceca, Slovenia, Spagna, Svezia e Ungheria) sono conteggiati all’interno dell’agenzia interinale; in Belgio, Lettonia e Romania sono presi in considerazione solo nell’impresa utilizzatrice; in Austria, Cipro, Francia, Germania, Grecia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Portogallo e Slovacchia sono calcolati presso entrambi al ricorrere di alcuni presupposti. Per esempio, in Austria non c’è stato bisogno di recepire l’articolo 7 dato che la legislazione di questo paese contiene già una previsione dello stesso tenore. La rappresentanza dei lavoratori è prevista tanto presso l’agenzia che presso l’impresa se il lavoratore interinale ha maturato un’anzianità pari almeno a sei mesi. In Francia, i lavoratori interinali possono essere rappresentati presso l’agenzia se vantano quanto meno un’anzianità pari a tre mesi negli utlimi dodici, possono anche eleggere i rappresentanti con tre mesi di anzianità e farsi eleggere come rappresentanti se hanno maturato un’esperienza lavorativa perlomeno di sei mesi nell’arco degli ultimi diciotto. Presso l’impresa utilizzatrice, possono eleggere i propri rappresentanti con un’anzianità di dodici mesi e possono farsi eleggere passati i ventiquattro mesi. 109 Nella Repubblica Ceca, sia l’agenzia che l’impresa sono considerati datori di lavoro e quindi i rappresentanti dei lavoratori possono operare nelle relative sedi; difatti la rappresentazione dei lavoratori non è qui obbligatoria così come non lo è l’adesione a un sindacato. Alcuni Stati prevedono delle condizioni specifiche al ricorrere delle quali sono presi in considerazione i lavoratori interinali. In Bulgaria si deve considerare il numero medio di lavoratori tramite agenzia che sono stati impiegati nei dodici mesi precedenti. In Belgio, il calcolo si effettua sulla base del numero medio di lavoratori interinali impiegati dall’impresa nel trimestre precedente, non tenendo conto di quelli che sono assunti per sostituire i membri del personale permanente presso l’utilizzatore. 8. Obbligo di fornire informazioni sul ricorso alla somministrazione dei lavoratori. L'impresa utilizzatrice deve fornire ai rappresentanti dei lavoratori le informazioni adeguate per lo svolgimento del relativo impiego nel momento in cui presenta i dati sulla propria situazione occupazionale agli organi rappresentativi dei lavoratori. La procedura d’informazione era già prevista, prima dell’entrata in vigore della direttiva, in alcuni Stati quali Belgio, Spagna, Polonia, Danimarca, Austria, Lussemburgo e Svezia. In Belgio, l’impresa utilizzatrice deve informare le agenzie interinali dei posti di lavoro disponibili presso di essa. In Lussemburgo, il datore di lavoro deve consultare i rappresentanti 110 sindacali quando decide di ricorrere alla somministrazione dei lavoratori. In Svezia, se l’impresa ha aderito alla contrattazione collettiva, i sindacati che vi hanno partecipato hanno il diritto di veto in relazione al ricorso alla somministrazione. In Spagna l’utilizzatore deve informare i rappresentanti dei lavoratori riguardo ad ogni clausola del contratto e sulle ragioni dell’utilizzo dei lavoratori stessi entro dieci giorni dalla stipulazione. Ci sono Stati che prevedono la consultazione dei rappresentanti solo in alcune circostanze: in Danimarca previa indicazione dei contratti collettivi; in Polonia, se si prevede un utilizzo dei lavoratori interinali superiore ai sei mesi, il datore di lavoro dell’impresa deve raggiungere un accordo con i rappresentanti dei sindacati e deve fornire le informazioni relative al tipo d’incarico, ai requisiti richiesti, all’orario e alle condizioni di lavoro; in Francia sono previste consultazioni ogni tre mesi quando l'impresa ha più di 300 impiegati o una l’anno quando il numero di lavoratori è inferiore; nel Regno Unito, i sindacati hanno diritto a ricevere informazioni relative al numero di lavoratori interinali impiegati, la loro posizione ed il tipo di lavoro svolto. 9. Standard minimi di tutela. L’art. 9 afferma chiaramente che gli standard di protezione previsti dalla direttiva sono i livelli minimi che gli Stati o le parti sociali possono ampliare con l’introduzione di previsioni più favorevoli. 111 Il secondo paragrafo dell'articolo contiene la ‘clausola di non regresso’ per la quale le misure adottate dagli Stati per attuare la direttiva non possono essere utilizzate per giustificare una riduzione del grado di protezione già previsto dagli Stati stessi. Tutti gli Stati hanno trasposto questa disposizione e non si rilevano problemi. 10. I rimedi in caso di inosservanza della disciplina. Le sanzioni, previste in caso d’inosservanza della disciplina del lavoro in somministrazione e quindi anche della direttiva nei limiti in cui essa può esprimere dei principi direttamente applicabili nell’ordinamento nazionale, variano da Stato a Stato. Ci sono casi in cui quelle già esistenti non hanno subito particolari modifiche, come per esempio è accaduto in Spagna o in Svezia dove le agenzie interinali sono responsabili in caso di mancata osservanza della Direttiva. In Spagna, in particolare, sono nulle le clausole che vietano all’utilizzatore di assumere il lavoratore alla fine della missione. In Italia, la sanzione amministrativa pecuniaria (da Euro 250 a Euro 1.250) prevista all’art. 18.3 del d.lgs. 276/2003 è stata estesa: 1) alle ipotesi di violazione del diritto a ricevere condizioni di base di lavoro e d’occupazione “complessivamente non inferiori” a quelle dei dipendenti di pari livello dell’utilizzatore; 112 2) nei confronti dell’utilizzatore in caso di esclusione del lavoratore in missione dall’utilizzo dei servizi sociali e assistenziali spettanti ai dipendenti dell’utilizzatore; 3) al caso di mancata informazione al lavoratore somministrato circa i posti vacanti. Si è prevista, inoltre, una sanzione penale (arresto per un periodo non superiore all’anno o, in alternativa, l’ammenda da 2.500 a 6 mila euro) nei confronti di chi esiga un compenso per favorire un’assunzione presso un utilizzatore ovvero per l’ipotesi di stipulazione di un contratto di lavoro o avvio di un rapporto di lavoro con l’utilizzatore dopo una missione presso quest’ultimo (art.18.4 bis d.lgs. n. 276 del 2003). In altri Stati invece l'attuazione della Direttiva ha permesso di rafforzare le sanzioni come per esempio è accaduto in Austria dove, se l’impresa utilizzatrice non si adatta a quanto stabilito nella direttiva, è previsto un aumento delle pene pecuniarie del 40%. In Grecia sono previste pene per qualsiasi inadempimento contrattuale e, se l’agenzia di somministrazione opera senza essere in possesso delle dovute licenze, è prevista non solo l’apposizione dei sigilli e la relativa chiusura ma, in aggiunta, la persona responsabile è punita con due anni di reclusione e una sanzione pecuniaria. Alcuni ordinamenti prevedono la responsabilità congiunta dell'agenzia interinale e dell'impresa utilizzatrice. A tal proposito, nel Regno Unito la responsabilità dell'una o dell'altra dipende dalla regola infranta. Il 113 problema principale per i lavoratori è che manca un ispettorato del lavoro e, quindi, si può solo ricorrere per via giudiziaria; via che pone il problema dell’onere della prova e dei costi. Inoltre, il più delle volte si ricorre solo quando il rapporto di lavoro si è già concluso e i sindacati, che potrebbero giocare un ruolo fondamentale nel processo, hanno un numero di iscritti molto basso. Alcune legislazioni nazionali (Grecia e Francia) prevedono sanzioni civili come la riqualificazione dell'impiego attraverso un contratto a tempo indeterminato al ricorrere di certe circostanze. In Francia, ciò accade quando l’utilizzatore continui a servirsi del lavoratore temporaneo dopo la fine della sua missione senza concludere un nuovo contratto di lavoro. 114 CAPITOLO 3 IL RAPPORTO TRA LA SOMMINISTRAZIONE DI LAVORO ED IL DISTACCO DEI LAVORATORI NELL’AMBITO DI UNA PRESTAZIONE DI SERVIZI. SOMMARIO: 1. La direttiva 96/71/CE relativa al distacco dei lavoratori nell’ambito di una prestazione di servizi. - 2. Rapporti tra la direttiva 2008/104/CE e la direttiva 96/71/CE. - 3. La protezione minima dei lavoratori distaccati corrisponde a quella prevista dall'agenzia interinale per incarichi transfrontalieri? - 4. La direttiva 2014/67/UE di esecuzione della direttiva 96/71 sul distacco dei lavoratori. 1. La direttiva 96/71/CE relativa al distacco dei lavoratori nell’ambito di una prestazione di servizi. La direttiva 96/71 affronta un problema originato dalla diversità dei sistemi di diritto internazionale privato dei paesi membri con riguardo alle regole cui fare riferimento in caso di conflitto tra le varie leggi nazionali applicabili allo stesso rapporto contrattuale. Per risolvere questo problema, il 19 giugno 1980 era stata stipulata la Convenzione di Roma sostituita poi dal regolamento 593/2008 Roma I sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali che stabilisce il principio fondamentale secondo il quale il contratto è regolato dalla legge scelta dalle parti. La scelta deve essere espressa o deve risultare, in modo ragionevolmente certo, dal contratto o dalle circostanze. Per chiarire il rapporto tra regolamento e direttiva, importante è l’art. 9 del regolamento stesso che prevede la possibilità, nell’applicazione della 115 legge di un Paese membro, di tenere conto anche delle norme di applicazione necessaria di un altro Paese con il quale la situazione presenti uno stretto legame. Non è però indicato il tipo di norme cui ci si riferisce. La direttiva sul distacco ha, come obiettivo, l’inquadramento giuridico della situazione dei lavoratori temporaneamente distaccati in un altro Paese membro. Le sue disposizioni concernono l’individuazione delle norme di applicazione necessaria nel luogo d’esecuzione della prestazione lavorativa (norme che costituiscono il nucleo irrinunciabile di protezione minima per i lavoratori) e indicano i criteri necessari all’applicazione dei contratti collettivi. La direttiva mira ed elaborare dei metodi per identificare le regole applicabili nei diversi Paesi e quindi, così intesa, non è uno strumento di diritto del lavoro ma di diritto internazionale privato. Lo scopo è proprio quello di garantire che i diritti e le condizioni di lavoro di un lavoratore transfrontaliero siano rispettati in tutta l’Unione Europea. La libera prestazione di servizi determina situazioni di mobilità dei lavoratori e comporta l’individuazione di soluzioni al problema dell’attuazione del lavoro in uno Stato ospite. La direttiva disciplina i casi di circolazione del lavoro sotto forma di prestazione di servizi in ambito transnazionale instaurando tra le imprese un regime di concorrenza leale in modo da assicurare una tendenziale parità di trattamento tra quelle che 116 svolgono una prestazione di servizi transnazionale e quelle del Paese ospitante. La direttiva si rivolge alle imprese stabilite in uno Stato membro che, nel quadro di una prestazione di servizi transnazionale, distacchino lavoratori nel territorio di un altro Stato membro (art. 1.1) . Per lavoratore distaccato deve intendersi, secondo l’art. 2, quello che << per un periodo limitato, svolge il proprio lavoro nel territorio di uno Stato membro diverso da quello nel cui territorio lavora abitualmente >>. Tre sono le situazioni tipiche che si possono verificare e sono indicate all’art. 1.3: appalto o subappalto transnazionale; mobilità intraziendale o infragruppo1; lavoro interinale transfrontaliero. E questo terzo punto è proprio quello che ci interessa dato che tratta dell’impresa di lavoro temporaneo o che svolga attività di cessione temporanea di lavoratori la quale distacchi << un lavoratore presso un’impresa utilizzatrice avente la sede o un centro di attività nel territorio di uno Stato membro, purché durante il periodo di distacco esista un rapporto di lavoro fra il lavoratore e l'impresa di lavoro temporaneo o l'impresa che lo cede temporaneamente>>. In questo caso i servizi sono erogati nell’ambito del mercato comunitario. La Corte di Giustizia ha inizialmente dato un’interpretazione restrittiva della direttiva sul distacco in quanto non è una direttiva in materia di diritto del lavoro dato che tratta della libera prestazione dei servizi più che della 1 Il lavoratore è distaccato dall’impresa nel territorio di uno Stato membro presso uno stabilimento o un’impresa appartenente al gruppo purchè durante il periodo di distacco esista un rapporto di lavoro tra il lavoratore e l’impresa che lo invia. 117 tutela dei lavoratori. La giurisprudenza della Corte ha, in realtà, limitato la possibilità dei Paesi membri e dei sindacati di esigere una miglior protezione e la parità di trattamento tra i lavoratori locali e i lavoratori migranti nel paese ospitante e di intraprendere le necessarie misure e azioni contro il social dumping2. L’ha fatto indicando una gerarchia di norme da seguire che vede come principale e fondamentale libertà la libertà dei mercati, seguita al secondo posto dall’azione. Difatti ciò che maggiormente colpisce in Viking e Laval è l’idea che l’azione collettiva per essere legittima debba essere contemperata con le libertà economiche fondamentali così come formulate dai giudici nazionali e dalla stessa CGUE sulla base dei parametri di adeguatezza e proporzionalità dell’azione collettiva stessa rispetto al fine perseguito. In questo modo le libertà economiche appaiono gerarchicamente sovraordinate nella scala valoriale del sistema giuridico dell’Unione Europea. La CGUE nei casi Laval e Ruffert ha sostenuto che la direttiva del 1996 garantisce la massima protezione possibile in relazione ai problemi che rientrano nel suo campo di applicazione e assicura che le condizioni di impiego siano ugualmente osservate tanto dalle imprese nazionali quanto da quelle estere operanti nella stessa regione e nello stesso settore. Secondo l’art. 3.1, le leggi dello Stato ospitante devono garantire ai lavoratori distaccati nel proprio territorio le condizioni di lavoro e 2 Con quest’espressione si indica la pratica di alcune imprese (soprattutto multinazionali) di localizzare la propria attività in aree in cui possono beneficiare di disposizioni meno restrittive in materia di lavoro o in cui il costo del lavoro è inferiore. In questo modo i minori costi per l’impresa possono essere trasferiti sul prezzo finale del bene che risulta più concorrenziale. 118 occupazione fissate da disposizioni legislative, regolamentari, amministrative; dai contratti collettivi o da arbitrati di applicazione generale. I sindacati dei Paesi ospitanti possono intervenire e chiedere un miglioramento degli standard attraverso la contrattazione collettiva in modo da prevenire il social dumping e promuovere la concorrenza leale tra i fornitori di servizi locali e stranieri nel rispetto dell’art. 56 TFUE per il quale << le restrizioni alla libera prestazione dei servizi all'interno dell'Unione sono vietate nei confronti dei cittadini degli Stati membri stabiliti in uno Stato membro che non sia quello del destinatario della prestazione >>. Il dumping sociale deve essere combattuto per evitare che i fornitori di servizi stranieri indeboliscano i fornitori di servizi locali stabilendo degli standard lavorativi più bassi. A ciò si provvede attraverso l’individuazione di un nucleo duro di disposizioni volte alla protezione dei lavoratori, a prescindere da quale sia la legge applicabile al rapporto di lavoro, quando si trovano a prestare i propri servizi in un altro Paese membro. Questo nucleo comprende varie aree del diritto del lavoro: i periodi massimi di lavoro, il periodo minimo di riposo, la durata minima delle ferie annuali retribuite, la sicurezza, la salute e l’igiene nei luoghi di lavoro. 2. Rapporti tra la direttiva 2008/104/CE e la direttiva 96/71/CE. Se consideriamo che i lavoratori interinali possono essere distaccati all’estero nell’ambito delle assegnazioni transfrontaliere, 119 emerge la necessità di studiare i rapporti tra la direttiva 2008/104/CE sul lavoro tramite agenzie interinale e la direttiva 96/71/CE sul distacco dei lavoratori nell’ambito di una prestazione di servizi. Uni Europa ed Eurociett, con un accordo del dicembre 2009, hanno istituito l'Osservatorio Europeo sulle agenzie di lavoro transfrontaliere in modo da poter analizzare la prassi relativa alle attività transfrontaliere delle agenzie interinali e fornire linee guida sia ai lavoratori che alle agenzie e supportarli durante la missione in un altro Stato. Inoltre, mirano a combattere le pratiche sleali e allo scopo di prevenirle e denunciarle ricordano alle parti sociali l’importanza della partecipazione all’implementazione della direttiva sul lavoro interinale a livello nazionale tenendo in conto l’aspetto transnazionale del settore. La regolamentazione degli spostamenti di lavoratori ed imprese nell’ambito delle agenzie interinali si è rivelata un fallimento dal punto di vista di entrambe le direttive. La Commissione ha spiegato che la direttiva 2008/104/CE, in linea di principio, copre le situazioni nazionali mentre la direttiva 96/71/CE si riferisce alle situazioni transfrontaliere . L'art. 1 della direttiva sul distacco si applica alle imprese stabilite in uno Stato membro che, nel quadro di una prestazione di servizi transnazionale, distacchino lavoratori ad un’impresa utilizzatrice stabilita o operante nel territorio di uno Stato membro purché durante il periodo di distacco esista un rapporto di lavoro tra il lavoratore e l'impresa che lo 120 invia. In termini concreti: un lavoratore interinale assunto dall'agenzia nel paese A è distaccato dalla stessa agenzia nel paese B a favore di un'impresa utilizzatrice. La direttiva sul lavoro interinale non esclude esplicitamente le agenzie transfrontaliere dal suo campo di applicazione dato che l'art.1 statuisce che questa si applica ai lavoratori con un contratto di lavoro con una agenzia interinale e che sono assegnati all'impresa utilizzatrice per lavorare temporaneamente sotto la sua direzione. Quindi, la direttiva sul lavoro interinale si può applicare integralmente ai lavoratori migranti che lavorano in uno Stato membro diverso dal proprio, come se fossero lavoratori nazionali; mentre la direttiva sul distacco dei lavoratori si applica solo ai lavoratori distaccati, cioè i lavoratori temporaneamente inviati in un altro Stato membro per svolgere un lavoro nel contesto della prestazione di servizi. Per quanto concerne i lavoratori distaccati, il paese ospitante non può imporre il rispetto di tutte le disposizioni nazionali di diritto del lavoro, ma solo di quelle che costituiscono il 'nocciolo duro' di cui all'articolo 3.1 della Direttiva sul distacco relative alle condizioni di lavoro fondamentali (che in realtà elenca gli stessi elementi inclusi nel concetto di 'condizioni di base’ utilizzato nella direttiva 2008/104)3. 3 Rientrano tra le condizioni di lavoro e di occupazione i periodi massimi di lavoro e periodi minimi di riposo; la durata minima delle ferie annuali retribuite; le tariffe minime salariali; le condizioni di cessione temporanea dei lavoratori, in particolare la cessione temporanea di lavoratori da parte di imprese di lavoro temporaneo; la sicurezza, salute e igiene sul lavoro; i provvedimenti di tutela riguardo alle condizioni di lavoro e di occupazione di gestanti o 121 L’art. 1.3 lett. c della direttiva sul distacco prevede che la direttiva si applichi alle imprese di lavoro temporaneo che distaccano i lavoratori presso un’impresa utilizzatrice avente la sede in un altro Stato membro. Durante il periodo del distacco ci deve essere un rapporto di lavoro tra il lavoratore e l’impresa che lo cede. L’art. 3.1 lett.d stabilisce che i Paesi membri devono provvedere a che le imprese che distacchino i lavoratori presso il loro territorio gli garantiscano il rispetto delle condizioni di cessione temporanea previste da leggi, regolamenti, atti amministrativi, contratti collettivi e arbitrati del luogo di svolgimento della prestazione, a prescindere da quale sia la legislazione applicabile al rapporto di lavoro. Nonostante queste previsioni, sembra essere più comune per i lavoratori interinali essere assunti direttamente dalle agenzie interinali dei paesi dove devono svolgere la loro prestazione piuttosto che essere distaccati presso altri Stati. Sulla questione della compatibilità tra la direttiva sul distacco e la direttiva sul lavoro interinale, la Commissione ha sottolineato che l'articolo 3.9 della direttiva 96/71 consente agli ordinamenti di applicare ai lavoratori temporanei di imprese di uno Stato membro che, nel quadro di una prestazione di servizi transnazionali, distacchino lavoratori, << il beneficio delle condizioni che sono applicabili ai lavoratori temporanei nello Stato membro in cui è eseguito il lavoro >>. Ciò renderebbe le direttive puerpere, bambini e giovani; la parità di trattamento fra uomo e donna nonché altre disposizioni in materia di non discriminazione. 122 perfettamente compatibili tra loro. In tal caso i lavoratori distaccati beneficerebbero della piena parità di trattamento per quanto riguarda le condizioni di lavoro e di occupazione. Sono però pochi gli Stati membri che nella pratica attuano questa disposizione. Per quanto riguarda la direttiva 2008/104/CE, l’art. 5.4 statuisce che << a condizione che sia garantito ai lavoratori tramite agenzia interinale un livello adeguato di protezione, gli Stati membri che non possiedono né un sistema legislativo che dichiari i contratti collettivi universalmente applicabili, né un sistema legislativo o di prassi che consenta di estendere le disposizioni di tali contratti a tutte le imprese simili in un determinato settore o area geografica possono, previa consultazione delle parti sociali a livello nazionale e in base a un accordo concluso dalle stesse, stabilire modalità alternative riguardanti le condizioni di base di lavoro e d’occupazione in deroga al principio di cui al paragrafo 1 >>. Ciò può portare, in teoria, a livelli differenti di protezione dato che nei paesi in cui non ci sono contratti collettivi applicabili potrebbe entrare in gioco la direttiva sul distacco che prevede l’applicazione delle tutele definite nelle leggi vigenti. Nella pratica, comunque, gli Stati membri fanno riferimento alla propria legislazione nazionale almeno per quanto riguarda le norme di applicazione necessaria individuate in base alla direttiva 96/71. Questa direttiva assolve una funzione integratrice individuando il nucleo di norme di ordine pubblico d’applicazione necessaria nel luogo di esecuzione della prestazione lavorativa. Si tratta di disposizioni che costituiscono le tutele 123 minime irrinunciabili per il lavoratore distaccato. Difatti secondo il considerando 14 << il prestatore di servizi deve osservare, a prescindere dalla durata del distacco dei lavoratori, un ‘nocciolo duro’ di norme protettive chiaramente definite>>. 3. La protezione minima dei lavoratori distaccati corrisponde a quella prevista dall'agenzia interinale per incarichi transfrontalieri? Secondo la giurisprudenza della CGUE, la direttiva sul distacco affronta il tema della prestazione di servizi più che quello della protezione dei lavoratori. Il distacco transnazionale effettuato da un'agenzia interinale costituisce appunto un atto rientrante nella fornitura di servizi e non un atto espressivo della libertà di movimento dei lavoratori. L'art. 3 della direttiva sul distacco inserisce le condizioni applicabili alle agenzie interinali all'interno degli standard minimi che il paese ospitante ha il diritto di imporre ai fornitori stranieri di servizi, fermo restando che l’art. 3.7. prevede espressamente che se gli Stati dispongono condizioni più favorevoli ai lavoratori queste devono essere applicate. Gli Stati Membri non possono imporre tutte le loro norme imperative ai fornitori di servizi stabiliti in un altro Stato membro. I termini e condizioni che lo Stato ospitante deve prevedere sono relativi ai periodi massimi di lavoro, ai periodi minimi di riposo, alle ferie annuali pagate minime, alla salute, 124 sicurezza ed igiene, alla parità di trattamento tra uomini e donne e alla non discriminazione ex art. 3.1. Di conseguenza, il contratto tra agenzia e lavoratore interinale sarà disciplinato dai regolamenti del paese d'origine. Lo Stato Membro nel quale il lavoratore è distaccato può prevedere che l'agenzia interinale debba garantire ai lavoratori i termini e le condizioni d’impiego applicabili ai propri lavoratori: da una parte ciò consente di allineare le condizioni di lavoro delle agenzie transfrontaliere con quelle dei lavoratori delle agenzie del paese ospitante; dall'altra parte, l'attuazione di questa previsione sarebbe sicuramente in conflitto con la libertà tipica dei fornitori di servizio. Emerge di nuovo il differente scopo e la diversa base legale su cui si fondano le due direttive che non solo sono in conflitto ma contengono anche misure discriminatorie per i lavoratori transfrontalieri. In realtà, i lavoratori delle agenzie interinali transfrontaliere hanno maggiori garanzie rispetto ai lavoratori distaccati (non dipendenti da agenzie interinali) ai quali sono riconosciuti solo gli standard minimi. Secondo Schlachter4, affinché si abbia un mercato unico sarebbe logico che le regole per i lavoratori interinali (transfrontalieri) non differiscano nel contenuto a seconda che si tratti di distacco nazionale o transnazionale e ci si 4 Schlachter M. (2012) Equal Treatment for Transnational Temporary Agency Workers? Paper 32 (2012) presented at the Formula Conference in March 2012 on Free movement, labour market regulation and multilevel governance in the enlarged EU/EEA –a Nordic and comparative perspective, in www.jus.uio.no/ifp/english/research/projects/freemov/publications/papers/2012/WP32-Schlacter.pdf 125 dovrebbe augurare che i termini e le condizioni di lavoro dei lavoratori distaccati siano armonizzate a livello nazionale nel momento in cui si va a trasporre la direttiva sul lavoro interinale, includendo anche le condizioni per il distacco dei lavoratori interinali. Il considerando 22 della direttiva 2008/104 delinea il relativo ambito di attuazione stabilendo che essa deve essere applicata nel rispetto delle disposizioni del trattato in materia di libera prestazione di servizi e libertà di stabilimento e fatta salva la direttiva 96/71/CE relativa al distacco dei lavoratori nell’ambito di una prestazione di servizi. Ci si è domandati se questa disposizione vada interpretata nel senso che sia necessario cercare un bilanciamento tra l’attuazione della direttiva sul lavoro interinale e la libera prestazione di servizi nonostante si corra il rischio di creare misure discriminatorie. La direttiva del 1996 sul distacco dei lavoratori prevede al considerando 19 che << fatte salve altre disposizioni comunitarie, la presente direttiva non implica l'obbligo del riconoscimento giuridico dell'esistenza di imprese di lavoro temporaneo né osta all'applicazione, da parte degli Stati membri, della loro legislazione in materia di cessione temporanea di manodopera e di imprese di lavoro temporaneo presso imprese che non sono stabilite nel loro territorio, ma vi esercitano attività nel quadro di una prestazione di servizi >>. Ci si domanda se quanto detto vada interpretato nel senso che la direttiva sul lavoro interinale in caso di lavoratori interinali transnazionali sia 126 esclusa risultando applicabile solo quella sul distacco. Non si può però avere una risposta certa. La Corte di Giustizia, nel caso Mazzoleni C165/98, ha stabilito che l’attuazione delle disposizioni contenute in una direttiva comunitaria non esclude automaticamente la violazione della libera prestazione di servizi; inoltre nel caso Seco C-62/81 afferma che ogni violazione di questo tipo deve essere giustificata sulla base di un interesse pubblico prevalente. La protezione dei lavoratori è una delle ragioni e degli scopi della direttiva sul lavoro interinale. La misura in questione deve essere necessaria alla sua realizzazione che non è possibile compiere attraverso proibizioni o restrizioni meno estese o meno effettive all’interno del commercio e degli scambi intracomunitari. E’ qui che potrebbe giocare un ruolo importante la direttiva sul distacco. 4. La direttiva 2014/67/UE di esecuzione della direttiva 96/71 sul distacco dei lavoratori. Dopo notevoli controversie e intensi dibattiti tra le istituzioni comunitarie, gli studiosi e le parti sociali, la Commissione ha affermato di voler migliorare il modo in cui la direttiva 96/71 è attuata, applicata e messa in pratica nell’Unione Europea stabilendo misure comuni volte a una migliore e uniforme applicazione ed a prevenire possibili abusi ed elusioni. A tal fine, si è preferita l’elaborazione di una direttiva di esecuzione, la direttiva 127 2014/67, alla revisione della direttiva stessa sul distacco. Gli Stati vi si dovranno conformare entro il 18 giugno 2016. La presente direttiva stabilisce ex art. 1 << un quadro comune relativo a un insieme di disposizioni, misure e meccanismi di controllo appropriati, necessari per migliorare e uniformare l'applicazione nella pratica della direttiva 96/71/CE >>. Vi rientrano anche le misure dirette a prevenire e sanzionare qualsiasi tipo di violazione ed elusione delle norme vigenti, lasciando impregiudicato l'ambito di applicazione della direttiva 96/71/CE. La direttiva n. 96/71/CE elenca una serie fondamentale di condizioni di lavoro e d’impiego che devono essere rispettati dal prestatore di servizi nello Stato membro in cui ha luogo il distacco per garantire una protezione minima dei lavoratori distaccati. Attraverso la direttiva 2014/67/UE viene altresì garantito il rispetto di un appropriato livello di protezione dei diritti dei lavoratori distaccati per una prestazione transfrontaliera di servizi. La tutela riguarda in particolare l’attuazione delle condizioni d’impiego applicabili nello Stato membro in cui è fornita la prestazione di servizi, la facilitazione dell’esercizio della libertà di prestazione di servizi e la creazione di condizioni di concorrenza leale tra i prestatori di servizi, sostenendo in tal modo il funzionamento del mercato interno. Secondo quanto previsto dall’art. 4, è necessario che per la corretta applicazione della direttiva 96/71 l’autorità competente dello Stato membro 128 ospitante esamini, eventualmente in stretta cooperazione con lo Stato membro di stabilimento, gli elementi fattuali che caratterizzano le attività esercitate dall’impresa nello Stato membro di stabilimento. Vi rientrano, ad esempio, il luogo in cui l’impresa ha la propria sede legale o amministrativa e il luogo in cui i lavoratori sono assunti e quello in cui sono distaccati. Per verificare se un lavoratore distaccato temporaneamente presta la sua attività in un Paese membro diverso, bisogna valutare che l’attività lavorativa sia effettivamente svolta per un periodo limitato di tempo in uno Stato membro diverso da quello in cui normalmente il soggetto svolge la propria attività, la data di inizio del distacco, la natura dell’attività, etc. . La valutazione degli elementi indicati al secondo e terzo paragrafo dell’art. 4 deve essere effettuata in relazione al caso concreto e tenendo conto della specificità della situazione. Per ciò che concerne le informazioni relative alle condizioni di lavoro ed occupazione5 stabilite dall’art. 3 della direttiva sul distacco che devono 5 Ai sensi dell’art. 3 della direttiva 96/71, rientrano tra le condizioni di lavoro e occupazione periodi massimi di lavoro e periodi minimi di riposo; durata minima delle ferie annuali retribuite; tariffe minime salariali, comprese le tariffe maggiorate per lavoro straordinario; il presente punto non si applica ai regimi pensionistici integrativi di categoria; condizioni di cessione temporanea dei lavoratori, in particolare la cessione temporanea di lavoratori da parte di imprese di lavoro temporaneo; sicurezza, salute e igiene sul lavoro; provvedimenti di tutela riguardo alle condizioni di lavoro e di occupazione di gestanti o puerpere, bambini e giovani; parità di trattamento fra uomo e donna nonché altre disposizioni in materia di non discriminazione. 129 essere rispettate dai prestatori di servizi, la difficoltà di accesso alle stesse è il motivo più frequente della mancata applicazione delle norme che ne impongono la fornitura. Gli Stati membri dovrebbero pertanto garantire che tali informazioni siano messe a disposizione di tutti a titolo gratuito e siano rese effettivamente accessibili non solo ai prestatori di servizi di altri Stati membri, ma anche ai lavoratori distaccati interessati. L’articolo 5 della direttiva prevede che gli Stati membri devono adottare le misure appropriate per far sì che le informazioni relative alle condizioni di lavoro e di occupazione siano rese pubbliche gratuitamente in modo chiaro, trasparente, esauriente e facilmente accessibile a distanza e per via elettronica, in formati e in conformità di standard web di accessibilità che permettano l'accesso alle persone con disabilità, e per far sì che gli uffici di collegamento o gli altri organismi nazionali competenti siano in grado di svolgere efficacemente i propri compiti. Da una prospettiva economica, le frontiere e i mercati aperti all’interno dell’Unione Europea hanno un ruolo importante per il recupero rapido della competitività europea. La mobilità transfrontaliera delle imprese e dei lavoratori sta mettendo in pericolo la coesione sociale. In questo contesto, la direttiva sul distacco svolge un ruolo fondamentale non solo come strumento chiave per prevenire la concorrenza sleale sui salari e le condizioni di lavoro nei casi di prestazioni di servizi transfrontaliere temporanee ma anche come mezzo principale per mantenere la dimensione sociale all’interno del mercato unico. 130 CONCLUSIONI La direttiva 2008/104 è volta a regolamentare il rapporto di lavoro temporaneo attraverso la predisposizione di un quadro normativo sistematico non discriminatorio, proporzionato e trasparente che assicuri la necessaria tutela dei lavoratori interinali. Il legislatore comunitario si è posto come obiettivo quello di armonizzare le discipline nazionali in materia, caratterizzate da grande diversità, per assicurare un quadro normativo che effettivamente tuteli il lavoratore assunto tramite agenzia. In sostanza, il lavoro interinale nella logica comunitaria è uno strumento di buona flessibilità e d’incentivazione dell’occupazione. Non deve essere considerato come un’alternativa al lavoro alle dirette dipendenze del datore di lavoro ma come uno strumento per incrementare la base occupazionale e uno strumento transitorio in vista della conclusione di un contratto di lavoro stabile. Tale obiettivo è rafforzato dall’obbligo che grava, ex art. 6, sul datore di lavoro di informare i lavoratori interinali delle eventuali opportunità di lavoro stabile che si dovessero venire a creare nel corso della loro missione e dalla previsione volta a rimuovere gli ostacoli che potrebbero frapporsi alla stabilizzazione del rapporto alle dipendenze dell’utilizzatore. Lo scopo di questa direttiva è quindi quello di conseguire un giusto equilibrio tra il miglioramento della tutela dei lavoratori tramite agenzia 131 interinale (ricorrendo soprattutto al principio della parità di trattamento) e la flessibilità nel mercato del lavoro; oggi le Agenzie per il lavoro rappresentano attori polifunzionali cui le imprese più evolute possono guardare come partner strategici per definire tutte le dinamiche inerenti la gestione delle risorse umane. Attraverso questa tipologia contrattuale offrono la migliore flessibilità sia per le aziende clienti che per i lavoratori. Grandi sforzi sono stati effettuati dagli Stati per il recepimento della direttiva soprattutto considerando che in alcuni di essi era mancante una disciplina relativa al lavoro tramite agenzia interinale o che il principio della parità di trattamento veniva recepito per la prima volta. La maggior parte degli Stati membri ritiene che la direttiva abbia raggiunto i suoi obiettivi di politica sociale anche se BusinessEurope ed Eurociett non sono pienamente d’accordo con quest’affermazione dato il numero elevato di restrizioni e limitazioni ritenute ingiustificate che sono state introdotte dai vari Paesi per limitare il ricorso al lavoro interinale (divieti settoriali, limiti irragionevoli sulla durata massima delle missioni, motivazioni troppo limitate per il ricorso al lavoro interinale e contingentamento del numero massimo di lavoratori tramite agenzia interinale impiegati dalla singola impresa). In via generale, si può affermare che le disposizioni della direttiva sono state attuate e applicate correttamente anche se il duplice obiettivo della direttiva non è ancora stato interamente realizzato. 132 Da un lato, la misura in cui sono utilizzate alcune deroghe al principio della parità di trattamento non ha portato, in alcuni casi specifici, ad un reale miglioramento della tutela dei lavoratori tramite agenzia interinale. Ad esempio, in relazione alla deroga prevista dal terzo paragrafo relativa alla conclusione di contratti collettivi che stabiliscono modalità alternative riguardanti le condizioni di lavoro e d’occupazione dei lavoratori interinali, Austria, Irlanda e Svezia riferiscono la necessità che tali contratti collettivi siano opportunamente equilibrati al fine di non pregiudicare la protezione globale dei lavoratori tramite agenzia interinale. L'articolo 5, paragrafo 5, impone agli Stati membri di adottare le misure necessarie per evitare il ricorso abusivo all'applicazione dell'articolo 5 e, in particolare, per prevenire missioni successive con lo scopo di eludere le disposizioni della direttiva. Il rischio di elusione dei principi della parità di trattamento e della parità di retribuzione è particolarmente elevato se i principi si applicano solo dopo un periodo di attesa anziché dal primo giorno delle missioni dei lavoratori tramite agenzia interinale. Dall'altro, il riesame delle restrizioni e dei divieti che gli Stati hanno dovuto effettuare entro il 5 dicembre 2011 ex art. 4.2 della direttiva è servito, nella maggior parte dei casi, a legittimare lo status quo anziché essere uno stimolo per ripensare il ruolo del lavoro tramite agenzia in mercati del lavoro moderni e flessibili. È stato il caso dell’Irlanda, di Malta e del Regno Unito che hanno dichiarato l’inesistenza di divieti e restrizioni da esaminare all’interno dei loro ordinamenti. Ciò non vale invece per l’Italia 133 dove con il d. l. 34/2014 è stata liberalizzata la stipula del contratto di somministrazione di lavoro a tempo determinato, con l’eliminazione dell’obbligo di indicare le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, da indicare nel contratto. La Commissione continuerà a seguire l’applicazione della direttiva in modo da assicurare il raggiungimento dei suoi obiettivi e il completo e corretto recepimento delle sue disposizioni in tutti gli Stati membri. Assolverà a questo compito servendosi di strumenti quali la procedura di infrazione e l’elaborazione di pareri da inviare agli Stati membri che presentano all’interno dei loro ordinamenti degli ostacoli alla crescita e competitività. Le denunce che sono state presentate alla Commissione nei confronti degli Stati membri, le petizioni e le questioni pregiudiziali sottoposte alla Corte di Giustizia costituiscono importanti fonti di informazioni relative alle misure o alle pratiche nazionali che potrebbero essere incompatibili con la direttiva. La Commissione, se nella sua valutazione degli ostacoli nazionali all'attività delle agenzie di lavoro interinale, individuerà determinati aspetti relativi agli oneri normativi quali ostacoli alla crescita e alla competitività, considererà l'ipotesi di includere raccomandazioni destinate agli Stati membri interessati nelle misure specifiche per paese. È necessario quindi acquisire più esperienza riguardo all’applicazione della direttiva perché, nonostante il termine per il suo recepimento sia scaduto nel dicembre 2011, alcune misure nazionali d’attuazione sono state adottate, con 134 ritardo, solo nella primavera 2013 e ancora deve svilupparsi una consistente giurisprudenza della Corte di Giustizia sulla sua applicazione. Il lungo e difficile dibattito che ha portato all’adozione della direttiva è indice di quanto sia importante questa questione a livello europeo. Inizialmente, lo scopo della Commissione Europea era la regolazione del lavoro interinale per assicurare gli standard minimi di protezione dei lavoratori. Oggigiorno però le agenzie di lavoro interinale sono viste anche come strumenti di creazione dei posti di lavoro nell’ottica della flessibilità. Difatti l'introduzione, nel mercato del lavoro, di strumenti per facilitare la flessibilità può essere considerato come uno dei modi volti ad incrementare l'occupazione. Le aziende, facilitate dall'esistenza di contratti poco vincolanti e meno costosi a livello previdenziale, sarebbero incentivate a richiedere costantemente al mercato del lavoro tutte quelle figure professionali di cui hanno bisogno in un determinato momento. In questo modo, la domanda di occupazione sul mercato del lavoro verrebbe sbloccata e si produrrebbe un circolo virtuoso destinato a incrementare la richiesta. In realtà, la concreta portata di una tale valutazione è dubbia in quanto, nella maggior parte dei casi, i contratti flessibili vengono usati solo come strumento di risparmio da parte delle aziende, il che comporta un aumento del tasso di crescita del precariato. 135 Del resto sia l’evidenza empirica che la maggior parte della letteratura economica in materia1 non fanno ritenere possibile una relazione positiva e sostenibile nel lungo periodo tra maggiore flessibilità e crescita dell’occupazione e della produttività. Ciononostante, si è raggiunto da tempo, in UE, un certo consenso verso il modello di flexicurity che combina elementi di flessibilità con elementi di sicurezza sociale. Vi era il timore che una forma di impiego flessibile quale il lavoro interinale implicasse, per i lavoratori, minor protezione, condizioni di lavoro peggiori rispetto ad altri lavoratori in termini di parità di retribuzione o di diritti dei lavoratori all’accesso alla formazione e ai diritti collettivi. Pertanto, aveva la massima priorità l’inquadrare legalmente questo tipo di organizzazione del lavoro al fine di offrire la necessaria protezione ai lavoratori temporanei. In realtà ciò era valido agli albori dato che oggigiorno i sindacati sono pro (o almeno non sono del tutto contrari) al lavoro tramite agenzia e questo ha permesso che, nella direttiva 2008/104, l’idea del lavoro interinale sia tutt’altro che negativa. La flexicurity ha significato, almeno in Italia, l’introduzione di una maggiore flessibilità dei rapporti di lavoro non accompagnata da una necessaria riforma dei sistemi di sicurezza sociale, il che ha prodotto un 1 Dai classici ai keynesiani, dai neokeynesiani agli economisti istituzionalisti, eccezion fatta per la letteratura strettamente neoclassica all’interno della quale esistono tuttavia numerose eccezioni quali Solow, Modigliani e altri. 136 indebolimento del potere contrattuale dei lavoratori e un rafforzamento di quello dei datori di lavoro. Questo approfondimento della naturale asimmetria nel potere contrattuale delle parti del rapporto di lavoro ha irrobustito i fenomeni di precarizzazione del rapporto di lavoro, evidenziando una serie di problematiche che hanno ridimensionato, se non annullato, il vantaggio di una modesta riduzione del tasso di disoccupazione. Flexicurity deve significare incremento di protezione, tutele e diritti sociali per occupati e disoccupati con lo spostamento delle tutele dal rapporto di lavoro al mercato e al sistema pubblico di sicurezza sociale. Questa esigenza di tutela è stata messa maggiormente in evidenza dall’attuale fase di crisi economica, che ha portato una crescita considerevole dei tassi di disoccupazione e quindi una maggior domanda di protezione del reddito. Rispetto alle altre forme di impiego, i lavoratori interinali rientrano tra quelli cui si applicano le peggiori condizioni di lavoro e si spera che la direttiva riesca a promuovere un loro miglioramento attraverso il prinicipio della parità di trattamento, la cui applicazione risulta comunque attenuata dalla presenza di restrizioni e deroghe, che potrebbero portare ad un’attuazione parziale ed inconsistente della direttiva. Il lavoro interinale è stato la forma di lavoro atipico che ha registrato i tassi di crescita più elevati negli ultimi 20 anni e questo perché, dal lato dell’offerta, le agenzie possono incoraggiare il reimpiego del lavoratore 137 licenziato, nonché favorire l’entrata nel mondo del lavoro di soggetti che lavorando per un periodo di tempo limitato possono contemperare l’occupabilità e l’opportunità di inserimento professionale con la vita privata così come previsto dal considerando n. 11 della direttiva stessa per il quale << Il lavoro tramite agenzia interinale risponde non solo alle esigenze di flessibilità delle imprese ma anche alla necessità di conciliare la vita privata e la vita professionale dei lavoratori dipendenti >>. Dal lato della domanda, le agenzie di lavoro interinale permettono alle imprese utilizzatrici di gestire in maniera relativamente semplice il lavoro e offrono almeno potenzialmente un risparmio dei costi di transazione attraverso l’esternalizzazione del reclutamento e dell'amministrazione della forza lavoro. Inoltre, l'uso massiccio e sistematico del lavoro temporaneo consente una riduzione del ‘nucleo’ di personale permanente e permette il ricorso ad una maggiore forza lavoro nei casi di eventuali picchi di produzione, in modo da tenere sotto controllo i costi salariali e mantenere flessibile la consistenza della forza lavoro impiegata. La direttiva sul lavoro temporaneo sancisce il principio della parità di trattamento per i lavoratori temporanei rispetto ai dipendenti dell’utilizzatore, con l’obiettivo di stabilire gli standard europei minimi e creare un unico campo di gioco per le imprese dei vari Stati membri. La maggior parte degli Stati membri ha ricercato i modi per conciliare, attraverso la legge, la contrattazione collettiva o entrambi, la tutela 138 dell'occupazione con la flessibilità del lavoro, utilizzando la Direttiva 2008/104 per rimeditare l’apparato normativo esistente. Nonostante questi sforzi, le leggi nazionali contengono tuttora delle lacune nella protezione dei lavoratori tramite agenzia. 139 RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI ARROWSMITH J., Temporary agency work in an enlarged European Union, 2006. ALBI P., Divieto di interposizione e responsabilità da contatto sociale, in Riv. It. Dir. Lav., 2010, II, 17. AMBROSI I. e D’AURIA M., Il lavoro tramite agenzia interinale, in Famiglia, persone e successioni, 2012, 397. BACCHINI F., Somministrazione irregolare di lavoro a tempo determinato: i requisiti di temporaneità e specificazione della causale (Nota a T. Bergamo, 27 ottobre 2011), in Argomenti dir. Lav., 2012, 709. 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Decreto legislativo 276/2003 di attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30. Direttiva 91/383/CEE del Consiglio, del 25 giugno 1991, che completa le misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute durante il lavoro dei lavoratori aventi un rapporto di lavoro a durata determinata o un rapporto di lavoro interinale. Direttiva 96/34/CE del Consiglio del 3 giugno 1996 concernente l'accordo quadro sul congedo parentale concluso dall'UNICE, dal CEEP e dalla CES. Direttiva 96/71/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 16 dicembre 1996 relativa al distacco dei lavoratori nell'ambito di una prestazione di servizi. Direttiva 1997/81/CE del Consiglio del 15 dicembre 1997 relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale concluso dall’UNICE, dal CEEP e dalla CES. Direttiva 1999/70/CE del Consiglio dell'Unione Europea del 28 giugno 1999 relativa all'accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato. Direttiva 2008/104/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 19 novembre 2008 relativa al lavoro tramite agenzia interinale. Direttiva 2014/67/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 15 maggio 2014 concernente l'applicazione della direttiva 96/71/ce relativa al distacco dei lavoratori nell'ambito di una prestazione di servizi e recante modifica del regolamento (UE) n. 1024/2012 relativo alla cooperazione amministrativa attraverso il sistema di informazione del mercato interno («regolamento IMI»). Gangmaster Licensing Act 2004. Legge 78/2014 Jobs Act. 151 Trattato che istituisce la Comunità Europea. Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea. Trattato sull’Unione Europea. 152 RINGRAZIAMENTI Desidero innanzitutto ringraziare il relatore di questa tesi, Prof. Luca Calcaterra, per tutto il tempo che ha dedicato nel seguirne la stesura, per avermi suggerito alcuni dei testi e dati indispensabili per la sua realizzazione e in generale per i consigli, la grande disponibilità e cortesia dimostratami. Vorrei esprimere la mia gratitudine verso la mia famiglia per avermi permesso di arrivare a questo grande traguardo, per avermi sostenuto e spinto a fare del mio meglio. Ringrazio i miei amici e compagni di corso per il continuo aiuto, incoraggiamento e per aver condiviso con me i miei successi. 153