Cos'è il lavoro interinale? Il lavoro interinale, introdotto nel nostro ordinamento dalla L. 196/97 (legge Treu) è caratterizzato dal fatto che il lavoratore svolge la propria attività lavorativa per conto non del proprio datore di lavoro, ma di un altro soggetto. Infatti, il lavoratore viene assunto (a tempo indeterminato o a termine), con un contratto che deve essere redatto per iscritto, dalla cosiddetta impresa fornitrice, per essere quindi inviato al lavoro presso la cosiddetta impresa utilizzatrice, e ciò evidentemente sulla scorta di un accordo intervenuto tra le due imprese, che deve risultare per iscritto. Una volta che sia stato avviato all'impresa utilizzatrice, il lavoratore interinale svolge la propria attività nell'interesse e sotto la direzione di tale impresa, ed è tenuto all'osservanza delle norme di legge e di contratto applicate ai lavoratori di questa. Rimane peraltro un legame tra il lavoratore e l'impresa fornitrice, dal momento che quest'ultima è tenuta al pagamento della retribuzione (in misura non inferiore a quella spettante ai lavoratori dipendenti dell'impresa utilizzatrice) ed al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali. Inoltre, in caso di assunzione a tempo indeterminato, l'impresa fornitrice deve corrispondere al lavoratore l'indennità mensile di disponibilità (la cui misura deve essere indicata nel contratto di assunzione), per i periodi in cui il lavoratore resta in attesa di un'assegnazione. L'impresa utilizzatrice è invece obbligata solo in caso di mancato pagamento della retribuzione o di mancato versamento dei contributi da parte della impresa fornitrice, e sempre che siano stati superati i limiti del deposito cauzionale che (proprio a garanzia dei crediti dei lavoratori) quest'ultima deve versare presso un istituto di credito avente sede o dipendenza in Italia (dopo i primi due anni di attività, è peraltro sufficiente una fideiussione bancaria o assicurativa). L'impresa utilizzatrice è invece direttamente responsabile per le differenze retributive dovute al lavoratore, nel caso in cui egli sia stato utilizzato in mansioni superiori a quelle di assunzione, nel caso in cui di tale nuova assegnazione non sia stata resa immediata comunicazione all'impresa fornitrice. La legge individua i casi in cui è possibile utilizzare la prestazione di lavoro temporaneo. Più precisamente, si tratta dei casi previsti dai contratti collettivi nazionali di categoria, stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi; nei casi in cui vi sia l'esigenza di utilizzare temporaneamente lavoratori con qualifiche non previste dai normali assetti produttivi; infine nei casi di sostituzione dei lavoratori assenti. Tuttavia, queste limitazioni non valgono nel caso in cui il lavoro interinale riguardi prestatori con qualifica di dirigente. In ogni caso, è vietato il ricorso al lavoro interinale per qualifiche di esiguo contenuto professionale (da individuarsi sempre ad opera dei citati contratti), per sostituire lavoratori in sciopero, ovvero con riferimento alle unità produttive in cui si sia proceduto, nel 12 mesi precedenti, a licenziamenti collettivi, o in cui sia in corso una sospensione dei rapporti o una riduzione dell'orario, con riferimento a lavoratori adibiti a mansioni cui si riferisce la fornitura. Nei casi più gravi di violazione delle norme sul lavoro interinale, il rapporto si trasforma a tempo indeterminato alle dipendenze dell'impresa utilizzatrice. Per esempio, ciò è previsto nel caso in cui il contratto tra impresa utilizzatrice e impresa fornitrice non risulti per iscritto, o sia stipulato al di fuori dei limiti previsti dalla legge e che sono stati sopra indicati, o che non contenga alcune indicazioni imposte dalla legge (per esempio, il numero dei lavoratori richiesti, le mansioni cui saranno adibiti, il luogo e l'orario di lavoro, il trattamento economico). La stessa conseguenza si verifica nel caso in cui il rapporto proseguisse, dopo la scadenza originariamente prevista, per un tempo superiore a dieci giorni (per i primi dieci giorni, è previsto solamente un aumento del 20% della retribuzione giornaliera). Inoltre, nel caso in cui l'impresa utilizzatrice non sia iscritta all'apposito Albo istituito presso il Ministero del lavoro e della previdenza sociale, continuerà ad essere applicabile la normativa in tema di divieto dell'intermediazione di mano d'opera (vale a dire, in sintesi, che chi utilizzerà il lavoro di prestatori assunti da un terzo soggetto, salvo alcuni casi previsti dalla legge, sarà tenuto ad assumerli anche formalmente alle proprie dipendenze). Invece, la mancata stipulazione per iscritto del contratto tra lavoratore e impresa fornitrice è considerato dalla legge con maggior severità: in questo caso è previsto solamente che il contratto si considera a tempo indeterminato con l'impresa fornitrice, e la stessa conseguenza si verifica qualora in tale contratto non fosse precisata la data di inizio e di termine dell'attività presso l'impresa utilizzatrice. Questione 2 Quali sono gli effetti pratici del lavoro interinale? Il lavoro interinale è destinato a superare non solo il divieto di intermediazione di mano d'opera (come è noto, la L. 1369/60 vieta, se non in casi eccezionali, che un lavoratore svolga attività lavorative per un soggetto diverso da quello che l'ha assunto). Soprattutto, la legge Treu apre definitivamente le porte al rapporto di lavoro a termine che, precedentemente, costituiva un'eccezione. Infatti, da un lato la legge in questione ha di gran lunga attenuato le sanzioni previste in caso di violazione della legge sul lavoro a termine (per esempio, in precedenza era previsto che il rapporto si trasformasse a tempo indeterminato qualora lo stesso proseguisse anche di un solo giorno oltre il termine; attualmente, invece, per sortire questo effetto è necessario un lasso di tempo considerevolmente più lungo). Da un altro lato, e soprattutto, il lavoro interinale rende del tutto superflua la legge che disciplina il lavoro a termine, dal momento che ogni datore di lavoro preferirà fare ricorso a lavoratori interinali. Infatti, le ipotesi in cui è possibile far ricorso al lavoro interinale sono molto più elastiche rispetto a quelle in cui è consentito assumere un lavoratore a termine. A tale riguardo, si pensi non tanto alla portata della norma che assegna alla contrattazione collettiva la facoltà di individuare le ipotesi in cui è ammesso il lavoro interinale: certo, questa norma apre al lavoro interinale possibilità ampie e ora impensabili; tuttavia, una norma simile già esiste per il lavoro a termine (art. 23 L. 56/87). Piuttosto, si deve riflettere sul fatto che il lavoro interinale è ammissibile tutte le volte in cui si debba utilizzare temporaneamente qualifiche non previste nei normali organici aziendali. Questa norma è sicuramente molto elastica, tale da consentire ampie possibilità al datore di lavoro di far ricorso al lavoro interinale, sebbene limitatamente alle qualifiche che la contrattazione collettiva non definisca di esiguo contenuto professionale (che, secondo la legge Treu, sono incompatibili con il lavoro interinale). Ma ciò che più preoccupa è la introduzione, per questa via, di una nuova figura di lavoratore: quella di chi, per professione, fa il lavoratore a termine. In altre parole, l'impresa che assume i lavoratori interinali, per avviarli al lavoro presso terzi, avrà certamente un elenco di persone cui attingere all'occorrenza: pertanto, quanto più il lavoratore sarà docile; quanto meno sarà sindacalizzato; quanto meno sarà soggetto ad ammalarsi, tanto più costui avrà occasioni di lavoro. A fronte di queste considerazioni, le norme, pur presenti nella legge Treu, che assicurano ai lavoratori interinali la libertà sindacale, rischiano di diventare di scarsa applicabilità pratica. Questione n. 3 Cosa sono gli stages? Esistono altri strumenti previsti dalla legge per combattere la disoccupazione giovanile? Per combattere la disoccupazione, soprattutto giovanile, qualcosa si sta muovendo, anche se ancora si tratta di piccoli passi. Infatti, la L. 196/97 (legge Treu) contiene provvedimenti che si muovono in questa direzione. In primo luogo, la legge, sul presupposto che una delle principali cause della disoccupazione è la mancanza di formazione professionale, affida al governo il compito di emanare, entro 6 mesi, un decreto che, seguendo alcuni principi indicati dall'art. 17 della legge stessa, provveda alla riforma della formazione professionale. Nello stesso indirizzo si muove anche l'art. 16 della legge, che apporta alcune modifiche al rapporto di apprendistato, intensificando e privilegiando il momento formativo dell'apprendista. Tuttavia, le novità forse più importanti contenute nella nuova legge per espandere l'occupazione giovanile sono i tirocini formativi e di orientamento, o stages (art. 18) e gli interventi a favore dei giovani inoccupati del Mezzogiorno (art. 26). Il citato art. 18 istituisce gli stages, cui possono accedere persone che abbiano assolto agli obblighi scolastici e che consistono in momenti di alternanza tra studio e lavoro per agevolare le scelte professionali, mediante la conoscenza diretta del mondo del lavoro. L'attuazione degli stages è affidata ad un decreto governativo (da emanarsi entro 9 mesi), che dovrà rispettare i principi fissati dalla legge Treu. In particolare, la legge individua i soggetti che possono prendere l'iniziativa di avviare i giovani agli stages (tra gli altri, si tratta dell'università, di istituzioni scolastiche statali e non, degli uffici periferici del Ministero del lavoro, delle associazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro, delle comunità terapeutiche). Sulla scorta di un apposito progetto di orientamento e formazione, questi soggetti stipuleranno convenzioni con i datori di lavoro, pubblici e privati, per la costituzione di stages che non potranno essere considerati rapporti di lavoro e che avranno una durata non superiore a 12 mesi (24 in caso di portatori di handicap). I soggetti promotori degli stages devono garantire la presenza di un tutor che abbia la responsabilità didattica e organizzativa delle attività; inoltre, i promotori devono assicurare i tirocinanti per la responsabilità civile e contro gli infortuni sul lavoro. Nel caso in cui gli stages riguardino giovani del Mezzogiorno, impiegati presso imprese di regioni diverse da quelle meridionali, la legge prevede la possibilità di un rimborso degli oneri finanziari e, in particolare, delle spese per vitto e alloggio del tirocinante. Il citato art. 26 delega al governo l'emanazione, entro 90 giorni, di un decreto che definisca un piano, da attuarsi entro il 31/12/97, che preveda lavori di pubblica utilità e borse di lavoro a favore di almeno 100.000 giovani (tra i 21 e i 32 anni di età) in cerca di primo impiego e iscritti da più di 30 mesi nelle liste di collocamento. Detto piano dovrà riguardare le regioni dell'Italia meridionale e insulare, nonché le province con maggior tasso di disoccupazione. Con riguardo ai lavori di pubblica utilità, il decreto dovrà attuare i progetti che siano presentati entro 2 mesi dall'entrata in vigore del decreto stesso, che siano temporalmente determinati e che riguardino interventi nei settori dei servizi alla persona, della salvaguardia e della cura dell'ambiente e del territorio, del recupero e della riqualificazione degli spazi urbani e dei beni culturali. Mediante le borse di lavoro, i giovani potranno essere avviati al lavoro presso datori di lavoro che non abbiano licenziato personale nei 12 mesi precedenti e a condizione che i borsisti aumentino il personale mediamente occupato nei 12 mesi precedenti. Il decreto attuativo dovrà determinare la durata della borsa di lavoro, la corresponsione di un sussidio erogato dall'Inps, il riconoscimento di incentivi per l'assunzione a tempo indeterminato del borsista. L’evoluzione della tecnologia informatica e lo sviluppo delle reti di telecomunicazione, nonché il loro utilizzo integrato (la cosiddetta telematica), che costituiscono eventi destinati a modificare molteplici aspetti della nostra vita quotidiana, non potevano non avere un riflesso anche sul mondo del lavoro. Di fatto, una delle conseguenze degli sviluppi sopra accennati è stata proprio la diffusione, per il momento ancora limitata ma in costante crescita, del fenomeno del telelavoro. In tale definizione vengono ricomprese, di regola, tutte le forme di lavoro effettuate al di fuori degli spazi aziendali mediante l’ausilio delle tecnologie della comunicazione. Gli elementi caratterizzanti questa tipologia di lavoro sono, dunque, prevalentemente due: quello "spaziale", nel senso che il lavoratore può rendere la propria prestazione senza recarsi nei tradizionali luoghi di lavoro (stabilimento, ufficio, ecc.), e quello tecnologico, inteso come utilizzo di strumenti che, pur in assenza di una presenza fisica del lavoratore in ambito aziendale, consentano comunque di mantenere forme di collegamento con l’impresa datrice di lavoro. Alcuni degli aspetti positivi insiti in tale forma di lavoro sono di intuitiva evidenza: basti pensare alla riduzione degli spostamenti sul territorio, con tutti i vantaggi che ne derivano sia per il singolo (che può trattenersi presso il domicilio, guadagnando così tempo prezioso da dedicare ai propri interessi) sia per la collettività (quali la riduzione del traffico e, conseguentemente, dell’inquinamento). Ma neppure vanno trascurati possibili lati negativi, quali la perdita dei momenti di socializzazione insiti nello svolgimento di un’attività lavorativa insieme ad altri colleghi, ovvero la difficoltà di tutelare sindacalmente i diritti di una forza lavoro eccessivamente frammentata. Molteplici sono, peraltro, i problemi che tale nuovo modello di lavoro presenta sotto il profilo della regolamentazione del rapporto di lavoro; in particolare, risulta non agevole la qualificazione dei c.d. telelavoratori quali lavoratori subordinati, e ciò in quanto alcuni degli aspetti tipici del lavoro dipendente assumono, in questa ipotesi di lavoro, caratteristiche assolutamente particolari. Si pensi, ad esempio, all’orario di lavoro, che un lavoratore a distanza potrebbe gestire non in base a rigide disposizioni aziendali ma secondo i tempi a lui congeniali, piuttosto che all’inserimento nella struttura organizzativa dell’impresa, che si realizza non più mediante l’assegnazione al lavoratore di una specifica postazione lavorativa in ufficio o in fabbrica, ma mediante un collegamento telematico. Proprio per tale motivo si pongono problemi nuovi di gestione dei rapporti di lavoro, in parte già affrontati dalla contrattazione collettiva sia a livello nazionale che aziendale (ad esempio nel settore delle imprese radiotelevisive aderenti all’Intersind ovvero presso grando multinazionali dell’informatica), che rendono auspicabile un pronto esame dei progetti di legge già presentati in materia. Quesito n. 4 Cos’è il telelevoro? L’evoluzione della tecnologia informatica e lo sviluppo delle reti di telecomunicazione, nonché il loro utilizzo integrato (la cosiddetta telematica), che costituiscono eventi destinati a modificare molteplici aspetti della nostra vita quotidiana, non potevano non avere un riflesso anche sul mondo del lavoro. Di fatto, una delle conseguenze degli sviluppi sopra accennati è stata proprio la diffusione, per il momento ancora limitata ma in costante crescita, del fenomeno del telelavoro. In tale definizione vengono ricomprese, di regola, tutte le forme di lavoro effettuate al di fuori degli spazi aziendali mediante l’ausilio delle tecnologie della comunicazione. Gli elementi caratterizzanti questa tipologia di lavoro sono, dunque, prevalentemente due: quello "spaziale", nel senso che il lavoratore può rendere la propria prestazione senza recarsi nei tradizionali luoghi di lavoro (stabilimento, ufficio, ecc.), e quello tecnologico, inteso come utilizzo di strumenti che, pur in assenza di una presenza fisica del lavoratore in ambito aziendale, consentano comunque di mantenere forme di collegamento con l’impresa datrice di lavoro. Alcuni degli aspetti positivi insiti in tale forma di lavoro sono di intuitiva evidenza: basti pensare alla riduzione degli spostamenti sul territorio, con tutti i vantaggi che ne derivano sia per il singolo (che può trattenersi presso il domicilio, guadagnando così tempo prezioso da dedicare ai propri interessi), sia per la collettività (quali la riduzione del traffico e, conseguentemente, dell’inquinamento). Ma neppure vanno trascurati possibili lati negativi, quali la perdita dei momenti di socializzazione insiti nello svolgimento di un’attività lavorativa insieme ad altri colleghi, ovvero la difficoltà di tutelare sindacalmente i diritti di una forza lavoro eccessivamente frammentata. Molteplici sono, peraltro, i problemi che tale nuovo modello di lavoro presenta sotto il profilo della regolamentazione del rapporto di lavoro; in particolare, risulta non agevole la qualificazione dei c.d. telelavoratori quali lavoratori subordinati, e ciò in quanto alcuni degli aspetti tipici del lavoro dipendente assumono, in questa ipotesi di lavoro, caratteristiche assolutamente particolari. Si pensi, ad esempio, all’orario di lavoro, che un lavoratore a distanza potrebbe gestire non in base a rigide disposizioni aziendali ma secondo i tempi a lui congeniali, piuttosto che all’inserimento nella struttura organizzativa dell’impresa, che si realizza non più mediante l’assegnazione al lavoratore di una specifica postazione lavorativa in ufficio o in fabbrica, ma mediante un collegamento telematico. Proprio per tale motivo si pongono problemi nuovi di gestione dei rapporti di lavoro, in parte già affrontati dalla contrattazione collettiva sia a livello nazionale che aziendale (ad esempio nel settore delle imprese radiotelevisive aderenti all’Intersind ovvero presso grandi multinazionali dell’informatica), che rendono auspicabile un pronto esame dei progetti di legge già presentati in materia. inizio pagina