Il Libro Verde della Commissione Europea sul diritto del lavoro al vaglio dei consulenti del lavoro Nell’ambito della sempre più stimolante collaborazione col Ministero del lavoro, ci viene chiesto di conoscere il pensiero dei consulenti del lavoro circa le 14 domande che nel Libro Verde vengono poste a proposito del dibattito lanciato su un nuovo diritto del lavoro europeo. La categoria è pronta, infatti, a raccogliere le sfide della modernizzazione, consapevole dei profondi cambiamenti che sono in corso nel mondo del lavoro. Del resto la più grande banca dati sul mercato del lavoro, quali sono i consulenti del lavoro, si pone in una posizione privilegiata in qualità di gestore della genesi, svolgimento e conclusione del rapporto di lavoro. Proviamo ad inquadrare i notevoli spunti che il libro verde contiene con alcune considerazioni di carattere generale che argomentino la posizione della categoria e che fungano da premessa alla risposte che daremo alle suddette 14 domande. - La competizione internazionale e la domanda di flessibilità delle aziende L’impresa sta cambiando la sua fisionomia per attrezzarsi più adeguatamente alla sfida del mercato che non è più nazionale ma internazionale e l’impresa assistita dallo Stato fatica a sopravvivere nell’ordinamento dell’Unione europea in cui la concorrenza è uno dei principi fondanti di questo ordinamento. Questi due dati impongono alle imprese di ridurre i costi di produzione e, tra questi, quelli del lavoro. Pertanto le imprese richiedono in misura crescente forme di lavoro flessibile ( tempo determinato, parziale e somministrazione di lavoro) rispetto al rapporto di lavoro subordinato a tempo pieno e indeterminato prefigurato dal codice civile e ancor più dallo Statuto dei lavoratori come principale forma di occupazione. Non si può negare infatti che il lavoro subordinato nell’impresa regolato dall’art. 2094 c.c. rappresenti il prototipo socialmente rilevante rispetto agli altri rapporti di lavoro subordinato e autonomo pure regolati dal codice civile. E la definizione di questa fattispecie, invero molto elastica, ha favorito indubbiamente una estensione della medesima che ha ridotto lo spazio di altre forme di lavoro. D’altra parte lo Statuto dei lavoratori non ha modificato la suddetta fattispecie ma ha predisposto per essa un trattamento normativo di rilevanti tutele e tra queste, in particolare, la disciplina della reintegrazione. Il trattamento normativo previsto dallo Statuto dei lavoratori per il lavoro subordinato a tempo pieno e indeterminato ha contribuito a dilatare ulteriormente la fattispecie perché, assicurando la stabilità reale del posto di lavoro, ha privilegiato l’interesse del lavoratore alla continuità del rapporto di lavoro rispetto al contrapposto interesse del datore di lavoro alla temporaneità dei vincoli contrattuali garantito dal codice civile con la previsione del recesso ad nutum. - L’evoluzione della normativa in deroga al rapporto di lavoro subordinato La normativa che ha regolato il rapporto di lavoro subordinato a tempo pieno e indeterminato come principale se non unica forma di occupazione ha retto fino alla metà degli anni 80. Da allora il legislatore ha iniziato a introdurre in misura crescente forti dosi di flessibilità nella disciplina del rapporto di lavoro prevedendo e regolando il lavoro a tempo parziale, di formazione e lavoro, ha progressivamente esteso i casi di ricorso al contratto a tempo determinato, ha regolato il lavoro interinale che introduceva una vistosa deroga alla disciplina dell’appalto di mano d’opera. Insomma tutti questi rapporti possono essere annoverati nella categoria dei rapporti temporanei. E tuttavia bisogna sottolineare che lo stesso legislatore si è preoccupato di affidare alla contrattazione collettiva la gestione e il controllo dei suddetti rapporti flessibili. Sul fronte del lavoro non subordinato, ha progressivamente esteso le tutele ( processuale, previdenziale, fiscale, antinfortunistica) nei confronti dei collaboratori continuativi e coordinati, aumentati nel frattempo a dismisura perché la contribuzione previdenziale è di gran lunga più conveniente di quella prevista per il lavoro subordinato e perché non sono soggetti alla disciplina dei licenziamenti individuali. A questo proposito bisogna sottolineare che questa categoria di rapporti si presta a facili elusioni perché la coordinazione mentre concettualmente si distingue dalla subordinazione come requisito di identificazione della fattispecie, invece, non si distingue agevolmente nel concreto svolgimento del rapporto di lavoro dalla subordinazione. Il nuovo legislatore, sia nel 2001 con la nuova disciplina del contratto a tempo determinato, sia soprattutto nel 2003, ha proseguito nella disciplina della flessibilizzazione del rapporto di lavoro subordinato nell’impresa a tempo pieno e indeterminato frammentando eccessivamente la fattispecie con la previsione del lavoro a chiamata, del lavoro ripartito, della somministrazione anche a tempo indeterminato, e facendo saltare così uno dei capisaldi del nostro diritto del lavoro e cioè la imputabilità del rapporto di lavoro al datore che effettivamente utilizza il rapporto di lavoro. E ha ridotto sensibilmente la gestione e la funzione di controllo della contrattazione collettiva. In tema di decentramento produttivo bisogna aggiungere che ha reso fungibile ed economicamente più conveniente il ricorso al contratto di appalto quando questo abbia ad oggetto l’esecuzione di servizi rispetto al contratto di somministrazione e ha affidato all’autonomia delle parti cedente e cessionario la determinazione del ramo di azienda oggetto del trasferimento pur conservando il requisito dell’autonomia funzionale del medesimo ramo. Sul fronte del lavoro non subordinato ha identificato la nuova fattispecie del lavoro a progetto che dovrebbe sostituire le collaborazioni continuative e coordinate con l’intento di evitare gli abusi generati nel corso del tempo da questa fattispecie. - Il progetto di modernizzazione del diritto del lavoro in Italia: dal Libro bianco alla legge Biagi Ma quello che secondo noi vale di più sottolineare del D.lgs. 276/03, al di la dello sterile e provinciale dibattito tutto ideologico se la legge abbia funzionato o meno, è la dirompente forza innovativa che sottintende e che anticipa le stesse riflessioni sulla modernizzazione del diritto del lavoro contenute nel libro verde. Il diritto del lavoro, infatti, non più visto solo come protezione della parte debole, ma come fonte di produzione del lavoro stesso. Con la riforma Biagi si intende combattere l’elusione delle protezioni, riconquistare all’area del lavoro regolare e debitamente tutelato vaste plaghe del nostro tessuto produttivo dove regna la simulazione o la pura e semplice evasione. Tutto ciò attraverso l’utilizzo di forme contrattuali che si sforzano di essere flessibili per venire in contro alla stessa natura particolare del rapporto di lavoro che sottendono e quindi realizzando quello che è l’obiettivo del libro verde: flessibilità in cambio di inclusione sociale. La scommessa è quella di dare un valore positivo al significato stesso di flessibilità, oggi soprattutto classificato con disvalore preconcetto. E se fosse proprio al contrario? Se grazie alla flessibilità, invece, si riuscisse ad aumentare l’occupazione stabile e duratura? L’esperienza attuale purtroppo si identifica con l’utilizzo del lavoro precario che è aumentato esponenzialmente, anche perché è unica difesa che l’impresa europea ha praticato per tentare di rispondere alla sempre più feroce competizione dei mercati, soprattutto extracomunitari. Ma il lavoro precario comporta una serie di problemi in ordine al riconoscimento di alcuni diritti fondamentali dei lavoratori, quali tra gli altri, la tutela previdenziale. La struttura del sistema previdenziale è calibrata su esigenze e caratteri del mercato del lavoro che hanno progressivamente perduto gran parte del loro riscontro con l’attualità. E ciò non solo perché quella disciplina è modellata, nei suoi tratti principali, sul modello tradizionale di lavoro: quello di natura subordinata, a tempo pieno, continuativo e di lunga durata. Ma anche perché detta disciplina si raccorda (salve alcune eccezioni) a tale modello sulla base di un criterio, per così dire, meritocratico: particolarmente calibrato, cioè, sull’entità dell’apporto tanto lavorativo e contributivo dell’interessato. Basta ricordare, infatti, che i principi che reggono quella disciplina subordinano il diritto a pensione ad una certa durata minima del rapporto assicurativo (requisito di attualità contributiva), solo occasionalmente calibrata su determinate specificità dell’attività lavorativa: e, quindi, al quantum di attività lavorativa prestata dall’interessato. D’altra parte, quei medesimi principi pongono l’entità del trattamento pensionistico in relazione al trattamento retributivo goduto dall’interessato durante la vita attiva: e, quindi, in relazione al correlato rapporto contributivo. Conseguenza evidente di tale risalente e perdurante impostazione è il fatto che attività di lavoro intermittenti o di breve durata, specie se soggette a trattamenti retributivi modesti, hanno (di regola), ai sensi di quella disciplina, ridotte possibilità di tutela pensionistica, o, addirittura, non ne hanno alcuna. E ciò – si badi bene – vale tanto nel caso in cui l’importo della pensione debba essere determinato sulla base del criterio retributivo di calcolo, quanto nel caso in cui la medesima operazione debba avvenire sulla base del criterio contributivo: il livello del trattamento pensionistico in entrambi i casi resta condizionato dalla durata dell’attività lavorativa prestata, da un lato, e dal livello delle retribuzioni assoggettate a contribuzione, dall’altro lato. E’ da sottolineare, inoltre, che la discontinuità dell’attività lavorativa pone “istituzionalmente” a rischio la stessa tutela pensionistica, in quei casi in cui la norma richieda, in aggiunta agli altri requisiti di anzianità assicurativa e contributiva, anche quello dell’attualità contributiva (cioè, di una determinata prossimità temporale tra ultimo periodo assicurato ed evento protetto), come avviene, in particolare, nell’assicurazione contro l’invalidità. Infine, non può essere dimenticato che carriere lavorative frammentate o, peggio, precarie implicano un frazionamento, di per sé incompatibile con lo sviluppo di quella particolare forma di tutela, chiamata dal recente legislatore a costituire il “secondo pilastro” del sistema, che è la previdenza complementare. Ma la vera sfida del libro verde, già anticipata nel “nostro” Libro Bianco, quasi una quadratura del cerchio, è proprio quella di voler conciliare una maggiore flessibilità con la necessità di massimizzare la sicurezza per tutti. - Un nuovo Statuto dei lavori? In questo quadro normativo dovrebbe riprendersi il dibattito sullo Statuto dei lavori e cioè dei rapporti di lavoro che si giustappongono al lavoro subordinato, o perché sono flessibili ma restano all’interno del tipo legale, o perché sono al di fuori del tipo legale . Il progetto tende ad introdurre tutta una serie di tutele individuali e collettive minimali a favore di quanti non sono coperti dallo Statuto dei Lavoratori: precari destinati ad una storia lavorativa fatta di tanti pezzi, con un’unica costante, un loro coinvolgimento personale, comunque vengano in seguito definiti e qualificati i relativi rapporti di lavoro. Partendo dalle diverse condizioni di lavoro e dalla specificità di ogni tipologia contrattuale in essere, lo statuto dei lavori, dovrebbe riconoscere diritti specifici, servendosi di un welfare delle opportunità. Welfare aperto alle nuove generazioni, capace di rispondere con strumenti specifici ai loro fabbisogni, che si adatti alle loro condizioni di lavoro e che, inoltre, garantisca la continuità contributiva, con l’introduzione di contributi figurativi nei periodi di non lavoro, e la continuità di reddito, con l’introduzione di nuovi ammortizzatori sociali, intesi non come indennità di disoccupazione, ma come indennità in attesa di ricollocazione nel mondo del lavoro. Troviamo traccia di tale progetto da un lato nel ddl n.2049, recante Norme di tutela dei lavoratori atipici, di iniziativa dei senatori C.Smuraglia ed altri, approvato dal Senato il 4 febbraio 1999, che mirava ad estendere ai rapporti di lavoro c.d. "parasubordinato" alcune delle tutele proprie del lavoro subordinato; dall'altro lato il progetto di Statuto dei lavori, predisposto da M.Biagi, su indicazione dell'allora Ministro del Lavoro T.Treu -bozza preliminare del 25 marzo 1998- , affrontando la questione "dalla parte delle tutele" piuttosto che dal punto di vista della qualificazione del rapporto, puntava ad una riforma complessiva del diritto del lavoro, attraverso una modulazione delle stesse a seconda del tipo di istituto da applicare. L'idea di uno Statuto dei lavori, nell'ambito di una complessiva rivisitazione del nostro ordinamento del lavoro, è ripresa nel Libro Bianco sul mercato del lavoro in Italia (ottobre 2001) - in particolare punto I.3.5- che riassumeva l'impostazione e le tematiche sulle quali l'attuale compagine governativa intendeva intervenire nel corso della legislatura. In merito si distingue tra un nucleo essenziale di norme e di diritti inderogabili, soprattutto di specificazione di principi internazionali e di diritti costituzionali, applicabili a tutte le forme di lavoro rese a favore di terzi, e diritti, più limitati, di cui rimarrebbero titolari i soli lavoratori subordinati. In tale prospettiva funzione centrale è svolta dalla previsione di un meccanismo di certificazione della qualificazione dei rapporti di lavoro, al fine di ridurre in via preventiva i motivi di possibile contenzioso. Oltre alla soglia minima di tutela ampio spazio dovrebbe essere peraltro attribuito all'autonomia collettiva ed individuale, nell'ottica del passaggio da un quadro legale basato su tutele ritenute eccessivamente rigide ad una disciplina del rapporto di lavoro a carattere parzialmente disponibile. A ciò dovrebbe del resto accompagnarsi un corrispondente riassetto delle prestazioni previdenziali, che contribuirebbe a sdrammatizzare il problema qualificatorio delle singole fattispecie. - Le tutele del mercato del lavoro Nel mercato del lavoro flessibile, dove si dovrà più spesso cambiare lavoro, sarà più facile mantenere e ritrovare lavoro se si hanno maggiori possibilità di riqualificazione e maggiori competenze professionali. L'attenzione va dunque posta non solo sul rapporto di lavoro ma anche sul mercato del lavoro: le persone occupate nelle nuove tipologie contrattuali hanno sì bisogno di tutele inerenti lo svolgimento del rapporto di lavoro, ma necessitano altresì di servizi per l'impiego (o il reimpiego) efficienti e di una rete di protezione sociale al termine della prestazione. Per rendere più trasparente e gestibile il mercato del lavoro, riprendendo una proposta già contenuta nel Libro Bianco del 2001, è d'altro lato necessario tendere ad una unica aliquota del prelievo contributivo per tutte le tipologie di impiego, in modo da disincentivare il ricorso a forme di occupazione legate solo alla convenienza economica. Una legislazione di sostegno potrebbe del resto prevedere misure specifiche per rendere più efficace la tutela collettiva, per adeguare la previdenza complementare, per favorire forme integrative di ammortizzatori sociali, per costituire un Fondo per la formazione. Lo Statuto dei lavori è da considerare dunque come la costruzione di un nuovo sistema di tutele che accompagni gli interventi sulla flessibilità. La flessibilità come detto non significa assenza di regole, ma al contrario presuppone un quadro normativo certo in cui si possano operare le scelte ritenute più opportune. Il D.lgs. n. 276/03 è da considerare solo un punto di partenza, perché ha previsto solo un aumento della flessibilità in entrata, attraverso la frantumazione tipologica del tipo legale, ma ha fallito completamente nella costruzione di una rete di protezione in vista dell’aumento del lavoro non stabile. Se si crea un mercato del lavoro efficiente dove la perdita del “lavoro” non è più un trauma, perché si entra in un circuito virtuoso di sostegno al reddito, formazione , riqualificazione e accompagnamento alla ricollocazione, non avrebbe più senso mantenere l’attuale disparità del nostro sistema fondato dallo Statuto dei lavoratori che vuole ipergarantito chi il posto di lavoro ce l’ha, rispetto a chi è disoccupato. Domande 1. Quali sarebbero secondo voi le priorità di un programma coerente di riforma del diritto del lavoro? Le priorità di un programma di riforma del diritto del lavoro devono tenere conto della forte competizione internazionale a cui sono sottoposte le imprese. L’attuale rapporto di lavoro fondato sull’art. 2094 del c.c. non regge alle richieste di flessibilità che tale competizione determina. Il diritto del lavoro moderno deve preoccuparsi non solo di difendere la parte debole del rapporto, ma di provvedere ad un maggiore inclusione sociale. Per far questo occorre riequilibrare le tutele oggi presenti esclusivamente “nel rapporto di lavoro” verso il “mercato del lavoro”. Ciò al fine di creare quella rete di tutela sociale che permetta di proteggere soprattutto i periodi di inattività lavorativa. Indennità di disoccupazione, volta alla ricollocazione del lavoratore, mediante un circuito di formazione e riqualificazione professionale. 2. L'adattamento del diritto del lavoro e degli accordi collettivi può contribuire a migliorare la flessibilità e la sicurezza dell'occupazione e a ridurre la segmentazione del mercato del lavoro? Se sì, come? La flessibilità regolata conduce certamente all’emersione del lavoro nero e quindi anche alla sicurezza sociale per i lavoratori occupati. D’altra parte i rapporti flessibili costituiscono, nella maggior parte dei casi, un ponte verso un’occupazione stabile. Il diritto del lavoro in questa logica, ha il compito di creare le condizioni per incentivare l’ingresso nel mondo del lavoro, attraverso l’utilizzo di dosi virtuose di flessibilità che stimolino le imprese all’instaurazione di rapporti regolari. Ciò al fine di creare un circuito continuo che permetta al lavoratore di acquisire quelle conoscenze professionali da spendere nel mercato del lavoro in un’occupazione stabile. Tuttavia a tal fine appare inevitabile provvedere parallelamente a quell’equilibrio delle tutele e delle posizioni tra lavoro cd. precario e lavoro tradizionale in modo da attenuare la spinta elusiva del mercato. 3. La regolamentazione esistente – sotto forma di leggi e/o di contratti collettivi – frena o stimola le imprese e i lavoratori nei loro sforzi per cogliere le opportunità di aumentare la produttività e di adeguarsi alle nuove tecnologie e ai cambiamenti collegati alla concorrenza internazionale? Come può essere migliorata la qualità della regolamentazione applicabile alle PMI, mantenendone gli obiettivi? La regolamentazione esistente nell’ordinamento italiano è altamente garantista per i lavoratori subordinati, sicché costituisce senz’altro un elemento di freno rispetto alle opportunità di incremento della produttività e di adeguamento alle nuove tecnologie ed ai cambiamenti collegati alla concorrenza internazionale. La qualità del sistema potrebbe essere migliorata attribuendo maggior spazio di operatività all’autonomia individuale, sia rispetto alla disciplina contrattuale collettiva, che rispetto ad alcune previsioni legali in ipotesi derogabili, ovviamente in un quadro di regole minime indissolubili a tutela dei diritti fondamentali delle persone. 4. Come facilitare il reclutamento mediante contratti a tempo indeterminato e determinato, sia per via legislativa sia attraverso accordi collettivi, in modo da aumentare la flessibilità di tali contratti garantendo al tempo stesso un livello sufficiente di sicurezza dell'occupazione e di protezione sociale? Il reclutamento dei lavoratori con contratti a tempo indeterminato potrebbe essere facilitato mediante la possibilità di apporre un patto di prova per una durata di almeno un anno. Sul presupposto di un rinnovato e più efficiente sistema di ammortizzatori sociali e di affiancamento alla formazione e ricollocamento, appare altresì opportuno intervenire sulla materia dei licenziamenti per innalzare le garanzie attualmente previste nelle aziende di minori dimensioni e corrispondentemente rivedere il meccanismo sanzionatorio in vigore nelle imprese con maggior numero di dipendenti. In particolare si potrebbe immaginare un sistema di risarcimento del danno in caso di licenziamento illegittimo graduato in base alla dimensione dell’impresa, all’anzianità del lavoratore, al vizio che affligge il recesso, conservando la sanzione della reintegrazione nel posto di lavoro per tutte le ipotesi di licenziamento discriminatorio. Il reclutamento dei lavoratori con contratti a tempo determinato potrebbe, invece, essere facilitato mediante la possibilità di stipulare il primo contratto senza necessità che sussistano (e siano indicate) le ragioni di temporaneità, come del resto già ammesso dalla Direttiva Comunitaria in materia. 5. Sarebbe utile prendere in considerazione una combinazione di una normativa di tutela dell'occupazione più flessibile e di una ben congegnata assistenza per i disoccupati, sotto forma di compensazioni per la perdita di reddito (politiche passive del mercato del lavoro) ma anche di politiche attive del mercato del lavoro? Ovviamente sarebbe molto utile. Come detto sopra, il riequilibrio delle tutele tra insider ed outsider deve essere effettuato migliorando sensibilmente le cd. politiche di workfare da parte del sistema pubblico. Necessitano servizi per l'impiego (o il reimpiego) efficienti e una rete di protezione sociale al termine della attività lavorativa. 6. Quale può essere il ruolo della legge e/o degli accordi collettivi negoziati dalle parti nella promozione dell'accesso alla formazione e le transizioni tra le varie forme di contratto, al fine di sostenere la mobilità verticale lungo tutto l'arco di una vita professionale pienamente attiva? Sia la legge che il contratto collettivo dovrebbero prevedere percorsi formativi per i lavoratori che vengono estromessi dal mercato del lavoro. La formazione potrebbe essere in parte rilevante demandata al sistema della bilateralità sulla quale graverebbe il compito di contribuire a costruire l’incontro tra domanda ed offerta di lavoro. È altresì importante la previsione secondo cui il venir meno da parte del lavoratore dagli obblighi formativi determini la sua ‘esclusione dal circuito di ricollocazione assistita. 7. Le definizioni giuridiche nazionali del lavoro dipendente e del lavoro autonomo devono essere chiarite in modo da facilitare le transizioni in buona fede tra lo status di lavoratore dipendente e quello di lavoratore autonomo e viceversa? Esiste l’esigenza di semplificare le definizioni di lavoro subordinato e di lavoro autonomo, e la relativa distinzione tra esse. In particolare, la nozione di progetto risulta eccessivamente lata e poco indicativa sul piano applicativo. Il concetto di subordinazione economica appare idoneo ad orientare una eventuale modifica del quadro legislativo in materia, anche se non direttamente in grado di demarcare giuridicamente la distinzione tra le due tipologie di rapporto. Bisogna, tuttavia essere consapevoli che devono essere sciolti alcuni nodi di fondo: e cioè bisogna decidere se conservare una legislazione per tipi legali, o, se, come da più parti si sostiene, si debba superare questa legislazione. In questo secondo caso che supera ovviamente la stessa prospettiva del binomio lavoro subordinato-lavoro autonomo non è ancora chiaro quali criteri devono essere adottati per diversificare le diverse tutele. Bisogna invece sforzarsi di trovare una serie di indici non necessariamente definiti e predeterminati dalla legge ma derivanti dalle clausole dei contratti individuali o individuabili dalla contrattazione collettiva dai quali possa desumersi la dipendenza economica del lavoratore che conserva pur sempre l’autonomia nell’esecuzione della prestazione lavorativa. A titolo meramente esemplificativo tra gli indici della dipendenza economica potrebbe richiamarsi il reddito e più precisamente se il collaboratore tragga il proprio reddito o la parte preponderante di esso da un rapporto contrattuale senza disporre di altre alternative ovvero, tra gli indici della debolezza contrattuale, l’esistenza di condizioni generali di contratto predisposte dal committente che escludono la possibilità di trattative, il carattere prevalentemente personale della prestazione di lavoro, l’esistenza di clausole del contratto individuale che limitino la facoltà di scelta da parte del collaboratore dell’altro contraente. Ciò che bisogna evitare è l’individuazione di una definizione legislativa di dipendenza economica di carattere generale alla stregua della nozione di subordinazione perché l’utilizzazione del nuovo criterio descrive un assetto di interessi irriducibile alla tipizzazione di ipotesi già definite e così consente, da un lato, di superare gli inconvenienti derivanti dal metodo di identificazione della subordinazione, peraltro imposto dalla corretta interpretazione dell’art. 2094 c.c. e, dall’altro lato, di distinguere più agevolmente il rapporto di lavoro autonomo continuativo economicamente dipendente dal lavoro subordinato. E’ consigliabile pertanto abbandonare la prospettiva del tertium genus dei rapporti di collaborazione continuativi e coordinati, che sostanzialmente si è tradotta in un’operazione di aggiramento della normativa sui licenziamenti individuali rispetto a rapporti che nel concreto svolgimento si atteggiano come subordinati, e prendere atto che al di fuori della subordinazione esiste un mondo del lavoro autonomo economicamente dipendente e contrattualmente debole meritevole di protezione. Si tratta in sostanza di aggiornare la disciplina del lavoro autonomo già prevista dal codice civile introducendo accanto alla disciplina del contratto d’opera quella del lavoro autonomo economicamente dipendente. 8. È necessario prevedere un "nucleo di diritti" relativo alle condizioni di lavoro di tutti i lavoratori, indipendentemente dalla forma del loro contratto di lavoro? Quale sarebbe, secondo voi, l'impatto di tali requisiti minimi sulla creazione di posti di lavoro e la tutela dei lavoratori? La previsione di un nucleo di diritti minimi per tutti i lavoratori – a prescindere dalla qualificazione del rapporto – è certamente opportuna. Ovviamente, tale previsione dovrebbe essere compensata dalla riduzione di alcuni privilegi per alcuni lavoratori subordinati che godono di particolari tutele. 9. Ritenete che le responsabilità delle varie parti nell'ambito di rapporti di lavoro multipli dovrebbero essere precisate per determinare a chi incombe la responsabilità del rispetto dei diritti del lavoro? Sarebbe realizzabile ed efficace ricorrere alla responsabilità sussidiaria per stabilire questa responsabilità nel caso dei subappaltatori? In caso di risposta negativa, vedete altri mezzi che consentano di garantire una sufficiente tutela dei lavoratori nei "rapporti di lavoro triangolari"? Nei rapporti di lavoro multipli (si intende, in senso generale: la somministrazione, l’appalto, il distacco, e simili) l’attuale legislazione italiana già prevede ampie garanzie per i lavoratori, come l’equiparazione del trattamento tra lavoratori ( nella somministrazione), la responsabilità solidale tra le imprese interessate (nell’appalto). 10. È necessario chiarire lo statuto dei lavoratori impiegati dalle agenzie fornitrici di lavoro temporaneo? E’ utile l’esperienza della legislazione italiana dove il contratto di somministrazione è regolato in maniera minuziosa ed il lavoratore somministrato gode di garanzie molto ampie, dovendo scontare una naturale precarietà nella durata del rapporto di lavoro. 11. Come si potrebbero modificare i requisiti minimi in materia di organizzazione dell'orario di lavoro al fine di offrire una maggiore flessibilità ai datori di lavoro e ai lavoratori, garantendo al tempo stesso un elevato livello di protezione della salute e della sicurezza dei lavoratori? Quali dovrebbero essere gli aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro da trattare in via prioritaria da parte della Comunità? In materia di orario di lavoro, appare opportuno rendere più flessibili gli istituti del part-time e del lavoro straordinario. Nel part-time, si potrebbe prevedere la possibilità per il datore di lavoro di modificare la distribuzione dell’orario di lavoro per comprovate esigenze tecniche, produttive od organizzative (anche a prescindere dal consenso del lavoratore interessato). Nel lavoro straordinario, si potrebbero eliminare i limiti massimi previsti dalla legge, in mancanza di contrattazione collettiva. D’altro canto potrebbe altresì prevedersi la possibilità che il lavoratore deroghi individualmente alle eventuali limitazioni poste dalla contrattazione collettiva, salvo il rispetto dei limiti massimi previsti a tutela della salute previsti dalla legge e/o dal contratto collettivo. 12. Come è possibile garantire nell'insieme della Comunità i diritti del lavoro di lavoratori che effettuano prestazioni in un contesto transnazionale, in particolare dei lavoratori frontalieri? Ritenete che sia necessario migliorare la coerenza delle definizioni di "lavoratore" contenute nelle direttive europee, in modo da garantire che questi lavoratori possano esercitare i loro diritti connessi alle loro attività lavorative, quale che sia lo Stato membro nel quale lavorano? O ritenete che gli Stati membri debbano mantenere un margine di manovra in questo settore? Appare utile che si proceda verso una definizione di “lavoratore frontaliero” a livello comunitario, riequilibrando le tutele già presenti in quegli stati membri dove è presente una legislazione speciale. 13. Ritenete che sia necessario rafforzare la cooperazione amministrativa tra le autorità competenti, in modo che esse possano controllare più efficacemente il rispetto del diritto del lavoro comunitario? Ritenete che le parti sociali abbiano un ruolo da svolgere in tale cooperazione? Ovviamente, il rafforzamento della cooperazione tra gli organi amministrativi deputati al controllo delle condizioni di lavoro costituisce un obiettivo virtuoso per il legislatore. In particolare l’obiettivo principale di tale cooperazione deve essere volto al recupero del lavoro sommerso. La battaglia contro il lavoro nero, infatti, può essere vinta solo se le forze in campo lavorano in sinergia. Non può essere demandata soltanto agli organi ispettivi, che vanno comunque potenziati, ma deve far parte di un vero e proprio processo culturale di educazione delle imprese che soprattutto in alcune zone dell’Europa necessita di interventi specifici e settoriali, soprattutto per quanto attiene al recupero della legalità. 14. Ritenete che altre iniziative siano necessarie a livello dell'UE al fine di sostenere l'azione degli Stati membri nella lotta contro il lavoro non dichiarato? Armonizzazione della normativa fiscale e contributiva con particolare attenzione agli aiuti di stato che devono essere concessi in deroga alla normativa comunitaria nei processi di accompagnamento dall’uscita dal lavoro sommerso.