L`INAIL è palesemente interessato a che i lavoratori siano prot

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Il Libro Verde della Commissione Europea sul diritto del lavoro al vaglio dei
consulenti del lavoro
Nell’ambito della sempre più stimolante collaborazione col Ministero del lavoro, ci
viene chiesto di conoscere il pensiero dei consulenti del lavoro circa le 14 domande
che nel Libro Verde vengono poste a proposito del dibattito lanciato su un nuovo
diritto del lavoro europeo.
La categoria è pronta, infatti, a raccogliere le sfide della modernizzazione,
consapevole dei profondi cambiamenti che sono in corso nel mondo del lavoro. Del
resto la più grande banca dati sul mercato del lavoro, quali sono i consulenti del
lavoro, si pone in una posizione privilegiata in qualità di gestore della genesi,
svolgimento e conclusione del rapporto di lavoro.
Proviamo ad inquadrare i notevoli spunti che il libro verde contiene con alcune
considerazioni di carattere generale che argomentino la posizione della categoria e
che fungano da premessa alla risposte che daremo alle suddette 14 domande.
- La competizione internazionale e la domanda di flessibilità delle aziende
L’impresa sta cambiando la sua fisionomia per attrezzarsi più adeguatamente alla
sfida del mercato che non è più nazionale ma internazionale e l’impresa assistita dallo
Stato fatica a sopravvivere nell’ordinamento dell’Unione europea in cui la
concorrenza è uno dei principi fondanti di questo ordinamento.
Questi due dati impongono alle imprese di ridurre i costi di produzione e, tra questi,
quelli del lavoro.
Pertanto le imprese richiedono in misura crescente forme di lavoro flessibile ( tempo
determinato, parziale e somministrazione di lavoro) rispetto al rapporto di lavoro
subordinato a tempo pieno e indeterminato prefigurato dal codice civile e ancor più
dallo Statuto dei lavoratori come principale forma di occupazione.
Non si può negare infatti che il lavoro subordinato nell’impresa regolato dall’art.
2094 c.c. rappresenti il prototipo socialmente rilevante rispetto agli altri rapporti di
lavoro subordinato e autonomo pure regolati dal codice civile. E la definizione di
questa fattispecie, invero molto elastica, ha favorito indubbiamente una estensione
della medesima che ha ridotto lo spazio di altre forme di lavoro.
D’altra parte lo Statuto dei lavoratori non ha modificato la suddetta fattispecie ma ha
predisposto per essa un trattamento normativo di rilevanti tutele e tra queste, in
particolare, la disciplina della reintegrazione.
Il trattamento normativo previsto dallo Statuto dei lavoratori per il lavoro subordinato
a tempo pieno e indeterminato ha contribuito a dilatare ulteriormente la fattispecie
perché, assicurando la stabilità reale del posto di lavoro, ha privilegiato l’interesse del
lavoratore alla continuità del rapporto di lavoro rispetto al contrapposto interesse del
datore di lavoro alla temporaneità dei vincoli contrattuali garantito dal codice civile
con la previsione del recesso ad nutum.
- L’evoluzione della normativa in deroga al rapporto di lavoro subordinato
La normativa che ha regolato il rapporto di lavoro subordinato a tempo pieno e
indeterminato come principale se non unica forma di occupazione ha retto fino alla metà degli
anni 80.
Da allora il legislatore ha iniziato a introdurre in misura crescente forti dosi di
flessibilità nella disciplina del rapporto di lavoro prevedendo e regolando il lavoro a
tempo parziale, di formazione e lavoro, ha progressivamente esteso i casi di ricorso al
contratto a tempo determinato, ha regolato il lavoro interinale che introduceva una
vistosa deroga alla disciplina dell’appalto di mano d’opera.
Insomma tutti questi rapporti possono essere annoverati nella categoria dei rapporti
temporanei.
E tuttavia bisogna sottolineare che lo stesso legislatore si è preoccupato di affidare
alla contrattazione collettiva la gestione e il controllo dei suddetti rapporti flessibili.
Sul fronte del lavoro non subordinato, ha progressivamente esteso le tutele (
processuale, previdenziale, fiscale, antinfortunistica) nei confronti dei collaboratori
continuativi e coordinati, aumentati nel frattempo a dismisura perché la contribuzione
previdenziale è di gran lunga più conveniente di quella prevista per il lavoro
subordinato e perché non sono soggetti alla disciplina dei licenziamenti individuali.
A questo proposito bisogna sottolineare che questa categoria di rapporti si presta a
facili elusioni perché la coordinazione mentre concettualmente si distingue dalla
subordinazione come requisito di identificazione della fattispecie, invece, non si
distingue agevolmente nel concreto svolgimento del rapporto di lavoro dalla
subordinazione.
Il nuovo legislatore, sia nel 2001 con la nuova disciplina del contratto a tempo
determinato, sia soprattutto nel 2003, ha proseguito nella disciplina della
flessibilizzazione del rapporto di lavoro subordinato nell’impresa a tempo pieno e
indeterminato frammentando eccessivamente la fattispecie con la previsione del
lavoro a chiamata, del lavoro ripartito, della somministrazione anche a tempo
indeterminato, e facendo saltare così uno dei capisaldi del nostro diritto del lavoro e
cioè la imputabilità del rapporto di lavoro al datore che effettivamente utilizza il
rapporto di lavoro.
E ha ridotto sensibilmente la gestione e la funzione di controllo della contrattazione
collettiva.
In tema di decentramento produttivo bisogna aggiungere che ha reso fungibile ed
economicamente più conveniente il ricorso al contratto di appalto quando questo
abbia ad oggetto l’esecuzione di servizi rispetto al contratto di somministrazione e ha
affidato all’autonomia delle parti cedente e cessionario la determinazione del ramo di
azienda oggetto del trasferimento pur conservando il requisito dell’autonomia
funzionale del medesimo ramo.
Sul fronte del lavoro non subordinato ha identificato la nuova fattispecie del lavoro a
progetto che dovrebbe sostituire le collaborazioni continuative e coordinate con
l’intento di evitare gli abusi generati nel corso del tempo da questa fattispecie.
- Il progetto di modernizzazione del diritto del lavoro in Italia: dal Libro bianco alla
legge Biagi
Ma quello che secondo noi vale di più sottolineare del D.lgs. 276/03, al di la dello
sterile e provinciale dibattito tutto ideologico se la legge abbia funzionato o meno, è
la dirompente forza innovativa che sottintende e che anticipa le stesse riflessioni sulla
modernizzazione del diritto del lavoro contenute nel libro verde.
Il diritto del lavoro, infatti, non più visto solo come protezione della parte debole, ma
come fonte di produzione del lavoro stesso. Con la riforma Biagi si intende
combattere l’elusione delle protezioni, riconquistare all’area del lavoro regolare e
debitamente tutelato vaste plaghe del nostro tessuto produttivo dove regna la
simulazione o la pura e semplice evasione. Tutto ciò attraverso l’utilizzo di forme
contrattuali che si sforzano di essere flessibili per venire in contro alla stessa natura
particolare del rapporto di lavoro che sottendono e quindi realizzando quello che è
l’obiettivo del libro verde: flessibilità in cambio di inclusione sociale.
La scommessa è quella di dare un valore positivo al significato stesso di flessibilità,
oggi soprattutto classificato con disvalore preconcetto. E se fosse proprio al
contrario? Se grazie alla flessibilità, invece, si riuscisse ad aumentare l’occupazione
stabile e duratura?
L’esperienza attuale purtroppo si identifica con l’utilizzo del lavoro precario che è
aumentato esponenzialmente, anche perché è unica difesa che l’impresa europea ha
praticato per tentare di rispondere alla sempre più feroce competizione dei mercati,
soprattutto extracomunitari.
Ma il lavoro precario comporta una serie di problemi in ordine al riconoscimento di
alcuni diritti fondamentali dei lavoratori, quali tra gli altri, la tutela previdenziale.
La struttura del sistema previdenziale è calibrata su esigenze e caratteri del mercato
del lavoro che hanno progressivamente perduto gran parte del loro riscontro con
l’attualità. E ciò non solo perché quella disciplina è modellata, nei suoi tratti
principali, sul modello tradizionale di lavoro: quello di natura subordinata, a tempo
pieno, continuativo e di lunga durata. Ma anche perché detta disciplina si raccorda
(salve alcune eccezioni) a tale modello sulla base di un criterio, per così dire,
meritocratico: particolarmente calibrato, cioè, sull’entità dell’apporto tanto lavorativo e
contributivo dell’interessato.
Basta ricordare, infatti, che i principi che reggono quella disciplina subordinano il
diritto a pensione ad una certa durata minima del rapporto assicurativo (requisito di
attualità contributiva), solo occasionalmente calibrata su determinate specificità
dell’attività lavorativa: e, quindi, al quantum di attività lavorativa prestata
dall’interessato. D’altra parte, quei medesimi principi pongono l’entità del
trattamento pensionistico in relazione al trattamento retributivo goduto
dall’interessato durante la vita attiva: e, quindi, in relazione al correlato rapporto
contributivo.
Conseguenza evidente di tale risalente e perdurante impostazione è il fatto che
attività di lavoro intermittenti o di breve durata, specie se soggette a trattamenti
retributivi modesti, hanno (di regola), ai sensi di quella disciplina, ridotte possibilità
di tutela pensionistica, o, addirittura, non ne hanno alcuna.
E ciò – si badi bene – vale tanto nel caso in cui l’importo della pensione debba
essere determinato sulla base del criterio retributivo di calcolo, quanto nel caso in cui
la medesima operazione debba avvenire sulla base del criterio contributivo: il livello
del trattamento pensionistico in entrambi i casi resta condizionato dalla durata
dell’attività lavorativa prestata, da un lato, e dal livello delle retribuzioni assoggettate
a contribuzione, dall’altro lato.
E’ da sottolineare, inoltre, che la discontinuità dell’attività lavorativa pone
“istituzionalmente” a rischio la stessa tutela pensionistica, in quei casi in cui la norma
richieda, in aggiunta agli altri requisiti di anzianità assicurativa e contributiva, anche
quello dell’attualità contributiva (cioè, di una determinata prossimità temporale tra
ultimo periodo assicurato ed evento protetto), come avviene, in particolare,
nell’assicurazione contro l’invalidità.
Infine, non può essere dimenticato che carriere lavorative frammentate o, peggio,
precarie implicano un frazionamento, di per sé incompatibile con lo sviluppo di
quella particolare forma di tutela, chiamata dal recente legislatore a costituire il
“secondo pilastro” del sistema, che è la previdenza complementare.
Ma la vera sfida del libro verde, già anticipata nel “nostro” Libro
Bianco, quasi una quadratura del cerchio, è proprio quella di voler
conciliare una maggiore flessibilità con la necessità di massimizzare la
sicurezza per tutti.
- Un nuovo Statuto dei lavori?
In questo quadro normativo dovrebbe riprendersi il dibattito sullo Statuto dei lavori e
cioè dei rapporti di lavoro che si giustappongono al lavoro subordinato, o perché sono
flessibili ma restano all’interno del tipo legale, o perché sono al di fuori del tipo
legale .
Il progetto tende ad introdurre tutta una serie di tutele individuali e collettive
minimali a favore di quanti non sono coperti dallo Statuto dei Lavoratori: precari
destinati ad una storia lavorativa fatta di tanti pezzi, con un’unica costante, un loro
coinvolgimento personale, comunque vengano in seguito definiti e qualificati i
relativi rapporti di lavoro.
Partendo dalle diverse condizioni di lavoro e dalla specificità di ogni tipologia
contrattuale in essere, lo statuto dei lavori, dovrebbe riconoscere diritti specifici,
servendosi di un welfare delle opportunità.
Welfare aperto alle nuove generazioni, capace di rispondere con strumenti specifici ai
loro fabbisogni, che si adatti alle loro condizioni di lavoro e che, inoltre, garantisca la
continuità contributiva, con l’introduzione di contributi figurativi nei periodi di non
lavoro, e la continuità di reddito, con l’introduzione di nuovi ammortizzatori sociali,
intesi non come indennità di disoccupazione, ma come indennità in attesa di
ricollocazione nel mondo del lavoro.
Troviamo traccia di tale progetto da un lato nel ddl n.2049, recante Norme di tutela
dei lavoratori atipici, di iniziativa dei senatori C.Smuraglia ed altri, approvato dal
Senato il 4 febbraio 1999, che mirava ad estendere ai rapporti di lavoro c.d.
"parasubordinato" alcune delle tutele proprie del lavoro subordinato; dall'altro lato il
progetto di Statuto dei lavori, predisposto da M.Biagi, su indicazione dell'allora
Ministro del Lavoro T.Treu -bozza preliminare del 25 marzo 1998- , affrontando la
questione "dalla parte delle tutele" piuttosto che dal punto di vista della qualificazione
del rapporto, puntava ad una riforma complessiva del diritto del lavoro, attraverso
una modulazione delle stesse a seconda del tipo di istituto da applicare.
L'idea di uno Statuto dei lavori, nell'ambito di una complessiva rivisitazione
del nostro ordinamento del lavoro, è ripresa nel Libro Bianco sul mercato del lavoro
in Italia (ottobre 2001) - in particolare punto I.3.5- che riassumeva l'impostazione e le
tematiche sulle quali l'attuale compagine governativa intendeva intervenire nel corso
della legislatura.
In merito si distingue tra un nucleo essenziale di norme e di diritti inderogabili,
soprattutto di specificazione di principi internazionali e di diritti costituzionali,
applicabili a tutte le forme di lavoro rese a favore di terzi, e diritti, più limitati, di cui
rimarrebbero titolari i soli lavoratori subordinati. In tale prospettiva funzione centrale
è svolta dalla previsione di un meccanismo di certificazione della qualificazione dei
rapporti di lavoro, al fine di ridurre in via preventiva i motivi di possibile
contenzioso. Oltre alla soglia minima di tutela ampio spazio dovrebbe essere peraltro
attribuito all'autonomia collettiva ed individuale, nell'ottica del passaggio da un
quadro legale basato su tutele ritenute eccessivamente rigide ad una disciplina del
rapporto di lavoro a carattere parzialmente disponibile. A ciò dovrebbe del resto
accompagnarsi un corrispondente riassetto delle prestazioni previdenziali, che
contribuirebbe a sdrammatizzare il problema qualificatorio delle singole fattispecie.
- Le tutele del mercato del lavoro
Nel mercato del lavoro flessibile, dove si dovrà più spesso cambiare lavoro,
sarà più facile mantenere e ritrovare lavoro se si hanno maggiori possibilità di
riqualificazione e maggiori competenze professionali.
L'attenzione va dunque posta non solo sul rapporto di lavoro ma anche sul mercato
del lavoro: le persone occupate nelle nuove tipologie contrattuali hanno sì bisogno di
tutele inerenti lo svolgimento del rapporto di lavoro, ma necessitano altresì di servizi
per l'impiego (o il reimpiego) efficienti e di una rete di protezione sociale al termine
della prestazione.
Per rendere più trasparente e gestibile il mercato del lavoro, riprendendo una
proposta già contenuta nel Libro Bianco del 2001, è d'altro lato necessario tendere ad
una unica aliquota del prelievo contributivo per tutte le tipologie di impiego, in modo
da disincentivare il ricorso a forme di occupazione legate solo alla convenienza
economica.
Una legislazione di sostegno potrebbe del resto prevedere misure specifiche per
rendere più efficace la tutela collettiva, per adeguare la previdenza complementare,
per favorire forme integrative di ammortizzatori sociali, per costituire un Fondo per
la formazione.
Lo Statuto dei lavori è da considerare dunque come la costruzione di un nuovo
sistema di tutele che accompagni gli interventi sulla flessibilità.
La flessibilità come detto non significa assenza di regole, ma al contrario
presuppone un quadro normativo certo in cui si possano operare le scelte ritenute più
opportune.
Il D.lgs. n. 276/03 è da considerare solo un punto di partenza, perché ha previsto
solo un aumento della flessibilità in entrata, attraverso la frantumazione tipologica del
tipo legale, ma ha fallito completamente nella costruzione di una rete di protezione in
vista dell’aumento del lavoro non stabile.
Se si crea un mercato del lavoro efficiente dove la perdita del “lavoro” non è più
un trauma, perché si entra in un circuito virtuoso di sostegno al reddito, formazione ,
riqualificazione e accompagnamento alla ricollocazione, non avrebbe più senso
mantenere l’attuale disparità del nostro sistema fondato dallo Statuto dei lavoratori
che vuole ipergarantito chi il posto di lavoro ce l’ha, rispetto a chi è disoccupato.
Domande
1. Quali sarebbero secondo voi le priorità di un programma coerente di riforma
del diritto del lavoro?
Le priorità di un programma di riforma del diritto del lavoro devono tenere
conto della forte competizione internazionale a cui sono sottoposte le imprese.
L’attuale rapporto di lavoro fondato sull’art. 2094 del c.c. non regge alle
richieste di flessibilità che tale competizione determina. Il diritto del lavoro
moderno deve preoccuparsi non solo di difendere la parte debole del rapporto,
ma di provvedere ad un maggiore inclusione sociale. Per far questo occorre
riequilibrare le tutele oggi presenti esclusivamente “nel rapporto di lavoro”
verso il “mercato del lavoro”. Ciò al fine di creare quella rete di tutela sociale
che permetta di proteggere soprattutto i periodi di inattività lavorativa.
Indennità di disoccupazione, volta alla ricollocazione del lavoratore, mediante
un circuito di formazione e riqualificazione professionale.
2. L'adattamento del diritto del lavoro e degli accordi collettivi può contribuire
a migliorare la flessibilità e la sicurezza dell'occupazione e a ridurre la
segmentazione del mercato del lavoro? Se sì, come?
La flessibilità regolata conduce certamente all’emersione del lavoro nero e
quindi anche alla sicurezza sociale per i lavoratori occupati. D’altra parte i
rapporti flessibili costituiscono, nella maggior parte dei casi, un ponte verso
un’occupazione stabile. Il diritto del lavoro in questa logica, ha il compito di
creare le condizioni per incentivare l’ingresso nel mondo del lavoro, attraverso
l’utilizzo di dosi virtuose di flessibilità che stimolino le imprese all’instaurazione
di rapporti regolari. Ciò al fine di creare un circuito continuo che permetta al
lavoratore di acquisire quelle conoscenze professionali da spendere nel mercato
del lavoro in un’occupazione stabile. Tuttavia a tal fine appare inevitabile
provvedere parallelamente a quell’equilibrio delle tutele e delle posizioni tra
lavoro cd. precario e lavoro tradizionale in modo da attenuare la spinta elusiva
del mercato.
3. La regolamentazione esistente – sotto forma di leggi e/o di contratti collettivi
– frena o stimola le imprese e i lavoratori nei loro sforzi per cogliere le
opportunità di aumentare la produttività e di adeguarsi alle nuove tecnologie e
ai cambiamenti collegati alla concorrenza internazionale? Come può essere
migliorata la qualità della regolamentazione applicabile alle PMI,
mantenendone gli obiettivi?
La regolamentazione esistente nell’ordinamento italiano è altamente garantista
per i lavoratori subordinati, sicché costituisce senz’altro un elemento di freno
rispetto alle opportunità di incremento della produttività e di adeguamento alle
nuove tecnologie ed ai cambiamenti collegati alla concorrenza internazionale.
La qualità del sistema potrebbe essere migliorata attribuendo maggior spazio di
operatività all’autonomia individuale, sia rispetto alla disciplina contrattuale
collettiva, che rispetto ad alcune previsioni legali in ipotesi derogabili,
ovviamente in un quadro di regole minime indissolubili a tutela dei diritti
fondamentali delle persone.
4. Come facilitare il reclutamento mediante contratti a tempo indeterminato e
determinato, sia per via legislativa sia attraverso accordi collettivi, in modo da
aumentare la flessibilità di tali contratti garantendo al tempo stesso un livello
sufficiente di sicurezza dell'occupazione e di protezione sociale?
Il reclutamento dei lavoratori con contratti a tempo indeterminato potrebbe
essere facilitato mediante la possibilità di apporre un patto di prova per una
durata di almeno un anno. Sul presupposto di un rinnovato e più efficiente
sistema di ammortizzatori sociali e di affiancamento alla formazione e
ricollocamento, appare altresì opportuno intervenire sulla materia dei
licenziamenti per innalzare le garanzie attualmente previste nelle aziende di
minori dimensioni e corrispondentemente rivedere il meccanismo sanzionatorio
in vigore nelle imprese con maggior numero di dipendenti. In particolare si
potrebbe immaginare un sistema di risarcimento del danno in caso di
licenziamento illegittimo graduato in base alla dimensione dell’impresa,
all’anzianità del lavoratore, al vizio che affligge il recesso, conservando la
sanzione della reintegrazione nel posto di lavoro per tutte le ipotesi di
licenziamento discriminatorio.
Il reclutamento dei lavoratori con contratti a tempo determinato potrebbe,
invece, essere facilitato mediante la possibilità di stipulare il primo contratto
senza necessità che sussistano (e siano indicate) le ragioni di temporaneità, come
del resto già ammesso dalla Direttiva Comunitaria in materia.
5. Sarebbe utile prendere in considerazione una combinazione di una normativa
di tutela dell'occupazione più flessibile e di una ben congegnata assistenza per i
disoccupati, sotto forma di compensazioni per la perdita di reddito (politiche
passive del mercato del lavoro) ma anche di politiche attive del mercato del
lavoro?
Ovviamente sarebbe molto utile. Come detto sopra, il riequilibrio delle tutele
tra insider ed outsider deve essere effettuato migliorando sensibilmente le cd.
politiche di workfare da parte del sistema pubblico. Necessitano servizi per
l'impiego (o il reimpiego) efficienti e una rete di protezione sociale al termine della
attività lavorativa.
6. Quale può essere il ruolo della legge e/o degli accordi collettivi negoziati dalle
parti nella promozione dell'accesso alla formazione e le transizioni tra le varie
forme di contratto, al fine di sostenere la mobilità verticale lungo tutto l'arco di
una vita professionale pienamente attiva?
Sia la legge che il contratto collettivo dovrebbero prevedere percorsi formativi
per i lavoratori che vengono estromessi dal mercato del lavoro. La formazione
potrebbe essere in parte rilevante demandata al sistema della bilateralità sulla
quale graverebbe il compito di contribuire a costruire l’incontro tra domanda
ed offerta di lavoro. È altresì importante la previsione secondo cui il venir meno
da parte del lavoratore dagli obblighi formativi determini la sua ‘esclusione dal
circuito di ricollocazione assistita.
7. Le definizioni giuridiche nazionali del lavoro dipendente e del lavoro
autonomo devono essere chiarite in modo da facilitare le transizioni in buona
fede tra lo status di lavoratore dipendente e quello di lavoratore autonomo e
viceversa?
Esiste l’esigenza di semplificare le definizioni di lavoro subordinato e di lavoro
autonomo, e la relativa distinzione tra esse. In particolare, la nozione di
progetto risulta eccessivamente lata e poco indicativa sul piano applicativo. Il
concetto di subordinazione economica appare idoneo ad orientare una eventuale
modifica del quadro legislativo in materia, anche se non direttamente in grado
di demarcare giuridicamente la distinzione tra le due tipologie di rapporto.
Bisogna, tuttavia essere consapevoli che devono essere sciolti alcuni nodi di
fondo: e cioè bisogna decidere se conservare una legislazione per tipi legali, o,
se, come da più parti si sostiene, si debba superare questa legislazione. In questo
secondo caso che supera ovviamente la stessa prospettiva del binomio lavoro
subordinato-lavoro autonomo non è ancora chiaro quali criteri devono essere
adottati per diversificare le diverse tutele. Bisogna invece sforzarsi di trovare
una serie di indici non necessariamente definiti e predeterminati dalla legge ma
derivanti dalle clausole dei contratti individuali o individuabili dalla
contrattazione collettiva dai quali possa desumersi la dipendenza economica del
lavoratore che conserva pur sempre l’autonomia nell’esecuzione della
prestazione lavorativa. A titolo meramente esemplificativo tra gli indici della
dipendenza economica potrebbe richiamarsi il reddito e più precisamente se il
collaboratore tragga il proprio reddito o la parte preponderante di esso da un
rapporto contrattuale senza disporre di altre alternative ovvero, tra gli indici
della debolezza contrattuale, l’esistenza di condizioni generali di contratto
predisposte dal committente che escludono la possibilità di trattative, il
carattere prevalentemente personale della prestazione di lavoro, l’esistenza di
clausole del contratto individuale che limitino la facoltà di scelta da parte del
collaboratore dell’altro contraente.
Ciò che bisogna evitare è l’individuazione di una definizione legislativa di
dipendenza economica di carattere generale alla stregua della nozione di
subordinazione perché l’utilizzazione del nuovo criterio descrive un assetto di
interessi irriducibile alla tipizzazione di ipotesi già definite e così consente, da
un lato, di superare gli inconvenienti derivanti dal metodo di identificazione
della subordinazione, peraltro imposto dalla corretta interpretazione dell’art.
2094 c.c. e, dall’altro lato, di distinguere più agevolmente il rapporto di lavoro
autonomo continuativo economicamente dipendente dal lavoro subordinato.
E’ consigliabile pertanto abbandonare la prospettiva del tertium genus dei
rapporti di collaborazione continuativi e coordinati, che sostanzialmente si è
tradotta in un’operazione di aggiramento della normativa sui licenziamenti
individuali rispetto a rapporti che nel concreto svolgimento si atteggiano come
subordinati, e prendere atto che al di fuori della subordinazione esiste un
mondo del lavoro autonomo economicamente dipendente e contrattualmente
debole meritevole di protezione.
Si tratta in sostanza di aggiornare la disciplina del lavoro autonomo già prevista
dal codice civile introducendo accanto alla disciplina del contratto d’opera
quella del lavoro autonomo economicamente dipendente.
8. È necessario prevedere un "nucleo di diritti" relativo alle condizioni di lavoro
di tutti i lavoratori, indipendentemente dalla forma del loro contratto di lavoro?
Quale sarebbe, secondo voi, l'impatto di tali requisiti minimi sulla creazione di
posti di lavoro e la tutela dei lavoratori?
La previsione di un nucleo di diritti minimi per tutti i lavoratori – a prescindere
dalla qualificazione del rapporto – è certamente opportuna. Ovviamente, tale
previsione dovrebbe essere compensata dalla riduzione di alcuni privilegi per
alcuni lavoratori subordinati che godono di particolari tutele.
9. Ritenete che le responsabilità delle varie parti nell'ambito di rapporti di
lavoro multipli dovrebbero essere precisate per determinare a chi incombe la
responsabilità del rispetto dei diritti del lavoro? Sarebbe realizzabile ed efficace
ricorrere alla responsabilità sussidiaria per stabilire questa responsabilità nel
caso dei subappaltatori? In caso di risposta negativa, vedete altri mezzi che
consentano di garantire una sufficiente tutela dei lavoratori nei "rapporti di
lavoro triangolari"?
Nei rapporti di lavoro multipli (si intende, in senso generale: la
somministrazione, l’appalto, il distacco, e simili) l’attuale legislazione italiana
già prevede ampie garanzie per i lavoratori, come l’equiparazione del
trattamento tra lavoratori ( nella somministrazione), la responsabilità solidale
tra le imprese interessate (nell’appalto).
10. È necessario chiarire lo statuto dei lavoratori impiegati dalle agenzie
fornitrici di lavoro temporaneo?
E’ utile l’esperienza della legislazione italiana dove il contratto di
somministrazione è regolato in maniera minuziosa ed il lavoratore
somministrato gode di garanzie molto ampie, dovendo scontare una naturale
precarietà nella durata del rapporto di lavoro.
11. Come si potrebbero modificare i requisiti minimi in materia di
organizzazione dell'orario di lavoro al fine di offrire una maggiore flessibilità ai
datori di lavoro e ai lavoratori, garantendo al tempo stesso un elevato livello di
protezione della salute e della sicurezza dei lavoratori? Quali dovrebbero essere
gli aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro da trattare in via prioritaria
da parte della Comunità?
In materia di orario di lavoro, appare opportuno rendere più flessibili gli istituti
del part-time e del lavoro straordinario. Nel part-time, si potrebbe prevedere la
possibilità per il datore di lavoro di modificare la distribuzione dell’orario di
lavoro per comprovate esigenze tecniche, produttive od organizzative (anche a
prescindere dal consenso del lavoratore interessato).
Nel lavoro straordinario, si potrebbero eliminare i limiti massimi previsti dalla
legge, in mancanza di contrattazione collettiva. D’altro canto potrebbe altresì
prevedersi la possibilità che il lavoratore deroghi individualmente alle eventuali
limitazioni poste dalla contrattazione collettiva, salvo il rispetto dei limiti
massimi previsti a tutela della salute previsti dalla legge e/o dal contratto
collettivo.
12. Come è possibile garantire nell'insieme della Comunità i diritti del lavoro di
lavoratori che effettuano prestazioni in un contesto transnazionale, in
particolare dei lavoratori frontalieri?
Ritenete che sia necessario migliorare la coerenza delle definizioni di
"lavoratore" contenute nelle direttive europee, in modo da garantire che questi
lavoratori possano esercitare i loro diritti connessi alle loro attività lavorative,
quale che sia lo Stato membro nel quale lavorano?
O ritenete che gli Stati membri debbano mantenere un margine di manovra in
questo settore?
Appare utile che si proceda verso una definizione di “lavoratore frontaliero” a
livello comunitario, riequilibrando le tutele già presenti in quegli stati membri
dove è presente una legislazione speciale.
13. Ritenete che sia necessario rafforzare la cooperazione amministrativa tra le
autorità competenti, in modo che esse possano controllare più efficacemente il
rispetto del diritto del lavoro comunitario? Ritenete che le parti sociali abbiano
un ruolo da svolgere in tale cooperazione?
Ovviamente, il rafforzamento della cooperazione tra gli organi amministrativi
deputati al controllo delle condizioni di lavoro costituisce un obiettivo virtuoso
per il legislatore. In particolare l’obiettivo principale di tale cooperazione deve
essere volto al recupero del lavoro sommerso. La battaglia contro il lavoro nero,
infatti, può essere vinta solo se le forze in campo lavorano in sinergia. Non può
essere demandata soltanto agli organi ispettivi, che vanno comunque potenziati,
ma deve far parte di un vero e proprio processo culturale di educazione delle
imprese che soprattutto in alcune zone dell’Europa necessita di interventi
specifici e settoriali, soprattutto per quanto attiene al recupero della legalità.
14. Ritenete che altre iniziative siano necessarie a livello dell'UE al fine di
sostenere l'azione degli Stati membri nella lotta contro il lavoro non dichiarato?
Armonizzazione della normativa fiscale e contributiva con particolare
attenzione agli aiuti di stato che devono essere concessi in deroga alla normativa
comunitaria nei processi di accompagnamento dall’uscita dal lavoro sommerso.
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