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INTRODUZIONE ALLA SOCIOLOGIA
1.- La cultura
Molte creature viventi, oltre agli esseri umani, si organizzano in gruppi sociali. Accanto alla
società umana esistono quindi società animali ed in natura si danno diversi fenomeni di tipo sociale
da parte di specie diverse da quella dell’uomo.
C’è differenza tra società umana ed animale?
A tale domanda la sociologia risponde attraverso il concetto di cultura.
Negli animali il comportamento, anche quello più complesso (si pensi al fenomeno della
migrazione o alla costruzione della ragnatela da parte del ragno) si presenta generalmente
caratterizzato da due elementi fondamentali:
a.- l’univocità
b.- l’istinto.
Dire che il comportamento animale è univoco significa mettere l’accento sul fatto che le
forme di adattamento degli individui che appartengono alla stessa specie sono molto simili : i
merli, ad esempio, costruiscono nidi uguali nello stesso periodo dell’anno così come regole
identiche e comportamenti simili sembrano guidare la migrazione delle diverse specie di uccelli o il
ritorno al mare dei salmoni .
Dire che il comportamento animale è generalmente istintivo significa invece affermare che
la maggior parte delle creature viventi non imparano a comportarsi dagli altri membri della
specie; ad esse, in altri termini, non è stato insegnato nulla, non hanno copiato fratelli o sorelle
più vecchi né imitato i membri adulti della loro società.
Il loro adattamento è innato vale a dire guidato ed assicurato da quella complessa eredità biologica
che chiamiamo appunto istinto o anche memoria della specie.
Sono gli istinti a dirigere la migrazione degli uccelli , sono gli istinti a guidare i salmoni nel loro
ritorno al mare per deporre le uova e morire nelle fresche acque dei fiumi e sono ancora gli istinti
ad organizzare società complesse come quella delle api o delle formiche.1
Molto diverso appare invece il comportamento dell’uomo. Se infatti le azioni umane fossero
univoche e guidate dall’istinto, dovremmo attenderci una identità nelle diverse condotte e
comportamenti.
Invece, nulla è più vario e diverso del comportamento sociale umano così come nulla è più vario e
diverso del modo con cui gli uomini regolano e organizzano le loro società.
Ciò significa che le azioni umane sono nella maggior parte dei casi, ed in particolare
nel contesto sociale, azioni che l’uomo riceve, apprende, imita attraverso le diverse forme di
trasmissione messe in atto dal gruppo cui egli appartiene.
In sociologia, tale comportamento appreso e condiviso dai membri di una società è
detto comportamento culturale o, più semplicemente, cultura.
La cultura perciò non indica, come comunemente si ritiene, la sola attività intellettuale o
specifiche espressioni spirituali come l’arte o la musica o, ancora, l’attività scientifica. In senso
sociologico essa indica qualcosa di molto più ampio e, in definitiva, viene a coincidere con tutto
quanto l’uomo viene ad apprendere nella società in cui vive.
“Si chiama cultura in senso oggettivo tutto il registro delle espressioni del vivere e dell’agire umano,
subordinate alla norma dell’uomo, che sono organizzate in un tutto e sono condivise e trasmesse da una
comunità: dall'utensile di pietra al computer, dal codice di comportamento al gioco e alla riflessione sapienziale,
dal modo di costruire la casa a quello di pensare, di vivere e di organizzare la famiglia e la comunità,
comprendendo tutto l’insieme delle idee, dei valori, delle norme, delle tradizioni che vengono assimilati nella
società e sono espressi in forma di strumenti, di libri, di opere d’arte, di leggi, di musica, di cinema, di mentalità,
di costume, di idee correnti.” (P.ROSSANO)
2.- Valori e norme
Se la cultura, come si è visto, indica una gamma amplissima di azioni ed espressioni, tanto
che potremmo concludere che senza cultura la società umana non potrebbe esistere, i valori e le
norme ne rappresentano certamente gli elementi costitutivi più importanti e fondamentali.
Come in altri termini non c’è società senza cultura, così, allo stesso tempo, non c’è cultura senza
valori e senza norme .
Un valore è, in termini sociologici, il credere che qualche cosa è buono e valido; definisce
che cosa merita avere e per che cosa vale la pena di lottare. Il valore quindi indica una condizione
pressoché ideale, una meta a cui si tende, la cui funzione consiste nell’orientare l’azione e nel
valutarne l’adeguatezza come mezzo ad un fine.
In una società, ad esempio, in cui la generosità fosse considerata valore, una persona che
accumulasse ricchezza fruendone unicamente per sé, verrebbe guardata con disprezzo essendo la
sua azione (l’accumulare ricchezza) non adeguata e rispondente al fine (il valore/generosità) che
quella società si è data. Viceversa, distribuire la propria ricchezza, donare senza attendersi una
contropartita, dimostrarsi altruisti, sarebbero tutte azioni tenute in grande stima e considerazione e
questo perché, appunto, conformi al valore socialmente condiviso.
Mentre il valore è una indicazione molto ampia e generale, suscettibile quindi di azioni molto
diverse, la norma appare come qualcosa di più specifico e circostanziato.
In genere la maggior parte delle norme sociali sono caratterizzate dall’uso esplicito o
implicito di verbi quali “si deve”, “bisogna”, “è giusto che” e dal modo imperativo. Il loro compito
consiste quindi nell’indicare la condotta o il comportamento più appropriati cui attenersi in
una determinata situazione o, in molti casi, l’azione da evitare, anche se ciò comporta sacrifici
o costi di varia natura.
Valori e norme istituiscono un rapporto di complementarietà. Potremmo anzi dire che ogni
norma implica, in qualche modo, un valore all’interno del quale essa viene a definire il
comportamento più appropriato e adeguato.
Se, in altri termini, i valori sono le mete che una società e i suoi membri si prescrivono,
le norme costituiscono i mezzi considerati più adeguati per il conseguimento o la esibizione di tali
mete, ovvero di tali valori.
Se, ad esempio, si considera valore la privatezza (privacy) - ovvero il ritenere che la vita
privata è qualche cosa di personale in cui gli altri non devono intromettersi - le norme conseguenti
saranno quelle che proibiscono di aprire la corrispondenza altrui in sua assenza, di entrare in casa di
estranei senza esserne autorizzati, di diffondere notizie riservate sulla vita personale e così via.
Allo stesso modo se il valore è la ricchezza, le norme hanno il compito di indicare i
comportamenti/mezzi adeguati per conseguirla ed esibirla in modo lecito proibendo, nel contempo,
un conseguimento illecito di questo bene (si può diventare ricchi tanto grazie alle proprie capacità
di investimento quanto rapinando una banca ...).
Le norme guidano, in questo modo, il comportamento in tutti gli aspetti della vita sociale.
Ci sono norme del vestire, che definiscono il tipo di abbigliamento appropriato per i membri di
ciascun sesso, gruppo di età e situazione ambientale. Altre norme governano il comportamento con
la famiglia, gli amici, i vicini di casa e gli sconosciuti. Ce ne sono altre che definiscono il
comportamento accettabile in casa, sul posto di lavoro, a scuola, a un matrimonio, a un funerale, al
cinema, al supermercato così come entro un ospedale o nella sala di aspetto di un medico.
In quanto parte della cultura, le norme sono apprese e condivise, e variano da una società
all’altra come del resto mutano i valori che le orientano.
Fra i Beduini del Nord Africa, gli occhi di pecora sono considerati una prelibatezza, mentre
in Occidente non sono nemmeno commestibili. I Beduini mangiano con le dita e un rumoroso e
prolungato rutto alla fine del pasto è un complimento all'ospite; in Occidente un tale
comportamento sarebbe considerato il massimo delle cattive maniere, o, come direbbe il sociologo,
“non sarebbe conforme alle norme del comportamento a tavola socialmente condivise ”.
Le norme danno ordine alla società, aiutano a rendere la vita sociale prevedibile e
comprensibile. Se non ci fossero le norme a stabilire come la gente debba esprimere piacere piacere
o irritazione, cordialità o ostilità, sarebbe difficile capire come gli altri si sentono, prevedere il loro
comportamento e rispondere loro in modi appropriati.
Mancando di meccanismi istintuali capaci di dirigere in modo univoco il comportamento sociale, gli
esseri umani necessitano di orientamenti capaci di indicare loro le mete da perseguire ed i mezzi
adeguati per conseguirle; valori e norme hanno appunto questo compito, apprenderli e condividerli
è il compito che attende ogni membro della società.
3.- La posizione sociale
Assieme a valori e norme altro elemento fondamentale della cultura è la posizione sociale.
Con il termine posizione sociale si intende la “collocazione di un individuo, di un gruppo
o di una classe in una rete di rapporti o di relazioni sociali, ovvero in una struttura o in un
sistema sociale, indipendente dal soggetto che la occupa in un dato momento” (L.GALLINO).
La posizione sociale è, in altri termini, il “posto” (Stellung) che gli individui o i gruppi
occupano nelle loro diverse interazioni sociali.
Così ci sono posizioni sociali che discendono dall’occupazione professionale (medico,
insegnante, muratore, avvocato, meccanico , bambinaia, impiegata ...), posizioni legate alla famiglia
(padre, marito, figlio ...), posizioni legate alla sessualità (uomo e donna), posizioni, ancora, legate
all’età (giovane, adulto, anziano ...) e così via.
Come attori sul palcoscenico gli individui e i gruppi sociali entrano ed escono dalle loro posizioni
interpretando le parti per essi prescritte.
Indipendentemente dall’individuo che la occupa la posizione sociale infatti prescrive un
determinato comportamento ed è proprio riconoscendo le diverse posizioni sociali che i membri del
sistema sociale regolano le loro azioni e relazioni.
Così, ad esempio, quando una persona si ammala chiama il medico . Al di là dell’individuo che le
capiterà in casa essa sa che la persona che occupa quella posizione deve esibire una specifica
condotta e si aspetta quindi che essa l’assolva nel modo socialmente convenuto (in questo caso che
persegua il suo benessere e la sua salute).
La posizione sociale può essere ascritta o acquisita.
E’ ascritta quando essa è in gran parte immodificabile e non dipende dalla volontà
dell’individuo che la occupa. Posizioni ascritte sono generalmente quelle fissate dalla nascita
come ad esempio l'esser uomo o donna o l’esser figlio o figlia, altre posizioni immodificabili sono
poi quelle legate all’età (l’essere bambino o giovane, o adulto e così via) .
Una posizione ascritta è imposta alla persona; c’è poco che lui o lei possano fare.
Nella società preindustriale la posizione sociale era spesso ascritta, il figlio riprendeva la posizione
del padre, la figlia quella della madre.
Così ad esempio i maschi Cheyenne diventavano automaticamente cacciatori e guerrieri,
come i loro padri, mentre le femmine diventavano mogli e madri e raccoglievano radici e bacche,
come tutte le donne prima di loro.
La posizione sociale acquisita comporta invece alcuni gradi di scelta e azioni dirette o
positive, una persona sceglie di sposarsi e adotta quindi la posizione di moglie o marito, così come
allo stesso modo, una donna sceglie di essere madre o a,ancora, attraverso il curricolo di studi, un
individuo determina le sue future possibilità occupazionali.
Nelle società moderne le possibilità di modificare la propria posizione sociale è divenuta una
opportunità sempre più ampia e sempre più estesa ad una grande numero di persone.
Anche posizioni un tempo generalmente ascritte (come ad esempio la professione tramandata di
padre in figlio o l’appartenenza ad una o ad un’altra classe sociale) sono così divenute posizioni
acquisite dilatando le opportunità di miglioramento sociale soprattutto delle categorie più
svantaggiate o deboli .
Tale fenomeno, noto come mobilità sociale, appare oggi come uno dei tratti più
caratteristici del processo di modernizzazione.
Ogni posizione sociale, ascritta o acquisita che sia, implica uno status ed un ruolo.
a.- lo status indica l’insieme dei diritti, dei privilegi, dei compensi goduti entro una
posizione sociale; specifica, in altri termini, un complesso di beni materiali o immateriali che
possono essere goduti e dei quali è possibile fruire all’interno di una particolare posizione
traducendo, in questo modo, l’aspetto allocativo della posizione sociale.
Così, ad esempio, l’accesso all’intimità fisica del paziente è un aspetto tipico dello status del
medico, allo stesso modo in cui il diritto alla libertà di insegnamento è un carattere dello status di
insegnante.
Quanto più elevata socialmente è la posizione tanto più alti sono in genere i compensi e i privilegi
di status in essa goduti. E’ del resto proprio la fruizioni di tali beni e privilegi che rende visibile
(aspetto allocativo) la posizione rendendola desiderabile o comunque oggetto considerazione sul
piano sociale.
b.- il ruolo invece stabilisce il comportamento che la persona deve assumere quando occupa
una determinata posizione e specifica in tal senso i doveri, le norme, le prescrizioni legate alla
posizione sociale traducendo, in questo modo, il suo aspetto prescrittivo.
Così ad esempio il perseguimento dello stato di salute del paziente è il ruolo del medico, allo stesso
modo in cui l'esercizio di una competente funzione docente caratterizza il ruolo del l’insegnate.
Sulla base dei diversi ruoli vengono definite le diverse aspettative che rendono prevedibile il
comportamento di un individuo entro una determinata posizione sociale.
Ci rivolgiamo al meccanico perché sulla base del ruolo della sua posizione sociale ci aspettiamo che
egli si occupi in modo competente della nostra automobile.
Lo stesso vale per il medico, per l’insegnante e così via.
I ruoli sono in genere interpretati in rapporto ad altri ruoli: così il ruolo dell’insegnante è
svolto in relazione al ruolo di studente, il ruolo di marito in rapporto a quello di moglie.
Alcuni compiti possono essere eseguiti più efficacemente se gli interessati assumono i loro ruoli in
modo appropriato.
Così un medico può svolgere il suo lavoro con maggiore efficacia se lui e il paziente si
attengono ai loro ruoli, piuttosto che recitare la parte di vecchi amici o di una coppia di innamorati.
I ruoli quindi, come gli altri elementi della cultura, forniscono ordine e prevedibilità alla vita
sociale. Se lo studente e l’insegnante interpretano correttamente ruoli prestabiliti, sanno cosa fare e
come farlo: conoscendo i rispettivi ruoli , sono i grado di prevedere e capire cosa l’altro sta
facendo.
4.- La devianza
Il ruolo non deve essere confuso con il modo in cui l'individuo che viene ad occupare una
certa posizione sociale effettivamente agisce. Se così fosse infatti, la società sarebbe un teatro di
automi mentre sappiamo che i comportamenti dati entro una determinata posizione sociale possono
differire spesso in modo significativo.
Bisogna pertanto distinguere il ruolo dal comportamento di ruolo il quale appunto indica il modo
con cui un individuo effettivamente e concretamente agisce dentro il ruolo assunto.
In tal senso, si parlerà di conformità nel caso in cui comportamento di ruolo e ruolo si avvicinino,
mentre all'opposto, sarà considerata come deviante una condotta in cui ruolo e comportamento di
ruolo tendano a divergere in maniera particolarmente accentuata.
Si precisa in questo modo il significato di una delle categorie più note e discusse della
sociologia.
La devianza infatti è quel’ “ atto o comportamento o espressione ... del membro riconosciuto
di una collettività che la maggioranza dei membri della collettività stessa giudicano come uno
scostamento o una violazione più o meno grave, sul piano pratico o su quello ideologico, di
determinate norme o aspettazioni o credenze che essi giudicano legittime, o a cui di fatto
aderiscono, ed al quale tendono a reagire con una intensità proporzionale al loro senso di
offesa” (GALLINO).
Nella prospettiva sopra indicata tale atto si qualifica, appunto, come un comportamento di
ruolo significativamente distante o in contrasto con il ruolo stesso e con le aspettative ad esso
connesse.
Seguono da ciò alcune considerazioni:
a.- la devianza come tale, è un concetto che si definisce sempre in riferimento ad una
comunità data, all’insieme delle sue norme e dei suoi valori ed alle posizioni sociali in essa
stabilite. Non esistono quindi devianze in sé o per se stesse, ma solamente definizioni sociali di ciò
che può essere considerato un atto o una condotta deviante. Se le norme di due collettività cui un
soggetto appartiene sono tra di loro in conflitto, il medesimo atto può apparire deviante rispetto alle
norme di una ma del tutto conforme rispetto alle norme dell’altra (uccidere una persona è un atto
deviante per lo Stato ma perfettamente legittimo , in determinate circostanze, per un’associazione
come Cosa Nostra).
Nonostante ciò è innegabile che alcuni atti o espressioni siano considerati deviazioni gravi in tutte
le società. In questo caso si parla generalmente di crimini per i quali sono previste sanzioni come
la carcerazione o addirittura la pena di morte (si pensi all’incesto, al furto, all’omicidio, alla
violenza sui minori ..).
b.- di per sé la devianza non necessariamente investe tutto il comportamento
dell’individuo. Un ragazzo può essere, ad esempio, perfettamente conforme ai ruoli familiari e,
nello stesso tempo, venir definito come deviante rispetto alla scuola ed al suo ruolo di studente.
c.- l’atto deviante pertanto va distinto dal soggetto deviante.
Molti atti devianti , infatti, sono manifesti (ad es. furti, omicidi, vandalismi ...) mentre il loro
soggetto resta ignoto e non è quindi percepito come deviante. Inoltre, se un individuo compie un
atto deviante in modo casuale, in situazione di irresponsabilità o perché provocato, il suo carattere
di deviante non emerge o è presto dimenticato, e non reca al soggetto conseguenze sociali o
psicologiche; queste iniziano, per contro, non appena egli viene definito pubblicamente come
deviante ( ad es., ladro, rapinatore, malato di mente, inabile, drogato, adultero, ecc.).
Un importante contributo alla discussione sul concetto di devianza è quello del sociologo
statunitense R.K.Merton (1950). L’ipotesi centrale della teoria di Merton fa consistere il
comportamento deviante in un sintomo di dissociazione tra le mete culturali proposte prescritte
a tutti (valori) e le vie o i mezzi socialmente previsti e strutturati per il conseguimento di tali
mete (norme). La devianza si ha appunto quando, invece di accettare le mete e i mezzi
istituzionalizzati e socialmente condivisi (conformismo), si cercano nuove modalità adattive alla
società .
La tabella sotto riprodotta traduce in sintesi tali modalità adattive e illumina, in tal modo, le diverse
tipologie della devianza.
Modi adattivi
norme-mezzi
valori-mete
innovazione
-
+
ritualismo
+
-
rinuncia
-
-
+-
+-
ribellione
Nella tabella il segno (+) significa accettazione, il segno (-) significa “rifiuto” mentre i due segni
accostati (+ -) indicano rispettivamente la conoscenza dei valori e delle norme ed il categorico
rifiuto che il soggetto esprime circa i medesimi.
Abbiamo in tal modo quattro grandi tipologie della devianza:
4.1.- INNOVAZIONE
Questo adattamento si verifica quando le mete istituzionali sono legate ad un quadro
normativo che il soggetto agente reputa troppo rigido, sì da porsi come ostacolo al conseguimento
degli stessi valori. L’individuo si adatta così alla cultura eludendo le norme (-) nel tentativo di
raggiungere prima e meglio i valori (+) nei confronti dei quali si sente attratto.
Diciamo allora che l’innovatore non accetta le norme e accetta i valori.
Un esempio di innovatore, in questo senso, può essere il ladro il quale ha ben compreso il
valore del benessere economico (che accetta e condivide) per raggiungere il quale tuttavia non si
serve dei mezzi-norme previsti dalla società (il lavoro, la capacità negli affari, la fortuna al gioco
...) ma agisce secondo regole proprie, fortemente eversive rispetto a quelle istituzionali, ma , ai suoi
occhi efficaci, quantomeno a conseguire prima e meglio alla meta del successo economico.
Si collocano in tal senso entro l’innovazione anche tutti quegli atteggiamenti di
“contestazione” o di “critica “ sociale che, spesso e proprio in nome dei valori e delle mete
proclamate e condivise (libertà, uguaglianza sociale, tolleranza, solidarietà) promuovono
atteggiamenti alternativi alle norme costituite ritenute inadeguate o insufficienti al perseguimento di
quegli stessi valori (si pensi alla contestazione studentesca, al femminismo o a figure di innovatori
“storici” come S.Francesco o allo stesso messaggio evangelico ...).
Da tale punto di vista appare chiaramente che se da un lato è indubbiamente vero che la
devianza, in moltissime delle sue espressioni, costituisce un elemento di disgregazione dei sistemi
sociali e provoca al loro interno crisi di identità, dall’altro essa può anche manifestarsi funzionale
per più motivi: come fattore espressivo che mette in evidenza la necessità di un cambiamento
mostrandone la direzione, come comportamento che mette in moto nuove energie e processi di
ridefinizione degli attori sociali all’interno dei gruppi, come canalizzatore delle capacità
creative ed alternative degli individui.
Non c’è dubbio che molti atti o comportamenti ritenuti devianti in un certo contesto sociale
finiscono, nel tempo, per diventare forme socialmente riconosciute e “mezzi” previsti e voluti dal
sistema stesso (la questione femminile ne è un valido esempio).
4.2.- RITUALISMO
Sono ritualisti coloro che abbandonano i valori istituzionali, mantenendo però la
conformità nei confronti del costume sociale.
Il ritualista più che un rifiuto dei valori, come sembrerebbe dalla tabella data, esprime una
dimenticanza o una trascuratezza dei valori; è, in latri termini, chi , ossessionato da un rispetto
scrupoloso delle norme che non elude mai, giunge, nelle sue condotte, a perdere letteralmente di
vista i valori cui le norme sono collegate. Di fatto, i valori rimangono ma, per il ritualista, è come
se non ci fossero, impegnato com’è nell’osservanza delle regole.
Da tale punto di vista il ritualista può essere anche definito come un iperconformista che
non si impegna, in modo attivo, nel gioco sociale seguendone le regole ma, al contrario,
pavidamente teme queste regole stesse e per la paura di “perdere” preferisce non vincere, “getta la
spugna”.
Se vogliamo un esempio, lo troviamo nel burocrate, esecutore zelante di un mandato il cui
obiettivo finale lo interessa molto poco; nell’operaio che produce il minimo indispensabile per non
venir “sbattuto fuori”; nell’impiegato pauroso che vive nel terrore di far tardi in ufficio, ma si
guarda bene dal fermarsi un solo minuto in più del necessario sul luogo di lavoro.
4.3.- RINUNCIA
Con questa parola si rileva l’adattamento di chi, pur rimanendo nella struttura sociale,
non ne partecipa più la cultura.
Il rinunciatario è, in altri termini, un estraneo sociale, passivamente rassegnato ad una sorta di fuga
dalla realtà collettiva avvertita o inconsapevolmente vissuta, come distante o irraggiungibile . La
rinuncia, insomma, rappresenta una sorta di politica dell’abbandono attuata da un soggetto che si
sente lontano dagli altri sociali, dei quali vede il successo, la riuscita personale come segno, spesso
tangibile, del proprio fallimento.
A titolo di esempio possono considerati entro tale tipo di devianza gli etilisti che tuffano
nell’alcool quel che resta delle proprie ambizioni umane conducendo un’esistenza priva di obiettivi
se non quello di bere ; i mendicanti, che domandano solo di sopravvivere ma senza programmi e
senza dare una meta al loro disorientato girovagare; i tossicodipendenti, completamente coinvolti
nella sostanza da cui dipendono, senza altra meta che non sia quella del “buco” quotidiano.
In tale categoria, in qualche misura, può essere collocato lo stesso malato nella sua “forzata”
condizione di passiva uscita dai ruoli e dalle posizioni sociali professionali e familiari e costretto,
suo malgrado, a non occuparsi più delle quotidiane faccende.
E’ facile capire come la rinuncia rappresenti, molto di più dell’innovazione o del ritualismo,
un pericolo per l’integrazione sistemica e che, pertanto, la società guardi in genere con accentuata
apprensione tali devianze, attivando verso di esse forme spesso drastiche di controllo sociale .
4.4.- RIBELLIONE
La logica di questo adattamento presume che le cose sociali potrebbero benissimo andare in
modo assai diverso da come le orienta la cultura.
Il ribelle conosce tanto le norme che i valori della cultura sociale, ne ha appreso il contenuto e si
orienta al loro interno (+); è questa buona conoscenza che gli consente di comprenderle,
interpretarle, analizzarle criticamente, infine ribellarsi ad esse (-).
Tale modo adattivo rappresenta quindi la realtà di chi si colloca volontariamente fuori
dalla struttura sociale opponendo ad essa una alternativa di sistema ed impegnandosi affiche
essa venga attuata. Qualora riuscisse nel suo tentativo rivoltoso il ribelle, una volta scardinato
l’ordine precedente ed uscito dalla relativa struttura si collocherebbe in un’alternativa culturale
all’interno della quale si adatterebbe come conformista.
L’esempio forse più rispondente di questa tipologia è quello dell’anarchico. L’opposizione
che egli esprime, infatti, non riguarda solo i mezzi elaborati dagli attori sociali ma configura una
vera e propria alternativa culturale .
Ciò che l’anarchico vuole, infatti, non è una diversa configurazione della gestione del potere ma
l’assenza del potere stesso, il suo rifiuto in nome della libertà dell’individuo
unica e sola realtà su cui ogni costrizione (anche quella esercitata in forma democratica) appare
illegittima.
Appare chiaro qui che il ribelle non può essere confuso con l’innovatore con il quale
certamente condivide il rifiuto verso le norme ma dal quale
appare separato proprio per l’attiva contestazione ai valori stessi della società (rispetto all’anarchico
l’innovatore non rifiuta l’idea del potere pur non condividendone i modi ed i mezzi con cui la
società in cui vive lo amministra).
5.- La socializzazione
Valori, norme, status e ruoli, definiscono la cultura di una società, ne descrivono
l’intelaiatura; con il temine socializzazione, invece, si indica l’insieme dei processi tramite i
quali un individuo viene ad apprendere questa cultura stessa.
Quando parliamo di socializzazione, pertanto, intendiamo: “il processo mediante il quale
ad un nuovo membro di un gruppo sociale vengono trasmessi valori, norme, atteggiamenti e
comportamenti che sono condivisi dai membri preesistenti del gruppo stesso” (Nuovo
Dizionario di Sociologia, ed. S.Paolo).
Il compito della socializzazione quindi consiste nel formare il nostro carattere sociale e tale
processo si accompagna e nello stesso tempo si confonde con quella dinamica più ampia tramite la
quale si forma la nostra intera personalità.
In tal senso se da un lato è necessario non confondere la socializzazione con il processo di
formazione della personalità (che implica altre componenti di carattere genetico, cognitivo,
affettivo, sessuale ...) dall’altro è importante sottolineare che la personalità stessa dipende, in una
delle sue importanti variabili, dal
processo di apprendimento della cultura ovvero dalla
socializzazione.
Parlando di tale processo, gli aspetti che paiono maggiormente caratterizzanti riguardano
nell’ordine:
a.- le fasi entro le quali la socializzazione avviene;
b.- i meccanismi che
danno luogo
alla socializzazione;
c.- gli agenti della socializzazione stessa.
5.1.- Le fasi della socializzazione
La socializzazione è un processo che si svolge nell’arco di tutto il ciclo vitale e quindi
potremmo concludere che essa, in realtà, non ha termine che con la morte dell’individuo.
Tuttavia esiste un generale accordo tra i sociologi ne ritenere che la fase più significativa del
processo di socializzazione avvenga nel corso dell’infanzia .
E’ in questo momento infatti che l’individuo, ,progressivamente, passa da un comportamento del
tutto a-sociale corrispondente, sul piano psicologico, all’egocentrismo sia cognitivo che affettivo e
morale, a condotte entro le quali si viene manifestando, sempre di più un atteggiamento di tipo
sociale che porta la persona a riconoscere il punto di vista dell’altro e l’altro stesso cui occorre
relazionarsi.
Questa fase - che occupa i primi anni dell’infanzia - è detta socializzazione primaria ed è
certamente quella nella quale vengono a strutturarsi le pulsioni motivazionali più durature e
profonde dell’agire dell’individuo.
Con il termine di socializzazione secondaria, invece, si indicano in genere tutti i restanti processi formali e informali istituzionalizzati e non - di apprendimento della cultura.
5.2.- I meccanismi della socializzazione
Con tale termine si vuole porre l’accento sui modi attraverso i quali il gruppo o il singolo
trasmette la cultura in modo tale che il “nuovo venuto” apprenda quali valori, norme e ruoli
costituiscono la realtà sociale nella quale egli dovrà inserirsi.
Tali modi possono essere indicati:
a.- nel feed-back: con questo concetto si indica il modo in cui due individui si guidano
reciprocamente mentre interagiscono.
In questo caso le aspettative reciproche fanno si che la relazione tra due o più attori sociali
diventi un potente meccanismo di assimilazione di valori e norme socialmente condivisi;
Ad esempio le reciproche aspettative tra insegnante ed alunno fanno si che a, all’interno del
rapporto che essi reciprocamente stabiliscono, si evidenzino comportamenti socialmente accettabili
i quali a loro volta esprimono norme e valori di più ampia portata. Così l’insegnante che segnala
con un cenno del capo o un sorriso ai propri alunni, che gettare la carta ne cestino è un
comportamento apprezzato, esprime l’importanza di una valore sociale
(pulizia/rispetto
dell’ambiente ...) che in tal modo viene appreso dai giovani studenti.
Allo stesso modo le reciproche aspettative tra medico e paziente saranno origine di un
processo entro il quale i valori le norme connesse alle loro posizioni sociali (status/ruoli) potranno
essere rinforzati ed appresi.
b.- nel controllo sociale: con tale termine si vogliono indicare tutte le misure assunte per
assicurare che un individuo si comporti nel modo socialmente più desiderabile prevenendo in
tal maniera atteggiamenti devianti .
Particolare rilievo hanno in questo campo le cosiddette sanzioni ovvero le azioni previste
al fine da dissuadere o promuovere una condotta sociale.
In questo senso si sogliono distinguere le cosiddette sanzioni positive (premi e
ricompense) da quelle negative (punizioni e restrizioni) ed inoltre quelle materiali (premio in
denaro, punizione corporale, carcerazione ...) da quelle immateriali che attengono alla sfera
affettiva e psicologica dell’individuo (concessione di fiducia, stima, lodi e incoraggiamenti ...).
Alcune forme di controllo sociale sono manifeste ed istituzionalizzate (polizia esercito), altre,
invece, sono meno palesi anche se non meno efficaci .
In questo secondo significato, funzioni di controllo sociale risultano essere tanto quelle
esercitate dalla famiglia, quanto quelle promosse dalle istituzioni culturali e religiose, quanto,
ancora, quelle messe in atto dal gruppo dei pari e, oggi in modo sempre più rilevante, dai massmedia.
5.3.- Le agenzie della socializzazione
Nella società moderna e postindustriale quattro sono le più importanti agenzie preposte alla
socializzazione di un individuo:
a.- la famiglia;
b.- la scuola;
c.- il gruppo dei pari ovvero di coloro che condividono una identica posizione sociale (età,
professione etc.);
d.- i mass-media.
Tutte queste realtà esercitano una profonda influenza sulla formazione dell’individuo e nello
stesso tempo si propongono come potenti mezzi di controllo della sua condotta.
Occorre pertanto porre particolare attenzione alle trasformazioni che tali agenzie subiscono
nella dinamica sociale in modo che si possa evidenziare non solo il “peso” di volta in volta assunto
nel processo di socializzazione ma anche le reciproche influenze ed interazioni che tali agenzie, tra
di loro vengono a stabilire.
E’ abbastanza comune sottolineare, oggi, ad esempio l’accresciuta importanza dei mezzi di
comunicazione di massa rispetto alla scuola o addirittura alla stessa istituzione familiare - realtà
queste, per altro, sottoposte a profonde trasformazioni - così come è fin troppo evidente l’influenza
reciproca tra tali realtà.
Un’analisi dettagliata di tali interazioni esula tuttavia dagli scopi di queste note introduttive.