Galileo Galilei Fisico ed astronomo italiano. (Pisa

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Galileo Galilei
Fisico ed astronomo italiano. (Pisa, 1564 - Arcetri, 1642).
Rari sono gli scienziati che hanno visto tanta letteratura ad essi dedicata come Galileo
Galilei. Tale letteratura riguarda principalmente il suo dramma intellettuale e umano
scaturente dal conflitto che lo oppose alla Chiesa cattolica e che vide la sua coscienza di
scienziato, che esperisce il reale con la ragione e la sperimentazione, essere conculcata
dai precetti religiosi e dal principio di autorità. Invero egli avrebbe voluto sanare quel
conflitto nel foro interno della coscienza - poiché in lui le preoccupazioni religiose erano
altrettanto cogenti dei principi scientifici che andava scoprendo – ma ciò non fu possibile
alla Chiesa cattolica che gli oppose le ragioni teologiche, pubbliche e di Stato e che non
poteva tollerare altra autorità oltre la propria, e che pertanto, giunse a riabilitare la sua
probità di uomo e di scienziato solo nel secolo scorso, 400 anni dopo i fatti.
Oltre alle parole leggendarie sulla mobilità della Terra («Eppur si muove!»che non ha
probabilmente mai pronunciato), Galileo è soprattutto uno degli artefici della scienza
moderna: è Galileo che ha introdotto la matematica nel mondo della fisica, che abbandona
così definitivamente i concetti qualitativi Aristotelici.
Galileo nacque il 15 febbraio 1564 a Pisa. La sua infanzia e la sua adolescenza si
svolgono tra Firenze e Pisa. Suo padre, musicista originale ed abbastanza famoso, autore
di un Dialogo sulla musica antica e moderna, si interessava alla rinascita delle forme
musicali ereditate dal classicismo greco. Dopo aver cominciato nel 1581 gli studi di
medicina all’università di Pisa, Galileo si dedica allo studio della matematica e della
filosofia; nel 1585, lascia l’università, senza diploma.
La scienza alla fine dello XVI secolo
L’università che forma il giovane Galileo funziona su un modello in gran parte diffuso in
Europa, che si basa su una divisione della conoscenza in due rami fondamentali: la
matematica e la filosofia.
Astronomia e matematica
Poiché il sapere matematico nasce con l’astronomia, l’attività del matematico-astronomo
non ha per scopo la spiegazione dei fenomeni celesti, bensì piuttosto la loro predizione.
L’ambizione dell’astronomo si limita a ricercare le combinazioni (più o meno complicate)
dei movimenti circolari che permettono di descrivere il movimento evidente delle stelle,
così come lo si osserva dalla Terra. L’attività del matematico si basa sull’idea che, sotto il
disordine evidente dei fenomeni, oltre al corso irregolare dei pianeti (etimologicamente, i
pianeti sono “astri erranti”), esiste un ordine nascosto ben preciso, che può essere
rappresentato per mezzo di movimenti circolari, da sempre immagine della perfezione.
Filosofia
L’insegnamento di questa disciplina è ugualmente dispensato nelle università europee. La
“filosofia naturale” è la vera scienza del cielo, incaricata di spiegare i fenomeni. Fondata in
gran parte sulla dottrina di Aristotele e, più precisamente, sulla sua teoria del movimento,
questa disciplina si basa, molto schematicamente, sulla distinzione tra movimento
“naturale” e movimento “violento”.
Il mondo secondo Aristotele
Qualsiasi corpo possiede un movimento “naturale” che gli è proprio, che esprime la sua
tendenza a raggiungere il suo luogo “naturale”e che è interamente determinato dalla
natura del corpo in questione. Una volta raggiunto il suo "luogo naturale", il corpo vi resta
immobile. Così la Terra ha per luogo naturale - per via della sua natura stessa di corpo
materiale - il centro dell’Universo; il suo movimento naturale è di andare verso questo
centro, dove risiede, e niente e nessuno le può far cambiare sede. Il movimento naturale
dei corpi celesti, supposti essere di una specie non materiale, è un movimento circolare
intorno del centro dell’Universo. Occorre sottolineare l’importanza del ruolo svolto nella
fisica aristotelica dal concetto di “luogo”: ogni oggetto occupa un luogo che gli è proprio; lo
spazio aristotelico non è dunque in alcun modo omogeneo, poiché i suoi diversi punti non
possono essere occupati indifferentemente da qualsiasi oggetto. Tutto ciò sarà
profondamente modificato dalla nuova fisica, quella di Galileo.
Al movimento “naturale”, che non richiede alcun agente esterno, egli contrappone il
movimento “violento”, contrario alla natura del corpo e che può dunque esistere soltanto
per effetto di un agente motore. Un carro, ad esempio, che si muove lungo una strada
possiede un movimento contrario alla sua natura d’oggetto materiale (che lo indurrebbe a
raggiungere il centro dell’universo); questo movimento è dunque violento ed il cavallo ne
è l’agente motore. Più precisamente, la velocità di un oggetto, animato da un movimento
violento, è proporzionale alla “forza” spesa dal motore responsabile del movimento
medesimo. Ciò che si è potuto chiamare il “principio fondamentale della dinamica
aristotelica” si enuncia dunque così: una forza produce una velocità che gli è
proporzionale; o ancora: la velocità di un corpo è in base alla “forza” che gli si imprime.
Occorre notare che questo principio fondamentale, che sarà abbandonato dalla nuova
fisica (dove è l’accelerazione e non la velocità di un corpo che è proporzionale alla forza
che si esercita su di esso), è del tutto conforme al “senso comune”: con più forza il
cavallo tira il carro, più va rapidamente; di più: il carro non si muove se non si esercita
alcuna forza su di esso!
Critiche al sistema aristotelico
Non bisogna credere che la fisica di Aristotele fosse universalmente accettata. Numerosi
sono coloro che, all’inizio del XVII secolo, mettono in causa l’insegnamento aristotelico
dispensato dalle università, riprendendo per parte loro alcune obiezioni formulate nel corso
dei secoli precedenti. Nel XIV secolo ad esempio, già gli aderenti alla cosiddetta scuola di
Parigi contestano il buon fondamento di questa teoria del movimento, ed in particolare del
movimento dei proiettili. Alla stessa epoca, Nicola Oresme si erge contro l’idea secondo la
quale il movimento dei pianeti possa essere indotto dal loro movimento, evidente dalla
Terra, supposta immobile: al contrario, secondo lui, le stelle sarebbero immobili, e la Terra
in movimento.
La Chiesa, baluardo dell’aristotelismo
Per molto tempo queste critiche non trovano circolazione che in ambiti ristretti, tanto è
grande l’autorità di Aristotele; tanto di più della Chiesa, principale potenza politica e
culturale del mondo occidentale, la quale dopo avere combattuto la cosmologia
aristotelica, l’ha finalmente fatta propria a partire dal XIII secolo. L’idea che la Terra sia al
centro del mondo si accorda peraltro molto bene con il fatto che Dio abbia scelto proprio
questo luogo per farsi uomo.
Mettere in dubbio l’immobilità della Terra significa dunque combattere la Chiesa ed il suo
dogma. Soltanto all’inizio del XVII secolo la critica di Aristotele prende il suo vero avvio,
in gran parte grazie alla stampa ed alla diffusione dei libri che battono in breccia il
monopolio dell’università
come unica fonte di sapere. Nessuno osa formulare ipotesi nuove, ma è quella di
Copernico che svolgerà un ruolo fondamentale nell’elaborazione della nuova fisica.
Il sistema copernicano
Nel 1543 esce l’opera di Nicola Copernico De revolutionibus orbium coelestium, nel
quale espone la sua “ipotesi” eliocentrica. Copernico, allorché si applicò a spiegare il
movimento dei pianeti, nel quadro della teoria aristotelica di una Terra immobile, sulla
scorta di combinazioni di movimenti circolari, come voleva la tradizione, finì per
scoraggiarsi dinanzi alle complicazioni matematiche incontrate. Si accorse allora che,
ponendo il centro del mondo non puntando sulla Terra ma sul sole, gli era più facile
riportare il movimento dei pianeti a combinazioni di movimenti semplici. Quest‘opera ,
inizialmente passata inosservata, in particolare agli occhi della Chiesa, sarà
successivamente studiata e presa in seria considerazione da un certo numero di
scienziati, come Giordano Bruno, Tycho Brahe e Johannes Kepler, che, sviluppando le
idee di Copernico, stabiliranno la tradizione di ciò che sarà chiamato il “sistema
copernicano”. Tuttavia, le argomentazioni che Copernico esibiva a sostegno del sistema
eliocentrico si basavano non su uno studio matematico o sperimentale del movimento
corpi - come sarà nel caso di Galileo -, ma su una concezione del mondo che si può
qualificare come metafisica, fondata sulle idee di “fuoco centrale” o di “forza solare”.
Il messaggero celeste (Sidereus Nuncius)
Qual è la posizione di Galileo nel dibattito suscitato dall’”ipotesi copernicana”? Nel 1585,
di ritorno a Firenze, intraprende lavori scientifici (studio della bilancia idrostatica, fissazione
di diversi teoremi sul centro di gravità dei solidi) e letterari (su Dante, il Tasso e l’Ariosto).
Nel 1589, su segnalazione di alcuni matematici che hanno avuto occasione di ammirare le
sue capacità, è nominato professore di matematica all’università di Padova, dove resterà
diciotto anni, i più begli anni della sua vita intellettuale. Galileo, pur essendo al corrente
del lavoro di Copernico - le sue lettere lo provano - dispensa tuttavia un insegnamento
d’astronomia rigorosamente conforme ai programmi ufficiali. Poiché la Chiesa non ha
ancora apertamente preso posizione contro l’ipotesi eliocentrica, questa riserva non si
spiega che in uno solo modo: Galileo non è ancora persuaso di possedere la prova
sufficiente circa il reale movimento della Terra. Tuttavia, le cose cambiano radicalmente a
partire dalla pubblicazione, nel 1610, del suo lavoro Sidereus Nuncius (il messaggero
celeste o il messaggero delle stelle), nel quale prende causa per i partigiani di Copernico,
ciò che non cesserà ormai di fare.
Una scoperta decisiva: il cannocchiale
Il cambio di opinione di Galileo è infatti da mettere in relazione con la sua capitale
scoperta del cannocchiale astronomico. Secondo il resoconto che ne fa nel Sidereus, egli
ebbe notizia nel 1609 dell’invenzione, nei Paesi Bassi, di un sistema ottico capace di fare
apparire più prossimi gli oggetti distanti. Intuisce immediatamente l’importanza che può
avere l’invenzione per i navigatori; avendo ottenuto alcune informazioni sul nuovo
oggetto, intraprende la costruzione di un esemplare, che pensa di potere vendere molto
caro agli armatori di Venezia. Così alla fine dell’anno 1609 presenta al Senato di quella
città uno strumento che permette di distinguere delle navi, chiaramente ed in dettaglio, due
ore prima che si possa individuare la loro presenza ad occhio nudo. La sua invenzione
non è presa in considerazione, e Galileo è ridotto a fare del suo cannocchiale un impiego
personale, ciò di cui non si priverà. Il 1° dicembre 1609, comincia una serie di osservazioni
della luna. Vede allora, coi propri occhi, che «la Luna non è ricoperta da una superficie
liscia e levigata, ma che è accidentata ed uguale alla superficie della Terra, coperta di alti
rilievi e di cavità profonde e anfratti » (Sidereus Nuncius). Quindi «il settimo giorno di
gennaio, dell’anno 1610, ad una ora della notte, mentre esploravo il cielo, tramite il
cannocchiale, Giove si presentò ai miei occhi: essendomi costruito uno strumento di alta
precisione, io scorsi (e questo m’era successo prima a causa della della debolezza
dell’altro cannocchiale) tre piccole stelle, in altre parole, i satelliti di Giove in moto di
rivoluzione attorno al pianeta, come la Luna attorno alla Terra». Ecco la prova che la Terra
non è il centro di tutti i movimenti celesti e che la sua natura non differisce da quella di
Giove.
La fine del geocentrismo
Questo è il “messaggio” che inviano le stelle: non ci sono differenze di natura tra la Terra
e i corpi celesti; questi non sono né più né meno perfetti della Terra. Le leggi della natura
che valgono sulla Terra (nel mondo sublunare, come si diceva allora) valgono anche nei
cieli: più nulla giustifica il geocentrismo, “privilegio” di cui usufruisce la Terra. Ciò che
rivela il cannocchiale è dunque, da un lato, in contraddizione con la teoria della Terra
immobile messa al centro dell’universo e, dall’altro, in conformità con l’ipotesi secondo la
quale la Terra è soltanto un pianeta fra altri, che gira con essi come essi attorno al sole.
Le due ipotesi, quella della fisica tradizionale (tolemaica) e quella di Copernico, non sono
ormai più equivalenti: solo l’ipotesi eliocentrica è conforme all’osservazione. La
convinzione di Galileo si basa dunque sull’evidenza sperimentale e non più, come quella
dei difensori di Copernico, su ragioni metafisiche.
Un nuovo “sistema del mondo”
Immediatamente Galileo diventa un uomo celebre. Le sue osservazioni, e le conclusioni
che ne ha tratte, sono oggetto di dibattiti animati. Lui che, fino ad allora, si era attenuto
all’ortodossia più rigorosa si mette ad insegnare la teoria copernicana - senza che
apparentemente le autorità veneziane, sotto la cui legge è Padova, se ne adombrino. Ma
Galileo desidera da tempo tornare a Firenze, nella sua Toscana. Quindi, quando gli è
proposto la cattedra di matematica all’università di Pisa nel 1610, la accetta senza
rendersi conto che il “liberalismo” delle autorità veneziane non ha corso in Toscana.
Se Galileo accetta l’offerta, è anche perché spera di disporre di più tempo per redigere il
suo “Sistema del mondo”, dove intende esporre i lavori sulla dinamica ai quali si è
dedicato durante i diciotto anni passati a Padova. La redazione di questo libro, cui intende
di gran lena, è diventata necessaria dopo la pubblicazione del Nuncius. In effetti,
desideroso di convincere i suoi contemporanei della veridicità dell’ipotesi copernicana,
Galileo deve adesso far capire e spiegare perché si è potuto credere per così tanto tempo
che la Terra fosse immobile. Ciò non può essere fatto senza studiare il movimento dei
corpi, e mostrare che le leggi del movimento sono così fatte che è impossibile “sentire” e
osservare quello della Terra. Si tratta insomma di riprendere in modo critico l’esposizione
dei fondamenti della fisica aristotelica e delle argomentazioni avanzate da essa a favore
dell’immobilità del globo, quindi di opporre a questo “sistema del mondo” un nuovo
sistema che faccia posto alla mobilità della Terra e metta in evidenza le ragioni per le quali
il vecchio abbia potuto passare per “verità”. Da questa preoccupazione nasce, dopo un
lungo periodo di gestazione (dal 1610 al 1632) il Dialogo sopra i due massimi sistemi del
mondo tolemaico e copernicano, redatto - a differenza del precedente saggio scritto in
latino-, in lingua italiana volgare, proprio perché Galileo vuole dare ai suoi temi la
massima divulgazione, nel senso letterale del termine. Questo testo presenta la nuova
dottrina del movimento e costituisce la base della fisica moderna, inaugurata da Galileo.
Ma è anche, per noi italiani, l’atto di fondazione dell’italiano prosastico scientifico e
referenziale, una delle più alte vette toccate dalla lingua italiana.
Il principio di relatività
Questa fisica si basa su un principio unico, il principio di relatività, di un’importanza
fondamentale, poiché è su di esso che si costruisce la fisica moderna. Salviati portavoce
di Galileo nel Dialogo, lo enuncia così: «Per gli oggetti che si muovono di un moto
uniforme, quest’ultimo è come se fosse nullo». Si affretta ad illustrare il principio per
mezzo di un esempio: immaginate - dice in sostanza Salviati - che, su una nave al porto di
Venezia, imbarchiate farfalle e piccoli pesci. Osservate come, mentre la nave è immobile,
le farfalle di qui e di là ed i pesci, nel loro vaso, possano essere spostati con altrettanta
libertà verso la prua della nave che verso la poppa. Osserviamoli in seguito, mentre la
nave naviga nella sua piena velocità di crociera sul Mediterraneo: i loro movimenti sono gli
stessi di quando la barca era immobile al molo; i pesci e le farfalle effettuano uno sforzo
equivalente per dirigersi verso la parte posteriore o la parte anteriore della barca; il
movimento uniforme della nave è, per i pesci e le farfalle che vi partecipano, “come nullo”.
Si capisce immediatamente che questa riflessione è rivoluzionaria. Secondo la dottrina
aristotelica, un movimento che è “come nullo” è un movimento senza velocità, dunque solo
il riposo è “come nullo”; dire che il movimento degli animali è “ come nullo” non ha dunque
strettamente alcun senso. Ce n’ha invece molto nella nuova fisica, che, affermando che
alcuni movimenti (i movimenti uniformi) sono come inesistenti, abolisce in parte la
distinzione radicale stabilita dalla fisica aristotelica tra riposo e movimento. La forza e la
fecondità di questo principio provengono dal fatto che esso è un principio d’ordine.
Afferma infatti che esistono sui fenomeni della natura - e ciò, indipendentemente dalla loro
complicazione evidente - dei punti di vista identici: è equivalente osservare le farfalle nella
nave dal molo (in altre parole dalla Terra ferma) o dalla nave in movimento uniforme. Il
riconoscimento di quest’omologia semplifica lo studio dei fenomeni fisici e permette di
dirimere ciò che è essenziale da ciò che è soltanto mero punto di vista. In seguito, la fisica
si svilupperà enunciando molti principi che, come il principio di relatività, statuiscono sotto
quali operazioni le leggi della fisica sono “invariabili”. L’evoluzione della fisica del XX
secolo sarà interamente guidata dalla ricerca di principi di questo tipo.
Le leggi della dinamica
Galileo distingue il contingente dall’essenziale, ossia ciò che nel movimento attiene alla
relazione di causalità. Dire che un movimento uniforme è “come nullo”, è affermare che è
senza causa; può dunque mantenersi indefinitamente senza che nessuna “forza” si
eserciti sul mobile - tale è la base del principio d’inerzia enunciato più tardi da Newton, ma
già presente nelle diverse formulazioni di Galileo. Ciò suppone anche che la causa di un
movimento non sia uniforme; una
“forza” (un “motore”, per riprendere la terminologia aristotelica) produce dunque un
cambiamento del movimento – oggi diremmo un’accelerazione. Alla proporzionalità della
forza e della velocità, “legge fondamentale” della dinamica aristotelica, è sostituita quella
della forza e della variazione del movimento (accelerazione).
Il problema del grave
Dopo avere esposto il principio fondamentale sul quale si basa la nuova fisica, Salviati
inizia ad applicarlo ad un problema in apparenza formale, ma di un’importanza decisiva
nel dibattito sul movimento della Terra che oppone aristotelici a copernicani. Il suo
enunciato è il seguente: immaginate un marinaio che, dalla cima dell’albero maestro di
una nave, lasci cadere una pietra, senza imprimerle alcun movimento e supponiamo che
la nave navighi a velocità uniforme. Domanda: la pietra cade davanti, ai piedi, o dietro
l’albero?
La risposta che Simplicio, interprete degli aristotelici nel Dialogo, si affretta a dare è: la
pietra cade dietro l’albero. In effetti, ragiona egli, durante il tempo che la pietra impiega a
percorrere la distanza che separa la cima dalla base dell’albero maestro, la nave (e con
essa la base dell’albero) avanza; la pietra, al momento in cui cade sul ponte, si troverà
dunque “dietro”la base dell’albero. Questo ragionamento è falso, risponde Salviati. In
effetti, la pietra, come le farfalle ed i pesci di poco prima, si iscrive nel movimento di
avanzata della nave; ma, ai sensi del principio di relatività, questo movimento è “ come
nullo”. In altre parole, le cose avvengono a bordo della nave in movimento, come se essa
fosse immobile: le due posizioni della nave, quella iniziale e quella finale della caduta del
grave, rappresentano dei punti di vista identici nello svolgimento del processo; nei due
casi, la pietra cadrà esattamente ai piedi dell’albero.
La Terra non è più immobile
L’importanza di questo problema si spiega con il fatto che serviva tradizionalmente a
giustificare la supposta immobilità della Terra. In effetti, si diceva, questa è come una
nave; sostituiamo l’albero di questa nave con un alta torre: una pietra lasciata cadere dalla
cima di questa torre dovrebbe, se la Terra è in movimento, cadere “nella parte posteriore”
dei piedi della torre, come la pietra cade, per gli aristotelici “nella parte posteriore” dei
piedi dell’albero. Ma ciascuno può constatare che una pietra lasciata cadere dalla cima di
una torre cade esattamente ai piedi di questa. Questa dimostrazione permetteva dunque
agli aristotelici di concludere che avevano con ciò una prova sperimentale irrefutabile
dell’immobilità della Terra. È questo ragionamento che Galileo confuta applicando il suo
principio di relatività. Infatti, il fatto “sperimentale” della caduta della pietra ai piedi della
torre non prova nulla; ai sensi del principio di relatività, che la Terra sia o non sia
immobile, le cose avverranno sempre allo stesso modo: la pietra cadrà ai piedi della torre.
La confutazione è sottile. L’argomento consiste principalmente nel dimostrare che se la
Terra gira, nulla ci permette “di sentirla girare”: qualsiasi tentativo per mettere in evidenza
questo movimento può soltanto fallire. Non c’è da stupirsi, se così è, che la Terra abbia
potuto passare, lungo i secoli, per immobile; ma, dice Galileo, ciò non prova affatto che
essa lo sia. In altri termini, gli aristotelici sono liberi di negare il movimento della Terra, ma
non possono avanzare più come prova di ciò che affermano il fatto che una pietra liberata
della cima di una torre cada a suoi piedi. D’altra parte, dato che le osservazioni effettuate
per mezzo del cannocchiale mostrano evidentemente che la Terra ed i corpi celesti non
sono di una natura diversa, nulla si oppone più al fatto che la Terra sia anch’essa come i
corpi celesti, in movimento.
Nascita della fisica matematica
Il Dialogo ha questo di notevole: che le argomentazioni relative al movimento dei corpi (ed
in particolare alla loro caduta) sono mescolate deliberatamente a considerazioni
cosmologiche: lo studio delle leggi che, sulla Terra, disciplinano il movimento delle farfalle
e dei pesciolini serve anche a pensare la struttura cosmologica del mondo. La distinzione
aristotelica tra mondo sublunare, regno del deteriorabile e dell’alterabile, e mondo lunare,
luogo dei corpi celesti imperituri ed inalterabili (ci andò pure Astolfo sulla luna, nell’Orlando
furioso, a cercarvi il proprio senno inalterato), è superata, e con essa l’idea che i corpi
possano occupare luoghi “naturali”, determinata dalla loro composizione intima: allo spazio
pittoresco della vecchia fisica si è sostituito uno spazio omogeneo, così come lo
concepiamo oggi, dove, per tutti gli oggetti, tutti i luoghi sono equivalenti.
Una visione matematica del mondo
La fisica di Galileo suona anche la campana a morto della distinzione stabilita da Aristotele
tra matematica e filosofia naturale. Infatti, dire che le leggi alle quali sono sottoposti i corpi
celesti sono anche quelle che disciplinano il movimento dei corpi terrestri, è affermare che
l’astronomo non può più ritenersi pago di spiegare i fenomeni per mezzo di calcoli che si
basano su qualche ipotesi irragionevole: gli occorre ormai giustificare i suoi calcoli
confrontandoli alla realtà dei fenomeni osservabili quaggiù, sulla Terra. Del pari il filosofo
naturale non può più accontentarsi di spiegare l’accadere delle cose (dei loro fenomeni
fisici) invocando i “principi” inerenti alla loro natura; egli dovrà sottoporre il comportamento
degli oggetti terrestri al calcolo. Il filosofo deve farsi matematico, come il matematico deve
diventare filosofico. Galileo segna dunque il momento in cui la fisica moderna sorge
dell’unione di due discipline prima distinte: la filosofia naturale e la matematica. In questo
spirito occorre intendere la sua frase famosa secondo la quale «il libro della natura è
scritto nel linguaggio matematico».
Lo studio del movimento uniformemente accelerato
Molto prima della pubblicazione del Sidereus Nuncius, Galileo si era assegnato il compito
di comprendere la caduta dei corpi more geometrico,ossia in termini matematici. Si trova
nella sua ultima opera, Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze
un’ eco di queste preoccupazioni. All’inizio del terzo giorno de i Discorsi (che è in realtà un
dialogo, che mette in scena gli stessi personaggi di quelli del Dialogo), Salviati, che tiene
in mano uno dei primi scritti di Galileo (De motu locali, pubblicato a Padova nel 1590),
annuncia: «Mi propongo di fondare una scienza del tutto nuova su un argomento molto
vecchio. Osservazioni superficiali sono state condotte, come il fatto che il movimento
naturale di un corpo pesante in caduta, cade in modo accelerato uniforme. Ma quale
misura esatta si produca in quest’accelerazione non è stato ancora detto; per quanto io
sappia, nessuno fino ad ora ha fatto osservare che le distanze attraversate, durante
intervalli di tempo uguale, da un corpo che cade a partire da uno stato di quiete, sono tra
esse nella stessa relazione dei numeri dispari successivi a partire dall’unità».
Galileo è dunque alla ricerca di una rappresentazione quantitativa dell’accelerazione e, in
modo più generale, del movimento uniformemente accelerato. Segue allora la sua famosa
definizione della velocità istantanea come passaggio al limite, a partire dalla nozione
“comune” di velocità, facendo tendere gli intervalli di tempo verso zero - definizione che
poiché si fonda sull’infinitamente piccolo, presagisce l’introduzione del calcolo
infinitesimale nella scienza occidentale.
Il confronto con la Chiesa
Se ventidue anni, da 1610 a 1632, separano la pubblicazione del Sidereus Nuncius da
quella del Dialogo, ciò è dovuto a ragioni “politiche”, non scientifiche. Qualche tempo
dopo il suo ritorno a Firenze, nel 1611, Galileo, desideroso di dare alle sue scoperte
astronomiche un più grande risalto, si reca a Roma, dove è ricevuto paternamente dal
papa e dal Collegio romano dei Gesuiti. Ma tali incoraggiamenti non fanno che attizzare
l’odio degli avversari del “nuovo sistema” (copernicano), più numerosi di quanto Galileo
stesso si attendesse. Incoraggiato dai diversi appoggi di cui gode, osa anche affermare
che i racconti biblici («Fermati o sole» di Giosuè) non devono in alcun modo intervenire
nei dibattiti relativi alla natura, che esige per la sua comprensione la conoscenza del
linguaggio della matematica. È ciò che non può sopportare il partito dei devoti. A seguito di
diversi intrighi di corte, Galileo è convocato a Roma dinanzi al sant'Uffizio il 24 febbraio
1616.
L’opera di Copernico è messa all’Indice e Galileo riceve l’ingiunzione di tacere. Ferito
moralmente, si rifugia nello studio e nella redazione del Dialogo. Spera di potere uscire
dal suo ritiro volontario nel 1623 quando è eletto papa il cardinale Maffeo Barberini, che
fino a quel momento lo aveva sempre sostenuto. Ma, ragion di Stato intervenendo, il
nuovo papa lo convoca per comunicargli che, a dispetto dell’ammirazione che gli porta, e
tenuto conto del fatto che gli eretici riformati hanno per la maggior parte abbracciato le tesi
di Copernico, la tolleranza della Chiesa ha dei limiti. Galileo negozia allora la possibilità di
pubblicare il suo Dialogo, dove devono essere esposte in totale obiettività le due tesi
contrapposte. Il lavoro esce nel 1632, ma si fa osservare al papa che
le sue raccomandazioni non sono state osservate: nel Dialogo, il miglior ruolo è
assegnato a Salviati-Galileo, mentre Simplicio, l’aristotelico, è spesso volto in ridicolo. Il
papa si vede indotto ad istruire un processo a Galileo. Tuttavia, grazie ai numerosi
appoggi di cui egli dispone, sarà “soltanto” condannato a firmare un ritrattazione, quindi
assegnato al soggiorno obbligato nella propria residenza di Arcetri, nei pressi di Firenze. È
in questi frangenti che, nonostante una cecità crescente, redige i Discorsi intorno alle due
scienze nuove, che riesce a fare pubblicare nei Paesi Bassi nel 1638.
Galileo muore il 9 gennaio 1642.
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