Il cannocchiale All’inizio del Seicento si diffonde l’uso degli strumenti ottici, sia dei microscopi, sia dei telescopi. Entrambi verranno perfezionati nel corso dei decenni: i primi passeranno da dieci a cento ingrandimenti, consentendo la pubblicazione di libri con dettagliate illustrazioni delle parti minute di piante ed animali. Il nome dell’Accademia dei Lincei, fondata nel 1603 da Federico Cesi, contiene non a caso il riferimento alla vista acuta della lince. Il Cesi pubblicherà, nel 1625, un trattato zoologico ricco di tavole raffiguranti i dettagli ingranditi del corpo dell’ape. L’uso del telescopio fu lanciato da Galilei nel 1609: questi ne realizzò uno a 15 ingrandimenti che presentò al Doge Leonardo Donato come strumento di grande utilità in campo militare. Nella lettera di presentazione egli descrive l’oggetto con queste parole: “un nuovo artifizio di un occhiale cavato dalle più recondite speculazioni di prospettiva, il quale conduce gl’oggetti visibili così vicini all’occhio, et così grandi e distinti gli rappresenta, che quello che è distante, v.g. nove miglia, ci apparisce come se fusse lontano un miglio solo: cosa che per ogni negozio et impresa marittima o terrestre può essere di giovamento inestimabile; potendosi in mare in assai maggior lontananza del consueto scoprire legni et vele dell’inimico, sì che per due hore et più tempo possiamo prima scoprir lui che egli scuopra noi, et distinguendo il numero et la qualità de i vasselli, giudicare le sue forze, per allestirsi alla caccia, al combattimento o alla fuga; et parimenti potendosi in terra scoprire dentro alle piazze, alloggiamenti et ripari dell’inimico da qualche eminenza benché lontana, o pure anco nella campagna aperta vedere et particolarmente distinguere, con nostro grandissimo vantaggio, ogni suo moto et preparamento; oltre a molte altre utilità, chiaramente note ad ogni persona giudiziosa.” In seguito lo scienziato impiegò il cannocchiale soprattutto per le osservazioni astronomiche, che condussero a rivoluzionarie scoperte sulla natura dei corpi celesti. Galileo divenne Accademico Linceo nel 1611. Il Cesi, in un suo famoso discorso, dirà del telescopio: “tanto ci aggiunge la vista e tanto ci avvicina alle stelle e cose remotissime in un subito”. Ingrandendo la Via Lattea, quella che ad occhio nudo si presenta come una scia biancastra, e che gli antichi credevano fosse formata da etere denso, Galileo si accorse che essa era, in realtà, un ammasso di stelle. Nel Dialogo sui due massimi sistemi egli dirà: “le nebulose erano prima piazzette albicanti, ma poi noi co’l telescopio l’aviamo fatte diventare drappelli di molte stelle lucide e bellissime.” Il nuovo potente strumento permise di vedere insospettate rugosità sulla superficie lunare, di studiare le macchie solari, di cui Virgilio aveva parlato nelle Georgiche, e di vedere le fasi di Venere, che Copernico aveva previsto in linea teorica: “Venere sotto il sole si mostra falcata, e va puntualmente mutando sue figure nello stesso modo che fa la Luna.” Galileo avvistò quattro satelliti di Giove, di cui tratta il suo Sidereus Nuncius, e intravide qualcosa intorno a Saturno, che solo anni dopo Huyghens avrebbe potuto riconoscere come anelli. Nel Dialogo Galileo dirà: “Queste cose non possono essere comprese se non co’l senso della vista, il quale da natura non è stato conceduto a gli uomini tanto perfetto, che sia potuto arrivare a discerner tali differenze; anzi, pur lo strumento stesso del vedere a se medesimo reca impedimento: ma doppo che all’età nostra è piaciuto a Dio di concedere all’umano ingegno tanto mirabil invenzion, di poter perfezionar la nostra vista co’l multiplicarla, 4, 6, 10, 20, 30 e 40 volte, infiniti oggetti che, per la loro lontananza o per la loro estrema piccolezza, ci erano invisibili, si sono co’l mezo del telescopio resi visibilissimi.” Gli astri poterono essere visti con maggiore nitidezza che ad occhio nudo, in quanto non più “inghirlandati di raggi avventizii e stranieri, così lunghi e folti, che il lor nudo corpicello ci si mostra ingrandito 10, 20, 100 e mille volte di più di quello che ci si rappresenterebbe quando se gli levasse il capellizio radioso non suo”. Ciò permise di dare valutazioni più precise sul diametro delle stelle e sulle loro distanze dalla Terra. L’uso del cannocchiale fu fatale alla vista di Galileo, che lo puntava spesso verso il Sole, accrescendone così l’effetto abbagliante. Egli divenne completamente cieco. Contrariamente a quanto molti credono, Galileo non fu l’inventore del cannocchiale. Egli si limitò a mettere a frutto e perfezionare un progetto che già circolava in Europa. Non scrisse mai nessun trattato di ottica, diversamente da molti fisici e matematici dell’epoca, tra cui Cartesio, che nella sua Dioptrique descrisse persino il modo ottimale per lucidare le lenti, e Keplero, autore di ben due opere sulla teoria degli strumenti ottici. In una di queste, edita nel 1611, egli descrisse il cannocchiale usato da Galileo (ad oculare concavo) ed un altro, più efficiente, ad oculare convesso. Per questo egli rivendicò la priorità sull’invenzione. Pare, comunque, che essa spetti a Giambattista della Porta, che descrive una sorta di cannocchiale in una sua opera della metà del Cinquecento. (da: G. Manuzio, G. Passatore, Verso la fisica, Principato, Milano 1983) I cannocchiali posseduti da Galileo sono esposti a Firenze, nel Museo di Storia della Scienza. La storia del cannocchiale raccontata dal Leopardi Galileo Ferraris: studio di sistemi di lenti