Vorlesungsunterlage
Diritto penale, parte generale
Mauro Ronco | Francesco Antolisei
Generalità
Principio di legalità
Il principio nullum crimen, nulla poena sine lege è sancito dalla Costituzione nell'art. 25, 2°
comma: Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore
prima del fatto commesso. Da tale principio derivano importante conseguenze:
• un fatto non può considerarsi reato né sottoporsi a pena, se una legge dello Stato
non lo prevede come tale (riserva di legge)
• al fatto preveduto dalla legge come reato non si possono applicare che le pene
fissate dalla legge nei singoli casi
• il fatto deve essere previsto dalla legge in modo “espresso” e quindi, mentre non
può desumersi implicitamente da norme che concernono fatti diversi, la fattispecie
che lo descrive deve essere formulata con sufficiente determinatezza (tassatività)
Perciò, l'unica fonte del diritto penale è il diritto positivo.
Il principio di stretta legalità vale anche per le misure di sicurezza, come si desume dall'art.
25, 3° comma Cost, e dall'art. 199 cp.
Divieto di analogia nel diritto penale
− L'analogia in generale
Al procedimento di analogia si ricorre, quando il caso non è previsto dalla legge, cioè
quando il caso non rientra in nessuna delle ipotesi astratte formulate dal legislatore. Però,
il caso non contemplato deve avere in comune con quello previsto la ratio legis.
L'analogia si differenza dall'interpretazione estensiva, in quanto in quest'ultima il caso in
esame rientra nella ipotesi astratta configurata dal legislatore, sia pure che si danno alle
parole della legge un significato più ampio.
Nell'analogia, il caso in esame non può essere in alcun modo compreso nella
disposizione: il caso è fuori della norma.
− principio fondamentale
L'art. 1 cp stabilisce, che le leggi penali non si applicano oltre i casi ed i tempi in esse
considerati. Da questa norma deriva che il procedimento analogico è interdetto nei riguardi
delle norme penali in senso stretto, cioè rispetto alle disposizioni che prevedono i singoli
reati e stabiliscono le relative pene (c.d. divieto di analogia in malam partem).
Per quanto concerne i scriminanti (cause di giustificazione), è possibile ed ammissibile il
procedimento analogo: Carrara scrisse: “Per analogia non si può estendere la pena da
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caso a caso: per analogia si deve estendere da caso a caso la scusa”. Quello che vale per
le cause di giustificazione vale per le cause che escludono o diminuiscono l'imputabilità.
Struttura del reato
Nesso causale
− cosa dice articolo 40
L'art. 40 dice: Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato,
se l'evento dannoso o pericoloso, da cui dipende l'esistenza del reato, non è conseguenza
della sua azione od omissione.
Perciò, una modificazione del mondo esteriore che non prende alcun legame con la
condotta dell'uomo, un avvenimento che senza di essa si sarebbe verificato allo stesso
modo, non può considerarsi opera di lui, e non può essergli posto a carico.
In sintesi, l'art. 40 spiega soltanto il concetto di conseguenza, non da una risposta alla
domanda, cos'è il nesso causale.
− cosa vuol dire “condicio sine qua non”
La teoria condicio sine qua non, detta anche causalità condizionalistica (pubblicata dal
giurista von Buri nel 1873) dice che deve considerarsi causa ogni singola condizione
dell'evento, cioè ogni antecedente senza il quale il risultato non si sarebbe avverato.
Perciò, seguendo tale concezione, basta che l'uomo abbia posto in essere un antecedente
indispensabile per il verificarsi del risultato. Il codice penale ha accolto tale concezione,
dicendo nell'art. 41, 1° comma che le cause preesistenti, simultanee o sopravvenute non
escludono il rapporto di causalità, anche se si svolgono indipendenti dall'azione od
omissione del colpevole.
Si critica tale teoria per il rimprovero di una eccessiva estensione del concetto di causa,
in quanto tutte le condizioni costituiscono altrettante cause dell'evento. Perciò, bisogna
stabilire un criterio correttivo, che è contemplato nell'art. 41, 2° comma.
− concetto dell'evento
Per evento si intende il risultato della condotta umana, vale a dire, è evento l'effetto
naturale della condotta umana che è rilevante per il diritto. Dalla lettura dell'art. 40 esige,
che nel reato c'è sempre un evento (evento dannoso o pericoloso). Perciò, Ronco critica
sia la teoria di reati di pura condotta (Antolisei), dove apparentemente non c'è un
evento, ma invece c'è l'evento, in quanto p. e. l'evasione (un tipico esempio del reato di
pura condotta) costituisce un evento pericoloso – ma viene anche criticata la concezione
dell'evento giuridico (Riz), che non serve a niente, perché l'art. 40 menziona già la
classificazione di eventi: eventi dannosi o pericolosi. Perciò, la classificazione di evento
dannoso o giuridico è superfluo.
− rapporto tra condotta e evento: spiegazione secondo art. 40 e 41 e l'accertamento
del nesso causale
Si parte dall'idea della causalità condizionalistica (condicio sine qua non). Per chiarire,
quando una condotta fosse stata necessaria, si utilizza lo strumento del giudizio
controfattuale: eliminando mentalmente la condotta in questione, si fa un riguardo
all'evento, e si domanda, se il evento si sarebbe verificato senza l'interazione della
condotta in questione. Se l'evento si non sarebbe verificato, allora la condotta è una
condizione sine qua non – nell'altro caso invece, la condotta non rientra nel concetto di
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condizione necessaria. Per arrivare ad un risultato certo, logico e razionale, si deve
integrare il giudizio controfattuale con le leggi di copertura, cioè leggi scientifiche e
statistiche.
Il criterio correttivo, enunciato dall'art. 41, 2° comma dice che le cause sopravvenute, che
sono da sole sufficiente a determinare l'evento, escludono il rapporto di causalità. Antolisei
parla di cause eccezionale imprevedibile, ma Ronco preferisce la seguente descrizione: il
fatto eterogeneo che è in grado a cancellare le traccie della condotta antecedente,
esclude il nesso causale.
Coscienza e volontà
− quando viene meno
L'art. 42, al primo comma dice che ci deve essere coscienza e volontà (però qui si intende
volontà della condotta, non dell'evento). Questo implica la libertà di spontaneità, e se
non ci fosse, per esempio nei casi di forza maggiore o costringimento fisico, l'agente non
agisce, ma viene agito, nel senso che esso è strumentalizzato.
Questi stati non tolgono solo l'imputabilità, ma tolgono radicalmente la coscienza e volontà
della condotta, in quanto non c'è libertà d'agire. Invece nell'esempio di paranoia, c'è
invece la libertà d'agire, perciò siamo in presenza di volontà e coscienza della condotta.
Ma quello che manca è l'imputabilità, perciò non è rimproverabile.
In sintesi, nell'art. 42: data che non c'è libertà, non c'è reato. Invece nell'art. 85 (“Nessuno
può essere punito per un fatto preveduto come reato se non era imputabile”), può esserci
reato, ma può mancare l'imputabilità e perciò la rimproverabilità. Conseguentemente, il
reato sussiste, ma non viene applicata la pena, ma solo forse una misura di sicurezza.
− Forza maggiore
La forza maggiore è una causa soggettiva di esclusione del reato, in quanto esclude il
nesso psicologico richiesto dall'art. 42. Per forza maggiore si intende in generale ogni
forza esterna che determina la persona, in modo necessario ed inevitabile, ad un atto
positivo o negativo. L'uomo, infatti, viene totalmente strumentalizzato dalla forza maggiore,
e perciò, non sussiste responsabilità per i fatti dovuti a forza maggiore (art. 45).
− Costringimento fisico
Dalla forza maggiore si distingue il costringimento fisico, il quale non ne è che una forma:
si tratta di una forza maggiore, che non proviene dalle forze brute della natura, ma
dall'uomo. L'art. 46 dispone che non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato
da altri costretto, mediante violenza fisica, alla quale non poteva resistere o comunque
sottrarsi. In tal caso, il fatto commesso dalla persona costretta risponde l'autore della
violenza.
− capacità di intendere e volere
La capacità d'intendere e volere, anche detta imputabilità (art. 85) del soggetto, significa la
maturità e sanità mentale del reo. È uno stato della persona, una qualificazione
soggettiva del reo, che esiste indipendentemente dall'esistenza del reato.
Viceversa, la coscienza e volontà riguardano non uno stato della persona, ma il rapporto
fra il volere del soggetto ed un determinato atto, e perciò non è altro che una
qualificazione della condotta. Perciò, un individuo può essere imputabile (maturo e sano
di mente) e nel tempo stesso compiere il fatto senza coscienza e volontà, come avviene
nei casi di incoscienza involontaria, di forza maggiore e di costringimento fisico.
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− art. 46: minaccia contro violazione fisica
Il costringimento fisico implica una coartazione assoluta della volontà del paziente, al
quale è tolto ogni libertà di scelta. Non avendo la possibilità di resistere alla violenza, né di
sottrarsi ad essa, il coartato diviene una specie di longa manus, uno strumento del
coartatore ed a costui esclusivamente va attribuita la responsabilità penale.
Colpa
− art. 42 cosa dice
Dall'art. 42 1° comma si desume che per l'esistenza del reato colposo occorre anzitutto
un'azione commessa con coscienza e volontà, e cioè un comportamento attribuibile al
volere del soggetto.
Poi, nel secondo comma l'art. 42 dice che nessuno può essere punito per un fatto
preveduto dalla legge come delitto, se non l'ha commesso con dolo, salvi i casi di delitto
preterintenzionale o colposo espressamente preveduti dalla legge. Perciò, i casi di delitti
colposi devono essere espressamente previsti.
− colpa generica e colpa specifica
L'art. 43 menziona l'una accanto all'altra le dimensione della negligenza, dell'imprudenza,
dell'imperizia e dell'inosservanza di regole consolidate in un catalogo normativo. In questa
prospettiva si può distinguere tra colpa generica e colpa specifica: in entrambi situazioni
sta il difetto di diligenza.
Le regole di diligenza scaturite dall'esperienza sono raccolte in cataloghi quando le attività
obbiettivamente pericolose siano socialmente utili e ricorrano con frequenza nella vita
sociale. Quando invece le attività non siano socialmente utili ovvero non siano ancora
oggetto di pratica frequente, vuoi per la loro novità, vuoi per la loro marginalità in un
determinato contesto sociale, il supporto normativo specifico viene meno. Mai tuttavia
viene meno il supporto delle regole universali di diligenza che sono insite nel senso
comune e che costituiscono l'antemurale protettivo dei beni della vita, della salute e
dell'integrità personale.
Colpa generica: Nella vita sociale si verificano situazioni nelle quali da una attività diretta
ad uno scopo possono derivare conseguenze dannose per i terzi. L'esperienza comune
insegna che in questi casi bisogna usare determinate precauzioni, e per tal modo sorgono
delle regole di diligenza (regole di condotta, usi sociali). Il reato colposo nasce sempre
dall'inosservanza di talune di queste norme. L'infrazione giustifica nei confronti dell'agente
un rimprovero di leggerezza. Il giudice dice all'imputato: tu non sei stato cauto e diligente
come avresti dovuto. Perciò, l'essenza della colpa generica si ravvisa nella inosservanza
di norme sancite dagli usi allo scopo di prevenire eventi dannosi.
Scendendo ora alle singole qualificazioni di colpa generica, va detto che l'imprudenza è il
difetto di diligenza con riferimento ad una condotta attiva che non si doveva intraprendere
ovvero intraprendere con modalità diverse da quelle effettivamente utilizzate.
Negligenza, nell'accezione semantica ristretta della disposizione di cui all'art. 43, è
l'assenza di cura ed attuazione, di solerzia, con riferimento ad una condotta che avrebbe
dovuto essere realizzata, e che non si è realizzata.
Imperizia è non tanto l'ignoranza intellettuale o l'incapacità pratico/operativa, bensì la
speciale causa dell'imprudenza o della negligenza che richiedono conoscenze causali o
attitudini fisio/psichiche specialistiche.
Colpa specifica: Qui vengono violati norme espressamente prescritte dalle autorità, cioè
leggi, regolamenti, discipline ed ordini, e per la colpa specifica basta l'inosservanza di tale
norme.
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− art. 43
L'art. 43 definisce il delitto colposo nel seguente tenore: Il delitto è colposo, o contro
l'intenzione, quando l'evento, anche se preveduto, non è voluto dall'agente e si verifica a
causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi,
regolamenti, ordini o discipline.
Da questa definizione si desume che per l'esistenza del reato colposo occorre anzitutto
un'azione commessa con coscienza e volontà, poi la mancanza di quella volontà
dell'evento che caratterizza il dolo.
Ma ciò non basta, occorre inoltre che il fatto sia dovuto ad un'imprudenza, negligenza o
imperizia, ovvero a una inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline.
La colpa, al pari del dolo, è un atteggiamento antidoveroso e quindi riprovevole della
volontà: il soggetto aveva la possibilità e il dovere di essere cauto ed attento, mentre ha
agito con leggerezza, e tale modo di comportarsi giustifica la punizione del reato colposo.
− colpa cosciente
La colpa cosciente viene menzionata nell'art. 43 con le parole “contro l'intenzione, quando
l'evento, anche se preveduto, non è voluto”. Quindi, il soggetto-agente prevede la
possibilità del verificarsi dell'evento, ma è convinto ragionevolmente di poter evitare
l'evento, affidando nelle sue capacità.
La colpa cosciente è una specie di colpa grave e costituisce il confine al dolo: Infatti, il dolo
eventuale si avvicina molto al concetto della colpa cosciente, ma c'è una differenza
fondamentale: Si ha dolo eventuale, quando si prevede l'evento e si accetta il verificarsi
dell'evento, cioè si accetta il rischio. D'altro alto, si ha colpa cosciente, quando si prevede
l'evento, e pure accettando il rischio (ma non l'evento), si è sicuro di evitare l'evento.
− come si accerta la colpa
Per la colpa specifica basta la semplice violazione della norma, che è posto in essere per
evitare l'evento che si è realizzato.
Nella colpa generica devo valutare se tu avresti potuto prevedere ed evitare l'evento.
Perciò devo riferirmi ad un agente modello: come ti sei comportato tu, e come si sarebbe
comportato l'agente modello diligente. Quindi, qui colpa è sì soggettiva, ma dobbiamo
stare attenti a non soggettivare troppo, e questo accade avendo riguardo a un modello
oggettivo, che però deve essere l'agente assoluto di un certo settore, di un certo ambito.
Vale a dire: si valuta cosa avrebbe fatto l'agente modello (vista oggettiva), e si tiene
conto anche di caratteristiche soggettive (vista soggettiva).
Un problema: affidamento incauto. Esempio: Nella circolazione stradale io mi affido che gli
altri rispettino le regole. Normalmente se mi affido, non sono in colpa. Però: certe volte
non mi posso sempre ed ovunque affidare, perché se mi affido incautamente allora posso
essere in colpa. In tal caso si avrebbe assunzione colposa.
− spiegazione dei criteri “prevedibilità” ed “evitabilità”
Per determinare la misura di prevedibilità ed evitabilità (cioè, i criteri che formano le regole
di diligenza), occorre far riferimento all'agente modello, cioè all'uomo coscienzioso e
avveduto posto nella stessa situazione in cui si è trovato l'agente, appartenente al suo
medesimo ambito professionale e sociale (homo eiusdem professionis et condicionis).
Occorre far riferimento oltre alle capacità intellettive di previsione (c.d. capacità di
acquisire ed elaborare le cognizioni di carattere causale), altresì alle capacità pratiche, di
carattere fisio/psichico, di impedire il verificarsi dell'evento nel medesimo contesto in cui
si trovava l'agente.
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Va detto in ogni caso che prevedibilità ed evitabilità debbono essere verificate in concreto
ed ex ante, con l'osservatore che colloca se stesso nella stessa posizione dell'agente al
momento della condotta, confrontando l'agente reale con l'agente modello e tenendo
conto che non esiste un agente modello universale, valido per ogni tipo di attività, ma che
esistono tanti agenti modello quanti sono i distinti ambiti di attività ed i concreti gruppi di
rapporti e di interessi che danno vita a settori diversi di esperienza sociale.
Si deve prendere in considerazione la eventuale miglior conoscenza dell'agente circa i
processi causali, nonché la sua miglior capacità di previsione e le sue eventuali
maggiori capacità rispetto all'uomo comune in ordine al poter impedire l'evento, derivanti
dalla maggior esperienza.
La regola di diligenza formatasi alla stregua della prevedibilità ed evitabilità dell'evento
importa talora di astenersi del tutto dal compiere certe attività, talora impone di
guadagnare determinate informazioni prima di agire, talaltra di acquisire certe capacità
pratiche ed operative, talaltra di agire con cautele e precauzioni atte a neutralizzare il
pericolo, talvolta impone di comunicare ad altri le informazioni cautelari acquisite, talora di
scegliere adeguatamente i propri collaboratori o delegati, talvolta a vigilare o controllare il
corretto funzionamento.
È da tenere presente che la condotta diligente alternativa debba aver potuto impedire
l'evento in concreto verificatosi.
− chi è l'agente modello
L'agente modello è l'uomo coscienzioso e avveduto posto nella stessa situazione in cui si
è trovato l'agente, appartenente al suo medesimo ambito professionale e sociale (homo
eiusdem professionis et condicionis), con le capacità intellettive di previsione e le
capacità pratiche di impedire il verificarsi dell'evento nel medesimo contesto in cui si
trovava l'agente.
Si pensi al riguardo alla prontezza della reazione psichica al segnale di pericolo, all'abilità
manuale o alla freddezza psichica necessaria nell'esecuzione di un manovra di
emergenza per evitare un disastro, alla forza fisica indispensabile per compiere
un'operazione di salvataggio, alla acutezza visiva od acustica necessaria a compiere
un'operazione chirurgica o a percepire un difetto nel funzionamento di un motore.
Si deve tener presente che non esiste un agente modello universale, valido per ogni
tipo di attività, ma esistono tanti agenti modello quanti sono i distinti ambiti di attività ed i
concreti gruppi di rapporti e di interessi che danno vita a settori diversi di esperienze
sociali.
Cause oggettive di esclusione del reato
− legittima difesa
Art. 52, 1° comma: “Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto
dalla necessità di difendere un diritto proprio od altrui contro il pericolo attuale di una
offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionale all'offesa.” La ragione per cui la
legittima difesa esclude l'illiceità del fatto e, quindi, importa esenzione da pena, è che la
reazione è autorizzata dell'ordinamento giuridico, perché l'offesa all'aggressore è
indispensabile per salvare l'interesse dell'aggredito. Questo interesse per la comunità ha
un valore superiore a quello dell'aggressore, manca nel fatto quel danno sociale che
giustifica l'intervento dello Stato con la sanzione punitiva.
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Requisiti:
1 – Offesa ingiusta contro un diritto proprio o altrui: anche se prima provoco, posso
poi agire con legittima difesa, perché la provocazione non toglie l'antigiuridicità al fatto del
provocato. Difesa reciproca: Se uno mi aggredisce, ed io mi difendo legittimamente,
allora lui non può invocare legittima difesa, poiché il mio fatto non è ingiusto, in quanto la
legittima difesa ha tolto l'antigiuridicità del mio fatto. Soccorso in legittima difesa: Il diritto
offeso può essere anche un diritto altrui.
2 – Pericolo attuale: Non deve essere passato, né futuro, perché nell'ultimo caso posso
chiamare la polizia. P. e. se il rapinatore fugge con il bene, allora c'è ancora pericolo, però
non per vita, ma per il bene. Perciò, pericolo attuale c'è, quando c'è inflagranza e
quasiflagranza.
3 – La necessità di difendere: Il comportamento deve avvenire per motivi di difesa, e non
di aggressione. L'inevitabilità altrimenti non è richiesto nella legittima difesa, ma al
riguardo dello stato di necessità: quando è possibile un'altra via, p. e. fuga, allora si deve
usare questa. Si potrebbe pensare, che quindi la fuga non è necessaria, ed è questa
l'interpretazione sistematica secondo la legge. Però certi autori dicono che la fuga non è
un obbligo, ma il commudus discessus deve essere seguito. Secondo Ronco, questo in
parte è ben giusto, perché se hai un commudus discessus, ma non te ne vai, allora non
hai una volontà esclusiva difensiva, bensì aggressiva.
Però, la dottrina e la giurisprudenza interpretano quel “costretto dalla necessità” come se
ci sarebbe “inevitabilità altrimenti”. Invece Ronco dice che questo è troppo rigoroso, dato
che tale requisito non è richiesto.
4 – Proporzione: prima si voleva proporzione tra i mezzi usati e i mezzi a disposizione,
vale a dire: se non hai diversi mezzi, puoi anche usare un mezzo violente. Questo
principio valeva fino agli anni '60. Dopo però Cassazione e dottrina hanno adottato la
seguente interpretazione: dev'esserci proporzione tra i beni in gioco. Ma dobbiamo
cercare che non sia solo giudizio astratto, ma anche le modalità e le circostanze specifiche
della situazione complessiva. Quindi, il giudizio sulla proporzionalità è affidato al giudice,
che deve valutare tutta la situazione complessiva.
Art. 52, nuovo comma (2° comma): Secondo Ronco, questo è nuovo scriminante. Se c'è
violazione di domicilio (abitazione, privata dimore, appartenenza), sussiste il rapporto di
proporzione al riguardo della legittima difesa, se taluno legittimamente usa un arma
(legittimamente detenuta) al fine di difendere:
• L'incolumità, cioè vita, integrità, libertà etc. Quindi: quando c'è minaccia contro
l'incolumità, c'è sempre proporzione, anche se si sacrifica una vita con qualunque
mezzo.
• I beni propri ed altrui, quando non vi sia desistenza, o quando vi è pericolo di
aggressione alla persona. Qui la minaccia è in primo luogo contro il patrimonio, e
solo dopo l'intervento del soggetto (invito a desistere) nasce la minaccia contro lui.
− stato di necessità
Qui non viene leso il diritto dell'aggressore (come invece nell'ipotesi di legittima difesa),
ma è offeso un estraneo, una persona che non ha determinato la situazione di pericolo.
Il fondamento dello stato di necessità può ravvisarsi, come nella legittima difesa, nella
mancanza di danno sociale. Questa mancanza appare evidente allorché il bene
sacrificato ha un valore minore di quello salvato. Essa però si verifica anche quando i due
beni hanno lo stesso valore. L'azione della persona in pericolo, in tal caso non peggiora la
situazione nei confronti della comunità sociale, perché ha il solo effetto di far incidere
l'offesa di un soggetto anziché di un altro. La situazione di stato di necessità può
coesistere con quella della legittima difesa, perciò il terzo può invocare la legittima difesa
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per difendersi. Infatti, Ronco dice che lo stato di necessità non è una giustificante, ma solo
una scusante!
Requisiti delle situazione di pericolo
• Occorre anzitutto un pericolo attuale, e cioè si richiede che la probabilità
dell'evento temuto sussista nel momento del fatto.
• Oggetto del pericolo dev'essere un danno grave alla persona. Rientrano non solo
il danno alla vita a all'integrità fisica, ma anche i beni della libertà fisica e morale,
dell'inviolabilità sessuale, del pudore e dell'onore. Non è sufficiente però che un
danno qualsiasi minacci la persona: occorre che tale danno sia grave.
• È necessario che la situazione di pericolo non sia causata volontariamente
dall'agente.
• Si esige che il soggetto non abbia un particolare dovere di esporsi al pericolo
Requisiti dell'azione lesiva
• Il fatto commesso deve essere assolutamente necessario per salvarsi, vale a
dire, il pericolo non deve essere altrimenti evitabile (interpretazione restrittiva)
• L'azione lesiva dev'essere proporzionata al pericolo. Siccome l'azione si rivolge
contro un terzo innocente, il giudizio sulla proporzione dev'essere più rigoroso che
nella legittima difesa: il pericolante ha l'obbligo di comportarsi con la massima
moderazione
− uso legittimo delle armi
L'art. 53 primo comma dice: “Non è punibile il pubblico ufficiale che, al fine di adempiere
un dovere del proprio ufficio, fa uso ovvero ordina di far uso delle armi o di un altro mezzo
di coazione fisica, quando vi è costretto dalla necessità di respingere una violenza o di
vincere una resistenza all'Autorità e comunque di impedire la consumazione dei delitti di
strage, di naufragio, sommersione, disastro aviatorio, disastro ferroviario, omicidio
volontario, rapina a mano armata e sequestro di persona.” Questa scriminante è ammessa
solo a favore dei pubblici ufficiali. L'uso delle armi e di altri mezzi di coazione fisica è
consentito anzitutto quando sia indispensabile per respingere violenza. Non si tratta
della legittima difesa, ma di un potere più ampio che trova la sua ragione nella necessità di
tutelare l'autorità ed il prestigio delle persone che esercitano una pubblica funzione.
Perciò, la reazione non è subordinata al limite della proporzione con la minaccia.
Tuttavia, l'art. 54 esige espressamente che l'agente sia stato costretto all'uso delle armi
dalla “necessità”. Quindi, anche per i pubblici ufficiali l'uso delle armi costituisce in ogni
caso una extrema ratio.
L'uso delle armi è consentito in secondo luogo anche quando sia necessario per vincer
una resistenza all'Autorità. Non basta una resistenza meramente passiva, occorre che la
resistenza si concreti in un atteggiamento minaccioso.
Forme di manifestazione del reato
Tentativo
− cos'è la consumazione
Il concetto di consumazione esprime la piena conformità del fatto posto in essere
dall'uomo all'ipotesi astratta delineata dal legislatore. In altri termini: il reato è consumato,
quando il fatto concreto risponde esattamente e compiutamente al tipo astratto delineato
dalla legge in una norma incriminatrice speciale.
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− Tentativo: cosa dice il libro
Il tentativo è punito in quanto non si realizza una lesione, ma la messa in pericolo.
Da un punto di vista soggettivo esiste la volontà di compiere il reato. Quindi, non c'è
differenza nella volontà tra delitto tentato e consumato. Da un punto di visto oggettivo c'è
una fattispecie incompleta, o perché non c'è condotta, o perché non si verifica l'evento.
Il tentativo è una figura autonoma, una forma di manifestazione del reato. L'articolo (art.
56) si applica in combinazione del delitto previsto nella parte speciale. Perciò, non è
valutata come circostanza attenuante.
Per quanto riguarda la punibilità, la dottrina ha elaborata tre teorie
• teoria oggettiva: il tentativo viene punito, perché il bene tutelato è stato messo in
pericolo
• teoria soggettiva: il tentativo viene punito, perché il soggetto ha manifestato una
volontà colpevole
• teoria intermedia (dottrina maggioritaria): Se tiene conto di entrambi gli aspetti, e
perciò si realizza una messa in pericolo del bene tutelato, e la volontà
colpevole è perfetto.
− requisiti del tentativo
Ci sono due requisiti: atti idonei in modo non equivoco a commettere un delitto.
Gli atti idonei: si tratta di un requisito oggettivo, e un atto è idoneo, quando in una
prospettiva ex ante l'atto riveste in relazione al delitto un sicuro valore causale. Vale a
dire, esso è idoneo, quando se non si sarebbe verificata un'interruzione, allora l'evento si
sarebbe verificato. L'atto deve risultare idoneo nel caso concreto, e non in astratto. Perciò,
si deve tenere conto di tutte le circostanze.
Ai fini della punibilità, basta l'idoneità dell'atto singolo, cioè basta che sia effettuato un atto
idoneo, affinché si ha responsabilità penale. Riassumendo, atti idonei sono gli atti tipici
previsti dalla fattispecie prevista, che sono idonei a offendere il bene giuridico ex ante.
L'univocità è l'altro presupposto. L'atto realizzato deve rilevare univocamente l'intento
delittuoso della gente. Esempio: Portare una pistola in tasca non è atto univoco. Ma
sparare è atto univoco. Dall'atto stesso deve risultare univocamente la condotta e deve
risultare che un eventuale ripensamento appare improbabile. Un atto è soltanto univoco se
possiede un chiaro significato finalistico, percepibile da ogni osservatore esterno, se
questo si colloca successivamente alla fase dell'ideazione e prima della consumazione del
delitto. In sintesi: Non basta che la volontà colpevole sussiste nella mente, ma l'atto
materiale deve manifestarsi univocamente.
− desistenza e recesso attivo
Desistenza: L'art. 56, al terzo comma dice: il colpevole che volontariamente desiste
dall'azione... Il presupposto: L'azione non ci sia ancora compiuta, questo desistere (non
compimento dell'azione) dipende dalla volontà del soggetto. Tale interruzione, che ha per
conseguenza che l'azione non ci sia compiuta, dev'essere volontariamente compiuta,
vale a dire: per la sua libera scelta ha optato di non compiere l'azione. In sintesi, è
necessario che l'azione non ci sia compiuta, e la volontarietà (libera scelta).
Recesso attivo: L'art. 56, al quarto comma: L'azione è stata compiuta, ma il soggettoagente impedisce l'evento, cosicché l'evento non si verifichi. Anche qui occorre, che il
soggetto abbia volontariamente impedito l'evento. Esempio: avveleno il cibo, ma toglio il
piatto, o chiamo l'ambulanza cosicché non si verifichi la morte.
Attenzione ! Non confondere il recesso attivo con ravvedimento attivo (art. 62, 6)
• Nel ravvedimento attivo si è verificato l'evento, ma cerco di ripararlo
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Nel recesso attivo, non si verifica ancora l'evento, perciò rimane tentativo.
− diminuzione prevista
Il reato tentato viene punito meno del reato consumato. Se è stabilito la pena
dell'ergastolo, si applica la reclusione non inferiore a 12 anni. Negli altri casi, la pena
stabilita è diminuita da un terzo a due terzi.
La desistenza importa di regola l'impunità, salvo che gli atti compiuti costituiscono un
reato diverso. Il recesso attivo invece importa solo una diminuzione della pena stabilita
per il reato tentato (da un terzo alla metà).
Concorso di persone nel reato
− le teorie
Per la spiegazione dell'istituto del concorso di persone, la dottrina ha elaborato diverse
teorie.
La concezione causale fa richiamo all'equivalenza causale tra le condotte dei
concorrenti. La teoria dell'accessorietà promette di rispettare il principio di tassatività,
senza però comprimere eccessivamente l'esclusione della responsabilità ex art. 110 con le
condotte atipiche rispetto alla fattispecie di parte speciale, benché rilevanti sotto il profilo
dell'offesa. Posto che la rilevanza di qualsiasi contributo dipenda dall'individuazione di un
autore principale, che, in ogni caso, dovrà aver posto in essere un fatto tipico, come
nell'accessorietà minima, un fatto tipico e antigiuridico nella variante dell'accessorietà
limitata; un fatto tipico, antigiuridico e colpevole nella variante della c.d. accessorietà
estrema; un fatto tipico, antigiuridico, colpevole e punibile secondo la c.d.
iperaccessorietà.
La teoria della fattispecie plurisoggettiva eventuale è la teoria oggi prevalente, propone
di configurare una nuova tipicità, nascente dall'incontro delle singole disposizioni sul
concorso di persone con le singole fattispecie incriminatrici.
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− unità del reato
Esistono due modelli, cioè quello tendenzialmente unitario, che prevede un trattamento
uniforme per tutti i soggetti che concorrono nel reato, e quello tendenzialmente
differenziato, dove si articola la definizione del concorso in diverse tipologie e a queste
fanno corrispondere diversi livelli di pena.
L'ordinamento italiano segue il modello unitario.
− Realizzazione di un fatto: cosa dice la dottrina
Per l'integrazione dell'illecito plurisoggettivo è necessaria la commissione di un reato, in
assenza della quale le condotte poste in essere restano prive di rilevanza penale. Tale
condizione necessaria per l'integrazione della fattispecie concorsuale è ricavabile
direttamente dall'art. 115, che sancisce la punibilità dell'accordo e dell'istigazione a
condizione che sia commesso il reato.
La realizzazione di un fatto di reato è possibile anche nella forma del tentativo. Il fatto può
essere realizzato da un concorrente al quale si leghi l'opera degli altri, oppure da tutti i
concorrenti in modo completo, o ancora da tutti i concorrenti in modo tra loro frazionato o
complementare.
Il reato può essere, in termini generali, sia un delitto e sia una contravvenzione. Nella
norma quadro sul concorso, l'espressione “medesimo reato” comporta la possibilità di
applicare l'istituto tanto ai delitti quanto alle contravvenzioni, salva peraltro l'esigenza di
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considerare sia la diversità di disciplina che opera con riguardo al concorso morale, sia la
cooperazione colposa.
− partecipazione, il problema del nesso causale
Ciascuno concorrente, per rispondere del medesimo reato ex art. 110, deve aver
contribuito alla sua realizzazione. Il contributo deve essere apprezzabile sotto il profilo
causale, anche se la ricostruzione in chiave causale del concorso è oggetto di opinioni
differenti nessuna delle quali supera indenne le obiezioni. In ogni caso, quello che non può
mancare è l'esteriorità del contributo: in assenza di una manifestazione esteriore della
propria partecipazione al reato, il soggetto non potrà essere considerato concorrente.
Il concorso materiale: La clausola generale dell'art. 110 assegna rilevanza a qualsiasi
condotta accessoria, ponendo il problema dei requisiti minimi del contributo punibile, da
selezionare anche rispetto a comportamenti adesivi ma inefficaci rispetto alla commissione
del reato, così come rispetto a comportamenti autonomamente convergenti, dal solo punto
di vista causale, verso il medesimo risultato.
La figura del concorso morale è la forma di concorso che si pone sul piano della
interazione psicologica tra gli individui, a partire dalla già segnalata esigenza di
manifestazione in concreto della partecipazione al reato fornita sul piano motivazionale:
tanto induce a ritenere rilevanti a titolo di concorso solo atti esteriori di consenso e di
insorgenza del proposito criminoso altrui, che riescano ad incidere sul contesto
motivazionale che è alla base di una condotta criminosa. Dal concorso morale, vanno
distinti la semplice connivenza e il mero fiancheggiamento, non idonei rispetto alla
configurazione di un collegamento psicologico penalmente rilevante.
− requisito psicologico del concorso
Per l'esistenza del concorso nel delitto vigente non è necessario che i soggetti si siano
preventivamente accordati per commettere il reato: basta anche l'accordo d'improvviso,
che si manifesti durante l'esecuzione del reato.
La volontà di cooperare implica due elementi:
1) la conoscenza o la rappresentazione delle azioni che altre persone hanno esplicato,
esplicano o esplicheranno per la realizzazione del fatto
2) la volontà di contribuire col proprio operato al verificarsi del fatto medesimo.
La consapevolezza del concorso altrui è indispensabile: se i vari soggetti operano l'uno
all'insaputo dell'altro, le rispettive azioni difettano di ogni legame, cioè sono del tutto
indipendenti.
Oltre all'elemento conoscitivo, occorre la volontà di contribuire col proprio operato alla
realizzazione del fatto. Tale volontà è indispensabile. La forma di realizzazione della
volontà può manifestarsi in diversi modi: l'azione, omissione, concorso fisico, concorso
psichico. Per quanto riguarda l'istigazione, essa deve essere indirizzata ad un determinato
soggetto o per lo meno ad una cerchia circoscritta di persone. Altrimenti può verificarsi il
reato previsto nell'art. 414 (istigazione a delinquere), ma non la compartecipazione.
− possono variare le pene
Nell'individuazione e commisurazione della pena da comminare al singolo concorrente, un
ruolo essenziale va attribuito sia ai criteri di cui all'art. 133, sia alle circostanze comuni
all'uopo ravvisabili. Per queste ultime, il legislatore ha stabilito il regime di imputazione
previsto dagli artt. 118 e 119.
La realizzazione in forma plurisoggettiva di un reato non presenta peculiarità strutturali con
riferimento alle circostanze comuni, sicché il concorso di persone nel reato circostanziato
non determina alcun ulteriore selezione di condotte concorsuali, e si poggia sulla già
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acquisita natura concorsuale dei fatti da regolamentare.
Il legislatore ha previsto anche delle circostanze speciali per la disciplina del concorso di
persona, cioè le circostanze previste negli artt. 111, 112, 113 2° comma e 114.
L'art. 111 prevede un aumento di pena per chi abbia determinato a commettere il reato
una persona non imputabile, oppure non punibile a cagione di una condizione o qualità
personale. Il capoverso aggiunge un più cospicuo aumento di pena per il genitore
esercente la potestà, sempre che il determinato sia non imputabile o non punibile.
L'art. 112 nel primo comma rappresenta un'aggravante di frequente applicazione, e ciò
quando concorrono cinque o più persone. La circostanza opera solo se al numero di
persone non venga assegnato rilievo dalle circostanze speciali delle singole ipotesi
criminose, e sempre che il reato aggravato non richiede per la sua integrazione un certo
numero di persone. Le altre aggravanti merita il trattamento sanzionatorio severo per chi
abbia avuto un ruolo di spicco nell'organizzazione del reato, eventualmente rispetto a
soggetti deboli che sono stati indotti al reato.
Quanto alle attenuanti, esse sono tutte facoltative, ad eccezione dell'art. 116, 2° comma,
che prevede una diminuente in senso stretto per l'ipotesi del concorrente chiamato a
rispondere di un reato diverso da quello voluto e più grave di quello voluto. Alcune
circostanze attenuanti riflettono in modo speculare la logica delle corrispondenti
aggravanti, come nell'ipotesi del concorrente che sia stato determinato a commettere il
reato.
L'attenuante di maggior rilievo teorico è però senz'altro quella prevista dall'art. 114, che
riguarda l'ipotesi del contributo di minima importanza nella preparazione o esecuzione
del reato. Nel 2° comma è previsto, che l'attenuante della c.d. minima importanza è
inapplicabile alle ipotesi di concorso aggravato ai sensi dell'art. 112.
− Cooperazione nel delitto colposo: quando vi è cooperazione
Il concorso colposo in fatto colposo trova espressa disciplina nell'art. 113. Punto di
partenza è l'esigenza, per la punibilità di un delitto a titolo di colpa, della previsione
legislativa espressa, ex art. 42, 2° comma. norma che chiarisce l'apertura ad ipotesi prima
escluse dal concorso.
Il requisito psicologico peculiare del concorso colposo è la consapevolezza di cooperare
con altri nella produzione dell'evento, senza consapevolezza dell'evento stesso. La
cooperazione ex 113 richiede altresì l'interconnessione eziologica tra le condotte
colpose: è sotto questo profilo che il concorso colposo si differenzia dal concorso di cause
colpose indifferenti.
Si può configurare l'ipotesi sia tra condotte di concorso materiale sia tra condotte di
concorso morale e condotte di concorso materiale. Basti pensare al caso dei soggetti che
svolgano una gara automobilistica cui segua, come effetto non voluto, la morte di un
pedone; ovvero al caso in cui un soggetto imprudentemente inciti il conducente
dell'autovettura a superare i limiti, ed effettivamente dal superamento dei limiti derivi
l'investimento di un motociclista.
− Reato diverso da quello voluto
L'art. 116 estende nel 1° comma la responsabilità al concorrente che non abbia voluto il
reato realizzato dagli altri, quando l'evento sia conseguenza della sua azione od
omissione. Se tuttavia il reato realizzato è più grave di quello voluto dallo soggetto, la pena
è diminuita nei suoi confronti (2° comma).
Il soggetto deve rispondere per l'evento diverso da quello voluto, solo ove si tratti di un
evento non del tutto imprevedibile, rispetto alla condotta posta in essere (sviluppo logico).
Questo criterio di prevedibilità consente di rendere il disposto normativo compatibile alla
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norma costituzionale (art. 27 Cost), purché non si intenda il criterio della prevedibilità in
senso meramente astratto (limitato cioè al mero raffronto teorico tra il reato voluto e quello
realizzato, a prescindere da un'indagine sulla concreta dinamica della realizzazione del
fatto). Il giudizio di prevedibilità va piuttosto formulato sulla base di tutte le circostanze del
caso concreto, utilizzando il parametro dello “spettatore avveduto” od “osservatore
esperto”, in modo da attribuire rilievo decisivo alle modalità dell'accordo originario
intercorso tra i concorrenti e a quelle dell'esecuzione del piano concordato.
− agente provocatore
L'agente provocatore è l'appartenente alle forze dell'ordine o il privato cittadino che istiga o
provoca la commissione di un reato al fine di favorire la cattura dei correi senza che il
reato si verifichi.
La creazione legislativa di ipotesi speciali pone il problema di valutare se si tratti di
deroghe all'ipotesi generale o piuttosto di indicazioni utili a definire la nozione generale di
agente provocatore, nota alla letteratura sul concorso di persone. In questo contesto si
discute se gli atti posti in essere dall'agente provocatore rilevino nel reato concorsuale
tentato e a quale disciplina debbono soggiacere se l'attività dei soggetti istigati si spinge
oltre la fase del tentativo.
Sotto il primo aspetto sembra corretto sostenere che la condotta dell'agente provocatore,
pur apparentemente qualificabile, dal punto di vista oggettivo, come istigazione o come
contributo materiale di ausilio, in realtà, difetta del requisito subiettivo, sicché non integra
gli estremi del concorso. Perciò, l'agente provocatore non andrà soggetto a pena dal
momento che vi è solo ed unicamente un tentativo di concorso; salva l'applicazione di
cause di giustificazione ad hoc, il concorso dell'agente nella consumazione del reato dà
luogo alla responsabilità ex art. 110 ss.
− 110 e 119: quali problemi ci sono
Nell'ambito del concorso di persone, le circostanze di esclusione della pena pongono un
preliminare problema definitorio ed un conseguente problema di disciplina.
Per il primo profilo è significativa l'assenza di indicazioni specifiche della materia
concorsuale, ragione per cui si può impiegare la nozione comune di circostanza di
esclusione della pena.
Per quanto riguarda la norma dell'art. 119, essa specifica che le circostanze di esclusione
della pena soggettive siano efficaci nei confronti del solo soggetto al quali si riferiscono e
che le circostanze oggettive producano effetti nei confronti di tutti coloro che sono concorsi
nel reato. Perciò, la norma distingue tra circostanze oggettive e soggettive, che è
problema assai complesso e non esclusivo della materia concorsuale.
Secondo la prevalente dottrina, il criterio distintivo necessario al funzionamento dell'art.
119 va ricostruito sulla base della natura giuridica delle circostanze: le cause di
giustificazione hanno di regola natura oggettiva, e conseguentemente rendono il fatto
lecito per tutti i concorrenti, dal momento che tutti partecipano alla salvaguardia di un bene
ritenuto dall'ordinamento prevalente rispetto a quello presidiato dalla norma incriminatrice.
Le cause di esclusione della colpevolezza, in quanto strutturalmente riferite alla
rimproverabilità personale del soggetto che ha commesso il fatto, hanno invece natura
soggettiva e sono conseguentemente riferibili al solo autore della condotta, e non ai
concorrenti.
Istigazione e accordo
− quando è punibile l'accordo
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La figura dell'accordo ricorre quando tra più soggetti intercorra un accordo di tipo
negoziale avente ad oggetto la realizzazione di un reato. Non è sufficiente ad integrare
questa forma con il concorso di semplice “essere d'accordo”; occorre piuttosto, che
ciascun concorrente si impegni a svolgere un ruolo nella commissione del delitto, o
pianifichi di trarne un qualche vantaggio o di sopportarne, in tutto o in parte, i costi di
esecuzione, o, infine, quanto meno si impegni a prestare la propria disponibilità, ove
occorra, a fare quanto necessario perché il reato giunga al compimento.
La commissione del reato concordato rende responsabili dello stesso tutti coloro i
quali hanno partecipato all'accordo, mentre la mancata commissione del reato
concordato consente semplicemente di sottoporre i soggetti ad una misura di sicurezza,
sempre che si sia trattato di accordo per commettere un delitto e che il giudice accerti la
pericolosità sociale del soggetto.
L'accordo è semplicemente una forma di concorso morale, che può mancare senza
pregiudicare la rilevanza concorsuale di una situazione concreta. Si deve ritenere che
l'eventuale previo concerto tra i concorrenti possa valere a misurarne la colpevolezza ai
fini della graduazione della pena. In ogni caso un accordo tra i concorrenti precedente la
realizzazione del reato è tuttora indicato come la forma più comune di concorso doloso in
fatto doloso.
− istigazione: come è trattata ex art. 115
L'istigazione è una sollecitazione alla commissione del reato da parte di un soggetto, il
c.d. istigatore, nei confronti di altro soggetto, il c.d. istigato.
L'art. 115 dispone che del reato realizzato dall'istigato risponderà, in concorso con questi,
anche l'istigatore. Non è necessario che il reato sia consumato; è sufficiente il tentativo.
Dall'istigazione non seguita dalla commissione del reato non scaturisce la responsabilità
penale: all'istigatore, tuttavia, può essere applicata una misura di sicurezza, sia nel caso
in cui l'istigazione sia stata accolta, sia nel caso in cui non sia stata accolta qualora si tratti
di istigazione a commettere un delitto.
Distinta dalla nozione di istigazione è quella di determinazione: la prima si ritiene che
definisca il rafforzamento di un proposito criminoso preesistente, la seconda si ritiene che
consista nel far sorgere un proposito criminoso prima inesistente. Ai fini della
individuazione del contributo concorsuale, è in ogni caso preferibile indicare unitariamente
come istigazione l'incitamento alla commissione di un reato nelle varie forme ed intensità
che può presentare.
Circostanze
La funzione degli elementi circostanziali è quella di accostarsi a una fattispecie di reato già
perfetto nella sua struttura, determinando non già un nuovo e differente reato autonomo,
ma un'ipotesi circostanziata del reato-base, cui si ricollega una modificazione degli
effetti sanzionatori al fine di un maggior adeguamento della pena alle particolari note
caratteristiche presentate, ulteriormente ai profili strettamente integrativi degli elementi
essenziali, da quel fatto di reato e da quel soggetto agente.
È proprio la loro estraneità agli elementi essenziali del reato-base ad aver attribuito alle
circostanze, nelle più diffuse ed autorevoli trattazioni, la definizione di elementi
accidentali, od accessori, del reato.
− criteri di classificazione
Un primo criterio attiene alla contrapposizione di fondo tra circostanze aggravanti ed
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attenuanti, alle quali segue, cioè, rispettivamente, un aumento e una diminuzione della
pena edittale prevista per il reato-base. L'aumento o la diminuzione possono essere di
natura quantitativa o di natura qualitativa.
Altro strumento classificatorio è quello che distingue le circostanze comuni (ravvisati negli
artt. 61 e 62) – previste per un numero non determinato di reati e dunque applicabili a tutte
le fattispecie criminose salvo quelle nei cui confronti evidenzino uno specifico stato
d'incompatibilità logica – da quelle speciali, cioè previsti dal legislatore per incidere
solamente su alcuni reati espressamente indicati.
Si distingue, inoltre, tra circostanze oggettive e soggettive. Sotto la prima categoria
devono ricondursi quelle che concernono profili attinenti alla condotta ed ai suoi effetti:
secondo il dettato del 1° comma, n.1, dell'art. 70, “la natura, la specie, i mezzi, l'oggetto, il
tempo, il luogo ed ogni altra modalità dell'azione, la gravità del danno o del pericolo,
ovvero le condizioni e le qualità personali dell'offeso”. Sono invece circostanze soggettive
quelle attinenti agli stati soggettivi del reo, e alle sue caratteristiche e qualità personali, e
perciò la intensità del dolo o il grado della colpa, o le condizioni e le qualità personali del
colpevole, o i rapporti fra il colpevole e l'offeso.
Si distingue inoltre, tra circostanze obbligatorie e facoltative, o discrezionali a seconda
che il loro accertamento imponga al giudicante, o lasci semplicemente alla sua
discrezionalità, la conseguente modifica della sanzione. Rientrano nella prima categoria
tutte le aggravanti ed attenuanti comuni ex art. 61 e 62, le aggravanti speciali previsti dagli
artt. 576 e 577 per l'omicidio e dall'art. 625 per il furto. Nella seconda, p. e., la recidiva (art.
99), le attenuanti ex artt. 114 e 117, ultimo periodo, nonché per loro stessa natura, le
attenuanti generiche previste dall'art. 62.
Un ulteriore distinzione è quella tra circostanze ad efficacia comune e ad efficacia
speciale, nell'ambito della quale confluiscono ulteriori, differenti momenti suddistintivi. Si
tratta di categorie rilevanti ai fini del criterio d'applicazione degli aumenti o diminuzioni di
pena, secondo la disciplina dell'art. 63 e in parte 69. Fanno parte delle circostanze ad
efficacia comune tutte quelle che producono l'effetto dell'aumento o diminuzione fino ad
un terzo della pena prevista per il reato-base. Invece la categoria delle circostanze ad
efficacia speciale prevede meccanismi determinativi della variazione di pena differenti da
quel criterio precedentemente esposto: non solo le circostanza ad effetto speciale
caratterizzate da un aumento o una diminuzione della pena superiore ad un terzo, come
nel caso della recidiva reiterata, ma anche nelle sotto-categorie delle circostanze
autonome (che spostano la pena di specie diversa da quella prevista per il reato semplice,
come p. e. invece di reclusione, si infligge l'ergastolo), delle circostanze ad effetto
proporzionale (determinazione su base proporzionale), delle circostanze indipendenti
(caratterizzati da un'enunciazione della cornice edittale svincolata da quella del reato
base, come p. e. furto aggravato previsto dall'art. 625).
Altri criteri classificatori su base dottrinaria:
Il criterio di distinzione tra circostanze intrinseche ed estrinseche a seconda che esse
incidessero su elementi costitutivi del reato (p. e. art. 61, n.7 e 62, n.4 e 5) o attenessero,
invece, a profili ad esso estranei, p. e. perché antecedenti (come la recidiva) o successivi
al fatto tipico.
Un'altra distinzione riguarda le circostanze definitive e quelle indefinite. Le prime sono
quelle i cui elementi costitutivi sono descritti espressamente dalla legge, come tutte le
aggravanti ed attenuanti comuni previsti dagli art. 61 e 62. Per le seconde il legislatore,
invece, non offre una tipizzazione dei fatti integranti la circostanza, rimettendone
l'individuazione alla discrezionalità del giudice, come p. e. le circostanze attenuanti
generiche ex art. 62bis.
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− Imputazione delle circostanze
La riforma dell'art. 59 nel 1990 ha adeguato il regime d'imputazione delle circostanze
aggravanti al principio di colpevolezza, ponendole a carico dell'agente soltanto se da lui
conosciute ovvero ignorate per colpa o ritenute inesistenti per errore determinato da colpa.
L'elemento circostanziale aggravatore potrà essere imputato all'agente unicamente in
presenza della colpa, requisito minimo dei colpevolezza.
Per quanto riguarda le circostanze che attenuano o escludono la pena, esse sono
valutate a favore dell'agente anche se da lui non conosciute o da lui per errore ritenute
inesistenti.
Se l'agente ritiene per errore che esistano circostanze aggravanti o attenuanti, queste
non sono valutate contro o a favore di lui.
Il nuovo art. 59 prevede come criterio generale d'imputazione delle aggravanti quello della
loro conoscenza, conoscibilità o prevedibilità da parte del reo. Invece il regime di
imputazione oggettiva dell'art. 60 rimane inalterata al riguardo delle circostanze attenuanti,
consentendo la valutazione a favore del reo di quelle erroneamente ritenute esistenti.
La disciplina derogata dettata dalla norma in commento trova applicazione in due ipotesi:
la prima, inquadrata dal medesimo art. 60, è quella dell'errore sull'identità della
persona offesa, che si verifica p. e. quando il reo faccia bersaglio d'un colpo di fucile,
uccidendola, una figura maschile che – per errore di percezione visiva – crede essere il
suo avversario Caio che l'aveva pubblicamente deriso, e contro cui è diretto l'azione
omicida, mentre in realtà è il proprio padre Mevio. Il richiamo operato dal 1° comma
dell'art. 82 estende, tuttavia, il campo d'applicazione dell'art. 60 anche alla differente
ipotesi dell'aberratio ictus, in cui l'esito finale dell'offesa di una persona diversa da quella
voluta dal reo non deriva da un'errore di identificazione, ma da una causa differente: è il
caso dell'errore nei mezzi d'esecuzione del reato, che si verifica, modificando l'esempio
precedente, quando il reo, avendo ben riconosciuto nella figura maschile tenuta sotto tiro il
proprio avversario Caio, che intende uccidere, esplode un colpo di fucile che, per errore di
mira, attinge però Mevio, padre del reo che passava nelle vicinanze, uccidendolo.
Orbene, in tali ipotesi il 1° comma dell'art. 60 esclude l'applicazione a carico del reo di tutte
le circostanze aggravanti che riguardano le condizioni o qualità della persona
effettivamente offesa, o i rapporti tra offeso e colpevole: negli esempi che precedono,
l'omicidio da parte del reo, del proprio padre Mevio non verrà aggravato ex art. 577.
Perciò, in sintesi, l'ipotesi dell'errore in persona è disciplinata dall'art. 60 nel seguente
modo:
• le circostanze aggravanti (obiettivamente esistenti) che riguardano le condizioni o le
qualità del soggetto passivo o i rapporti fra questo e il colpevole, non sono poste a
carico dell'agente
• Le circostanze attenuanti erroneamente supposte che concernono le condizioni, le
qualità e i rapporti predetti sono valutati a favore del reo
Perciò si desume che il reo venga trattato come se lo scambio di persone non vi fosse
stato, cioè come se il delitto si fosse svolto secondo il piano prestabilito. Ma ciò non
avviene sempre, perché le circostanze aggravanti che siano erroneamente supposte, non
vanno a carico dell'agente.
Dallo scambio di persona bisogna distinguere l'errore sulle circostanze che riguardano
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l'età o altre condizioni, fisiche o psichiche, della persona offesa. L'art. 60 dispone che
in tale caso non si applicano le norme di detto articolo, e torna in vigore la regola generale
dell'art. 59: le circostanze che aggravano la pena sono valutate a carico dell'agente
soltanto se da lui conosciute ovvero ignorate per colpa o ritenute inesistenti per errore
determinato da colpa.
Reato complesso
Nel reato complesso esistono due forme: quello in senso stretto e quello in senso lato.
Il reato in senso stretto è regolato dall'art. 84, che statuisce: “Le disposizioni degli articoli
precedenti (e cioè le disposizioni che concernono il concorso di reati) non si applicano
quando la legge considera come elementi costitutivi, o come circostanze aggravanti di un
solo reato, fatti che costituirebbero, per se stessi, reato.”
Ciò significa che, quando un fatto, che di per se stesso costituisce reato, è considerato da
una disposizione di legge come elemento costitutivo o come circostanza aggravante di un
altro, si applica soltanto la disposizione in parola. Perciò si tratta di unificazione legislativa:
il reato composto è un reato, semplice o circostanziato, che risulta costituito dal materiale
di altri reati.
Dall'art. 84 si rileva che questa figura può presentarsi in due forme:
• Nella prima, i singoli reati vi rientrano tutti come elementi costitutivi, dando luogo ad
un nuovo titolo di reato. Esempio tipico è la rapina (art. 628), la quale è composta
dal reato di furto (art. 624) più la violenza privata (art. 610).
• Nella seconda forma i singoli reati, che formano il reato composto, vi rientrano uno
come elemento costitutivo e l'altro come circostanza aggravante, lasciando
inalterato il titolo del reato base. È il caso del furto aggravato con violenza di
domicilio (art. 625, n°1), dell'evasione mediante effrazione (art. 385, n°1), del
sequestro di persona a scopo di estorsione seguito dalla morte del sequestrato (art.
630, 3° comma).
La scindibilità in più fatti criminosi minori è caratteristica essenziale del reato composto.
Naturalmente non è necessario che il nuovo tipo di reato risulti formato solo dal materiale
di altri reati: può esservi anche un quid pluris, ma due o più reati vi debbano essere
contenuti al completo.
Nella figura del reato composto non rientrano i delitti aggravati dall'evento.
Al riguardo dell'art. 170 (estinzione di un reato che sia presupposto, elemento costitutivo o
circostanza aggravante di un altro reato), 1°cpv, per la quale norma la causa estintiva di
un reato, che è elemento costitutivo o circostanza aggravante di un reato complesso in
senso stretto, non si estende al reato medesimo. Così, se una causa estintiva (p. e.
amnistia) opera sul furto considerato in sé, essa non opera più per il medesimo reato, ove
questo sia elemento costitutivo del delitto composto della rapina.
Il reato complesso in senso lato
Questo concetto si ha, quando un reato, in tutte o in alcune delle ipotesi contemplate nella
norma incriminatrice, contiene in sé necessariamente altro reato meno grave.
Non occorre la riunione di due o più reati: ne basta uno solo con l'aggiunta di un elemento
ulteriore. Esempio: violazione sessuale (art. 609bis), la quale comprende la violenza
privata (art. 610) e presenta l'elemento ulteriore dell'atto sessuale, elemento che da solo
non costituisce reato. Altro esempio: Violenza o minaccia a pubblico ufficiale o incaricato
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di pubblico servizio (art. 336): Questo reato include necessariamente la violenza privata
(art. 610), con la particolarità che il soggetto passivo è un pubblico ufficiale o incaricato di
pubblico servizio.
Nella figura giuridica ora delineata, il reato minore rimane assorbito nel maggiore e, perciò,
non è punibile separatamente.
Il fondamento della figura giuridica non si ravvisa nell'art. 84, ma nel principio
generalissimo di specialità, riconosciuto dall'art. 15, in quanto la fattispecie del reato che
ne comprende uno meno grave è speciale rispetto a quella che prevede il secondo, e,
perciò, ne esclude l'applicabilità. Il rapporto di specialità fra le due fattispecie esemplificate
è innegabile, perché la violenza privata comprende tutti gli elementi della violazione
sessuale, nella quale il quid pluris degli atti sessuali costituisce l'elemento specifico e
specializzante.
Il contenuto (contenenza) del reato meno grave nel reato più grave può essere di due
specie: esplicita ovvero implicita.
• La contenenza è esplicita, quando il reato incluso è indicato dalla legge col relativo
nomen iuris (p. e. art. 630, il quale presenta come elemento costitutivo quel
sequestro di persona ex art. 605).
È anche esplicita allorché la descrizione legale del reato incorporante comprende la
descrizione del reato incorporato. Esempi: 294, 336, 338, 609bis – tali reati
includono, e assorbono, il delitto di violenza privata.
• La contenenza è implicita, quando l'inclusione del reato minore nel maggiore non
si desume dalla dizione della norma incriminatrice, ma dalla natura intrinseca del
fatto in essa configurata. Si tratta di fatti che rappresentano un maius rispetto ad
altri che necessariamente, quando vengono posti in essere, implicano la
realizzazione anche dei minori: Così non è possibile uccidere senza percuotere o
ferire; non si possono compiere fatti di devastazione (art. 419) senza danneggiare
cose mobili ovvero immobili.
I reati di questa specie vengono comunemente denominati progressivi, perché in essi si
verifica una specie di passaggio necessario da un minus ad un maius.
Reato continuato
Il reato continuato consiste essenzialmente in una plurime violazione di norme
incriminatrici, commessa attraverso diverse azioni od omissioni esecutive di un medesimo
disegno criminoso. Si tratta, in buona sostanza, di un peculiare forma di concorso
materiale di reati.
In seguito alla riforma del 1974, l'unicità del disegno criminoso rimane il solo elemento
caratterizzante il reato continuato, in linea con il fondamento psicologico dell'istituto. La
prevalente opinione dice che esso non si esaurisca nella preventiva ed unitaria
rappresentazione dei diversi reati, ma presupponga inoltre l'elemento finalistico
dell'unicità dello scopo. Non si richiede, per altro, che i singoli episodi criminosi trovino
puntuale riscontro in un programma iniziale specifico e neppure che tutti siano previsti
come indefettibili nella sua realizzazione.
Simile è la nozione di disegno criminoso accolta dalla giurisprudenza dominante, la quale
lo identifica in un programma di commettere più violazioni della legge penale finalizzate
alla realizzazione di un determinato scopo, programma elaborato dall'agente, almeno
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nelle sue linee generali, prima di dare attuazione ai singoli reati che lo compongono.
Nel momento in cui si presuppone l'unicità dello scopo, il disegno criminoso non può che
avere ad oggetto solo episodi voluti dall'agente. La più parte degli Autori ritiene che la
continuazione non sia configurabile in relazione ai delitti colposi. La dottrina è invece quasi
unanime nell'ammettere che il vincolo della continuazione possa avvincere i reati
contravvenzionali, purché si manifestino concretamente in forma dolosa.
I criteri per determinare il disegno criminoso sono: le modalità della condotta, la distanza
cronologica tra i fatti, il bene protetto, l'omogeneità delle violazioni, la causale, le
condizioni di tempo e di luogo.
− è reato unico o pluralità di reati
Attualmente la dottrina è orientata nel senso di considerare il reato continuato come una
pluralità di reati ontologicamente distinti ed unitariamente disciplinati a dati effetti, quali la
determinazione della pena, la decorrenza del termine di prescrizione, la competenza
territoriale, la dichiarazione di abitualità e professionalità. Per scopi diversi, il reato
continuato si considera come pluralità di reati.
− riguardo alla pena
Sotto il profilo sanzionatorio, l'art. 81, 2° comma assoggetta il reato continuato al cumulo
giuridico delle pene: Al reato continuato si applica obbligatoriamente la pena principale
che dovrebbe infliggersi per la più grave delle violazioni commesse, aumentate fino al
triplo. In concreto, p. e. mentre l'autore di cinque furti semplici (un furto semplice
corrisponde al massimo di 3 anni), che non siano collegati dal nesso di continuazione,
potrebbe incorrere nella pena massima della reclusione fino a quindici anni, qualora abbia
commesso tutte le violazioni in attuazione di un unico disegno criminoso, incorrerà in una
pena che non può superare nel massimo i nove anni.
Per quanto riguarda le pene accessorie, nella continuazione i singoli reati vadano
considerati autonomamente. Le pene accessorie si applicheranno in relazione ad ogni
reato e devono essere commisurate, ai sensi dell'art. 37, alla quantità di pena principale a
ciascuno singolarmente riferibile. In particolare, la qualità e la misura della pena
accessoria prevista per il solo reato più grave si determinerà in relazione alla pena base,
senza tener conto dell'aumento per la continuazione.
− prescrizione
Il termine della prescrizione per il reato continuato decorre dal giorno in cui è cessata la
continuazione (ex art. 158). Perciò, ai fini della prescrizione, il reato continuato viene
trattato come unità di reati.
Il reo
Imputabilità
− capacità d'intendere e volere
Il codice fornisce la nozione dell'imputabilità nell'art. 85, il quale dice: “Nessuno può
essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se, al momento in cui lo ha
commesso, non era imputabile.
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È imputabile chi ha la capacità di intendere e di volere.”
La capacità d'intendere non è la semplice attitudine del soggetto a conoscere ciò che si
svolge al di fuori di lui, benché la capacità di rendersi conto del valore sociale dell'atto,
che si compie. Non è necessario che l'individuo sia in grado di giudicare che la sua azione
è contraria alla legge: basta che possa genericamente comprendere che essa contrasta
con le esigenze della vita in comune.
La capacità di volere significa attitudine della persona a determinarsi in modo
autonomo, resistendo agli impulsi. Esistono degli individui che sanno discernere il bene
dal male, ma non sono in grado di determinarsi in conformità del proprio giudizio.
Affinché sussista l'imputabilità, occorre il concorso dell'una e dell'altra capacità: se manca
una sola, il soggetto non è imputabile.
La capacità d'intendere e volere, secondo la legge, manca in due categorie di individui: in
quelli che non hanno un sufficiente sviluppo intellettuale (manca la c.d. maturità
psichica), ed in coloro che sono affetti da gravi anomalie psichiche (manca la c.d. sanità
mentale).
L'imputabilità costituisce uno stato della persona. Essa, ex art. 85, deve esistere nel
momento in cui il soggetto ha commesso il reato, perché questo è il momento in cui si
verifica l'infrazione di cui egli deve rispondere.
Il concetto dell'imputabilità (art. 85) non va confuso con il concetto di coscienza e volontà
(art. 42): l'imputabilità è una condizione personale, uno status, mentre la coscienza e
volontà implicano un rapporto tra il volere del soggetto ed un determinato atto.
Per esemplificare, un individuo può essere imputabile (maturo e sano di mente) e nel
tempo stesso compiere il fatto senza coscienza e volontà, come avviene nei casi di
incoscienza involontaria, di forza maggiore e di costringimento fisico
− vizio mentale: cosa significa
Con la espressione “vizio mentale” si intende uno stato mentale, derivante da infermità,
che esclude o diminuisce la capacità d'intendere o di volere.
La parola mente ha un significato assai ampio: vi sono compresi non solo tutti i processi
intellettivi, dai più elementari ai più complessi, ma anche quelli della volontà. L'alterazione
deve dipendere da infermità, che vale a dire uno stato patologico che turbi l'equilibrio
funzionale dell'organismo. Non occorre che sia permanente: basta che abbia le
caratteristiche della malattia.
Dalla necessità che l'alterazione mentale abbia una base patologica deriva che di regola
non costituisce vizio di mente una semplice anomalia del carattere e neppure la c.d.
pazzia morale o immoralità costituzionale, la quale si riscontra negli individui che difettano
completamente di senso morale.
Attenzione: Non può dar luogo ad infermità mentale un semplice stato di
tossicodipendenza, a meno che non abbia prodotto una alterazione psichica permanente.
Caratteri del vizio mentale:
• Rapporti con il fatto: l'anomalia dello stato mentale deve esistere nel momento in
cui il soggetto ha commesso il fatto. Perciò, l'epilettico che delinque fuori degli
accessi convulsi non è per ciò solo imputabile: si deve nel caso concreto esaminare
se le particolari impronte che questa malattia stampa su tutta la funzionalità fisica e
psichica, influiscano sulla capacità d'intendere e volere.
• Gradi di infermità: il vizio mentale può presentarsi in gradi diversi: esso è totale,
quando lo stato di mente è tale da escludere la capacità di intendere e volere; è
parziale allorché questa capacità, senza essere esclusa, è diminuita. Al riguardo
del vizio parziale, l'art. 89 presuppone un vizio che diminuisce la capacità
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d'intendere e volere in modo grandemente scemata. Deve trattarsi di uno stato
patologico veramente serio. Inoltre, per vizio parziale di mente non si intende
l'anomalia che interessa un solo settore della mente, ma quello che interessa in
parte, e cioè in misura meno grave, la mente medesima.
• Trattamento: Il vizio totale di mente ha per conseguenza il proscioglimento
dell'imputato, al quale però si applica di regola la misura di sicurezza del ricovero in
un ospedale psichiatrico giudiziario (art. 222).
Il vizio parziale di mente importa soltanto una diminuzione di pena, in aggiunta
alla quale si applica normalmente la misura di sicurezza dell'assegnazione ad una
casa di cura e di custodia (art. 219). Si ha pertanto il cumulo di pena con la misura
di sicurezza: prima si esegue la pena restrittiva della libertà personale e, dopo che
questa è stata scontata, si fa luogo al ricovero in una casa di cura e di custodia
previo accertamento del persistere dello stato di pericolosità.
• Stati emotivi e passionali: art. 90 reca: “Gli stati emotivi o passionali non
escludono né diminuiscono l'imputabilità.” Gli stati emotivi e passionali, se per la
disposizione non influiscono sull'imputabilità, tuttavia possono dar luogo a
circostanze attenuanti, come p. e. nell'art. 62 n°2 (provocazione), n°3 (aver agito
per suggestione di una folla in tumulto).
− circostanze aggravanti
Esistono due circostanze aggravanti al riguardo dell'imputabilità: Quando io metto altri
nello stato d'incapacità (art. 86), ovvero quando io mi procuro uno stato d'incapacità (art.
87).
Art. 86 prescrive: “Se taluno mette altri nello stato d'incapacità d'intendere o di volere, al
fine di fargli commettere un reato, del reato commesso dalla persona resa incapace
risponde chi ha cagionato lo stato d'incapacità.” In altri termini: Colui che determina in
un'altra persona uno stato di incapacità per farle compiere un'azione criminosa,
commette il reato, in quanto la persona, da lui resa incapace, non è che un mezzo di cui
egli si serve. Una importante osservazione: Lo stato d'incapacità dev'essere pieno: se
fosse solo parziale, anche l'esecutore immediato dovrebbe rispondere del reato e si
verificherebbe un caso comune di concorso criminoso di persone.
Art. 87 dice: “La disposizione della prima parte dell'art. 85 non si applica a chi si è messo
in stato d'incapacità d'intendere o di volere al fine di commettere il reato, o di prepararsi
una scusa”. Questa ipotesi va tradizionalmente chiamata actio libera in causa e si
verifica p. e. nel caso dell'individuo che, sapendo di non essere in grado di commettere un
delitto in condizioni normali, si eccita per compierlo, mediante una sostanza stupefacente.
Non è vero che nelle actiones liberae in causa si punisce una condotta precedente
all'esecuzione del reato. L'esecuzione del reato non è costituita soltanto dalla attività che
concreta immediatamente il fatto previsto nella norma incriminatrice, ma da qualsiasi atto
esterno che sia diretto allo scopo di realizzarlo. Nel caso di actiones liberae in causa,
l'agente non strumentalizza un'altra persona (sarebbe invece il caso dell'art. 86), ma se
stesso.
− ubriachezza al riguardo della capacità di intendere e volere
Il codice penale, nel disciplinare l'ubriachezza si è ispirato a criteri di notevole severità allo
scopo di combattere con energia la piaga sociale dell'alcoolismo. Infatti, l'uso eccessivo
dell'alcool determina gravi perturbazioni nello stato della mente, alterando od attenuando il
senso critico dell'uomo e determinando l'irregolare funzionamento dei freni inibitori.
Il legislatore distingue l'ubriachezza vera e propria dalla cronica intossicazione da alcool e
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poi, nell'ambito della prima, ne ravvisa quattro specie: l'accidentale, la volontaria, la
preordinata e l'abituale, stabilendo per ciascuna di esse un trattamento particolare.
− ubriachezza volontaria
Essa si verifica quando si è ubriaco per imprudenza o negligenza, cioè allorché poteva
prevedere che si sarebbe ubriacato. Art. 92 dispone che in tal caso non è escluso né
diminuito l'imputabilità.
− ubriachezza per caso fortuito o forza maggiore
Ubriachezza accidentale (incolpevole): è regolata dall'art. 91, il quale la designa con
l'espressione “ubriachezza derivata da caso fortuito o da forza maggiore”. Questa specie
si ha quando lo stato di ebrietà non deriva da colpa dell'agente. Esempio: Lavoratore
che lavora in una distilleria, si ubriaca per aver respirato i vapori dell'alcool che si trovano
nell'aria. Se l'ubriachezza accidentale elimini la capacità di intendere e volere, allora
l'agente non è imputabile. Se la diminuisce grandemente, l'agente fruisce di una
diminuzione di pena.
Recidiva
La recidiva è stato riformato due volte: nel 1974 il tratto saliente della riforma è costituito
dalla trasformazione del regime della recidiva da obbligatorio a discrezionale, e nel 2005 si
è reintrodotta un'ipotesi di recidiva obbligatoria ed in più sono stati modificati i presupposti
formali per la dichiarazione della recidiva semplice.
− il fondamento della recidiva
Secondo una prima concezione, la recidiva attiene alla maggiore capacità a delinquere
manifestata dal soggetto che ricade nel reato. Un'altra parte della dottrina dice che la
recidiva andrebbe invece ricondotta nell'alveo della colpevolezza e valutata, dunque, in
relazione al singolo concreto fatto criminoso, e la più intesa colpevolezza si spiega per il
carattere che la nuova condotta del reo è posta in essere con la consapevolezza di violare
il monito derivante dalla precedente condanna.
− gli effetti penali derivanti dalla dichiarazione di recidiva
Oltre gli aggravamenti sanzionatori previsti dall'art. 99 cp, l'ordinamento prevede una serie
di effetti penali conseguenti alla recidiva, in particolare in tema di liberazione condizionale,
riabilitazione, amnistia, indulto, oblazione ed estinzione della pena per decorso di tempo.
La recidiva ha natura costitutiva e non dichiarativa, e perciò è necessaria un'esplicita
statuizione giudiziale che riconosca la recidiva, affinché quest'ultima produca tutti gli effetti
penali normativamente ad essa collegati. Quindi, qualunque effetto penale che
presupponga la recidiva non può prescindere da una dichiarazione giudiziale di tale status.
− recidiva e prescrizione
Dopo la riforma del 2005 il problema dell'incidenza della recidiva per la determinazione del
termine prescrizionale si è sensibilmente attenuato dal momento che l'art. 157 stabilisce
che il giudice deve tener conto soltanto delle circostanze aggravanti ad effetto speciale.
Conseguentemente, sono le sole ipotesi di recidiva aggravata e reiterata a comportare un
aumento del termine prescrizionale rispettivamente della metà e di due terzi del periodo
ordinario.
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− diverse ipotesi di recidiva
Per la recidiva semplice, la quale comporta l'aumento fino ad un terzo della nuova pena,
il presupposto formale necessario è una precedente sentenza o decreto penale di
condanna che siano passati in giudicato. Prima della novella del 2005 la condanna poteva
riguardare qualsiasi reato, delitto o contravvenzione. Oggi invece il nuovo testo dell'art. 99
richiede che la condanna sia relativa ad un delitto non colposo e che il nuovo reato
abbia la medesima natura.
Per la recidiva aggravata, la quale comporta l'aumento fino alla metà della nuova pena o
della metà se concorrono più delle seguenti condizioni, vi sono presupposti formali in
alternativa, e cioè che il nuovo reato sia della stessa indole (recidiva specifica), che il
nuovo reato sia commesso entro cinque anni dal passaggio in giudicato della sentenza
precedente (recidiva infraquinquennale); che il nuovo reato sia stato commesso durante
o dopo l'esecuzione della pena (c.d. recidiva vera); oppure durante il tempo in cui il
condannato si sottrae volontariamente all'esecuzione stessa (c.d. recidiva finta).
La recidiva reiterata comporta l'aumento della nuova pena, nel caso di recidiva semplice,
della metà, nel caso di recidiva aggravata, di due terzi. Presupposto formale necessario è
che l'autore del nuovo reato sia già stato in precedenza dichiarato recidivo, anche qualora
al riconoscimento della recidiva non abbia fatto seguito l'aumento della pena avendo il
giudice ritenuto equivalente o soccombente la recidiva nel giudizio di bilanciamento con
altre circostanze attenuante.
La nozione di medesima indole va ravvisata nell'art. 101, che indica in alternativa un
criterio formale – la violazione della medesima disposizione di legge – e un criterio
sostanziale – la presenza tra gli illeciti di caratteri fondamentali comuni. Quest'ultimo
criterio attiene ad una valutazione dei fatti commessi, e perciò l'omogeneità fra reati può
essere desunta da un criterio oggettivo (natura dei fatti che costituiscono gli illeciti) o da un
criterio soggettivo (motivi dei reati).
Le conseguenze giuridiche del reato
Estinzione del reato e della pena
Le cause estintive del reato e della pena comuni alla generalità dei reati sono previste nel
titolo VI del libro I del codice penale. Cause generali di estinzione del reato sono: la
morte del reo prima della condanna, l'amnistia, la remissione della querela, la
prescrizione, l'oblazione nelle contravvenzioni, la sospensione condizionale della pena, il
perdono giudiziale per i minori degli anni 18, il patteggiamento. Sono cause generali di
estinzione della pena: la morte del reo dopo la condanna definitiva, il decorso del tempo,
l'indulto, la grazia, la non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale,
la liberazione condizionale, la liberazione anticipata, la sospensione condizionata
dell'esecuzione della parte finale della pena detentiva, la riabilitazione.
Sono poi previste cause speciali di estinzione la cui efficacia è limitata con riferimento a
specifici reati, contenute nella parte speciale del codice penale o in leggi speciali
(Esempio: insolvenza fraudolenta: il secondo comma dell'art. 641 contiene una causa
speciale di estinzione, e cioè l'adempimento dell'obbligazione avvenuto prima della
condanna).
Le cause di estinzione del reato e della pena sono introdotte per finalità varie, volta a
volta di prevenzione speciale, per favorire la disciplina carceraria, di pacificazione sociale
o per sfoltire la popolazione carceraria, per ridurre il carico dei processi, per il venir meno
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dello scandalo tra i consociati o dell'interesse del soggetto offeso dal reato a ottenere la
reazione punitiva, o per le sopravvenute difficoltà di acquisizione delle prove.
Per quanto riguarda gli effetti essi consistono, generalmente, nel venir meno della pena
principale, delle pene accessorie e degli effetti penali: tale affermazione è approssimativa
tenuto conto del fatto che non vi è uniformità di conseguenza tra le varie cause anche
all'interno di ciascuna delle due categorie generali nelle quali vengono ricomprese.
L'art. 170 dispone che quando un reato è il presupposto di un altro reato, la causa che
l'estingue non si estende all'altro reato; che la causa estintiva di un reato, che è elemento
costitutivo o circostanza aggravante di un reato complesso, non si estende al reato
complesso; che l'estinzione di taluno fra più reati connessi non esclude, per gli altri,
l'aggravamento di pena derivante dalla connessione.
Pene accessorie
− caratteristiche giuridiche
Le pene accessorie conseguono di diritto alla condanna quali effetti penali della stessa,
non occorre che il giudice le applichi espressamente, a meno che tale applicazione sia
rimessa al suo potere discrezionale, nel qual caso egli deve anche fissarne la durata.
Trattandosi di pena accessoria temporanea, se la durata di questa non è fissata in modo
particolare dalla legge, essa ha una durata uguale a quella della pena principale inflitta o
che dovrebbe scontarsi, nel caso di conversione per insolvibilità del condannato. Tuttavia,
la pena accessoria non può oltrepassare il limite minimo e quello massimo stabiliti per
ciascuna specie (art. 37) e deve essere revocata quando risultino mancanti le condizioni di
applicabilità (art. 299 e art. 300 c.p.p.).
Ciò che caratterizza le pene accessorie, in contrapposizione delle pene principali, è la
loro attitudine a incidere sulla capacità giuridica del destinatario di esercitare diritti o poteri,
o espletare funzioni.
− quali vi sono per i delitti, quali per le contravvenzioni
Per i delitti sono previsti le seguente pene accessorie:
Interdizione dai pubblici uffici (art. 28-29), che può essere perpetua o temporanea.
Importano l'interdizione perpetua: la condanna all'ergastolo e la condanna alla reclusione
per delitto non colposo per un tempo non inferiore a 5 anni, nonché la dichiarazione di
abitualità o di professionalità nel reato, ovvero di tendenza a delinquere.
L'interdizione perpetua priva il condannato del diritto di elettorato o di eleggibilità e di
ogni altro diritto politico; di ogni pubblico ufficio o incarico non obbligatorio di pubblico
servizio e delle qualità inerenti; degli uffici relativi alla tutela e alla cura; dei gradi, dignità
accademiche, titoli, decorazioni, ecc.; degli stipendi, pensioni, assegni a carico di enti
pubblici salvo che traggano origine da un rapporto di lavoro o si tratti di pensioni di guerra,
e di ogni diritto onorifico inerente agli uffici, servizi, gradi o titoli anzidetti e della capacità di
assumere i medesimi. L'interdizione temporanea produce gli stessi effetti della perpetua,
ma limitatamente alla durata, che non può essere inferiore ad un anno, né superiore a
cinque.
L'interdizione da una professione o da un'arte (art. 30): questa pena, che non può
avere una durata inferiore ad un mese, ne superiore a cinque anni, priva il condannato
della capacità di esercitare durante l'interdizione professioni, arti, mestieri, industrie o
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commerci per cui è richiesto uno speciale permesso, licenza ... dell'Autorità. Essa
consegue di diritto alle condanne per delitti commessi con abuso di una professione od
arte o con abuso di un pubblico ufficio.
L'interdizione legale (art. 32): è una pena accessoria all'ergastolo e alla reclusione non
inferiore a cinque anni per delitto non colposo. In conseguenza di essi i condannati
durante la pena incorrono in tutte le incapacità stabilite dalla legge civile sulla interdizione
giudiziale.
L'interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese (art.
32bis): consegue ad ogni condanna non inferiore di sei mesi di reclusione per delitti
commessi con abuso dei poteri o violazioni dei doveri inerenti all'ufficio. Gli uffici direttivi
sono quelli di amministratore, direttore generale, sindaco, liquidatore ed ogni altro con
potere di rappresentanza.
L'incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione (art. 32ter): questa
incapacità non ha durata inferiore ad un anno, né superiore a tre anni. Consegue a delitti
specificamente indicati, se commessi in danno o in vantaggio di un'attività imprenditoriale
o comunque in relazione ad essa. Consegue altresì a condanna per un fatto di omissione
o falsità in registrazioni o denunce obbligatorie in tema di contributi previdenziali, anche se
il fatto costituisce più grave reato non compreso tra quelli elencati.
La decadenza o sospensione dall'esercizio della potestà dei genitori (art. 34): oltre
alla perdita oppure alla sospensione della potestà dei genitori, questa pena importa la
privazione o l'incapacità temporanea di esercitare ogni diritto che ai medesimi spetti sui
beni del figlio in forza dell'anzidetta potestà. La perdita consegue di diritto all'ergastolo e si
verifica negli altri casi stabiliti dalla legge. La sospensione per un tempo pari al doppio
della pena consegue, pure di diritto, alle condanne per delitti commessi con abuso della
potestà, mentre in genere le condanne per delitti non colposi alla reclusione per un tempo
non inferiore a cinque anni producono, durante la pena, la sospensione della medesima,
salvo che il giudice disponga altrimenti.
Per le contravvenzioni sono stabiliti le seguente pene accessorie:
La sospensione dall'esercizio di una professione o di un'arte (art. 35): è analoga
all'interdizione da una professione o da un'arte e segue ogni condanna per
contravvenzione commessa con abuso di professione, arte, mestiere, industria o
commercio, ovvero con violazione dei doveri ad essi inerenti. Non può avere durata
inferiore a 15 giorni, né superiore a due anni.
La sospensione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese (art.
35bis): è pena accessoria per contravvenzioni commesse con abuso dei poteri o
violazione dei doveri inerenti all'ufficio. Ha durata non inferiore a 15 giorni né superiore a
due anni.
Sia per delitti, sia per contravvenzioni si applica la seguente pena accessoria:
La pubblicazione della sentenza penale di condanna (art. 36): essa consegue di diritto
alla condanna, ma talvolta deve essere ordinata dal giudice ed è fatta mediante inserzione
della sentenza in uno o più giornali designati dal giudice anzidetto, a spese del
condannato. Questa pena accessoria è effetto delle condanne per delitti o contravvenzioni
nei casi stabiliti dalla legge. Le sentenza di condanna alla pena dell'ergastolo, inoltre,
vengono pubblicate mediante affissione nel comune ove sono state pronunciate, in quello
ove il delitto fu commesso ed in quello ove il condannato aveva l'ultima residenza.
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Amnistia
− propria ed impropria
L'amnistia è un provvedimento generale con cui lo Stato rinuncia all'applicazione della
pena per determinati reati (causa di estinzione della reato). L'amnistia si distingue in
propria ed impropria:
• è propria l'amnistia che è proclamata prima che sia esaurito l'accertamento
giurisdizionale del reato;
• è impropria, quando interviene dopo una sentenza irrevocabile di condanna.
L'amnistia propria ha un'efficacia abolitiva completa. L'impropria, invece, lascia
sussistere gli effetti penali che non rientrano fra le pene accessorie, e perciò, malgrado
l'amnistia, la condanna costituisce titolo per l'aggravamento di pena stabilito a carico dei
recidivi, per la dichiarazione di abitualità o professionalità nel reato, per l'esclusione del
beneficio della sospensione condizionale della pena.
La distinzione, che trova fondamento nell'art. 151, 1° comma, è giustificata nella
considerazione parlamentare che la sentenza irrevocabile, una volta intervenuta,
costituisce un fatto insopprimibile.
L'amnistia, tanto propria quanto impropria, opera sui reati commessi sino alla data stabilita
per la sua decorrenza dalla legge che la concede.
Verificandosi concorso di reati, l'amnistia si applica ai singoli reati per i quali è stata
concessa, mentre nel caso di reato continuato, il reato stesso si scinde: nel beneficio
sono compresi i fatti compiuti in precedenza e restano esclusi gli altri.
L'amnistia può essere sottoposta a condizioni od obblighi e non si applica ai recidivi nei
casi di recidiva aggravata e reiterata (art. 99), né ai delinquenti abituali, professionali o
per tendenza.
Sospensione condizionale della pena
L'istituto della sospensione condizionale della pena adempie la sua funzione di una
condizione risolutiva in quanto, trascorso proficuamente un dato termine, è travolto ex
tunc, insieme con le pene principali ed accessorie, ogni effetto penale della condanna e
rimane estinto il diritto di punire.
Poiché l'effetto estintivo si verifica solo allo scadere del quinquennio o del biennio entro il
quale il soggetto deve astenersi dal ricadere in re illicita, o dal ricadere ulteriormente in re
illicita, a ben vedere l'avvenuta sospensione dell'esecuzione costituisce un mero
presupposto della causa estintiva, il cui contenuto effettivo è dato dall'astensione del
condannato dal commettere ulteriori fatti di reato durante il periodo di tempo determinato
dal legislatore. Durante i cinque (o due o uno) anni gli effetti giuridici del reato non sono
estinti, ma solo sospesi.
La ratio dell'istituto è quella di prevenire la criminalità, sottraendo all'ambiente deleterio del
carcere coloro che, per la loro incensuratezza, presentano ampie possibilità di
ravvedimento, nonché istituire una remora a ricadute dell'illecito.
− condizione fondamentale
La condizione fondamentale che emerge dall'art. 163 è che la sentenza di condanna a
reclusione o all'arresto non superi il tempo di due anni ovvero la pena pecuniaria
ragguagliata secondo l'art. 135 non superi tale limite. La concessione del beneficio è
facoltativa ed il giudice concede tale beneficio soltanto se presume che il colpevole si
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asterrà dal commettere ulteriori reati.
Occorre che:
• il reo non abbia riportato una precedente condanna a pena detentiva per delitto,
anche se è intervenuta la riabilitazione e non sia delinquente o contravventore
abituale o professionale
• la condanna inflitta per il reato (delitto o contravvenzione) commesso non sia
superiore a due anni di reclusione o di arresto.
Per coloro che hanno compiuto gli anni settanta, il limite di pena per conseguire il
beneficio è portato a due anni e sei mesi; ed a tre anni se trattasi di minori degli anni
diciotto.
− quando non può essere concessa
La sospensione condizionale non può essere concessa più di una volta. Tuttavia, nel
decidere una nuova condanna, il giudice può concedere il beneficio qualora la pena da
infliggere, cumulata con quella irrogata con la precedente condanna anche per delitto, non
superi i limiti, e in tal caso la sospensione può essere concessa per due volte.
− Revoca
La sospensione è revocata di diritto in tre casi:
• qualora nei termini (cinque anni per i delitti e due per le contravvenzioni, uno per la
mini-sospensione) il condannato commetta un nuovo delitto o una nuova
contravvenzione della stessa indole per cui venga inflitto una pena detentiva
• se il condannato, entro il termine stabilito dalla sentenza di condanna, non adempia
gli obblighi (restituzioni, risarcimento del danno) che gli sono stati imposti
• quando il condannato riporti un'altra condanna per un delitto anteriormente
commesso a pena che, cumulata a quella precedentemente sospesa, superi i limiti
dell'art. 163. Se tali limiti non sono superati, il giudice ha la facoltà di revocare la
sospensione, e, nell'esercizio di tale potere, dovrà tener conto dell'indole e della
gravità del reato.
Liberazione condizionale
− quando si verifica, condizione fondamentale, requisiti temporali
Il condannato a pena detentiva che durante il tempo di esecuzione della pena abbia tenuto
un comportamento tale da far ritenere sicuro il suo ravvedimento può essere ammesso
alla liberazione condizionale se ha scontato almeno trenta mesi e comunque almeno
metà della pena inflittagli, qualora il rimanente della pena non superi i cinque anni. Se si
tratta di recidivo, nei casi preveduti dai capoversi dell'art. 99, il condannato per essere
ammesso alla liberazione condizionale deve aver scontato almeno quattro anni di pena e
non meno di tre quarti della pena inflittagli. Il condannato all'ergastolo può essere
ammesso alla liberazione condizionale quando abbia scontato almeno ventisei anni di
pena.
La concessione della liberazione condizionale è subordinata all'adempimento delle
obbligazioni civili derivanti dal reato, salvo che il condannato dimostri di trovarsi
nell'impossibilità di adempierle.
Effetto della liberazione condizionale è la sospensione dell'esecuzione di parte della
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pena, e poi, allo scadere del termine e quando si siano verificate le condizioni previste,
l'estinzione della pena stessa. Tutti gli altri effetti penali della condanna, comprese le
pene accessorie, restano in vita.
Nei confronti del condannato ammesso alla liberazione condizionale resta sospeso
l'esecuzione della misura di sicurezza detentiva cui il condannato stesso sia stato
sottoposto con la sentenza di condanna o con un provvedimento successivo. Con il
provvedimento di sospensione dell'esecuzione della pena è obbligatorio ordinare la libertà
vigliata.
Potere discrezionale del giudice
− cosa significa
L'art. 132 recita: Nei limiti fissati dalla legge, il giudice applica la pena discrezionalmente;
esso deve indicare i motivi che giustificano l'uso di tale potere discrezionale. Nell'aumento
o nella diminuzione della pena non si possono oltrepassare i limiti stabiliti dalla legge per
ciascuna specie di pena, salvi i casi espressamente determinati dalla legge.
La discrezionalità si fonda sul rinvio da parte del giudice al caso concreto. Infatti, la
determinazione concreta della pena nei casi dove il legislatore lascia un certo margine fra
un limite minimo e un limite massimo, è rimessa al potere discrezionale del giudice, vale a
dire apprezzabilmente del magistrato, il quale è tenuto ad indicare i motivi che spiegano
l'uso della facoltà che gli è conferita.
Il giudice, per determinare la pena da applicarsi al singolo caso, deve tener conto anzitutto
della gravità del reato, gravità che si desuma dalle caratteristiche oggettive e soggettive
del fatto criminoso, e cioè da tutte le note che concernono sia la condotta umana e le
conseguenze nocive che ne sono derivate, sia la specie della volontà colpevole ed il
quantum della stessa.
Fatto questo accertamento, però, non è esaurito il compito del giudice, perché egli deve
aver riguardo alla capacità a delinquere. Ciò significa che il giudice aumenterà o
diminuirà la pena corrispondente all'entità del reato, secondo che quella capacità sia
maggiore o minore.
In sintesi, la pena che si infligge al reo, è risultato di una duplice valutazione: una
principale, la entità del reato, ed una secondaria ed accessoria, la capacità di delinquere.
− quale articolo
L'art. 132 menziona espressamente il potere discrezionale del giudice: “Nei limiti fissati
dalla legge, il giudice applica la pena discrezionalmente; esso deve indicare i motivi che
giustificano l'uso di tale potere discrezionale.”
Lo stesso articolo ravvisa anche il limite del potere discrezionale: il legislatore accoglie un
indirizzo intermedio tra i principi di tassatività e discrezionalità, indirizzo che è stato definito
discrezionalità vincolata.
− quali sono i criteri
I criteri sono menzionati nell'art. 133, e ci sono due categorie:
Il primo criterio è fornito dalla gravità del reato, che è il criterio principale di
commisurazione attraverso il quale il giudice adegua la pena alla colpevolezza dell'agente
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per il fatto commesso. Il primo indice di gravità del reato è costituito dalla natura, dalla
specie, dai mezzi, dall'oggetto, dal tempo, dal luogo e da ogni altra modalità dell'azione. Il
giudice deve quindi prendere in considerazione il disvalore della condotta attiva od
omissiva, cioè la durezza e spregevolezza del comportamento del reo in relazione al tipo
di strumenti adoperati, dalla durata, al luogo e al tempo prescelti, alle circostanze
concomitanti e alle condizioni in cui è stata tenuta la condotta.
Il secondo indice concerne la gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona
offesa dal reato.
Il terzo indice è riferito all'intensità del dolo o al grado della colpa. Viene quindi
valutato l'aspetto soggettivo, sempre peraltro in relazione al fatto del reato. In particolare,
l'intensità del dolo è stata efficacemente definita come la “pregnanza” delle funzioni
strutturali della rappresentanza e della volizione. Decisivo è il momento volitivo.
Il secondo criterio è fornito dalla capacità a delinquere, desunta:
• dai motivi a delinquere e dal carattere del reo
• dai precedenti penali e giudiziari e, in genere, dalla condotta e dalla vita del reo,
antecedenti al reato
• dalla condotta contemporanea o susseguente al reato
• dalle condizioni di vita individuale, familiare e sociale del reo.
Oblazione
− caratteri
L'oblazione consiste nel pagamento volontario di una determinata somma, ed è
giustificata dalla convenienza di definire con sollecitudine i procedimenti per reati di
minima importanza, evitando dispendio di energie processuali e spese. La somma che si
versa è una sanzione amministrativa, il cui pagamento ha per conseguenza di
degradare il reato in semplice torto amministrativo, estinguendo tutte le conseguenze
penali (estinzione del reato).
− oblazione facoltativa
La oblazione facoltativa, contemplata nell'art. 162, concerne le contravvenzioni, per le
quali la legge stabilisce la sola pena dell'ammenda. Il contravventore è ammesso a
pagare, prima dell'apertura del dibattimento ovvero prima del decreto di condanna, una
somma corrispondente alla terza parte del massimo della pena stabilita dalla legge per
la contravvenzione commessa, oltre le spese del procedimento. Il pagamento estingue il
reato.
− oblazione discrezionale
L'art. 162bis consente al giudice, negli stessi limiti di tempo, di ammettere all'oblazione
anche il contravventore nei cui confronti la legge stabilisce la pena alternativa
dell'arresto o dell'ammenda. La somma da versare dovrà però raggiungere la metà del
massimo dell'ammenda e dovrà essere depositata con la domanda volta ad ottenere il
beneficio. E al contrario in quanto avviene nelle ipotesi dell'art. 162, il magistrato ha la
facoltà di respingere con ordinanza la richiesta di oblazione, tenuta presente la gravità
del fatto e sarà vincolato a respingerla quando persistano conseguenze di danno o
pericolo eliminabili da parte del contravventore, nonché nei casi di recidiva reiterata o di
declaratoria di abitualità o professionalità nel reato.
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− momenti che escludono l'oblazione
Il giudice non può concedere il beneficio quando persistano conseguenze di danno o
pericolo eliminabili da parte del contravventore, nonché nei casi di recidiva reiterata o di
declaratoria di abitualità o professionalità nel reato.
Condizioni obbiettivi di punibilità
Generalmente viene assegnato alla condizione obiettiva di punibilità il ruolo di segnalare la
valutazione del legislatore concernente la opportunità di punire il fatto illecito solo ed
esclusivamente al verificarsi dell'accadimento dedotto in condizione.
− quale articolo
L'art. 44, sotto la rubrica condizione obiettiva di punibilità, stabilisce che quando, per la
punibilità del reato, la legge richiede il verificarsi di una condizione, il colpevole risponde
del reato, anche se l'evento, da cui dipende il verificarsi della condizione, non è da lui
voluto. A sua volta l'art. 158, 2° comma dispone che quando la legge fa dipendere la
punibilità del reato dal verificarsi di una condizione, il termine della prescrizione decorre
dal giorno in cui la condizione si È verificata. Nondimeno, nei reati punibili a querela,
istanza o richiesta, il termine della prescrizione decorre dal commesso reato.
Da ciò derivano le seguenti caratteristiche:
• L'evento da cui dipende il verificarsi della condizione non è l'evento da cui
dipende l'esistenza del reato.
• L'evento da cui dipende il verificarsi della condizione e che determina la punibilità
svolge il suo effetto anche se non è voluto dal soggetto autore della condotta
illecita.
• L'evento da cui dipende il verificarsi della condizione è temporalmente successivo
alla condotta illecita.
la condizione di punibilità presuppone un reato già perfetto, vale a dire completo in tutti i
suoi elementi costitutivi. Essa non integra il reato, ma rende applicabile la pena. Il reato
esiste ontologicamente; la condizione è richiesta dalla legge affinché possa esercitarsi il
potere statuale di punire.
Per identificare le condizioni di punibilità bisogna tener presente che deve trattarsi di un
avvenimento non solo futuro ed incerto (= definizione di condizione), ma anche
estrinseco al fatto che costituisce il reato. Non è necessario che tale avvenimento sia del
tutto svincolato, dal punto di vista causale, dal fatto anzidetto, ma occorre che sia
completamente estraneo al precetto giuridico, e cioè che sia di natura tale da non potersi
concepire, rispetto all'agente, un divieto di realizzarlo.
− Esempi di condizioni di punibilità
Il pericolo per la pubblica incolumità nell'incendio della cosa propria (art. 423, 2° co), il
verificarsi del suicidio nel delitto di istigazione al suicidio (art. 580), il pubblico scandalo nel
delitto di incesto (art. 564), l'uso della scrittura falsa nel delitto di falsità in scrittura privata
(art. 485) e nel delitto di falsità in foglio firmato in bianco (art. 486), l'uso del falso nel
delitto di falsificazione, alterazione o soppressione del contenuto di comunicazioni o
conversazioni telegrafiche o telefoniche (art. 617ter), il verificarsi del nocumento nel delitto
di rilevazioni del contenuto di corrispondenza (art. 618), l'inadempimento della
obbligazione nel delitto di insolvenza fraudolenta, la sorpresa in flagranza nella
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contravvenzione di partecipare a gioco d'azzardo (art. 720), la dichiarazione di fallimento
nei reati di bancarotta (art. 216ss).
Riabilitazione
− spiegazione del concetto con riguardo alle pene accessorie
Questo istituto ha lo scopo di favorire l'emenda del condannato. Esso elimina alcune
conseguenze penali del reato commesso, le quali, minorando la capacità giuridica,
costituiscono un ostacolo per il normale svolgimento dell'attività dell'individuo nel
consorzio civile. In particolare (art. 178), la riabilitazione estingue le pene accessorie ed
ogni altro effetto penale della condanna, salvo che la legge disponga altrimenti.
In conseguenza della riabilitazione il condannato recupera la capacità di avere e di
esercitare le facoltà giuridiche perdute in seguito alla condanna e particolarmente quelle
perdute a causa della pena accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici.
− effetti penali
La riabilitazione impedisce la declaratoria di recidiva, consente al condannato di
beneficiare dell'amnistia, dell'indulto, ecc. La riserva contenuta nell'art. 178 si riferisce ai
benefici della sospensione condizionale della pena, del perdono e della non iscrizione
della condanna nel certificato penale, i quali restano interdetti al condannato malgrado la
riabilitazione.
− condizioni per la riabilitazione
Affinché il ravvedimento del colpevole possa essere comprovato, è prescritta la
decorrenza di un congruo termine, che è di 5 anni dal giorno in cui la pena principale sia
stata eseguita, salvo i casi di recidiva aggravata e reiterata, oppure la dichiarazione di
abitualità o professionalità o per tendenza: in tali casi, il termine è di 10 anni. Il potere di
concedere la riabilitazione spetta al Tribunale di sorveglianza.
Condizione prima e fondamentale per la concessione di questo beneficio è che il
condannato abbia dato prove effettive e costanti di buona condotta.
Occorre poi che egli abbia adempiuto le obbligazioni civili derivanti dal reato, salvo che
dimostri l'impossibilità di adempierle.
Si richiede infine che il condannato non sia stato sottoposto a misura di sicurezza diversa
dall'espulsione dallo Stato o dalla confisca, a meno che il provvedimento non sia stato
revocato.
− revoca della riabilitazione
La sentenza che dichiara la riabilitazione è revocata di diritto, quando la persona
riabilitata commette entro cinque anni un delitto non colposo, per il quale sia inflitta la
pena della reclusione per un tempo non inferiore a tre anni.
La revoca fa rivivere le pene accessorie e gli altri effetti penali della condanna. Ne deriva
che, come avviene per la sospensione condizionale della pena e per la liberazione
condizionale, si verifica prima una semplice sospensione delle conseguenze della
condanna e poi, decorso il periodo stabilito senza che si sia avuta la nuova condanna,
l'estinzione delle conseguenze medesime.
Misure di sicurezza
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Le misure di sicurezza sono provvedimenti intesi a riadattare il delinquente alla vita libera
sociale, e cioè a promuovere l'educazione oppure la cura, secondo che egli abbia bisogno
dell'una o dell'altra, mettendolo comunque nell'impossibilità di nuocere. La misura di
sicurezza differisce dalla pena sopratutto perché non ha carattere di castigo, non
rappresenta un corrispettivo per la violazione di un comando della legge. Essa non è
proporzionata al delitto commesso, ma alla pericolosità del reo. Da ciò derivano due
corollari:
• mentre la pena è fissa, la misura di sicurezza è indeterminata, dovendo per sua
natura cessare soltanto col venir meno dello stato di pericolosità della persona
• a differenza delle pene, le quali si irrogano solo agli imputabili, le misure di
sicurezza si applicano anche ai non-imputabili.
− principio di legalità; quale articolo
L'art. 199 ricalca in parallelo l'art. 1: le misure di sicurezza, così come le pene,
soggiacciono al rispetto del principio di legalità formale, sotto il duplice profilo della riserva
di legge, che comporta la definita configurazione delle singole misure e dei presupposti
della loro applicazione, e della tassatività, che si sostanzia nel divieto di analogia sia per
le singole misure, sia per i presupposti della loro applicazione, ai sensi dell'art. 25, 3°
comma Cost., attraverso cui si costituzionalizza il sistema del doppio binario ed, inoltre, si
prevede una fondamentale garanzia di legalità.
Resta esclusa il canone dell'irretroattività. Le misure di sicurezza, ex art. 200, sono
regolate dalla legge in vigore al tempo della loro applicazione e, se la legge del tempo in
cui deve eseguirsi la misura è diversa, prevale la legge in vigore al tempo dell'esecuzione
ai sensi del 2° comma dell'art. 200.
Ci sono due condizioni per l'applicabilità, e la prima è la commissione di un fatto
previsto come reato. Occorre che il fatto commesso sia conforme ad una figura di reato
descritta dal legislatore. È necessario che non ricorra alcuna causa di giustificazione. Il
fatto, cioè, deve presentare tutti i requisiti della antigiuridicità penale.
Ma i requisiti ora indicati non bastano: bisogna che ricorrano anche quelle note soggettive
che sono richieste per l'applicazione della pena, escluse, naturalmente, quelle che non
possono sussistere per le particolari condizioni psichiche del soggetto. È indispensabile,
inoltre, il concorso del dolo o della colpa, il che importa che nessuna misura di sicurezza è
applicabile se al soggetto non possa muoversi alcun rimprovero, neppure di semplice
leggerezza (caso fortuito). Perciò, anche quando le misure di sicurezza si applicano da
sole agli infermi di mente, ai minori non imputabili ed assimilati, valgono di regola le norme
generali del codice che stabilisce i requisiti necessari per l'esistenza del reato.
In ordine al secondo requisito, e cioè la pericolosità del reo, il giudice deve sempre aver
accertato la pericolosità del reo secondo gli elementi da cui si desume (art. 133).
− confisca
La confisca è una misura di sicurezza patrimoniale, e tende a prevenire la commissione di
nuovi reati mediante l'espropriazione a favore dello Stato di cose che provenendo da
fatti illeciti penali o in altra guisa collegandosi alla loro esecuzione, manterrebbero viva
l'idea e l'attrattiva del reato.
Ha per oggetto le cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e quelle
che ne sono il prodotto o il profitto.
La confisca, di regola facoltativa, è obbligatoria nei casi dell'art. 446 e rispetto alle cose
che costituiscono il prezzo del reato e alle cose la cui fabbricazione, uso, porto,
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detenzione o alienazione costituisce reato, anche se non è stata pronunciata condanna.
La confisca non può pregiudicare gli interessi legittimi di persone estranee al reato e
perciò, non sono confiscabili le cose che appartengono a terzi o siano ad essi lecitamente
pervenute anche dopo la commissione del reato. Non sono neppure confiscabili le cose
appartenenti a persone estranee al reato, quando la fabbricazione, l'uso, il porto, la
detenzione o l'alienazione possono essere consentite mediante autorizzazione
amministrativa.
− misure di sicurezza detentive
Sono misure di sicurezza detentive: la colonia agricola o casa di lavoro, la casa di cura e
di custodia, l'ospedale psichiatrico giudiziario, il riformatorio giudiziario.
Prescrizione
Il decorso del tempo attenua normalmente l'interesse dello Stato ad accertare il reato ed
anche ad eseguire la pena che sia stata inflitta, interesse che viene meno con il svanire
del ricordo del fatto e delle conseguenze sociali di esso. Bisogna distinguere due specie di
prescrizione: la prescrizione del reato e quella della pena: la prima estingue la punibilità in
astratto, mentre la seconda estingue la punibilità in concreto.
− Prescrizione del reato
Presuppone che non sia intervenuta una sentenza irrevocabile di condanna. In ordine al
tempo necessario perché si verifichi la prescrizione, l'art. 157 dispone che questa per i
delitti si compie in 20 anni, se per il reato la legge stabilisce la reclusione non inferiore a
24 anni; in 15 anni, se stabilisce la reclusione non inferiore a 10 anni; in 10 anni, se
stabilisce la reclusione non inferiore a 5 anni; e in 5 anni, se stabilisce la reclusione
inferiore a 5 anni o la pena della multa. I delitti puniti con la pena di ergastolo sono
imprescrittibili.
Nei riguardi delle contravvenzioni il termine è di 3 anni quando la legge sancisce la pena
dell'arresto e di 2 anni quando prevede l'ammenda.
Per il computo delle pene ai fini della prescrizione si considera il massimo della pena
stabilita dalla legge per il reato, tenendo conto degli aumenti e delle diminuzioni dipendenti
dalle circostanze aggravanti e calcolando per le prime l'aumento massimo che esse
importano e per le seconde la diminuzione minima.
Il termine di prescrizione decorre, per il reato consumato, dal giorno di consumazione; per
il reato tentato, dal giorno in cui è cessata l'attività del colpevole; per il reato permanente o
continuato, dal giorno in cui è cessata la permanenza o la continuazione. Allorché la legge
fa dipendere la punibilità del reato dal verificarsi di una condizione, il termine decorre dal
giorno in cui la condizione si è verificata.
La prescrizione del reato è rinunciabile.
− sospensione della prescrizione (del reato)
Il corso della prescrizione rimane sospeso nei casi di autorizzazione a procedere o di
questione deferita ad altro giudizio ed in ogni caso in cui la sospensione del
procedimento penale o dei termini di custodia cautelare è imposta da una particolare
disposizione di legge. Per reati di particolare gravità, la prescrizione rimane sospesa:
• per tutta la durata della latitanza dell'imputato
• durante il tempo necessario per notificare le ordinanze che applicano misure
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cautelari personali all'imputato che non abbia dato comunicazione delle modifiche
relative al domicilio dichiarato o eletto o che sia stato dichiarato irreperibile
• durante tutto il tempo del rinvio chiesto dall'imputato o dal suo difensore, sia per
atti di istruzione che del dibattimento.
Non esistono cause che sospendano il corso della prescrizione della pena.
− interruzione della prescrizione (del reato)
L'interruzione (art. 160) non si limita a determinare una stasi nel corso della prescrizione
medesima, ma rende privo di effetti giuridici il tempo precedentemente trascorso. La
prescrizione interrotta comincia nuovamente a decorrere dal giorno della interruzione. Se
più sono gli atti interruttivi, la prescrizione decorre dall'ultimo di essi.
Sono cause interruttivi la sentenza o il decreto di condanna non passata in giudicato,
le ordinanze che applicano le misure cautelari personali e di convalida del fermo o
dell'arresto, l'interrogatorio reso dinanzi al pubblico ministero o al giudice, l'invito a
presentarsi al pubblico ministero per l'interrogatorio, il provvedimento del giudice di
fissazione dell'udienza in camera di consiglio per decidere sull'archiviazione, la richiesta di
rinvio a giudizio ed il decreto di fissazione dell'udienza preliminare e per la decisione sul
patteggiamento.
Inoltre hanno effetto interruttivo le ordinanze che dispongono il giudizio abbreviato, la
presentazione o citazione per il giudizio direttissimo, i decreti che dispongono il giudizio
immediato e la citazione per il giudizio ordinario.
Per quanto concerne la sentenza ed il decreto di condanna, va posto in rilievo che deve
trattarsi di provvedimento non irrevocabile, perché dopo il suo passaggio in giudicato può
eventualmente prescriversi soltanto la pena.
Non esistono cause che interrompano il corso della prescrizione della pena.
− Prescrizione della pena
È regolata dagli articoli 172 e 173 e può verificarsi solo dopo una sentenza o decreto
irrevocabile di condanna. Essa ha per oggetto soltanto le pene principali, esclusa la pena
per ergastolo, che è imprescrittibile.
La pena di reclusione si estingue col decorso di un tempo al pari del doppio della pena
inflitta e, in ogni caso, non superiore a 30 e non inferiore a 10 anni. La pena della multa
si estingue in 10 anni, le pene dell'arresto e dell'ammenda si estinguono nel termine di 5
anni, termine che è raddoppiato se si tratta di recidivi aggravati o reiterati, ovvero
delinquenti abituali, professionali o per tendenza.
Quando congiuntamente alla pena di reclusione è inflitta quella della multa o insieme
coll'arresto è irrogata l'ammenda, per l'estinzione si ha riguardo solo al tempo stabilito per
la pena detentiva. Nel caso di concorso di reati si considera, per l'estinzione della pena,
ciascuna di essi, anche se le pene sono state inflitte con la medesima sentenza.
Il termine per la prescrizione decorre di regola dal giorno in cui la condanna è passata in
giudicato.
Trattandosi di condanna per delitto sono esclusi dal beneficio della prescrizione della
pena i recidivi nei casi preveduti dai capoversi dell'art. 99 e i delinquenti abituali,
professionali e per tendenza. L'estinzione della pena è pure preclusa al condannato che
durante il tempo necessario per la prescrizione riporta una condanna alla reclusione per
un delitto della stessa indole.
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