PROSPETTIVA INDIVIDUALUSTUCA E AGIRE COLLETTIVO La prospettiva individualistica weberiana richiede che si spieghi come dagli individui si passi all’azione di gruppi che, per l’autore, sono gli autentici soggetti dell’azione sociale e della dinamica della storia. Con grande coerenza W. riprende il suo concetto di azione e da questo concetto ricava l’azione degli attori collettivi. Si ricorderà che per Weber l’azione è un agire significativo, che rispecchia le intenzioni dell’attore, che gli dà un senso, e che è riferita al comportamento di altri individui, e orientata nel suo corso in base a questo. C’è appunto il “comportamento di altri individui “, le azioni degli altri, che costituiscono il contesto necessario e inevitabile dell’azione di ciascun attore. Questi altri individui possono avere preferenze, intenzioni, progetti eventualmente in contrasto con quelli di un dato attore. E’ possibile – e secondo Weber succede in continuazione – che ciascun soggetto consideri l’altro come un ostacolo al conseguimento dei propri fini o come uno strumento per conseguirli. Si tratta di vedere di volta in volta chi riesce a eliminare chi e chi riesce a strumentalizzare chi. Nel conflitto, in ultima analisi c’è sempre un vincitore e un vinto. E, dopo la vittoria e la sconfitta è possibile che si diano degli accomodamenti – dei modi di interazione in qualche modo stabilizzati – che rispecchiano queste vittorie e queste sconfitte. Ma la società non è fatta solo di conflitti fra attori individuali ( e attori collettivi). E’ possibile che diversi attori ( individuali) trovino una certa affinità ( affinità è una parola spesso usata da Weber) nel loro modi di interpretare la realtà, nei loro giudizi di valore, nelle loro preferenze. Queste affinità, a loro volta, possono condurre a linee d’azione comuni, a progetti condivisi. Dunque, i gruppi emergono proprio quando si dia una pluralità di individui – ciascuno orientato da processi soggettivi che gli sono propri – che riconosce di avere più o meno gli stessi valori, le medesime preferenze, che condivide una certa linea d’azione. Questi gruppi sono chiamati da Weber Stande, plurale di Stand. Uno Stand è costituito da una pluralità di individui che condivide certi interessi ed è in grado di operare insieme ( collettivamente) per realizzare tali interessi. La traduzione italiana ( ceto) ha un significato più restrittivo ma, in linea generale, anche in italiano il significato sociologico proprio è quello di indicare un insieme di individui che condividono certi interessi che li condurrà a certe linee di azione. Gli interessi sono, per Weber, di natura diversissima. Ma operando una semplificazione creativa egli li riduce a una semplicissima – e famosissima - tipologia: interessi materiali e interessi ideali. Sono interessi materiali quelli di natura economica, sono interessi ideali quelli che si riferiscono agli stili di vita ( o “stili dell’esistenza”) dotati di maggiore o minore prestigio. Interessi materiali o ideali uniscono uno Stand e contemporaneamente lo contrappongono ad altri. E’ pressoché inevitabile che uno Stand prevalga su altri e che in questo prevalere imponga agli altri la supremazia dei propri interessi ( materiali o ideali). E la capacità di uno Stand di imporsi sugli altri dipende dai rapporti di potere fra gli Stande Per Weber il potere è la capacità di un gruppo di sopraffare o neutralizzare la resistenza degli altri gruppi alla realizzazione dei propri interessi o, anche e di più, di fare in modo che gli altri gruppi, che lo desiderino o meno, si mettano al servizio di quegli interessi. Vi è in primo luogo il potere politico-militare, quello che si fonda sulla violenza organizzata e che si rivela, in ultima analisi, nella capacità di sconfiggere un nemico armato o di reprimere e sconfiggere il tentativo di un gruppo rivale di sovvertire con la violenza l’ordine costituito. Vi è poi il potere economico che si fonda su risorse che fanno capo alla produzione e alla distribuzione della ricchezza materiale. Un gruppo che si appropria delle risorse strategiche per la sopravvivenza materiale ( ad esempio, i mezzi di produzione) escludendo gli altri gruppi, può limitare l’autonomia di questi, costringendoli, per sopravvivere, a presentarsi nel mercato come titolari di risorse economiche di valore inferiore ( la pura forza lavoro, nel caso) e, dunque, a porre questi ultimi in condizione di prestare la propria attività economica in condizioni di inferiorità e subordinazione. La terza forma di potere, denominato ideologico, è la capacità che un determinato gruppo di far valere come sacri i propri modi di intendere la realtà, i propri valori, il proprio stile di esistenza. E’ un potere simbolico ma i grande rilevanza poiché è questo tipo di potere che impone un modo di interpretare la realtà – fra tutti i modi possibili – e di decidere quali siano i criteri di una “buona vita”.( Superficialmente la nozione weberiana somiglia alla concettualizzazione di Marx espressa dalla frase: “i valori di una società sono i valori della classe dominante”. E’tuttavia assai diversa perché per Marx una classe dominante è tale poiché ha il possesso dei mezzi della produzione economica e da questo discende che eserciti anche il potere ideologico. Per Weber, in linea di principio, il potere ideologico non deriva da nessun altro, poiché un gruppo potrebbe monopolizzare solo il potere ideologico e col suo esercizio determinare i criteri della “buona vita” e la quantità di prestigio che accompagna che si approssima più o meno a tali criteri. ( E’, questo, ad esempio, il potere dei bramani nell’India delle caste). Weber, dunque, ipotizza tre forme diverse di potere che si fondano sulla capacità di un gruppo di appropriarsi di risorse socialmente significative e di servirsene per dominare i gruppi che di queste risorse sono privi. Non vi è superiorità fra un tipo di risorsa e l’altra, diverse circostanze storico-sociali possono portare alla prevalenza di un tipo di potere o di un altro o, meglio, alla coesistenza, dei tre tipi di potere. Weber così si esprime: “ classi, ceti e partiti sono fenomeni della distribuzione del potere entro una comunità”. Le classi si formano nella sfera dei rapporti economici, anzi del mercato: si entra nel mercato disponendo o non disponendo di capitale e ciò qualifica le classi principali ( chi possiede capitali e chi possiede solo forza lavoro). La posizione di classe degli individui incide direttamente sulle loro “opportunità di esistenza” ( a molti livelli: dal livello dei consumi materiali alla possibilità di far studiare i propri figli ecc). I ceti si formano nella sfera dei rapporti culturali laddove si esprimono i modi autorevoli di interpretare le realtà, di concepire una vita umana dignitosa. Fra un ceto e l’altro vi è una diversa credibilità morale che assegna a questo o a quel ceto una certa quantità di onore e prestigio. Lo stile di esistenza differenzia, dunque, i ceti, e li pone in scala gerarchica, dall’alto verso il basso. La componente di potere è particolarmente visibile nell’ordinamento dei ceti quando un ceto superiore può escludere gli appartenenti ai ceti inferiori dall’accesso a pratiche che sono proprie del ceto superiore (ad esempio, la proibizione, per i ceti inferiori dell’Ancien Regime europeo, di usare lo stesso abbigliamento o gli ornamenti che erano riservati all’aristocrazia), oppure di imporre ai ceri inferiori di rispettare certe distanze da sé, con ciò riconoscendo la superiorità dei ceti alti e l’inferiorità dei ceti bassi ( esempio estremo, gli intoccabili dell’India castuale). Ma anche nelle società moderne la gerarchia dei ceti si esprime tipicamente nell’esclusività: associarsi con le persone del proprio ceto, evitare di mescolarsi con le persone appartenenti ad altri ceti. Soprattutto, per dirla con Weber, mangiare e sposarsi all’interno del ceto ed evitare queste particolari interazioni con persone di ceto inferiore. I partiti si formano nella sfera dei rapporti politici, quelli che fanno capo a differenze fra gruppi nell’accesso ai mezzi di distruzione e di coercizione. Spesso, nel loro aspetto quotidiano, il riferimento alla violenza organizzata è relativamente raro ( l’ultima risorsa o la semplice minaccia della possibilità di farvi ricorso) mentre quel che si manifesta visibilmente è la diversa possibilità che i gruppi hanno di emettere e far eseguire comandi pubblicamente validi. Per cui si può definire partito quel gruppo caratterizzato dalla capacità ( o dall’incapacità) di affermare i propri interessi decidendo il contenuto dei comandi dello Stato o influendo su quel contenuto.