LA SECONDA GUERRA MONDIALE
~ I PRODROMI DELLA GUERRA
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L’appeseament, l'Asse Roma-Berlino e il Patto anti-Comintern
La svolta del Cominter e i fronti popolari
L’arrendevolezza della Gran Bretagna
L’annessione dell’Austria e l’aggressione della Cecoslovacchia
La Conferenza di Monaco
Mussolini vuole l’Albania
Il Patto Molotov-Ribbentrop
La Germania invade la Polonia: scoppia la Seconda guerra mondiale
~ 1939-1942
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I tedeschi a Parigi
L’Italia in guerra
La battaglia d’Inghilterra
L’Italia in Africa e in Grecia
Gli americani tra isolazionisti e interventisti
Hitler invade l’Unione Sovietica, il Giappone attacca gli Stati Uniti
La guerra civile in Cina e l’attacco giapponese a Pearl Harbor
La Carta atlantica
L’Europa sotto il nazismo
~ 1943-1945
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La svolta di Stalingrado
La caduta del fascismo
L’armistizio con gli alleati
La Repubblica di Salò
Lo sbarco in Normandia
La Conferenza di Yalta e la resa della Germania
La guerra nel Pacifico
La Conferenza di Postdam
~ DUE FONDI DIS-UMANI DEL NOVECENTO
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La shoah
L’uso dell’atomica
I PRODROMI DELLA GUERRA
L'appeseament, l’Asse Roma-Berlino e il Patto anti-Comintern
La politica della Gran Bretagna, appoggiata pure dalla Francia, fu quella dell’appeasement (pacificazione),
ovvero del mantenimento della pace anche a costo di concessioni alla politica apertamente aggressiva della
Germania. Tale politica si rivelò assolutamente fallimentare giacché invece di mantenere la pace fu intesa
come un segnale di debolezza delle democrazie europee. Si lasciò che Hitler smantellasse l’ordine stabilito a
Versailles; che si armasse affinché potesse dar seguito ai sogni di costruzione della Grande Germania capace
di imporre un nuovo ordine mondiale.
Già dal 1933 Hitler avvia il riarmo ed esce perciò dalla Società delle Nazioni. Nel 1936 riportava le truppe
nella Renania.
Nel 1936, su proposta della preoccupata Francia, fu indetta la Conferenza di Stresa, a cui parteciparono
Francia, Gran Bretagna e Italia, proprio per discutere le violazioni tedesche. La Conferenza fu un fallimento
dal momento che si limitò ad una condanna meramente formale delle attività tedesche. Nella Conferenza
l’Italia si mantenne equidistante tra gli interessi inglesi e quelli tedeschi.
Intanto, l’inizio della guerra in Etiopia e le condanne della Società delle nazioni verso l’Italia fece si che essa
si spostasse più verso la Germania.
Nel 1936 venne firmato l’Asse Roma-Berlino che, inizialmente, non fu un patto militare – come sarebbe
stato tre anni dopo con il Patto d’acciaio - ma una comunione di intenti antibolscevichi.
Nel 1937 Roma aderiva al Patto anti-Comintern, ovvero all’alleanza politica tra Germania e Giappone
contro l’Unione Sovietica e l’Internazionale comunista. Il Patto, è, con tutta evidenza, in nuce l’alleanza
tripartita che si stipulerà più tardi. Già si disegna la volontà di una supremazia tedesca in Europa e
giapponese in Asia: all’Italia sarebbe andata una influenza sui paesi che si affacciano sul Mediterraneo. La
firma del Patto coincise con l'aggressione nipponica alla Cina.
La svolta del Comintern e i fronti popolari
La politica estera della Germania e del Giappone allarmò ben presto l’Unione Sovietica. Nel 1934 l’URSS
ruppe il suo isolamento e decise di entrare nella Società delle Nazioni e di stringere un patto di alleanza con
la Francia. Questa svolta indicò la volontà da parte di Stalin e del Partito comunista di affrontare il pericolo
nazifascista. Nel 1935 si decise di combattere i fascismi in un unico fronte, alleandosi con i partiti
democratici nei diversi paesi. Vennero creati i fronti popolari che saldassero, in un’unica coalizione, contro
tutte le organizzazioni fasciste, dai cattolici ai socialisti.
L’annessione dell’Austria e l’aggressione alla Cecoslovacchia
Il 13 marzo 1938, le truppe naziste entrano in territorio austriaco. Lo Stato austriaco cessava di essere
autonomo e veniva annesso alla Germania. L'Anschluss (annessione) dell’Austria passò nel silenzio generale
delle democrazie europee: Gran Bretagna e Francia non mossero un dito e non alzarono la voce. L’Anschluss
fece certo scalpore, ma la si ritenne inevitabile.
L’Austria era stata appena annessa alla Germania, quando, nel volgere di un battito, si profilava
l’aggressione tedesca alla Cecoslovacchia. Hitler voleva l’annessione degli industrializzati territori dei
Sudeti, dove erano presenti circa 3 milioni di tedeschi e una forte propaganda nazista. Nonostante la Francia
fosse impegnata con la Cecoslovacchia nel Tratto di Locarno, che la impegnava ad un intervento in caso di
aggressione, non mosse un dito e non alzò la voce.
Le democrazie europee, Gran Bretagna e Francia, anche questa volta, lasciarono che le cose accadessero
senza muovere un dito, senza alzare la voce contro Hitler.
La Conferenza di Monaco
Su proposta di Mussolini nel 1938, si tenne una Conferenza a Monaco per decidere il destino della
Cecoslovacchia. Quattro le potenze che si sedettero al tavolo delle trattative: Mussolini, Hitler, Chamberlain
e Daladier. Paradossalmente, mancava la Cecoslovacchia! Le richieste di Hitler furono tutte esaudite. La
Cecoslovacchia fu sacrificata sull’altare della pace. Pace apparente, giacché le mire di Hitler non furono
affatto sazie e l’accondiscendenza della Gran Bretagna e della Francia furono interpretate come codardia.
Infatti, poco dopo la conferenza, Hitler si spinse oltre: pose sotto il suo protettorato anche la Boemia e la
Moravia. La Slovenia si dichiarò indipendente e si pose sotto protezione tedesca. Si trattava di un’aperta
aggressione imperialistica ai danni di popolazioni estranee al mondo tedesco. Il 21 marzo 1939, infatti, la
Germania chiese alla Polonia la città di Danzica e la disponibilità della striscia di terra che univa quella città
con la Polonia (il corridoio polacco).
Solo l’occupazione tedesca di Praga fu il campanello d’allarme per la Gran Bretagna e la Francia, le quali
compresero che bisognava reagire alla Germania, in modo tale da arrestare la sua espansione.
Nel 1939, la Gran Bretagna dichiarò che sarebbe intervenuta in soccorso della Polonia qualora fosse stata
minacciata dalla Germania. Nel frattempo, Mussolini aveva lasciato alle sue spalle gli alleati della Prima
Guerra Mondiale, divenendo, così, uno strumento nelle mani di Hitler.
Mussolini vuole l’Albania
In questa mancanza di risposte concrete all’espansione tedesca, Mussolini pensò di poter approfittare
dell’indecisione di Gran Bretagna e Francia e decise di occupare l’Albania e di rivendicare versus la Francia:
Tunisia, Nizza, Savoia, Corsica e Gibuti.
Il 22 maggio 1939, l’Italia firma con la Germania il Patto d’Acciaio, ovvero un vero e proprio trattato
militare con cui l’Italia si impegnava a scendere in guerra senza riserve al fianco dell’alleato. Il patto fu
firmato con una certa superficialità italiana che aveva fretta di usare l’alleanza in funzione anti-francese e che
non si preoccupò di capire fino in fondo gli intenti di Hitler che, di lì a poco, avrebbe portato l’Italia in
guerra.
L’Italia risultava, oggettivamente, impreparata ad una guerra! Le differenze tra l’imperialismo tedesco e
quello italiano erano evidenti: quello tedesco era evoluto sia dal punto di vista ideologico che militare ed
adeguato, nei mezzi ad affrontare la prospettiva di una guerra aggressiva.
Il Patto Molotov-Ribbentrop
Il 23 agosto 1939 a Mosca, Molotov, collaboratore di Stalin, e Ribbentrop, ministro degli esteri tedesco,
sottoscrissero un patto di non aggressione tra URSS e Germania. I Sovietici hanno sempre sostenuto che
furono le incertezze delle democrazie occidentali nel contrastare Hitler e le continue annessioni al territorio
tedesco a spingere l’Unione Sovietica a proteggersi contro la Germania e le sue mire espansionistiche. Il
Patto Stalin-Hitler stabiliva:
- le aree di influenza sugli Stati cuscinetto tra Germania e URSS;
-la spartizione della Polonia;
- l’occupazione delle Repubbliche baltiche da parte sovietica.
La Germania invade la Polonia: scoppia la Seconda guerra mondiale.
L’1 settembre del 1939 Hitler attacca la Polonia.
Quando la Germania decise di attaccare la Polonia, Mussolini, proprio per l’impreparazione militare, con il
consenso di Hitler, si tirò indietro dalla pugna dichiarando la non belligeranza dell’Italia.
Il 3 settembre Gran Bretagna e Francia dichiarano guerra alla Germania: la Seconda guerra mondiale era
formalmente iniziata!
Il giorno precedente all’invasione della Polonia, Hitler disse ai suoi generali che l’unica cosa importante era
la vittoria, non si doveva avere pietà dei nemici perché 80 milioni di tedeschi dovevano ottenere ciò che gli
spettava di diritto. La Polonia si batté valorosamente e la sua cavalleria compì una difesa commovente, ma
nulla potettero contro i carri armati tedeschi. La Polonia capitolò in tre settimane e fu costretta alla resa.
1939-1940
I Tedeschi a Parigi
Il 17 settembre entra in guerra anche l’Unione Sovietica che, sulla scorta del Patto Molotov-Ribbentrop,
rivendica e occupa i territori orientali polacchi. La Polonia è così dilaniata tra tedeschi e sovietici. Ancora, i
sovietici occupano la Lituania, la Lettonia e l’Estonia, da Stalin considerati stati cuscinetti indispensabili per
la sicurezza del suo Paese. Fu la Finlandia a fermare i sovietici.
Il 9 aprile 1940, Hitler occupò improvvisamente la Danimarca e la Norvegia, che furono in breve annesse
all’impero tedesco.
In Gran Bretagna, il governo di Chamberlain fu sostituito, a causa della sua evidente incapacità politica, dal
conservatore Winston Churchill che in precedenza aveva segnalato il pericolo nazista e le mire del 'signore
della guerra'.
Il 10 maggio, le truppe tedesche danno il via all’operazione Fall Gelb (caso giallo) invadendo l’Olanda e il
Belgio, cosicché la difesa francese, costituita dalla ‘Linea Maginot’ (fortificazioni militari lungo la frontiera
orientale con la Germania) fu, semplicemente, aggirata e l’esercito tedesco poté puntare dritto su Parigi. Il 14
giugno i nazisti erano a Parigi!
I nazisti controllavano la Francia settentrionale, compresa Parigi, mentre il governo collaborazionista di
Pétain si trasferiva a Vichy, comunque sotto il controllo tedesco. In opposizione a tale governo, si pose fin da
subito Charles De Gaulle che da Radio Londra chiamò i Francesi alla resistenza contro l’esercito
d’occupazione.
Anche l’Italia proclamò guerra alla Francia, ma la sua impreparazione militare gli permise d’avanzare
soltanto per qualche chilometro in territorio francese.
La guerra lampo di Hitler prevedeva un uso massiccio di carri armati e stukas (aerei da picchiata): una
rapidità d’azione tale da spiazzare il nemico e non dargli possibilità di riprendersi.
La Francia fu schiacciata, umiliata in venti giorni! Pierre Laval, uno dei capi del governo collaborazionista
francese, riteneva che la vittoria tedesca fosse preferibile e necessaria per evitare una Parigi bolscevica.
L’Italia in guerra
Le diplomazie internazionali si adoperarono affinché l’Italia restasse fuori dal conflitto mondiale, nella
fattispecie le democrazie inglese, francese, statunitense. Badoglio avvertì dell’impreparazione dell’esercito.
Nonostante ciò, Mussolini fu irrevocabile! Abbagliato dalle strepitose vittorie dell’alleato e dalla rapidità dei
successi, temette addirittura che la guerra potesse durare troppo poco. Il crollo repentino della Francia gli
sembrò una iattura che avrebbe lasciato l’Italia senza gloria e, soprattutto, senza nulla da spartire.
Mussolini ritenne che la guerra sarebbe durata poco. Decise ‘eroicamente’ di catapultarsi nell’avventura per
partecipare al banchetto finale: “Ho bisogno soltanto di qualche migliaio di morti – disse Mussolini – per
potermi sedere da ex-belligerante al tavolo delle trattative”.
Il 10 giugno 1940, Mussolini, dal balcone di Palazzo Venezia a Roma, annunciava l’entrata in guerra
dell’Italia per sconfiggere “le democrazie plutocratiche e reazionarie dell’occidente”: Gran Bretagna e
Francia!
L’Italia entrò in guerra come anestetizzata.
La battaglia d’Inghilterra
Dopo aver occupato la Polonia, la Danimarca, la Norvegia, l’Olanda, il Belgio e la Francia, la Germania
decise di procedere con un’operazione che venne denominata “Leone marino” che prevedeva l’invasione
dell’Inghilterra. Un ruolo di primo piano avrebbe dovuto assolvere l’armata aerea (Luftwaffe) guidata da
Herman Göring. Notevoli furono i bombardamenti tedeschi sulle città industriali e su Londra ma le truppe
inglesi disponevano di aerei più veloci e, soprattutto, radar capaci di intercettare gli aerei tedeschi
impedendogli di raggiungere gli obiettivi. Il 17 settembre 1940 l'operazione 'Leone Marino' fu accantonata.
La guerra contro l’Inghilterra allora si spostò cercando di attaccare i suoi dominions: da una parte si tentò
con la guerra sottomarina di rendere difficili i commerci inglesi, dall’altra si intervenne massicciamente in
Africa. La guerra sottomarina risultò di una qualche efficacia, ma il prezzo che pagò la Germana in
sommergibili fu elevato.
Per intraprendere la conquista dell’Africa, Hitler avrebbe voluto l’appoggio della Spagna, ma Franco si
rifiutò di correre in suo aiuto.
L’Italia in Africa e in Grecia
L’Italia, intanto, combatteva in Libia. Dopo qualche iniziale successo in Africa, gli italiani dovettero cedere
alla controffensiva inglese. E il 5 maggio gli inglesi occupavano Addis Abeba.
I problemi per gli italiani erano appena cominciati. La situazione italiana peggiorò quando Mussolini decise
improvvisamente di invadere la Grecia. Anche qui gli italiani registrarono una impreparazione logisticamilitare. I greci resistettero e poi passarono all’offensiva occupando parte dell’Albania italiana. Le sorti
italiane cambiarono di segno quando intervenne l’esercito tedesco: attaccati al Nord dagli italiani e al Sud dai
tedeschi, i Greci furono costretti alla resa.
Il 27 settembre 1940, prima dell’attacco alla Grecia, Germania, Italia e Giappone si erano riuniti per firmare
a Berlino il Patto Tripartito attraverso il quale i tre paesi si dividevano le sfere d’influenza: alla Germania
sarebbe spettata l’Europa continentale, all’Italia il Mediterraneo e al Giappone l’Asia. Il sogno di Hitler della
“grande Germania” sembrava avverarsi.
Hitler decise di mandare in Libia uno dei più furbi e geniali generali della Seconda guerra mondiale, Erwin
Rommel: la “volpe del deserto”. Col suo arrivo la situazione si capovolse: i tedeschi occuparono Bengasi e
gli Inglesi furono costretti a ritirarsi.
Gli americani fra isolazionisti e interventisti
Era stato eletto alla presidenza degli USA, per la terza volta consecutiva, Franklin Delano Roosevelt che
aveva dichiarato la neutralità del suo paese e contrarietà a concedere prestiti. Roosevelt preferiva una politica
di tipo isolazionistico. L’Europa si presentava, agli occhi degli Stati Uniti, come un ginepraio di problemi da
cui era saggio e conveniente tenersi lontani. L’Europa era lontana e non c’era nulla da temere, anche se i
carri armati tedeschi avessero preso l’intero continente, compresa la vecchia madrepatria.
Inoltre, opportunisticamente, era sempre possibile aspettare che si scannassero nazisti e comunisti per poi
intervenire e dettare la pace.
Gli interventisti erano di parere contrario. Bisognava intervenire. Gli USA erano potenza mondiale e
dovevano far sentire la loro potenza nel mondo. Bisognava intervenire finché non fosse troppo tardi, finché
Hitler non avesse l’Europa ai suoi piedi e ai suoi ordini. Trattare con un partner europeo nazificato non
avrebbe giovato alle esportazioni statunitensi.
Roosevelt si mosse con cautela fra queste due correnti ma, tendenzialmente, egli operò in maniera tale da
favorire la resistenza inglese. Nel marzo del 1941, il Congresso Americano emanò la Land-lease act (Affitti e
prestiti), con la quale il presidente poteva prestare, vendere o affittare materiali a tutti i paesi che si
ritenevano necessari per la difesa degli interessi americani. Si aiutarono così, di fatto, quei paesi impegnati
contro Hitler. La Gran Bretagna, la Cina, l’URSS poterono usufruire di tale legge senza l'assillo dei
pagamenti e il peso delle riparazioni, che avevano avvelenato i rapporti internazionali nel primo dopoguerra.
Hitler invade l’Unione Sovietica
L’esercito tedesco, il 22 giugno 1941, mise in atto il ‘’piano Barbarossa”. Hitler dava seguito al suo vecchio
sogno di invadere l’Unione Sovietica già caldeggiato nel Mein Kampf.
La Germania aveva bisogno di ulteriore spazio vitale. L’impero germanico esteso su tutta l’Europa avrebbe
dovuto garantire, innanzitutto ai tedeschi, un alto livello economico e poi, agli stessi popoli d’Europa, un
buon tenore di vita affinché le stesse fondamenta del comando tedesco non fossero mai messe in discussione.
Mantenere l’impero avrebbe richiesto risorse! Hitler mirava alle pianure di grano che avrebbero fatto
dell’URSS il ‘granaio d’Europa’; ai minerali di ferro del Donetz; al petrolio di Baku.
Hitler pensò che l’Unione Sovietica sarebbe caduta nel giro di poco tempo come la Francia. Non lo
preoccupò nemmeno la partita che stava giocando con l’Inghilterra, che pensava di chiudere presto a suo
favore.
Per la grande impresa Hitler scaraventò sull’Unione Sovietica la cifra gigantesca di tre milioni di soldati: le
divisioni corazzate, l’aviazione, ecc. L’urto fu tremendo! Alla ‘tattica a tenaglia’ tedesca, che consisteva nel
formare enormi sacche entro le quali cadevano le truppe dell’Armata rossa, i sovietici risposero con la tattica
della ‘terra bruciata’: la stessa - mutatis mutandis - adottata contro Napoleone.
L’esercito tedesco riuscì a penetrare fin presso Leningrado, Stalingrado e Mosca, ma non fu abbastanza
rapido da chiudere la partita prima che l’inverno russo facesse capolino e fermasse l’avanzata inarrestabile.
La guerra lampo dovette sbattere contro le porte dell’inverno.
La guerra civile in Cina e l’attacco giapponese a Pearl Harbor
Il Giappone aveva intenzioni espansionistiche in Asia. Già nel 1937 il Giappone voleva sottomettere
interamente la Cina: Shangai e Nanchino erano già sotto il suo controllo. La Cina, inoltre, era in una guerra
civile: si combattevano forze borghesi che facevano riferimento a Chiang Kai-Shek e forze comuniste che
volevano instaurare una dittatura comunista sulla falsariga sovietica. In un primo tempo, Chiang Kai-Shek
sconfisse l’esercito comunista che però si ritirò iniziando quella che passerà alla storia come la Lunga
marcia. La guerra che il Giappone condusse contro la Cina, fece sì che vi fosse un momentaneo
riavvicinamento tra Chiang Kai-Shek e i comunisti di Mao Zedong, che organizzarono un’efficace
resistenza.
La conquista della Cina poteva essere risolta nel più vasto quadro della conquista sudorientale, ma ciò
comportava inevitabilmente uno scontro con Gran Bretagna e USA.
Nella notte tra il 6 e il 7 dicembre del 1941, senza preavviso, gli aerei giapponesi attaccarono la flotta
americana in rada a Pearl Harbor, nelle isole Hawaii: furono distrutte tre corazzate, tre cacciatorpediniere,
250 aerei e morirono 5.000 uomini.
L’8 dicembre Roosevelt dichiarava guerra al Giappone, mentre Germania e Italia dichiaravano guerra agli
Stati Uniti.
La Carta atlantica
Il 14 agosto del 1941, prima dell’attacco da parte del Giappone, Roosevelt, Churchill e Stalin avevano
sottoscritto la Carta atlantica che sanciva: Gran Bretagna e Stati Uniti non avevano scopi espansionistici;
tutti i popoli erano liberi di scegliere la forma di governo che volevano; tutti i popoli godevano di libero
accesso alle materie prime e ai commerci necessari per la prosperità economica del paese; i mari erano liberi;
si doveva costruire un organismo di sicurezza internazionale che avrebbe evitato il ricorso alla forza nei
rapporti tra le nazioni.
1943-1945
La svolta di Stalingrado
Il 19 novembre 1942 rappresentò un punto di svolta nella Seconda guerra mondiale: i Sovietici liberarono
Stalingrado dall’assedio, liquidando l'arma tedesca del feldmaresciallo Friedrich von Paulus. Il colpo fu
cocente e da qui in poi le sorte della guerra prenderanno un’altra piega. I tedeschi subirono numerose perdite:
duecentomila furono i morti e centomila i prigionieri. L’ARMIR, l’Armata italiana in Russia, impegnata sul
fronte del Don con 230.000 uomini, seguì la stessa tragica sorte: 85.000 uomini tra morti e dispersi.
Nel 1943 anche Leningrado venne liberata. Nell’agosto del ’44, i Sovietici avevano ormai occupato la
Romania, la Bulgaria, la Slovacchia orientale e la Jugoslavia. L’Armata rossa dilagava!
In Africa, Rommel, la “volpe del deserto”, con le sue truppe era giunto fino ad el Alamein, a ottanta
chilometri da Alessandria d’Egitto, ma, nell’ottobre del 1942, il generale inglese Bernard Law Montgomery
aprì il fuoco sulla linea del fronte tedesco-italiano che iniziò dopo durissime battaglia a ripiegare. Ad el
Alamein gli Inglesi ebbero la meglio in quanto dotati di maggiore numero di aerei, maggior numero di mezzi
e maggiore disponibilità di carburante rispetto ai tedeschi ed agli italiani.
L’8 novembre del 1942, comincia la controffensiva degli Anglo-americani che giunsero in Algeria e in
Marocco.
L’anno seguente anche la Tunisia veniva liberata.
Gli Anglo-americani controllavano tutto il mediterraneo.
Il 9 luglio 1943 sbarcarono in Sicilia dove vennero accolti come liberatori. La caduta del fascismo era vicina!
La caduta del fascismo
Lo sbarco alleato in Sicilia suonò come una campana a morto per il fascismo. La guerra lampo si era
trasformata in una lunga e disastrosa esperienza sui diversi campi. Il fascismo aveva catapultato l’Italia in
un’avventura che lasciava esangui.
Già dall’inverno del ‘42-43 il fascismo appariva come una struttura organizzativa e una forma politica che
non aveva più consenso nel Paese.
A suggellare questa mancanza, l’inverno del 1943 vide il riorganizzarsi del movimento operaio il quale, pian
piano, riprendeva dalle lotte economiche sindacali. Gli operai che rialzavano la testa: fu più che un
campanello d’allarme per il fascismo che guardò sgomento come anni di corporativismo non avessero ancora
estinto la conflittualità di classe.
Il fascismo, che pure aveva avuto notevoli punte di consenso nel Ventennio - fino all’impresa etiopica del
’36 -, aveva iniziato a perderlo pian piano: la curvatura verso la Germania, le leggi razziali, il Patto d’Acciaio
e le stesse sorti della guerra che, ovunque, rilevava impreparazione militare.
Il 15 maggio - prima dello sbarco in Sicilia - il re Vittorio Emanuele III aveva comunicato a Mussolini che
era necessario pensare al modo di sganciare il destino dell’Italia da quello della Germania. Bisognava salvare
il salvabile e la monarchia!
Il 19 luglio del 1943, Roma subiva il primo bombardamento.
Il 24 luglio venne riunito il Gran consiglio del fascismo che terminò il giorno dopo. Mussolini venne messo
in minoranza e si presentò dal re che gli comunicò di considerarsi dimissionario e che il suo successore era
Badoglio. All’uscita da villa Savoia, Mussolini fu arrestato. Stranezze della storia… la monarchia aveva dato
le chiavi del Parlamento a Mussolini, ora gliele toglieva sistemandolo in gattabuia. Con tutta evidenza la crisi
politica del fascismo fu pilotata dall’alto, nel tentativo di conservare la monarchia.
Quando la notizia della destituzione di Mussolini venne resa pubblica si diffusero scene di entusiasmo, i
fascisti gettarono i loro distintivi, la milizia evaporò.
L’armistizio con gli alleati
Il maresciallo Badoglio, al capo del nuovo governo, entrò in contatto con gli alleati e il 3 settembre 1943
firmò l’armistizio a Cassibile (Siracusa), che improvvidamente fu reso noto l’8 settembre senza aver
preparato un piano per far fronte all’esercito tedesco sia sul territorio italiano che negli scenari esteri. Lo
sbando fu totale! Come si poteva prevedere, l’esercito tedesco, venuto a conoscenza dell’armistizio, attaccò
tutti i reparti militari italiani.
In Corsica gli italiani si unirono agli alleati. A Cefalonia, in Grecia, la resistenza italiana contro i tedeschi fu
eroica, ma, alla fine, tutta la guarnigione fu passata per le armi.
A Napoli la popolazione insorse contro l’occupante e, dopo quattro giornate di lotta, i tedeschi dovettero
abbandonare le falde del Vesuvio.
Il re, la famiglia ed il governo abbandonarono Roma e fuggirono verso Pescara per poi proseguire verso
Brindisi, dove Badoglio costituì il primo governo nazionale della liberazione.
La Repubblica di Salò
Il 12 settembre 1943, su ordine di Hitler, Mussolini venne liberato grazie a dei paracadutisti che scesero sul
Gran Sasso d’Italia in suo soccorso. Hitler consentì che Mussolini istituisse una Repubblica sociale italiana
o Repubblica di Salò, dal nome del paese sul lago di Garda dove si instaurò il governo: uno stato fascista nel
Nord Italia. Molti storici hanno messo in evidenza come il Mussolini di Salò fu un Mussolini “patetico,
tragico” (G. De Rosa) e ciò perché, ormai, l’esperienza fascista era stata archiviata dalla storia, volerla
riproporre, non poté che essere una farsa!
Mussolini cercò anche di radicare la restaurazione del fascismo con tre analisi della situazione storica:
1) La monarchia aveva tradito! Bisognava allora ritornare alle origini, al Programma di san Sepolcro e
instaurare la Repubblica;
2) Bisognava altresì ritornare al fascismo ‘sociale’ impegnato tra le masse;
3) Bisognava riorganizzare l’esercito e riprendere la guerra al fianco della grande Germania di Hitler.
L’analisi politica era del tutto sbagliata e le condizioni storiche erano tali che i repubblichini non fecero che
rendere più dolorose le doglie del parto: la liberazione dal nazi-fascismo.
Risulta evidente come la Germania caldeggiò la Repubblica; la si instaurò con la protezione dei carri armati
tedeschi; e la si usò come una copertura collaborazionista per l’occupazione tedesca.
Lo sbarco in Normandia
Alla fine del 1943, Roosevelt, Churchill e Stalin si riunirono a Teheran e decisero di aprire un secondo fronte
in Europa, spostando quindi la guerra nel centro dell’Europa: in Germania.
Il 6 giugno del 1944, tale scelta strategica si realizzava con lo sbarco in Normandia. Al comando del generale
Dwight Eisenhower si mosse un esercito poderoso: fu impiegata una flotta di 1200 navi e più di un milione di
uomini.
I Tedeschi si aspettavano un attacco da parte degli alleati, ma non erano a conoscenza né del luogo dello
sbarco, né della data. Insomma, lo sbarco risultò un potente attacco a sorpresa che fu accanitamente
contrastato dai tedeschi. Essi però dovettero infine soccombere.
Intanto, in Francia il 19 agosto Parigi insorse. Il 26 De Gaulle entrava nella capitale e a metà settembre, la
Francia era liberata dall’occupazione tedesca.
I tedeschi registravano, ormai, una serie di sconfitte su più fronti e i Sovietici minacciavano direttamente
Berlino.
La Conferenza di Yalta e la resa della Germania
Nel febbraio del 1945 i tre grandi si riunirono a Yalta per decidere dell’attacco finale alla Germania: un
assedio finale che avrebbe circondato la Germania senza dargli via di scampo.
Si trattò di un attacco terribile: le città tedesche si sgretolavano sotto atroci bombardamenti. A Dresda, sotto
un bombardamento, morirono ben 200.000 persone.
Hitler, nel bunker della cancelleria, lanciò un ultimo appello: “Mai i Russi a Berlino”. Ignorava che i
Sovietici, al comando del generale Zukov, fossero già lì.
I Sovietici a Berlino ingaggiarono una lotta strenua: un corpo a corpo che contese la città palmo a palmo. I
soldati dell’Armata rossa mandavano avanti mandrie di buoi nelle strade minate per aprirsi dei larghi: si
combatté per le strade, nelle case, nelle fogne.
Quando i Sovietici si avvicinarono al bunker, il 30 aprile, Hitler si suicidò. La resa della Germania fu firmata
il 7 maggio a Reims e ratificata l’indomani a Berlino.
La seconda guerra mondiale, in Europa, era finita. Proseguiva nel Pacifico nonostante la chiara inferiorità
nipponica.
La Germania aveva confidato in una guerra lampo: nella incapacità politica delle democrazie occidentali di
decidere in tempi brevi, aveva sottovalutato la resistenza sovietica, la tecnologia e la produttività
statunitense. Il sogno di imperare su tutta l’Europa era tragicamente svanito.
La guerra nel Pacifico
La potenza nipponica, approfittando dello sforzo alleato contro la Germania, riuscì ad espandere la propria
influenza e ad aggredire i possedimenti inglesi e francesi nel Pacifico. Le vittorie nipponiche furono dovute
sia alla strategia militare che attuò una sorta di guerra lampo, sia al consenso delle popolazioni che li vedeva
come liberatori dalla dominazione occidentale. Non ci volle molto tempo per rendersi conto che i Giapponesi
erano il nuovo governo oppressivo!
L’inarrestabile ascesa militare giapponese iniziò a rallentare dal 1942, quando gli americani intensificarono
gli sforzi militari. Nel 1944, finì sotto il controllo americano l’isola di Saipan che distava dal Giappone solo
2.500 chilometri e che portava il Giappone nel raggio di azione degli aerei americani. L’ammiraglio Naguno
e il generale Saito si tolsero la vita dopo che la resistenza a Saipan fu schiacciata. Gli Americani assistettero
a scene mai viste: i 20.000 abitanti dell’isola s’abbandonarono al suicidio di massa pur di non cedere
all’invasore americano.
Altro aspetto della cultura nipponica, che sembrava sconcertante, erano i kamikaze: i piloti nipponici che per
colpire obiettivi vi si gettavano con carichi di bombe.
Nel 1944 ebbe luogo anche la battaglia di Leyte, che riportò le Filippine sotto il controllo americano.
Nel 1945 gli americani sbarcarono a Okinawa. Il Giappone era ormai sotto i bombardamenti americani.
La Conferenza di Postdam
Nel luglio 1945, i “tre grandi” si riunirono di nuovo a Potsdam, nei pressi di Berlino. Il presidente Truman
prese il posto di Roosevelt morto nel frattempo.
Si decise il disarmo, la denazificazione della Germania, la punizione dei criminali di guerra e la liquidazione
dei grandi trust che avevano alimentato la guerra.
A Truman arrivò la notizia che nel deserto del nuovo Messico era stata ‘provata’ con successo l’atomica. Il
presidente americano comunicò la notizia a Stalin che pare non capì la portata dell’evento. La
“denazificazione” della Germania e la liquidazione dei beni, i quali avevano portato in alto l’industria
tedesca degli armamenti, appartenevano ormai ai capi di stato vincitori della guerra in Europa.
DUE FONDI DIS-UMANI DEL NOVECENTO
La shoah
10.000.000 milioni di persone morirono nei campi di concentramento hitleriani. Nei lager nazisti finirono
oppositori politici comunisti e socialisti, ma anche zingari, omosessuali, disabili, malati mentali, ecc.
La teoria della razza fu il nocciolo di una visione di un mondo perfetto dove la materia, biologicamente
inferiore, doveva essere scartata per dare spazio alla “razza padrona germanica”.
La legge sulla sterilizzazione “eugenetica” del 1933 e l’Operazione Eutanasia, del 1940-41 sembrano voler
realizzare il miglioramento della razza a cui allude la Repubblica di Platone che le SS, da bravi scolari,
portavano nello zaino.
Dei 10.000.000 di morti nei lager, ben 6.000.000 furono vittime della teoria razzista che annoverava gli ebrei
come sottouomini (Untermensch).
La persecuzione si snodò in tre fasi distinte.
La prima fase, dal 1933 al ’35, fu contraddistinta da una violenta propaganda antisemita e dal decreto di
espulsione dei dipendenti pubblici non ariani (7 aprile, 1933).
La seconda fase, dal 1935 al ’38, è, invece, caratterizzata, dalle leggi di Norimberga (settembre, 1935) con
cui si escludono gli ebrei dalla nazione, alla ‘notte dei cristalli’ dove vanno in frantumi, assieme alle vetrine
dei negozi ebrei, le ultime speranze di contenere la follia.
Infine, la terza fase si caratterizza come la realizzazione dello sterminio, del genocidio, la “soluzione finale
della questione ebraica”: a) si iniziò nel 1941, con la penetrazione in URSS quando le SS avevano il compito
di rastrellare e uccidere sul posto gli ebrei; b) e, a partire dal 1942, ebbe inizio la deportazione nei lager.
Non solo i nazisti, ma anche i fascisti italiani hanno dato il loro macabro apporto a questa follia iniziando
con l’emanazione delle Leggi razziali del 1938, poi inasprendo le violenze con la Repubblica di Salò quando,
nel novembre del 1943, fu dato ordine che tutti gli Ebrei fossero internati in campi di concentramento per poi
essere avviati verso i Lager tedeschi.
Due i campi tristemente famosi: Fossoli (Mo) e la Risiera di san Sabba (Ts). Non mancò nemmeno un campo
di concentramento in Libia a Giado per rinchiudervi gli Ebrei libici.
La storia, nella sua lunga scia di sangue, ha spesso incontrato follie che ha contrapposto gruppi che hanno
usato violenza verso oppositori, nemici e anche sottomesso altri con l’idea della superiorità fisica, culturale,
ecc.
Ciò che fa la cifra della shoah è il numero! Ciò che annichilisce e disegna un tratto fondamentale dell’orrore
dei campi di concentramento, è la quantità che diventa qualità - come la dialettica hegeliana insegna. Il
tratto che segna un oltre-passamento, una dis-proporzione è esattamente il numero. Ad un certo grado il
numero si trasforma in un cambio qualitativo e la ‘normale’ follia umana della guerra e della violenza si
trasforma in orrore in un fondo dis-umano.
Qui, il numero indica un cambio qualitativo!
La follia che striscia nel corso della storia spunta nel Novecento come un cataclisma: puro orrore! La
differenza con la barbarie, la violenza precedente, è nel processo tecnico, nella industrializzazione della
morte, nel procedimento ‘fordistico’ applicato allo sterminio di un popolo. Il processo tecnico scompone
l’azione, la parcellizza in maniera tale che la responsabilità evapora. E’ la divisione sociale del lavoro della
morte. Ognuno assolve ad un piccolo segmento di un processo che dal rastrellamento porta ai treni, ai campi
e, infine, ai forni crematori e camere a gas. Questo processo fece sì che semplici burocrati, uomini mediocri
si macchiassero di crimini contro l’umanità. Uomini semplici la cui coscienza critica era ormai annichilita.
La banalità del male di H. Arendt registra bene questo aspetto.
I carri armati russi per prima aprono i campi di concentramento (Auschwitz, 27 gennaio 1945), poi gli
Americani documentano. Il processo di Norimberga porta a galla il lavoro, la perizia, la tecnica attraverso cui
bisogna necessariamente passare affinché l’idea – volatile per sua natura - diventi realizzazione: l’idea della
‘soluzione finale’ diventi ‘corpo’. I corpi sono pesanti, ingombranti, refrattari, più difficili da trattare delle
idee: materia biologica che deve essere smaltita! Milioni di corpi, montagne, per essere eliminati hanno
bisogno di registri, calcoli, ecc… e di una vasta rete di lavoro: operazione tecnica complessa che richiese una
fitta rete di snodi, di gangli diversamente articolati, di diversa importanza e funzione che facessero affluire
un popolo nel buco dell’oblio.
Auschwitz, Buchenwald, Mauthausen e Dachau, i gangli più grandi, risuonano come snodi funesti della
storia del Novecento: come fondo della storia! Furono 900 i lager destinati esclusivamente alla “soluzione
finale della questione ebraica” in Austria, Cecoslovacchia e nella stessa Germania sotto il ferreo controllo
delle SS. I lager erano costruiti meticolosamente lungo le linee ferroviarie per facilitare in termini di mobilità
il flusso della morte. I lager erano il terminale di una lunga filiera che partiva dal semplice rastrellamento,
allo stoccaggio del prigioniero, alla stazione di partenza, al riempimento dei vagoni blindati, ecc. Una rete
meticolosa e agghiacciante copriva l’Europa.
L’uso dell’atomica
Il 6 agosto 1945, alle 8:16 (ora locale) una bomba atomica venne sganciata su Hiroshima provocando 80
mila morti e altrettanti feriti che morirono poco dopo a causa delle gravi ustioni: 65mila edifici su 90mila
distrutti.
Il 9 agosto, alle 12:02 una seconda bomba atomica venne sganciata su Nagasaki causando 40 mila morti e 70
mila ustionati. Lo stesso giorno l’URSS dichiarava guerra al Giappone e 5 giorni dopo, il 14 agosto,
l’esercito nipponico si arrendeva: la resa fu firmata a bordo della corazzata americana Missouri ancorata
nella baia di Tokyo.
Il nuovo ordigno militare messo appunto nei laboratori di Los Alamos (Nuovo Messico), a cui avevano
partecipato centinaia di scienziati, era fin dall’inizio un tabù. Il grande tabù atomico!
L’atomica fu vissuta fin dall’inizio come un tabù per almeno tre ragioni:
a) Per la prima volta l’uomo penetrava i segreti dell’atomo, un infinitamente piccolo che sprigionava
una potenza inaudita. C’era la consapevolezza che si toccavano strutture elementari quanto possenti
e imprevedibili della natura, che impauriva lo stesso stregone che ne suscitava le forze;
b) Nella violenza irrefrenabile di un conflitto si poteva ancora scorgere l’idea e la norma di due eserciti
l’un contro l’altro armato. C’era ancora qualcosa che la mente umana riconosceva come perverso ma
umano; c’era ancora l’idea di ‘misura’;
c) Lo strumento bellico aveva ancora le sembianze di uno strumento di guerra ancorché
tecnologicamente avanzato e il cui uso aveva un effetto ‘limitato’.
L’atomica è subito la dis-misura! Il superamento di un limite! Un oltre-passamento! Una dis-proporzione!
a) Da subito fu chiaro che s’era alle prese con qualcosa di imponderabile, non solo per ciò che
riguardava l’immediatezza dell’esplosione e l’impatto sulla popolazione civile, quanto a lungo
termine ossia sull’acquisizione tecnologica della bomba da parte di altri paesi e sull’inevitabile e
imprevedibile escalation storica nella sua costruzione;
b) L’uso dell’atomica non poteva essere contenuto entro limiti militari. Non si trattava più di colpire un
nemico ma di colpire indistintamente una popolazione: donne, vecchi, bambini, infermi, civili inermi
come mai prima. Una città è un organismo molto diverso che uno squadrone di cavalleria o di carri
armati;
c) Infine, il potenziale distruttivo dell’atomica segna un salto quantitativo che diventa qualitativo. Con
l’atomica la quantità diventa qualità – per riprendere di nuovo il buon vecchio Hegel! Lo strumento,
per la prima volta nella storia umana, è potenzialmente capace non di annientare un gruppo, una
popolazione ma lo stesso genere umano. Lo strumento cioè non è strumento di una azione ma ha la
potenza ‘illimitata’ di annichilire qualsiasi azione.
Per queste ragioni, l’uso dell’atomica è fin dall’inizio un tabù e il suo uso è l’inizio di un nuovo limite. In
questo senso l’uso di un’arma di distruzione di massa come la bomba atomica è qualificabile come un
crimine contro l’umanità.
Perciò, insieme alla shoah l’uso dell’atomica rappresenta l’altro fondo raggiunto nel Novecento!
Era necessario l’uso dell’atomica?
Il grande fisico A. Einstein si mostrò nell’occasione di essere anche un uomo capace di pensare in grande,
con consapevolezza, accortezza, con saggezza per quanto gli elementi del problema erano già inficiati nella
stessa premessa. Einstein pronunciò un netto parere contrario a sganciare la bomba su una città giapponese.
Secondo lui bisognava innanzitutto sganciare su un’isola deserta a scopo dimostrativo affinché il Giappone
potesse capirne il potenziale d’orrore. Nel caso in cui il Giappone non si fosse arreso, bisognava allora
prospettare concretamente l’utilizzo della bomba sul territorio all’ONU (Organizzazione della Nazioni
Unite). In questo modo, Einstein intendeva strappare l’uso concreto dell’ordigno ad una sola nazione e
consegnare la decisione al consesso di tutte le nazioni affinché tale atto estremo fosse condiviso e davvero
necessario. Era il meglio che si potesse pensare nell’ambito di un problema che la propaganda americana
impostava nei termini di necessità militare, fine della guerra e risparmio di vite umane.
Era necessario l’uso della bomba?
Fu fatto credere che il Giappone non si sarebbe mai arreso!
Fu fatto credere che bisognava risparmiare vite americane che si sarebbero perse in una invasione del
Giappone: le cifre che Truman usò lievitarono geometricamente negli anni fino al milione di uomini!
Fu fatto credere che si sarebbero colpiti, intelligentemente, città militari importantissime.
In verità a rendere più amara la questione è che, da documenti a lungo rimasti segreti, si è appreso che gli
americani sapevano benissimo che il Giappone era in ginocchio, stremato e che si sarebbe arreso
immediatamente se avesse ricevuto una proposta che non li avesse umiliati e mortificati nei simboli della sua
cultura come ad es. l’imperatore considerato un dio in terra. Non sfugge nemmeno come la sola
dichiarazione di guerra dei sovietici al Giappone li avrebbe terrorizzati e fatti arrendere all’istante.
Dunque? Gli americani vollero chiudere la partita della Seconda guerra mondiale in fretta in modo da sedersi
al tavolo della pace con un forte potere contrattuale.
Bisognava assolutamente chiudere la guerra e arrestare l’avanzata dell’Armata rossa che dilagava in Europa:
mezza Europa era sotto i carri armati sovietici che macinavano chilometri. Bisognava, altresì, far finire
immediatamente la guerra per evitare che l’URSS spostasse la sua forza militare in Giappone e potesse, così,
accampare pretese nel Sud-est asiatico.
La questione non è il Giappone. Hiroshima e Nagasaki sono l’agnello sacrificale al tavolo della nuova
spartizione del mondo. Un monito all’URSS a fermare i carri armati. Un annuncio che gli USA sono la più
forte potenza militare del pianeta padroni della scienza dell’atomo!
In questo senso, Hiroshima e Nagasaki sono il primo atto di ciò che chiameremo ‘guerra fredda’!
BIBLIOGRAFIA
Libri
H. Arendt, La banalità del Male, 1963
P. Levi, Se questo è un uomo, 1947
K. Hayashi, Nagasaki, 2015
Film
Roma città aperta, R. Rossellini, 1945
Salvate il soldato Ryan, S. Spielberg, 1998
Il pianista, R. Polanski, 2002