Cina -
La guida per le imprese italiane
Cina
La guida per le imprese italiane
Cina
La guida per le imprese italiane
Vicenza
Dicembre 2004
PRESENTAZIONE
N
egli ultimi anni l’attenzione di tutti gli operatori economici si è spostata sulla Cina.
I motivi di questa attenzione sono tutti nei numeri. Con una crescita costante del
suo PIL annuale del 9% circa, la Cina si candida, in pochi anni, a superare il PIL
USA. Nel contempo la Cina ha già superato il nostro ed altri paesi industrializzati, per il
contributo che la sua economia offre al commercio internazionale, collocandosi stabilmente
al terzo posto, sia per ciò che riguarda le esportazioni che le importazioni.
La Cina, infine, già oggi si colloca nelle prime tre posizioni della graduatoria mondiale dei
paesi con maggiore capacità di attrarre investimenti diretti esteri.
La consapevolezza di questi fenomeni ha determinato le PMI vicentine a vedere nella Cina
il mercato dell’immediato futuro, pur senza dimenticare i timori indotti da una concorrenza
che il gigante asiatico continua ad esercitare partendo da posizioni di vantaggio competitivo
non sempre accettabili.
Anche dai pareri espressi dalle imprese vicentine, nel contesto di un sondaggio di opinione
che ha rappresentato il primo importante passo del Progetto Marco Polo, lanciato dalla nostra
Associazione alla fine del 2003, è emerso con forza come i problemi della nostra economia
industriale non possano prescindere dal fattore Cina; l’interrogativo che oggi ci poniamo
non verte tanto sull’opportunità di investire in Cina quanto sulla possibilità stessa di fare a
meno della Cina.
Tra i tanti dubbi la Cina oggi ci offre comunque una certezza, quella di un mercato immenso,
dove realizzare i più moderni obiettivi della internazionalizzazione produttiva, intesa come
strategia che, abbandonando la tradizionale logica della ricerca dei fattori produttivi a più
basso costo, cerca di sposare, l’obiettivo della competitività, con quello del radicamento sui
mercati dove il prodotto industriale è destinato ad avere le migliori potenzialità di sbocco.
Tra i tanti progetti con cui la nostra Associazione ha cercato di supportare questo processo
è nata anche l’idea di fornire alle nostre PMI uno strumento di conoscenza analitica del
mercato cinese, utile a chi voglia investirvi ma anche a chi voglia rafforzare la propria
posizione commerciale.
Questa è l’idea che è alla base di questo lavoro che si affianca all’analisi già realizzata, dei
parchi e dei distretti industriali cinesi.
Un lavoro di equipe, che anche all’interno della nostra Associazione rafforza l’idea che a
tutti i livelli dobbiamo mostrare la capacità di lavorare assieme.
Per questo motivo sono particolarmente grato agli imprenditori che si sono impegnati in
prima persona in questo progetto, in forza delle deleghe loro assegnate, il dott. Adamo Dalla
Fontana, responsabile dell’Area Internazionalizzazione, ed il dott. Michele Amenduni,
responsabile dell’Area Fiscale.
Per il tempo da loro dedicato a questo progetto va il mio personale ringraziamento.
Un ringraziamento che rivolgo ovviamente anche agli studiosi che si sono alternati nella
ricerca, producendo uno degli strumenti più completi ed aggiornati su cui oggi possa contare
l’imprenditore che vuole sapere qualcosa di più sulla Cina.
Mi riferisco al Centro di Ricerca sulla Finanza e Fiscalità Internazionale e ai collaboratori
di cui esso ha saputo circondarsi, tutti professionisti di altissimo livello e di provata capacità.
Il Presidente dell’Associazione
Industriali di Vicenza
Massimo Calearo
3
Cina
La guida per le imprese italiane
DICEMBRE 2004
Il gruppo di studio:
Prof. Silvia Cipollina
Coordinatore scientifico
Dott. Andrea Gatos
Avv. Gianandrea Rizzieri
Dott. Fabrizio Tabanelli
Dott. Lara Cappellotto
Dott. Filippo Cicognani
Avv. Fabrizio Ferri
Dott. Iosanco Floreani
Dott. Wei Qiu
Dott. Paolo Revelant
Avv. Federico Rizzo
INDICE
BACKGROUND
13
SISTEMA ECONOMICO-COMMERCIALE
17
1.
L’IMPRESA E LE SOCIETA’
1.1.
Aspetti generali sull’investimento straniero in Cina
1.1.1.
Attività aperte agli investitori stranieri
1.1.2.
Incentivi
1.1.3.
Attività di import-export
1.2.
Ufficio di rappresentanza e sede secondaria
1.3.
Le varie forme di impresa: premessa
1.4.
Impresa pubblica
1.5.
Imprese artigianali
1.6.
Società di persone
1.7.
Imprese miste
1.8.
Società non commerciali
1.9.
Società a responsabilità limitata
1.9.1.
Costituzione
1.9.2.
Capitale sociale e conferimenti
1.9.3.
Registrazione
1.9.4.
Circolazione delle quote
1.9.5.
Assemblea dei soci
1.9.6.
Organi amministrativi e di controllo
1.9.7.
Incompatibilità e conflitto d’interessi
1.9.8.
Il bilancio
1.9.9.
Fusione e scissione di società
1.9.10.
Scioglimento e liquidazione
1.9.11.
Responsabilità della società e degli amministratori
1.10. Società per azioni
1.10.1.
Costituzione
1.10.2.
Statuto
1.10.3.
Capitale sociale e conferimenti
1.10.4.
Prima assemblea
1.10.5
Registrazione
1.10.6
Le azioni e la loro circolazione
1.10.7.
Assemblea dei soci
1.10.8.
Consiglio di Amministrazione
1.10.9.
Norme comuni alle S.r.l.
1.11. Imprese a capitale straniero
1.11.1.
Aspetti generali
1.11.2.
Equity Joint-Venture
1.11.3.
Contractual Joint-Venture
1.11.4.
Wholly Foreign-Owned Enterprise
1.11.5.
Le società holding
17
18
19
19
19
21
23
23
24
24
24
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25
25
26
26
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27
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29
30
30
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32
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33
33
33
34
34
35
37
37
37
40
41
42
45
2.
LA DISCIPLINA DEI PRINCIPALI CONTRATTI D’IMPRESA
2.1.
Le origini del diritto contrattuale in Cina
2.2.
Le previgenti fonti del diritto contrattuale
2.2.1.
I principi generali del diritto civile
2.2.2.
Le leggi speciali
47
47
47
47
47
7
2.3.
2.4.
2.5.
2.6.
2.7.
2.8.
2.9.
La legge sul contratto della PRC
2.3.1.
Caratteristiche generali
2.3.2.
Disposizioni di particolare rilievo
Contratti di distribuzione e di agenzia
2.4.1.
Premessa sulla distribuzione commerciale straniera
2.4.2.
Differenze intercorrenti tra agenzia e distribuzione
2.4.3.
La distribuzione
2.4.4.
L’agenzia
Il franchising
2.5.1.
L’attuale disciplina del contratto di franchising
2.5.2.
Accordi di licenza per l’estero
2.5.3.
I nuovi regolamenti sul franchising
La vendita
La compravendita di azienda
Il leasing
Contratti tecnologici
48
48
49
53
53
54
54
55
57
57
58
58
58
60
62
62
3.
I DIRITTI DI PROPRIETA’ INDUSTRIALE
3.1.
Introduzione
3.2.
Marchi
3.2.1.
Procedura di registrazione
3.2.2.
Segni suscettibili di essere registrati come marchi
3.2.3.
Diritti del titolare del marchio
3.2.4.
Durata, rinnovo, cessione e licenza
3.2.5.
Marchi celebri e marchi di fatto
3.2.6.
Marchio collettivo e certificativo
3.2.7.
Nullità e annullamento del marchio
3.2.8.
Abuso del diritto
3.2.9.
Contraffazione
3.2.10.
Azione amministrativa e azione giudiziaria
3.2.11.
Sanzioni di natura penale
3.2.12.
Oneri di registrazione
3.2.13.
Domain name
3.3.
Brevetti per invenzione, modelli di utilità e disegni industriali
3.3.1.
Brevettabilità
3.3.2.
Il titolare del brevetto
3.3.3.
Diritti di esclusiva
3.3.4.
Diritti degli stranieri
3.3.5.
Procedura di rilascio del brevetto
3.3.6.
Durata, cessione e licenza
3.3.7.
Nullità del brevetto
3.3.8.
Contraffazione del brevetto
3.3.9.
Misure cautelari
3.3.10.
Oneri di registrazione
3.4.
Il trasferimento internazionale di tecnologia: tipologie e finalità contrattuali
3.5.
Concorrenza sleale
3.6.
Diritto d’autore e software
62
62
63
64
66
67
67
68
69
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70
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71
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76
76
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79
79
81
81
81
83
84
4.
LA DISCIPLINA DEL LAVORO DIPENDENTE
4.1.
Introduzione
4.2.
Contratti di lavoro e contratti collettivi
4.3.
Singoli aspetti del rapporto di lavoro
4.3.1.
Periodo di prova
4.3.2.
Obbligo di riservatezza
85
85
86
86
86
86
8
4.4.
4.3.3.
Risoluzione del rapporto
4.3.4.
Ore di lavoro, lavoro straordinario, ferie
4.3.5.
Retribuzione
4.3.6.
Sicurezza e salute dei lavoratori
4.3.7.
Controversie
4.3.8.
Supervisione e ispezione
4.3.9.
Responsabilità
4.3.10.
Associazioni sindacali e diritto di sciopero
4.3.11.
Contratti di lavoro con stranieri
I contratti di lavoro conclusi da imprenditori stranieri
4.4.1.
Considerazioni generali
4.4.2.
Composizione del personale
4.4.3.
Fonti di reperimento del personale
4.4.4.
Spese per la forza lavoro
4.4.5.
Gestione dei lavoratori
4.4.6.
Clausole di riservatezza e di non concorrenza
5.
IL REGIME DELLA PROPRIETA’ IMMOBILIARE
5.1.
Fonti
5.2.
Proprietà sui terreni
5.3.
Diritto d’uso
5.3.1.
Acquisto e vendita del diritto
5.3.2.
Durata del diritto
5.3.3.
Corrispettivo
5.3.4.
Certificato
5.3.5.
Acquisto automatico
5.3.6.
Estinzione
5.3.7.
Atti di disposizione del diritto
5.4.
Contratto di locazione
5.5.
Diritti reali di garanzia
5.6.
Diritti d’uso a titolo gratuito
5.7.
Edifici
5.8.
Vendita di immobili in costruzione
6.
IL SISTEMA DI SOLUZIONE DELLE CONTROVERSIE
6.1.
Introduzione
6.2.
Le peculiarità del sistema giudiziario
6.3.
L’ordinamento giudiziario
6.3.1.
Il collegio giudicante
6.3.2.
Proposizione dell’azione
6.3.3.
Svolgimento del processo
6.3.4.
Provvedimenti cautelari
6.3.5.
Procedimento esecutivo
6.3.6.
Impugnazioni: l’appello
6.3.7.
Riconoscimento ed esecuzione delle sentenze straniere
6.4.
L’arbitrato
6.4.1.
Osservazioni generali
6.4.2.
Le istituzioni arbitrali cinesi
6.4.3.
Requisiti della clausola compromissoria
6.4.4.
Il collegio arbitrale
6.4.5.
I lodi arbitrali
6.4.6.
Esecuzione dei lodi arbitrali
86
87
88
88
88
89
89
89
89
90
90
90
90
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99
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100
100
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102
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103
103
104
104
105
105
106
9
SISTEMA FINANZIARIO
107
7.
IL SISTEMA BANCARIO E FINANZIARIO
7.1.
L’apertura di conti bancari
7.2.
L’attività creditizia
7.3.
La riforma delle banche controllate dallo stato
7.4.
Gli sviluppi nel sistema finanziario
107
108
109
111
114
8.
IL SISTEMA VALUTARIO
115
9.
FINANZA AGEVOLATA
9.1.
I fondi di venture capital
118
119
10. IL MERCATO DEI CAPITALI
10.1. Gli investimenti esteri
10.2. Il processo di riforme sul mercato dei capitali
10.3. Offerta di strumenti finanziari, listing e disclosure
10.4. Disciplina dei fondi comuni d’investimento
10.5. Il codice di corporate governance
10.6. Initial Public Offerings e ammissione a quotazione di titoli azionari
10.7. Le negoziazioni di titoli azionari
10.8. Il mercato obbligazionario
10.9. L’industria dei fondi comuni d’investimento
119
120
122
123
124
124
126
127
128
129
SISTEMA FISCALE
131
11. IL SISTEMA FISCALE IN GENERALE
11.1. La produzione legislativa e l’amministrazione delle imposte
11.2. Le principali imposte
131
131
132
12. L’IMPOSIZIONE SUI REDDITI DELLE PERSONE FISICHE
12.1. Il concetto di residenza e le diverse categorie di reddito
12.2. Reddito da lavoro dipendente
12.2.1.
Esenzioni e deduzioni
12.2.2.
Calcolo dell’imposta e versamento
12.3. Altre categorie di reddito
12.3.1.
Redditi di impresa artigianale
12.3.2.
Redditi da appalti e subappalti (terzisti)
12.3.3.
Redditi di lavoro autonomo
12.3.4.
Redditi da diritto d’autore
12.3.5.
Royalties
12.3.6.
Interessi e dividendi
12.3.7.
Redditi da locazione
12.3.8.
Plusvalenze da cessione
12.3.9.
Redditi occasionali
12.3.10.
Redditi esenti
133
134
136
137
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139
139
139
140
140
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141
141
141
142
142
13. L’IMPOSIZIONE SUI REDDITI SOCIETARI
13.1. Imposta sul reddito delle società domestiche (cenni)
13.1.1.
Determinazione del reddito imponibile e periodo di imposta
13.2. Imposta sul reddito delle imprese a capitale straniero
13.2.1.
Soggetti passivi
13.2.2.
Tipologie reddituali
13.2.3.
Periodo d’imposta e aliquota
142
143
143
144
145
146
147
10
13.2.4.
13.3.
Calcolo del reddito imponibile
13.2.4.1. Imputazione a periodo
13.2.4.2. Proventi
13.2.4.3. Oneri
13.2.5.
Il trattamento fiscale delle immobilizzazioni
13.2.5.1. Le immobilizzazioni materiali
13.2.5.2. Immobilizzazioni immateriali
13.2.6.
Valutazione del magazzino
13.2.7.
Il riporto delle perdite
13.2.8.
Transfer pricing
13.2.9.
Determinazione forfetaria del reddito
Società non residenti prive di stabile organizzazione
147
148
149
149
151
151
154
155
155
155
157
157
14. ADEMPIMENTI FORMALI, ACCERTAMENTO E CONTENZIOSO
14.1. La registrazione ai fini fiscali
14.2. Versamenti e dichiarazioni
14.2.1.
Soggetti IRPEF
14.2.2.
Soggetti IRID
14.2.3.
Soggetti IRIS
14.3. Accertamento e sanzioni
14.4. Contenzioso tributario: cenni
158
158
159
159
159
160
161
163
15. ASPETTI DI FISCALITA’ INTERNAZIONALE
15.1. I trattati in vigore contro le doppie imposizioni
15.2. La Convenzione Italia - Cina per evitare le doppie imposizioni e prevenire
le evasioni fiscali in materia di imposte sul reddito
15.3. Il credito d’imposta per le imposte assolte all’estero
163
164
16. ALTRE PRINCIPALI IMPOSTE
16.1. L’imposta sul valore aggiunto
16.2. Imposta sugli affari
16.3. Imposta sui consumi
16.4. Imposta sul valore aggiunto immobiliare
16.5. Imposta sull’attività agricola
16.6. Imposta sulle risorse naturali
16.7. Dazi doganali
16.8. Imposta sugli atti immobiliari
16.9. Imposta di bollo
16.10. Imposta sugli immobili urbani
167
167
170
172
174
175
175
176
177
178
179
17. LE AGEVOLAZIONI FISCALI
17.1. I soggetti
17.2. L’ubicazione: le zone speciali o di sviluppo
17.3. Le caratteristiche dell’attività esercitata: alcune definizioni
17.3.1.
I settori “incoraggiati”: il Catalogo per le industrie straniere
17.3.2.
Imprese impegnate in attività di natura produttiva
17.3.3.
Imprese ad alto tasso tecnologico
17.3.4.
Imprese orientate all’esportazione
17.4. Le agevolazioni sine die: le aliquote IRIS ridotte
17.5. Le esenzioni e le riduzioni limitate nel tempo
17.6. Altre agevolazioni specifiche ai fini IRIS
17.7. Il credito di imposta per gli utili reinvestiti
17.8. Il credito di imposta per l’acquisto di macchinari e attrezzature cinesi
17.9. Le agevolazioni in alcune province
179
180
181
187
187
187
188
188
189
190
191
192
194
194
164
166
11
ITALIA – CINA: RIFLESSI FISCALI DI ALCUNI PERCORSI OPERATIVI
203
18. DISTRIBUZIONE COMMERCIALE DIRETTA
18.1. Imposte dirette
18.2. Imposte indirette e dazi doganali
203
203
203
19. DISTRIBUZIONE COMMERCIALE INDIRETTA: IL FRANCHISING
19.1. Il contenuto essenziale dei contratti di franchising nella prassi internazionale e in Italia
19.2. I caratteri del rapporto di franchising
19.3. Le forme del franchising internazionale
19.3.1.
Il franchising diretto
19.3.2.
Il franchising internazionale attraverso una filiale o una succursale
19.3.3.
Il franchising internazionale attraverso la creazione di una filiale comune
o di una joint venture con un partner estero
19.3.4.
Il “master franchising”
19.3.5.
Il franchising attraverso un contratto di supervisione
19.4. I riflessi fiscali dei contratti di franchising stipulati dalle imprese italiane
19.4.1.
Le imposte sul reddito: il reddito d’impresa e le componenti reddituali
relative ai contratti di franchising
19.4.1.1. Royalties ed entrance fees
19.4.1.2. I corrispettivi delle prestazioni di servizi accessori forniti dal franchisor
19.4.1.3. I depositi cauzionali versati dal franchisee al franchisor
19.4.1.4. Le indennità contrattuali da corrispondere al franchisee o al franchisor
19.4.1.5. I corrispettivi delle cessioni dei beni tra il franchisor italiano ed il
franchisee cinese
19.4.1.6. Problematiche in tema di transfer price
19.4.1.7. Gli interessi di dilazione di pagamento corrisposti
dal franchisee cinese al franchisor italiano
19.4.2.
L’imposta sul valore aggiunto italiana
19.4.2.1. Cessioni di beni
19.4.2.2. Prestazioni di servizi
19.4.3.
Le imposte sul valore aggiunto applicate in Cina
19.4.4.
Altre tasse, diritti ed imposte applicate in Cina
204
204
205
206
206
206
213
214
214
214
215
215
20. ACCORDI RELATIVI A DIRITTI INDUSTRIALI
20.1. Premessa
20.2. Il regime fiscale delle importazioni di tecnologia nell’ordinamento cinese
20.3. Il regime fiscale dei trasferimenti internazionali di tecnologia nell’ordinamento italiano
216
216
216
217
21. PRODUZIONE CON PRESENZA IN CINA
21.1. Acquisizione di partecipazioni di una società cinese già esistente
21.2. Costituzione di unità locali e sedi secondarie
21.3. Costituzione di joint-venture
21.4. Processing and assembling trade. Compensation trade
217
218
219
219
220
PROSPETTI DI SINTESI
PRINCIPALI RIFERIMENT I NORMATIVI
ALCUNI SITI DI INTERESSE
INDICE ABBREVIAZIONI E ACRONIMI PRINCIPALI
221
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12
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207
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208
208
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211
211
212
213
BACKGROUND
La Cina è il terzo più grande Paese al mondo per estensione, dopo la Confederazione Russa e il Canada,
e il più grande per popolazione, con oltre 1,2 miliardi di abitanti (circa il 25% della popolazione
dell’intero pianeta).
Dal 1° ottobre 1949 il Paese, che ha assunto la denominazione di Repubblica Popolare Cinese (RPC),
è un Paese a regime socialista, governato dal Partito Comunista Cinese. Per decenni, durante il periodo
della Guerra fredda, il Paese è rimasto sostanzialmente isolato; solo a partire dal 1978, anno in cui ha
stabilito relazioni diplomatiche con l’Unione Europea, la Cina ha ripreso i contatti politici ed economici
con i Paesi occidentali, iniziando il lento e graduale processo, tuttora in corso, di assorbimento dei
principi dell’economia di mercato e della libertà di iniziativa economica.
Il 4 dicembre 1982 la Cina ha adottato la Costituzione, che stabilisce i principi fondamentali dello Stato
socialista.
Come sancito dall’art. 57 Cost., la più alta autorità del potere statale è il Congresso Nazionale del
Popolo (CNP). Il CNP si riunisce una volta all’anno, nel primo trimestre, su convocazione del
Comitato Permanente, è composto di circa 3000 “deputati”che durano in carica per 5 anni (una
“legislatura”); sono eletti a loro volta dai Congressi Locali delle Province, delle Regioni autonome
e delle Municipalità, e dalle forze armate (artt. 59 e 60 Cost.) e godono dell’immunità parlamentare
(art. 74 Cost.).
Il CNP ha, fra gli altri, i seguenti poteri (art. 62 Cost.):
• modificare la Carta Costituzionale con la maggioranza dei suoi due terzi, e sorvegliarne l’applicazione;
• approvare le “leggi quadro” (basic laws) concernenti i reati, gli affari civili e gli organi dello Stato;
• esaminare ed approvare il piano per lo sviluppo economico e sociale ed i rapporti sulla sua attuazione;
• esaminare e approvare il bilancio dello Stato;
• decidere sulla istituzione di Regioni, Province, e altre entità amministrative territoriali;
• nominare e rimuovere dall’incarico il Consiglio di Stato (organo avvicinabile al nostro Consiglio dei
Ministri), depositario del potere esecutivo, e vari altri organi di vertice, fra cui il Presidente della
Repubblica e i membri della Corte Suprema.
All’interno del CNP, nella prima adunanza di ogni legislatura, viene eletto il Comitato Permanente
(“Standing Committee”) - composto da Presidente, Vicepresidenti, Segretario Generale e membri effettivi
eletti fra i Deputati (art. 65 Cost.) - il quale risponde al Congresso e ne svolge le funzioni quando questo
non è in adunanza. Rimane in carica anch’esso un quinquennio; la stessa persona non può ricoprire la
carica di Presidente o di Vicepresidente più di due volte consecutive (art. 66).
Il Comitato Permanente ha poteri molto estesi, sia in campo legislativo, che esecutivo, tra cui (art. 67
Cost.):
• il potere di approvare ed emendare le leggi che non siano di competenza del CNP, e di integrare ed
emendare quelle di competenza del CNP quando questo non sia in adunanza (nei fatti, il Comitato
svolge una cospicua attività legislativa);
• il potere di fornire interpretazioni autentiche della Costituzione e delle leggi;
• poteri di sorveglianza sul rispetto della Costituzione;
• il potere di supervisionare il lavoro degli altri organi dello Stato, tra cui la stessa Corte Suprema;
• il potere di annullare provvedimenti amministrativi del Consiglio di Stato e delle autorità locali;
13
•
•
•
•
il potere di nominare plenipotenziari all’estero;
il potere di ratifica e abrogazione dei trattati internazionali;
il potere di applicare la legge marziale nello Stato o in sue zone determinate;
poteri di nomina e di rimozione sostitutivi di quelli del CNP, utilizzabili quando questo non è in
sessione;
• poteri di grazia.
Il Consiglio di Stato è, a termini di legge, l’organo esecutivo del supremo organo del potere statale e
la più alta autorità dell’amministrazione statale (art. 85 Cost.). Si compone di Premier, Vicepremier,
Consiglieri di Stato, Ministri, Commissari, Supervisore generale e Segretario generale. La durata in
carica è la stessa del Congresso.
La Costituzione attribuisce al Consiglio di Stato, fra gli altri, i seguenti poteri (art. 89 Cost.):
• di adottare atti e regolamenti amministrativi nel rispetto della Costituzione e della Legge;
• di sottomettere proposte al CNP ed al suo Comitato Permanente;
• di definire i compiti e le responsabilità dei Ministeri e delle Commissioni e di dirigerne l’attività;
• di dirigere l’attività degli organi locali dell’amministrazione ai vari livelli e di stabilire la suddivisione
di poteri e funzioni tra l’amministrazione centrale e le articolazioni periferiche;
• di stipulare trattati e di concludere accordi con gli altri Paesi;
• di elaborare il piano per lo sviluppo economico e sociale dello Stato;
• di dirigere e amministrare gli affari economici, dell’educazione, della scienza, della sanità, della
sicurezza sociale, della cultura, della difesa, delle relazioni internazionali;
• di esercitare le funzioni ed i poteri delegatigli dal CNP o dal Comitato Permanente.
Secondo quanto previsto dalla Costituzione (art. 30 Cost.), la Cina si suddivide nelle seguenti articolazioni
territoriali principali:
• 2 Regioni Amministrative Speciali (SAR – “Special Administrative Region” - di Hong Kong e di
Macao);
• 5 Regioni Autonome (tra cui il Tibet);
• 23 Province (tra cui Taiwan, su cui la Cina rivendica la sovranità e che pertanto non riconosce come
Stato sovrano);
• 4 Municipalità direttamente controllate dal Governo centrale (metropoli tra cui Pechino e Shangai).
Le Province e le Regioni Autonome comprendono Contee, Contee Autonome, Prefetture Autonome e
Città, le quali a loro volta prevedono sottoarticolazioni.
La gerarchia delle fonti del diritto cinese è così strutturata:
1) la Costituzione della Repubblica Popolare Cinese;
2) le leggi fondamentali delle SAR di Hong Kong e di Macao. Il territorio di Hong Kong è stato
governato dal Regno Unito dal 1842 al 1° luglio 1997, quando è stato restituito alla sovranità cinese;
la legge fondamentale di Hong Kong costituisce di fatto la Costituzione di questa area, e stabilisce
che il sistema capitalistico in uso fino al 1° luglio 1997 prevalga rispetto a quello socialista almeno
fino al 2047. Macao era un territorio oltremare del Portogallo; in seguito all’accordo del 13/04/1987,
è tornato sotto il controllo della Cina a partire dal 20/12/1999, con l’impegno delle autorità cinesi
di applicare lo stesso trattamento “one country, two systems” utilizzato per Hong Kong;
3) i trattati internazionali ratificati dal Governo cinese;
4) le leggi interne, adottate dal Congresso (le “leggi quadro”, basic laws) e quelle adottate dal Comitato
Permanente del Congresso (non-basic laws), che come si è detto è dotato di potere legislativo;
5) i regolamenti amministrativi, emanati dal Consiglio di Stato;
6) i regolamenti locali, emanati dai Congressi delle singole Province, Regioni Autonome e Municipalità;
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7) i decreti governativi locali, adottati dai Governi Popolari delle Province, delle Regioni Autonome e
delle Municipalità.
La moneta nazionale è il Renminbi (noto anche come Yuan), la cui sigla internazionale è RMB (o CNY).
Il cambio medio RMB/EUR accertato dall’Agenzia delle Entrate per il mese di luglio è stato di poco
più di 10, precisamente 10,1561 Renminbi per 1 euro.
La lingua ufficiale della RPC è il Puntonghua, il dialetto cinese meglio conosciuto come Mandarino,
parlato soprattutto a Pechino e nelle regioni circostanti. Esistono però numerosissimi altri dialetti, tra
cui assai diffuso il Cantonese, parlato nel Sud dello Stato.
15
SISTEMA ECONOMICO-COMMERCIALE
1. L’IMPRESA E LE SOCIETA’
1.1. Aspetti generali sull’investimento straniero in Cina
La disciplina degli investimenti stranieri in Cina è disciplinata in modo molto dettagliato da provvedimenti
legislativi del Congresso e dai numerosi regolamenti del Ministero dell’Industria e Commercio.
All’operatore economico che voglia avviare un’attività d’impresa nel territorio della Repubblica Popolare
Cinese, sono disponibili le seguenti alternative di investimento:
• costituire un ufficio di rappresentanza;
• costituire una sede secondaria;
• costituire una joint-venture con un partner cinese (equity joint-venture sino-estera – EJV, o contractual
joint-venture sino-estera - CJV);
• costituire una “società interamente controllata” (wholly owned-foreign company - WFOE);
• acquisire una società già esistente.
La scelta circa la migliore forma di organizzazione per l’investimento deve essere valutata in relazione
alle caratteristiche del progetto che dovrà essere intrapreso ed alla natura dell’attività dell’investitore.
Se da una parte la creazione di un ufficio di rappresentanza o di una sede secondaria permette di
esplorare il mercato, svolgere funzioni di business development, concludere contratti, dall’altra la
creazione di una filiale nella forma societaria permette di delimitare il rischio dell’investimento e di
dotare il progetto di una struttura autonoma ed indipendente di gestione.
Dal 2001, con l’adesione della Cina all’Organizzazione Mondiale per il Commercio (WTO, World Trade
Organization) sono aumentate notevolmente le possibilità di investimento degli stranieri nel territorio
cinese e sono dietro l’angolo numerose riforme della disciplina degli investimenti stranieri.
Si noti che, attualmente, non tutti i settori di attività sono accessibili agli stranieri. E’ necessario dunque,
prima di pianificare l’investimento, comprendere se il settore di attività che si intende avviare in territorio
cinese rientri tra quelli per cui l’investimento straniero è accessibile. Come meglio vedremo nel paragrafo
seguente, esiste un vero e proprio catalogo che elenca le attività commerciali e industriali classificandole
come accessibili, ad accesso ristretto e riservate.
Fino all’entrata in vigore della legge sulle società commerciali del 1994, la possibilità per gli stranieri
di operare sul mercato cinese era limitata alla costituzione di due particolari società: la joint-venture
o la wholly foreign-owned enterprise, nelle forme e secondo le modalità dettate dalla legislazione
speciale sulle società a capitale straniero, le cosiddette Foreign Investment Enterprise o semplicemente
FIE (Legge sulle equity joint-venture sino-estere del 1° luglio 1979, Legge sulle joint-venture
contrattuali sino-estere del 13 aprile 1988, Legge sulle wholly foreign-owned enterprises del 12
aprile 1986).
Con la nuova legge sulle società commerciali, invece, si è aperta anche per le imprese estere la possibilità
di acquistare una quota di capitale di una società cinese già esistente (che potrà essere una “ordinaria”
- cioè prevista dalla legislazione generale - società a responsabilità limitata o società per azioni, di cui
ai paragrafi 1.9. e 1.10.).
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La partecipazione straniera al capitale di società locali è ammessa dalla legislazione nei limiti in cui
sono consentite le realizzazioni di progetti da parte di imprese estere, con esclusione quindi di alcuni
settori considerati strategici (quali, ad esempio, quello della sicurezza nazionale, della stampa e delle
comunicazioni). Qualora la partecipazione straniera sia pari o superiore al 25% del capitale della
società cinese esistente, l’investimento estero sarà comunque sottoposto al controllo ed alla approvazione
da parte degli organi governativi competenti (Commission of Foreign Trade and Economic Cooperation
COFTEC o Minister of Foreign Trade and Economic Cooperation MOFTEC), e la società sarà equiparata
ai fini fiscali ad una FIE, godendo delle relative agevolazioni.
1.1.1. Attività aperte agli investitori stranieri
Una società a capitale straniero non è libera di svolgere qualsiasi attività industriale o commerciale: al
fine di orientare gli investimenti esteri verso quei settori ritenuti prioritari per lo sviluppo economico
industriale del Paese, il Governo Cinese il 20 giugno 1995 promulgò le “Previsioni temporanee per
l’orientamento degli investimenti esteri” (“Interim Provisions on Guiding Foreign Investment Direction”)
e il Catalogo per gli investimenti industriali esteri (“Guiding Catalogue for Foreign Investment Industries”,
di seguito “il Catalogo”). Le Interim Provisions sono state sostituite dalle “Regulations on the guidance
for investment direction of foreign businessmen” nel corso del 2002, mentre una nuova edizione del
Catalogo è in vigore dal 1° aprile dello stesso anno.
Nel Catalogo le attività sono suddivise in tre categorie:
1) incoraggiate;
2) ad accesso ristretto;
3) vietate.
Le attività incoraggiate attengono ai progetti di investimento in settori che introducono nuove o avanzate
tecnologie che contribuiscano alla produzione di nuovi macchinari; a progetti che favoriscono lo sviluppo
e il progresso delle tecniche di coltivazione, dello sfruttamento delle risorse energetiche, delle
telecomunicazioni; a progetti nel campo della prevenzione dell’inquinamento ambientale e a progetti
per lo sviluppo delle aree centro occidentali del Paese.
Le attività ad accesso ristretto attengono ai progetti che utilizzano tecnologia datata o comunque già
sufficientemente diffusa in Cina, a progetti dannosi per il risparmio energetico o per l’ambiente, a
progetti di sfruttamento delle risorse minerarie protette (minerali rari e preziosi) e di investimento in
settori nei quali è presente la pianificazione statale.
Le attività vietate si riferiscono a settori nei quali è prevalente l’interesse pubblico quali quello
farmaceutico, minerario, dei servizi postali, e così via; a progetti che mettono in pericolo la sicurezza
dello Stato, sono causa di inquinamento ambientale, danneggiano le risorse naturali e la salute pubblica,
utilizzano grandi terreni agricoli, sono sfavorevoli alla protezione e allo sviluppo delle risorse della
terra, mettono a repentaglio la sicurezza e le normali funzioni dei servizi militari.
Le attività non comprese nell’elencazione del catalogo, per esclusione, sono dunque permesse a tutti
gli operatori industriali e commerciali.
Con l’ultima edizione del Catalogo, il governo cinese ha segnato un momento di notevole apertura
all’investimento straniero, aumentando di molto il numero delle attività incoraggiate (passate da circa
190 a circa 260) e riducendo quello delle attività vietate (da oltre 100 a 75).
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Il Catalogo specifica, di volta in volta, se l’attività è accessibile agli stranieri ed in che forma: se per
esempio è richiesto il controllo del partner cinese ovvero se l’investimento è limitato alle sole equity
joint-venture o alle contractual joint-venture. Per alcune attività, la nuova edizione del Catalogo del
2002 introduce il requisito del “controllo relativo” che prima non esisteva, essendo solo utilizzato il
concetto di controllo. In altre parole, in alcuni settori di attività è sufficiente che il partner cinese abbia
una percentuale di investimento rispettivamente superiore alla partecipazione di ogni altro socio. Ad
esempio, nel caso in cui vi siano 8 soci stranieri, ciascuno con una partecipazione del 10% e il partner
cinese abbia una partecipazione del 20%, allora il requisito sarebbe rispettato.
Il nuovo Catalogo inoltre introduce le seguenti novità:
• le imprese a capitale straniero che svolgano attività ad accesso ristretto, ma che esportino il 100%
del loro prodotto, sono considerate come “incoraggiate” e godono del relativo trattamento;
• non esiste più la distinzione tra attività limitate di “tipo A” e di “tipo B”; di fatto le attività prima
indicate come limitate di tipo B sono divenute attività incoraggiate;
• le imprese a capitale straniero che svolgano attività ad accesso limitato, ma che esportino il 70% del
loro prodotto, sono considerate come “permesse” e godono del relativo trattamento.
Va infine aggiunto che oltre al Catalogo per gli investimenti stranieri esiste il “Catalogo delle attività
industriali incoraggiate nella Cina centrale e occidentale” (“Catalogue of favourable Industries in Central
and Western China”, noto come C&W Catalogue). Lo svolgimento nella Cina centro-occidentale di
attività incoraggiate dal C&W Catalogue consente di accedere a particolari benefici; ad oggi, tuttavia,
non è del tutto chiaro quale sia il rapporto tra il C&W Catalogue e il Catalogo generale in ipotesi di
contrasto fra qualificazione delle attività.
1.1.2. Incentivi
Per contrastare la concorrenza dei paesi del Sud Est Asiatico, la Cina offre numerosi e considerevoli
incentivi all’investimento straniero che principalmente si realizzano con riduzioni ed esenzioni fiscali
ma che possono anche prevedere la semplificazione dell’iter autorizzativo o l’offerta di migliori
infrastrutture. Su tali incentivi si tornerà più diffusamente al capitolo 17.
1.1.3. Attività di import-export
Le attività di importazione ed esportazione con l’estero erano disciplinate in modo restrittivo fino
all’approvazione della Legge sul Commercio Estero del 6 aprile 2004.
Fino all’entrata in vigore della nuova legge, l’ordinamento imponeva agli operatori commerciali l’obbligo
di ottenere una speciale licenza di import-export, che tuttavia veniva concessa abbastanza di rado. Di
conseguenza, le attività di import-export delle società straniere che volessero svolgere attività di
penetrazione del mercato cinese, erano affidate a poche grandi società di diritto cinese in possesso di
licenza ovvero ad intermediari autorizzati.
Le società a capitale straniero (FIE) sia nella forma di joint-venture (Equity o Contractual) che in quella
di società interamente controllate (WFOE), non avevano diritto di ottenere il rilascio della licenza.
Alle FIE produttive era permessa l’importazione di materie prime e pezzi di ricambio così come di
prodotti finiti che le stesse FIE avrebbero lavorato o assemblato.
La nuova Legge sul Commercio Estero del 2004, promulgata in seguito all’adesione della Cina alla
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WTO ha esteso a tutte le società e gli imprenditori il diritto di svolgere attività di commercio con l’estero
(import/export) senza distinguere tra società domestiche o società con capitale straniero.
È stato infatti abolito il requisito della licenza ed è stato introdotto il più semplice requisito della
registrazione preventiva presso un apposito Registro.
Il Regolamento attuativo del 25 giugno 2004, avente ad oggetto la registrazione degli operatori del
commercio estero, in vigore dal 1° luglio 2004, stabilisce i requisiti per la registrazione. È necessario
dapprima depositare la domanda di registrazione con i seguenti documenti:
• modulo di registrazione compilato;
• fotocopia della licenza commerciale;
• fotocopia del numero di certificazione dell’organizzazione;
• fotocopia del provvedimento di autorizzazione dell’investimento estero;
• copia autentica di un certificato di credito.
La registrazione viene effettuata entro 5 giorni dal deposito della domanda. Entro 30 giorni, l’operatore
che ha fatto domanda di registrazione, deve completare le formalità di registrazione presso le autorità
doganali, tributarie e le altre autorità competenti.
Le società che avevano già ottenuto la licenza di import/export secondo la precedente normativa possono
continuare a svolgere attività di import/export nei limiti dell’oggetto previsto nella vecchia licenza. Nel
caso in cui tali società intendano ampliare l’oggetto della loro attività di commercio con l’estero dovranno
avviare una nuova procedura di registrazione.
Secondo una prima prassi operativa, le FIE che abbiano ottenuto la registrazione come operatori del
commercio estero, dovrebbero altresì modificare l’oggetto della propria licenza commerciale introducendo
nell’oggetto sociale anche le attività di import/export.
La nuova disciplina non liberalizza, in modo conforme al commercio estero, anche il commercio
domestico in territorio Cinese. Nessuna FIE che sia semplicemente registrata come operatore del
commercio estero è a tutt’oggi autorizzata a distribuire in territorio cinese beni che non siano dalla
stessa prodotti o lavorati. È vietato a tali società vendere e distribuire prodotti di altre società (anche
nel caso in cui tali società siano collegate o controllate).
Tale severa restrizione non è dettata da alcuna norma positiva di natura legislativa o regolamentare,
bensì essa deriva implicitamente dalla rigida applicazione, nel diritto cinese, della limitazione dell’attività
a quanto previsto nell’oggetto sociale e dalle restrizioni previste nel Catalogo delle attività accessibili
agli investimenti stranieri.
La FIE non può dunque, a tutt’oggi, distribuire e vendere in territorio cinese beni che non abbia prodotto
da sé o beni di terzi sui quali non abbia effettuato minime lavorazioni.
Secondo la nuova normativa, soltanto le FIE “commerciali” espressamente autorizzate potranno svolgere
tali attività di distribuzione domestica.
Il Regolamento sugli investimenti stranieri nel settore commerciale del 16 aprile 2004, in vigore dal 1°
giugno 2004, stabilisce la procedura che le FIE devono seguire per ottenere l’autorizzazione al commercio
domestico. Potranno essere registrate solamente le FIE “commerciali” di nuova costituzione ovvero le
FIE che abbiano modificato il proprio oggetto sociale per comprendere anche tale forma di distribuzione.
20
1.2. Ufficio di rappresentanza e sede secondaria
La costituzione di un ufficio di rappresentanza è il modo più semplice e rapido, e soprattutto meno
costoso, per costituire un primo insediamento imprenditoriale stabile in territorio cinese.
Si noti tuttavia che l’ufficio di rappresentanza non permette all’investitore straniero di svolgere alcuna
attività economica diretta, ma legittima la società straniera ad effettuare solamente attività di promozione
presso i consumatori e i fornitori, attività di ricerche di mercato ed a svolgere attività di assistenza postvendita.
In generale, l’ufficio di rappresentanza non può ricevere compensi per l’attività svolta o sottoscrivere
contratti che generano profitti, ma può soltanto negoziare contratti che successivamente siano sottoscritti
dalla società madre al di fuori del territorio della Repubblica Popolare Cinese.
Qualsiasi impresa o ente che intenda avviare un’attività di natura commerciale in Cina, deve costituire
almeno un ufficio di rappresentanza. La violazione di tale obbligo comporta l’applicazione di una sanzione
amministrativa. In alcuni casi, l’Autorità Statale dell’Industria e del Commercio (ASIC) impedisce
all’impresa che ha violato tale obbligo di effettuare qualsiasi attività commerciale nel territorio della RPC.
L’ufficio di rappresentanza può assumere dipendenti cinesi, aprire un conto corrente bancario, importare
effetti personali e mobili di ufficio senza dover ottenere una licenza di importazione, ottenere il
collegamento alle linee telefoniche, affiggere insegne contenenti la denominazione e i marchi dell’azienda,
utilizzare biglietti da visita.
Si noti che l’ufficio di rappresentanza non può prendere in locazione un immobile o assumere direttamente
il proprio personale, ma deve necessariamente utilizzare a tale scopo le agenzie immobiliari e di
collocamento del governo cinese.
Almeno 30 giorni prima della scadenza della durata dell’ufficio di rappresentanza indicata nel certificato
di registrazione ovvero, nel caso in cui la società madre intenda farne cessare l’attività, trenta giorni
prima di tale cessazione, l’ufficio di rappresentanza dovrà informare l’autorità competente. Successivamente,
l’ufficio di rappresentanza dovrà pagare tutti i debiti e le imposte eventualmente dovute. La società
madre straniera è responsabile di eventuali inadempimenti.
Ai sensi degli articoli 199 e seguenti della legge societaria del 29 dicembre 1993 entrata in vigore il
1° luglio 1994 (la “Legge Societaria”), inoltre, un investitore straniero (segnatamente una società
costituita al di fuori del territorio della RPC) può costituire nel territorio della RPC sedi secondarie
(c.d. branch) destinate a svolgere attività di produzione e attività commerciali.
Diversamente dall’ufficio di rappresentanza, la sede secondaria ha facoltà di svolgere attività produttive
e commerciali tali da produrre reddito, è legittimato a sottoscrivere contratti e ad emettere fatture. Per
svolgere tali attività, la branch ottiene una licenza commerciale, la quale deve sempre essere esposta
presso la propria sede insieme allo statuto della società madre.
Come l’ufficio di rappresentanza, anche la sede secondaria non ha una distinta personalità giuridica
rispetto alla società straniera che ne ha determinato la costituzione (art. 203 Legge Societaria). Ciò
significa che per le obbligazioni stipulate e contratte dalla sede secondaria o dall’ufficio di rappresentanza
risponde direttamente la società straniera che ne ha curato la costituzione con tutto il suo patrimonio.
Come vedremo, la sede secondaria ha tuttavia una propria soggettività tributaria.
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Anche per la sede secondaria la scadenza della durata o la decisione di cessare l’attività devono essere
accompagnate da un procedimento di liquidazione.
• Procedure di registrazione
Le procedure di registrazione della sede secondaria e dell’ufficio di rappresentanza sono disciplinate
dal Regolamento sulla registrazione delle società del 1994, dal Regolamento sulla registrazione delle
persone giuridiche del 1988 e, limitatamente all’ufficio di rappresentanza, dal Regolamento del Consiglio
di Stato del 1980.
Le pratiche amministrative per la registrazione devono essere avviate entro 30 giorni dalla decisione
adottata dalla società straniera di costituire la sede secondaria o l’ufficio di rappresentanza.
Al fine di costituire un ufficio di rappresentanza o una sede secondaria è necessario ottenere l’approvazione
del locale dipartimento del Ministero dell’Industria e del Commercio (nel caso di impresa industriale),
della Banca Nazionale Cinese (nel caso di una società bancaria o di assicurazioni) o del Ministero delle
Comunicazioni (nel caso di una società di trasporti o di spedizione marittima).
Entro 30 giorni dall’approvazione, è necessario presentare presso l’Autorità Statale dell’Industria e del
Commercio, una specifica domanda di registrazione e pagare la relativa tassa. L’ASIC emette il
provvedimento di accoglimento o rigetto della domanda nei successivi 30 giorni. Una volta ottenuta
l’approvazione dell’ASIC, le successive fasi di registrazione rappresentano, nella maggior parte dei casi,
una mera formalità.
Al termine della procedura, all’ufficio di rappresentanza o alla sede secondaria viene rilasciata una licenza
commerciale. Soltanto allora l’investitore straniero potrà avviare le proprie attività in territorio cinese.
Non è chiaro quali siano i requisiti sostanziali che comportano il rilascio dell’approvazione. In alcuni
casi, le autorità di controllo hanno richiesto che la società straniera corrisponda alla sede secondaria
l’intero investimento previsto ovvero, in altri casi, si chiede che siano già state avviate attività sul
territorio cinese ovvero ancora che l’investitore straniero possa provare che l’apertura della sede secondaria
o dell’ufficio di rappresentanza è veramente necessaria.
In ogni caso, il dipartimento dell’ASIC in cui ha sede l’ufficio di rappresentanza o la sede secondaria,
ha poteri di monitoraggio e controllo sulle attività dell’investitore straniero. In particolare, l’ufficio di
rappresentanza e la sede secondaria sono soggetti ad almeno una visita di controllo annuale che deve
avere luogo entro la fine di maggio.
Una volta registrati, l’ufficio di rappresentanza o la sede secondaria dovranno aprire un conto corrente
presso una banca cinese, registrarsi presso le autorità tributarie cinesi e dichiarare presso la dogana tutti
i beni mobili importati per la propria operatività. I beni così importati non possono essere alienati senza
l’approvazione dell’Agenzia delle Dogane.
Qualsiasi modifica del nome, sede, attività, rappresentante, durata dell’ufficio di rappresentanza o della
sede secondaria deve essere debitamente autorizzata e registrata presso l’ASIC.
I documenti che devono essere depositati da un investitore straniero per ottenere l’approvazione dell’ufficio
periferico del Ministero del Commercio e la registrazione presso l’ASIC sono i seguenti:
(i) domanda di autorizzazione e domanda di registrazione sottoscritte dal presidente del Consiglio di
Amministrazione o amministratore delegato, contenente il nome dell’ufficio di rappresentanza, il
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nome del legale rappresentante, l’attività per la quale l’ufficio di rappresentanza viene costituito, la
durata e la sede;
(ii) certificato della Camera di Commercio del paese di origine dell’investitore comprovante la esistenza
della società che intende costituire l’ufficio di rappresentanza;
(iii) lettera di referenze da parte di una banca del paese di origine dell’investitore che provi la affidabilità
finanziaria della società madre;
(iv) i documenti di identità ed il curriculum vitae del legale rappresentante;
(v) copia del contratto di locazione per la sede dell’ufficio di rappresentanza.
Tutti i documenti dovranno essere in duplice originale redatti in lingua cinese ed inglese. I documenti
in lingua italiana dovranno essere tradotti in inglese.
Le tasse e imposte governative per l’apertura di un ufficio di rappresentanza ammontano a circa 1.500 USD.
Si noti che una recente modifica dei Regolamenti sopra menzionati da parte del Consiglio di Stato ha
eliminato il requisito dell’approvazione dell’autorità di controllo (Ministero del Commercio). Non è
ancora chiaro tuttavia in che misura le autorità locali stiano adeguando le proprie disposizioni per
conformarsi a tale modifica della normativa.
1.3. Le varie forme di impresa: premessa
La Legge Societaria cinese è entrata in vigore il 1° luglio 1994 con lo scopo di riconoscere e disciplinare
due nuove forme di organizzazione societaria: la società a responsabilità limitata e la società per azioni.
Sebbene tali forme societarie siano state e saranno sempre più utilizzate per lo svolgimento di attività
commerciali, sono presenti nell’ordinamento cinese molte altre forme di organizzazione di impresa con
le quali l’investitore straniero che opera in territorio cinese dovrà confrontarsi.
Si noti che, in considerazione delle numerose riforme cui la normativa in materia di soggetti commerciali
è stata sottoposta, non è sempre agevole comprendere quale sia la natura giuridica del soggetto con il
quale l’investitore straniero si trova ad intrattenere dei rapporti commerciali. Inoltre, l’oggetto sociale
delle imprese cinesi è molto ristretto: ad esempio, non tutte le imprese cinesi hanno facoltà di operare
con partner stranieri, per cui tale facoltà dovrà essere accertata dall’investitore italiano prima di
sottoscrivere qualsiasi contratto.
La natura dell’ente con il quale si negozia, il nome dei suoi rappresentanti legali, l’indicazione della
sede sociale e l’estensione del suo oggetto sociale risulta dalla licenza commerciale rilasciata dall’ASIC
o dallo Statuto e pertanto l’investitore dovrà sempre richiedere, prima di avviare qualsiasi negoziazione,
una copia di tali documenti.
1.4. Impresa pubblica
Una categoria imprenditoriale molto diffusa in Cina (per effetto, evidentemente, dell’impostazione
socialista) è quella delle imprese controllate dallo Stato o altri Enti Pubblici.
Si noti che la solvibilità di tali imprese pubbliche non è sempre così scontata. Molte delle imprese di
partecipazione pubblica, infatti, non godono in misura illimitata delle sovvenzioni pubbliche e sono
quindi soggette al rischio di insolvenza.
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L’articolo 48 dei Principi generali di diritto civile (PGDC, si tratta di un corpus normativo assimilabile
per certi aspetti al codice civile vigente nel nostro ordinamento, si veda anche capitolo 2) afferma che
la società di partecipazione statale è responsabile civilmente con il patrimonio che è stato conferito
dallo Stato. Lo Stato tuttavia è responsabile dei debiti della società pubblica solamente nei limiti dei
conferimenti effettuati.
La legge fallimentare del 1986, tuttavia, afferma che vi possono essere eccezioni nel caso di aziende
pubbliche particolarmente rilevanti per l’economica nazionale, le quali non possono essere sottoposte
a fallimento.
Oltre alle imprese statali, esistono poi le imprese collettive, operanti soprattutto nel settore agricolo
(fattorie collettive, etc.).
1.5. Imprese artigianali
Le imprese artigianali (“geti hu”) sono enti commerciali alle cui dipendenze vi sono meno di 8 persone
e per le quali vige il principio della responsabilità illimitata; nella maggior parte dei casi si tratta di
imprese individuali o familiari.
I fondatori possono essere cittadini cinesi disoccupati residenti nelle zone urbane, cittadini cinesi residenti
nelle zone rurali, ex membri del governo, dipendenti del Partito Comunista.
Le imprese artigianali possono svolgere attività di tipo appunto artigianale, nel campo dell’edilizia, dei
trasporti, dei servizi, etc..
1.6. Società di persone
Le società di persone sono quegli enti commerciali alle cui dipendenze vi sono 8 o più persone e le cui
partecipazioni sono detenute da soggetti privati. Si dividono a loro volta in:
• società unipersonali;
• società con responsabilità illimitata di tutti i soci (assimilabili alla società in nome collettivo prevista
dall’ordinamento italiano);
• società con soci a responsabilità limitata (assimilabili alla società in accomandita semplice).
1.7. Imprese miste
Nell’ordinamento cinese vi sono tre possibili forme di cooperazione tra gli enti pubblici e quelli privati:
• forme di cooperazione che si realizzano con la costituzione di persone giuridiche (società) distinte
dai propri soci e responsabili soltanto con il proprio patrimonio;
• forme di cooperazione che si realizzano con la costituzione di società di persone in cui la responsabilità
di ciascun socio è limitata ad una somma proporzionale ai propri conferimenti o determinata
contrattualmente;
• forme di cooperazione contrattuale, in cui non c’è la creazione di un nuovo soggetto e in cui le parti
assumono l’obbligo di svolgere una determinata attività per cui esse rimangono esclusive responsabili.
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1.8. Società non commerciali
Se, da una parte, le persone giuridiche devono avere le caratteristiche richieste dai Principi generali di
diritto civile per assumere obblighi e esercitare diritti (articolo 37: costituzione ai sensi di legge; dotazione
di un patrimonio; denominazione sociale, sede sociale e assetto organizzativo; capacità di assumere
responsabilità), non è necessario che per svolgere qualsiasi attività esse debbano necessariamente essere
soggetti commerciali registrati presso l’ASIC. E’ possibile infatti che anche persone giuridiche non in
forma di impresa (enti pubblici, associazioni, agenzie governative) possano sottoscrivere contratti e assumere
obbligazioni.
1.9. Società a responsabilità limitata
Come anticipato, la Legge del 29 dicembre 1993, entrata in vigore il 1° luglio 1994 (“Legge Societaria”),
ha introdotto nell’ordinamento cinese due tipi societari che potremmo assimilare a due società di capitali
previste dall’ordinamento italiano: la società a responsabilità limitata e la società per azioni.
L’art. 1 Legge Societaria indica, quale scopo della legge, quello di stabilire un moderno sistema d’impresa,
standardizzare l’organizzazione e la gestione delle società, proteggere i diritti degli azionisti, mantenere
l’ordine socio-economico e promuovere lo sviluppo dell’economia socialista di mercato.
Le società di capitali in commento hanno personalità giuridica e rispondono dei debiti sociali con tutto
il proprio patrimonio; i soci, invece, sono responsabili nei limiti dei conferimenti effettuati.
Salvi i casi di società holding, che sono sottoposte ad una disciplina speciale, la partecipazione di un
società commerciale in un’altra società commerciale non può eccedere una percentuale pari al 50% del
proprio patrimonio netto.
La Legge Societaria si applica anche alle società a capitale straniero, salvo quanto diversamente previsto
dalla disciplina speciale dettata per tali società.
1.9.1. Costituzione
Ai sensi dell’articolo 19 della Legge Societaria, le condizioni per la costituzione di una società a
responsabilità limitata sono le seguenti:
• numero di soci superiore a due e inferiore a cinquanta;
• ammontare del capitale sociale almeno pari al minimo di legge;
• sottoscrizione dello statuto da parte dei soci;
• disponibilità di una sede operativa.
Quanto allo statuto, esso dovrà contenere, fra gli altri, i seguenti elementi essenziali:
• denominazione sociale (che deve comprendere obbligatoriamente l’indicazione di società a responsabilità
limitata: “youxian zeren gongsi”);
• oggetto sociale;
• importo del capitale sociale, i nominativi dei soci e loro diritti e obbligazioni, ammontare dei
conferimenti da ciascuno effettuati;
• le condizioni di versamento dei conferimenti;
• l’organizzazione gestionale della società, le modalità di costituzione degli organi amministrativi e le
regole del loro funzionamento;
• la nomina del legale rappresentante;
25
• i casi di scioglimento e le modalità di liquidazione.
I soci debbono sottoscrivere lo Statuto e, nel caso di persone giuridiche, vidimarlo con il proprio timbro.
1.9.2. Capitale sociale e conferimenti
Il capitale sociale di una s.r.l. deve essere almeno pari a:
• RMB 500.000 per le società produttive e per le società che svolgono attività di commercializzazione
all’ingrosso;
• RMB 300.000 per le società che svolgono attività di commercializzazione al dettaglio;
• RMB 100.000 per le società che svolgono attività di sviluppo tecnologico, consulenza e servizi.
Il capitale sociale è formato dai conferimenti dei soci, che possono essere in denaro o in natura (ad
esempio: trasferimento di diritti di proprietà industriale, di tecnologia e know-how, di diritti d’uso
immobiliari, etc.). Il conferimento in natura deve essere sottoposto a perizia. I conferimenti di diritti di
proprietà industriale (incluso know-how) non possono eccedere una percentuale del capitale sociale pari
al 20%, che la legge consente di derogare per apporti di tecnologia di alto livello.
I conferimenti in denaro devono essere effettuati, con la tempistica prevista dallo statuto, in un apposito
conto bancario intestato alla società. Una volta effettuati, i conferimenti sono oggetto di verifica da
parte di un organo di controllo, che al termine emette i certificati di investimento a favore dei soci.
Nel caso si accerti che i conferimenti sono di valore inferiore a quello dichiarato, il socio è tenuto a
versare la differenza ed è responsabile nei confronti della società, mentre nei confronti dei terzi è
responsabile l’intera compagine sociale.
1.9.3. Registrazione
Una volta ottenuto il certificato di investimento, il legale rappresentante o un procuratore speciale
devono provvedere alle formalità di registrazione. Qualora sia necessario ottenere una specifica
autorizzazione (come nel caso delle società a capitale straniero), tale autorizzazione deve essere presentata
al Registro delle Imprese presso il Ministero dell’Industria e del Commercio per la registrazione della
società.
Una volta approvata la domanda di registrazione, il Registro delle Imprese registra la società e concede
una licenza commerciale, la cui data di rilascio rappresenta la data di costituzione della società.
Si noti che, ai sensi dell’art. 225 Legge Societaria, nel caso in cui la società non avvii la propria attività
entro 6 mesi dalla sua costituzione, o senza giusta causa interrompa la propria attività per un periodo
superiore a 6 mesi, la licenza commerciale è revocata.
Una volta costituita, la società emette a favore dei propri soci, dei certificati di investimento controllato,
che indicano:
• la denominazione sociale della società;
• la data di registrazione della società;
• il capitale sociale registrato;
• i nomi dei soci, l’importo dei conferimenti versati e la data di tali conferimenti;
• il numero seriale e la data di emissione dei certificati di investimento controllato.
26
Dopo la registrazione, ai soci non è consentito recedere dalla società.
1.9.4. Circolazione delle quote
Ai sensi dell’articolo 35 della Legge Societaria, qualora un socio intenda trasferire la propria quota a
terzi dovrà ottenere l’ autorizzazione di almeno la metà dei soci. I soci dissenzienti devono acquistare
le quote poste in vendita dal socio alienante. Qualora non intendano acquistarle, il loro rifiuto vale come
approvazione della vendita delle quote a terzi.
I soci hanno diritto di prelazione sulle quote poste in vendita da altri soci.
Ogni variazione nella titolarità delle quote partecipative è annotata nel libro dei soci.
1.9.5. Assemblea dei soci
L’assemblea dei soci, disciplinata agli articoli 37 e seguenti della Legge Societaria, è l’organo sovrano
della società, le cui competenze comprendono, fra l’altro, le seguenti decisioni:
• approvazione delle politiche commerciali e di investimento;
• nomina, revoca e remunerazione degli amministratori, e dei membri del collegio sindacale;
• approvazione delle relazioni degli amministratori e dei sindaci;
• approvazione del bilancio, distribuzione dei dividendi e ripianamento delle perdite;
• approvazione delle delibere di aumento o riduzione del capitale, di fusione, scissione, trasformazione,
scioglimento e liquidazione della società, e altre modifiche statutarie;
• emissione di obbligazioni;
• approvazione del trasferimento delle quote sociali a terzi.
Le modifiche dello statuto, le delibere di aumento o riduzione del capitale sociale, scissione, fusione,
trasformazione, scioglimento e liquidazione sono approvate dall’assemblea con una maggioranza
qualificata pari ai 2/3 del capitale sociale.
L’assemblea è convocata dal Consiglio di Amministrazione (con avviso da consegnarsi almeno 15 giorni
prima della data prevista per l’adunanza) ed è presieduta dal presidente o dal vice-presidente del
Consiglio di Amministrazione (la prima assemblea è presieduta dal socio con la partecipazione maggiore).
Le modalità di votazione e di intervento in assemblea sono stabilite dallo Statuto.
Le assemblee sono ordinarie (c.d. “regolari”) o straordinarie: le prime sono convocate secondo il
calendario previsto nello statuto; le seconde da tanti soci che rappresentino almeno 1/4 del capitale
sociale o da tanti amministratori o sindaci che rappresentino almeno 1/3 dei rispettivi organi. Il diritto
di voto espresso da ciascun socio è proporzionale alla partecipazione detenuta nel capitale sociale.
La società tiene un libro dei verbali delle assemblee che deve essere sottoscritto da tutti i soci presenti.
1.9.6. Organi amministrativi e di controllo
La società a responsabilità limitata è amministrata da un amministratore unico (che può altresì assumere
la carica di direttore generale) o da un Consiglio di Amministrazione, composto da 3 a 13 membri, che
eleggono al proprio interno un presidente e uno o due vicepresidenti.
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In base alla previsione dell’articolo 46 Legge Societaria, il Consiglio:
• convoca l’assemblea dei soci e la relaziona circa la propria attività;
• attua le delibere dell’assemblea;
• stabilisce il business plan e gli investimenti della società;
• formula la proposta di bilancio;
• formula proposte di distribuzione dei dividendi;
• formula proposte di aumento o riduzione del capitale sociale;
• redige i progetti di fusione, scissione, trasformazione, liquidazione;
• stabilisce l’organigramma gestionale della società;
• nomina e revoca il direttore generale e il vicedirettore;
• stabilisce il sistema di gestione ordinaria della società.
Gli amministratori rimangono in carica per il periodo determinato nello statuto, ma comunque non oltre
tre anni, e possono essere rieletti, mentre non possono essere revocati dalla carica senza una giusta
causa.
Il Consiglio è convocato su proposta di almeno 1/3 dei propri membri, con avviso da consegnare a
ciascun amministratore almeno 10 giorni prima della data della riunione.
Le modalità di intervento o votazione sono stabilite dallo statuto. La società tiene un libro dei verbali
delle delibere del Consiglio di Amministrazione che deve essere sottoscritto da tutti gli amministratori
presenti.
Il direttore generale è nominato dal Consiglio di Amministrazione. Ai sensi dell’articolo 50 Legge
Societaria, il direttore generale:
• è responsabile della produzione, della attività e della gestione della società, dell’attuazione delle
delibere del consiglio di amministrazione;
• è responsabile dell’attuazione del business plan e delle proposte di investimento;
• formula proposte per la determinazione dell’organigramma aziendale;
• è responsabile della gestione ordinaria della società;
• formula il regolamento interno della società;
• formula proposte per la nomina del vicedirettore e del personale del dipartimento finanziario;
• nomina e licenzia il personale (ad eccezione del personale assunto dal consiglio di amministrazione);
• esercita le facoltà ed i poteri conferitigli dal Consiglio di Amministrazione.
Ai sensi dell’articolo 52 della Legge Societaria, una società a responsabilità limitata che abbia un
volume d’affari di un certo rilievo, deve costituire un collegio sindacale composto da tre membri ed
un segretario. Le società a responsabilità limitata con volumi d’affari di minore rilievo, invece, nominano
uno o due sindaci.
Il collegio sindacale deve essere formato da rappresentanti dei soci e dei dipendenti nelle proporzioni
stabilite dallo statuto. Gli amministratori, il direttore generale, e il personale del dipartimento finanziario
non possono rivestire la carica di sindaco.
I sindaci durano in carica tre anni e possono essere rieletti; ai sensi dell’art. 54 Legge Societaria, essi:
• controllano e verificano l’attività della società;
• controllano l’attività degli amministratori e del direttore generale con particolare riguardo al rispetto
dello statuto;
• impongono agli amministratori e al direttore generale di rimediare agli eventuali inadempimenti;
• chiedono la convocazione di assemblee straordinarie;
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• esercitano tutti i poteri e le facoltà conferite dallo statuto;
• intervengono alle riunioni del Consiglio di Amministrazione in qualità di uditori.
In occasione di importanti delibere concernenti la produzione o l’organizzazione ovvero, prima di
deliberare alcunché relativamente ai diritti e interessi dei dipendenti, con particolare riguardo ai salari,
la previdenza, la sicurezza e salute sul luogo di lavoro, etc., la società deve convocare i sindacati che
possono intervenire in qualità di uditori.
1.9.7. Incompatibilità e conflitto d’interessi
L’art. 57 Legge Societaria prevede alcuni casi di incompatibilità o incapacità a rivestire la carica di
amministratore, sindaco o direttore generale, a carico di:
• incapaci o interdetti;
• persone sottoposte a condanne per corruzione, concussione, appropriazione indebita, reati contro
l’ordine economico, qualora non siano trascorsi più di cinque anni dalla data della condanna;
• persone prive di diritti politici per effetto di condanne penali, qualora non siano trascorsi più di cinque
anni dalla data della condanna;
• persone che hanno rivestito la carica di amministratore, sindaco o direttore generale di società fallite
e che sono state dichiarate responsabili per fallimento, qualora non siano trascorsi più di tre anni dalla
sentenza di fallimento;
• persone che hanno rivestito la carica di legale rappresentante di società la cui licenza commerciale è
stata revocata, qualora non siano trascorsi più di tre anni dalla sentenza di revoca;
• persone insolventi.
I dipendenti pubblici non possono rivestire la carica di amministratore, sindaco o direttore generale.
Gli amministratori, i sindaci e il direttore generale devono astenersi dall’effettuare attività in conflitto
di interessi con la società. In particolare, essi non possono disporre il pagamento di fondi presso conti
correnti intestati a sé stessi. Inoltre gli amministratori e il direttore generale non possono (i) rilasciare
garanzie nell’interesse dei soci o di terzi; (ii) stipulare contratti con la società, tranne che nei casi previsti
dallo statuto ovvero con l’autorizzazione dell’assemblea dei soci; (iii) svolgere attività in concorrenza
con la società. Gli eventuali utili maturati dal consigliere o dal direttore generale per effetto di attività
svolta in violazione di tale ultimo divieto, sono di proprietà della società.
E’ posto inoltre in capo agli amministratori e al direttore generale, ai sensi dell’articolo 62, un obbligo
di riservatezza.
La violazione di uno degli obblighi sopra indicati comporta l’obbligo del risarcimento dei danni.
1.9.8. Il bilancio
Ai sensi dell’articolo 174 della Legge Societaria, le società commerciali devono redigere un bilancio a
fine esercizio che contenga i seguenti elementi:
1) stato patrimoniale;
2) conto dei profitti e delle perdite;
3) rendiconto finanziario;
4) nota integrativa sulle condizioni finanziarie;
5) decisione sulla destinazione degli utili.
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Una copia del bilancio deve essere consegnata a ciascun socio ed una copia deve essere depositata
presso la sede legale almeno 20 giorni prima dell’assemblea.
Prima di distribuire i dividendi, la società deve accantonare una somma pari al 10% degli utili a titolo
di riserva legale ed una somma pari al 5-10% a titolo di riserva previdenziale. L’accantonamento a
riserva legale non è più necessario quando questa è pari al 50% del capitale sociale.
Le riserve possono essere utilizzate per ripianare le perdite della società, per espandere la produzione
o possono essere convertite in capitale sociale.
1.9.9. Fusione e scissione di società
La fusione della società con altra società è deliberata dall’assemblea dei soci e deve essere approvata
dall’organo di controllo competente.
Come nell’ordinamento italiano, vi sono due forme di fusione: fusione in senso stretto e fusione per
incorporazione. Nella fusione in senso stretto tutte le società fuse perdono la loro soggettività giuridica
e si estinguono dando origine ad una nuova società; nella fusione per incorporazione l’incorporante
conserva la propria soggettività giuridica, mentre la società incorporata si estingue.
Le società coinvolte nella fusione sottoscrivono un atto (contratto) di fusione, cui è allegato un bilancio
di fusione e la descrizione del patrimonio.
Della fusione deve essere data notizia ai creditori entro 10 giorni dalla delibera di fusione e la notizia
deve essere pubblicata almeno tre volte nell’arco di 30 giorni dalla delibera stessa.
Entro 30 giorni dal ricevimento della comunicazione ovvero entro 90 giorni dalla pubblicazione della
notizia, i creditori possono chiedere che il loro credito sia interamente estinto o che la società offra
un’adeguata garanzia.
Lo stesso procedimento deve essere seguito in caso di scissione.
L’articolo 186 Legge Societaria detta un procedimento simile (notifica ai creditori, pubblicazione e diritto
dei creditori di ottenere il pagamento o adeguata garanzia) per la riduzione del capitale sociale.
1.9.10. Scioglimento e liquidazione
La società si scioglie nei seguenti casi:
1) scadenza del termine di durata o verificarsi di un caso di scioglimento previsto dallo statuto;
2) delibera di scioglimento dell’assemblea dei soci;
3) scioglimento per fusione o scissione.
Nei casi di scioglimento, la società deve nominare un comitato di liquidazione entro 15 giorni.
Diversamente dalle società per azioni, nelle società a responsabilità limitata, il comitato di liquidazione
è formato da soci. In caso di inerzia della società, i creditori possono agire avanti l’autorità giudiziaria
ordinaria per far nominare un comitato di liquidazione. In caso di fallimento, è il tribunale fallimentare
a nominare i liquidatori.
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Il comitato di liquidazione svolge le seguenti attività:
• esamina il patrimonio aziendale e predispone il bilancio di liquidazione;
• notifica i creditori e pubblica la notizia della liquidazione;
• gestisce e liquida le eventuali attività ancora in corso;
• paga le imposte dovute;
• esige i crediti e paga i debiti;
• dispone dei beni della società dopo il pagamento dei debiti;
• avvia o continua eventuali azioni giudiziarie per conto della società.
Il comitato di liquidazione deve informare i creditori dell’avviato procedimento di liquidazione, entro
10 giorni dalla sua nomina e deve pubblicarne la notizia almeno 3 volte nell’arco di 60 giorni.
I creditori, entro 30 giorni dal ricevimento della notifica o entro 90 giorni dalla prima pubblicazione,
possono insinuarsi nel procedimento, motivando il loro intervento e producendo la relativa documentazione.
Dopo aver esaminato il patrimonio aziendale e predisposto il bilancio di liquidazione, il comitato di
liquidazione formula il piano di liquidazione e ne fornisce adeguata relazione ai soci.
Nel caso in cui il patrimonio aziendale sia sufficiente a pagare i debiti sociali, verranno pagate le spese
di liquidazione, i debiti, gli stipendi, le imposte e i premi assicurativi, ed il residuo sarà distribuito ai
soci; diversamente, il comitato di liquidazione dovrà fare immediatamente domanda di fallimento avanti
all’autorità giudiziaria ordinaria.
Durante il procedimento di liquidazione, vige per la società il divieto di intraprendere nuove operazioni.
Una volta completata l’attività di liquidazione, il comitato di liquidazione redige una relazione finale
e la sottopone per approvazione all’assemblea e al Registro delle Imprese presso il Ministero dell’Industria
e del Commercio per la cancellazione della società dal Registro.
Nel caso in cui la domanda di cancellazione non venga effettuata, il Registro delle Imprese revoca la
licenza commerciale e ne pubblica notizia.
1.9.11. Responsabilità della società e degli amministratori
Si indicano di seguito alcune delle sanzioni previste in caso di violazione delle disposizioni della Legge
Societaria:
• sanzione compresa tra il 5% e il 10% del capitale dichiarato, nel caso in cui la società trasmetta al
Registro delle Imprese informazioni false circa il capitale sociale;
• sanzione compresa tra RMB 10.000 e RMB 100.000 nel caso in cui la società abbia falsificato i certificati
azionari o altri documenti sociali (nei casi più seri, la società può essere cancellata dal Registro delle
Imprese);
• sanzione compresa tra il 5% e il 10% della sottoscrizione, qualora i promotori violino fraudolentemente
la disciplina relativa ai conferimenti da effettuarsi a favore della società;
• sanzione compresa tra RMB 10.000 e RMB 100.000 nel caso in cui i bilanci depositati risultino falsi
o non venga accantonata la necessaria quota di utili a riserva legale;
• sanzione compresa tra RMB 10.000 e RMB 100.000 nel caso in cui la società non notifichi ai creditori
o non renda pubblici procedimenti di fusione, scissione, riduzione del capitale sociale, liquidazione;
• sanzione compresa tra l’1% e il 5% del valore dei beni distratti, nel caso in cui, in sede di liquidazione,
la società distragga alcuni dei suoi beni.
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Nel caso in cui gli amministratori, i sindaci o il direttore generale della società distraggano il patrimonio
sociale, utilizzino i fondi o i beni sociali per sé o terzi, anche a scopo di garanzia, essi sono obbligati
a ripristinare lo status quo ante, a trasferire alla società i proventi della loro attività illegittima e a risarcire
gli eventuali danni.
1.10. Società per azioni
Le prime società per azioni sono state introdotte nei primi anni Ottanta quando fu disciplinata la
privatizzazione di alcune imprese di partecipazione pubblica. La disciplina attuale è stata completamente
riscritta dalla Legge Societaria.
1.10.1. Costituzione
Ai sensi dell’articolo 73 Legge Societaria, le condizioni per la costituzione di una società per azioni
sono le seguenti:
• numero di soci promotori pari ad almeno 5 di cui la metà residenti in Cina;
• capitale sociale non inferiore al minimo di legge;
• emissione delle azioni conforme alla legge;
• la disponibilità di una sede operativa.
La s.p.a. può essere interamente partecipata da capitale straniero o può essere parzialmente partecipata
anche da un partner cinese.
Le società per azioni sono costituite (i) per “promozione” (corrispondente alla nostra costituzione di
s.p.a. per atto pubblico contestuale) in cui i promotori sottoscrivono tutte le azioni o (ii) per “offerta al
pubblico” (corrispondente alla nostra costituzione per pubblica sottoscrizione) in cui i promotori
sottoscrivono una parte delle azioni e le restanti azioni sono offerte al pubblico.
1.10.2. Statuto
Lo statuto di una s.p.a. deve contenere, fra l’altro:
• la denominazione sociale (che deve necessariamente contenere l’indicazione di società per azioni,
“gufen youxian gongsi”) e la sede legale;
• l’oggetto sociale;
• la modalità di costituzione;
• il numero delle azioni, il loro valore nominale e l’importo del capitale sociale;
• i nomi dei soci promotori e il numero delle azioni dagli stessi sottoscritte;
• i diritti e le obbligazioni dei soci;
• la natura e l’ammontare dei conferimenti effettuati dai soci;
• la composizione, i doveri e i poteri, la durata della carica e le regole di funzionamento del consiglio
di amministrazione;
• il nome del legale rappresentante della società;
• la composizione, i doveri e i poteri, la durata della carica e le regole di funzionamento del collegio
sindacale;
• le modalità di distribuzione degli utili;
• i casi di scioglimento e le modalità di liquidazione;
• le modalità di comunicazione e di informazione.
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1.10.3. Capitale sociale e conferimenti
Il capitale sociale di una s.p.a. deve essere almeno pari a 10.000.000 di RMB.
Il capitale sociale è formato dai conferimenti dei soci, che possono essere in denaro o in natura (ad
esempio: trasferimento di diritti di proprietà industriale, di tecnologia e know-how, di diritti d’uso
immobiliari, etc.). Il conferimento in natura deve essere sottoposto a perizia. I conferimenti di diritti di
proprietà industriale (incluso know-how) non possono eccedere una percentuale del capitale sociale pari
al 20%, che la legge consente di derogare per apporti di tecnologia di alto livello.
Nel caso in cui la società sia costituita per “promozione” i soci promotori devono versare i conferimenti
richiesti contestualmente alla sottoscrizione delle azioni.
Una volta effettuati tutti i versamenti, la sottoscrizione è verificata dall’organo di controllo che emette
il certificato di investimento.
1.10.4. Prima assemblea
Entro 30 giorni dall’emissione del certificato di investimento, i soci promotori devono tenere la prima
assemblea dei soci fondatori e dei sottoscrittori. Di tale assemblea deve essere dato avviso a tutti i soci
mediante notifica o per pubblico proclama almeno 15 giorni prima dell’assemblea.
La prima assemblea dei soci svolge le seguenti attività:
• controlla la relazione dei soci promotori sulle attività della società;
• approva lo statuto;
• nomina i membri del consiglio di amministrazione e del collegio sindacale;
• esamina le spese sostenute per la costituzione della società;
• esamina e verifica la valutazione dei conferimenti dei soci promotori;
• approva una delibera di scioglimento nel caso in cui eventi di forza maggiore impediscano alla società
di svolgere la propria attività.
L’assemblea è validamente costituita se sono presenti tanti soci che rappresentino almeno metà del capitale
sociale; le delibere sono adottate con la maggioranza dei presenti.
I soci promotori e sottoscrittori non possono recedere dalla società dopo che sono stati effettuati i
conferimenti, salvo che non si verifichi una delle seguenti circostanze:
a) le azioni non sono integralmente sottoscritte;
b) i soci promotori non hanno convocato e tenuto la prima assemblea.
1.10.5. Registrazione
Secondo quanto disposto dall’articolo 94 Legge Societaria, il consiglio di amministrazione, entro 30
giorni dalla prima assemblea, deve sottoporre al registro delle Imprese presso il Ministero dell’Industria
e del Commercio la seguente documentazione:
• autorizzazione dell’organo di controllo;
• verbale della prima assemblea;
• statuto della società;
• relazione finanziaria e contabile sulla costituzione della società;
• certificato di investimento controllato relativo ai conferimenti;
• nomi e indirizzi dei membri del Consiglio di Amministrazione e del Collegio Sindacale;
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• nomi e indirizzi dei rappresentanti legali.
Il Registro delle Imprese deve emettere il provvedimento di autorizzazione o rigetto della registrazione
entro 30 giorni dal deposito dei suddetti documenti. Contestualmente all’approvazione della registrazione,
il Registro delle Imprese emette la licenza commerciale.
La data di rilascio della licenza commerciale rappresenta la data di costituzione della società, che deve
essere oggetto di un annuncio pubblico.
1.10.6. Le azioni e la loro circolazione
Il capitale sociale è suddiviso in azioni dello stesso valore nominale. Le azioni, nominative o al portatore,
sono rappresentate da un certificato azionario sottoscritto dalla società, il quale deve indicare:
a) denominazione sociale della società;
b) data di costituzione;
c) tipologia, valore nominale e numero di azioni rappresentato da ciascun certificato. Le azioni della
stessa tipologia godono degli stessi diritti.
Il prezzo di emissione delle azioni deve essere pari o superiore al loro valore nominale; in caso di
sovrapprezzo, l’emissione deve essere approvata dalla Autorità di vigilanza del mercato ed il sovrapprezzo
stesso deve essere imputato a riserva.
Per emettere nuove azioni devono sussistere le seguenti condizioni:
• le precedenti azioni emesse sono state integralmente sottoscritte e l’emissione deve essersi verificata
da almeno un anno;
• la società ha chiuso con utili i bilanci degli ultimi 3 esercizi;
• i bilanci degli ultimi 3 esercizi sono corretti e veritieri.
Le azioni nominative sono trasferite mediante girata sui titoli con successiva annotazione a libro soci.
Le annotazioni non possono essere fatte nei 30 giorni che precedono un’assemblea dei soci o nei 5
giorni che precedono la distribuzione dei dividendi. Le azioni al portatore si trasferiscono con la consegna
del titolo.
Si noti che le azioni detenute dai promotori non possono essere cedute nei primi tre anni dalla costituzione
della società.
L’art. 147 Legge Societaria stabilisce inoltre che gli amministratori devono dichiarare il numero di azioni
della società che essi detengono e impegnarsi a non trasferirle fino alla cessazione dalla carica.
La società non può acquistare azioni proprie, tranne nei casi di riduzione del capitale o fusione con una
società che detiene una partecipazione nella società. Le azioni proprie acquistate legittimamente dalla
società devono comunque essere annullate entro 10 giorni dal loro acquisto.
1.10.7. Assemblea dei soci
L’assemblea dei soci è disciplinata agli artt. 102 e seguenti della Legge Societaria. Ai sensi dell’art.
103 Legge Societaria, le competenze dell’assemblea sono le seguenti:
• scelta delle politiche commerciali e di investimento;
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•
•
•
•
nomina, revoca e remunerazione degli amministratori e del collegio sindacale;
approvazione delle relazioni degli amministratori e dei sindaci;
approvazione del bilancio, delle delibere di distribuzione dei dividendi e di ripianamento delle perdite;
approvazione delle delibere di aumento o riduzione del capitale, di fusione, scissione, trasformazione,
scioglimento e liquidazione della società e altre modifiche statutarie;
• emissione di obbligazioni.
L’assemblea è ordinaria o straordinaria. La prima deve essere convocata e tenuta almeno una volta per
ciascun esercizio; la seconda deve essere convocata entro due mesi dal verificarsi anche di uno soltanto
dei seguenti eventi:
– il numero degli amministratori è sceso al di sotto del numero legale o è ridotto di una percentuale
maggiore di 2/3 rispetto al numero previsto nello statuto;
– la società ha maturato perdite superiori ad 1/3 del capitale sociale;
– è stata fatta domanda di convocazione da tanti soci che rappresentino almeno il 10% del capitale
sociale;
– il consiglio di amministrazione decide di convocarla o è stata fatta domanda di convocazione dal
collegio sindacale.
La convocazione dell’assemblea, con indicazione dell’ordine del giorno, è effettuata dal Consiglio di
Amministrazione con un preavviso di 30 giorni rispetto alla data prevista (nel caso in cui all’ordine del
giorno sia inclusa l’emissione di azioni al portatore, il preavviso deve essere di 45 giorni).
Le delibere che hanno ad oggetto questioni non incluse in tale ordine del giorno sono nulle.
I soci che intendano partecipare all’assemblea, in persona o per mezzo di procuratori, devono depositare
i propri certificati azionari almeno 5 giorni prima dell’assemblea. L’assemblea è presieduta dal presidente
del Consiglio di Amministrazione o dal vicepresidente.
Ogni azione dà diritto ad un voto. Le delibere dell’assemblea sono validamente assunte con la maggioranza
dei voti dei soci presenti. Le delibere aventi ad oggetto la modifica dello statuto, la fusione, scissione,
o scioglimento della società devono essere approvate con una maggioranza relativa qualificata pari ai
2/3 dei soci presenti (diversamente dal caso della società a responsabilità limitata in cui la maggioranza
dei 2/3 è assoluta).
I verbali delle delibere assembleari sono raccolti in un apposito libro e sono sottoscritti dai membri del
Consiglio di Amministrazione presenti. Al verbale è allegato il foglio presenze dei soci da questi ultimi
sottoscritto.
1.10.8. Consiglio di Amministrazione
La società per azioni è amministrata da un Consiglio di Amministrazione composto da un numero di
membri da 5 a 19 che eleggono al proprio interno, a maggioranza assoluta, il presidente e uno o due
vicepresidenti.
Secondo quanto previsto all’articolo 112 Legge Societaria, le competenze del consiglio sono le seguenti:
• convoca l’assemblea dei soci e la relaziona circa la propria attività;
• attua le delibere dell’assemblea;
• stabilisce il business plan e gli investimenti della società;
• formula la proposta di bilancio;
35
•
•
•
•
•
•
formula proposte di distribuzione dei dividendi;
formula proposte di aumento o riduzione del capitale sociale e l’emissione di obbligazioni;
redige i progetti di fusione, scissione, trasformazione, liquidazione;
stabilisce l’organigramma gestionale della società;
nomina e revoca il direttore generale e il vicedirettore;
stabilisce il sistema di gestione ordinaria della società.
Il presidente del Consiglio di Amministrazione ha la rappresentanza della società ed esercita i seguenti
poteri:
• presiede le assemblee dei soci, convoca e presiede le riunioni del Consiglio di Amministrazione;
• controlla l’attuazione delle delibere del consiglio;
• sottoscrive i certificati azionari e obbligazionari della società.
Gli amministratori rimangono in carica per il periodo determinato nello statuto, ma comunque non
oltre tre anni e possono essere rieletti, mentre non possono essere revocati dalla carica senza una
giusta causa.
Il Consiglio di amministrazione deve riunirsi almeno due volte per ciascun esercizio. L’avviso di
convocazione deve essere consegnato a ciascun amministratore con un preavviso di 10 giorni.
Le modalità di intervento o votazione sono stabilite dallo statuto. Il consiglio di Amministrazione è
validamente costituito se sono presenti almeno la metà dei suoi membri e le delibere sono assunte a
maggioranza.
La società tiene un libro dei verbali delle delibere del Consiglio di Amministrazione che deve essere
sottoscritto da tutti gli amministratori presenti e dal segretario.
Gli amministratori che hanno partecipato ad una delibera del Consiglio sono solidalmente responsabili
nei confronti della società per i danni provocati alla società da tale delibera. Ai sensi dell’articolo 118
Legge Societaria, ciascun amministratore può provare di aver espresso voto contrario in seno a tale
delibera ed evitare così la relativa responsabilità.
Le funzioni del direttore generale sono disciplinate dagli articolo 119 e seguenti. Il direttore generale
è nominato dal Consiglio di Amministrazione ed ai sensi dell’articolo 121 può essere nominato quale
direttore generale anche un membro del Consiglio di Amministrazione.
Le competenze del direttore generale sono le seguenti:
• è responsabile della produzione, della attività e della gestione della società, dell’attuazione delle
delibere del consiglio di amministrazione;
• è responsabile dell’attuazione del business plan e delle proposte di investimento;
• formula proposte per la determinazione dell’organigramma aziendale;
• è responsabile della gestione ordinaria della società;
• formula il regolamento interno della società;
• formula proposte per la nomina del vicedirettore e del personale del dipartimento finanziario;
• nomina e licenzia il personale (ad eccezione del personale assunto dal consiglio di amministrazione);
• esercita le facoltà e i poteri conferitigli dal Consiglio di Amministrazione.
La Legge Societaria prevede, inoltre, che una società per azioni debba nominare un collegio sindacale
composto da almeno tre membri, che durano in carica tre anni e possono essere rieletti. Il collegio deve
essere formato da rappresentanti dei soci e da rappresentanti dei dipendenti nelle proporzioni stabilite
dallo statuto. I rappresentanti dei dipendenti in seno al collegio sindacale sono nominati mediante
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elezione. Gli amministratori, il direttore generale, e il personale del dipartimento finanziario non possono
rivestire la carica di sindaco.
Secondo quanto previsto dall’articolo 126 Legge Societaria le competenze dei sindaci sono le seguenti:
– controllano e verificano l’attività della società;
– controllano l’attività degli amministratori e del direttore generale con particolare riguardo al rispetto
dello statuto;
– impongono agli amministratori e al direttore generale di rimediare agli eventuali inadempimenti;
– chiedono la convocazione di assemblee straordinarie;
– esercitano tutti i poteri e le facoltà conferite dallo statuto;
– intervengono alle riunioni del Consiglio di Amministrazione.
1.10.9. Norme comuni alle S.r.l.
Le norme sulle incompatibilità, sul bilancio, la fusione, scissione e liquidazione e sulla responsabilità
degli organi di gestione, previste per le società a responsabilità limitata valgono negli stessi termini
anche per le società per azioni.
1.11. Imprese a capitale straniero
1.11.1. Aspetti generali
Il principale modo di operare sul territorio cinese da parte di investitori stranieri rimane quello di
costituire una joint venture di tipo associativo o contrattuale con imprenditori locali.
La legislazione cinese ha, infatti, espressamente disciplinato gli accordi tra società estere ed imprenditori
locali, anche mediante la creazione di apposite forme societarie da utilizzare per lo scopo.
• Il contratto
Di regola l’investitore straniero concluderà con il proprio partner cinese, un contratto; in ogni caso,
prima di sottoscrivere il contratto e fare affidamento sulla sua esecuzione, è necessario accertarsi che
la controparte cinese abbia personalità giuridica e capacità di sottoscrivere il contratto. Tali informazioni
potranno essere facilmente verificate esaminando la licenza commerciale della controparte in cui sarà
ad esempio indicato se la società può concludere contratti con società a capitale straniero.
Le parti sovente sottoscrivono una lettera d’intenti con la quale evidenziano, in una fase preliminare,
quali sono le linee essenziali del progetto di investimento.
• Le autorizzazioni
La RPC attua una politica dirigista del mercato e pertanto i progetti di investimento di capitali stranieri
devono essere armonizzati con il bilancio e la programmazione economica dello Stato.
Gli investimenti sono infatti soggetti ad un sistema di approvazioni e autorizzazioni. Sarà necessario
all’investitore straniero valutare quali autorizzazioni sono necessarie per effettuare il proprio investimento.
Nella prassi, di regola, è responsabilità del partner cinese far sì che l’investimento (in forma societaria
o meno) ottenga i necessari permessi e autorizzazioni.
• Il project listing
Preliminarmente è necessario fare domanda di “iscrizione del progetto al ruolo” (project listing, in lingua
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cinese: “lixiang”). Di regola il partner cinese chiede l’iscrizione del progetto al ruolo producendo, come
prova dell’avvenuto accordo, la lettera d’intenti.
Va peraltro osservato che in molte zone (quali ad esempio la zona di Shangai) l’iscrizione del progetto
al ruolo non è più necessaria.
• Il progetto di fattibilità
Dopo aver iscritto il progetto di investimento al ruolo, le parti dovranno predisporre un progetto di
fattibilità e sottoporlo alle autorità di controllo insieme al contratto e all’eventuale statuto sociale per
l’approvazione. Di regola, il progetto viene approvato dalla Commissione sullo Sviluppo mentre il
contratto viene approvato dal Ministero del Commercio o i suoi uffici decentrati (di seguito per brevità
la Commissione sullo Sviluppo e il Ministero del Commercio saranno denominati altresì “Autorità di
controllo”).
• L’autorizzazione del Ministero del Commercio
Una volta approvato il progetto di fattibilità, il Ministero del Commercio approva il contratto di
investimento e l’eventuale statuto societario.
Prima del 1983, le formalità di approvazione e autorizzazione erano centralizzate. La mancanza di una
specifica normativa in tale materia, tuttavia, portò ad un altissimo numero di provvedimenti di rigetto,
ragion per cui nel 1983 il procedimento di autorizzazione è stato largamente decentrato e negli anni
Novanta i regolamenti applicabili in materia di autorizzazione sono stati armonizzati e razionalizzati.
L’autorizzazione, nella prassi, richiede all’incirca 3 mesi.
Si noti che le procedure per l’autorizzazione di wholly foreign-owned enterprises sono in generale meno
complesse rispetto ad altre forme di investimento straniero, in quanto non c’è coinvolgimento di un
partner cinese.
• La registrazione presso l’Amministrazione Statale per l’Industria e il Commercio
Una volta ottenuta l’autorizzazione del Ministero del Commercio, entro 30 giorni, l’investimento
dell’impresa straniera nella forma di una joint-venture o di una WFOE deve essere registrato presso
l’Autorità Statale dell’Industria e del Commercio (ASIC) per il rilascio della licenza commerciale.
Nella prassi, la registrazione presso l’ASIC e il rilascio della licenza commerciale vengono rappresentati
come una formalità. Si noti tuttavia che si sono verificati alcuni problemi di coordinamento tra l’oggetto
sociale indicato nel contratto di joint-venture e nello statuto, da una parte, e l’oggetto sociale indicato
nella licenza commerciale, dall’altra, problemi che hanno impedito la registrazione.
Ci si è chiesti se l’oggetto sociale come indicato nella licenza commerciale abbia un valore meramente
vincolante. In realtà, alcuni commentatori hanno giustamente osservato che la licenza commerciale viene
rilasciata dopo che il Ministero del Commercio ha approvato il contratto di joint-venture e lo statuto,
e che quindi l’oggetto sociale ivi indicato dovrebbe prevalere.
• Competenza centrale o locale
La competenza dell’Ufficio Centrale o di quelli periferici del Ministero dipende dall’ammontare
dell’investimento. Come segue.
• Gli investimenti superiori a USD 100.000.000 devono essere sottoposti all’approvazione del Consiglio
di Stato con il parere della Commissione per lo Sviluppo quanto al progetto di fattibilità, mentre il
contratto di joint-venture e lo statuto sono approvati dal Ministero del Commercio.
• Gli investimenti superiori a USD 30.000.000 (e inferiori a USD 100.000.000) sono approvati dalle
autorità centrali: la Commissione per lo sviluppo per il progetto di fattibilità, ed il Ministero del Commercio
per il contratto e lo statuto.
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• I progetti di investimento fino a USD 30.000.000 sono approvati dagli uffici periferici a meno che il
progetto non abbia implicazioni per il budget statale.
• Gli investimenti superiori a USD 30.000.000 che attengano ad attività c.d. “incoraggiate” possono
essere approvati dagli uffici periferici.
Si noti che specifiche domande devono essere presentate avanti le autorità tributarie, doganali, valutarie,
e locali per ottenere tutta una serie di autorizzazioni di volta in volta richieste a seconda del tipo di
investimento.
• NewCo
Di regola gli investitori stranieri utilizzano una società di nuova costituzione (in genere costituita in un
paese offshore) per realizzare l’investimento in Cina.
Ciò per un semplice motivo: quando si intenda disinvestire e dunque cedere la partecipazione a terzi,
non sarà necessario trasferire direttamente la partecipazione nella FIE di diritto cinese, ma sarà sufficiente
cedere la partecipazione nel veicolo societario ad hoc. Ciò permette di eludere le approvazioni che sarebbero
necessarie qualora si decidesse di cedere le partecipazioni nella società cinese.
• Durata
In alcuni settori le EJV possono avere durata indeterminata. Di regola tuttavia le FIE hanno una durata
determinata che dipende in gran parte dal tipo di progetto per il quale esse sono state costituite (10-50
anni).
La risoluzione della joint-venture e la liquidazione della società sono possibili soltanto con il consenso
unanime delle parti. Il contratto di joint-venture può altresì prevedere il diritto di uno dei soci di
acquistare o vendere la propria partecipazione. In ogni caso sarà necessario ottenere l’approvazione del
Ministero del Commercio.
• Organi di Gestione
L’organo di gestione di una FIE è di regola il Consiglio di Amministrazione della società. Non esiste
in diritto cinese la previsione che le FIE debbano essere gestite o controllate da una assemblea degli
azionisti. Il potere del Consiglio di Amministrazione è dunque molto rilevante.
Le leggi sulle JV stabiliscono che, in alcuni casi e per alcune materie, le delibere del Consiglio di
Amministrazione debbano essere prese all’unanimità.
Nel caso delle CJV contrattuali non essendo presente un consiglio di amministrazione, di regola le parti
nomineranno un comitato ad hoc che avrà la responsabilità di gestire il progetto.
• Investimento e capitale sociale
L’aspetto prettamente finanziario dell’investimento in Cina è un elemento di grande importanza nella
valutazione del progetto, della sua fattibilità e dei suoi rischi. Si noti che il capitale sociale delle FIE
è calcolato come una percentuale dell’investimento richiesto dal progetto e deve essere interamente
versato.
Investimento totale (in USD)
Fino a 3 milioni
Oltre 3 milioni e fino a 10 milioni
Oltre 10 milioni e fino a 30 milioni
Oltre 30 milioni
Capitale sociale (in USD)
70% dell’investimento complessivo
La maggiore somma tra il 50% e 2,1 milioni
La maggiore somma tra il 40% e 5 milioni
La maggiore somma tra il 33,3% e 12 milioni
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• Conferimenti in natura
I conferimenti in natura (tipicamente tecnologia, o diritti immobiliari d’uso) non possono rappresentare
una percentuale del capitale sociale superiore al 20%.
Soltanto i beni di proprietà pubblica devono essere necessariamente valutati da un perito autorizzato e
la perizia deve essere approvata dalla Commissione di Controllo e Gestione dei Beni dello Stato. Per
i conferimenti in natura di beni di proprietà di privati non è necessaria alcuna perizia e la valutazione
dei beni sarà dunque oggetto degli accordi tra le parti.
• Conferimenti in denaro
I conferimenti in denaro di regola sono effettuati in valuta estera. Qualora i conferimenti siano effettuati
per mezzo di finanziamenti bancari è necessario considerare che le garanzie in valuta estera sono
escutibili solamente mediante approvazione della State Administration for foreign exchange. L’escussione
di ipoteche costituite sui beni di proprietà della JV è di regola possibile solamente con un provvedimento
giudiziale.
1.11.2. Equity Joint-Venture
Le EJV sono disciplinate dalla “Legge sulle Equity Joint-Venture sino-estere” del 1° luglio 1979 (“Legge
EJV”).
Le EJV possono essere utilizzate per qualsiasi attività commerciale o industriale. Per costituirle tuttavia
è necessario avere un partner cinese.
Il contratto di joint-venture, i contratti allegati, lo statuto della società devono essere sottoposti
all’approvazione del dipartimento locale del Ministero del Commercio (“Autorità di Controllo”) che
deve emettere una decisione entro tre mesi dalla richiesta.
La EJV, una volta ottenuta l’approvazione dell’Autorità di Controllo deve registrarsi presso l’ASIC,
onde ottenere una licenza commerciale.
Ai sensi dell’articolo 4 della Legge sulle EJV, la forma societaria con la quale viene costituita una EJV
è la società a responsabilità limitata. L’investitore straniero deve detenere una partecipazione pari ad
almeno il 25% del capitale sociale della EJV.
Ai sensi dell’articolo 5 della Legge EJV, il socio cinese di regola conferisce i diritti di utilizzo del
terreno. Se il conferimento del partner cinese è diverso dal diritto d’uso del terreno, allora la EJV dovrà
pagare il corrispettivo dovuto per l’occupazione del terreno.
Gli utili e le perdite sono comunque distribuiti in proporzione agli apporti di capitale effettuati.
Il consiglio di amministrazione è l’organo di gestione. Non è prevista la costituzione dell’assemblea.
Di regola se l’investitore straniero nomina il presidente del consiglio di amministrazione, è lasciato al
partner cinese il diritto di nominare il vicepresidente.
La competenza del consiglio di amministrazione comprende le questioni di maggiore rilievo: sviluppo
produttivo e operativo, approvazione del budget, distribuzione degli utili, assunzione di dipendenti,
nomina del direttore generale, del capo contabile, e la determinazione delle loro funzioni.
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La gestione ordinaria della società è di competenza del direttore generale e del vicedirettore generale.
Se il direttore generale è nominato da una delle parti, il vicedirettore generale deve essere nominato
dall’altra parte. Il direttore generale è obbligato ai sensi di legge a consultare il vicedirettore in relazione
alle questioni di maggiore importanza.
Nella prassi, pur non essendoci un divieto di costituire EJV a tempo indeterminato, le EJV sono costituite
per una durata che non supera i 50 anni. La durata dell’investimento dipende in molti casi dalla possibilità
di utilizzare il terreno sul quale lo stabilimento della EJV è costituito. L’ordinamento cinese infatti non
contempla la proprietà privata sui terreni: come meglio si vedrà al capitolo 5, la proprietà dei terreni è
pubblica mentre ai privati è data facoltà di acquisire diritti d’uso sui terreni di proprietà pubblica che
tuttavia non possono eccedere i 70 anni. Le parti quindi solitamente coordinano la durata della società
con la durata della concessione sul terreno.
Alla scadenza del termine di durata, se la EJV non viene rinnovata almeno sei mesi prima della scadenza,
essa deve essere liquidata e i proventi della liquidazione sono distribuiti tra le parti in proporzione alla
loro partecipazione al capitale sociale.
Nel caso in cui la EJV maturi perdite rilevanti, il contratto di JV può essere risolto. Nel caso si accerti
che le perdite sono dovute ad un inadempimento contrattuale di uno dei soci, quest’ultimo è tenuto al
risarcimento dei danni in favore dell’altra parte.
Tutte le controversie tra soci che non sono risolte amichevolmente con la conciliazione del Consiglio
di Amministrazione, sono deferite alla competenza della Commissione cinese per l’arbitrato economico
e internazionale o comunque ad un collegio arbitrale costituito sulla base degli accordi delle parti.
In mancanza di una clausola arbitrale nel contratto, ciascuna parte può agire avanti l’autorità giudiziaria
ordinaria (si veda il capitolo 6).
1.11.3. Contractual Joint-Venture
La CJV è disciplinata dalla Legge sulle joint-venture contrattuali sino-estere del 13 aprile 1988 (“Legge
CJV”) e dal Regolamento di Attuazione del 1995. Si tratta di una forma di cooperazione che non
necessariamente deve portare alla costituzione di una società, potendo rimanere meramente contrattuale.
Ai sensi dell’articolo 2 della Legge CJV le parti stipulano un contratto di JV che deve indicare: le
caratteristiche dell’investimento o le condizioni della collaborazione, le regole per la ripartizione degli
utili, la ripartizione delle perdite, le attività da svolgersi, la ripartizione del patrimonio della CJV alla
risoluzione del contratto.
Il contratto sottoscritto, insieme con lo statuto, deve essere depositato presso il dipartimento locale
dell’Autorità di Controllo per essere approvato. La decisione dell’Autorità di Controllo deve essere
emessa entro 45 giorni dalla richiesta. Entro 30 giorni dall’approvazione, le parti devono svolgere tutte
le formalità per la registrazione della JV presso l’ASIC e ottenere la licenza commerciale; entro 30
giorni dal rilascio della licenza commerciale, la società deve registrarsi presso le autorità tributarie locali.
Qualsiasi modifica del contratto di CJV deve essere autorizzato dall’Autorità di Controllo. Nel caso in
cui le modifiche riguardino l’attività industriale da esercitarsi o la registrazione presso il Registro delle
Imprese o presso le autorità fiscali locali, le modifiche dovranno essere approvate dall’ASIC o dalle
autorità fiscali. La cessione del contratto di joint-venture può essere attuata solamente con il consenso
dell’altra parte e con l’approvazione delle autorità competenti.
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La CJV è una alternativa per certi aspetti più flessibile rispetto alla EJV. In particolare, va osservato
che la ripartizione degli utili può anche essere effettuata in modo non proporzionale agli importi dei
conferimenti. Ad esempio, accade spesso che l’investitore straniero riceva inizialmente una maggiore
percentuale degli utili (anche a titolo di disinvestimento anticipato) a condizione che il partner cinese
abbia l’opzione di acquistare i beni della JV una volta che il contratto sarà risolto. Il metodo di ripartizione
degli utili deve comunque essere indicato nel contratto di joint-venture.
I conferimenti, inoltre, non devono necessariamente costituire una percentuale del capitale sociale:
il conferimento in una CJV, infatti, può essere rappresentato semplicemente da prestazioni non
suscettibili di una valutazione economica ai fini della formazione del capitale sociale (diritto di
utilizzare macchinari, prestazione d’opera, assistenza nelle relazioni con gli organi governativi,
consulenza etc.)
La CJV può assumere forma societaria di s.r.l. o anche solamente contrattuale. Nel primo caso il
patrimonio dei soci rimane separato da quello della CJV, mentre nel secondo caso, non essendoci una
persona giuridica che fa da filtro, le parti rimangono illimitatamente responsabili per le obbligazioni
assunte.
Ai sensi dell’articolo 12 della Legge CJV, la CJV è amministrata da un consiglio di amministrazione
(nel caso della CJV societaria) ovvero da un organo di gestione comune (nel caso della CJV contrattuale);
qualora la parte straniera nomini il presidente del consiglio di amministrazione, la parte cinese avrà
diritto di nominare il vicepresidente.
Il consiglio o l’organo di gestione a loro volta nominano il direttore generale che si occupa della gestione
ordinaria della CJV. E’ poi previsto che la CJV possa affidare la gestione corrente ad una società terza,
dietro approvazione unanime del Consiglio di Amministrazione o dell’organo di gestione e autorizzazione
dell’Autorità di Controllo e dell’ASIC.
La contabilità della CJV deve essere tenuta in territorio cinese. Le autorità di controllo possono irrogare
sanzioni alle CJV che violano tale obbligo, fino ad inibire la continuazione dell’attività.
Alla scadenza della durata della società, i beni della società verranno ripartiti a seconda degli accordi
delle parti. Se l’investitore straniero ha deciso di recuperare il proprio investimento durante l’operatività
della società (per esempio ricevendo una maggiore percentuale degli utili prodotti) il patrimonio della
società verrà automaticamente trasferito al partner cinese.
Se le parti decidono di prorogare la durata della CJV devono depositare specifica domanda avanti
l’Autorità di Controllo almeno 180 giorni prima della scadenza. L’Autorità di Controllo decide entro
30 giorni.
1.11.4. Wholly Foreign-Owned Enterprise
In alcuni casi, l’investitore straniero potrà considerare l’opportunità di costituire una società
interamente partecipata (wholly foreign-owned enterprise, WFOE) ad esempio nel caso in cui non
si voglia che il partner cinese abbia accesso alla tecnologia sviluppata dall’investitore straniero.
Le WFOE sono disciplinate dalla “Legge sulle WFOE” del 12 aprile 1986 e dal Regolamento di
Attuazione del 1990.
Anche la WFOE è costituita come una società a responsabilità limitata e gode quindi della separazione
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del patrimonio della società da quello dei suoi soci. L’utilizzo di altre forme societarie deve essere
approvato dall’autorità di controllo.
Ai sensi del Regolamento di attuazione del 1990, prima di depositare domanda di costituzione di una
WFOE, l’investitore straniero deve depositare presso le autorità locali una relazione avente ad oggetto:
lo scopo dell’investimento, il volume d’affari previsto, una descrizione dei prodotti, della tecnologia e
dei macchinari che verranno utilizzati dalla WFOE, l’indicazione del luogo in cui l’attività verrà svolta,
l’indicazione del fabbisogno energetico.
L’autorità competente a livello locale è tenuta a rilasciare il proprio parere entro 30 giorni dal deposito
della relazione.
La costituzione di una WFOE deve inoltre essere approvata dall’Autorità di Controllo.
La domanda di costituzione della WFOE deve indicare:
• nome, titolo, indirizzo della sede legale dell’investitore straniero;
• nome indirizzo e qualifica del legale rappresentante;
• oggetto della WFOE, natura dei prodotti e volume d’affari previsto;
• importo totale dell’investimento previsto, importo del capitale sociale, modalità di investimento e
durata dell’investimento;
• modello organizzativo e struttura organizzativa;
• indicazione dei tipi di macchinari utilizzati, con la data di acquisto;
• indicazione del tipo di tecnologia utilizzata e indicazioni dei fornitori di tecnologia;
• informazioni circa i canali di vendita e la distribuzione;
• informazioni circa la forza lavoro necessaria, le modalità di assunzione, la formazione, gli stipendi,
i benefici previdenziali, l’assicurazione e la sicurezza sul luogo di lavoro;
• indicazione del possibile inquinamento ambientale e indicazione delle misure da attuare per contrastare
tale fenomeno;
• indicazione del territorio in cui la società stabilirà la propria sede produttiva;
• piano di attuazione dell’investimento;
• durata dell’attività della società.
La domanda di costituzione della WFOE deve essere depositata insieme ai seguenti documenti:
- relazione di fattibilità;
- statuto della WFOE;
- lista dei legali rappresentanti (o dei candidati ad essere nominati membri del Consiglio di
Amministrazione);
- documento comprovante la solvibilità finanziaria dell’investitore straniero;
- parere positivo delle autorità locali avente ad oggetto l’investimento proposto;
- lista dei beni e dei materiali che la WFOE dovrà importare.
Ai sensi dell’articolo 15 del Regolamento del 1990, lo statuto della WFOE deve indicare:
• nome e sede della WFOE;
• oggetto sociale;
• importo totale dell’investimento, capitale sociale e termine temporale dell’investimento;
• struttura gestionale;
• organi esecutivi, loro poteri, regole per il loro funzionamento, obblighi e funzioni del direttore generale,
dell’ingegnere responsabile e del capo contabile;
• principi applicabili alla contabilità della società;
• sistema di gestione del personale;
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• durata dell’attività sociale, ipotesi di risoluzione e liquidazione;
• modalità di modifica dello statuto.
Nel caso in cui la WFOE sia costituita da più investitori stranieri, alla domanda di autorizzazione deve
essere allegato anche il contratto stipulato tra tali investitori.
L’approvazione viene rilasciata quando sussistano i seguenti elementi:
• se è quantificato l’importo totale dell’investimento;
• non sono necessari approvvigionamenti da parte dello Stato di materie prime, carburante, energia,
trasporti, etc.;
• è stata emessa e consegnata al Ministero del Commercio la relazione dei governi locali delle zone
economiche speciali o delle province autonome.
Ai sensi dell’articolo 11 del Regolamento del 1990, l’Autorità di Controllo deve emettere il provvedimento
di approvazione della WFOE entro 90 giorni dal deposito della domanda.
Nel provvedimento di autorizzazione, l’Autorità di Controllo determina anche il termine entro il quale
la WFOE deve attuare l’investimento programmato nel territorio cinese. Nel caso in cui la WFOE non
abbia attuato l’investimento, entro il termine indicato, l’ASIC ha facoltà di revocare la licenza commerciale.
L’intervento dell’Autorità di Controllo è necessario anche nell’ipotesi in cui la WFOE, una volta
costituita, intenda effettuare operazioni di fusione, scissione o altre operazioni sul capitale sociale.
Entro 30 giorni dall’approvazione, la WFOE deve essere registrata presso l’Amministrazione Statale
dell’Industria e del Commercio (ASIC), e richiedere il rilascio della licenza commerciale, la cui data
rappresenta di fatto la data di costituzione della società. Si noti che ai sensi dell’articolo 12 del
Regolamento del 1990, la mancata registrazione della WFOE, determina la nullità del provvedimento
di approvazione dell’Autorità di Controllo.
Come già accennato, lo svolgimento di alcune attività da parte delle WFOE è espressamente vietato.
In altri settori di attività è ammesso l’accesso a società partecipate anche da capitale straniero, ma il
partner cinese deve avere una percentuale di maggioranza (assoluta o relativa a seconda dei casi).
Le autorità cinesi vedono con favore le WFOE costituite per attività di export, per lo sviluppo di
tecnologia e di nuovi prodotti, per il risparmio energetico. La legge stessa ed il Regolamento specificano
che lo Stato Cinese incoraggia la costituzione di WFOE che contribuiscano al progresso della tecnologia
e dei macchinari, allo sviluppo di nuovi prodotti e di materie prime nonché all’attività di export.
La WFOE è libera di gestire gli acquisti di materie prime e macchinari necessari alla propria attività.
Si noti che qualora l’investitore straniero intenda trasferire alla società macchinari a titolo di conferimento,
dovrà dimostrare che tali macchinari sono necessari per l’attività di produzione della società. Il valore
attribuito a tali beni non dovrà superare il prezzo di mercato di prodotti dello stesso tipo.
Qualora invece l’investitore straniero intenda conferire nella WFOE diritti di proprietà industriale o
tecnologia, dovrà esserne il proprietario. Il valore di tali conferimenti di tecnologia dovrà essere attribuito
secondo i metodi di valorizzazione della prassi internazionale e non potrà superare una percentuale pari
al 20% del capitale sociale.
Il termine per il versamento dei conferimenti è stabilito dallo statuto. E’ possibile che lo statuto preveda
il versamento dei conferimenti in rate periodiche. In tal caso, la prima rata dovrà essere pari ad almeno
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il 15% del valore del conferimento e dovrà essere versata entro 90 giorni dalla data del rilascio della
licenza commerciale. In ipotesi di mancato versamento dei conferimenti entro tale termine, ciò determina
la nullità del provvedimento di approvazione della WFOE. In ogni caso, il conferimento dovrà essere
versato integralmente entro tre anni dalla data del rilascio della licenza commerciale.
La WFOE deve aprire un conto bancario presso un istituto di credito autorizzato ad effettuare operazioni
in valuta estera, indicato dalle autorità di controllo valutarie. I dividendi percepiti dalla società possono
essere rimessi all’estero. I fondi in valuta straniera devono essere depositati in un apposito conto-valuta
estera.
La WFOE è sottoposta al controllo delle autorità valutarie cinesi.
Nel caso in cui la WFOE, per la natura della propria attività, debba costituire un conto bancario all’estero,
dovrà ottenere l’approvazione delle autorità valutarie di controllo e successivamente dovrà aggiornare
tali autorità circa le operazioni effettuate su tale conto bancario.
Con l’approvazione dell’Autorità di Controllo, l’investitore straniero può investire nella WFOE i dividendi
percepiti in valuta RMB come socio di altre WFOE.
Una volta detratti gli stipendi dei dipendenti stranieri espressi in valuta estera, la società potrà trasferire
i propri fondi all’estero.
Le WFOE non possono essere costituite a tempo indeterminato. Sono costituite per un termine specifico
e possono essere rinnovate su specifica domanda. La durata della WFOE deve essere comunicata
all’Autorità di Controllo (il Ministero del Commercio). La proroga deve essere chiesta almeno 180
giorni prima della scadenza. L’autorità di Controllo deve emettere una decisione in proposito entro 30
giorni dalla richiesta.
Le WFOE possono esercitare anche attività di holding. Esse tuttavia possono detenere partecipazioni
solamente in società che svolgano attività permesse ai capitali stranieri e sono comunque soggette
all’approvazione del Ministero dell’Industria e del Commercio.
Entro 30 giorni dal rilascio della licenza commerciale, la WFOE deve depositare il provvedimento di
approvazione e la licenza commerciale presso gli uffici immobiliari locali per ottenere un certificato
d’uso immobiliare.
Il diritto d’uso immobiliare non può essere ceduto a terzi dalla WFOE senza autorizzazione dell’Autorità
di Controllo.
Nel caso in cui il terreno sia già dotato di infrastrutture, la WFOE dovrà corrispondere all’ente pubblico
proprietario del terreno un canone c.d. di sviluppo. Nel caso invece in cui il terreno non sia dotato delle
necessarie infrastrutture, la WFOE dovrà provvedere autonomamente.
1.11.5. Le società holding
Una particolare disciplina è dettata in materia di società di partecipazioni c.d. “holding”. La prima disciplina
cinese in materia di holding fu dettata negli anni Ottanta per permettere agli investitori stranieri di gestire
le proprie partecipazioni in società cinesi.
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Inizialmente la possibilità di costituire società holding era riservata soltanto a determinati settori di
attività. Negli anni Novanta sono intervenuti alcuni fondamentali provvedimenti legislativi che sono
stati uniformati dal “Regolamento Provvisorio sulla costituzione di società di investimento da parte di
investitori stranieri” del 10 giugno 2003.
Diversamente da quanto previsto nella previgente disciplina restrittiva (che limitava la possibilità di
costituire società holding soltanto ai settori dell’agricoltura, delle infrastrutture e dell’energia, in cui gli
investimenti stranieri erano incoraggiati), oggi, l’investitore straniero può costituire società holding in
qualsiasi settore industriale e commerciale nel quale sono permessi gli investimenti stranieri ai sensi
del Catalogo industriale per gli investimenti esteri.
Secondo la prassi applicativa, si possono costituire società holding cinesi (note come “Chinese holding
company” o semplicemente CHC) non soltanto nei settori espressamente qualificati come “accessibili”
dal Catalogo, ma anche in quei settori non espressamente previsti, e quindi implicitamente permessi.
Le società holding cinesi sono spesso costituite nella forma di WFOE, ma sono comunque consentite
holding nella forma di EJV.
Si noti che le società holding possono fornire servizi soltanto alle proprie FIE controllate.
L’oggetto sociale delle società holding è limitato a determinate attività espressamente previste dal
Regolamento: distribuire i prodotti delle FIE controllate o partecipate, importare e distribuire i prodotti
di terze società che siano necessari alla produzione da parte delle FIE partecipate (a condizione che il
valore di tali importazioni sia inferiore al 35% del capitale versato), esportare beni anche non prodotti
dalla FIE (a condizione che i beni non siano soggetti a licenze o a restrizioni), prestare assistenza postvendita, stipulare contratti di finanziamento e rilasciare garanzie per conto delle proprie FIE partecipate,
costituire centri di ricerca e sviluppo, fornire servizi di consulenza.
Si noti, poi, che per le società holding non vige la limitazione prevista per le FIE in forza della quale
queste ultime non possono detenere partecipazioni in altre società il cui valore superi il 50% del loro
patrimonio netto.
L’investitore straniero che intende costituire una società holding deve essere finanziariamente stabile e
deve avere almeno uno dei seguenti requisiti:
• valore minimo del patrimonio netto pari a 400 milioni USD nell’anno precedente alla domanda di
registrazione, con più di 10 milioni conferiti alla FIE partecipate a titolo di capitale e almeno 3 progetti
già approvati per la costituzione delle FIE;
• almeno 10 FIE partecipate insediate con un capitale versato pari ad almeno 30 milioni di dollari.
Gli investitori stranieri che intendano costituire una holding ai sensi del primo dei requisiti menzionati
devono altresì presentare una lettera di garanzia relativa alla tecnologia che verrà conferita nelle FIE.
Il capitale sociale minimo di una società holding è pari a USD 30 milioni. Mentre in precedenza il
capitale doveva essere utilizzato per la costituzione di nuove FIE, oggi è possibile investire il capitale
sociale versato anche per l’acquisizione di società domestiche di diritto cinese.
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2. LA DISCIPLINA DEI PRINCIPALI CONTRATTI D’IMPRESA
2.1. Le origini del diritto contrattuale in Cina
La nascita di un moderno diritto contrattuale in Cina deve essere fatta risalire alla fine degli anni
Settanta, vale a dire quando nella RPC venne adottata la cosiddetta politica della “open door”. Sino ad
allora l’economia cinese era cresciuta in maniera esorbitante, rendendo la Cina il paese a più alta velocità
di sviluppo economico. Forte era, dunque, per la RPC l’esigenza - visto il suo nuovo ruolo di centro
del potere economico - di regolamentare con norme di diritto positivo il diritto delle obbligazioni e dei
contratti.
Questo, dunque, è il presupposto di fatto che ha portato alla successiva emanazione negli anni delle
diverse leggi che costituiscono la disciplina dei contratti.
Negli anni Ottanta la legislazione contrattuale assumeva ancora, quale proprio presupposto, la
macrodistinzione tra contratti di diritto interno e contratti di diritto internazionale. Tale divisione era
controproducente soprattutto perché la legislazione concernente i contratti esteri era tale da disincentivare
il commercio e l’investimento estero.
Questa situazione mutò negli anni Novanta, quando, cioè, la Cina adottò un’economia socialista di mercato,
che vide la promulgazione di più leggi riguardanti sia i contratti nazionali quanto quelli internazionali.
Questa linea di tendenza portò all’emanazione della “Legge uniformata sul contratto” (LUC) la cui
versione definitiva è del maggio 1997 e, successivamente, della “Legge sui Contratti” del 15 marzo
1999. Quest’ultimo provvedimento ha abrogato tutte le previgenti leggi speciali riguardanti particolari
tipi di contratto, dando una spinta decisiva nel senso di una disciplina contrattuale uniforme.
2.2. Le previgenti fonti del diritto contrattuale
2.2.1. I principi generali del diritto civile
I principi generali del diritto civile (PGDC), adottati dal Congresso nazionale il 12 aprile 1986,
costituiscono la fonte principale ispiratrice cui tutti i successivi provvedimenti legislativi di diritto civile
devono inderogabilmente conformarsi. Da ciò deriva la loro definizione di basic law (“Yibanfa”).
In via sussidiaria a quanto stabilito dalle varie leggi speciali, i PGDC regolano, inoltre, tutti gli atti di
autonomia privata. L’art. 6, in particolare, detta la regola principale secondo la quale, in mancanza di
disposizione specifica, gli atti dei privati non devono comunque essere contrari alla politica dello Stato.
2.2.2. Le leggi speciali
Come in precedenza accennato, la legge sui contratti del 1999, all’art. 428, dichiara abrogate le leggi
speciali che regolavano determinati tipi contrattuali.
Notevole importanza, infatti, assumevano nel traffico giuridico cinese i contratti di diritto interno
concernenti l’economia e la tecnologia. Per questi tipi contrattuali il legislatore cinese aveva emanato
due apposite leggi speciali, rispettivamente la “Legge sui contratti economici” (LCE), promulgata il 13
dicembre 1981 e successivamente emendata da una legge datata 2 settembre 1993 e da una dozzina di
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relativi regolamenti dell’amministrazione statale e locale, e la “Legge sui contratti legati alla tecnologia”
(LCT), promulgata il 23 giugno 1987 con il Regolamento di attuazione della stessa del 15 marzo 1989.
Nell’ambito di applicazione della LCE ricadevano i contratti conclusi tra persone giuridiche cinesi, altre
organizzazioni economiche, imprese familiari e imprese agrarie (art. 2 LCE); per sua espressa dis
Con il termine “contratti tecnologici” si intendevano i contratti aventi ad oggetto lo sviluppo, il
trasferimento, la consulenza o il servizio in questioni relative alla tecnologia, conclusi tra persone giuridiche
e cittadini cinesi.
Mentre la legislazione di diritto interno non era applicabile alle persone giuridiche straniere, era, invece,
applicabile alle persone giuridiche cinesi con conferimenti stranieri, nonché alle joint-venture, alle
imprese possedute interamente da stranieri (di cui si è detto nella precedente sezione, al par. 1.11.) e
alle società straniere. D’altro canto, però, la LCE e la LCT non erano applicabili agli uffici di rappresentanza
e alle filiali costituiti in forza del Capitolo 9 della legge sulle società, non essendo società aventi
personalità giuridica cinese.
Per quanto concerneva i contratti economici coinvolgenti interessi economici stranieri, questi erano
generalmente governati dalla “Legge sui contratti economici stranieri” (LCES) emanata il 15 marzo
1985 e abrogata anch’essa dalla Legge sui contratti del 1999. La LCES, dettando la disciplina generale,
veniva ovviamente derogata dalle eventuali legislazioni speciali e dai trattati internazionali.
2.3. La legge sul contratto della RPC
Il 1° ottobre 1999 è entrata in vigore in Cina la nuova “Legge sui contratti” (Legge Contratti o LC) con
la cui emanazione il legislatore cinese ha inteso unificare e sostituire le leggi contrattuali esistenti, che,
come già spiegato in precedenza, si basavano sulla macrodistinzione tra contratti di diritto domestico
e contratti di diritto internazionale. In seguito all’entrata in vigore della nuova legge sui contratti, tali
categorie contrattuali sono oggetto della medesima disciplina. A tale scopo, l’art. 428 della legge del
1999 ha previsto l’abrogazione, come in precedenza accennato, della LCE, della LCES e della LCT.
L’art. 123 LC prevede, in ogni caso, che le disposizioni dettate per specifici tipi contrattuali prevalgono
su quelle generali contenute nella legge di cui si discute. La nuova legge sui contratti, infatti, detta
disposizioni di carattere generale che valgono per tutti i tipi contrattuali, nella misura in cui, però, non
siano dettate previsioni specifiche.
La nuova legge non esclude, inoltre, al pari delle previgenti leggi speciali, il richiamo ai Principi generali
del diritto civile e alle leggi e regolamenti locali.
A differenza delle leggi speciali dalla stessa abrogate, che si ispiravano ai principi di un’economia di
piano, la nuova legge sui contratti è rivolta ad un’economia di mercato, pertanto essa prevede un
restringimento dell’intervento governativo negli atti dei privati e un maggior spazio alla libera autonomia
delle parti in ordine ai contenuti contrattuali.
2.3.1. Caratteristiche generali
La nuova legge sui contratti consta di 23 capitoli e 428 articoli. I primi otto capitoli raccolgono i principi
generali del diritto dei contratti, mentre i restanti quindici classificano i contratti nelle diverse categorie
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(vendita, mutuo, leasing, appalto, trasporto, etc.) e ne dettano le previsioni speciali e integrative. Non
ricadono nell’ambito di applicazione della nuova legge i contratti disciplinati da apposite leggi speciali,
quali quelli di assicurazione o sulla proprietà intellettuale.
La nuova legge ha il merito di rendere tipici molti contratti diffusi nel mercato economico-giuridico
cinese, ma che non avevano ancora ricevuto disciplina positiva, quali il leasing, il mandato, l’agenzia,
la mediazione.
2.3.2. Disposizioni di particolare rilievo
• Condizioni generali del contratto
Grande importanza rivestono le norme della legge sui contratti dettate per le condizioni generali del
contratto. Tale provvedimento tende, infatti, a proteggere la parte che si trovi di fronte a un contratto
standard (detto anche “per adesione”) e prevede che la parte che fissa le condizioni generali del contratto
osservi il principio della correttezza contrattuale. Il contratto, infatti, deve richiamare l’attenzione
dell’altra parte sulle clausole contenenti ipotesi di esclusione o limitazione della responsabilità e deve
spiegarne il significato, nel caso in cui gliene fosse fatta richiesta.
Con una previsione del tutto analoga a quella dettata dal nostro codice civile (artt. 1370 e 1469-quater),
la nuova legge sui contratti sancisce che in caso di controversia circa il significato di una delle condizioni
generali, questa debba sempre essere interpretata nel senso meno favorevole al predisponente. Se, inoltre,
vi è contraddizione tra una condizione standard e una concordata tra le parti del contratto, è senz’altro
quest’ultima a prevalere.
Ogni condizione contrattuale, anche se si tratta di condizione generale, è considerata invalida se stabilisce
un’esclusione di responsabilità nel caso (i) di danni alla proprietà derivanti da dolo o da colpa grave o
(ii) di lesione personale (art. 53 LC).
• Prescrizioni di forma
Stante il disposto dell’art. 10, che sancisce che un contratto possa essere concluso per iscritto, oralmente
o in qualunque altra forma, si può affermare che anche nel diritto contrattuale cinese, al pari del nostro,
vige il principio della libertà di forma.
La prescrizione della forma scritta può discendere da leggi speciali o da regolamenti amministrativi
oppure dalla volontà delle parti, che si sono accordate anche sulla forma.
L’art. 11 LC elenca le tipologie di documenti che soddisfano la forma scritta, vale a dire un preliminare
improprio, una lettera, un messaggio elettronico di qualunque tipo, ed in generale qualunque supporto,
cartaceo o meno, in cui sia possibile manifestare per iscritto la propria volontà. Le attuali disposizioni
sono molto diverse dalle precedenti, che dettavano l’obbligo di forma scritta per tutti i contratti stranieri
e per i contratti di diritto interno permettevano la forma orale solo per i contratti che avessero esecuzione
immediata.
• Formazione dell’accordo contrattuale
La nuova legge detta disposizioni specifiche riguardanti gli elementi necessari alla formazione di un
contratto, rendendo in tal modo la legislazione della RPC conforme alla Convenzione di Vienna delle
Nazioni Unite sulla vendita internazionale dei beni mobili del 1980.
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In forza delle nuove disposizioni, la proposta contrattuale deve avere contenuto specifico e determinato
e palesare l’intenzione del proponente di obbligarsi. La proposta contrattuale è efficace quando giunge
a conoscenza dell’oblato; essa potrebbe però essere revocata prima o appena giunta al destinatario, ma
in ogni caso prima che l’oblato l’abbia accettata. In altri casi, quali, ad esempio, quando l’oblato accetti
la proposta dopo il termine indicato per l’accettazione o apporti modifiche sostanziali al contenuto della
proposta, questa decade.
Nell’ultima ipotesi prospettata, in cui l’oblato nella propria accettazione apporti modifiche rilevanti alla
proposta, l’accettazione vale come controproposta. Un’accettazione contenente, invece, modifiche non
sostanziali può essere considerata valida e il suo contenuto sostituisce quello difforme della proposta,
sempre che l’accettazione sia fatta pervenire al proponente nei termini.
• Obbligo alla riservatezza
La nuova legge prevede l’obbligo della parte a non rivelare o non utilizzare in maniera impropria le
informazioni confidenziali di carattere tecnico o economico acquisite durante la conclusione del contratto.
In caso contrario la parte che non abbia osservato l’obbligo alla riservatezza sarà ritenuta responsabile
degli eventuali danni verificatasi a seguito della sua condotta scorretta.
• Disposizioni sulla rappresentanza
La legge sui contratti del 1999 ha introdotto nuove norme circa la disciplina dei contratti conclusi dal
c.d. falsus procurator. In generale, il contratto concluso da un soggetto per conto di un altro non è vincolante
per quest’ultimo, qualora la persona che ha agito per lui sia priva di potere rappresentativo, oppure
abbia agito oltre i limiti del potere conferitole o tale potere sia venuto meno, mentre la responsabilità
risiederà proprio in capo al falsus procurator che ha concluso il contratto (art. 48 LC).
L’altro contraente può:
(i) se in buona fede, estinguere il contratto, con effetto dalla notificazione dell’atto di risoluzione;
(ii) richiedere al falsus dominus la ratifica del contratto concluso per suo conto, ratifica che deve essere
emessa entro un mese dalla richiesta. In caso contrario si presume che il falso rappresentato abbia rinunciato
alla possibilità di ratificare.
L’art. 49 LC stabilisce, inoltre, che il contratto concluso dal falsus procurator sarà valido se la controparte
ha fatto ragionevolmente affidamento sull’esistenza di una procura in capo alla persona con cui ha concluso
il contratto.
• Ipotesi di invalidità
L’art. 52 LC indica le circostanze in cui un contratto è invalido:
(i) una parte induce l’altra alla conclusione di un contratto per mezzo di dolo o violenza, in tal modo
danneggiando l’interesse pubblico;
(ii) le parti agiscono di comune accordo in mala fede, danneggiando così l’interesse statale, della
collettività o di un terzo estraneo al contratto;
(iii) le parti volevano raggiungere uno scopo contrario alla legge attraverso la stipulazione di un contratto
legittimo (si tratta di un’ipotesi del tutto analoga a quella dettata dall’art. 1344 codice civile italiano
sul contratto in frode alla legge, sanzionato anch’esso con la nullità);
(iv) il contratto è contrario al pubblico interesse;
(v) il contratto viola disposizioni inderogabili contenute in una legge o in un regolamento amministrativo.
La mancata indicazione di alcuni elementi essenziali del contratto, quali la qualità del bene oggetto
del contratto, il prezzo, la retribuzione, etc., non è causa di invalidità, in quanto le parti possono
integrare in seguito il contenuto contrattuale con un accordo supplementare. Anche nel caso in cui le
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parti non stipulino tale accordo integrativo, le lacune contrattuali possono essere colmate rifacendosi
ad altre previsioni rilevanti nel contratto o a quanto stabilito nel corso delle trattative. Se neppure in
questo modo è possibile determinare le condizioni non previste dai contraenti, ci si deve rifare ai seguenti
criteri suppletivi:
• la qualità deve essere determinata sulla base dei livelli standard fissati dal mercato e dall’industria;
• il prezzo è quello medio sul mercato nel luogo e al tempo dell’adempimento della prestazione;
• il luogo dell’adempimento è quello di residenza del debitore oppure, se si tratta di beni immobili,
quello dove essi si trovano, o verrà determinato in base alla natura del contratto;
• se il termine per adempiere non è fissato, il debitore può adempiere in qualsiasi momento e il creditore
può esigere l’adempimento in qualsiasi momento;
• se il modo di adempimento non è specificato, la prestazione deve essere eseguita nella maniera più
adatta a soddisfare lo scopo del contratto;
• se nel contratto non è specificata la parte che ne sopporta gli oneri, questi gravano sul debitore.
• Cessione del credito
Diversamente dalla previgente disciplina, la cessione da parte del creditore dei propri diritti derivanti
dal contratto non necessita del consenso espresso del debitore, al quale dovrà soltanto essere notificata.
Tale innovazione legislativa rappresenta una facilitazione nelle contrattazioni del traffico giuridico
cinese, soprattutto quelle di carattere finanziario.
• Esecuzione in forma specifica
Quando una delle parti non adempie o adempie in maniera scorretta un’obbligazione non pecuniaria,
l’altra parte può agire per ottenere l’esecuzione in forma specifica, salvo nelle seguenti ipotesi:
• quando la prestazione non può essere adempiuta per una ragione oggettiva di fatto o di diritto;
• quando l’oggetto dell’obbligazione non permette l’esecuzione in forma specifica o i costi sono
eccessivamente alti;
• quando il creditore non richiede l’esecuzione in forma specifica, entro un termine ragionevole.
• Risoluzione del contratto per eventi di forza maggiore
Il diritto a risolvere unilateralmente il contratto in casi quali quello di un evento ascrivibile alla forza
maggiore è a tutt’oggi limitato nel sistema legale cinese.
In ogni caso, la nuova legge contrattuale prevede non solo che le parti contraenti possano di comune
accordo stabilire le condizioni sotto le quali il contratto può essere risolto, ma anche che una delle parti
può unilateralmente recedere dal contratto in uno dei seguenti casi:
• per cause di forza maggiore, lo scopo del contratto non può più essere raggiunto. In tal caso la parte
impossibilitata ad adempiere deve notificarlo alla controparte, in modo che questa possa ridurre i
danni e le perdite che ne dovessero conseguire;
• l’altra parte dichiara espressamente che non adempierà alle proprie obbligazioni;
• l’altra parte è in ritardo nell’adempimento di una delle proprie prestazioni e permane nel proprio
inadempimento, anche dopo la costituzione in mora;
• l’altra parte è in ritardo nell’adempimento o, comunque, ha violato il contratto in modo che ne sia
risultato un pregiudizio per gli interessi economici della controparte.
• Sospensione del proprio adempimento
La nuova legge sui contratti ha esteso a tutti i contratti il rimedio della sospensione dell’adempimento,
prima riservato solo ai contratti stranieri: nel caso in cui sia evidente che una parte del contratto non
adempierà ai propri obblighi, l’altra può, in via preventiva, sospendere la propria prestazione.
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• Compensazione
Un’altra notevole novità introdotta dalla nuova legge sui contratti è quella della compensazione quale
modo di estinzione delle obbligazioni.
Le parti di un contratto che siano titolari di reciproci rapporti di debito e credito possono estinguerli
per mezzo della compensazione, se tali obbligazioni hanno ad oggetto beni fungibili e della stessa
quantità. La parte che vuole avvalersi della compensazione deve notificarlo all’altro contraente, il quale
a sua volta può fare opposizione.
La nuova legge riconosce la possibilità alle parti di accordarsi per l’estinzione dei reciproci debiti, pur
quando non ricorrano i presupposti di cui sopra (compensazione volontaria).
• Danni conseguenti all’inadempimento contrattuale
La legge sui contratti del 1999 prevede che siano le parti ad accordarsi se, nel caso in cui una di esse
si renda inadempiente, sorga per l’altra un obbligo al risarcimento del danno; le parti possono anche
stabilire come calcolare tale ammontare. Nel caso in cui il risarcimento fosse troppo alto o, al contrario,
troppo basso, la parte che risulta danneggiata dalla sproporzione può adire il tribunale o un collegio
arbitrale.
Quando le parti stabiliscono anche una penale specifica per il ritardo, questa deve essere corrisposta in
aggiunta alla prestazione contrattuale.
Nel caso in cui le parti non abbiano stabilito l’ammontare del danno o il metodo per calcolarlo, esso
verrà determinato sulla base della perdita attuale conseguente all’inadempimento. In ogni caso il
risarcimento copre solo i danni attuali e conseguenti che erano prevedibili dalla parte inadempiente al
momento della conclusione del contratto.
• Limiti temporali all’esercizio delle azioni contrattuali
Il termine entro cui esercitare un’azione giudiziale o indire un arbitrato per una questione relativa ad
un contratto di vendita internazionale di beni mobili o un contratto di importazione o esportazione di
strumenti tecnologici è di quattro anni dal momento in cui la parte non inadempiente è venuta a
conoscenza o avrebbe dovuto sapere dell’inadempienza.
Tale termine, per gli altri tipi contrattuali, è dettato dalle leggi speciali che disciplinano i contratti sui
quali è sorta la controversia.
Oltre ai predetti specifici termini prescrizionali dettati dalla legge del 1999, disposizioni generali sono
dettate dai Principi generali. In particolare, l’art. 135 degli stessi fissa il termine generale per l’azione
giudiziale in due anni, salvo diversa disposizione di legge. Per i casi, invece, indicati nell’art. 136 (azioni
per risarcimento per lesioni fisiche; vendita di beni di qualità inferiore alla media; ritardo nel pagamento
di una rata o rifiuto di adempiervi; perdita o danneggiamento di un bene lasciato in custodia di altri) il
diritto di adire il tribunale si riduce ad un anno. L’art. 137 fissa il dies a quo dal momento in cui il
soggetto è venuto a conoscenza o sarebbe dovuto venire a conoscenza, secondo l’ordinaria diligenza,
della lesione dei propri diritti. Il diritto ad agire in via giudiziale non può, in ogni caso, essere esercitato
trascorsi vent’anni.
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2.4. Contratti di distribuzione e di agenzia
2.4.1. Premessa sulla distribuzione commerciale straniera
La distribuzione di beni in Cina ha incontrato da sempre diversi ostacoli, costituiti, tra gli altri, dalla
povertà delle infrastrutture, dagli ostacoli burocratici, dalla legislazione lacunosa, dalle alte tassazioni
sulle importazioni, difficoltà solo in parte superate dall’entrata della Cina nella Organizzazione Mondiale
del Commercio nel 2001.
Per quanto riguarda le attuali questioni pratiche e giuridiche che possono sorgere circa la distribuzione
di beni nella RPC, la questione va analizzata avendo riguardo, in modo particolare, alla recente
“Legge sul Commercio Estero”, la quale disciplina ex novo l’importazione in Cina e l’esportazione
dalla Cina, e detta le prime disposizioni nell’ordinamento in tema di distribuzione commerciale cinese
(artt. 8 e ss.).
L’art. 8 della legge definisce distributore commerciale straniero (il cosiddetto “operatore del commercio
estero”) il singolo, che abbia proceduto alla registrazione industriale e commerciale o all’adempimento
di altre procedure in accordo con la legge cinese e, in forza di ciò, assuma incarichi di distribuzione
commerciale straniera, in osservanza delle leggi e dei regolamenti amministrativi. La predetta registrazione,
regolata dall’art. 9, è richiesta all’autorità responsabile per il commercio straniero presso il Consiglio
di Stato, salvo che leggi, regolamenti o l’autorità stessa per il commercio estero non lo richiedano. Nel
caso in cui il distributore straniero non adempia alle predette formalità, l’autorità a tutela dei consumatori
non potrà avviare le procedure per il riconoscimento, l’esame e il rilascio di beni importati ed esportati.
L’art. 11 sancisce che lo Stato può stabilire che vi sia un commercio solo statale su determinati beni, i
quali sono elencati in apposite liste rese pubbliche. In tali liste sono, altresì, indicate le imprese
autorizzate all’importazione ed esportazione dei beni predetti, le quali sono le uniche a poter porre in
essere tali transazioni, salvo che lo Stato non decida che, per alcuni beni e in determinate quantità,
possano importare ed esportare anche imprese non autorizzate. Le imprese che violino le illustrate
disposizioni non possono ottenere il rilascio dei beni dall’autorità a tutela dei consumatori.
L’art. 13 sancisce un obbligo, in capo ai distributori stranieri, di esibire all’autorità autorizzata il materiale
concernente la loro attività di distribuzione; l’autorità è tenuta al più assoluto riserbo sui segreti
commerciali di cui, a seguito dell’ispezione di tale documentazione, verrà a conoscenza.
L’art. 32 vieta qualsiasi comportamento da parte dei distributori commerciali stranieri che sia in contrasto
con leggi e regolamenti amministrativi anti-monopolistici. Contro tali comportamenti l’autorità responsabile
per il commercio straniero può adottare gli opportuni provvedimenti.
L’attuale disciplina introduce, rispetto al passato, forti novità circa la legittimazione ad operare quali
distributori in Cina: prima, infatti, la società straniera doveva necessariamente rivolgersi ad un’impresa
locale, che fosse fornita della licenza di legge per distribuire nel territorio della RPC beni importati.
Come già evidenziato, la distribuzione domestica in territorio cinese è ancora soggetta ad alcune
limitazioni. In seguito alle recenti modifiche legislative la distribuzione commerciale in territorio cinese
è oggi aperta anche alle società con capitale straniero che tuttavia dovranno modificare il proprio oggetto
sociale e ottenere specifica approvazione da parte del Ministero del Commercio.
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2.4.2. Differenze intercorrenti tra agenzia e distribuzione
Sussistono, evidentemente, rilevanti differenze sia pratiche che giuridiche tra i due tipi contrattuali di
cui si discute.
La distribuzione riguarda la vendita di beni da parte di società straniere ad enti cinesi, i quali, a loro
volta, li rivendono per proprio conto - e non quali agenti della società straniera - o direttamente ai
consumatori o indirettamente per mezzo di rivenditori o comunque di altri intermediari. La società
distributrice cinese, ovviamente, rivende i beni ad un prezzo più alto di quello pagato per l’acquisto.
Al contrario, il rapporto di agenzia prevede la nomina da parte della società straniera di un soggetto
giuridico locale quale agente preposto alla vendita dei suoi beni in nome e per conto della società esportatrice.
Ogni contratto concluso dall’agente con un consumatore, rivenditore o intermediario cinese vincola
direttamente la società straniera. Il guadagno dell’agente deriva dalle provvigioni sugli affari conclusi.
2.4.3. La distribuzione
I contratti di distribuzione sono probabilmente molto più diffusi di quanto lo siano quelli di agenzia, e
sono certamente consigliabili quando la società straniera non vuole stabilire un rapporto di rappresentanza
tale per cui la società cinese possa stipulare contratti cui la prima risulti vincolata. Il rapporto di agenzia,
inoltre, prevede che all’agente vengano fornite dettagliate e specifiche informazioni e istruzioni, le
quali, secondo la legge della RPC, possono essere modificate soltanto dietro consenso del preponente.
Nella prassi, è frequente che le società straniere non se la sentano di investire l’ente cinese di una tale
responsabilità, ma preferiscano instaurare un più semplice rapporto di distribuzione.
Gli aspetti peculiari del tipo contrattuale in discussione sono i seguenti.
a) Legge sostanziale applicabile
Sebbene, come detto, oggetto del contratto di distribuzione sia il dovere-potere della società cinese di
promuovere e distribuire sul mercato della RPC i prodotti di una società straniera, non necessariamente
la legge statale che si applicherà al contratto è quella cinese, in quanto le parti sono libere di stabilire
la legge regolatrice del loro accordo.
b) Attestato di conformità
A prescindere dalla legge sostanziale applicabile, la società straniera potrebbe aver bisogno di procurarsi
delle certificazioni di conformità - diverse in base ai prodotti oggetto della distribuzione - dalle competenti
autorità cinesi prima che i prodotti stessi vengano pubblicizzati e distribuiti legalmente nella RPC.
In sede di conclusione del contratto, è opportuno che le parti stabiliscano quale di esse sarà responsabile
per non aver richiesto tali certificazioni.
c) Diritto di esclusiva
Le parti possono accordarsi perché al distributore sia concesso il diritto di esclusiva. Per ridurre il
rischio connesso alla concessione dell’esclusiva ad un distributore che potrebbe rivelarsi non efficiente,
il fornitore potrebbe condizionarla al raggiungimento di un certo fatturato in un certo lasso di tempo,
non ottenuto il quale la società cinese perderebbe il diritto all’esclusiva pur mantenendo l’incarico alla
distribuzione, oppure, addirittura, l’intero incarico.
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d) Obbligazioni del distributore
Tra le obbligazioni contrattuali del distributore sono spesso inseriti obblighi a contribuire allo sviluppo
del mercato di vendita, ad occuparsi della pubblicità e della promozione del prodotto, a studiare strategie
di marketing, anche attraverso corsi specifici per i dipendenti.
Le società straniere esercitano, in ogni caso, un attento controllo sui metodi di pubblicità e promozione
usati dalla società cinese, al fine di assicurarsi che siano omologhi a quelli della società straniera.
e) Diritti di proprietà
Quasi tutti i contratti di distribuzione riguardano prodotti che includono diritti di proprietà intellettuale
di diverso genere e la promozione degli stessi sotto il marchio del preponente.
Un aspetto di particolare rilievo è la tutela dei diritti di proprietà intellettuale per le società straniere,
le quali dovrebbero, in sede di accordo contrattuale, studiare rimedi ad hoc.
f) Riservatezza
E’ fortemente consigliabile includere nei contratti generali di distribuzione l’obbligo (di solito bilaterale)
di riservatezza sulle informazioni rivelate nel corso della relazione d’affari intercorrente tra le parti,
obbligo che, occasionalmente, potrà subire delle eccezioni, come nel caso di informazioni già pubblicizzabili
o nel caso di ordinanza giudiziale che impone di rivelare determinate informazioni.
g) Termine
Le parti devono, in sede di accordo, stabilire se la società cinese sia distributore dei prodotti stranieri
con un contratto a tempo determinato o indeterminato (in quest’ultimo caso deve essere comunque
concordato il minimo di preavviso per la risoluzione).
h) Risoluzione
Le circostanze nelle quali ciascuna parte avrà diritto a risolvere il contratto di distribuzione prima che
sia trascorso il termine concordato e le conseguenze derivanti da ciò devono essere chiaramente e
preliminarmente fissate. Previsioni tipiche sono il diritto delle parti di compensare i propri debiti e crediti,
la scelta della società straniera di cancellare le spedizioni di prodotti, l’obbligo del distributore di
restituire o eliminare tutto il materiale pubblicitario e promozionale, nonché di cessare di qualificarsi
verso terzi quale distributore dei prodotti della società. Generalmente, una volta cessato il rapporto
contrattuale, il distributore non può rivendere le scorte di magazzino rimastegli, salvo che non sia la
stessa società straniera a riacquistarle.
i) Risoluzione delle controversie
Le parti possono anche fissare il metodo di risoluzione delle eventuali controversie che dovessero
derivare dal contratto di distribuzione. Solitamente la prima via che deve essere esperita è quella della
conciliazione amichevole in via stragiudiziale. Nel caso in cui questa non dovesse dare buon esito, la
controversia verrà decisa attraverso un arbitrato regolamentato secondo le regole fissate dalla Commissione
cinese per l’arbitrato economico e internazionale.
2.4.4. L’agenzia
Il contratto di agenzia è disciplinato dal capitolo 21 (artt. 396 ss.) della legge sui contratti della RPC.
L’art. 396 definisce il contratto di agenzia come il contratto con cui il preponente incarichi l’agente
della conclusione di affari per proprio conto; tale incarico può essere generale per tutti gli affari o limitato
soltanto ad alcuni (art. 397).
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I contratti conclusi dall’agente nei limiti dei poteri conferitigli dal preponente sono direttamente vincolanti
per quest’ultimo, anche nel caso in cui l’agente stipuli il contratto a suo nome e il terzo sappia del
rapporto di agenzia, salvo che ci siano prove evidenti che l’agente agiva per proprio conto (art. 402).
Aspetti principali del contratto in oggetto sono i seguenti.
a) Obblighi in capo al preponente
Obbligo fondamentale del preponente è tenere sollevato l’agente dagli oneri da questi sopportati nel
procacciamento e conclusione degli affari: l’art. 398 stabilisce, infatti, che il preponente anticipi le spese
necessarie o, comunque, rifonda con gli interessi quelle sostenute dall’agente.
Il preponente deve, inoltre, fornire all’agente le indicazioni cui questo deve attenersi nell’adempimento
del proprio incarico.
b) Obblighi dell’agente
L’agente ha l’obbligo di attenersi alle indicazioni dategli dal preponente ed ogni deroga ad esse necessita
dell’approvazione di quest’ultimo, salvo per le situazioni di emergenza, nelle quali non sia possibile
per l’agente raggiungerlo (art. 399).
L’agente deve condurre personalmente l’affare, salvo che non sia stato autorizzato dal preponente a
delegarlo ad una terza persona, la quale potrà essere istruita anche direttamente dal preponente. L’agente
sarà responsabile per la scelta dell’incaricato e per le informazioni a lui impartite (art. 402).
Su richiesta del preponente, l’agente deve riferirgli circa i progressi dell’affare intrapreso; nel caso di
stipulazione di un nuovo contratto, l’agente deve rendere conto dell’affare (art. 401).
La proprietà sui beni acquistati dall’agente nell’adempimento del proprio incarico deve essere
immediatamente trasferita in capo al preponente (art. 404).
c) Retribuzione dell’agente
In seguito alla conclusione dell’affare da parte dell’agente, il preponente deve provvedere a versagli il
dovuto compenso. Quando, invece, il rapporto di agenzia è risolto o l’affare non poteva essere portato
a termine per ragioni di cui l’agente non è responsabile, il preponente deve comunque pagargli una
percentuale adeguata della retribuzione che sarebbe stata dovuta nel caso di buon esito dell’affare, salvo
diverso accordo delle parti (art. 405).
d) Responsabilità dell’agente
Nel caso in cui il preponente subisca dei danni imputabili alla condotta dell’agente nella conclusione
dell’affare, il primo può agire per il risarcimento. Nel caso in cui l’incarico di agente sia a titolo gratuito,
il preponente può chiedere il risarcimento dovuto soltanto in caso di dolo o colpa grave. L’agente è,
inoltre, responsabile per i danni che arreca con la conclusione di contratti fuori dai propri poteri (art.
406).
Nel caso in cui vi siano due agenti che agiscono congiuntamente, essi rispondono solidalmente per i
danni di cui siano responsabili (art. 409).
e) Legge applicabile, obblighi di riservatezza e risoluzione delle controversie
Per quanto riguarda tali aspetti, si rimanda a quanto detto in tema di contratto di distribuzione (par.
2.4.3., lett. a, f ed i).
56
2.5. Il franchising
2.5.1. L’attuale disciplina del contratto di franchising
Nel diritto contrattuale cinese il franchising è un accordo in forza del quale il “franchisor”, ovvero il
proprietario di un marchio di fabbrica o di altri diritti di proprietà (che comprendono spesso le tecniche
commerciali di gestione degli affari), permette ad un terzo, il “franchisee”, di utilizzare tali diritti per
aprire e gestire un punto vendita o una linea di produzione, dietro il corrispettivo di alcune provvigioni.
Il contratto di franchising, in Cina, è concluso, nella maggior parte dei casi, per l’attività commerciale
di vendita al dettaglio, spesso nell’ambito di catene internazionali.
I contratti di franchising nella RPC sono stati espressamente disciplinati, per la prima volta, dalle
“Misure concernenti l’amministrazione dei contratti di franchising” emanate dal Ministro del Commercio
Interno il 14 novembre 1997 (le c.d. “Trial Measures”). Tali disposizioni sono le prime adottate dalla
RPC per la conclusione e l’esecuzione dei contratti del tipo di cui si discute: lo scopo che il Governo
cinese vuole raggiungere attraverso esse è standardizzare le operazioni di franchising, proteggere i diritti
tanto del franchisor quanto del franchisee e promuovere lo sviluppo delle catene di vendita. Prima
dell’adozione delle Trial Measures, la disciplina dei contratti di franchising veniva semplicemente
ricavata dall’applicazione dei principi generali.
Le Trial Measures prevedono due tipi di franchising, il franchising diretto e il master franchising (subfranchising). Col primo tipo di contratto il franchisee ottiene il diritto ad esercitare il franchising, senza
poterlo concedere a terzi. Al contrario il master franchising è quell’accordo per cui il franchisee ottiene
il diritto esclusivo tanto ad operare quale punto vendita in quel territorio, quanto a concedere un subfranchising a terzi in quel territorio.
In base alle misure sul franchising, il franchisor è tenuto, prima della conclusione del contratto, a
mostrare del materiale informativo al franchisee, in particolare fornirgli informazioni di base sull’assetto
della società, sui fatturati, sull’esistenza di altri contratti di franchising, sul successo di tali rapporti,
sullo stato finanziario di punti vendita già esistenti, sulle condizioni di pagamento, e così via.
Attualmente al fine di accedere al mercato cinese, i venditori al dettaglio stranieri devono ottenere un
permesso in accordo con le “misure per la costituzione di imprese commerciali straniere”, promulgate
nel 1999. I franchisor cinesi hanno l’obbligo, invece, di iscriversi alla Associazione cinese delle catene
e dei franchising (CCFA), associazione commerciale “quasi governativa”.
Nonostante queste innovazioni legislative e, soprattutto, l’ottimismo che domina per il futuro, va
sottolineato che, finora, i franchisor internazionali continuano ad incontrare ostacoli al loro accesso al
mercato cinese, quali, ad esempio, la protezione della loro proprietà intellettuale o la difficoltà nel trattare
con le filiali dei locali franchisee.
Oltre a quanto specificatamente stabilito dalle Trial Measures, il franchising trova regolamentazione
anche nelle disposizioni di carattere generale della legge sui contratti del 1999 e nei Principi Generali
del diritto civile ed in altre normative di carattere specifico, quali quelle relative all’utilizzo del marchio,
del know-how, etc. (ad esempio le norme sulla tutela della proprietà intellettuale).
Le Trial Measures non sono espressamente applicabili ai franchising esteri, ma questa mancanza di
disciplina positiva non ha impedito che, negli ultimi vent’anni, ci fosse uno sviluppo notevolissimo in
Cina.
In assenza di una regolamentazione espressa, i franchisor stranieri, ispirandosi al diritto commerciale,
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in generale costituiscono i propri accordi di franchising su due modelli fondamentali, vale a dire gli
investimenti diretti e la licenza per l’estero, tra i quali le società scelgono in base al settore in cui
commerciano.
2.5.2. Accordi di licenza per l’estero
Avendo presenti le considerazioni commerciali degli investimenti nella RPC e i rischi connessi ad un
investimento in un progetto privo dell’approvazione governativa necessaria nelle industrie “ristrette”,
alcuni franchisor stranieri scelgono di costituire i loro rapporti di franchising in Cina attraverso semplici
relazioni contrattuali di concessione di licenza con controparti cinesi. Al posto delle commissioni tipiche
del franchising, al franchisor viene pagato il corrispettivo per la concessione dell’utilizzo del proprio
marchio di fabbrica e per il know-how, nonché l’onorario per l’assistenza e la direzione manageriale
prestata al concessionario.
L’esportatore straniero dovrebbe accertarsi che il contratto concluso con la società cinese sia supportato
dalle necessarie autorizzazioni e pienamente conforme alla legge cinese.
2.5.3. I nuovi regolamenti sul franchising
Il 25 luglio 2001 è stata pubblicata la bozza dei “Regolamenti sulla Amministrazione delle operazioni
a catena di franchising”, i quali sono stati emanati con l’intento di sostituire le Trial Measures - che
dovrebbero essere tacitamente abrogate in seguito all’emanazione dei Regolamenti - al fine di avvicinare
ulteriormente la disciplina cinese agli standard di franchising internazionali. In realtà, però, a tutt’oggi
non vi è conferma della definitiva emanazione e della conseguente entrata in vigore dei predetti
regolamenti.
La bozza dei Regolamenti descrive cinque figure di franchising, aggiungendone tre, quindi, a quelle
già note del franchising diretto e del master franchising (o sub franchising) regolate dalle Trial Measures
del 1997. L’art. 8 dei Regolamenti introduce, infatti, i concetti di “franchising per lo sviluppo del
territorio”, “franchising di agenzia” e “franchise joint-venture”.
Il “franchising per lo sviluppo del territorio” si riferisce a quegli accordi in cui il franchisee ottiene il
diritto di creare e gestire un certo numero di punti vendita in un territorio delimitato per un certo periodo
di tempo, senza la possibilità di dare un sub-franchising. Il “franchising di agenzia” descrive quegli
accordi in cui il franchisor autorizza un agente a nominare dei potenziali franchisee in nome del franchisor
e a procurare certi servizi al franchisee in un territorio definito; in ogni caso l’accordo di franchising è
concluso direttamente tra il franchisor e il franchisee. Le “franchise joint-venture” sono degli enti
giuridici in cui sia il franchisor che il franchisee hanno un eguale interesse nel punto di vendita.
I regolamenti del 2001, poi, fanno salva la prescrizione di adeguamento ai regolamenti delle Commissioni
ministeriali e alla necessità di iscrizione nel registro della CCFA (vedi supra).
2.6. La vendita
Il contratto di vendita è espressamente disciplinato dalla legge sui contratti del 1999, nel capitolo 9,
artt. 130 e seguenti.
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L’art. 130 definisce il contratto di vendita quale l’accordo in forza del quale il venditore trasferisce la
titolarità sul bene oggetto del contratto al compratore, il quale paga il corrispettivo di un prezzo.
A differenza del nostro ordinamento, in cui vige il principio consensualistico, in forza del quale il diritto
reale viene costituito o trasferito con il raggiungimento dell’accordo contrattuale, secondo il diritto cinese
il trasferimento della proprietà si realizza con la consegna del bene venduto, eccetto nei casi stabiliti
dalla legge o dalle parti (art. 133). Le parti, inoltre, possono accordarsi nel senso che la titolarità sul
bene resti in capo al venditore fino al pagamento del prezzo (art. 134, rubricato “vendita condizionata”).
Il rischio per il danneggiamento o la perdita della cosa passa al compratore nel momento della consegna
(art. 142).
Nel caso in cui la vendita coinvolga proprietà intellettuali che afferiscono all’oggetto trasferito, il
compratore non acquista i diritti predetti (art. 137).
L’art. 148 prevede che il compratore possa rifiutare il bene oggetto del contratto o chiedere la risoluzione
del contratto, nel caso in cui il bene non presenti le qualità promesse.
Oltre alle norme contenute nella legge sui contratti circa la garanzia per mancanza delle qualità dovute,
il legislatore cinese ha emanato, l’8 luglio 2000, un’apposita legge – la legge sulla qualità dei prodotti
- concernente la responsabilità da prodotto. Tale legge detta, innanzitutto, i requisiti che i prodotti
commerciati devono possedere: (i) non devono essere pericolosi per l’incolumità fisica, (ii) devono essere
idonei all’uso cui sono destinati, (iii) devono essere conformi agli standard indicati nel relativo imballaggio
o nella descrizione del prodotto o comunque ricavabili dai campioni. La normativa specifica anche le
caratteristiche che devono possedere etichettatura e imballaggio, vale a dire (i) deve essere menzionato
il certificato d’ispezione sulla qualità dei prodotti, (ii) devono essere indicati - in cinese - il nome del
prodotto e il nome e l’indirizzo del produttore, (iii) in base al tipo di prodotto di cui si tratta, potrebbero
dover essere menzionate le caratteristiche e le relative modalità di utilizzo, nonché la posologia dei
principali componenti, (iv) devono essere indicate la data di produzione, di utilizzo e di scadenza.
Per l’inosservanza degli obblighi predetti e per ogni difetto del prodotto, responsabile diretto verso il
consumatore è il venditore, il quale dovrà provvedere a riparare, sostituire o ritirare il prodotto stesso,
nonché risarcire il compratore dei danni eventualmente subiti. Il venditore, in seguito, potrà agire in
rivalsa contro il produttore. Nel caso di danni alle persone, il consumatore può rivolgersi tanto al
venditore quanto al produttore. Il soggetto leso deve far valere i propri diritti entro due anni da quando
ha avuto conoscenza o avrebbe dovuto aver conoscenza della lesione subita.
Al pari di quanto stabilito dalle nostre norme sull’evizione, il venditore, secondo l’art. 150, è tenuto a
tenere sollevato il compratore da ogni pretesa che un terzo estraneo al contratto possa vantare riguardo
al bene oggetto del contratto, salvo diversa prescrizione di legge. Tale obbligo non è dovuto nel caso
in cui il compratore, al momento della conclusione del contratto, sapeva o avrebbe dovuto sapere,
secondo l’ordinaria diligenza, che la cosa venduta avrebbe potuto essere oggetto di pretese da parte di
terzi (art. 151).
• Tutela del consumatore
La tutela del consumatore nel diritto cinese trova la propria fonte di disciplina nella legge sulla protezione
dei diritti e degli interessi del consumatore adottata il 31 ottobre 1993. Gli intenti che la legge si prefissa
e che enuncia all’art. 1 sono proprio quelli di tutelare i diritti e gli interessi del consumatore, di mantenere
l’ordine socio-economico e di promuovere il sano sviluppo dell’economia di mercato socialista.
A tale fine, la legge del 1993 riconosce in capo al consumatore un diritto alla sicurezza, tanto personale,
quanto della sua proprietà (art. 7), diritto che non deve essere violato nello svolgimento dei traffici
59
commerciali. In capo al consumatore vi è anche il diritto alla corretta informazione su quanto compra,
utilizza o riceve (art. 8). In capo al venditore sono fissati obblighi (artt. 16 e ss.) volti a soddisfare i
predetti diritti del consumatore, vale a dire, dunque, obblighi di correttezza che si traducono nell’assicurare
l’integrità personale e materiale del consumatore, nel fornire le precise informazioni richieste, e così
via. Inoltre, i venditori non possono fornire informazioni fuorvianti sui prodotti o fare falsa propaganda
(art. 19).
In ogni caso, i rapporti contrattuali tra imprenditore e consumatore devono senz’altro attenersi alle
disposizioni di legge e dei regolamenti (art. 16).
Il capitolo 5 della legge del 1993 è dedicato alle organizzazioni dei consumatori, le cui funzioni sono
così individuate (art. 32):
1) fornire al consumatore informazioni e servizi di consultazione;
2) assistere le amministrazioni competenti nella supervisione e nel controllo dei prodotti e dei servizi
sul mercato;
3) informare le stesse amministrazioni circa i problemi concernenti gli interessi e diritti legittimi dei
consumatori, controllare le amministrazioni stesse nell’adempimento dei loro compiti e dare loro
suggerimenti sui problemi dei consumatori;
4) ricevere le proteste e le lamentele dei consumatori e condurre indagini o eventuali mediazioni riguardo
le lamentele sollevate;
5) verificare la fondatezza della richiesta, se le lamentele concernono la qualità dei prodotti o dei servizi;
6) affiancare i consumatori danneggiati negli interessi e diritti legittimi nel corso del procedimento
legale intrapreso contro il produttore;
7) esporre e criticare, attraverso i mass media, gli atti lesivi dei diritti dei consumatori.
Alle associazioni dei consumatori non è permesso partecipare ad operazioni commerciali, né trarre profitto
dalla prestazione dei propri servizi, né commercializzare il prodotto di una determinata azienda (art.
33).
2.7. La compravendita di azienda
Negli ultimi anni è stata emanata una serie di nuove leggi per la regolamentazione dell’acquisto di
imprese private, imprese statali e di società.
L’ultimo sviluppo di questa nuova disciplina positiva deriva dall’emanazione delle disposizioni transitorie
sull’acquisizione di imprese nazionali da parte di investitori stranieri (“Interim Provisions”), emanate
dal Ministero del commercio estero e della cooperazione economica (MOFTEC), dall’Agenzia Statale
delle imposte (SAT), dall’ASIC e dall’Amministrazione statale per lo scambio straniero (SAFE). In
vigore dal 12 aprile 2003, le Interim Provisions completano l’aspetto mancante nella disciplina contenuta
nella previgente legislazione sulle fusioni e acquisizioni, dettando chiare disposizioni circa l’acquisto
di azioni e l’acquisto di azienda di società locali da parte di investitori stranieri.
Le Interim Provisions, tra i veri aspetti meritevoli che presentano, hanno anche quello di dettare norme
di particolare interesse sull’acquisizione di azienda.
• E’ il primo complesso di disposizioni, innanzitutto, che afferma chiaramente la necessità, per
un’acquisizione d’azienda, dell’approvazione espressa delle autorità cinesi. Infatti, le Interim Provisions
prevedono una lunga lista di documenti che devono essere esaminati e approvati dalle commissioni
ministeriali. Tali documenti, redatti obbligatoriamente in cinese, sono, in particolare, la risoluzione
del proprietario dell’azienda in senso favorevole all’acquisizione o, comunque, dell’organo autorizzato
ad approvare la cessione. Deve essere, poi, prodotta la documentazione che provi l’avviso ai creditori,
60
•
•
•
•
•
•
il piano di assestamento dei dipendenti ed ogni nuovo eventuale accordo sulle assunzioni di responsabilità.
L’esito dell’esame dovrebbe essere comunicato entro 30 giorni dal ricevimento di tutta la comunicazione
predetta.
In aggiunta, inoltre, alla forma tradizionale di cessione di azienda tramite l’acquisto della stessa per
mezzo di una FIE precedentemente costituita, è ora possibile strutturare l’acquisizione come acquisto
delle attività della società target che vengono poi fatte confluire quale conferimento di capitale in una
FIE.
Vincolante è la prescrizione che impone l’obbligo di notifica ai creditori dell’acquisizione di azienda.
I creditori dell’azienda ceduta devono essere avvertiti anteriormente alla vendita per mezzo di notifica
diretta e tramite pubblicazione su un giornale nazionale o provinciale. I creditori possono chiedere,
nel termine di 10 giorni dal ricevimento della notifica o dalla pubblicazione, garanzia alla società
ceduta che i loro crediti verranno adempiuti. Nel caso in cui non si riesca a concordare una garanzia
con l’approvazione dei creditori, questa sarà dovuta per i crediti che devono obbligatoriamente essere
adempiuti prima che l’accordo di cessione venga concluso.
Il prezzo di acquisto deve essere determinato in base ad una valutazione di stima della azienda,
approvata da entrambe le parti, e non può essere notevolmente inferiore al prezzo che emerge dalla
valutazione.
L’acquirente deve generalmente corrispondere l’intero prezzo d’acquisto entro un termine tra i tre e
i sei mesi dalla concessione della licenza d’affari della FIE. Il predetto termine finale può essere
prorogato, in casi particolari e previa approvazione delle autorità governative, di un anno.
La legge applicabile all’operazione di acquisizione è comunque quella cinese, mentre, sotto la
previgente normativa, era possibile rifarsi ad una legge straniera, se il compratore era straniero. Tale
inderogabile prescrizione sulla legge applicabile rappresenta un’eccezione alla legge sui contratti del
1999, che stabilisce che nel caso di contratto in cui una parte sia straniera, le parti possono scegliere
la legge applicabile.
Alle autorità cinesi sono riconosciuti poteri di tutela antitrust per reprimere le transazioni che portino
ad eccessive concentrazioni sul mercato o a concorrenze scorrette, violino gli interessi dei consumatori
o danneggino in altro modo lo Stato. Le Interim Provisions sanciscono un obbligo di notificazione
alle Commissioni ministeriali circa certe circostanze del mercato di particolare rilievo, circostanze
misurate sul giro d’affari e sulle quote di mercato della società acquisita, nonché il numero di imprese
operanti in importanti settori in Cina. Capire esattamente quali siano gli investitori che devono dare
applicazione alla normativa antitrust risulta difficile per via della mancanza di esatte definizioni di
termini quali “market share” o “relevant industries”. Si opta, di solito, per ritenere che la normativa
anti-trust debba essere osservata dalle “large companies” (grandi società), ovviamente tali in riferimento
al mercato cinese.
Nella cessione d’azienda nel diritto cinese, l’acquirente può evitare di succedere nei rapporti lavorativi
o nella titolarità passiva delle obbligazioni dovute a titolo previdenziale, nonostante nel vigore della
nuova legge sia prescritta la redazione di un “piano di assestamento” dell’impiego da inserire nell’atto
di trasferimento, il quale deve essere rivisto dall’autorità governativa.
Se l’oggetto dell’acquisizione è soltanto l’azienda - e non l’intero capitale azionario - i lavoratori non
sono trasferiti automaticamente dal venditore all’acquirente. Il venditore, infatti, deve porre fine ai
contratti di lavoro in corso e l’acquirente, se vuole, può offrire nuovi contratti ai lavoratori. In Cina il
lavoratore può rifiutare la proposta dell’acquirente, ma - diversamente dalla legislazione di Hong Kong,
in cui si afferma che tale rifiuto non possa essere irragionevole - non vi è alcuna specificazione sulle
condizioni sotto le quali il rifiuto è legittimo. Al lavoratore spetta un mese di preavviso e la corresponsione
di una somma di denaro pari alla retribuzione per un numero di mesi pari agli anni in cui ha lavorato
presso quella azienda, fino ad un massimo di 12. Molte società in Cina, le quali offrano ai vecchi impiegati
nuovi contratti a condizioni egualmente favorevoli, richiedono che il lavoratore firmi una lettera di rinuncia
61
ad esercitare i propri diritti discendenti dal rapporto pregresso, sebbene non sia chiaro quanto questa
rinuncia possa essere coattivamente fatta valere nella PRC.
2.8. Il leasing
Le norme sul leasing (locazione finanziaria) contenute nella nuova legge sui contratti sono le prime nel
sistema legale cinese, in quanto prima del 1999 tale contratto non era disciplinato dalla legge.
Le nuove disposizioni forniscono informazioni sulle figure del locatore, del conduttore, del venditore;
viene, inoltre, confermato che il titolo può passare dal locatore al locatario al termine del contratto. In
aggiunta, le parti possono concludere un accordo in cui specificano chi è titolare del diritto di proprietà
sul bene al momento dell’estinzione del contratto. Nel caso in cui le parti non facciano tale specificazione,
la proprietà resterà in capo al locatore.
Se le parti si accordano nel senso che la proprietà locata si trasferisca al locatario, ma questi non adempie
al pagamento di una rata, il locatore può risolvere il contratto e riprendersi il bene locato. In ogni caso
il conduttore può esigere che gli venga rifuso almeno in parte quanto pagato per la locazione, nel caso
in cui il valore del bene in locazione riottenuto dal locatore sia maggiore dell’ammontare dei canoni
non pagati.
2.9. Contratti tecnologici
Per quanto concerne i contratti in ambito tecnologico, la nuova legge sui contratti, mentre non prescrive
il requisito della forma scritta per i contratti che riguardano la consulenza tecnologica e i servizi
tecnologici, la prescrive per quelli aventi ad oggetto lo sviluppo e il trasferimento tecnologico.
La nuova legge sancisce, inoltre, per i contratti tecnologici di importazione conclusi tra società cinesi,
la necessità della approvazione governativa e un obbligo di durata non superiore ai 10 anni. Di conseguenza,
sebbene la nuova legge tratti in maniera sostanzialmente uguale i contratti di diritto interno e quelli di
diritto internazionale, ci sono delle ipotesi eccezionali in cui le differenze di disciplina permangono.
3. I DIRITTI DI PROPRIETA’ INDUSTRIALE
3.1. Introduzione
La Cina è stata oggetto di dure critiche negli ultimi vent’anni in relazione sia alla scarsa protezione
accordata dall’ordinamento giuridico ai diritti di proprietà intellettuale sia alla insufficiente attuazione
delle norme legislative e regolamentari già presenti in tale materia.
Di recente, nell’ordinamento giuridico della Repubblica Popolare Cinese si è assistito ad un notevole
progresso nello sviluppo degli strumenti di tutela della proprietà intellettuale.
Se infatti la Cina era già parte dei principali trattati internazionali in materia di marchi e brevetti
(Convenzione di Parigi per la protezione della proprietà industriale, Accordo di Madrid relativo alla
registrazione dei marchi, Protocollo annesso all’accordo di Madrid, Convenzione di Berna sulla protezione
delle opere artistiche e musicali, Convenzione Universale del diritto d’autore, Convenzione di Ginevra
sui fonogrammi, Trattato di Cooperazione in materia di brevetti, Trattato sui marchi), dal 1996 al 2001
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la Repubblica Popolare Cinese si è allineata con gli Stati del mondo occidentale sottoscrivendo la
Convenzione istitutiva dell’Organizzazione Mondiale della Proprietà Intellettuale (OMPI) e il “Trattato
TRIPS” della proprietà intellettuale.
L’adesione ai menzionati trattati internazionali ha portato a numerose modifiche dei provvedimenti
legislativi interni in materia di proprietà industriale nella direzione di una tutela immediata ed efficace
nei confronti dei diritti di marchio e di brevetto.
E’ necessario tuttavia osservare che, nonostante l’impianto normativo vigente sia oggi ispirato agli
elevati standard occidentali, il substrato culturale (in cui l’imitazione dei prodotti è un fenomeno accettato
e di larga diffusione) e la difficile attuazione dei rimedi previsti dalla legge (dovuta anche all’assenza
di tribunali specializzati), rende comunque la protezione dei diritti di proprietà intellettuale una questione
da considerare attentamente.
In ogni caso, al fine di scongiurare, per quanto possibile, il rischio di contraffazione, è consigliata la
registrazione dei propri segni distintivi e delle proprie risorse tecnologiche brevettabili. La nuova
normativa dei diritti di proprietà intellettuale registrati permette, tra le altre cose, di adire le autorità
amministrative e giudiziarie competenti che hanno facoltà di emettere provvedimenti cautelari immediati.
3.2. Marchi
La disciplina dei marchi nella Repubblica Popolare Cinese è contenuta nella legge del 23 agosto 1982,
modificata il 22 febbraio 1993 e il 27 ottobre 2001 (di seguito indicata come “Legge Marchi”) e nei
Regolamenti di attuazione della stessa. La Legge Marchi è stata recentemente modificata in adempimento
al Trattato TRIPS.
I recenti interventi legislativi hanno introdotto il concetto di marchio collettivo e marchio certificativo,
la tutela del marchio celebre, la possibilità di registrare marchi di colore e marchi tridimensionali, il
divieto di utilizzare simboli pubblici e ufficiali, la possibilità di rivendicare una priorità derivante da
un marchio depositato all’estero.
Lo scopo della legge è, come da preambolo della legge stessa, quello di migliorare l’amministrazione
dei marchi, la protezione dei diritti di esclusiva, lo stimolo ai produttori verso il miglioramento della
qualità dei propri prodotti, la protezione degli interessi dei consumatori, dei produttori e lo sviluppo
dell’economia di mercato socialista.
Dopo l’approvazione della Legge Marchi si sono susseguiti numerosi atti legislativi e regolamentari
aventi lo scopo di dare attuazione alle disposizioni della Legge Marchi e di disciplinare aspetti specifici
della procedura di registrazione e della tutela dei diritti conferiti al titolare di un marchio registrato.
L’autorità competente per la registrazione dei marchi nella Repubblica Popolare Cinese è l’Ufficio
Marchi dell’Amministrazione Statale per l’Industria ed il Commercio (di seguito “Ufficio Marchi”).
Ogni persona fisica o giuridica, che intenda acquisire il diritto esclusivo di utilizzare un marchio per i
beni dalla stessa prodotti, lavorati, selezionati, promossi o distribuiti, ha facoltà di chiedere la registrazione
del marchio avanti l’Ufficio Marchi.
Alcuni tipi di prodotti (quali i prodotti farmaceutici o i prodotti derivati dal tabacco) devono obbligatoriamente
essere contrassegnati con marchi registrati. Nel caso in cui non sia stata presentata domanda di
registrazione, tali beni non possono essere commercializzati.
63
La classificazione dei marchi nel diritto cinese è conforme alla classificazione adottata in Italia in
considerazione del fatto che entrambi i Paesi hanno ratificato la convenzione internazionale di Nizza
sulla classificazione dei marchi.
3.2.1. Procedura di registrazione
L’ordinamento cinese ha adottato un sistema di registrazione simile a quello vigente in Italia e nella
maggior parte dei paesi firmatari delle convenzioni internazionali. Il principio fondamentale è quello
della retroattività della registrazione alla data del deposito della domanda.
Le procedure di registrazione sono svolte mediante il ministero di un consulente di proprietà industriale
autorizzato e iscritto all’apposito albo.
La domanda di registrazione deve essere formulata in lingua cinese e i documenti allegati devono essere
tradotti a pena di irricevibilità. La riproduzione del marchio, che deve essere allegata alla domanda,
deve essere chiara e in 5 copie. Se il marchio è in lingua straniera dovrà esserne indicato anche il significato.
Al riguardo, va osservato che, sebbene la normativa non richieda che il marchio sia depositato con la
relativa traduzione in caratteri cinesi, tuttavia tale precauzione risulta assolutamente consigliabile: infatti,
i consumatori cinesi, di fronte ad un marchio in lingua straniera tendono ad associarlo, in base alla sua
fonetica, ad un corrispondente marchio a caratteri cinesi. Se quindi tale marchio a caratteri cinesi non
sia stato registrato dallo stesso titolare del marchio in caratteri occidentali, un concorrente potrebbe
legittimamente servirsene.
La domanda di registrazione deve contenere l’indicazione della classe internazionale di prodotto e la
designazione (descrizione) dei prodotti per i quali la registrazione viene richiesta. Il richiedente è tenuto
a depositare una diversa domanda per ogni classe di prodotti.
Ogni modifica riguardante il marchio o il titolare della registrazione deve essere comunicata all’Ufficio
Marchi e deve essere oggetto di una specifica domanda.
Al consulente di proprietà industriale deve essere rilasciata una procura che indica i poteri e lo scopo
dell’incarico nonché la nazionalità del mandante.
• Esame della domanda e opposizione
Una volta depositata, la domanda viene esaminata dall’Ufficio Marchi e, qualora possieda i necessari
requisiti, viene preliminarmente approvata e pubblicata.
Nel caso in cui la domanda non sia conforme ai requisiti richiesti, o il marchio in essa contenuto sia
simile o identico ad altri marchi registrati o approvati preliminarmente, essa viene rigettata ed il marchio
non viene pubblicato.
Del rigetto della domanda viene data notizia al richiedente mediante notifica. Il richiedente ha facoltà
di impugnare il provvedimento di rigetto avanti la Camera di Ricorso costituita in seno all’Ufficio
Marchi, entro 15 giorni dal ricevimento della notifica.
La decisione della Camera di Ricorso può essere impugnata avanti l’autorità giudiziaria ordinaria entro
30 giorni dalla notifica del provvedimento. L’impugnabilità delle decisioni della Camera di Ricorso è
stata introdotta nel 2001.
64
• Principio della data di deposito della domanda
In caso di conflitto tra due domande depositate per lo stesso marchio o per marchi simili, prevale la
domanda che è stata depositata prima. Nel caso in cui le domande simili o identiche siano state depositate
nello stesso giorno, prevale la domanda relativa al marchio che sia stato utilizzato per primo. Nel caso
in cui nessuno dei due richiedenti abbia utilizzato il marchio in precedenza, si cerca di raggiungere una
soluzione amichevole. In mancanza il diritto di registrazione viene estratto a sorte (articolo 19 del
Regolamento di attuazione del 3 agosto 2002).
• Opposizione
Entro tre mesi dalla data della pubblicazione, ciascun interessato può presentare opposizione avanti
l’Ufficio Marchi. In mancanza di opposizione entro il termine di tre mesi, la domanda viene definitivamente
approvata, viene emesso il certificato di registrazione ed il marchio è pubblicato.
Con la domanda di opposizione l’opponente deve indicare il numero del Bollettino Ufficiale in cui è
stato pubblicato il marchio e il numero del provvedimento di approvazione preliminare. L’opposto deve
replicare entro 30 giorni. La mancata replica tuttavia non produce alcun effetto a pregiudizio dell’opposto.
L’Ufficio Marchi, dopo eventuale istruttoria, emette una decisione che può essere impugnata dalla parte
soccombente entro 15 giorni dalla notifica avanti la Camera di Ricorso. I provvedimenti della Camera
di Ricorso possono essere impugnati nel termine di 30 giorni avanti l’autorità giudiziaria ordinaria.
Il marchio che viene riconfermato dopo l’opposizione deve essere pubblicato nuovamente.
• Diritti di priorità
In alternativa alla registrazione di un marchio c.d. “domestico” o “nazionale”, chiunque sia già titolare
di un marchio registrato avanti un’autorità di altra giurisdizione (ad esempio in Italia) può, in virtù della
Convenzione di Madrid del 1989, chiederne l’estensione alla Repubblica Popolare Cinese.
L’accordo di Madrid permette infatti di ottenere protezione per il proprio marchio in vari Paesi, mediante
il deposito di un’unica domanda.
Per i cittadini italiani la domanda di registrazione di un c.d. “marchio internazionale” deve essere
presentata all’Organizzazione Mondiale della Proprietà Intellettuale di Ginevra, tramite l’Ufficio Italiano
Brevetti e Marchi.
Si noti tuttavia che l’estensione internazionale di un marchio italiano segue le sorti del marchio originario
e dunque in ipotesi di annullamento o scadenza del marchio italiano, verrebbe ad essere annullata e
cancellata anche la relativa estensione cinese. In pratica il marchio internazionale è un’estensione del
marchio nazionale e diventa indipendente da quest’ultimo solo dopo 5 anni.
Ai sensi dell’art. 24 Legge Marchi, chiunque abbia depositato una domanda di registrazione di marchio
avanti l’ufficio marchi e brevetti di un altro Stato (che abbia sottoscritto un trattato bilaterale o sia parte
di un trattato internazionale di cui sia parte anche la Repubblica Popolare Cinese) ha facoltà di chiedere
che gli effetti della registrazione del marchio in Cina decorrano dalla data di deposito della domanda
avanti il diverso Stato straniero.
La possibilità di far valere tale diritto di priorità è subordinata alla circostanza che il richiedente abbia
effettuato la successiva domanda di registrazione del marchio in Cina entro sei mesi dalla data del deposito
della domanda nel diverso Stato straniero.
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La priorità deve essere richiesta, a pena di decadenza, con specifica dichiarazione nel momento del
deposito della domanda avanti l’Ufficio Marchi cinese e deve essere accompagnata dai documenti
comprovanti il diritto di priorità (che devono essere peraltro certificati dalla competente autorità).
Un corrispondente diritto di priorità è previsto a favore di chi abbia utilizzato i prodotti contrassegnandoli
con il marchio presso una fiera internazionale sponsorizzata o riconosciuta dal Governo cinese. In tale
caso i documenti comprovanti la priorità devono essere certificati dal dipartimento locale dell’ASIC.
La priorità può essere richiesta qualora la domanda di registrazione del marchio sia depositata entro
sei mesi dalla data della fiera.
• Formalità di registrazione per gli stranieri
Le persone fisiche e giuridiche straniere debbono presentare domanda di registrazione del marchio ai
sensi di un trattato bilaterale tra il proprio stato di domicilio/sede sociale e la Cina ovvero ai sensi di
un trattato internazionale di cui entrambi i paesi siano parte e, in ogni caso, qualora sia rispettato il
principio di reciprocità (qualora dunque lo stato di provenienza del richiedente preveda un simile
trattamento per le domande dei cittadini cinesi e delle società cinesi).
• Contitolarità
Ai sensi dell’articolo 5 della Legge Marchi, qualora due o più persone depositino congiuntamente la
stessa domanda di marchio, esse divengono contitolari del diritto di esclusiva sul segno distintivo
registrato.
3.2.2. Segni suscettibili di essere registrati come marchi
Ai sensi dell’articolo 3 della Legge Marchi, l’ordinamento cinese prevede tre tipi di marchio:
1) il marchio di fabbrica;
2) il marchio di servizi;
3) il marchio di origine geografica.
Un requisito fondamentale per la registrazione di un marchio è il carattere distintivo. Secondo il
disposto dell’art. 8 Legge Marchi, qualsiasi segno purché sia visivamente percepibile (comprese le
parole, i disegni, le lettere dell’alfabeto, i numeri, i simboli tridimensionali e le combinazioni di colori)
può essere registrato come marchio.
Alcune specifiche classi di segni distintivi ed i nomi generici non possono essere registrati od utilizzati.
In particolare non possono essere registrati:
a) i segni distintivi identici o simili alla denominazione dello Stato, alla bandiera nazionale, a simboli
nazionali, alle bandiere militari, alle denominazioni dei luoghi dove sono situate le amministrazioni
centrali e alle altre decorazioni della Repubblica Popolare Cinese;
b) i segni distintivi identici o simili a denominazioni, bandiere, simboli nazionali, bandiere militari di
Stati stranieri o di organizzazioni internazionali (ad esempio, la Croce Rossa), salvo che le amministrazioni
di tali Stati o organizzazioni non acconsentano;
c) i segni distintivi discriminatori;
d) i segni distintivi che esagerino le qualità dei beni o ingannino i consumatori;
e) i segni distintivi che pregiudichino la moralità socialista o che abbiano altre influenze negative sulla
popolazione.
Le indicazioni di provenienza geografica quali le province ovvero le indicazioni di provenienza geografica
straniere, conosciute dal pubblico dei consumatori, non possono essere utilizzate come marchi. Tali
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denominazioni possono essere utilizzate come marchi qualora abbiano altri significati, o qualora siano
parte di un marchio collettivo o certificativo (par. 3.2.6.).
Inoltre, ai sensi dell’art. 11 Legge Marchi, non possono essere registrati come marchi i seguenti segni
distintivi:
a) i segni costituiti esclusivamente da nomi generici, o i segni che rappresentano il prodotto in relazione
al quale sono utilizzati;
b) i segni aventi un riferimento diretto alla qualità, alla materia prima, alla funzione, all’utilizzo, al
peso, quantità o ad altre caratteristiche dei beni in relazione ai quali i marchi sono utilizzati;
c) i marchi privi di carattere distintivo.
I segni c.d. “generici” di cui al citato art. 11, tuttavia, possono acquisire con il tempo potere distintivo
e pertanto, una volta data la prova di ciò, possono essere utilizzati e registrati come marchi. La possibilità
di ottenere la registrazione del c.d. marchio generico che abbia ottenuto il carattere distintivo è stata
introdotta con l’ultima modifica della Legge Marchi nel 2001.
Si noti tuttavia che il titolare di un marchio c.d. generico non può vietare agli altri utenti l’utilizzo
dell’espressione generica contenuta nel marchio stesso.
La forma del bene richiesta dalle caratteristiche tecniche del prodotto stesso non può essere registrata
come marchio tridimensionale.
Non possono inoltre essere registrati i segni distintivi che costituiscano una mera riproduzione, imitazione,
traduzione di un marchio già registrato sia in Cina che all’estero e tale da produrre confusione nel pubblico
dei consumatori.
Non possono infine essere registrati come marchi, i segni distintivi identici o simili al c.d. marchio
celebre, quale che sia la classe di prodotti per cui il marchio è stato registrato. Si noti infatti che la
tutela del marchio celebre si estende a prodotti anche diversi da quelli per cui un marchio celebre è
stato registrato.
3.2.3. Diritti del titolare del marchio
Il titolare di un marchio registrato ha facoltà di utilizzare l’espressione “marchio registrato” o di utilizzare
il relativo simbolo ® o la sigla TM.
Secondo un principio accolto dal diritto cinese, il titolare del marchio è titolare esclusivo del diritto di
utilizzare il marchio, ma è altresì responsabile della qualità dei prodotti contrassegnati con tale marchio.
Ai sensi dell’articolo 7, infatti, le autorità amministrative hanno il potere di interrompere qualsiasi
attività che possa produrre confusione nei consumatori.
3.2.4. Durata, rinnovo, cessione e licenza
La durata ed il rinnovo della registrazione, la cessione e la licenza del marchio sono disciplinati dalla
Legge Marchi agli articoli 37 e seguenti.
La durata della protezione concessa al titolare di un marchio registrato è di anni 10, rinnovabile per un
periodo ulteriore di 10 anni. Qualora il titolare del marchio intenda rinnovare la registrazione, deve
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farne espressa richiesta all’Ufficio Marchi almeno sei mesi prima della scadenza. In mancanza, l’articolo
38 della Legge Marchi concede al titolare un ulteriore periodo c.d. “di grazia” di sei mesi nei quali il
titolare ha facoltà di chiedere il rinnovo della registrazione. In caso di mancata richiesta di rinnovo entro
tale termine supplementare, il marchio si intenderà cancellato.
I titolari di un marchio registrato possono concedere l’utilizzo del marchio a terzi mediante accordo di
licenza e possono definitivamente cedere i propri diritti sul marchio con atto di cessione.
La cessione del marchio viene effettuata tramite contratto. Le parti contraenti di un contratto di cessione
di marchio debbono, ai sensi dell’articolo 39 della Legge Marchi, depositare domanda congiunta di
registrazione della cessione avanti l’Ufficio Marchi.
Il cessionario è obbligato a garantire la qualità dei beni contrassegnati con il marchio.
Il titolare di un marchio registrato ha facoltà di cedere a terzi in licenza, mediante contratto, il diritto
di utilizzare il marchio.
La Circolare Interpretativa della Corte Suprema del 12 Ottobre 2002 prevede tre tipi di licenza:
• Licenza Unica (Sole license). E’ concesso al licenziatario il diritto esclusivo di utilizzare il marchio
per un periodo limitato di tempo e in una zona specifica. In tale tipologia contrattuale, il titolare del
marchio non ha facoltà di utilizzare il marchio nel periodo e nella zona oggetto della licenza.
• Licenza Esclusiva (Exclusive license). E’ concesso al licenziatario il diritto esclusivo di utilizzare
il marchio per un periodo limitato di tempo e in una zona specifica. In questo caso, il titolare ha
facoltà di utilizzare il marchio nel periodo e nella zona oggetto della licenza.
• Licenza Generale (General license). E’ concesso al licenziatario il diritto non esclusivo di utilizzare
il marchio per un periodo limitato di tempo e in una zona specifica. In tale tipologia contrattuale, il
titolare del marchio ha facoltà di utilizzare il marchio e di concederlo in uso ad altri licenziatari.
Il licenziante, successivamente alla stipulazione del contratto di licenza, è obbligato a monitorare e
controllare la qualità dei beni contrassegnati con il marchio; il licenziatario deve apporre il proprio
nome o denominazione sociale sui prodotti e deve indicare l’origine dei beni.
Il contratto di licenza deve essere depositato presso l’Ufficio Marchi per la registrazione.
Si noti che la mancata registrazione della licenza o della cessione impediscono al licenziatario o al
cessionario di far valere i propri diritti di esclusiva sul marchio nei confronti di terzi. Il cessionario ed
il licenziatario godono infatti dei diritti di esclusiva sul marchio solamente a partire dalla data di
pubblicazione della cessione/licenza.
3.2.5. Marchi celebri e marchi di fatto
Conformemente a quanto stabilito nel Trattato TRIPS, la Legge Marchi contiene disposizioni specifiche
a tutela dei c.d. marchi celebri. Il marchio celebre, oltre ad essere disciplinato dalla Legge Marchi, è
disciplinato altresì dal Decreto Ministeriale dell’ASIC del 17 aprile 2003.
Il marchio è definito celebre quando è molto noto tra il pubblico dei consumatori e gode di elevato
prestigio.
Il marchio celebre, qualora sia registrato e ne sia stata riconosciuta, su specifica istanza, la qualificazione,
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viene protetto contro atti di contraffazione con riferimento anche a beni e prodotti di natura diversa
da quelli per cui il marchio è stato registrato.
Uno specifico marchio può essere considerato celebre sulla base dei seguenti criteri:
• reputazione presso il pubblico specializzato;
• periodo di utilizzo del marchio;
• periodo consecutivo, estensione e area geografica di promozione e pubblicizzazione del marchio;
• eventuali precedenti giudiziari e amministrativi, anche all’estero, in cui il marchio è stato protetto
come celebre;
• altri criteri relativi alla reputazione del marchio.
La domanda di accertamento della qualificazione del marchio come “celebre” può essere sollevata dal
titolare del marchio anche incidentalmente durante una controversia avanti la Camera di Ricorso.
Il marchio di fatto (non registrato) nella Repubblica Popolare Cinese gode di una limitata protezione
nell’ambito delle norme dettate in materia di concorrenza sleale e della Convenzione di Parigi.
3.2.6. Marchio collettivo e certificativo
Per effetto della ratifica del Trattato TRIPS da parte della Repubblica Popolare Cinese, i marchi collettivi,
come pure i marchi di origine geografica, sono tutelati specificamente nella Legge Marchi.
Ai sensi dell’articolo 3 della Legge Marchi, il marchio collettivo è registrato in nome e per conto di
enti, organizzazioni, associazioni ed è utilizzato dai membri di tali enti, associazioni o organizzazioni
per la propria attività commerciale e per indicare l’appartenenza a tale gruppo collettivo.
Secondo la stessa disposizione, il marchio certificativo è un segno distintivo, controllato e verificato
da organizzazioni di supervisione di alcuni tipi di beni o servizi, destinato ad essere utilizzato da soggetti
estranei all’organizzazione stessa per certificare l’origine, la materia prima, la tecnica di produzione,
la qualità o altre caratteristiche dei propri beni o servizi.
Secondo il Regolamento di attuazione della Legge Marchi, una denominazione di origine geografica
può essere registrata come “marchio certificativo” o come “marchio collettivo”. La denominazione di
origine geografica è quel segno distintivo che evidenzia la provenienza geografica del prodotto, nonché
la specifica qualità, la reputazione e altre caratteristiche dello stesso prodotto.
Nel caso del marchio certificativo, qualsiasi operatore economico i cui beni rispettino le indicazioni
dell’ente di certificazione ha facoltà di chiedere a tale ente di poter utilizzare tale marchio. Qualora
l’operatore possegga i requisiti, l’ente di certificazione ha l’obbligo di concedere il diritto di utilizzo.
Nel caso del marchio collettivo, invece, l’operatore economico, i cui beni rispettino le indicazioni
dell’associazione titolare del marchio, ha facoltà di chiedere all’associazione di divenire membro della
stessa. Nel caso in cui l’operatore possegga i requisiti richiesti, l’associazione ha l’obbligo di ammettere
l’operatore quale membro.
Anche a prescindere da una specifica richiesta di divenire membro dell’associazione che possiede il
marchio collettivo, quest’ultima è obbligata a concedere il diritto di utilizzare tale marchio a chiunque,
in possesso dei requisiti, ne richieda l’utilizzo.
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3.2.7. Nullità e annullamento del marchio
Un marchio registrato può essere annullato per diversi motivi tra cui il mancato utilizzo per un periodo
di tre anni consecutivi, il mancato carattere distintivo, la registrazione in malafede.
La cancellazione del marchio per carenza del carattere distintivo può essere effettuata d’ufficio ovvero
su istanza di parte.
La cancellazione del marchio per carenza di novità può essere fatta valere dai titolari di marchi identici
o simili o da qualsiasi parte che ne abbia interesse, entro cinque anni dalla data della registrazione del
marchio nullo.
Il termine di prescrizione dell’azione per far valere la nullità non opera in relazione alla domanda di
nullità del marchio fatta valere dal titolare di un marchio celebre nei confronti di una registrazione del
marchio effettuata in malafede.
Si noti che l’Ufficio Marchi non può approvare la registrazione di un marchio simile o identico ad un
marchio annullato o non rinnovato, se non dopo un anno dal provvedimento di cancellazione del marchio.
In caso di azione di nullità per non uso, al titolare del marchio è concesso un termine di due mesi per
provare che il marchio è stato utilizzato.
3.2.8. Abuso del diritto
La Legge Marchi sanziona come abuso del diritto alcuni comportamenti tenuti dai titolari di un marchio
registrato, tra cui:
a) modifica unilaterale del marchio registrato (cioè modifica del marchio senza la necessaria registrazione
della modifica);
b) modifica unilaterale del nome, indirizzo o altri dettagli del titolare (cioè modifica dei dettagli del
titolare senza la necessaria domanda all’Ufficio Marchi);
c) cessione unilaterale del marchio (cioè cessione senza la necessaria approvazione);
d) non uso per un periodo consecutivo di tre anni.
L’ordinamento prevede alcuni rimedi per i casi di abuso sopramenzionati (dalla rettifica coattiva fino
all’annullamento e cancellazione del marchio).
Si noti che, come accennato, il diritto cinese contiene alcune disposizioni peculiari a tutela della qualità
dei beni contrassegnati con un marchio registrato. La registrazione del marchio da parte delle autorità
porta con sé dunque una sorta di certificazione di qualità, che nell’ordinamento italiano non esiste. Ai
sensi dell’art. 45 Legge Marchi infatti, nel caso in cui la qualità dei beni contrassegnati con il marchio
sia peggiorata, le autorità amministrative hanno facoltà di ordinare al titolare il ripristino del livello di
qualità precedente entro uno specifico termine, ovvero far circolare una nota di demerito ovvero imporre
una sanzione amministrativa e finanche annullare il marchio.
Le decisioni delle autorità amministrative sono impugnabili avanti l’autorità giudiziaria ordinaria entro
15 giorni dalla notifica del provvedimento. In mancanza di impugnazione di tali provvedimenti, le
autorità amministrative possono chiederne l’esecuzione coattiva ai tribunali ordinari.
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3.2.9. Contraffazione
Il titolare di un marchio registrato ha facoltà di utilizzare il marchio con diritto di esclusiva.
Di conseguenza, il titolare di un marchio registrato può inibire a qualsiasi terzo non autorizzato l’utilizzo
e la registrazione di un marchio identico o simile per contrassegnare gli stessi prodotti o prodotti simili.
La Corte Suprema nella sua circolare interpretativa del 12 ottobre 2002 ha specificato che la valutazione
dell’identità o somiglianza dei marchi è valutata tenendo conto:
• della percezione generale del pubblico dei consumatori;
• della comparazione complessiva dei due marchi;
• del carattere distintivo e della notorietà del marchio.
Due marchi sono simili quando sono destinati a contrassegnare prodotti che hanno la stessa funzione
e appartengono allo stesso settore industriale, sono distribuiti mediante gli stessi canali di vendita, e
sono destinati alla stessa tipologia di consumatori.
I comportamenti che concretizzano atti di contraffazione ai sensi dell’art. 52 Legge Marchi sono i
seguenti:
• utilizzo di un marchio identico o simile ad un marchio registrato per contrassegnare lo stesso tipo di
prodotti o prodotti simili, senza l’autorizzazione del titolare;
• contraffazione del marchio o realizzazione di rappresentazioni grafiche del marchio registrato senza
l’autorizzazione del titolare;
• sostituzione sugli stessi prodotti del marchio registrato con un proprio marchio e/o vendita degli stessi
prodotti con il marchio contraffatto;
• qualsiasi atto che possa pregiudicare il diritto esclusivo del titolare.
La circolare della Corte Suprema del 12 ottobre 2002 ha precisato che per “atto che possa pregiudicare
il diritto esclusivo del titolare” si intende:
- l’utilizzo di espressioni verbali identiche o simili al marchio registrato di un altro operatore come
denominazione commerciale di prodotti identici o simili;
- copia, imitazione, traduzione di un marchio celebre o di una sua parte essenziale ed utilizzo per
contrassegnare prodotti anche non simili o identici con l’effetto di determinare confusione nel pubblico
dei consumatori;
- la registrazione come domain name di espressioni verbali identiche o simili ad un marchio registrato
ed utilizzo di tale domain name per la vendita di prodotti in internet (e-commerce) così da ingenerare
confusione tra i consumatori.
3.2.10. Azione amministrativa e azione giudiziaria
Ai sensi dell’art. 53 Legge Marchi, i rimedi disponibili al titolare di un marchio registrato il cui diritto
sia stato violato, sono i seguenti:
• azione avanti l’autorità giudiziaria ordinaria;
• azione avanti le autorità amministrative.
Secondo la Circolare interpretativa della Corte Suprema del 12 ottobre 2002 anche i licenziatari di un
marchio hanno facoltà di esperire i rimedi previsti a tutela del loro diritto esclusivo sul marchio.
Nella scelta tra l’azione amministrativa e l’azione giudiziaria, nella prassi, in particolare nei casi di
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palese contraffazione, gli operatori preferiscono adire le autorità amministrative per la maggiore speditezza
ed efficacia del procedimento.
L’autorità amministrativa competente ad emettere i provvedimenti di inibitoria è la già citata Amministrazione
Statale dell’Industria e del Commercio.
Per quanto riguarda i procedimenti giudiziari, è competente il tribunale del luogo in cui si è verificato
l’atto di contraffazione, ovvero del luogo in cui sono conservati e depositati i prodotti contraffatti,
ovvero ancora del luogo in cui ha sede o domicilio il convenuto.
L’ASIC ha facoltà di emettere provvedimenti di inibitoria, sequestro dei prodotti contraffatti e degli
strumenti utilizzati per apporre il marchio sui prodotti e di imporre al contraffattore sanzioni amministrative.
L’ASIC ha altresì ampi poteri di indagine e investigazione.
Tuttavia, nell’ipotesi in cui il titolare del marchio registrato intenda ottenere il risarcimento dei danni,
dovrà necessariamente adire l’autorità giudiziaria. La Legge Marchi prevede espressamente che
l’ammontare dei danni risarcibili debba essere calcolato sulla base del profitto ottenuto dalla controparte
per effetto della contraffazione ovvero sulla base delle perdite subite dal titolare del marchio, comprese
le spese sostenute per inibire la contraffazione.
Nel determinare l’ammontare del danno, il Tribunale considera la natura, il periodo e l’effetto dell’atto
di contraffazione, la notorietà del marchio, i canoni di licenza, la zona geografica, e le spese sostenute
dal titolare per impedire la contraffazione.
Il termine di prescrizione per proporre un’azione di contraffazione è di 2 anni dalla data in cui il titolare
del marchio ha avuto conoscenza, o avrebbe dovuto avere conoscenza, dell’atto illecito di contraffazione.
L’azione può essere proposta solamente nel caso in cui, al momento della proposizione della domanda,
l’atto di contraffazione sia ancora esistente.
Nel caso in cui non sia possibile accertare l’ammontare preciso del danno, esso non può superare la
somma di 500.000 RMB.
Il titolare del marchio registrato può esperire, avanti l’autorità giudiziaria, rimedi di natura cautelare
(sia di carattere conservativo che di carattere giudiziario) nel caso in cui vi sia il pericolo che il diritto
sul marchio sia compromesso in modo da non poter più essere riparato ovvero nel caso in cui vi sia il
pericolo che il contraffattore distrugga o sottragga le prove del suo comportamento illegittimo.
Si noti che l’autorità giudiziaria adita deve emettere il provvedimento di accoglimento o diniego della
misura cautelare entro il termine di 48 ore dalla relativa richiesta.
3.2.11. Sanzioni di natura penale
Alcuni atti di contraffazione costituiscono vere e proprie ipotesi di reato. La Legge Marchi, pur prevedendo
la natura di reato di alcuni comportamenti di contraffazione, non ne prevede la relativa sanzione. Tali
sanzioni sono previste dalla “Legge supplementare sulla repressione dei reati di contraffazione dei
marchi registrati” del 1993. Tale provvedimento legislativo stabilisce la pena della reclusione fino ad
un massimo di 7 anni.
Il 9 luglio 2001 è inoltre entrato in vigore il “Regolamento sul trasferimento delle cause penali dall’Autorità
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Amministrativa Esecutiva”. Il Regolamento stabilisce che le Autorità Amministrative debbano trasferire
i casi più seri di contraffazione (per il valore della causa o per la particolare natura) agli Uffici di Pubblica
Sicurezza.
Di regola la perseguibilità penale dell’illecito è determinata dal valore del profitto ottenuto dal contraffattore
(RMB 100.000 per le persone giuridiche e RMB 20.000 per le persone fisiche).
3.2.12. Oneri di registrazione
A titolo indicativo, si elencano gli oneri economici di registrazione e mantenimento del marchio:
- domanda di registrazione del marchio: RMB 1.000 per classe di beni e con un limite di 10 classi e
con un supplemento di RMB 100 per ciascuna classe aggiuntiva;
- domanda di marchio collettivo: RMB 3.000;
- domanda di marchio certificativo: RMB 3.000;
- domanda di rinnovo: RMB 2.000;
- tassa per eventuale ricorso: RMB 1.500;
- opposizione: RMB 1.000.
3.2.13. Domain name
Il domain name su internet ha ricevuto, nella RPC, una specifica regolamentazione. In particolare si è
ritenuto di dover regolamentare le controversie tra i titolari di domain name con il dominio “.cn” e tutti
i domain name gestiti dal Centro Informatico Cinese della Rete Internet. Vengono costituiti in seno a
tale centro una serie di organi di risoluzione delle controversie che, una volta aditi, devono emettere
una decisione entro 14 giorni.
I regolamenti espressamente sanzionano i seguenti comportamenti:
a) registrazione di un domain name identico o simile alla denominazione sociale o al marchio di un
terzo;
b) registrazione di un domain name per il quale il titolare non ha un interesse legittimo alla registrazione;
c) registrazione di un domain name in mala fede.
Per registrazione di un domain name in mala fede si intende:
a) registrazione del domain name per il solo scopo di venderlo, concederlo in uso o trasferirlo per lucro;
b) registrazione del domain name per il solo scopo di impedire al titolare di una denominazione o di
un marchio di registrare una denominazione o un marchio simile al domain name;
c) registrazione del domain name al solo scopo di danneggiare la reputazione di terzi e creare confusione
con il marchio di tali soggetti.
3.3. Brevetti per invenzione, modelli di utilità e disegni industriali
La disciplina dei brevetti nella Repubblica Popolare Cinese è contenuta nella legge del 12 marzo 1984,
modificata il 4 settembre 1992 e il 25 agosto 2000 (di seguito indicata come “Legge Brevetti”) e nei
Regolamenti di attuazione della stessa.
La Cina ha aderito al Trattato di Cooperazione in materia di brevetti nel 1994 (TCB) ed ha aderito al
Trattato di Budapest sul riconoscimento della brevettabilità dei depositi di microrganismi; ha altresì
aderito nel 1996 al Trattato di Strasburgo relativo alla classificazione dei brevetti e all’Accordo di
Locarno sulla classificazione dei disegni industriali.
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Lo scopo della Legge Brevetti è, come da preambolo della legge stessa, quello di proteggere ed
incoraggiare le attività di invenzione e creazione, promuovere lo sviluppo e l’innovazione nella scienza
e nella tecnologia, allo scopo di soddisfare i bisogni della modernizzazione dell’economia socialista.
L’autorità competente per la registrazione dei brevetti nella Repubblica Popolare Cinese è l’Ufficio Brevetti
costituito in seno al Consiglio di Stato (di seguito “Ufficio Brevetti”).
L’Ufficio Brevetti Centrale esamina le domande di registrazione e approva i brevetti, mentre gli uffici
periferici dell’Ufficio Brevetti svolgono tutte le funzioni amministrative (pagamento delle tasse annuali,
registrazione degli atti di cessione e licenza, etc.).
3.3.1. Brevettabilità
L’ordinamento cinese prevede tre tipi di brevetti:
1) il brevetto per invenzione industriale;
2) il brevetto per modello d’utilità ;
3) il brevetto per disegno industriale.
Il regolamento di attuazione della Legge Brevetti (come recentemente modificato nel 15 Giugno 2001)
definisce l’invenzione come una soluzione tecnica innovativa relativa ad un prodotto, un processo o un
suo miglioramento.
Il modello di utilità è definito come soluzione tecnica innovativa relativa alla forma o alla configurazione
di un prodotto, o a combinazioni di forma e configurazione relative a un prodotto, che sia applicabile
industrialmente.
Disegno industriale significa un disegno innovativo relativo alla forma o alla decorazione di un prodotto,
una combinazione di essi o una combinazione di colori con funzione estetica, che sia applicabile
industrialmente.
Un’invenzione o un modello di utilità, per essere brevettati, devono possedere i seguenti requisiti:
a) novità;
b) attività inventiva;
c) possibilità di applicazione pratica.
Per la brevettabilità dei disegni industriali è invece sufficiente il requisito della novità.
Un’invenzione è nuova quando essa è diversa dalle invenzioni già note in Cina o in qualsiasi altra parte
del mondo o comunque utilizzate pubblicamente o rese note prima della data del deposito della domanda.
La domanda è nuova inoltre quando non sia stata depositata precedentemente altra domanda avanti
l’Ufficio Brevetti cinese per la registrazione di un brevetto identico. Il brevetto è frutto di attività
inventiva quando in relazione alla tecnologia esistente prima della data di deposito della domanda, il
brevetto è dotato di nuove funzionalità che segnano un passo in avanti nello stato dell’arte. Il brevetto
è applicabile dal punto di vista pratico quando può essere prodotto e utilizzato per ottenere risultati
concreti.
Un ritrovato perde la caratteristica della novità se reso pubblico prima della data della domanda di
registrazione. In deroga a tale principio, ai sensi dell’art. 24 Legge Brevetti, l’invenzione non perde la
caratteristica della novità se nei sei mesi precedenti la domanda:
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• è stata resa pubblica ad una fiera internazionale sponsorizzata e riconosciuta dal Governo Cinese;
• è stata resa pubblica ad un congresso accademico o tecnologico;
• è stata resa pubblica da un terzo senza il consenso del richiedente.
L’ordinamento cinese ha adottato un sistema di registrazione simile a quello vigente in Italia e nella
maggior parte dei paesi firmatari delle convenzioni internazionali. Come per il marchio, vale il
fondamentale principio della retroattività della registrazione alla data del deposito della domanda, di
modo che nel conflitto tra due richiedenti, prevale chi ha depositato per primo la domanda (diversamente,
altri ordinamenti accolgono il principio della priorità nell’uso e prevale dunque il richiedente che possa
dimostrare di aver utilizzato per primo quella determinata invenzione).
Non possono essere registrate come brevetti le idee che attengono esclusivamente al novero:
• delle scoperte scientifiche;
• delle regole e dei metodi di ragionamento;
• dei metodi di diagnosi o per il trattamento delle malattie;
• delle varietà animali e vegetali;
• delle sostanze ottenute per mezzo di trasformazione nucleare.
I prodotti farmaceutici, i cibi, le bevande e i sapori sono invece perfettamente brevettabili.
Un’invenzione non può invece essere brevettata qualora sia contraria alle leggi dello Stato, alla moralità
pubblica o all’ordine pubblico.
3.3.2. Il titolare del brevetto
La titolarità del brevetto per un’invenzione, modello o disegno creati da un dipendente nello svolgimento
delle proprie mansioni nell’unità produttiva ovvero con l’utilizzo degli strumenti e delle risorse messe
a disposizione del datore di lavoro, è attribuita al datore di lavoro, salvo che sia diversamente stabilito
nel contratto di lavoro.
Secondo il Regolamento di attuazione della Legge Brevetti (art. 11), un’invenzione si considera creata
nello svolgimento delle mansioni della propria unità produttiva quando l’invenzione è creata nello
svolgimento normale delle proprie mansioni, ovvero nello svolgimento di uno specifico compito assegnato
al dipendente dall’unità produttiva, ovvero quando l’invenzione è creata entro un anno dal licenziamento
o dalle dimissioni del dipendente ed è collegata alle mansioni di quel dipendente.
Inventore è colui che ha contribuito in modo attivo alla realizzazione dell’invenzione e non anche chi
abbia invece soltanto organizzato il lavoro o abbia prestato servizi accessori o semplice assistenza.
Il datore di lavoro che abbia registrato il brevetto è tenuto a pagare all’inventore una indennità (per i
dipendenti delle imprese statali tale indennità è pari a RMB 2.000 per le invenzioni e RMB 500 per i
modelli di utilità o i disegni industriali) e qualora il brevetto sia economicamente sfruttato, il titolare
deve pagare al dipendente inventore un corrispettivo ragionevole sulla base della partecipazione del
datore e del dipendente alla realizzazione dell’invenzione e sulla base dei profitti ottenuti dal titolare
del brevetto (per i dipendenti delle imprese statali tale corrispettivo è pari al 2% dei profitti ottenuti
dall’utilizzo dell’invenzione o del modello di utilità e allo 0,2% nel caso di disegni industriali).
La violazione dei diritti dell’inventore può dare luogo all’applicazione di sanzioni disciplinari.
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3.3.3. Diritti di esclusiva
Successivamente alla concessione del brevetto, il titolare ha il diritto esclusivo di utilizzare o vendere
il prodotto brevettato ovvero di utilizzare il procedimento brevettato e di vendere il prodotto ottenuto
con il procedimento brevettato.
Il titolare del brevetto ha il diritto di impedire l’importazione di prodotti contraffatti e la vendita di tali
prodotti nel territorio della Repubblica Popolare Cinese. Si noti tuttavia che l’acquirente in buona fede
di prodotti contraffatti non è responsabile per gli eventuali danni causati al titolare del brevetto.
Il titolare del brevetto ha diritto di apporre sul prodotto o sull’imballaggio un segno identificativo del
brevetto ed il numero della registrazione.
3.3.4. Diritti degli stranieri
I richiedenti che non abbiano la residenza, il domicilio o la propria sede legale nel territorio della
Repubblica Popolare Cinese devono nominare un consulente di proprietà industriale per qualsiasi
questione connessa alla domanda e alla registrazione del brevetto.
Le persone fisiche e giuridiche straniere debbono presentare domanda di registrazione del brevetto ai
sensi di un trattato bilaterale tra il proprio stato di domicilio/sede sociale e la Cina ovvero ai sensi di
un trattato internazionale di cui entrambi i paesi siano parte e, in ogni caso, qualora sia rispettato il
principio di reciprocità.
Prima del 2001, i richiedenti stranieri dovevano ottenere l’approvazione delle autorità amministrative
competenti nel proprio paese di origine prima di poter depositare domanda di registrazione di un brevetto
in Cina. Oggi tale requisito non è più necessario.
3.3.5. Procedura di rilascio del brevetto
• Il deposito della domanda
Chi intenda ottenere la registrazione di un brevetto deve depositare una apposita domanda avanti l’Ufficio
Brevetti. La domanda e i relativi documenti devono essere in lingua cinese ed essere depositati in
duplice copia.
La domanda per un brevetto di invenzione o modello di utilità deve contenere la descrizione sia in
forma estesa del brevetto che un breve estratto, nonché le rivendicazioni di protezione, il titolo
dell’invenzione o del modello di utilità, il nome dell’inventore, il nome e l’indirizzo del richiedente e
la sua nazionalità.
La descrizione del brevetto deve riguardare: il campo di applicazione, le tecnologie di base utilizzate,
i dettagli tecnici comprovanti l’attività inventiva e la risoluzione del problema tecnico, il rinvio a disegni
e progetti, il modo di utilizzo.
La domanda di registrazione di un brevetto per disegno industriale deve contenere anche i disegni o le
fotografie del brevetto e del prodotto in cui il brevetto è incorporato.
La data in cui il richiedente consegna i documenti sopradescritti è considerata la data del deposito. Nel
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caso in cui la domanda sia spedita per posta, la data di consegna all’ufficio postale accettante rappresenta
la data di deposito.
• Diritti di priorità
In alternativa alla domanda di registrazione del brevetto prettamente domestica nella RPC, chiunque
sia già titolare di un brevetto registrato avanti un’autorità brevettuale di altra giurisdizione può, in virtù
del Trattato TCB, chiederne l’estensione alla Repubblica Popolare Cinese. In ipotesi di estensione di
una domanda internazionale l’effetto della registrazione decorrerà dalla data di deposito della domanda
di brevetto nel paese di origine.
Il TCB consente, tramite un unico atto di deposito della domanda presso qualsiasi ufficio ricevente dei
vari paesi aderenti (ivi compreso l’Ufficio Europeo dei Brevetti di Monaco), di ottenere la protezione
all’estero di un’invenzione tramite il deposito iniziale di un’unica domanda di brevetto, denominata
“domanda internazionale di brevetto”.
La domanda internazionale di brevetto presentata avanti un ufficio brevetti nazionale (e quindi sia
l’Ufficio Brevetti Italiano che quello Cinese) deve indicare con specifica designazione il nome dei paesi
nei quali viene richiesta la protezione.
La procedura TCB prevede una prima valutazione dell’invenzione attraverso una ricerca di anteriorità
sullo stato dell’arte relativo al campo di applicazione e, a richiesta, attraverso un esame internazionale
preliminare di brevettabilità il cui esito non è vincolante ai fini della brevettabilità stessa.
Si passa poi alla c.d. fase nazionale in cui le domande procedono nell’esame di merito nei singoli Paesi
designati e si seguono dunque le disposizioni interne proprie dei vari Stati aderenti al Trattato. Tale fase
viene appunto svolta nelle diverse giurisdizioni senza alcuna distinzione rispetto ai brevetti nazionali.
Ciascun ufficio brevetti nazionale procede dunque autonomamente e alla fine dell’esame di merito
registrerà il brevetto come brevetto nazionale.
Sebbene in termini di speditezza del procedimento e di costi, la procedura di estensione internazionale
di un marchio italiano sia più conveniente, è necessario altresì ricordare che le sorti del brevetto cinese,
in tale caso, sono vincolate al brevetto italiano.
Si noti che la domanda di estensione del brevetto italiano alla Repubblica Popolare Cinese deve essere
obbligatoriamente depositata entro sei mesi (nel caso del brevetto per disegno industriale) o dodici mesi
(nel caso del brevetto per invenzione o per modello di utilità) dalla data del deposito del brevetto italiano
avanti l’ufficio brevetti italiano.
• Esame e approvazione
Una volta depositata la domanda di registrazione, l’Ufficio Brevetti procede ad effettuare un esame
preliminare e, nel caso in cui la domanda sia conforme ai requisiti formali prescritti, una volta
trascorso un termine di 18 mesi dalla data del deposito della domanda, viene data pubblicazione sul
Bollettino Ufficiale. Su istanza del richiedente la pubblicazione può avvenire anche in un momento
successivo.
Su istanza del richiedente, che deve essere fatta entro tre anni dalla data del deposito della domanda,
l’Ufficio Brevetti passa ad esaminare il merito della domanda di registrazione. In mancanza la domanda
si ritiene abbandonata.
Si noti che, ai sensi del Regolamento di Attuazione della Legge Brevetti, i soggetti tenuti ad effettuare
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un’attività entro un termine di decadenza possono essere rimessi in tale termine, qualora provino che
il mancato adempimento del termine è dovuto a circostanze improrogabili.
Insieme all’istanza di esame di merito, il richiedente deve depositare, su richiesta dell’Ufficio Marchi,
materiale informativo e documentazione relativi al brevetto richiesto (ricerche di anteriorità, materiale
sullo stato dell’arte, etc.). In caso di mancato deposito del materiale richiesto, la domanda si ritiene
abbandonata.
In caso di esito positivo dell’esame di merito, l’Ufficio Brevetti concede il brevetto, emette il certificato
di brevetto, lo registra e ne dà pubblica notizia presso il Bollettino Ufficiale. La registrazione ha effetto
dalla data della pubblicazione.
In caso di esito negativo dell’esame di merito, l’Ufficio chiede eventuali integrazioni della documentazione
ed emette provvedimento negativo di rigetto.
Il richiedente può sempre impugnare le decisioni dell’Ufficio Brevetti avanti la Camera del Riesame
entro tre mesi dalla data della notifica del procedimento. La Camera del Riesame emette un provvedimento
di conferma o riforma della decisione dell’Ufficio Brevetti che può essere impugnato dal richiedente
avanti l’autorità giudiziaria ordinaria.
3.3.6. Durata, cessione e licenza
La durata della protezione accordata mediante la registrazione del brevetto è di 20 anni per i brevetti
di invenzione, e di 10 anni per i modelli di utilità e i disegni industriali.
Il brevetto si estingue, prima della sua scadenza, nei seguenti casi:
• mancato pagamento della tassa annuale;
• abbandono del brevetto con dichiarazione scritta del titolare.
Il titolare di un brevetto può cedere a chiunque i diritti sull’invenzione, sul modello di utilità e sul
disegno industriale. La cessione deve essere effettuata mediante contratto per iscritto, deve essere
registrata presso l’Ufficio Brevetti che ne cura la pubblicazione, ed ha effetto dalla data di registrazione.
Il diritto di utilizzo esclusivo del brevetto può inoltre essere concesso dal titolare a terzi mediante
contratto di licenza.
La cessione e la licenza devono essere registrate presso l’Ufficio Brevetti entro tre mesi dalla data di
efficacia del contratto di cessione o licenza. La cessione/licenza ad un contraente straniero devono
essere preventivamente approvate dal competente dipartimento del Consiglio di Stato.
• Licenza obbligatoria
Ai sensi dell’art. 48 e ss., l’Ufficio Brevetti, in particolari casi (interesse dello Stato, motivi di ordine
pubblico, etc.), su apposita richiesta di chi ne abbia interesse, concede in uso un brevetto registrato
indipendentemente dalla volontà del titolare del brevetto (c.d. licenza obbligatoria).
L’art. 50 Legge Brevetti prevede che, nel caso in cui il richiedente sia, a sua volta, titolare di un brevetto,
il quale rappresenta un’evoluzione tecnica di un brevetto anteriore la cui titolarità è di un terzo, e lo
sfruttamento del brevetto successivo dipenda dall’utilizzo del brevetto anteriore, allora l’Ufficio Brevetti
concede al titolare del brevetto successivo una licenza obbligatoria sul brevetto anteriore. Si noti che,
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in quest’ultimo caso, il titolare del brevetto anteriore può a sua volta chiedere che l’Ufficio Brevetti gli
conceda una licenza sul brevetto successivo.
Per ottenere una licenza obbligatoria, l’interessato deve provare di aver effettuato, senza successo,
numerose richieste al titolare del brevetto per ottenere licenza contrattuale a condizioni ragionevoli. In
ogni caso tale licenza obbligatoria non può essere concessa a chi ne faccia richiesta prima che siano
trascorsi tre anni dalla data della concessione del brevetto.
Il titolare del brevetto deve essere informato immediatamente mediante notifica circa la decisione del
tribunale relativa alla licenza obbligatoria, l’oggetto e il termine della stessa. Il titolare del brevetto o
il richiedente la licenza possono impugnare la decisione entro 3 mesi.
Nel caso in cui le circostanze che hanno determinato la licenza obbligatoria vengano a cessare, l’Ufficio
Brevetti, su apposita richiesta, dichiara estinta la licenza.
La licenza obbligatoria non è esclusiva e non legittima il licenziatario a sua volta a sub-licenziare.
Il licenziatario deve pagare un canone di licenza determinato di comune accordo dalle parti o, in
mancanza, dall’Ufficio Brevetti.
3.3.7. Nullità del brevetto
Ai sensi dell’art. 45 Legge Brevetti, l’azione di nullità del brevetto per carenza dei requisiti di novità,
attività inventiva o applicabilità industriale è proposta avanti la Camera del Riesame da chiunque ne
abbia interesse.
In caso di esito positivo dell’azione di nullità, la decisione, che ha efficacia retroattiva, è pubblicata nel
bollettino e registrata.
Le decisioni della Camera del Riesame possono essere impugnate avanti l’autorità giudiziaria ordinaria
entro il termine di 3 mesi dalla data del provvedimento impugnato.
Si noti che la dichiarazione di nullità del brevetto non ha effetto su eventuali sentenze o provvedimenti
relativi alla contraffazione del brevetto emessi a favore del titolare del brevetto nullo o su contratti di licenza
o cessione che siano stati sottoscritti e adempiuti prima della dichiarazione di nullità. In ogni caso, tuttavia,
il titolare del brevetto nullo che abbia agito in malafede è tenuto al risarcimento dei danni. In caso di contratto
di licenza/cessione, sulla base del principio di equità, il titolare del brevetto nullo deve restituire al licenziatario
e/o al cessionario del brevetto il corrispettivo dei canoni di locazione e/o del prezzo della cessione.
3.3.8. Contraffazione del brevetto
L’art. 56 Legge Brevetti non definisce in modo specifico l’atto di contraffazione, che comunque dovrebbe
intendersi come qualsiasi atto di utilizzo del brevetto senza l’autorizzazione del titolare.
Il Regolamento di attuazione specifica alcuni casi di contraffazione (art. 84), tra cui si segnalano i seguenti:
• l’indicazione non autorizzata del numero di registrazione di un brevetto per contrassegnare i propri
prodotti;
• utilizzo non autorizzato del numero di registrazione di un brevetto nel materiale pubblicitario o in un
contratto;
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• alterazione del certificato di brevetto o di un altro documento relativo allo stesso ai danni del titolare.
Ai sensi dell’art. 63 Legge Brevetti i seguenti atti non possono essere considerati atti di contraffazione:
• vendita di prodotti coperti da brevetto che sono stati importati o prodotti dallo stesso titolare o con
sua autorizzazione;
• utilizzo del brevetto da parte di soggetti che prima del deposito della domanda da parte del titolare
utilizzavano già il brevetto (c.d. preuso);
• passaggio nel territorio della RPC di un mezzo di trasporto tra i cui accessori o meccanismi è contenuto
un prodotto coperto da brevetto in conformità ad un trattato bilaterale o internazionale;
• utilizzo del brevetto esclusivamente per scopi di ricerca o sperimentazione;
• vendita di prodotti contraffatti in buona fede.
L’ordinamento cinese sanziona anche l’attività di quegli operatori economici che rappresentano i propri
prodotti come coperti da brevetto pur in mancanza di effettiva registrazione.
• Azione di contraffazione
Il titolare di un brevetto può agire avanti le autorità amministrative (ASIC) o avanti l’autorità giudiziaria
ordinaria contro eventuali atti di contraffazione del proprio brevetto. Il termine di prescrizione dell’azione
è di 2 anni a partire dalla data in cui il titolare del brevetto ha avuto o avrebbe dovuto avere conoscenza
dell’atto di contraffazione.
L’ASIC ha facoltà di emettere provvedimenti di inibitoria, di sequestro dei prodotti contraffatti e di
imporre al contraffattore sanzioni amministrative fino all’importo massimo di 3 volte il profitto ottenuto
(ovvero, in mancanza di un tale profitto, fino all’importo massimo di RMB 50.000).
L’ASIC ha altresì facoltà di sequestrare presso il contraffattore i proventi derivanti dall’attività di
contraffazione.
Nel caso tuttavia in cui il titolare del brevetto intenda ottenere il risarcimento dei danni, dovrà
necessariamente adire l’autorità giudiziaria. La nuova Legge Brevetti impedisce infatti all’ASIC di
condannare il contraffattore al risarcimento dei danni.
La Legge Brevetti prevede espressamente che l’ammontare dei danni risarcibili debba essere calcolato
sulla base del profitto ottenuto dalla controparte per effetto della contraffazione ovvero sulla base delle
perdite subite dal titolare del brevetto ovvero, in alternativa, sulla base delle royalties pagabili al titolare
da parte di eventuali licenziatari.
Il contraffattore può impugnare avanti l’autorità giudiziaria i provvedimenti dell’ASIC entro 15 giorni
dalla data del ricevimento del provvedimento. In caso di mancata esecuzione spontanea o impugnazione
da parte del contraffattore dei provvedimenti dell’ASIC, il titolare del brevetto può iniziare l’azione
esecutiva.
Parimenti, qualora il contraffattore abbia proposto azioni avanti l’autorità giudiziaria per l’accertamento
della titolarità del brevetto successivamente all’inizio dell’azione amministrativa da parte del titolare,
può chiedere che l’azione amministrativa sia sospesa.
Nell’ipotesi in cui si discuta della contraffazione di un “brevetto di procedimento produttivo”, il
contraffattore deve provare che il prodotto contraffatto è stato manufatto con un procedimento produttivo
diverso dal procedimento brevettato.
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3.3.9. Misure cautelari
Il titolare del brevetto può esperire, avanti l’autorità giudiziaria, rimedi di natura cautelare (sia di carattere
conservativo che di carattere giudiziario) nel caso in cui vi sia il pericolo che il diritto sul brevetto sia
compromesso in modo da non poter più essere riparato ovvero nel caso in cui via sia il pericolo che il
contraffattore distrugga o sottragga le prove del suo comportamento illegittimo.
Si noti che l’autorità giudiziaria adita deve emettere il provvedimento di accoglimento o diniego della
misura cautelare entro il termine di 48 ore dalla relativa richiesta.
3.3.10. Oneri di registrazione
A titolo indicativo, gli oneri relativi alla registrazione e al mantenimento del brevetto possono essere
così sintetizzati:
• domanda di brevetto: RMB 900;
• tassa di pubblicazione: RMB 50;
• tassa per le rivendicazioni di priorità: RMB 80 per rivendicazione;
• tassa di mantenimento: RMB 300 per anno;
• tassa per l’esame di merito: RMB 2.500;
• tasse annuali: RMB 900 annuali per i primi tre anni; RMB 1.200 annuali dal quarto al sesto anno;
RMB 2.000 annuali dal settimo al nono anno; RMB 4.000 annuali dal decimo al dodicesimo; RMB
6.000 annuali dal tredicesimo al quindicesimo anno; RMB 8.000 annuali dal sedicesimo al ventesimo
anno;
• tassa di registrazione: RMB 255.
Per quanto riguarda la registrazione ed il mantenimento del brevetto per modello di utilità o di disegno
industriale, gli oneri sono i seguenti:
• domanda di brevetto: RMB 500;
• tassa per le rivendicazioni di priorità: RMB 80 per rivendicazione;
• tasse annuali: 150 annuali per i primi tre anni, RMB 300 annuali dal quarto al quinto anno; RMB
600 annuali dal sesto all’ottavo anno, etc.;
• tassa di registrazione: RMB 205.
Si noti che se viene depositata una domanda di brevetto internazionale avanti l’Ufficio Brevetti Cinese,
vi è un’esenzione di pagamento per la tassa relativa alla domanda nazionale cinese.
La tassa per l’esame di merito è ridotta del 20% se viene prodotta una ricerca di anteriorità sullo stato
dell’arte dell’Ufficio Brevetti Cinese, Giapponese, Svedese o Europeo. Vi è inoltre una completa
esenzione della tassa per l’esame del merito nel caso in cui sia stato svolto dall’Ufficio Brevetti Cinese
l’esame preliminare della domanda.
3.4. Il trasferimento internazionale di tecnologia: tipologie e finalità contrattuali
I diritti di proprietà intellettuale, marchi e brevetti, insieme ai diritti di know-how costituiscono
frequentemente la tipologia di conferimento che l’investitore straniero effettua contestualmente alla
costituzione di una joint-venture con un partner cinese o di una società interamente controllata.
La legge cinese ha una visione piuttosto ampia del concetto di “tecnologia”. In base a quanto disposto
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dalla “Regulations on Technology Imports and Exports” (2002) rientrano infatti nel trasferimento di
tecnologia i contratti aventi ad oggetto:
• cessione o concessione in uso di brevetti su invenzioni o su modelli;
• fornitura di assistenza tecnica, in cui il fornitore straniero utilizzi propria tecnologia per raggiungere
determinati obiettivi;
• fornitura di know-how in forma di documentazione tecnica, disegni e altro, contenenti indicazioni su
processi produttivi, formule, disegni di prodotti;
• fornitura di impianti o linee produttive, quando questa comporti la cessione o la concessione in uso
di brevetti, o di tecnologia di proprietà esclusiva dell’investitore straniero ancorché non coperta da
brevetto.
In definitiva, quindi, con il termine tecnologia si fa riferimento al complesso di conoscenze tecniche, esperienze,
formule, progetti, che l’impresa possiede ed impiega in un dato ciclo produttivo o altro processo industriale.
Si tratta di beni di carattere immateriale, coperti o meno da diritti di proprietà industriale (marchi, brevetti,
disegni, modelli), i quali concorrono alla formazione del patrimonio dell’impresa.
La tecnologia viene suddivisa in tre categorie:
1) liberamente trasferibile;
2) il cui trasferimento è soggetto a restrizioni;
3) non trasferibile.
Le tecnologie classificate sub 1) possono essere trasferite senza la necessità di alcuna approvazione,
ragion per cui il relativo contratto di trasferimento sarà efficace dalla sottoscrizione; quelle viceversa
classificate sub 2) e 3) richiedono, quale condizione di efficacia, la previa approvazione e conseguente
rilascio di specifica licenza (di importazione di tecnologia) da parte della autorità amministrativa.
Le “Regulations” attualmente in vigore hanno rimosso talune limitazioni sancite dalla normativa
precedente, quali la durata massima del contratto (stabilita in 10 anni).
Il “trasferimento di tecnologia” consente la circolazione delle innovazioni, facendo acquisire all’imprenditore
destinatario del trasferimento dati, informazioni e conoscenze nuove, che accrescono la produttività e
l’efficienza della sua azienda.
Il trasferimento può avvenire seguendo tipologie contrattuali differenti ed in particolare, mediante
vendita pura e semplice ovvero, più frequentemente, mediante contratti di licenza, con i quali il titolare
dei beni immateriali in oggetto, brevetti, marchi, know-how, pur conservandone la proprietà, concede
al licenziatario il diritto di utilizzarli nella propria attività (godimento).
Le licenze di tecnologia si sono rivelate un potente strumento di penetrazione dei mercati in crescita
dei Paesi in via di sviluppo, soprattutto in presenza di politiche protezionistiche intese a limitare
l’importazione mediante l’imposizione di dazi doganali o di altre misure restrittive (es. contingentamenti).
I beni e servizi, che l’impresa straniera desidera commercializzare nel paese considerato, vengono infatti
prodotti da imprese locali, con o senza partecipazione estera, attraverso l’impiego dell’avanzata tecnologia
concessa in licenza, e dunque non sono soggetti ai dazi doganali e ad altre misure restrittive.
In alcuni casi i contratti di licenza di tecnologia costituiscono altresì per il licenziante uno strumento
per decentrare la produzione sfruttando i minori costi ottenibili nei paesi in via di sviluppo rispetto a
quelli dei paesi industrializzati (ad es. minore costo della manodopera). In tale ipotesi il contratto
prevede anche la cessione al licenziante di una certa quantità dei beni realizzati con l’impiego della
tecnologia licenziata.
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La cessione pura e semplice, invece, riguarda di solito tipi di processi e di tecniche che l’impresa
cedente, per diversi motivi, non intende più continuare ad utilizzare. Ed infatti con la cessione il titolare
si spoglia di ogni diritto sui beni ceduti.
• Norme speciali di ordine pubblico relative ai contratti di trasferimento di tecnologia
Nella predisposizione degli accordi di licenza (ma l’osservazione vale anche per i meno frequenti negozi
di cessione), occorre tenere presente che alcuni paesi in via di sviluppo hanno adottato norme speciali,
che prevedono un controllo pubblico sui contratti di trasferimento di tecnologia stipulati da imprese
locali con fornitori stranieri. Tale controllo è finalizzato a verificare la qualità e l’effettiva utilità della
tecnologia oggetto di acquisizione, la congruità del prezzo pattuito, l’equilibrio tra le prestazioni
contrattuali convenute.
Qualora, in sede di controllo, l’Autorità preposta rilevi che la tecnologia è obsoleta, ovvero che è già
disponibile in loco, o ritenga che i compensi siano eccessivi o che alcune clausole siano eccessivamente
penalizzanti per il licenziatario, può negare la registrazione del contratto. Tale registrazione è di solito
condizione, per l’impresa acquirente, sia per usufruire di sgravi fiscali, sia per poter effettuare i pagamenti
delle royalties all’estero.
L’ordinamento cinese contiene una articolata regolamentazione della materia dei trasferimenti di
tecnologia. Il primo intervento normativo sul punto risale al 1985; si tratta del “Regolamento sulla
gestione dei contratti di importazione di tecnologia” e delle relative disposizioni di attuazione. L’art.
2 del Regolamento forniva un elenco dei tipi di contratto che, integrando un trasferimento di tecnologia,
necessitavano dell’approvazione dell’autorità competente: contratti di cessione o licenza di diritti di
proprietà industriale, contratti di licenza di know-how, contratti di licenza tecnica, contratti di
cooperazione produttiva e contratti c.d. “chiavi in mano”. Competente a pronunciarsi era il Ministero
del commercio con l’estero. Per poter ottenere l’approvazione, il contratto, da redigersi per iscritto,
doveva contenere, oltre all’indicazione dell’ambito di applicazione, del corrispettivo, di eventuali obblighi
di segretezza, anche la specificazione dei requisiti della tecnologia da importare, nonché di criteri e
parametri per verificarne la funzionalità e per valutare eventuali rischi e responsabilità. L’inserimento
di clausole contrattuali che imponessero al licenziatario vincoli e restrizioni non direttamente collegati
o non necessari al trasferimento di tecnologia, quali l’obbligo di servirsi di assistenza tecnica, di
materie prime e di apparecchiature del licenziante, restrizioni allo sviluppo della tecnologia licenziata,
restrizioni nella quantità e nel prezzo di vendita dei prodotti realizzati con la tecnologia licenziata,
divieto di utilizzo della tecnologia allo scadere del contratto, potevano comportare il rifiuto
dell’approvazione.
Tale normativa è stata abrogata dalla nuova legge generale sui contratti, entrata in vigore il 1°
ottobre del 1999, che al capitolo 18 contiene una disciplina dei contratti di trasferimento di
tecnologia. Si tratta tuttavia di una disciplina dispositiva, derogabile dalle parti. Gli unici limiti
sono posti a tutela della concorrenza e dello sviluppo tecnologico. In specie non è più richiesta
alcuna forma di approvazione, né è previsto un contenuto necessario del contratto (si veda anche
quanto detto al par. 2.9.).
3.5. Concorrenza sleale
Alcune disposizioni a tutela dei diritti di proprietà intellettuale delle imprese sono dettate dalla “Legge
sulla concorrenza sleale” del 2 settembre 1993.
La legge è stata dettata allo scopo di salvaguardare lo sviluppo del mercato dell’economia socialista
83
incoraggiando e proteggendo la leale concorrenza e difendendo gli interessi degli operatori economici
e dei consumatori.
E’ definito atto di concorrenza sleale qualsiasi comportamento in violazione della legge a danno dei
diritti e degli interessi di un altro operatore economico e a disturbo dell’ordine socio-economico.
In particolare sono considerati atti di concorrenza sleale i seguenti comportamenti:
• contraffazione del marchio di un altro operatore;
• utilizzo della stessa denominazione, dell’imballaggio, delle decorazioni proprie di prodotti celebri o
di segni ad essi simili così da determinare confusione nei consumatori;
• utilizzo non autorizzato della denominazione sociale di un concorrente per contrassegnare i propri
prodotti così da ingenerare confusione nei consumatori;
• contraffazione o utilizzo sui propri prodotti, di simboli di certificazione e simboli propri di prodotti,
celebri per la loro qualità;
• falsificazione dell’origine dei prodotti;
• diffusione mediante messaggi pubblicitari o altri mezzi, di false o fuorvianti informazioni su qualità,
composizione, utilizzo, durata, origine e provenienza della merce;
• violazione delle informazioni commerciali riservate attraverso:
a) mezzi illeciti quali sottrazione, corruzione, violenza;
b) utilizzo delle informazioni riservate ottenute con i mezzi illeciti di cui alla lettera precedente;
c) utilizzo delle informazioni confidenziali ottenute mediante la violazione di un impegno contrattuale
o delle istruzioni dei titolari delle informazioni riservate;
• vendita di prodotti ad un prezzo sottocosto allo scopo di escludere i propri concorrenti (salvo che si
tratti di vendite di prodotti freschi, vendite di prodotti la cui data di scadenza sta per decorrere, vendite
in periodo di saldi, vendite con lo scopo di compensare altri debiti, modificare le linee produttive o
in occasione della chiusura dell’attività);
• effettuazione di vendite abbinate di prodotti contro la volontà dell’acquirente;
• effettuazione di vendite con estrazione di premi nei seguenti casi:
a) nel caso in cui i premi non siano effettivamente messi a disposizione;
b) nel caso in cui il premio contribuisca ad aumentare il prezzo di beni di scarsa qualità;
c) nel caso in cui il primo premio abbia un valore superiore a RMB 5.000.
• diffusione di notizie false allo scopo di danneggiare la reputazione di un concorrente o dei prodotti
di quest’ultimo.
Chiunque compia un atto di concorrenza sleale è tenuto al risarcimento dei danni in favore della parte
che è stata lesa dal comportamento sleale (art. 20), comprese le spese sostenute dal soggetto danneggiato
per investigare e scoprire gli atti di concorrenza sleale.
Nel caso in cui il danno sofferto sia di difficile quantificazione, esso sarà calcolato sulla base degli utili
e dei profitti maturati dal concorrente sleale.
Nel caso in cui l’atto di concorrenza sleale sia diretto ai danni di un operatore celebre sul mercato, le
autorità amministrative di controllo avranno poteri di inibitoria, sequestro, revoca della licenza commerciale,
e di imporre sanzioni amministrative fino a tre volte l’importo dei profitti maturati dal contraffattore.
3.6. Diritto d’autore e software
Mentre fino al 2001, la legislazione cinese in materia (risalente al 1990) non sembrava pienamente in
linea con i progressi tecnologici frattanto registrati a livello mondiale, le recenti modifiche alla legge
84
sul diritto d’autore (“Decision on the Amendment of the Copyright Law of the People's Republic of
China”, del 27 ottobre 2001), appaiono in grado di incentivare l’ulteriore sviluppo degli scambi
commerciali tra i diversi paesi e la Cina, grazie all’elevato standard di tutela che appresta sia agli artisti,
sia ai produttori di fonogrammi, sia ancora agli organismi di radiodiffusione.
Sono oggetto di protezione legale tutte le opere dell’ingegno, siano esse letterarie, musicali, fotografiche,
cinematografiche o radiofoniche, nonché il software.
La protezione è accordata agli autori che abbiano la nazionalità cinese, a partire dalla creazione dell’opera.
La registrazione, che non è comunque condizione per il riconoscimento della tutela, può essere chiesta
all’Ufficio per il diritto d’autore, che vi procederà senza alcun esame, né formale né sostanziale. Gli
stranieri che siano cittadini di stati membri della Convenzione di Berna, cui la Cina ha aderito, beneficiano
della protezione convenzionale anche sul territorio cinese
All’autore è riconosciuto sia il diritto morale alla paternità dell’opera ed alla sua integrità, sia il diritto
patrimoniale di sfruttare in modo esclusivo l’opera creata. Rientrano nel diritto di sfruttamento, senza
peraltro esaurirlo, i diritti di riprodurre, di far eseguire, trasmettere, distribuire, adattare, annotare,
tradurre l’opera creata. Tali diritti possono essere oggetto di cessione o di licenza, totale o parziale. Le
licenze concesse in relazione ai diritti di titolarità di stranieri devono essere registrate.
I diritti patrimoniali si trasmettono agli eredi; la loro durata è fissata in 50 anni dopo la morte dell’autore.
Nel caso di opere che risultino attribuite ad una società o altro ente, e nel caso di opere fotografiche,
cinematografiche, televisive, o di programmi per computer, la durata della tutela legale è fissata in 50
anni decorrenti dalla data della creazione.
La violazione dei diritti d’autore è sanzionata sia civilmente che penalmente. Il titolare può chiedere
la cessazione del comportamento lesivo (inibitoria) e la pubblicazione della sentenza oltre al risarcimento
dei danni subiti. La riproduzione non autorizzata di opere protette è sanzionata penalmente con la
detenzione fino a sette anni.
I programmi per elaboratore elettronico sono tutelati come opere dell’ingegno e quindi secondo le
norme sul diritto d’autore, ai sensi della Convenzione di Berna del 1971. La medesima tutela è altresì
accordata alle banche dati, alle compilazioni di dati o altro materiale.
4. LA DISCIPLINA DEL LAVORO DIPENDENTE
4.1. Introduzione
Il diritto del lavoro è regolato dalla legge sul lavoro adottata dal Comitato permanente dell’ottavo
Congresso Nazionale della RPC il 5 luglio 1994 ed entrata in vigore il 1° gennaio 1995.
L’art. 1 dichiara che tale legge è stata emanata in piena conformità della Costituzione, al fine di proteggere
i diritti e gli interessi dei lavoratori. Tale legge si applica alle imprese, alle ditte individuali e ai lavoratori
che instaurino rapporti di lavoro con queste nel territorio della RPC.
La legge del 1994 fissa in capo allo Stato un preciso obbligo di favorire e creare opportunità di impiego,
attraverso la promozione e lo sviluppo economico, nonché attraverso la stipulazione di leggi che
favoriscano l’espandersi delle imprese (art. 10). A livello locale, poi, le amministrazioni sono tenute a
costituire agenzie di lavoro e uffici di collocamento (art. 11).
85
Gli artt. 12 e 13 fissano divieti di discriminazioni contro lavoratori di diversa razza o religione, nonché
obblighi per i datori di osservare una parità di trattamento tra uomini e donne. L’art. 14 dichiara
l’inderogabilità delle leggi sull’impiego di disabili, minorati e invalidi di guerra.
4.2. Contratti di lavoro e contratti collettivi
I contratti di lavoro, nel diritto cinese, sono vincolanti solo se pienamente conformi alle leggi (artt. 16
e 17).
Sono invalidi i contratti di lavoro conclusi (i) contro disposizioni di legge o norme amministrative; (ii)
per mezzo di inganni, minacce od ogni altro mezzo illegittimo (art. 18). L’invalidità, che deve essere
dichiarata da un collegio arbitrale o da un tribunale, rende il contratto assolutamente inefficace.
L’art. 19 sancisce che i contratti di lavoro devono essere redatti per iscritto e disporre necessariamente
circa i seguenti aspetti del rapporto di lavoro (elementi essenziali del contratto): (i) il tempo di durata del
rapporto; (ii) la mansione; (iii) le condizioni di lavoro; (iv) la remunerazione; (v) la disciplina del rapporto
di locazione; (vi) i casi di risoluzione del rapporto; (vii) la responsabilità per violazione del contratto.
Le imprese e i sindacati dei lavoratori possono redigere contratti collettivi, in cui si accordano sui diversi
aspetti del rapporto lavorativo; tali contratti devono essere approvati anche dalle associazioni dei lavoratori
(art. 33).
4.3. Singoli aspetti del rapporto di lavoro
4.3.1. Periodo di prova
Le parti possono concordare un periodo di prova, il quale, però, non deve superare i sei mesi (art. 21).
Durante il periodo di prova, tanto il lavoratore quanto il datore di lavoro, in particolari condizioni (si
veda infra), possono in ogni momento recedere dal rapporto (art. 32, n. 1).
4.3.2. Obbligo di riservatezza
Le parti possono inserire nel contratto clausole che obblighino al mantenimento del riserbo sui segreti
commerciali del datore di lavoro (art. 22).
4.3.3. Risoluzione del rapporto
I contratti possono essere risolti per comune accordo delle parti (art. 24).
Il datore di lavoro può unilateralmente e immediatamente risolvere il contratto, quando si verifichi una
delle seguenti circostanze (art. 25):
• quando i lavoratori dimostrino, durante il periodo di prova, di non essere qualificati;
• quando compiano gravi violazioni delle regole o dei regolamenti dettati dal datore;
• quando causino gravi danni al datore di lavoro a seguito di serie violazioni dei propri obblighi o
assumano comportamenti scorretti al fine di perseguire propri scopi;
• quando siano perseguibili penalmente.
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Anche nei seguenti casi il datore di lavoro può risolvere il contratto, ma solo dando 30 giorni di preavviso
(art. 26):
• il lavoratore non può più adempiere alle proprie mansioni, né a qualunque altro tipo di incarico a
causa di malattia o infortunio non causati dal lavoro;
• quando il lavoratore continua a dimostrarsi non idoneo, anche dopo il periodo di prova o dopo che
la sua mansione lavorativa è stata modificata;
• quando non viene raggiunto tra le parti un accordo modificativo del contratto di lavoro, reso necessario
da cambiamenti sopravvenuti circa presupposti fondamentali nell’assetto contrattuale.
Le disposizioni degli artt. 25 e 26 non si applicano: (i) nei casi in cui è dimostrato che i lavoratori hanno
perso la loro capacità lavorativa a seguito di malattie o infortuni connessi al lavoro; (ii) per coloro che
stanno ricevendo cure mediche per tali malattie nel tempo loro riconosciuto; (iii) alle donne lavoratrici
durante la gravidanza e il periodo in maternità; (iv) negli altri casi fissati da leggi e decreti amministrativi.
Nel caso di risoluzione del contratto da parte del datore di lavoro, i sindacati hanno il diritto di controllare
la legittimità della risoluzione; nel caso in cui si instaurino controversie in merito, devono assistere i
lavoratori conformemente alla legge.
Quando il datore recede dal rapporto lavorativo nel rispetto delle precitate norme deve comunque
corrispondere un’equa liquidazione al lavoratore, in conformità dei regolamenti statali che dispongono
in merito (art. 28).
L’art. 31 sancisce che i lavoratori che vogliono risolvere il rapporto di lavoro devono darne notifica
scritta al datore con 30 giorni di preavviso. Possono, invece, in ogni momento comunicare la propria
decisione di sciogliere il rapporto nei casi elencati nell’art. 32, e cioè: (i) durante il periodo di prova;
(ii) se sono stati costretti a lavorare per mezzo di violenza, minaccia o privazione della propria libertà
personale; (iii) se il datore di lavoro è inadempiente nel versare la retribuzione o disporre le condizioni
lavorative concordate in contratto.
4.3.4. Ore di lavoro, lavoro straordinario, ferie
L’orario di lavoro non deve superare, secondo il disposto dell’art. 36, le otto ore al giorno per un
massimo di 44 ore a settimana. Il datore di lavoro può prolungare l’orario fissato dalla legge di non più
di un’ora al giorno, previa approvazione dei sindacati, o di tre ore per particolari necessità, ma in modo
tale che la salute mentale e fisica del lavoratore non ne siano compromesse. L’orario di lavoro non può,
comunque, essere prolungato per più di 36 ore in un mese (art. 41).
Al lavoratore deve essere garantito un giorno di riposo a settimana (art. 38).
Se le caratteristiche di un’azienda non permettono un tale orario, la diversa organizzazione dovrebbe
essere previamente approvata dalle amministrazioni competenti per il lavoro (art. 39).
Il datore di lavoro deve organizzare le ferie garantendo il riconoscimento delle feste nazionali elencate
nell’art. 40 (il capodanno, la festa di primavera, il giorno internazionale del lavoro, il giorno della
nazione, altre feste fissate da leggi e regolamenti).
Il lavoro straordinario è remunerato secondo i seguenti parametri, fissati dall’art. 44:
• salario pari ad almeno il 150% rispetto a quello normalmente percepito nel caso in cui si lavori oltre
l’orario normale;
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• salario pari ad almeno il 200% rispetto a quello normalmente percepito nel caso in cui si lavori nei
giorni destinati alle ferie;
• salario pari ad almeno il 300% rispetto a quello normalmente percepito nel caso in cui si lavori nei
giorni di festa nazionale.
4.3.5. Retribuzione
Il datore di lavoro fissa i livelli di retribuzione in base alle indicazioni di legge dettate per la propria
categoria di impresa; tali indicazioni sono calcolate in base alla situazione economica del paese.
Lo Stato attua un sistema di salario minimo garantito, al di sotto del quale la retribuzione non può
scendere; specifici standard possono essere dettati anche dalle autorità locali, ma devono essere approvati
dal Consiglio di Stato. I criteri per la determinazione sono quelli indicati nello stesso art. 48 (costo
della vita; livello di sviluppo economico; produttività; livello di disoccupazione; differenze di livello
economico tra regioni).
4.3.6. Sicurezza e salute dei lavoratori
Il datore di lavoro deve organizzare e, eventualmente, perfezionare un proprio sistema che, sulla base
degli standard e delle norme di legge, garantisca la sicurezza del lavoratore, prevenga gli incidenti e
riduca i rischi (art. 52).
La legge stabilisce, poi, in materia di sicurezza precisi obblighi comportamentali in casi speciali, quale
l’obbligo di far eseguire periodici controlli medici, organizzare corsi specifici per l’esecuzione di lavori
speciali o la scrupolosa osservanza delle norme di legge in caso di lavori altamente pericolosi (artt. 53
e ss.).
Regole particolari sono dettate, per le lavoratrici e per i giovani lavoratori tra i 16 e i 18 anni (artt. 58
e ss.).
4.3.7. Controversie
Nel caso in cui sorgano controversie tra lavoratori e datori, essi possono scegliere quale via di risoluzione
quella della conciliazione, quella dell’arbitrato o quella giudiziale (art. 77).
La legge prevede, inoltre, la costituzione di appositi comitati di conciliazione per le dispute legate al
lavoro, formati da rappresentanti dei lavoratori, del datore di lavoro e delle associazioni sindacali e tra
i componenti di queste ultime viene, solitamente, scelto il presidente. Alla decisione emessa da tale
comitato le parti danno esecuzione, se vi è una comune volontà in tal senso (art. 80).
La legge prevede anche dei collegi arbitrali per le dispute legate al lavoro, formati dagli stessi soggetti
di quelli di conciliazione, ma a cui si aggiungono rappresentanti delle amministrazioni competenti per
il lavoro, tra i quali ultimi viene generalmente nominato il presidente (art. 81). Per la revisione di un
lodo arbitrale sfavorevole, le parti possono adire il tribunale entro 15 giorni da quando il lodo stesso è
stato emesso (art. 83).
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4.3.8. Supervisione e ispezione
Le amministrazioni competenti per il lavoro possono controllare e verificare l’osservanza da parte del
datore delle leggi e dei regolamenti e possono porre fine ad una condotta eventualmente contraria ad
essi (art. 85). All’esito dell’ispezione, le amministrazioni rilasciano attestati di conformità alle prescrizioni
di legge.
4.3.9. Responsabilità
In seguito a qualsiasi violazione, compiuta dal datore, degli obblighi impostigli, le amministrazioni
competenti dovrebbero intimargli di adeguarsi alle norme di legge, fornendogli anche le opportune
indicazioni.
In ciascuna delle ipotesi indicate dall’art. 91 (ritardo ingiustificato nel pagamento dello stipendio; rifiuto
di pagare gli straordinari; mancato rispetto del limite del minimo garantito; mancato versamento della
liquidazione di fine rapporto), il datore deve pagare quanto dovuto e risarcire in ragione dei danni
arrecati o, comunque, in via equitativa.
4.3.10. Associazioni sindacali e diritto di sciopero
L’art. 7 riconosce ai lavoratori il diritto di organizzare e partecipare ad associazioni sindacali, le quali
rappresentano e salvaguardano i diritti e gli interessi legittimi dei lavoratori e organizzano attività di
propria iniziativa nei limiti riconosciuti dalla legge. Come già si è avuto modo di vedere, le associazioni
sindacali partecipano attivamente nella vita sindacale dei lavoratori, ad esempio rappresentandoli nella
stipula di contratti collettivi o nel corso di eventuali processi per controversie lavorative.
Le associazioni sindacali sono disciplinate dalla legge sui sindacati promulgata il 3 aprile 1992 dal
settimo Congresso nazionale.
Per quanto riguarda il diritto di sciopero, questo era un diritto costituzionalmente garantito fino alla
riforma della Costituzione del 1982. Attualmente le leggi tacciono al riguardo, pertanto né da un lato
è espressamente tutelato dall’ordinamento giuridico, né dall’altro è oggetto di esplicita repressione.
4.3.11. Contratti di lavoro con stranieri
I rapporti di lavoro con lavoratori stranieri trovano la propria fonte di disciplina nei Regolamenti di
amministrazione sull’impiego di stranieri in Cina, adottati dal Ministero del Lavoro, dal Ministero di
Pubblica sicurezza e dal Ministero del Commercio estero e della Cooperazione economica il 22 gennaio
1996.
L’assunzione di tali lavoratori da parte di imprese cinesi è subordinata alla richiesta e alla concessione
di un certificato della RPC di permesso all’impiego di dipendenti stranieri (art. 5). L’impiego di lavoratori
senza il certificato di permesso fa incorrere il datore di lavoro in una responsabilità penale disciplinata
dai Regolamenti sull’immigrazione (art. 28).
I lavoratori stranieri che vogliono lavorare in Cina devono soddisfare i seguenti requisiti (art. 7):
a) avere 18 anni di età ed essere in salute;
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b) possedere le necessarie qualifiche ed esperienze professionali per quel tipo di lavoro;
c) non avere pendenze o condanne penali;
d) possedere validi documenti di riconoscimento.
L’art. 9 detta particolari qualificazioni professionali che esentano dalla necessità del certificato di
permesso e di quello di impiego (esperti e professionisti pagati dal governo o la cui competenza
professionale sia stata riconosciuta a livello internazionale; lavoratori in operazioni nel mercato del petrolio
non soggette a tassazione; gli stranieri che abbiano già un permesso di soggiorno temporaneo per tenere
spettacoli artistici a scopo di lucro in Cina, rilasciato dal Ministero della Cultura).
L’art. 18 del Regolamento fissa il termine massimo di un contratto di lavoro per lavoratori stranieri in
5 anni, ma tali contratti possono, però, essere rinnovati, una volta che sia nuovamente rilasciato il
certificato di impiego, che scade una volta scaduto il contratto, su domanda del datore entro 30 giorni
dalla scadenza del contratto originario.
4.4. I contratti di lavoro conclusi da imprenditori stranieri
4.4.1. Considerazioni generali
Particolari considerazioni devono essere svolte circa i rapporti di lavoro che si instaurano tra i lavoratori
cinesi e le imprese a capitale straniero (FIE) o le joint-venture straniere o a partecipazione straniera.
Gli investitori stranieri sul mercato cinese, infatti, si scontrano spesso con una visione delle questioni
legate al lavoro diversa dalla propria.
La Cina, peraltro, è sempre stata una nazione caratterizzata da un grande numero di posti di lavoro e,
come si è visto, da una forte politica di collocamento lavorativo. La trasformazione delle piccole imprese
in grandi società, che ha caratterizzato l’economia della RPC negli ultimi anni, ha in buona misura
aumentato il numero di lavoratori disoccupati. Per tale ragione, la Cina ha adottato un sistema di
amministrazione delle risorse umane per attrarre, anche per questo aspetto, gli investitori stranieri.
4.4.2. Composizione del personale
Nella costituzione di una FIE, la parte cinese cerca sempre di calcolare il numero di collaboratori di
cui l’investitore straniero dovrà necessariamente avvalersi affinché l’attività funzioni con successo e
nelle negoziazioni per la costituzione di joint-venture, in particolare, i Cinesi contrattano in modo da
impiegare il numero più elevato possibile di loro lavoratori. La costituzione, invece, di un’impresa
interamente posseduta da stranieri consente agli stessi di avere maggiore potere decisionale sulla
compagine dei lavoratori.
L’investitore straniero dovrebbe, in particolare, preventivare il numero dei lavoratori richiesti appartenenti
alle seguenti categorie e il loro training necessario: (i) lavoratori specializzati; (ii) lavoratori non
specializzati; (iii) ingegneri, supervisori e altri professionisti; (iv) personale per ruoli manageriali.
4.4.3. Fonti di reperimento del personale
Il personale che lavora in una FIE è solitamente assunto tra (i) dipendenti della parte cinese; (ii)
dipendenti della società straniera; (iii) reclutamento diretto dello staff cinese locale.
90
E’ ora possibile un reclutamento sul luogo di lavoratori cinesi, attraverso le agenzie di lavoro, negli
ultimi anni sempre più diffuse, specie nei parchi industriali.
4.4.4. Spese per la forza lavoro
Il consiglio di amministrazione di una FIE, al momento della costituzione della stessa, dovrà fissare lo
stipendio medio del proprio staff ad un livello non inferiore a quello dello staff locale nello stesso settore.
D’altro canto, però, la controparte cinese potrebbe esigere che anche i propri manager ricevano un salario
di pari livello di quello percepito dai manager stranieri. A tale richiesta gli investitori stranieri potrebbero
ovviare in vario modo, garantendo, ad esempio, che la differenza venga corrisposta in benefits (casa,
viaggi, assicurazioni sanitarie, etc.) oppure, in via più drastica, riducendo il numero di manager cinesi.
4.4.5. Gestione dei lavoratori
La legislazione cinese consente il licenziamento da parte delle FIE dei lavoratori limitatamente ai casi
di violazione delle regole dettate dalla società, di comportamento disonesto o di colpa grave.
Per evitare, dunque, le difficoltà di licenziare i lavoratori locali, l’imprenditore straniero dovrebbe
stipulare contratti a termine o indicare nel contratto le condizioni che portano alla risoluzione dello
stesso, essendogli riconosciuta tale possibilità dalla legge cinese.
Un altro aspetto molto importante da regolare in sede di costituzione di una FIE è quello dell’addestramento
dei lavoratori cinesi, che, oltre ad assicurare un miglior funzionamento dell’impresa, consente il
trasferimento delle conoscenze dall’estero in Cina.
4.4.6. Clausole di riservatezza e di non concorrenza
In forza della legge sul lavoro cinese, come già illustrato, nei contratti di lavoro può essere fissato un
obbligo in capo al dipendente per cui questi, qualora sia a conoscenza dei segreti commerciali del
proprio datore, alla conclusione del rapporto con questo, non possa lavorare per un concorrente o
produrre prodotti simili o intraprendere affari simili a quelli dell’ex datore per un certo periodo di tempo
(di solito non superiore ai tre anni) dopo la conclusione del rapporto. In cambio, il datore di lavoro è
tenuto a corrispondere una certa somma di denaro.
5. IL REGIME DELLA PROPRIETA’ IMMOBILIARE
5.1. Fonti
La proprietà immobiliare è disciplinata dalla Costituzione del 1982, dalla Legge sulla Proprietà Immobiliare
dei Terreni del 1986 (modificata nel 1998), dal Regolamento Provvisorio sulla cessione dei diritti d’uso
sugli immobili urbani del 1990 (“Regolamento Provvisorio”), dal Regolamento sullo sviluppo degli
investimenti stranieri e la gestione di appezzamenti di terreno del 1990 (“Regolamento sullo Sviluppo”),
dalla Legge sulla Proprietà Immobiliare Urbana del 1995, dal Regolamento sugli edifici ad uso abitativo
di proprietà di enti stranieri del 1984.
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Esistono inoltre numerosi provvedimenti delle autorità locali aventi ad oggetto incentivi all’investimento
immobiliare.
Il mercato immobiliare è amministrato dall’Ufficio Immobiliare dello Stato che provvede alla registrazione
dei terreni e degli altri immobili e degli atti ad essi relativi. In particolare, l’Ufficio Immobiliare è competente
a rilasciare un certificato che è necessario a qualsiasi utente per utilizzare effettivamente il bene immobile.
5.2. Proprietà sui terreni
Come nella maggior parte dei paesi comunisti, anche in Cina i privati non possono essere titolari di
diritti di proprietà esclusiva su terreni urbani ed extraurbani.
La Costituzione Cinese stabilisce all’articolo 10 che la proprietà immobiliare sui terreni di natura urbana
è detenuta dallo Stato. L’articolo 11 stabilisce invece che la proprietà immobiliare di terreni di natura
rurale e suburbana appartiene alle comunità rurali. Essendo le comunità rurali amministrate dai governi
locali cinesi, si può concludere che di fatto la proprietà immobiliare su tutti i terreni nella Repubblica
Cinese appartiene allo Stato.
La Costituzione prevede l’espresso divieto per i privati di acquistare, vendere o trasferire terreni.
5.3. Diritto d’uso
Tradizionalmente, alla maggior parte degli enti di diritto cinese (società o associazioni) e dei cittadini
cinesi erano concessi diritti di utilizzo dei terreni senza alcun corrispettivo e senza durata predeterminata.
Dal 1988, ai privati, sia cinesi che stranieri, è concessa, dalla stessa Costituzione, la possibilità di
acquisire il diritto di utilizzo (“tudi shiyongquan”) su tali terreni per una durata predeterminata, mediante
un vero e proprio contratto. Il contratto attribuisce un diritto d’uso di lungo termine che viene concesso
contro il versamento di un corrispettivo. Si tratta di una sorta di leasehold, istituto di origine anglosassone.
Il Regolamento Provvisorio afferma infatti che lo Stato, in conformità al principio secondo il quale la
proprietà del terreno può essere separata dal diritto di utilizzo di tale terreno, intende attuare un sistema
per cui il diritto d’uso dei terreni di proprietà statale nelle aree urbane può essere trasferito e ceduto a
privati, ad eccezione del sottosuolo e delle opere pubbliche.
5.3.1. Acquisto e vendita del diritto
Ai sensi dell’articolo 13 del Regolamento Provvisorio i modi di acquisto dei diritti di utilizzo di un
terreno sono:
1) contratto;
2) offerta pubblica;
3) asta pubblica.
In realtà, la forma più comune di trasferimento di tali diritti d’uso è la forma contrattuale.
La cessione dei diritti di utilizzo dall’ente pubblico ai privati è disciplinata dagli articoli 8 e seguenti
del Regolamento Provvisorio.
92
L’Ufficio Immobiliare competente redige un piano di sviluppo che deve essere conforme alle linee guida
del piano regolatore generale, e che disciplina le dimensioni, lo scopo, il periodo e altre condizioni
dell’attività di sviluppo che verrà esercitata sul terreno. Il contratto di concessione del diritto d’uso deve
rispettare ed essere conforme a tale piano di sviluppo; la violazione del piano legittima il proprietario
del terreno a risolvere il contratto di cessione e revocare il diritto d’uso. L’utente è vincolato al tipo di
utilizzo previsto nel piano e nel contratto stipulato con l’amministrazione proprietaria.
Ai sensi dell’articolo 18 del Regolamento Provvisorio, nel caso in cui l’utente voglia modificare lo
specifico uso, deve farne espressa richiesta all’amministrazione proprietaria del bene e all’Ufficio
Immobiliare e, nel caso sia autorizzato a modificarne l’utilizzo, egli è tenuto a sottoscrivere con
l’amministrazione proprietaria un nuovo contratto di cessione con il relativo aggiornamento del prezzo
e a registrare la modifica presso l’Ufficio Immobiliare.
5.3.2. Durata del diritto
Il contratto sottoscritto tra l’ente pubblico e l’investitore prevede necessariamente uno specifico termine
di durata dei diritti d’uso. Il conduttore ha facoltà di rinnovare il contratto anche più volte, a condizione
che la durata complessiva del diritto d’uso non superi:
• 70 anni per i terreni adibiti ad uso abitativo;
• 50 anni per i terreni adibiti ad uso industriale e quelli utilizzati per scopi educativi, scientifici,
tecnologici, sanitari, sportivi;
• 40 anni per i terreni ad uso commerciale, turistico e ricreativo;
• 50 anni per gli altri tipi di uso.
Si noti tuttavia che alcune autorità locali hanno adottato provvedimenti che stabiliscono una durata
diversa da quanto stabilito dal Regolamento Provvisorio, ciò soprattutto a vantaggio degli edifici ad uso
abitativo e a svantaggio degli edifici ad uso turistico ricreativo.
5.3.3. Corrispettivo
Non esistono norme che disciplinano l’importo minimo e massimo del corrispettivo o che stabiliscano
i criteri per la sua determinazione. Di regola il corrispettivo è determinato sulla base delle diverse
posizioni geografiche, dei settori di attività, dei volumi di investimento, delle condizioni di utilizzo.
Nella prassi si assiste al ricorso a perizie, ma visto che nel passato, tradizionalmente, gli immobili erano
concessi in uso gratuitamente, gli operatori non sono ancora in grado di svolgere in modo efficiente le
attività di consulenza tecnica.
Ai sensi dell’articolo 14 del Regolamento Provvisorio, il corrispettivo per la cessione dei diritti d’uso
deve essere pagato entro 60 giorni dalla data del contratto. Eventuali ritardi nel pagamento legittimano
l’amministrazione proprietaria alla risoluzione del contratto.
Inoltre, il titolare del diritto d’uso è tenuto ad investire, nel primo anno, una somma pari ad almeno il
25% del prezzo di cessione per la realizzazione del progetto.
5.3.4. Certificato
Ai sensi dell’articolo 15 del Regolamento Provvisorio, una volta pagato il corrispettivo il titolare del
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diritto d’uso ha diritto di ottenere un certificato immobiliare d’uso.
L’utente non è legittimato ad utilizzare o cedere il terreno fino a che il certificato non viene emesso.
Tale certificato può essere rilasciato solamente previo pagamento del corrispettivo e solamente una volta
conclusa la procedura di registrazione presso l’Ufficio Immobiliare.
5.3.5. Acquisto automatico
L’acquisto automatico dei diritti d’uso avviene di regola tramite conferimento da parte del partner cinese
di tali diritti d’uso nella joint-venture costituita con l’investitore straniero.
In seguito al conferimento dei diritti d’uso (sia quelli direttamente ottenuti dall’amministrazione pubblica
che quelli ottenuti da un sub-contratto con il precedente utente), la joint-venture partecipata dall’investitore
straniero non deve stipulare un nuovo contratto e non deve pagare alcun corrispettivo. In virtù del
conferimento, la joint-venture acquista automaticamente il diritto di utilizzare l’immobile.
Tale vantaggio ha spinto molti operatori a costituire joint-venture societarie o contrattuali al solo scopo
di evasione fiscale o di speculazione illecita.
Come reazione, le autorità locali stanno maturando un atteggiamento più severo e intensificano e
approfondiscono i controlli e i requisiti dei programmi di sviluppo dei terreni acquistati dagli investitori
stranieri.
5.3.6. Estinzione
Il diritto d’uso si estingue per:
1) scadenza del termine;
2) revoca del diritto d’uso;
3) perimento del terreno.
Alla scadenza del termine, il diritto d’uso viene restituito all’amministrazione statale senza alcun
corrispettivo. L’utente deve restituire il certificato immobiliare e svolgere le formalità per cancellare la
registrazione del proprio diritto d’uso.
Nel caso in cui l’utente concordi con l’amministrazione proprietaria il rinnovo del diritto d’uso, le parti
dovranno stipulare un nuovo contratto.
5.3.7. Atti di disposizione del diritto
Il titolare del diritto d’uso ha facoltà di disporre del proprio diritto mediante vendita, permuta, e
donazione. Si noti che qualora l’attività di sviluppo prescritta in capo all’utente dal piano di sviluppo
non sia stata effettuata, il diritto d’uso non potrà essere ceduto.
L’atto con cui l’utente cede il diritto d’uso ad un altro utente è un atto di natura privatistica: l’ente
pubblico e l’Ufficio Immobiliare intervengono, ma con una mera funzione di controllo.
L’atto di cessione deve rispettare determinati criteri, che differiscono a seconda dei regolamenti governativi
vigenti nella località in cui si trova l’immobile.
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In generale sono richiesti i seguenti requisiti:
• che sia avvenuto l’integrale pagamento del corrispettivo da versarsi all’ente pubblico proprietario del
bene immobile;
• che sia stato rilasciato il certificato d’uso;
• che sia stata versata una percentuale (di regola il 25%) dell’investimento necessario alla realizzazione
del piano di sviluppo.
Ai sensi degli articoli 19 e 20 del Regolamento Provvisorio il diritto di utilizzo deve essere ceduto
mediante contratto. Di regola il nuovo conduttore è tenuto a registrare l’avvenuta cessione entro 15
giorni presso l’Ufficio Immobiliare competente e a pagare la tassa governativa di cessione.
Si noti che le eventuali obbligazioni gravanti sul precedente utente rimangono in vigore e dovranno
essere adempiute dal nuovo utente. Eventuali modifiche del tipo di utilizzo che l’utente intenda svolgere
in relazione all’immobile devono essere oggetto di preventiva approvazione da parte dell’Ufficio
Immobiliare.
Una volta perfezionato il contratto di cessione del diritto di utilizzo del terreno, viene automaticamente
trasferito altresì il diritto di proprietà sugli edifici e sulle strutture e pertinenze insistenti sull’immobile.
La cessione del diritto d’uso sul terreno separatamente dal diritto di proprietà sugli immobili e sulle
pertinenze su di esso insistenti deve essere espressamente autorizzata dagli uffici immobiliari competenti
e dagli uffici edilizi.
Il nuovo utente potrà utilizzare il terreno per il tempo residuo fino al termine di scadenza.
5.4. Contratto di locazione
L’utente di un terreno ha altresì facoltà di concedere il bene in locazione a terzi che hanno l’obbligo di
pagare un canone periodico.
Il contratto di locazione deve essere stipulato in forma scritta e deve indicare il termine della locazione,
lo scopo, il canone di locazione, e le obbligazioni di manutenzione.
Il locatore ed il conduttore devono registrare il contratto di locazione entro 20 giorni dalla sua stipulazione.
Una volta stipulato il contratto di locazione, il conduttore deve rispettare le obbligazioni di realizzazione
del piano di sviluppo del terreno. Il titolare del diritto d’uso (locatore) tuttavia rimane responsabile nei
confronti della amministrazione proprietaria per l’adempimento di tali obbligazioni. Si noti infatti che
il contratto di locazione, dal punto di vista giuridico, non comporta il trasferimento del diritto di uso.
Come nel diritto italiano, la cessione del diritto d’uso non comporta la risoluzione del contratto di locazione,
bensì il contratto di locazione continua con il nuovo titolare del diritto d’uso.
La disciplina privatistica del contratto di locazione è contenuta nella Legge sui Contratti del 1999.
Il contratto di locazione è definito dall’articolo 212 come il contratto ai sensi del quale il locatore concede
un bene mobile o immobile al conduttore perché questi lo utilizzi o ne acquisisca i frutti contro pagamento
di un canone periodico.
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Il contratto deve indicare l’oggetto del contratto, il termine di durata, l’importo del canone, il metodo
di pagamento di tale canone, e le obbligazioni di manutenzione.
Il termine del contratto di locazione non può eccedere i 20 anni. Qualora il termine stipulato sia maggiore
di tale durata, il contratto si intenderà automaticamente stipulato per la durata massima consentita.
Alla scadenza del contratto le parti possono rinnovarlo, a condizione che la durata complessiva non
superi il limite sopraddetto.
Il contratto di locazione per una durata superiore a sei mesi deve essere fatto per iscritto. In mancanza,
il contratto si intenderà stipulato a tempo indeterminato, sempre comunque entro il limite massimo di
venti anni.
Un contratto di locazione a tempo indeterminato può essere risolto da ciascuna parte in qualsiasi
momento. Il locatore è tenuto a dare al conduttore un ragionevole preavviso.
Nel caso in cui, alla scadenza del termine di durata, il conduttore continui a utilizzare il bene locato
senza che il locatore eccepisca alcunché, il contratto rimane in vigore e diviene un contratto a tempo
indeterminato (fermo il limite massimo di venti anni).
Le obbligazioni del locatore sono le seguenti:
- consegnare il bene locato;
- mantenere il bene locato idoneo all’uso salvo diverso accordo delle parti.
Qualora il bene necessiti di riparazioni, il conduttore ha facoltà di chiedere l’intervento del locatore. In
mancanza il conduttore ha facoltà di effettuare direttamente le riparazioni a spese del locatore. Nel caso
in cui l’utilizzo del bene sia impedito in tutto o in parte, il conduttore ha diritto ad una riduzione del
canone di locazione.
Le obbligazioni del conduttore sono le seguenti:
- utilizzare il bene come disposto dal contratto di locazione (o in mancanza secondo l’uso che deriva
dalla natura del bene locato);
- utilizzare il bene con la diligenza del buon padre di famiglia;
- pagare il canone entro il termine stabilito.
Nel caso in cui il conduttore abbia utilizzato il bene come prescritto dal contratto, non sarà responsabile
per l’usura che ne sia derivata.
Qualora non sia stato convenuto un termine per il pagamento del canone, nel caso in cui il termine della
locazione sia inferiore ad un anno, il pagamento va effettuato alla fine della locazione, nel caso invece
in cui la durata della locazione sia superiore ad un anno, il pagamento va effettuato con cadenza annuale.
In caso di mancato pagamento, il locatore può risolvere il contratto.
Con il consenso del locatore, il conduttore può effettuare miglioramenti o addizioni al bene locato. In
mancanza della preventiva autorizzazione del locatore, quest’ultimo ha diritto di richiedere il ripristino
dello status quo ante.
Il conduttore può sublocare il bene soltanto con l’autorizzazione del locatore e rimane comunque
responsabile nei confronti di quest’ultimo per gli eventuali danni arrecati al bene locato dal subconduttore.
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I frutti derivanti dal bene locato sono di proprietà del conduttore.
Il trasferimento della proprietà e del diritto d’uso sul bene non ha effetto sul vigore del contratto di
locazione. Va detto però che il conduttore ha un diritto di prelazione in caso di vendita del bene locato.
Nel caso in cui l’uso del bene sia diventato particolarmente gravoso o impossibile, il conduttore ha
facoltà di risolvere il contratto.
5.5. Diritti reali di garanzia
Il diritto cinese prevede la possibilità di costituire ipoteca sul diritto d’uso del terreno. L’ipoteca si
costituisce mediante contratto, che deve essere registrato presso l‘Ufficio Immobiliare entro 15 giorni
dalla data del contratto.
Nel caso di scadenza dei termini, ove l’obbligazione garantita non sia stata adempiuta, il creditore avrà
il diritto di registrarsi come nuovo titolare del diritto d’uso.
5.6. Diritti d’uso a titolo gratuito
La legge cinese prevede che l’amministrazione statale possa concedere in uso i terreni anche gratuitamente.
Nella prassi tale diritto viene costituito esclusivamente a favore di soggetti di diritto cinese.
Il diritto d’uso gratuito non può essere ceduto, o concesso in locazione o costituito in garanzia se non
alle seguenti condizioni:
• che sia stata ottenuta l’approvazione degli Uffici Immobiliari e degli Uffici Edilizi;
• che l’utente sia una società, impresa o persona fisica;
• che sia stato ottenuto il certificato immobiliare del terreno;
• che sia stato ottenuto un certificato immobiliare per gli immobili insistenti sul terreno;
• che sia stato stipulato un contratto di cessione e il canone di cessione sia stato corrisposto.
La legge stabilisce che lo Stato possa in ogni momento chiedere la restituzione del possesso del terreno
concesso gratuitamente (espropriazione), senza dover corrispondere alcuna indennità, sulla base delle
esigenze del piano regolatore generale. In tale caso l’amministrazione espropriante può concedere
un’indennità per la espropriazione degli immobili insistenti sul terreno.
Di fatto, a causa di considerevoli lacune legislative, tale diritto non viene quasi mai esercitato dallo
Stato cinese.
5.7. Edifici
L’articolo 13 della Costituzione cinese e gli articoli 75 e seguenti dei PGDC ammettono espressamente
la possibilità di acquisire e di ricevere in eredità diritti di proprietà esclusiva sugli edifici.
Il diritto cinese ammette dunque la proprietà privata sui fabbricati, diversamente dunque dalla proprietà
dei terreni che rimane sempre di titolarità pubblica.
Come già detto, tuttavia, gli atti di disposizione del terreno sono strettamente collegati con gli atti di
disposizione degli immobili su di esso insistenti.
97
Ai sensi dell’articolo 31 della Legge sullo Sviluppo Urbano, infatti, la cessione della proprietà di un
immobile o la sua costituzione in garanzia sono accompagnate di regola dalla cessione del diritto d’uso
del terreno.
Vi è un controllo dell’amministrazione statale, anche ai fini fiscali, sui prezzi dei beni immobili. In
occasione di un atto di cessione, il cedente deve dichiarare il valore della cessione all’amministrazione
statale competente.
L’immobile non può essere ceduto se non quando sono soddisfatte le seguenti condizioni:
• il corrispettivo per la cessione del diritto d’uso sul terreno sia stato pagato;
• il 25% dell’investimento previsto per lo sviluppo del terreno sia stato versato;
• non siano stati emessi provvedimenti giudiziali di sequestro;
• siano stati ottenuti i consensi degli eventuali comproprietari;
• non siano pendenti controversie relative all’immobile;
• sia stato ottenuto il certificato immobiliare di proprietà dell’immobile e la proprietà sia stata registrata;
• non sia altrimenti impedita la cessione dell’immobile da disposizioni regolamentari o legislative.
L’atto di cessione deve essere effettuato mediante contratto scritto e di regola deve indicare altresì la
modalità con cui avviene la cessione del diritto d’uso del terreno.
5.8. Vendita di immobili in costruzione
Il diritto cinese prevede la possibilità di compravendere un edificio prima che la sua realizzazione sia
completata (una sorta di vendita di cosa futura).
La vendita degli appartamenti ed edifici in costruzione è disciplinata a livello locale da regolamenti
delle autorità amministrative immobiliari, le quali hanno altresì funzioni di controllo del mercato
immobiliare degli appartamenti in costruzione.
In generale il titolare del diritto d’uso del terreno, per essere legittimato ad alienare beni immobili da
costruire sul terreno, deve soddisfare le seguenti condizioni:
• aver pagato il corrispettivo per l’acquisto del diritto d’uso;
• aver versato il 25% dell’investimento necessario al piano di sviluppo;
• aver ottenuto dall’Ufficio Immobiliare il certificato d’uso;
• aver conseguito la licenza edilizia da parte delle autorità immobiliari locali;
• aver conseguito la licenza per la vendita anticipata.
Alcune autorità locali richiedono ai costruttori di produrre una relazione di una banca o di un commercialista
che attesti la congruità dell’investimento pianificato e delle somme versate.
Le somme ricevute dalla vendita di tali immobili di regola devono essere utilizzate per completare lo
sviluppo del terreno.
6. IL SISTEMA DI SOLUZIONE DELLE CONTROVERSIE
6.1. Introduzione
Con evidenti aspetti di vicinanza agli ordinamenti giuridici di civil law, il sistema di risoluzione delle
controversie nella Repubblica popolare cinese si muove sul doppio binario, da un lato del processo
civile ordinario, dall’altro dell’arbitrato.
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Il sistema così come attualmente costituito è, evidentemente, molto recente, in quanto anch’esso risultato
delle profonde modifiche istituzionali che discendono dall’evolversi negli ultimi decenni della storia
politica cinese.
Il processo civile ordinario risale a poco più di dieci anni or sono: esso, infatti, trova la propria fonte
regolamentare nella “Legge di procedura civile”, adottata dalla quarta sessione del settimo Congresso
nazionale, tenutasi il 9 aprile 1991.
Ancora meno risalente nel tempo è la legge che disciplina la risoluzione delle controversie tramite il
ricorso al sistema dell’arbitrato. Si tratta della “Legge sull’arbitrato della RPC”, adottata dalla nona
sessione del comitato permanente dell’ottavo Congresso nazionale, svoltosi il 31 agosto 1994.
6.2. Le peculiarità del sistema giudiziario
L’analisi del processo civile in Cina presuppone l’illustrazione di alcune peculiarità da cui tale sistema
è permeato e della cui esistenza è necessario essere a conoscenza per meglio comprendere il funzionamento
della giustizia cinese.
Gli operatori rilevano che il potere giudiziario ha particolare riguardo, nell’esercizio delle proprie
funzioni, alla tutela degli interessi governativi. Nell’attuale sistema giudiziario, infatti, i giudici sono
sempre fedeli al governo - che, tramite l’amministrazione governativa locale ne paga i salari, così come
agli altri componenti del personale giudiziario -, una fedeltà che si traduce, però, in una certa
accondiscendenza verso il potere politico. La corresponsione della retribuzione ai giudici da parte dei
governi locali, infatti, permette ai rappresentanti degli stessi di esercitare una forte pressione sui giudici.
Nel caso in cui i giudici vengano aditi per controversie aventi rilievo per il potere governativo, viene
“dall’alto” esercitata una certa pressione affinché l’esito del giudizio non contrasti con gli interessi
governativi, che a volte hanno maggior peso delle regole di giustizia ed equità.
Anche la Cina è un paese di Civil law, nel senso che la fonte della legge è il diritto positivo scritto;
anche nella RPC, pertanto, non si applica il sistema del living case, tipico dei sistemi di common law,
in cui i provvedimenti di legge sono fonti di legge per i casi simili. Non per questo, però, si nega un
potere persuasivo ai precedenti, come del resto avviene generalmente anche in tutti i paesi di tradizione
romanistica.
6.3. L’ordinamento giudiziario
L’ordinamento giudiziario cinese, regolato nel capitolo secondo della legge di procedura civile, si
compone di quattro livelli, in cui si trovano, rispettivamente, il Tribunale Distrettuale (District Court),
il Tribunale Intermedio (Intermediate Court), l’Alto Tribunale (High Court), il Tribunale Supremo
(Supreme Court). I vari livelli non indicano, come nel nostro processo civile, i gradi della causa, bensì
distinguono diverse competenze per materia o di valore. Va, comunque, sottolineata la poca chiarezza
delle disposizioni della legge di procedura civile nell’individuare i criteri di competenza.
La District Court, regolata dall’art. 18 della legge di procedura, è un tribunale definito dal legislatore
come “livello base” (“the ground-level people’s court”), competente a giudicare delle generali controversie
civili di primo grado.
L’Intermediate Court (art. 19 della legge di procedura) giudica le controversie di primo grado, riguardanti
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(i) casi di particolare rilievo in cui una delle parti è straniera; (ii) casi di grande impatto svoltisi
nell’ambito della sua giurisdizione; (iii) casi che la Supreme Court ha decretato ricadere entro la sua
giurisdizione. In altri termini, l’Intermediate Court decide il primo grado per quelle fattispecie che
presentano elementi di fatto e di diritto particolarmente complessi o di importanza pubblica o che hanno
ad oggetto una notevole somma di denaro o, appunto, che coinvolgono stranieri.
La High Court (art. 20) è, invece, competente per le questioni di estremo interesse, mentre la Supreme
Court (art. 21) è giudice di prima istanza (i) per casi di notevole rilievo a livello nazionale o (ii) per i
casi che essa stessa ritenga essere suo compito giudicare.
6.3.1. Il collegio giudicante
Il collegio giudicante (art. 40) è, nelle controversie civili di primo grado, composto di giudici togati e
di periti o, altrimenti, soltanto di giudici, sempre in numero dispari (di solito variabile tra tre e cinque).
I periti che siedono nel collegio giudicante, nell’esercizio delle loro funzioni, hanno gli stessi diritti e
obblighi dei giudici.
Nelle cause in cui si applicano procedure abbreviate, la decisione è presa da un giudice unico.
Nel secondo grado del giudizio (art. 41), il collegio giudicante è formato soltanto da giudici, sempre
in numero dispari.
6.3.2. Proposizione dell’azione
Generalmente l’azione civile deve essere esperita entro due anni dal momento in cui l’attore è venuto
a conoscenza o avrebbe dovuto sapere che il proprio diritto era stato violato (art. 135, Principi generali
del diritto civile).
Alla precitata regola generale sussistono delle eccezioni, quali, ad esempio, quelle dettate nella legge
marittima per il caso di trasporto di prodotti ittici (il cui termine è 1 anno) o per il caso di danno ambientale
(3 anni).
Le parti possono comunque accordarsi per estendere i termini predetti, entro, però, il limite massimo
di 20 anni da quando il diritto è stato violato (art. 137 Principi generali del diritto civile).
6.3.3. Svolgimento del processo
L’onere della prova a sostegno delle argomentazioni addotte in giudizio è posto in capo alle parti dal
chiaro disposto dell’art. 64 della legge di procedura civile.
Nello svolgersi del procedimento, il giudice cinese svolge un ruolo decisamente attivo, in quanto investito
di un certo potere inquisitorio. L’art. 64 della legge di procedura civile stabilisce, infatti, che il tribunale
debba esso stesso investigare e assumere le prove che le parti non sono oggettivamente in grado di
produrre o che, comunque, il tribunale reputi necessarie per l’udienza.
Dopo aver ricevuto l’atto di citazione e la comparsa di costituzione, il giudice convocherà le parti e
invierà loro copia dell’ “atto di notifica di prova” (evidence notification), che dispone i rispettivi oneri
di prova delle parti sulle diverse questioni in discussione, i requisiti e il periodo entro il quale addurre
100
la prova. Il mancato rispetto del termine fissato nella “evidence notification” preclude la possibilità che
la prova venga esaminata in contraddittorio tra le parti in udienza e ammessa in giudizio, salvo l’accordo
contrario delle parti stesse (art. 65 legge di procedura civile). Nel caso in cui non si proceda all’esame
in contraddittorio, la prova non può essere assunta (art. 47, circolare interpretativa concernente le prove
civili emanata dalla Supreme Court). Le parti possono addurre “nuove prove” fuori dal predetto termine
di decadenza, solo nel caso in cui dimostrino che tali prove sono state scoperte successivamente o che
era impossibile produrle prima.
Tutte le prove assunte devono essere oggettivamente esaminate e verificate dal collegio giudicante (art.
64). L’art. 63 chiarisce, infatti, che nessuna prova può di per sé essere la base per determinare lo svolgersi
di un evento, se non è prima accertata e verificata.
L’art. 63 individua le diverse categorie di prove producibili in giudizio:
a) prove documentali;
b) materiale probatorio (ad esempio, l’oggetto danneggiato);
c) materiale video e audio;
d) dichiarazioni testimoniali
e) dichiarazioni rese dalle parti;
f) perizie di esperti;
g) verbali delle ispezioni.
Solo di recente, a seguito dello sviluppo del sistema legale cinese, al tribunale - similmente a quanto
avviene nei sistemi di common law, in cui le parti hanno un obbligo alla disclosure preventiva delle
prove – è stato attribuito il potere di ordinare alle parti di scambiarsi le prove prima del giudizio o su
loro stessa richiesta o, conformemente alla circolare interpretativa concernente le prove civili emanata
dalla Supreme Court nel 2001, se il tribunale considera il caso complicato e le prove fondamentali alla
sua risoluzione.
Lo scambio delle prove antecedente alla decisione dovrebbe svolgersi sotto la supervisione degli stessi
giudici e non dovrebbe avvenire per più di due volte, salvo che il tribunale non ritenga necessario che
si ripeta ulteriormente (artt. 37, 40 circolare interpretativa concernente le prove civili).
6.3.4. Provvedimenti cautelari
Su domanda di una delle parti in causa o comunque quando lo ritenga necessario, il tribunale può emettere,
entro 48 ore dalla richiesta delle parti se sussiste un grave periculum in mora, un provvedimento
assimilabile al nostro sequestro conservativo, con cui dispone la custodia dei beni della controparte, se
esiste il rischio che l’azione della stessa o di un terzo possano rendere impossibile o comunque
estremamente difficile l’esecuzione della sentenza. Un decreto di sequestro conservativo è immediatamente
esecutivo (art. 92 legge di procedura civile).
Il tribunale può anche disporre l’immediata esecuzione alla conclusione della causa su richiesta delle
parti, quando quest’ultima verta sul mantenimento per la crescita dei figli, o sulla sopportazione di spese
per trattamenti medici, su retribuzioni lavorative o su altre simili urgenti questioni. In questo caso, il
tribunale dispone che sia prestata un’opportuna garanzia a favore di chi è stato condannato all’esecuzione
(art. 97 legge di procedura civile).
101
6.3.5. Procedimento esecutivo
Il processo esecutivo è regolato dagli artt. 207 ss. della legge di procedura civile e dai regolamenti
intitolati “Judicial Interpretation Work Tentative Provisions” (c.d. “Enforcement Regulations” o “1998
Regulations”), emanati dalla Supreme Court nel 1998. Organi competenti per il processo esecutivo sono,
solitamente, il tribunale del luogo in cui risiede la parte contro cui l’azione esecutiva è esperita o quello
del luogo in cui si trovano i beni oggetto dell’esecuzione.
L’azione esecutiva deve essere esperita, nel caso in cui una od entrambe le parti siano persone fisiche,
entro un anno dal termine di adempimento della condanna, entro sei mesi se si tratta di società.
Gli ufficiali giudiziari attivano il procedimento con un avviso di esecuzione, con cui il debitore è intimato
ad eseguire la sentenza nel termine dalla stessa indicato. Se il debitore disattende l’intimazione, sulla
somma dovuta, come penalità, sarà praticato un interesse pari al doppio di quello più elevato praticato
dalle banche al momento dell’esecuzione.
L’esecuzione alla sentenza può essere data con diversi mezzi, quali il “congelamento” e il trasferimento
di depositi bancari, la ritenuta alla fonte delle entrate, la confisca e la vendita coattiva di proprietà e
azioni. E’ prevista, inoltre, la possibilità per il giudice di disporre il pignoramento presso terzi dei beni
di proprietà del debitore inadempiente.
6.3.6. Impugnazioni: l’appello
Il secondo grado del giudizio (“Procedure of Second Instance”) è disciplinato dagli artt. 147 ss. della
legge di procedura civile. L’art. 147 sancisce che la parte soccombente in un giudizio di primo grado
può ricorrere contro la sentenza o l’ordinanza avanti il tribunale di livello superiore entro 15 giorni
dalla notifica dell’esito del giudizio.
La decisione deve essere presa nel termine di tre mesi dalla proposizione dell’impugnazione nel caso
in cui questa abbia ad oggetto una sentenza e entro 30 giorni nel caso di ordinanza. Tali termini possono
essere prorogati, dietro approvazione del presidente del tribunale, nel caso in cui ciò si renda necessario
(art. 159).
La sentenza o l’ordinanza emesse da tale tribunale a seguito dell’appello contro la sentenza e l’ordinanza
di prima istanza sono definitive (art. 158). Nonostante ciò, è prevista una speciale procedura, cosiddetta
“trial supervision” (art. 177), in base alla quale il presidente di un tribunale di qualsiasi grado che ritenga
vi sia un preciso errore in un provvedimento giudiziario può, se lo ritiene necessario, sottoporlo ad un
nuovo riesame. La stessa possibilità, sempre nel caso di errore determinato, è riconosciuta al tribunale
che ha emanato la decisione e a quello di grado superiore con riguardo al provvedimento emesso dal
tribunale di grado inferiore; lo stesso diritto è riconosciuto alle parti.
Le circostanze in cui è ammesso il riesame sono quelle indicate nell’art. 179: (i) reperimento di nuove
prove che possono modificare la decisione; (ii) le prove fondamentali per il procedimento originale si
rivelano insufficienti; (iii) errore di diritto sostanziale; (iv) errore di diritto procedurale; (v) si è scoperto
che il giudice era stato corrotto, aveva interessi nella controversia, aveva volutamente disapplicato la
legge.
La domanda di una delle parti del giudizio per il riesame deve essere proposta entro due anni da quando
la decisione impugnata è diventata legalmente efficace (art. 182). Nel caso in cui si instauri il giudizio
di riesame, l’esecutività del provvedimento impugnato è sospesa (art. 183).
102
6.3.7. Riconoscimento ed esecuzione delle sentenze straniere
In forza dei Regolamenti sulle diverse questioni circa la giurisdizione straniera per le controversie civili
e commerciali, adottati dalla Supreme Court e entrati in vigore il 1° marzo 2002 (“2002 Regulations”),
i portatori stranieri di una sentenza di condanna possono ora adire le corti cinesi investite dalle 2002
Regulations della competenza per riconoscere ed eseguire le sentenze straniere. L’attuale sistema segna
un netto superamento di quello precedente, in cui i creditori stranieri potevano tentare di far valere le
proprie ragioni solo percorrendo le vie diplomatiche.
I termini per agire sono gli stessi che abbiamo visto dettati per l’esecuzione dei provvedimenti interni
(si veda sub 1.8).
Le condizioni che devono essere soddisfatte perché si possano ottenere il riconoscimento e la conseguente
esecuzione sono:
(i) che la sentenza sia passata in giudicato;
(ii) che la RPC sia parte di un trattato concluso con lo Stato che ha emanato la sentenza per la reciproca
esecuzione delle sentenze (o quando entrambi sono parti di un trattato multilaterale);
(iii) se la condizione sub (ii) non ricorre, che sussista tra i due Stati il principio di reciprocità, vale a
dire che lo stato straniero sia firmatario di un documento che riconosca l’eseguibilità delle decisioni
della RPC da parte dei suoi tribunali;
(iv) la sentenza straniera non deve violare i principi fondamentali della legge della RPC, quali la sovranità
statale, la sicurezza o l’interesse pubblico.
Sebbene la RPC sia parte della Convenzione di New York per il riconoscimento e l’esecuzione dei lodi
arbitrali stranieri, la RPC non ha concluso alcun trattato bilaterale, né è associata o ha ratificato una
convenzione multilaterale, che stabilisse semplicemente il riconoscimento e l’esecuzione di sentenze
straniere. La RPC è soltanto firmataria di un certo numero di accordi di cooperazione giudiziale con
Stati quali Cipro, Francia, Grecia e Italia. Alcuni di questi accordi concernono soltanto cause penali,
ma molti riguardano sentenze civili (o lodi arbitrali) e la maggior parte prevedono procedure facilitate
per il riconoscimento e l’esecuzione di sentenze straniere. In ogni caso, nel vigore dei precitati accordi,
la Cina può ancora rifiutarsi di riconoscere o di eseguire una sentenza che sia contraria o pregiudizievole
alla sovranità della RPC, alla sicurezza o all’interesse pubblico e ciò potrebbe causare delle difficoltà
alla parte straniera nel vedere eseguita nella RPC la sentenza ad essa favorevole.
Finora, inoltre, la RPC non ha concluso nessun accordo sul riconoscimento e l’esecuzione delle sentenze
emanate dai reciproci tribunali con alcuni dei propri maggiori partner economici, quali il Giappone, gli
Stati Uniti e il Regno Unito.
I precedenti stessi depongono nel senso di un’estrema difficoltà di successo per i tentativi intrapresi per
il riconoscimento e l’esecuzione di una sentenza straniera nella RPC.
6.4. L’arbitrato
6.4.1. Osservazioni generali
Come già accennato, il sistema dell’arbitrato è disciplinato in Cina dalla legge sull’arbitrato del 31
agosto 1994.
103
Il sistema di risoluzione delle controversie attraverso il ricorso ad un collegio arbitrale gioca un ruolo
fondamentale nel sistema legale della RPC ed è considerato il metodo preferenziale per risolvere le
dispute commerciali e concernenti gli investimenti tra società cinesi e straniere. In forza dell’art. 128
della legge sui contratti in vigore nella RPC dal 1° ottobre 1999, le parti di un contratto con un “elemento
straniero” possono accordarsi nel senso di sottoporre ogni eventuale controversia che discenda dal
contratto ad un arbitrato, sia interno che internazionale o straniero. La legge sui contratti non dà una
definizione di “elemento straniero”, ma il significato di tale espressione può evincersi dalle Raccomandazioni
sull’attuazione dei Principi di Diritto Civile della Corte Suprema del popolo della RPC, il cui art. 178
sancisce che si ha un elemento straniero quando:
(i) una o entrambe le parti sono persone giuridiche straniere, cittadini stranieri o apolidi;
(ii) il bene oggetto del contratto è sito in uno stato straniero; o
(iii) l’atto che ha fatto sorgere, ha modificato o estinto i diritti e le obbligazioni che derivano dal contratto
si è verificato in uno stato straniero.
6.4.2. Le istituzioni arbitrali cinesi
Salvo eccezioni, la regola generale, in tema di arbitrato, è che le controversie vengano decise ricorrendo
ad un arbitrato cosiddetto amministrato, avanti le istituzioni nazionali arbitrali. Nel territorio della RPC
ci sono all’incirca 167 istituzioni arbitrali locali, quali la Commissione Internazionale Cinese per
l’arbitrato economico e commerciale (“CIETAC”), avente il proprio quartier generale a Pechino e sedi
locali a Shanghai e Shenzhen, e la Commissione Cinese per l’Arbitrato marittimo (“CMAC”). Avendo
il Consiglio di Stato esteso l’ambito giurisdizionale delle commissioni arbitrali interne e essendosi la
CIETAC data un’autoregolamentazione tra il 1998 e il 2000, davanti alle commissioni arbitrali nazionali
possono essere discusse sia questioni di diritto interno che internazionali.
Come si evince dal nome stesso, la CMAC risolve controversie di diritto marittimo, tanto nazionali
quanto internazionali.
6.4.3. Requisiti della clausola compromissoria
I requisiti e i casi di invalidità di una clausola arbitrale sono disciplinati dagli artt. 16 ss. della legge
sull’arbitrato.
L’art. 16, in particolare, stabilisce che la clausola arbitrale debba, in primis, essere contenuta nel contratto
o in un altro documento scritto, anteriore o susseguente all’insorgere della lite.
Elementi essenziali dell’accordo arbitrale sono: (i) la manifesta volontà di investire della questione un
collegio arbitrale; (ii) l’oggetto dell’arbitrato e (iii) la designazione degli arbitri (art. 16).
Ai testé illustrati requisiti dettati dalla legge di procedura civile, si devono aggiungere quelli contenuti
nel Regolamento della CIETAC, che prescrive la redazione per iscritto dell’accordo arbitrale, tanto in
una clausola contrattuale quanto in un documento separato. La CIETAC è solita riconoscere valore vincolante
anche alle clausole compromissorie contenute nello scambio di corrispondenza, nei telex e, addirittura,
in fax e e-mail.
L’art. 17 della legge di procedura civile individua le ipotesi in cui la clausola arbitrale sarà invalida,
vale a dire nel caso in cui:
• l’oggetto concordato per l’arbitrato è al di fuori dei limiti di materia dell’arbitrato quali individuati
104
dalla legge;
• una parte dell’accordo arbitrale è incapace o lo è relativamente agli atti di straordinaria amministrazione;
• la sottoscrizione dell’accordo arbitrale è stata imposta dalla controparte con violenza.
In forza dell’art. 18, l’accordo arbitrale incompleto o contenente previsioni non chiare circa l’oggetto
dell’arbitrato o la designazione degli arbitri è nullo, salvo che le parti provvedano ad integrarlo con un
documento successivo.
6.4.4. Il collegio arbitrale
Stante la legge arbitrale, il collegio arbitrale dovrebbe essere costituito da uno o tre arbitri, in base
all’accordo delle parti.
Se il collegio è composto di tre arbitri, ciascuna delle parti può nominarne uno e, nel caso in cui non
si raggiungesse l’accordo sulla nomina del terzo - il quale, peraltro, presiederà il collegio - quest’ultimo
sarà designato dal presidente della Commissione arbitrale (artt. 30 e 31 della legge sull’arbitrato); tale
soluzione viene seguita anche in caso di mancato raggiungimento dell’accordo nell’ipotesi di collegio
arbitrale monocratico.
Un arbitro può essere ricusato, su richiesta di una delle parti, nelle seguenti ipotesi elencate dall’art.
34 della legge sull’arbitrato:
a) quando è uno delle parti della controversia oppure quando è un parente stretto di uno dei contendenti
o è un parente di un difensore;
b) quando la causa riveste per lui un interesse estremamente rilevante;
c) quando è legato alle parti o ai loro avvocati per altri aspetti e tale relazione potrebbe inficiare la
propria imparzialità nella decisione;
d) quando ha avuto un incontro privato con le parti o con gli avvocati o quando ha accettato dalle predette
persone un invito a cena o un loro regalo.
La domanda di ricusazione dell’arbitro deve essere presentata per iscritto entro la prima udienza arbitrale
e su di essa decide il presidente della commissione.
6.4.5. I lodi arbitrali
Il notevole vantaggio offerto dall’arbitrato è, in particolare, che il lodo arbitrale, oltre ad essere
immediatamente esecutivo, è definitivo, poiché contro di esso non è ammesso ricorso in appello.
La durata del processo arbitrale è determinata dalle regole emanate dalla commissione arbitrale: la CIETAC
ha stabilito che il lodo deve essere reso entro nove mesi dalla formazione del collegio. Una proroga dei
termini può essere concessa, su richiesta degli stessi arbitri, dalla segreteria generale, se questa ritiene
che tale proroga sia necessaria o che sussistano buone ragioni per concederla (art. 52 delle regole
CIETAC).
Nel caso in cui il collegio sia composto da tre arbitri, la decisione è presa a maggioranza; se un accordo
di maggioranza non viene comunque raggiunto, la decisione risolutiva spetta al presidente (art. 54 delle
regole CIETAC).
Il lodo arbitrale è redatto per iscritto e sottoscritto dagli arbitri stessi, mentre l’arbitro dissenziente può
105
scegliere se apporre o meno la propria firma. Il lodo arbitrale, pertanto, sarà firmato dal solo presidente,
nell’ipotesi da ultimo prospettata, o dal singolo arbitro, nel caso di collegio monocratico.
Il lodo deve contenere la domanda attorea, i fatti e le argomentazioni che hanno condotto alla decisione
e l’indicazione della parte su cui gravano gli oneri del procedimento (artt. 55, 56 delle regole CIETAC).
Se i lodi, come si è detto, non sono appellabili, è possibile però che vengano respinti dalla Intermediate
Court della sede dell’arbitrato. L’art. 58 della legge sull’arbitrato prevede, infatti, che il predetto tribunale
possa essere investito di tale questione, se una parte produce una prova delle seguenti circostanze:
• non c’è un accordo arbitrale;
• la questione oggetto della decisione contenuta nel lodo arbitrale era estranea all’ambito dell’accordo
arbitrale o alla competenza della commissione arbitrale;
• la formazione del collegio arbitrale o la procedura arbitrale non sono conformi alla legge sull’arbitrato;
• la prova sulla quale si basa il lodo è stata alterata;
• una delle parti ha occultato prove in misura tale da inficiare l’imparzialità dell’arbitro;
• nello svolgersi del procedimento, gli arbitri sono stati corrotti o hanno emesso un lodo con contenuto
contrario alla legge.
6.4.6. Esecuzione dei lodi arbitrali
L’art. 62 della legge sull’arbitrato sancisce che per l’esecuzione dei lodi arbitrali, non spontaneamente
adempiuti, la parte possa adire il tribunale ordinario indicato dalla legge di procedura civile, la quale
all’art. 259 stabilisce che competente sia la Intermediate Court del luogo in cui risiede la parte che non
ha eseguito o dove sono site le sue proprietà.
L’art. 260 stabilisce, poi, che il tribunale adito, dopo esame e verifica dei fatti, possa rifiutare l’esecuzione
di un lodo reso da un’istituzione della RPC che riguardi uno straniero, nel caso in cui ricorrano le
seguenti circostanze:
• mancanza dell’accordo arbitrale scritto o dell’inclusione della clausola compromissoria nel contratto;
• alla parte contro la quale l’esecuzione è esperita non è stata comunicato il nome di un arbitro o di
prendere parte al procedimento arbitrale ed essa era impossibilitata a dichiarare le ragioni per le quali
non era responsabile;
• la formazione del collegio arbitrale o l’instaurazione del procedimento non rispettavano le regole
sull’arbitrato;
• la questione oggetto della decisione contenuta nel lodo arbitrale era estranea all’ambito dell’accordo
arbitrale o alla competenza dell’istituzione arbitrale.
Oltre alle ragioni predette, sempre in forza dell’art. 260 la richiesta per la dichiarazione di inefficacia
del lodo che riguardi uno straniero può essere basata anche sull’asserita contrarietà dello stesso all’interesse
pubblico, la quale ricorre quando i principi generali della legge in base alla quale è stato emanato il
lodo contrastano con quelli cinesi.
Stante il disposto dell’art. 217 della legge di procedura civile, nel caso in cui l’azione esecutiva di un
lodo venga respinta, le parti possono instaurare un nuovo procedimento arbitrale nel rispetto della
clausola compromissoria o riferire la questione al tribunale.
106
SISTEMA FINANZIARIO
7. IL SISTEMA BANCARIO E FINANZIARIO
Al vertice del sistema bancario cinese vi è la Banca Popolare Cinese (BPC). Fondata il 1° dicembre
1948 a seguito del consolidamento di tre banche (Huabei Bank, Beihai Bank e Xibei Peasant Bank),
nel 1983 assunse, in forza di delibera del governo, le funzioni di banca centrale. E’, tuttavia, soltanto
nel 1995 con l’approvazione della legge sulla Banca Popolare Cinese che la stessa assume legalmente
lo status di banca centrale della Repubblica Popolare.
In forza della suddetta legge, la Banca Popolare Cinese esercita tutte le funzioni tipiche di una Banca
Centrale. Infatti:
• agisce quale istituto di emissione;
• è titolare della politica monetaria e di quella valutaria;
• autorizza l’esercizio dell’attività bancaria (e revoca, se del caso, l’autoriz-zazione);
• è titolare della vigilanza e della potestà regolamentare sul sistema bancario;
• gestisce il sistema dei pagamenti.
Successivamente, il 5 ottobre 1995, il Congresso della Repubblica Popolare Cinese ha promulgato la
legge recante norme di disciplina del sistema delle banche commerciali. Tale legge regolamenta e
circoscrive l’attività bancaria in Cina, definendo da un lato le attività riservate alle banche commerciali
e, dall’altro, le condizioni d’autorizzazione e di apertura degli sportelli.
Sotto il primo profilo, l’ambito di attività delle banche commerciali è piuttosto ampio ed accede,
sostanzialmente, ad un modello di banca universale.
In effetti, le banche commerciali, oltre alla stretta attività bancaria di raccolta di depositi ed esercizio
del credito (si noti che alle banche commerciali è concesso l’esercizio del credito tanto a breve quanto
a lungo termine, non essendo prevista, pertanto, alcuna forma di specializzazione per scadenze) ed alla
gestione di operazioni di pagamento per conto della clientela, possono scontare effetti commerciali,
sottoscrivere e negoziare buoni del tesoro (come si vedrà più avanti, in Cina è attivo un consistente
mercato interbancario per la negoziazione di titoli del tesoro), emettere titoli obbligazionari, negoziare
per conto proprio o di terzi valuta estera, emettere lettere di credito e prestare garanzie, prestare servizi
di custodia ed altri servizi autorizzati dalla Banca centrale.
L’ampiezza del business deve essere specificata nell’atto costitutivo sottoposto all’approvazione della
Banca centrale. Quest’ultima, nel decidere in merito alla domanda di autorizzazione, deve valutare
l’idoneità della banca ad operare secondo condizioni di efficienza, solidità finanziaria e solvibilità. Le
condizioni per l’autorizzazione disciplinate dalla legge bancaria attengono a specifici requisiti in tema
di patrimonializzazione, qualità del management, adeguatezza della struttura organizzativa e onorabilità
degli azionisti di controllo. Il requisito di capitale è posto pari a 1 miliardo di RMB per le banche
commerciali, 100 milioni per le banche di credito cooperativo e 50 milioni per le banche di credito
rurale. L’acquisto o la cessione di partecipazioni al capitale bancario superiori al 10% richiede la
preventiva autorizzazione della Banca Centrale.
L’apertura di filiali bancarie è concessa tanto nell’ambito della Repubblica Popolare Cinese quanto all’estero,
previa autorizzazione della BPC. L’apertura di filiali nell’ambito del territorio cinese è, tuttavia,
subordinata all’allocazione di adeguati fondi operativi a ciascuna unità aperta (peraltro, la somma dei
fondi allocati ad ogni filiale non può eccedere il 60% del capitale della banca).
107
La legge bancaria, inoltre, contiene un importante precetto in materia di operazioni bancarie, sancendo
l’indipendenza gestionale del management: tale precetto riveste una portata significativa anche se, come
si vedrà, per le banche commerciali controllate dallo Stato (vincolate gestionalmente da un tradizionale
legame con le imprese pubbliche), il conseguimento dell’indipendenza gestionale costituisce una conquista
ben più recente. L’estensione dello stesso precetto, tuttavia, non riveste portata assoluta, continuando
l’attività bancaria ad essere soggetta alle esigenze del piano. In effetti, le scelte gestionali sono autonome
nel rispetto delle esigenze dell’economia nazionale e dello sviluppo sociale, secondo quella che è la
politica industriale dello Stato. In ogni caso, dei passi concreti verso l’indipendenza gestionale sono
stati compiuti: si pensi solo, come sarà precisato meglio più avanti, al venir meno dell’obbligo per le
banche commerciali controllate dallo Stato di provvedere alle esigenze finanziarie delle imprese industriali
a controllo pubblico.
7.1. L’apertura di conti bancari
L’apertura di conti bancari è soggetta ad una disciplina amministrativa di dettaglio dettata dalla BPC
(Provvedimento del Governatore della Banca Popolare Cinese, “Administrative rules for RMB bank
settlement accounts”, 10 aprile 2003). Tale regolamentazione trova applicazione a tutti i conti
denominati in Renminbi aperti dai depositanti presso istituzioni bancarie domiciliate nel territorio
della Repubblica Popolare Cinese. I depositanti possono in linea di principio aprire conti solamente
nel luogo di incorporazione (se si tratta di persone giuridiche) ovvero di domicilio (se si tratta di
persone fisiche), ad eccezione di quelli autorizzati ad aprire conti al di fuori del luogo di residenza
(in altra città o provincia).
Secondo la natura del depositante i conti aperti presso banche cinesi sono classificati in conti intestati
a istituzioni e conti intestati a persone fisiche. A seconda dell’uso cui sono destinati i conti si possono
articolare in:
• basic deposits accounts;
• general deposit accounts;
• special deposit accounts;
• temporary deposit accounts.
I primi (basic deposits accounts) costituiscono la principale tipologia di conto che i depositanti aprono
presso le istituzioni creditizie. Si tratta di conti sui quali transita il servizio delle ordinarie operazioni
di regolamento facenti capo al depositante. Possono aprire tali conti le imprese (persone giuridiche o
non), le istituzioni pubbliche e le agenzie governative, militari e forze dell’ordine, organizzazioni private
diverse dalle imprese, uffici permanenti stabiliti in una località diversa da quella di residenza
dell’organizzazione cui fanno capo, uffici di istituzioni internazionali presenti in Cina.
I secondi (general deposit accounts) sono, invece, conti sui quali il depositante fa transitare operazioni
di finanziamento in contropartita di banche diverse da quella presso la quale ha aperto un basic account.
Tali conti si prestano ad un utilizzo limitato per il soggetto depositante. In effetti, sugli stessi possono
transitare soltanto il deposito delle somme rivenienti dall’accensione di un contratto di finanziamento
nonché gli addebiti a titolo di rimborso delle somme prese a prestito. E’, invece, inibito il ritiro di
somme a titolo di contante.
I conti di deposito speciali (special deposit accounts) fungono, invece, da conti per la gestione separata
e l’utilizzo di fondi a destinazione specifica. Più precisamente, possono transitare su detti conti:
• fondi per costruzioni in conto capitale;
• fondi per investimenti in tecnologie;
108
• fondi extra-bilancio (legati cioè a linee di finanziamento che danno luogo a passività non riportate a
bilancio);
• fondi per l’acquisto di commodities;
• fondi per il regolamento di negoziazioni su strumenti finanziari;
• fondi costituiti a titolo di margine di garanzia per le negoziazioni aventi ad oggetto contratti future;
• depositi interbancari;
• fondi per lo sviluppo di proprietà immobiliari rientranti in appositi programmi di agevolazioni
pubbliche;
• fondi destinati alla gestione finanziaria di unità o sussidiarie finanziariamente non autonome di
istituzioni titolari di un basic account;
• fondi destinati ai programmi di sicurezza sociale;
• fondi operativi per il partito e le organizzazioni sindacali;
• altri fondi che necessitano di gestione separata.
I conti in questione, va notato, non consentono il ritiro di somme cash in alcune fattispecie: depositi
per la costituzione di fondi extra-bilancio, per il regolamento delle transazioni su strumenti finanziari
e per il regolamento dei margini di garanzia relativi alle negoziazioni su contratti future.
Infine, i conti temporanei (temporary accounts) sono conti destinati al servizio di esigenze di pagamento
della clientela aventi estensione temporale limitata. Tali conti possono essere aperti nelle seguenti
circostanze:
• costituzione di istituzioni o forme organizzative aventi natura temporanea;
• effettuazione di operazioni temporanee al di fuori del luogo o della provincia di riferimento.
I conti bancari intestati a persone fisiche, d’altra parte, sono conti utilizzabili per esigenze di consumo
e regolamento. Una persona fisica può chiedere l’apertura di un conto bancario per le seguenti finalità:
• utilizzo di strumenti di pagamento quali assegni e carte di credito;
• effettuazione di operazioni di regolamento.
Sui conti aperti a persone fisiche transitano fondi legati all’accredito dei salari, al regolamento delle
operazioni di investimento, all’accredito di capitali presi a prestito, al regolamento di premi assicurativi
ed, in genere, ad altre attività legalmente riconosciute.
7.2. L’attività creditizia
Per quanto concerne l’estensione dell’attività concessa agli istituti di credito, va notato che le banche
domestiche possono fornire i propri servizi tanto alla clientela domestica quanto alla clientela estera
(retail o corporate).
Con riferimento agli istituti di credito esteri, occorre tracciare una distinzione tra attività in valuta estera
e attività in valuta domestica. Al proposito:
• gli istituti di credito esteri sono abilitati, una volta ricevuta la relativa autorizzazione, alla prestazione
dei propri servizi in valuta estera a clientela, retail o corporate, esteroresidente o a società partecipate
da capitale estero (FIE). Gli stessi servizi possono essere forniti ad una impresa domestica purché
abbia ottenuto dall’ASIC l’autorizzazione a sottoscrivere prestiti in divisa straniera;
• permangono, invece, alcune limitazioni per le banche estere all’operatività in valuta domestica. Tale
facoltà, per il momento, rimane circoscritta a 32 istituti creditizi (24 a Shanghai e 8 a Shenzen).
Quest’ultimo dato risulta eclatante ove si consideri che gli uffici degli istituti creditizi esteri sono
274, di cui 163 Uffici di Rappresentanza (che, tuttavia, soffrono di limitazioni operative). In linea
109
con gli accordi presi con la WTO, nel dicembre 2003 quattro nuove città (Jinan, Fuzhou, Chengdu e
Chongqing) sono state aperte all’operatività in valuta domestica.
Nonostante l’adesione alla WTO, il mercato del credito in Cina non è ancora stato liberalizzato, soprattutto
con riferimento agli istituti creditizi di origine estera. A questi ultimi, infatti, è richiesta l’immobilizzazione
di capitali ingenti a fronte della loro operatività sul mercato cinese; in secondo luogo, alle banche estere
è tuttora preclusa l’attività di raccolta al dettaglio in Renminbi. L’ingresso nel WTO, tuttavia, ha permesso
di scadenzare un calendario che dovrà consentire al mercato cinese, nell’arco di alcuni anni, di aprirsi
alla piena operatività in Renminbi. Tale piano si articola secondo lo schema tracciato nella tabella che
segue.
Eliminazione delle restrizioni geografiche all’attività in renminbi
Fasi
All’atto dell’adesione alla WTO
Entro 1 anno dall’adesione
Entro 2 anni dall’adesione
Entro 3 anni dall’adesione
Entro 4 anni dall’adesione
Entro 5 anni dall’adesione
Zone geografiche
Shanghai, Shenzhen, Tianjin, Dalian
Guangzhou, Zhuhai, Qingdao, Nanjing, Wuhan
Jinan, Fuzhou, Chengdu, Chongqing
Kunming, Beijing, Xiamen
Shantou, Ningbo, Shenyang, Xian
Nessuna limitazione
Fonte: Informest
L’inibizione agli istituti creditizi esteri dell’attività di raccolta al dettaglio in Renminbi, si noti, priva
gli stessi di una importante fonte di liquidità, legata all’accesso al credito sul mercato interbancario.
Tale restrizione è connessa ad un ulteriore vincolo posto dalle autorità monetarie, tanto alle banche
domestiche quanto alle banche estere. In effetti, per decisione del governo cinese l’accesso al credito
sul mercato interbancario è limitato, per ciascun istituto, al 40% delle passività.
Operativamente, tale vincolo reca delle implicazioni sensibilmente diverse per le banche locali rispetto
a quelle estere. Le prime, potendo fare affidamento su un’amplissima base di depositi, riusciranno a
rimanere entro il limite posto; le banche estere, d’altra parte, non potendo effettuare attività di raccolta
in Renminbi, sono destinate a superare assai facilmente il limite del 40%.
Vi è, poi, il problema del contesto giuridico e regolamentare entro il quale le banche si trovano ad
operare. Tale contesto è importante soprattutto per quanto concerne la valutazione ed il monitoraggio
delle aziende cinesi, aspetti tuttora caratterizzati da importanti elementi di criticità a causa di un sistema
contabile e legale ancora non trasparente.
110
Il settore bancario in cifre (dati in 100 milioni RMB)
Attività
Asset esteri netti
Crediti verso il settore domestico
Verso il governo
Verso il settore non finanziario
Verso il settore finanziario
2001
2002
2003
26.424,74
133.014,76
11.015,89
114.539,14
–
31.746,34
172.624,73
13.331,91
143.016,39
16.276,43
37.732,92
206.283,64
13.178,51
172.700,24
20.404,89
158.301,92
59.871,59
15.688,80
44.182,79
98.430,33
14.180,14
73.762,43
10.487,76
–
8.448,02
7.659,77
-14.970,21
185.006,97
70.881,79
17.278,03
53.603,76
114.125,18
16.433,82
86.910,65
10.780,71
12.159,08
10.102,35
8.991,97
-11.889,30
221.222,82
84.118,57
19.745,99
64.372,58
137.104,25
20.940,39
103.617,65
12.546,21
11.884,29
11.653,96
10.949,09
-11.693,61
Passività
Aggregati monetari (M2)
M1
Moneta in circolazione
Depositi a vista
Quasi moneta
Depositi a tempo
Depositi a risparmio
Altri depositi
Depositi in valuta estera
Prestiti obbligazionari
Capitale versato
Altro
Fonte: Peoples Bank of China
7.3. La riforma delle banche controllate dallo stato
La gestione delle banche commerciali a controllo statale (State-Owned Commercial Banks – SOC) ha
conosciuto negli ultimi anni un importante processo di riforma. A dare impulso a tale processo sono
state, in misura sostanziale, alcune debolezze strutturali che storicamente affliggevano il sistema delle
banche commerciali in Cina, i cui effetti, potenzialmente, potevano minare la stabilità del sistema
finanziario e la stessa capacità di crescita del sistema economico.
Fino al termine del 2002 ed, in parte, fino al primo trimestre del 2003, la principale preoccupazione
che ha investito sia le autorità pubbliche che il mondo operativo (compresi i potenziali investitori esteri)
era legata al problema dei crediti in sofferenza, i cc.dd. non performing loans (il problema delle sofferenze
bancarie era, in effetti, quello che maggiormente frenava l’entusiasmo dei capitali esteri verso l’investimento
sul mercato cinese). Alcune stime evidenziavano come tali crediti, se valutati secondo metodi comuni
nelle prassi operative, avessero un’incidenza superiore al 50% sul portafoglio crediti delle SOC.
Il problema delle sofferenze era certamente il portato dell’assetto istituzionale che circondava il sistema
economico cinese. Sotto il profilo della gestione bancaria, importanti fonti di distorsione erano certamente
rappresentate dagli assetti proprietari pubblicistici che influivano pesantemente sui processi decisionali
delle banche, svincolandoli da quelli che dovrebbero essere i normali criteri di efficienza ispirati a logiche
di mercato.
Intimamente connessa a tali assetti proprietari, era poi quella che poteva definirsi una vera e propria
111
obbligazione, di matrice governativa, delle banche commerciali di provvedere al fabbisogno finanziario
delle imprese industriali.
La BPC ha condotto uno studio sull’origine e sulla composizione dei crediti in sofferenza presenti nel
portafoglio crediti delle banche. I risultati di tale report sono interessanti in quanto analizzano il problema
con minuzia di dettaglio e forniscono, in poche cifre, uno spaccato di quello che è stato tradizionalmente
il sistema bancario cinese. In dettaglio, il report in discorso evidenzia come la quota parte di sofferenze
dovute a carenze endogene nelle prassi gestionali del management sono una frazione tutto sommato
modesta. Piuttosto, secondo una prospettiva storica, la quota preponderante di crediti in sofferenza derivava
da un eccessivo intervento statale nelle politiche gestionali delle banche commerciali e da sostanziali
carenze a livello giuridico e, pertanto, era legata a fattori esogeni al sistema bancario. Concretamente parlando:
• il 30% dei crediti in sofferenza a carico delle banche commerciali era attribuibile all’intervento
pubblico;
• un altro 30% era riconducibile al finanziamento obbligatorio delle imprese industriali controllate dallo
Stato;
• il 10% era riconducibile a carenze del quadro legale e giuridico;
• il 10% derivava da processi di ristrutturazione delle imprese (in modo particolare, delle imprese
appartenenti al settore militare) guidati dallo Stato attraverso programmi di liquidazione, fusioni e
riconversioni delle linee di prodotto.
Osservate dall’attuale angolo visuale, le condizioni del mercato del credito bancario hanno mostrato
nell’ultimo anno sostanziali segnali di miglioramento. Le riforme che interessano l’assetto istituzionale
del mercato, in effetti, sono ormai giunte nella loro fase di implementazione. Le statistiche mostrano
come l’incidenza delle sofferenze bancarie sul portafoglio crediti delle istituzioni creditizie sia scesa a
ritmi oscillanti attorno al 3-5% annuo negli ultimi anni.
Le linee guida di tale processo riformatore hanno inciso profondamente sulle scelte operative di tali
istituti, rifocalizzando il rapporto tra gli stessi e lo Stato. Pur non sconfessando la proprietà pubblica
delle banche in discorso, si è inteso, se non altro, promuoverne l’indipendenza operativa rispetto agli
indirizzi del soggetto titolare del controllo.
Le rinnovate attenzioni al settore delle banche commerciali controllate dallo stato hanno incominciato
a trovare manifestazione consapevole agli albori della crisi valutaria e finanziaria che ha scosso il Far
East.
In primo luogo, il governo ha deciso una sostanziale cesura con la prassi previgente degli interventi
amministrativi nella gestione operativa delle banche, sancendone, giuridicamente, l’indipendenza
decisionale in materia di politiche creditizie.
In secondo luogo, l’indipendenza dal potere esecutivo ha condotto, quale effetto correlato, ad una rottura
dello stretto legame che esisteva tra banche ed imprese industriali controllate dallo Stato. Giova, infatti,
ricordare che da un punto di vista politico e regolamentare le banche commerciali a controllo statale
erano vincolate, da apposite linee guida del governo, a garantire supporto creditizio alle imprese.
A partire dalla metà degli anni Novanta, tuttavia, il governo ha sconfessato le suddette linee guida:
attualmente, pertanto, le banche commerciali a controllo statale non hanno più alcuna obbligazione di
supporto creditizio alle imprese industriali. Secondo un rapporto pubblicato dalla Banca Popolare Cinese
nel 2003, oltre il 50% del portafoglio crediti delle SOC è costituito da crediti a imprese industriali
private (incluse le imprese controllate da capitali esteri) ed a persone fisiche (soprattutto nelle forme
del mutuo ipotecario e del credito al consumo).
112
Oltre che intervenire sui rapporti tra banche e potere politico e tra banche ed imprese a controllo statale,
la riforma ha inteso risolvere i problemi legati ai crediti in sofferenza ed alla generale sottocapitalizzazione
delle banche commerciali.
Nel 1998 furono emessi dal governo buoni del tesoro per un controvalore di 270 miliardi di RMB per
finanziare la ricapitalizzazione delle banche commerciali a controllo statale. Per la ricapitalizzazione
delle SOC furono, in parte, impiegate pure riserve estere e riserve aurifere.
Nel biennio 1999-2000 il problema dei crediti in sofferenza fu affrontato mediante trasferimento parziale
degli stessi dagli attivi dei bilanci bancari a società di asset management appositamente costituite per
la gestione di tali crediti. Le sofferenze rimanenti furono oggetto di write-off: a tal fine, le perdite sono
state assorbite sostanzialmente da capitale e riserve (sul punto, va notato che, in aggregato, le riserve
del sistema bancario, in rapporto alle sofferenze, erano inferiori a quanto necessario per coprire le
perdite derivanti dai write-off. Fu, pertanto, necessario, coprire parte delle perdite mediante assorbimento
di capitale).
Va, tuttavia, notato, come la ricapitalizzazione e la risoluzione del problema dei crediti in sofferenza
costituiscano solamente un passo lungo il percorso riformatore. Al fine di trasformare le SOC in banche
realmente gestite secondo criteri di efficienza è necessario procedere all’ammodernamento delle prassi
contabili al fine di renderle aderenti alle best practices invalse nel contesto internazionale. Da questo
punto di vista, il processo non è ancora giunto a compimento.
In terzo luogo, la quotazione dei titoli di molte imprese industriali controllate dallo Stato (specialmente
quelle di maggiori dimensioni) ha favorito la diffusione di migliori prassi gestionali; ciò ha generato
ricadute positive per le banche commerciali sul fronte dei crediti in sofferenza.
Infine, è da menzionarsi la predisposizione di un quadro giuridico certo che sovrintende alla gestione
dei dissesti societari. Per lungo tempo, non vi era una Legge fallimentare nell’ordinamento giuridico
cinese. Tale mancanza era fonte di notevoli problemi per le banche nell’esercizio del credito, poiché
costringeva le banche commerciali alla gestione di eventuali sofferenze in assenza di procedure formalizzate
per il recupero crediti ed anche ove esistessero delle norme di legge, dal lato pratico l’applicazione
delle stesse era spesso carente. Al proposito, progressi notevoli sono stati compiuti con l’approvazione
della Legge fallimentare, del Codice di Commercio e della Securities Law, la legge che disciplina i
mercati e gli strumenti finanziari. Attualmente, tali testi normativi sono sottoposti ad un processo di
revisione al fine di renderli ancora più funzionali alle esigenze di un sistema economico in continua
evoluzione.
Vi è, poi, il problema della governance delle banche. In merito, ci si chiede se il recupero di condizioni
di efficienza nel sistema delle banche commerciali debba (o possa) passare solamente attraverso
l’adeguamento delle pratiche gestionali indotto da regole più precise e puntuali ovvero se debba
coinvolgere soluzioni di più ampio spettro riferite alle strutture di corporate governance. Accogliere
quest’ultima impostazione significherebbe, in qualche misura, mettere in discussione gli assetti proprietari
delle banche. Sebbene tale impostazione non sia attualmente all’ordine del giorno tra i progetti di
riforma, se ne comincia a dibattere a livello di regulators. La Banca Popolare Cinese, in particolare, ha
recentemente alimentato la discussione attraverso una presa di posizione del Governatore che pone l’accento
sulla necessità di completare la riforma delle banche a controllo statale non soltanto attraverso interventi
sul management, ma pure agendo sulla riforma degli assetti di controllo.
113
7.4. Gli sviluppi nel sistema finanziario
L’evoluzione degli aggregati finanziari in Cina si proietta lungo un sentiero di sostanziale stabilità, sebbene
permangano alcuni fattori critici che, nel lungo periodo, potrebbero minarne la sostenibilità: in particolare,
l’espansione degli investimenti, della moneta in circolazione e del credito, più rapida di quanto ritenuto
adeguato dalle autorità, e l’accentuarsi delle pressioni inflazionistiche.
Secondo le più recenti statistiche, l’aggregato monetario M2 è cresciuto, nel primo trimestre del 2004,
a 23.180 miliardi di RMB, con un incremento del 19,2% rispetto allo stesso periodo del 2003 (si
consideri, inoltre, per rendere la misura dell’espansione monetaria, che l’aggregato M2 si è attestato
nel 2003 al 200% del PIL). I prestiti denominati in Renminbi ed in valuta estera erogati dal complesso
delle istituzioni finanziarie sono cresciuti, sempre nel primo trimestre del 2004, a 17.900 miliardi di
RMB, con un incremento del 20,66% rispetto al medesimo periodo del 2003.
Alla luce degli sviluppi sopra citati, la Banca Popolare Cinese ha implementato una serie di misure
volte a contrastarne gli effetti potenzialmente distorsivi sullo sviluppo equilibrato dello scenario
macroeconomico. In particolare, gli obiettivi delle autorità monetarie sono il contenimento delle pressioni
inflazionistiche, la prevenzione di bolle speculative nei prezzi degli asset finanziari e reali ed il controllo
della qualità del credito; a questo ultimo proposito, la preoccupazione è che l’eccessiva espansione
dell’attività creditizia conduca all’accentuazione del problema delle sofferenze.
Coerentemente con le preoccupazioni dichiarate, le misure adottate dalla Banca Popolare Cinese
comprendono:
• l’incremento dello 0,5% della misura della riserva obbligatoria di liquidità per le banche;
• la previsione di requisiti di riserva differenziati;
• l’innalzamento del tasso di sconto e dei tassi di rifinanziamento.
Vi è, tuttavia, un ulteriore aspetto di debolezza nel sistema finanziario cinese. In effetti, la forte
espansione del credito bancario fa da contraltare allo scarso sviluppo del mercato dei capitali. La
stessa espansione repentina degli aggregati monetari sta a testimoniare che nelle fasi di sviluppo
economico il finanziamento delle imprese poggia, quasi esclusivamente, sul credito bancario. L’eccessiva
concentrazione dei rischi sulle istituzioni creditizie è, pertanto, uno dei principali nodi del sistema
finanziario cinese.
Infine, il tasso di risparmio è ancora molto elevato in Cina; infatti, nel 2003, si attestava al 47%. In tale
contesto, la crescita economica è per lo più trainata dagli investimenti, mentre il ruolo della domanda
per consumi è ancora limitato.
Il sistema finanziario cinese, tuttavia, ha conosciuto recentemente un processo di trasformazione che
negli auspici delle autorità dovrebbe contribuire a superare le debolezze ancora persistenti sviluppando,
in modo particolare, meccanismi più efficienti di allocazione dei rischi. Ciò, in aderenza a quanto sopra
detto, passa inevitabilmente attraverso lo sviluppo del mercato dei capitali supportato da una diversificazione
dei soggetti e dei servizi offerti. Le innovazioni di maggiore rilievo sono:
• l’introduzione di un mercato per la negoziazione di contratti future;
• l’introduzione di un mercato per la negoziazione di strumenti di mercato monetario;
• la creazione di un mercato interbancario per la negoziazione di divise estere.
Nel contempo, il sistema finanziario ha sperimentato una diversificazione dei soggetti che vi prestano
i propri servizi. Accanto alle banche commerciali, nuovi intermediari sono attivi in Cina, quali fondi
per la sicurezza sociale, società fiduciarie, imprese di assicurazione e imprese d’investimento; dal 2003,
114
inoltre, operano sul mercato cinese investitori qualificati esteri ai quali, in particolare, si annette un
ruolo propulsivo importante per lo sviluppo del sistema finanziario.
Per quanto concerne la diversificazione per prodotti, accanto ai tradizionali titoli obbligazionari, del
settore pubblico e privato, ed azionari, nuove tipologie innovative di strumenti finanziari (quali asset
backed securities, fondi comuni d’investimento di tipo aperto) stanno attraendo una consistente domanda
sul mercato.
Il rapido sviluppo dell’economia reale ed il procedere dell’apertura dei mercati, tuttavia, richiede di
essere accompagnato da ulteriori sviluppi nel sentiero di modernizzazione del sistema finanziario, anche
alla luce dell’esigenza di fronteggiare una competizione internazionale che, inevitabilmente, andrà
crescendo.
In effetti, con lo spirare del periodo transitorio concesso alla Cina per l’ingresso nella World Trade
Organization, il progressivo allentamento delle barriere all’entrata esporrà le istituzioni finanziarie
domestiche ad una crescente competizione internazionale. Con la graduale apertura del mercato domestico
e l’incedere della globalizzazione economica la quota del commercio estero sul PIL cinese ha raggiunto
il 60% a fine 2003.
Poiché una parte sempre maggiore di imprese è attiva nel commercio internazionale, vi è una crescente
domanda alle istituzioni finanziarie da parte della clientela corporate di servizi legati al foreign exchange
mangement. Alla luce di tali esigenze, le autorità monetarie intendono supportare la crescente
internazionalizzazione delle imprese attraverso una riforma della politica dei cambi. Capisaldi di tale
progetto riformatore sono l’eliminazione di inappropriati meccanismi di controllo dei cambi e l’introduzione
della piena convertibilità del Renminbi (cfr. “The current financial situation and development of the
financial market in China”, discorso del Governatore della Banca Popolare Cinese, maggio 2004,
reperibile sul sito http://www.pbc.gov. Vi si sottolinea, in particolare, come lo sviluppo e la diversificazione
del sistema finanziario cinese debba assumere una connotazione multi-dimensionale e multi-livello).
Dal momento che l’ammodernamento del sistema finanziario mediante diversificazione per soggetti e
servizi offerti implica una maggiore complessità del medesimo per il pubblico degli investitori, soprattutto
per quanto concerne la valutazione dei rischi, le trasformazioni in atto sono state supportate da un parallelo
ripensamento dell’architettura della vigilanza. In tale esercizio si è tentato di seguire la via indicata
dalla regolamentazione implementata nei sistemi finanziari maggiormente evoluti, distinguendo tra
investitori istituzionali e pubblico indistinto degli investitori e circondando di particolari guarentigie in
termini di disclosure i prodotti e servizi finanziari destinati a questi ultimi.
8. IL SISTEMA VALUTARIO
Le autorità cinesi hanno realizzato una sostanziale revisione della politica dei cambi a ridosso della
metà degli anni Novanta. La Riforma del Sistema Monetario e Finanziario che ha preso effetto a
decorrere dal 1° gennaio del 1994, ha, in particolare, rimodellato la disciplina concernente l’apertura
di conti in valuta estera presso banche locali o straniere.
In forza delle disposizioni richiamate, le imprese cinesi non possono aprire o detenere conti in valuta
straniera su banche locali (la limitazione non vale per le persone fisiche cinesi, che possono aprire conti
in valuta estera presso le banche locali designate). Le autorità, infatti, hanno reso obbligatoria la
conversione dei fondi denominati in valuta estera: tali fondi, pertanto, vengono posti dallo stato sotto
la gestione della SAFE (State Administration of Foreign Exchange). Imprese e persone fisiche cinesi
115
possono aprire conti presso banche estere; in linea di principio, tuttavia, le filiali delle banche estere in
Cina sono, per il momento, autorizzate a gestire solamente transazioni denominate in valuta estera:
solamente le filiali localizzate nella zona speciale di Pudong (Shangai) possono gestire transazioni in
valuta locale, previa autorizzazione della SAFE.
I soggetti non residenti, persone fisiche o giuridiche, possono, d’altra parte, aprire conti in valuta locale
presso banche locali (Bank of China ovvero altri istituti di credito a ciò autorizzati). Secondo quanto
stabilito, poi, dai Regolamenti in materia di controllo valutario, in vigore dal 1° aprile 1996, le società
partecipate da capitale estero sono autorizzate ad aprire conti denominati in valuta estera presso banche
locali autorizzate, peraltro entro limiti massimi di valuta fissati dalla SAFE sulla base del capitale
sociale della società e delle sue previsioni circa il fabbisogno valutario futuro. Gli importi di valuta che
superano il massimale previsto devono essere convertiti in valuta locale.
A seguito di una decisione del 1993 del Comitato centrale del partito di muovere, eventualmente, verso
la convertibilità del Renminbi, la SAFE ha introdotto il regime della convertibilità della valuta cinese
verso la fine del 1996, con la finalità di rendere più agevoli i pagamenti legati al commercio con l’estero.
Le riforme che hanno interessato il mercato dei cambi hanno reso la valuta cinese maggiormente esposta
alle fluttuazioni rispetto agli anni precedenti. Ciò, evidentemente, ha introdotto nuovi elementi di rischio
per gli operatori, strettamente connessi alla volatilità del valore della moneta. Tali considerazioni hanno
indotto le autorità cinesi a completare il processo riformatore mediante l’introduzione di appositi
strumenti finanziari per la gestione di tali rischi. La Bank of China, la principale banca cinese attiva
sul mercato dei cambi, ha incominciato a negoziare contratti a termine su valute. Ciò fu reso possibile
non soltanto dalle citate riforme ma pure dalla stabilizzazione del mercato interbancario. La diffusione
nella prassi operativa delle istituzioni finanziarie di strumenti finanziari innovativi, inoltre, ha stimolato
la nascita di nuovi mercati al servizio delle esigenze di investimento degli operatori.
Importanti innovazioni al regime valutario cinese, inoltre, sono state realizzate per quanto concerne
l’esportazione di capitali. I dividendi e gli utili derivanti da imprese a capitale estero possono essere
esportati liberamente senza necessità di autorizzazioni particolari (si ricorda che sugli utili rimessi
all’estero è prevista un’imposta del 10%, attualmente sospesa a tempo indeterminato). La forma tecnica
utilizzabile è quella della rimessa bancaria.
La BPC, inoltre, ha emanato nel luglio del 1996 un set di norme regolamentari a disciplina delle
“Vendite, acquisti e pagamenti in valuta estera”.
In forza di tali norme regolamentari, è consentito alle società partecipate da capitali esteri di effettuare
transazioni in valuta per le partite in conto corrente presso le banche designate senza necessità di ottenere
l’autorizzazione preventiva della SAFE. In particolare, le operazioni consentite a prescindere
dall’autorizzazione amministrativa includono:
• regolamento di fatture commerciali relative all’importazione di beni di consumo e beni intangibili;
• pagamenti per prestazioni di lavoro;
• rimessa di utili al partner industriale estero;
• trasferimenti unilaterali.
Le norme regolamentari del 1996 succitate introducono un importante elemento di liberalizzazione nel
sistema valutario. Inizialmente l’applicazione delle stesse era limitata, a livello sperimentale, ad alcune
province della Repubblica Popolare; oramai, tuttavia, sono state estese a tutte le società partecipate da
capitale estero presenti sul territorio cinese.
116
Per quanto concerne, infine, i prodotti o servizi delle imprese a partecipazioni estere, la legge consente
la riesportazione della produzione effettuata dalle joint-venture. In genere, le imprese a partecipazione
straniera sono tenute a riesportare una parte della produzione sufficiente a compensare le proprie esigenze
di valuta straniera. Dal lato pratico, la flessibilità di applicazione delle norme regolamentari consente
alle imprese partecipate da capitali esteri di riesportare sul mercato nazionale gran parte, se non tutta,
della produzione effettuata (vi sono, come si è visto, agevolazioni fiscali che addirittura incoraggiano
la riesportazione del totale della produzione).
Per quanto riguarda il regime che presiede alle importazioni di merci nel paese, va detto che la
classificazione doganale delle merci segue gli schemi invalsi a livello internazionale. L’ingresso nella
WTO, inoltre, ha dato impulso ad una revisione dei dazi doganali sulle merci importate. A tal fine, un
importante processo di revisione normativa ha avuto luogo nel dicembre 2001, prevedendo un ciclo di
riduzioni dei dazi, mediamente, nell’ordine del 10%, da completarsi entro il 2006.
Prodotto
Pasta
Vino
Olio d’oliva
Acque min. naturali
Acque min. gassate
Prodotti dolciari
Pomodori in scatola
Concentrati di pomodoro
Arredamento
Macchinari agricoli
Macchinari per costruzioni
Macchinari per lavorazione pietre/marmo
Apparecchiature elettriche
Prodotti ottici
Marmi e materiali da costruzione
Tessile/abbigliamento
Oreficeria e gioielleria
Articoli in pelle
Pellicceria
Pellami non lavorati
Calzature
Ceramiche per arredamento
Dazio precedente
Dazio attuale
25
65
18
50
65
25
25
25
–
11,32
12,8
15
35
22-18
24,5
25,5
40
25
22
9/14
25
45
15
14
10
20
20
20
10
20
–
6,6
10,2
10
5-10
21-17,5
5
11,7
35
10
20
8/13
10
10/12
Fonte: Informest
Il nuovo regime dei dazi doganali si applica a tutto il territorio della Repubblica Popolare Cinese,
comprese le zone speciali o “di sviluppo” (Special Economic Zones, Economic and Technological
Development Zones, Coastal Open Economic Zones, Free Trade Zones, etc.. Sulle zone di sviluppo si
veda quanto detto più diffusamente al paragrafo 17.2.). Le zone a sviluppo economico appena menzionate
costituiscono, come già ampiamente annotato, parte integrante di una strategia di promozione degli
investimenti esteri e si connotano per diversi schemi di agevolazioni, non soltanto fiscali (agevolazioni
all’accesso alle infrastrutture, etc.).
117
9. FINANZA AGEVOLATA
Analizzando il sistema finanziario, vanno menzionati i regimi agevolativi gestiti da istituti di diritto
italiano a supporto dell’internazionalizzazione delle imprese italiane. Tra questi istituti si segnalano, in
particolare:
• i crediti all’esportazione;
• i fondi a sostegno della costituzione di joint-venture in paesi extra-UE.
I crediti all’esportazione non sono soggetti a vincoli per quanto riguarda i paesi di destinazione dei
flussi di export; di conseguenza, sono applicabili indistintamente ad operazioni di esportazione sia
all’interno della UE sia extra-UE. Il fondamento normativo dei crediti all’export è rinvenibile nel decreto
legislativo n. 143 del 1998. Lo strumento in discorso consente alle imprese esportatrici italiane di
accordare agli acquirenti esteri delle dilazioni di pagamento a medio/lungo termine a condizioni agevolate;
i tassi d’interesse, infatti, sono in linea a quelli offerti da concorrenti di paesi OCSE. In particolare, i
tassi minimi (CIRR – tasso d’interesse commerciale di riferimento) sono definiti mensilmente in sede
OCSE in funzione della valuta di denominazione del credito all’esportazione; la base di calcolo è data
dalle quotazioni di titoli pubblici a medio/lungo termine cui si somma un margine dell’1%. Attualmente,
i tassi di riferimento sull’euro variano dal 4% al 5% a seconda della scadenza. Il tasso che governa
l’operazione di finanziamento è determinato all’atto della fase di negoziazione dell’operazione o della
stipula del contratto ed è fisso per tutta la durata dell’operazione. La procedura da seguire prevede
l’inoltro di apposita istanza alla SIMEST (Società Italiana per le Imprese all’Estero) da parte della banca
finanziatrice o direttamente dall’esportatore; la decisione in merito all’accoglimento o al rigetto della
domanda spetta al Comitato agevolazioni di SIMEST, entro un termine di 90 giorni dalla data della
domanda. L’importo finanziato copre al massimo l’85% dell’importo della fornitura e la durata
dell’agevolazione è pari o superiore ai 24 mesi dalla spedizione o consegna; la durata massima è
determinata in base agli accordi commerciali.
Il decreto, inoltre, prevede specificamente le tipologie di export che possono beneficiare dell’agevolazione;
trattasi, in particolare, di forniture di macchinari, impianti, studi, progettazioni, lavori e servizi, semilavorati
o beni intermedi destinati ad essere integrati in beni d’investimento. Tecnicamente, l’agevolazione si
traduce in un finanziamento concesso da una banca all’impresa italiana esportatrice a fronte della
dilazione accordata alla controparte estera (credito fornitore) ovvero direttamente all’acquirente estero
(credito acquirente). Il finanziamento può essere denominato tanto in euro quanto nelle principali valute,
con l’unica limitazione che la valuta di denominazione deve essere la stessa del contratto di fornitura.
Un istituto particolare di credito agevolato è quello proposto dall’art. 22 comma 5, del decreto legislativo
n. 143/98. Lo scopo è di finanziare le spese relative a studi di fattibilità collegati ad esportazioni o ad
investimenti italiani all’estero in Paesi non appartenenti all’Unione Europea.
Il finanziamento copre il 100% del totale complessivo delle spese in preventivo per una durata massima
di 3 anni e 6 mesi, compreso un periodo di preammortamento di 6 mesi in cui sono corrisposti solo gli
interessi. Risultano finanziabili le spese inserite nel preventivo a firma del legale rappresentante (salari,
emolumenti dovuti a consulenti o ad esperti, viaggi, studi di supporto, test, altre spese di natura tecnica
che risultino strettamente collegate allo studio da effettuare). Tecnicamente, si tratta di operazioni
garantite, ove le forme di garanzia ammesse a fronte del finanziamento ricevuto sono: (i) fideiussione
bancaria e/o assicurativa redatta secondo lo schema predisposto dalla SIMEST e rilasciata dalle banche
o compagnie assicurative di gradimento della SIMEST medesima; (ii) fideiussione di Consorzi di
Garanzia Collettiva Fidi (Confidi) appositamente convenzionati con SIMEST; (iii) pegno su titoli.
118
9.1. I fondi di venture capital
Si tratta di fondi destinati al finanziamento, tramite SIMEST, di operazioni di venture capital in aree
quali la Cina, la Federazione Russa, il Mediterraneo, l’Africa, il Medio Oriente ed i Balcani. Tali fondi
sono cumulativi rispetto alla normale quota di partecipazione di SIMEST all’iniziativa in forza della
legge n. 100 del 1990. Ai sensi di tale legge, si ricorda, la SIMEST ha quale oggetto statutario la
partecipazione ad imprese e società all’estero promosse o partecipate da imprese italiane ovvero da
imprese aventi una stabile organizzazione in uno stato dell’Unione Europea, oltre che la promozione
ed il sostegno finanziario, tecnico-economico ed organizzativo di specifiche iniziative d’investimento.
Entro tale cornice, SIMEST può partecipare con quote di minoranza a società ed imprese all’estero: al
proposito la partecipazione di SIMEST non può eccedere, di norma, la quota del 25% del capitale sociale
della società partecipata (salvi i casi in cui il CIPE consente di aumentare la quota di partecipazione
oltre il 25%).
Con specifico riferimento ai fondi di venture capital, è attivo un Fondo Cina (istituito con Decreto Ministeriale
del 27 gennaio 2004). Obiettivo del fondo è sostenere gli investimenti delle imprese italiane attraverso
l’acquisizione di quote di capitale di rischio in imprese aventi sede nella Repubblica Popolare Cinese.
Sono ammissibili le seguenti tipologie di operazioni: (i) costituzione di nuova impresa, (ii) sottoscrizione
di aumento di capitale sociale in impresa già costituita, (iii) acquisto da terzi di azioni o quote di impresa
già costituita.
Condizione per poter usufruire dell’intervento del fondo è che venga ottenuta pure la partecipazione
SIMEST ex legge n. 100/90. Il fondo stanziato ammonta a 40,3 milioni di euro (di cui una quota pari
a 10,3 milioni a favore delle piccole e medie imprese che acquisiscono quote di capitale di rischio in
società costituite o da costituire nella Repubblica Popolare Cinese) ed è trasferito alla SIMEST.
Tecnicamente, SIMEST acquista, a valere su tale fondo rotativo, quote di capitale in imprese costituite
in Cina e partecipate da imprese italiane; l’obiettivo è quello di mettere a disposizione delle imprese
italiane strumenti finanziari che ne agevolino il processo di internazionalizzazione nel paese. Competente
a deliberare sulla concessione dell’intervento è il Comitato di indirizzo e rendicontazione istituito con
decreto n. 397 del 3 giugno 2003. La partecipazione della SIMEST ex legge n. 100/90 e del fondo di
venture capital ad imprese estere può arrivare fino ad un massimo del 49% del capitale.
10. IL MERCATO DEI CAPITALI
Il mercato dei capitali in Cina ha intrapreso un significativo sentiero di sviluppo a partire dagli anni
Ottanta, parallelamente al procedere delle riforme e dei primi tentativi di liberalizzazione del mercato.
Nel luglio del 1981, il Governo Cinese ha ripreso l’emissione di titoli del debito pubblico; sei anni più
tardi è stato istituito un mercato secondario per la negoziazione dei medesimi titoli. Le emissioni
societarie si diffondono a partire dalla metà degli anni Ottanta ed hanno ad oggetto titoli azionari e
corporate bonds. Nel dicembre del 1990 sono istituite le borse di Shanghai e Shenzhen mentre, a partire
dal 1992, la CSRC (China Security Regulatory Commission) è l’organismo cui competono in via
esclusiva le funzioni di regolamentazione dei mercati di strumenti finanziari.
Oltre alle due borse azionarie citate, attualmente vi sono 3 mercati per la negoziazione di contratti future
e 186 imprese di brokeraggio su contratti future. In particolare, si possono annoverare 12 tipologie di
contratti future su commodities negoziabili sui mercati cinesi (in modo particolare su prodotti agricoli
e metalli). Nel 2003, i volumi di negoziazione sui mercati future si sono attestati sui 279,86 milioni di
lotti per un controvalore di quasi 11 mila miliardi di Renminbi.
119
Attualmente, sul mercato dei capitali cinese sono negoziabili sette tipologie di strumenti finanziari:
• azioni di classe A (si tratta di azioni ordinarie denominate in Renminbi);
• azioni di classe B (azioni ordinarie ammesse al listing su mercati domestici e quotate in USD ovvero
in dollari di Hong Kong);
• buoni del tesoro;
• pronti contro termine su buoni del tesoro;
• obbligazioni societarie;
• obbligazioni convertibili;
• quote di fondi comuni d’investimento.
Alle imprese di assicurazione è consentito investire sul mercato dei capitali in via indiretta, attraverso
la gestione di fondi d’investimento mentre il Social Security Fund può avvalersi di istituzioni di asset
management.
L’offerta e la negoziazione di titoli azionari e di quote di fondi d’investimento di tipo chiuso hanno
luogo in forma dematerializzata mentre le procedure di compensazione e liquidazione sono standardizzate
per tutti i partecipanti.
I continui mutamenti della domanda di mercato e l’emergere di prodotti e servizi finanziari trasversali
ai diversi settori del sistema finanziario, hanno indotto le autorità cinesi ad adottare un modello di vigilanza
di tipo funzionale, al fine di consentire un più efficace coordinamento dell’attività di supervisione sui
diversi soggetti coinvolti.
La vigilanza sul mercato mobiliare cinese è di competenza della CSRC, organismo fondato nel 1992
sotto impulso del Consiglio di Stato, ed investe gli emittenti, gli intermediari ed i mercati, facendo capo,
dal punto di vista organizzativo, a dipartimenti specifici della Commissione.
Le funzioni statutarie attribuite alla Commissione assegnano alla stessa poteri regolamentari in materia
di mercati finanziari: in tal senso, l’attività della Commissione si estrinseca nella formulazione ed
emanazione di provvedimenti che regolano gli orientamenti strategici della vigilanza in tema di emissione
e negoziazione di strumenti finanziari.
In particolare, la Commissione regola le attività di offerta al pubblico, negoziazione, custodia e regolamento
di strumenti finanziari. La vigilanza sugli emittenti, in particolare, concerne, specificamente, gli emittenti
titoli quotati e rientra nella competenza del “Department of listed companies supervision”. La supervisione
sulle attività di sollecitazione all’investimento, peraltro, rientra nella competenza di un centro di responsabilità
separato (“Department of pubblic offering supervision”) cui sono attribuiti poteri di controllo in materia
di offerte pubbliche d’acquisto. La supervisione sugli emittenti titoli quotati, poi, si estrinseca tanto
mediante la conduzione di ispezioni di vigilanza volte ad indagarne la correttezza dei comportamenti,
quanto mediante la formulazione di linee guida in materia di informativa al pubblico degli investitori.
10.1. Gli investimenti esteri
Parallelamente allo sviluppo dei mercati dei capitali, la commissione di vigilanza ha implementato un
piano d’azione finalizzato a promuovere l’internazio-nalizzazione delle imprese domestiche. A dicembre
2003, 93 imprese cinesi erano quotate su mercati azionari esteri, raccogliendo, complessivamente, circa
27 miliardi di USD. Tra queste, 18 grandi imprese (tra le quali People’s Insurance Company of China,
Sinotrans, Chinalife e Avichina) hanno conseguito la prima quotazione su mercati esteri nel corso del
2003.
120
Specularmente, la Cina sta compiendo ulteriori sforzi, rispetto a quanto già fatto ai fini dell’accesso
alla WTO, al fine di ampliare il grado di apertura del mercato domestico ai capitali esteri. Nel dicembre
2002 la Cina ha lanciato un programma volto a favorire l’accesso al mercato azionario domestico agli
investitori istituzionali esteri. Detto programma è conosciuto come “QFII scheme” (Qualified Foreign
Institutional Investors).
L’ottenimento della licenza QFII è disciplinata dal decreto n. 12 del 5 novembre 2002, emanato dalla
Commissione di vigilanza di concerto con la Banca Popolare Cinese, e recante misure per la gestione
degli investimenti in strumenti finanziari domestici da parte di investitori qualificati esteri. Secondo il
disposto normativo, possono assumere la qualifica di QFII le banche commerciali, le imprese di
investimento, le istituzioni finanziarie che svolgono attività di asset management e le imprese di
assicurazione approvate dalla CSRC. La qualifica di QFII è concessa dalla CSRC sulla base di alcuni
criteri dimensionali di seguito schematizzati.
Banche commerciali
Imprese di investimento
Imprese di asset management
Imprese di assicurazione
Classificazione tra le prime 100 banche al mondo per volume degli
attivi nell’ultimo esercizio
Controvalore degli strumenti finanziari gestiti: min. 10 mld USD
Operatività nell’industria degli investimenti in strumenti finanziari
da almeno 30 anni
Capitale versato: min. 1 mld USD
Controvalore degli strumenti finanziari gestiti: min. 10 mld USD
Operatività nell’industria dell’asset management da almeno 5 anni
Volume degli asset gestiti nell’ultimo esercizio: min. 10 mld USD
Operatività nell’industria assicurativa da almeno 5 anni
Capitale versato: min. 1 mld USD
Controvalore degli strumenti finanziari gestiti: min. 10 mld USD
Peraltro, gli investimenti esteri sono contingentati dal momento che gli investitori qualificati sono
abilitati a investire sul mercato dei capitali cinesi nei limiti di una quota massima assegnata a ciascuno
dalla SAFE, rispondente ad esigenze di controllo dei cambi.
La qualifica di QFII attribuisce all’investitore esteroresidente la facoltà di investire nei seguenti strumenti
finanziari negoziati sul mercato dei capitali cinese:
• titoli azionari, ad eccezione delle azioni di classe B (il decreto n. 12/2002 pone dei vincoli all’investimento
azionario in società quotate; fra l’altro, ciascun investitore esteroresidente non può detenere oltre il
10% del capitale sociale in una società quotata, e le partecipazioni aggregate facenti capo agli investitori
esteroresidenti in una singola società quotata non possono superare il 20% del capitale sociale);
• buoni del tesoro negoziati sui mercati borsistici cinesi;
• obbligazioni convertibili;
• altri strumenti finanziari per i quali vi è l’approvazione della CSRC.
L’operatività sul mercato dei capitali cinese è subordinata alla nomina di una banca commerciale
domestica (custodian bank) per la custodia degli strumenti finanziari negoziati dall’investitore
esteroresidente. In generale, le funzioni attribuite a tale soggetto si estendono oltre la gestione di tutte
le attività connesse con la negoziazione di strumenti finanziari, dal regolamento delle transazioni alla
gestione dei diritti relativi (diritti patrimoniali e amministrativi attribuiti dagli strumenti finanziari
negoziati, quali incasso di dividendi ed esercizio dei diritti di voto), fino a comprendere vere e proprie
attività di supervisione. Sotto quest’ultimo profilo, la custodian bank opera in qualità di agente della
SAFE; in particolare:
121
• vigila sulle attività dell’investitore estero e riporta all’organo amministrativo ogni violazione riscontrata
delle leggi e dei regolamenti in materia;
• riporta alla SAFE in merito alle rimesse ed al rimpatrio di capitali da parte dell’investitore estero.
Ottenuta l’approvazione della SAFE, con indicazione del plafond massimo per gli investimenti da
realizzare, l’investitore estero è tenuto ad aprire un conto, denominato in Renminbi, presso la custodian
bank e destinato a supportare le attività connesse all’investimento (trasferimento di fondi dall’estero
per il regolamento delle operazioni di acquisto, registrazione degli incassi per dividendi e interessi,
etc.).
Gli investitori istituzionali esteri sono tenuti, come detto, ad aprire conti bancari per la gestione ed il
regolamento delle rispettive operazioni di investimento condotte nell’ambito della Repubblica Popolare
Cinese. Il citato Provvedimento amministrativo del Governatore della banca centrale in materia di conti
bancari, contiene delle previsioni concernenti i conti intestati agi investitori qualificati esteri.
In forza di dette disposizioni, i conti che gli investitori esteri qualificati aprono presso istituzioni creditizie
cinesi debbono essere gestiti in qualità di special deposit accounts (tra i quali rientrano i fund settlement
accounts, ovvero conti per il regolamento delle negoziazioni aventi ad oggetto strumenti finanziari). Gli
investitori in questione sono tenuti a produrre, a tal proposito, apposita autorizzazione concessa dalla
SAFE e, nell’ipotesi di apertura di un fund settlement account, l’autorizzazione all’effettuazione di
negoziazioni in strumenti finanziari appositamente rilasciata dalla commissione di vigilanza sul mercato.
Al dicembre 2003, dodici istituzioni finanziarie estere avevano conseguito la licenza QFII per una quota
complessiva di 1,7 miliardi di USD.
10.2. Il processo di riforme sul mercato dei capitali
La creazione di un quadro regolamentare articolato ha costituito la precondizione per lo sviluppo del
mercato dei capitali cinese. Alla base dell’ordinamento cinese in materia di mercato dei capitali vi sono,
essenzialmente, tre provvedimenti normativi: la legge sulle società, la legge sugli strumenti finanziari
(securities law) e la legge sui fondi comuni d’investimento.
I suddetti testi normativi sono integrati da una serie di regole amministrative, linee guida e codici,
riconducibili essenzialmente all’attività della Commissione di vigilanza, ispirati all’obiettivo di fissare
adeguati standard di trasparenza nel comportamento di emittenti ed intermediari a tutela del pubblico
degli investitori. A fine 2003 vi erano circa 300 testi regolamentari in vigore.
I suddetti sforzi regolamentari rientrano nell’ambito di un piano di misure che la Commissione di
vigilanza ha implementato allo scopo di adeguare l’ordinamento cinese in materia di mercati alle
esigenze poste dalla competizione internazionale. L’obiettivo è quello di rendere appetibile il mercato
cinese all’investimento estero.
Ripercorrendo il filo rosso che lega il processo riformatore, le linee guida dello stesso sono ispirate alla
tutela degli investitori ed allo sviluppo del mercato dei capitali. In particolare, i provvedimenti emanati
attengono ai seguenti obiettivi:
• creazione di un quadro normativo specifico per il mercato del controllo societario, ridefinendo la
normativa sulle offerte pubbliche;
• definizione di regole più rigorose di corporate governance per le società quotate, prevedendo, in
particolare, la presenza obbligatoria di amministratori indipendenti nei consigli di amministrazione;
122
• riforma dei principi contabili domestici;
• predisposizione di misure atte a migliorare la trasparenza di mercato, rafforzando gli obblighi di
disclosure per le imprese.
Sforzi sono pure stati compiuti per sviluppare l’efficienza dei mercati obbligazionari e dei derivati. Questi
ultimi, in modo particolare, sono percepiti come un importante strumento per la gestione dei rischi e,
per ciò stesso, irrinunciabile per lo sviluppo del sistema mercato.
Più nello specifico, i dispositivi regolamentari emanati disciplinano le seguenti materie:
• offerta di strumenti finanziari;
• negoziazione di strumenti finanziari;
• disclosure di fatti rilevanti, finanziari e non;
• supervisione sugli intermediari finanziari;
• supervisione sulle agenzie di servizio, quali consulenti, advisors ed agenzie di rating;
• regolamentazione dei fondi comuni d’investimento.
10.3. Offerta di strumenti finanziari, listing e disclosure
La regolamentazione in materia di offerta al pubblico di strumenti finanziari e di quotazione in borsa
mira a definire le condizioni di accesso al mercato dei capitali ed un quadro informativo certo a tutela
dell’investitore. Vi rientrano, al proposito, le norme in materia di comunicazione delle variazioni nella
base azionaria delle società quotate, gli standard in materia di contenuto e formato della disclosure delle
società quotate e, inoltre, le misure di disciplina dell’attività degli sponsor nell’ambito delle offerte al
pubblico di strumenti finanziari (“Interim measures on the sponsor system for securities pubblic offerings”
promulgate il 28 dicembre 2003): queste ultime misure disciplinano il registro degli sponsor, ne
definiscono le responsabilità nel processo di offerta nonché le procedure da seguire. In materia di offerta
al pubblico e di ammissione a quotazione in borsa si rimanda, per un maggiore dettaglio, alle prossime
sezioni del presente lavoro.
Vanno qui menzionati, tuttavia due provvedimenti regolamentari emanati dalla Commissione importanti
in un’ottica di sviluppo del mercato dei capitali:
• il primo, datato 4 novembre 2002, è stato emanato dalla Commissione di concerto con il Ministero
delle Finanze e la Commissione nazionale sul commercio e disciplina l’acquisto di quote di imprese
controllate dallo Stato da parte di investitori esteri, costituendo pertanto una importante apertura al
capitale straniero;
• il secondo, datato 28 agosto 2003, disciplina il trasferimento di fondi tra società quotate e parti
correlate, circondando tali trasferimenti di stringenti requisiti di trasparenza.
La regolamentazione in materia di negoziazioni su strumenti finanziari si compone di due filoni: le
norme generali in materia di trading e quelle concernenti le condotte proibite. Due provvedimenti sono
degni di menzione: il regolamento della Commissione in materia di mercati di borsa del 12 dicembre
2001, che detta disposizioni di disciplina dell’istituzione e gestione delle borse valori, attribuendo a
queste specifiche responsabilità in materia di vigilanza sugli scambi, ed il regolamento di disciplina dei
mercati future del 1° luglio 2002.
123
10.4. Disciplina dei fondi comuni d’investimento
Il 28 ottobre 2003 il Congresso della Repubblica Popolare Cinese ha promulgato la legge sui fondi
comuni d’investimento disciplinando aspetti quali la sottoscrizione delle quote, la gestione dei fondi e
l’attività delle banche depositarie. Di particolare rilevanza, sono le norme che istituzionalizzano il
principio di separazione del patrimonio della società di gestione da quello dei fondi gestiti, ponendo
questi ultimi al riparo dalle azioni che i creditori del gestore eventualmente intentino contro lo stesso.
10.5. Il codice di corporate governance
Il 7 gennaio 2001 la CSRC, di concerto con la Commissione per le attività economiche e commerciali,
ha emanato il Codice per la corporate governance in Cina. La disciplina dettata dal Codice è applicabile
a tutte le imprese con titoli quotati operanti nel territorio della Repubblica Popolare Cinese ed è finalizzata
a promuovere standard di governo societario coerenti con le esigenze di tutela degli investitori. I capitoli
lungo i quali si articola la disciplina del codice concernono:
• i diritti degli azionisti e le regole di funzionamento delle assemblee;
• gli azionisti di controllo;
• il funzionamento e la composizione dei consigli di amministrazione;
• il funzionamento dell’organo di supervisione.
Sotto il primo profilo, il Codice proclama il principio della parità di diritti di tutti gli azionisti, compresi
quelli di minoranza. In secondo luogo, detta linee guida volte a rendere effettivo l’esercizio dei diritti
connessi con la qualità di socio, disponendo che gli statuti delle società quotate predispongano misure
atte a favorire la partecipazione effettiva di ogni socio alle adunanze e procedure comunicative coerenti
con la necessità di rendere pienamente conoscibili a tutti i soci gli argomenti all’ordine del giorno.
Il Codice, inoltre, pone degli obblighi di condotta in capo agli azionisti di controllo, concernenti tanto
la fase precedente l’ammissione a quotazione quanto la fase successiva all’ammissione. Nella fase
precedente la quotazione, sono tenuti a promuovere una riorganizzazione societaria, con la finalità di
giungere ad una struttura azionaria equilibrata ed allo scorporo dei rami d’azienda non operativi. Le
unità che prestano servizi a supporto del core business della società quotanda dovranno essere organizzati
in qualità di società specializzate. Al proposito, i rapporti con la società quotanda dovranno essere regolati
da accordi stipulati sulla base di principi ispirati alle normali prassi commerciali.
Successivamente alla quotazione, gli azionisti di controllo devono conformarsi ad adeguati standard di
correttezza nei rapporti con la società e gli altri azionisti. A questo specifico proposito, il Codice
riconosce la fattispecie dell’abuso di informazioni privilegiate, statuendo un generale principio di non
discriminazione nei confronti degli altri azionisti nell’utilizzo di informazioni ottenute in virtù della
particolare posizione di azionista di controllo, anche se, ovviamente, trattandosi di un codice di condotta
tale principio rimane a livello prescrittivo e non è supportato da specifiche sanzioni.
Il codice, inoltre, sancisce un principio d’indipendenza della società quotata rispetto agli azionisti di
controllo. In tal senso, secondo la lettera del Codice non vi debbono essere relazioni di subordinazione
tra la società quotata ed i relativi organi di governo da un lato e gli azionisti di controllo dall’altro.
Questi ultimi, in particolare, sono inibiti dal conferire istruzioni relative alla condotta degli affari societari
agli organi di governo.
Inoltre, gli azionisti di controllo (ovvero altre società a loro facenti capo) sono inibiti dal compiere
attività d’impresa simili a quelle condotte dall’impresa quotata; coerentemente, gli azionisti di controllo
124
sono tenuti ad adottare misure idonee ad evitare l’insorgere di una effettiva competizione con la società
che controllano.
Per quanto concerne gli organi amministrativi, il Codice raccomanda l’adozione negli statuti sociali di
procedure standardizzate e trasparenti per l’elezione dei componenti, al fine di assicurare la correttezza
ed imparzialità dell’elezione. E’, poi, prevista una clausola a tutela degli azionisti di minoranza, i cui
orientamenti devono essere tenuti nella giusta considerazione, nella nomina dei consigli d’amministrazione.
Nelle società ove vi sia un azionista (o più azionisti di controllo) che detengono oltre il 30% dei diritti
di voto, è prevista l’adozione di un sistema di voto cumulativo. Dal lato della composizione dell’organo
amministrativo, compare per la prima volta la figura dell’amministratore indipendente: al proposito,
l’indipendenza è misurata tanto rispetto alla società quanto rispetto agli azionisti di controllo.
Al fine di rafforzare ulteriormente la struttura del governo societario, la CSRC ha emanato nell’agosto
del 2001 delle linee guida per la nomina di amministratori indipendenti nei consigli delle società quotate,
ad integrazione di quanto già previsto nel Codice di corporate governance. Dopo aver ribadito i principi
di correttezza e buona fede nell’esercizio delle funzioni di amministratore indipendente già statuiti dal
Codice a tutela delle minoranze, le linee guida ne formalizzano in misura più dettagliata la disciplina.
Tali linee guida, in particolare, propongono una definizione, seppure in negativo, di amministratore
indipendente che, nel codice di corporate governance, rimaneva piuttosto sfumata. In linea di principio,
gli amministratori indipendenti possono assumere tale funzione in un massimo di 5 società quotate e
devono essere nominati tra soggetti in possesso di elevati standard di professionalità. Le linee guida,
al proposito, richiedono che almeno uno degli amministratori indipendenti presenti in consiglio sia scelto
tra persone esperte in contabilità e revisione dei conti. In concreto, la qualifica di amministratore
indipendente è inibita:
ß ai soggetti che rivestono cariche direttive nella società quotata ovvero in società da questa controllate
nonché i parenti più prossimi di questi;
• ai soggetti che, direttamente o indirettamente, detengono oltre l’1% del capitale sociale della società
quotata ovvero le persone fisiche azioniste delle società di capitali titolari delle 10 maggiori partecipazioni
nella società quotata;
• ai soggetti che partecipino in una persona giuridica la quale, a sua volta, detenga, in via diretta o
indiretta, una partecipazione superiore al 5% nella società quotata;
• ai soggetti che ricadevano nelle precedenti fattispecie nell’anno precedente;
• ai soggetti che prestano servizi finanziari, legali, ovvero di consulenza alla società quotata ed alle
società rientranti nel gruppo alla stessa facente capo.
Quanto alla composizione numerica del consiglio, le linee guida prevedevano un adeguamento in due fasi:
entro il 30 giugno 2002 almeno due membri dei consigli di amministrazione delle società quotate dovevano
essere indipendenti, mentre entro il 30 giugno del 2003 tale proporzione doveva salire a 1 su 3.
Il 1° febbraio 2004, inoltre, il Consiglio di Stato ha emanato delle linee guida per la promozione delle
riforme, l’apertura e lo sviluppo del mercato dei capitali cinese. In dette linee guida sono ricapitolati
gli sviluppi del mercato nell’ultimo decennio e, alla luce degli stessi, si procede ad una focalizzazione
degli orientamenti che dovranno ispirare lo sforzo riformatore nel prossimo futuro. In tale contesto, si
riconosce che i progressi effettuati nell’ultimo decennio dal mercato dei capitali in termini di dimensione,
infrastrutture ed architettura normativo-regolamentare ne hanno rafforzato il ruolo di pilastro della nuova
economia socialista orientata al mercato. Coerentemente, al mercato dei capitali è attribuito un ruolo
propulsivo nello sviluppo delle imprese controllate dallo stato, mobilitando le risorse e, conseguentemente,
promuovendo lo sviluppo economico.
125
10.6. Initial Public Offerings e ammissione a quotazione di titoli azionari
Gli emittenti che presentano istanza alla Commissione per l’offerta al pubblico di titoli azionari devono
conformarsi alle disposizioni dei testi legislativi rilevanti (legge sulle società e legge sugli strumenti
finanziari) e dei regolamenti attuativi. Regole specifiche sono dettate per i titoli di classe A e per i titoli
di classe B.
L’offerta al pubblico di titoli azionari di classe A finalizzata all’ammissione a quotazione in borsa (IPO)
è riservata alle società per azioni ed è subordinata al rispetto di specifici requisiti concernenti tanto le
azioni emesse quanto l’emittente. I requisiti concernenti l’emittente, sono volti ad assicurare che soltanto
i titoli di società profittevoli accedano al pubblico investimento sul mercato dei capitali. I titoli azionari,
in particolare, devono essere interamente liberati e possono formare oggetto di offerta non prima di un
anno dall’emissione. Il livello minimo di flottante è, inoltre, pari al 25% del capitale sociale dell’emittente
(se però il capitale sociale dell’emittente è di almeno 400 milioni di RMB, il livello di flottante minimo
è ridotto al 15%). L’emittente, d’altra parte:
• deve avere un capitale minimo di 50 milioni di RMB;
• deve aver prodotto utili negli ultimi tre esercizi ed essere in grado di distribuire dividendi; è richiesto
inoltre che il rendimento dei titoli azionari dell’emittente sia superiore al tasso corrisposto sui depositi
bancari;
• essere dotato di asset intangibili il cui valore non ecceda il 20% degli asset totali.
L’emittente è tenuto a nominare uno sponsor che gestisca le fasi preliminari all’offerta, dall’assistenza
alla società ai fini dell’adeguamento della struttura organizzativa alla predisposizione dei dettagli tecnici,
dopodiché dovrà presentare istanza di autorizzazione alla Commissione: la competenza in materia di
esame della domanda spetta ad apposito dipartimento della Commissione (Public Offering Supervision
Department). Le sottoscrizioni in sede di IPO hanno luogo, generalmente, nell’ambito di un’offerta
pubblica anche se, sovente, le operazioni di IPO prevedono pure una quota di titoli destinata ad investitori
strategici: questi ultimi, nel sottoscrivere l’offerta istituzionale generalmente si vincolano, attraverso
clausole di lock-up, a non alienare i titoli sottoscritti per periodi di tempo concordati.
Le società quotate possono procedere a successive emissioni azionarie osservando apposite disposizioni
regolamentari dettate dalla Commissione di vigilanza (Measures on the administration of new shares
issuance by listed companies). Al riguardo, giova sottolineare che è concesso il diritto d’opzione sui
titoli di nuova emissione ai vecchi azionisti. Inoltre, le norme regolamentari circondano le successive
emissioni di particolari cautele volte a rafforzare la governance della società, da un lato, e ad indirizzarne
l’attività dall’altro. In particolare:
• la società deve essere indipendente dagli azionisti di controllo per quanto riguarda gli attivi e la
gestione finanziaria;
• la convocazione delle assemblee e le procedure di voto devono essere conformi alla legislazione in
vigore;
• le risorse raccolte devono essere coerenti con gli indirizzi della politica industriale del paese.
Regole in parte diverse vigono per l’emissione di azioni di classe B. Si ricorda che tale tipologia si
riferisce a titoli azionari emessi da società registrate in Cina e negoziati su borse domestiche. Il valore
nominale di tali titoli è espresso in valuta domestica ma sottoscrizione e negoziazione degli stessi ha
luogo in valuta estera: in dollari americani alla borsa di Shanghai ed in dollari di Hong Kong alla borsa
di Shenzhen. Le azioni di classe B consentono alle società cinesi di raccogliere capitali in valuta da
investitori esteri e cinesi e rappresentano, pertanto, il primo tentativo di internazionalizzazione del
mercato dei capitali cinese: tali titoli sono negoziati dal 1992. La negoziazione di azioni di classe B è,
peraltro, riservata ad imprese d’investimento appositamente autorizzate dalla Commissione di vigilanza.
126
Il 19 febbraio 2001, inoltre, la Commissione ha emanato un apposito provvedimento (Notice regarding
B-share investment by chinese citizens) consentendo ad investitori cinesi, persone fisiche, di aprire appositi
conti (B-shares accounts) per la negoziazione, attraverso le imprese d’investimento autorizzate, di tali
titoli in valuta estera.
La peculiarità delle disposizioni concernenti l’emissione di azioni di classe B concerne, essenzialmente,
la costituzione della società. E’ richiesto, al proposito, che la stessa sia costituita da almeno 5 soci
promotori, almeno la metà dei quali residenti in Cina, che detengano almeno il 35% del capitale sociale
all’atto della costituzione. I conferimenti dei soci promotori, inoltre, non devono essere inferiori a 150
milioni di RMB, a testimonianza implicita dei più alti livelli di capitalizzazione richiesti alle società
emittenti titoli di classe B. Per l’ammissione a quotazione, le regole in materia di flottante ricalcano,
invece, quelle previste per l’ammissione a quotazione di titoli di classe A.
10.7. Le negoziazioni di titoli azionari
In accordo con il capitolo 3 della legge di disciplina degli strumenti finanziari le negoziazioni hanno
luogo in forma centralizzata su mercati di borsa legalmente istituiti. Attualmente, come detto, vi sono
due mercati di borsa, a Shanghai e Shenzhen, ove le negoziazioni avvengono secondo regole di priorità
di prezzo e di tempo. Il deposito ed il regolamento dei titoli azionari negoziati in borsa hanno luogo
presso la società di deposito accentrato, la CSDCC (China Securities Depository and Clearing Corporation).
La negoziazione sui mercati di borsa presuppone la preventiva apertura di conti presso la società di
deposito accentrato sui quali registrare i diritti di proprietà sui titoli negoziati in regime di dematerializzazione.
La CSDCC è stata istituita nel marzo del 2001 in accordo con le disposizioni della legge sulle società
e della legge di disciplina dei mercati e degli strumenti finanziari. L’attività statutaria della CSDCC
consiste nel deposito, custodia e regolamento degli strumenti finanziari quotati in borsa ed ha luogo
sotto la supervisione della Commissione di vigilanza sui mercati finanziari. Attualmente, il regolamento
delle negoziazioni ha luogo il primo giorno di borsa aperta successivo alla stipula del contratto per i
titoli azionari di classe A ed il terzo giorno di borsa aperta successivo alla stipula per i titoli azionari
di classe B.
Gli investitori negoziano in borsa per il tramite di imprese d’investimento, le quali caricano commissioni
che non possono eccedere il 3‰ del valore nominale scambiato; in forza delle disposizioni fiscali
vigenti, inoltre, l’investitore è soggetto ad una imposta di bollo pari al 2‰ del controvalore scambiato.
Come detto, l’esecuzione degli ordini in borsa ha luogo secondo una priorità di prezzo: gli ordini in
acquisto sono classificati in ordine decrescente di prezzo (il primo ordine in acquisto ad essere eseguito
è quello recante il prezzo più alto) mentre gli ordini di vendita sono classificati in ordine crescente di
prezzo (il primo ordine di vendita ad essere eseguito è quello recante il prezzo più basso); se più ordini
in acquisto (o in vendita ) recano lo stesso prezzo, avrà precedenza d’esecuzione quello inserito per
primo nel sistema (priorità di tempo). Sono, infine, previsti dei parametri automatici di controllo delle
negoziazioni la cui finalità è quella di non alimentare eccessive fluttuazioni di prezzo: l’idea è quella
di procedere alla sospensione automatica delle contrattazioni su un titolo quando il prezzo relativo
mostri oscillazioni eccessive, superiori a una determinata percentuale. Attualmente, la percentuale
suddetta è pari, in genere, al 10%; una tolleranza ridotta è tuttavia prevista per i titoli azionari di società
in difficoltà finanziarie, per i quali il limite massimo di oscillazione del prezzo è pari al 5%.
127
Confronto tra PIL e capitalizzazione di mercato delle borse cinesi (dati in RMB 100 milioni)
Anno
PIL
2000
2001
2002
2003
89.404,00
95.933,00
102.398,00
116.694,00
Capitalizzazione di mercato
Capitalizzazione di mercato/PIL
(azioni classe A e B)
48.090,94
43.522,20
38.329,12
42.457,71
53,79%
45,37%
37,43%
36,38%
Fonte: dati CSRC
Infine, di recente istituzione è un mercato (Agency Share Transfer System) per la negoziazione di titoli
azionari di società non quotate. Si tratta propriamente di un mercato non regolamentato, a differenza delle
borse di Shanghai e Shenzhen, ove si negoziano titoli di società i cui titoli non sono ammessi in uno dei
due mercati regolamentati ovvero titoli in precedenza quotati in tali mercati ma oggetto di provvedimenti
di delisting. Tale piattaforma è stata istituita dalla SAC (Securities Association of China) con regolamento
del 12 giugno 2001 approvato dalla CSRC. Fondata il 28 agosto 1991, la SAC è un’organizzazione non
profit che opera in regime di autoregolamentazione sotto la supervisione della CSRC ed il cui scopo statutario
è quello di rappresentare l’industria dei servizi d’investimento nei rapporti con i pubblici poteri. Le sue
funzioni, peraltro, si estendono alla salvaguardia dei diritti dei propri membri ed al mantenimento di
adeguati standard di concorrenza nell’industria. A fine dicembre 2003 l’associazione vantava 229 membri,
incluse 116 imprese d’investimento, 2 società di asset management, 19 società di gestione di fondi e 83
società di consulenza in materia di investimento in strumenti finanziari.
10.8. Il mercato obbligazionario
Il mercato obbligazionario cinese si compone del mercato obbligazionario interbancario e del mercato
dei titoli obbligazionari negoziati in borsa. La quota preponderante di titoli obbligazionari negoziati è
composta da titoli del tesoro e obbligazioni emesse da istituzioni finanziarie quali la Banca Popolare
Cinese, la China Development Bank ed altre banche; ancora poco sviluppato è il mercato delle obbligazioni
societarie.
Il mercato interbancario dei titoli obbligazionari è un mercato over the counter ove le negoziazioni
avvengono secondo un sistema di trading di tipo quote driven. Si tratta della principale piattaforma per
il trading di blocchi di titoli obbligazionari tra istituzioni finanziarie e costituisce pure il canale attraverso
il quale la Banca Centrale conduce operazioni di mercato aperto. I principali partecipanti al mercato in
questione sono, oltre alla Banca Centrale, le banche commerciali, le imprese d’investimento, le imprese
d’assicurazione ed i fondi. Istituzioni non finanziarie possono negoziare titoli obbligazionari sul mercato
interbancario solamente attraverso l’intermediazione di una istituzione finanziaria. Di recente, pure le
persone fisiche sono state autorizzate a negoziare titoli del mercato interbancario presso i desk delle
banche commerciali: si tratta, tuttavia, di un mercato relativamente nuovo e dai volumi ancora scarsi.
I prodotti scambiati sul mercato interbancario dei titoli obbligazionari sono buoni del tesoro, titoli
emessi da istituzioni finanziarie e titoli a breve termine emessi dalla Banca Centrale (i volumi di tali
titoli in circolazione sul mercato interbancario a fine 2003 erano rispettivamente 1.749,1 miliardi di
RMB, 1.160,8 miliardi e 337,7 miliardi).
Il mercato borsistico dei titoli obbligazionari, d’altra parte, è alimentato dalle negoziazioni condotte
sulle due borse di Shanghai e Shenzhen. I titoli principalmente scambiati sono titoli del tesoro ed
obbligazioni corporate. Si tratta di mercati ove le negoziazioni hanno luogo secondo un sistema di
128
trading del tipo order driven, ove i principali partecipanti sono imprese d’investimento, imprese
d’assicurazione, fondi comuni d’investimento e altri investitori non finanziari ed investitori individuali.
La Banca Centrale ed il sistema delle banche commerciali non hanno accesso alle negoziazioni di borsa.
Il mercato di Borsa dei titoli obbligazionari
Volumi trading
(10.000 lotti )
Corporate bonds
--spot
--repo
Bonds convertibili
T-bonds
T-bond spot
T-bond futures
T-bond repurchase
Turnover
(100 mln RMB)
Corporate bonds
--spot
--repo
Bonds convertibili
T-bond spot
T-bond futures
T-bond repurchase
2000
2001
2002
2003
197979,00
906,15
906,15
11717,48
185355,37
38018,57
147336,8
204707,68
672,13
672,13
3684,55
200351,00
45474,64
154876,36
329480,25
639,81
639,81
688,29
328152,15
83955,76
244196,39
620194,41
26973,4
3439,33
23534,07
5830,70
587390,31
57391,85
529998,46
19119,16
92,92
92,92
135,07
4157,49
0,00
14733,68
20417,76
68,84
68,84
45,68
4815,6
0,00
15487,64
33272,35
70,33
70,33
73,70
8708,68
0,00
24419,64
62136,36
2717,02
363,61
2353,41
663,39
5756,11
0,00
52999,85
Fonte: dati CSRC
10.9. L’industria dei fondi comuni d’investimento
Fin dai primi stadi di sviluppo, il mercato dei capitali cinese è stato dominato da investitori individuali
mentre trascurabile era il ruolo degli investitori istituzionali quali gli intermediari del risparmio gestito.
Poche cifre testimoniano tale situazione: a fine dicembre 2003, presso la società di deposito accentrato
erano aperti 68,35 milioni di conti per la negoziazione di strumenti finanziari di classe A; di questi, il
99,52% erano intestati ad investitori individuali mentre soltanto lo 0,48% era riconducibile ad investitori
istituzionali.
Conti di classe A aperti presso il depositario centrale distinti per tipologia dell’investitore e mercato
di negoziazione (10.000 unità).
Borsa di Shanghai
Borsa di Shenzhen
Totale
Conti totali
3502,94
3332,24
6835,18
Istituzionali
18,88
13,99
32,87
Individuali
3484,06
3318,25
6802,31
Nuovi conti
75,68
62,96
138,64
Istituzionali
0,85
0,67
1,52
Individuali
74,84
62,29
137,13
Fonte: dati CSDCC
129
Gli sforzi della Commissione di vigilanza, tuttavia, sono attualmente orientati alla promozione
dell’investimento istituzionale. Le prime tracce di tale nuovo orientamento sono rinvenibili nell’ottobre
1997, quando la Commissione emana un provvedimento recante misure per la gestione di fondi comuni
d’investimento che consente l’istituzione di fondi d’investimento di tipo chiuso e aperto. Nel 1998, 5
fondi chiusi furono istituiti in Cina, mentre il primo fondo aperto fu istituito solamente nel 2001. Nel
giugno 2002, la Commissione di vigilanza ha emanato un provvedimento recante misure per l’istituzione
di società di gestione a capitale domestico ed estero. Tale provvedimento consente l’istituzione di jointventure con soggetti esteri nel settore del risparmio gestito. A fine dicembre 2003 operavano in Cina
34 società di gestione, delle quali 8 joint-venture con la partecipazione di capitale estero, che gestivano
54 fondi chiusi e 56 fondi aperti per un controvalore totale di 169,9 miliardi di RMB di asset netti
gestiti.
Si ricorda, infine, il già citato Provvedimento del dicembre 2002 che detta la disciplina degli investitori
esteri qualificati e che, nelle intenzioni delle autorità cinesi, dovrà contribuire a far compiere il salto di
qualità al mercato dei capitali domestico aprendo definitivamente le porte al capitale estero.
130
SISTEMA FISCALE
11. IL SISTEMA FISCALE IN GENERALE
11.1. La produzione legislativa e l’amministrazione delle imposte
Lo sviluppo dell’attuale sistema fiscale cinese è fenomeno relativamente recente, essendo iniziato tra
la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta, in coincidenza con le prime aperture del Paese
agli investimenti esteri, quando è stato giocoforza affiancare al tradizionale apparato impositivo per i
redditi domestici, la produzione legislativa concernente la tassazione dei redditi prodotti in Cina da
imprese e investitori stranieri. I due macrosistemi impositivi, quello destinato ai cittadini e alle imprese
cinesi, e quello destinato agli investitori esteri, hanno continuato a evolversi negli anni lungo binari
separati, e nonostante i numerosi sforzi di ricondurli ad unità, a tutt’oggi essi costituiscono due corpus
normativi parzialmente distinti.
Nell’ambito della legislazione dedicata al capitale straniero, particolare importanza riveste l’ampia
“gamma” di incentivi e di trattamenti di favore indirizzati agli imprenditori stranieri nelle Zone
Economiche Speciali e nelle altre aree specificamente individuate (aree tecnologiche, zone di libero
scambio, etc.). Esse rappresentano uno dei principali strumenti con cui le autorità cinesi perseguono il
difficile obiettivo di conciliare l’apertura al mondo occidentale ed al libero mercato, con il mantenimento
della struttura socialista delle istituzioni.
I tributi devono essere istituiti per legge, la cui emanazione è riservata, come si è visto, al Congresso
Nazionale del Popolo o al suo Comitato Permanente; molte leggi tributarie sono state tuttavia emanate
dal Consiglio di Stato, nell’esercizio di deleghe di poteri attribuitegli dagli organi legislativi. Le leggi
in ambito fiscale generalmente si limitano a statuire i principi fondamentali di ciascuna imposta (soggetti
passivi, presupposto imponibile, etc.), lasciando la fissazione delle disposizioni di dettaglio ai regolamenti
di rango amministrativo; moltissime questioni specifiche, poi, trovano definizione nella cospicua
produzione di circolari, risoluzioni e altri documenti di prassi.
Il Ministero delle Finanze (Ministry of Finance, MOF) ha la responsabilità complessiva dello sviluppo
e dell’applicazione della legislazione tributaria, ma l’effettiva amministrazione delle imposte è rimessa
all’Agenzia Statale delle Imposte (State Administration of Tax, SAT), per certi versi avvicinabile alla
nostra Agenzia delle Entrate.
Il sistema tributario cinese, nella seconda metà del 1993 è stato oggetto di una riforma radicale, che
ha portato all’emanazione di diversi provvedimenti legislativi, per la gran parte efficaci a partire dal 1°
gennaio 1994, e relativi sia all’istituzione di nuove imposte, sia alla revisione di altre già esistenti, sia
infine all’amministrazione del sistema fiscale nel suo complesso. Con tale riforma l’amministrazione
fiscale, fino ad allora affidata all’Ufficio Statale delle Imposte (State Tax Bureau), costituito all’interno
del Ministero delle Finanze e da questo dipendente, è stata attribuita appunto all’Agenzia Statale delle
Imposte, organismo autonomo di livello ministeriale, che si rapporta direttamente al Consiglio di Stato.
Il SAT svolge, tra le altre, le seguenti funzioni:
• coopera con gli organi legislativi ed esecutivi per la stesura dei disegni di legge e dei regolamenti in
materia tributaria;
• raccomanda l’adozione di riforme e di politiche in campo fiscale;
• studia la suddivisione del potere impositivo tra Stato ed Enti locali, e partecipa allo studio delle
politiche macroeconomiche;
131
•
•
•
•
•
riscuote e amministra le imposte centrali;
coordina la riscossione e l’amministrazione delle imposte locali;
sorveglia la concessione, a livello locale, di riduzioni e di esenzioni fiscali;
partecipa ai negoziati internazionali in materia fiscale;
nomina i funzionari provinciali.
La maggior parte delle proposte di legge e di regolamento sono inizialmente sviluppate all’interno del
SAT, e poi sottoposte al Ministro delle Finanze. In caso di approvazione di quest’ultimo, i testi legislativi
e regolamentari sono trasmessi al Consiglio di Stato che, nel caso delle leggi per le quali abbia ricevuto
delega e dei regolamenti, procede all’emanazione a firma del Premier, ovvero, qualora si tratti di leggi
che debbono essere emanate dal CNP o dal Comitato Permanente, le trasmette a tali organi per la loro
approvazione.
In base alla Costituzione cinese, il potere di interpretare le leggi e i regolamenti è distribuito tra CNP,
agenzie governative e corti giudiziarie. Il CNP ha il potere di interpretare la legge, ma normalmente
tale potere viene delegato al Consiglio di Stato. Parimenti, il Consiglio generalmente delega il proprio
potere di interpretazione dei regolamenti al Ministro responsabile ratione materiae.
L’interpretazione di leggi e regolamenti fiscali è attribuita al Ministero delle Finanze ed al SAT.
E’ bene tuttavia sottolineare che i poteri del SAT vanno oltre la mera interpretazione di rango amministrativo,
la cui efficacia vincolante, come avviene in molti ordinamenti occidentali, rimane circoscritta ai funzionari
dell’amministrazione, mentre può essere liberamente contraddetta dal comportamento del contribuente
e dalle decisioni dei giudici. Le pronunce del SAT hanno un valore cogente di molto superiore, se si
tiene conto, da un lato, che in sede giurisdizionale, il potere decisionale del giudice è limitato alle questioni
concernenti l’irrogazione di sanzioni e la corretta applicazione della legge e dell’interpretazione nella
particolare fattispecie esaminata; dall’altro, che in molti casi più che di interpretazioni si tratta di vere
e proprie integrazioni alla disciplina legislativa.
11.2. Le principali imposte
Tradizionalmente il sistema fiscale cinese si è sempre basato maggiormente sulle imposte indirette sulla
produzione ed il consumo, vista la limitata diffusione dell’attività di impresa e del terziario. Negli ultimi
anni, però, il notevolissimo sviluppo degli investimenti esteri ha imposto una ridefinizione del sistema
impositivo, attuata con la citata riforma del 1994, con la quale le autorità cinesi si sono proposte di
modernizzare il complesso e farraginoso sistema fiscale cinese, di renderlo maggiormente compatibile
con l’economia di mercato, di semplificarlo e di incrementarne il gettito anche attraverso la riduzione
dell’evasione fiscale.
Nel 1994 si è così posto fine al precedente sistema di riscossione delle imposte, largamente basato su
accordi fiscali negoziati con le singole imprese contribuenti, procedendo altresì alla unificazione
dell’imposta sui redditi per le imprese possedute interamente dallo Stato, di quella per le imprese
collettive e di quella per le imprese private in un’imposta sui redditi unica per le imprese domestiche,
che ha prodotto una maggiore perequazione del peso fiscale nei diversi settori economici. Parimenti si
è proceduto all’unificazione dell’imposta sui redditi delle persone fisiche residenti e di quella per le
persone fisiche non residenti, introducendo un’imposizione comune alle due categorie di contribuenti,
distinta in relazione alle tipologie reddituali, mentre è rimasta una netta separazione fra la tassazione
delle imprese cinesi e quella delle imprese a capitale in tutto o in parte straniero.
132
Importanti interventi di razionalizzazione, semplificazione e adeguamento agli standard occidentali
hanno interessato anche l’imposta sul valore aggiunto, con l’introduzione fra l’altro dell’aliquota ordinaria
del 17% e di quella ridotta del 13% (per alcune categorie di alimenti, di utilities e di prodotti agricoli).
Le principali imposte sono:
Imposte sui redditi
• imposta sui redditi delle persone fisiche (di seguito convenzionalmente indicata anche come IRPEF);
• imposta sui redditi delle imprese domestiche (IRID);
• imposta sul reddito delle imprese straniere (IRIS);
Imposte sulle attività economiche
• imposta sul valore aggiunto (IVA);
• imposta sugli affari (si tratta di un’imposta applicabile ad imprese e privati con riferimento ad alcune
prestazioni di servizi non soggette ad Iva, al trasferimento di beni immateriali e alla vendita di immobili
situati in Cina);
• imposta sui consumi;
• imposta sulle risorse naturali;
• imposta sul valore aggiunto immobiliare;
• imposta sulle attività agricole;
• dazi doganali;
Imposte d’atto e sulla proprietà
• imposta di bollo;
• imposta di registro;
• imposta sugli immobili urbani.
Esistono poi ulteriori imposte minori, quali quelle sugli immobili non urbani, sull’acquisto di autoveicoli,
l’imposta sulla circolazione di autoveicoli e sull’uso di natanti, i diritti sull’uso dei terreni urbani e
agricoli. Non esiste invece un’imposta di successione, sebbene in alcune occasioni sia stata ipotizzata
la sua istituzione.
Vale la pena precisare che le imposte anzidette non si applicano ai territori di Hong Kong, Macao, né
tanto meno, come del resto tutte le leggi cinesi, a Taiwan (nonostante il riconoscimento costituzionale
di Taiwan come “provincia” dello Stato).
12. L’IMPOSIZIONE SUI REDDITI DELLE PERSONE FISICHE
L’emanazione della legge istitutiva dell’imposta sui redditi delle persone fisiche risale al 1980. All’epoca,
tuttavia, l’imposta riguardava esclusivamente i cittadini cinesi, mentre una diversa legge disciplinava la
tassazione degli stranieri. Successivamente, il 31/10/1993, il Comitato Permanente dell’ottavo Congresso
del Popolo ha radicalmente riformato la legge del 1980, estendendone fra l’altro l’applicazione, a
decorrere dal 1° gennaio 1994, anche ai non residenti, unificando così i due sistemi impositivi fino a
quel momento disgiunti. Alla nuova legge (di seguito per brevità “legge IRPEF”) ha fatto seguito il
28/01/1994 l’emanazione del Regolamento di attuazione (“regolamento IRPEF”). Le legge è stata poi
oggetto di ulteriori importanti emendamenti nel 1999 durante l’undicesima sessione del Comitato
Permanente del nono Congresso.
Attualmente, il sistema impositivo delineato dalla legge e dal regolamento di attuazione non prevede
133
un unico reddito imponibile personale (come avviene, ad esempio, nell’ordinamento italiano), ma diversi
redditi - o categorie di reddito - che saranno soggetti non solo ad una diversa determinazione della base
imponibile, ma anche e soprattutto ad una diversa misura di tassazione, in quanto per alcune tipologie
(rendite da immobili, royalties, interessi, dividendi) la tassazione è proporzionale, mentre per altre
(redditi da lavoro dipendente e d’impresa) è progressiva.
Ulteriore particolarità del sistema impositivo predisposto per le persone fisiche risiede nella circostanza
che il debito d’imposta, come meglio vedremo, solo in alcuni casi è determinato su base complessiva
annuale, mentre in molti altri è determinato su base mensile, ed in altri addirittura per singolo incasso.
12.1. Il concetto di residenza e le diverse categorie di reddito
L’imposta (di seguito anche IRPEF), come si è detto, grava sia sulla persone fisiche residenti, che su
quelle non residenti, secondo i noti principi della worldwide taxation, per le prime, e della source based
taxation, per le seconde. Più precisamente, ai sensi dell’art. 1 della Legge, soggetti passivi dell’imposta
sono:
a) le persone fisiche - generalmente i cittadini cinesi - che hanno il proprio “domicilio” in Cina;
b) le persone fisiche – generalmente gli stranieri - che, pur non avendo domicilio in Cina, vi hanno
risieduto per un anno o più;
c) le persone fisiche che non sono domiciliate in Cina e non vi vivono, o vi vivono per un periodo
inferiore ad un anno.
I soggetti indicati sub a) e b) rappresentano la categoria dei “residenti” ai fini fiscali, e sono pertanto
soggetti all’imposta sui redditi delle persone fisiche (di seguito anche IRPEF) relativamente a tutti i
redditi, di fonte cinese o di fonte estera. I soggetti indicati sub c) sono considerati “non residenti” e
sono soggetti a IRPEF per i soli redditi di fonte cinese.
L’art. 2 del Regolamento di attuazione considera domiciliata in Cina la persona che, in ragione della
propria residenza anagrafica o dei propri interessi familiari o economici, presenti un collegamento
abituale con il territorio cinese. Si noti al riguardo che la cittadinanza cinese costituisce un fattore
importante, sebbene non decisivo: generalmente i cittadini cinesi sono tenuti a mantenere una residenza
anagrafica in Cina, con la conseguenza di essere considerati residenti ai fini fiscali a causa di tale
circostanza di fatto. Ciò non toglie, tuttavia, che il cittadino cinese definitivamente emigrato all’estero,
o che addirittura non ha mai vissuto in Cina, non presenti alcun collegamento “abituale”, ed in tal senso
possa essere considerato non residente.
In mancanza di tale collegamento l’art. 3 qualifica comunque come “residente”, e quindi soggetta a
IRPEF per tutti i redditi ovunque prodotti, la persona rimasta all’interno dei confini della Cina per 365
giorni nel periodo 1° gennaio – 31 dicembre. Ciò dovrebbe comportare che ciascun anno vada
considerato separatamente, cosicché se anche il soggiorno supera i 365 giorni complessivi, ma a cavallo
di due anni, ad esempio dal 1° maggio 2004 al 31 settembre 2005, il soggetto non dovrebbe essere
considerato residente.
I giorni, inoltre, devono essere computati senza sottrarre gli eventuali “soggiorni temporanei”, cioè i
soggiorni all’estero singolarmente non superiori a 30 giorni, o complessivamente non superiori a 90
giorni in un anno. Al riguardo, occorre tener presente che:
• la durata della permanenza in Cina o all’estero è calcolata facendo riferimento al passaporto ed agli
altri documenti di ingresso o di uscita;
• la data dell’ingresso era usualmente computata come giorno di presenza, quella della partenza come
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giorno di assenza. Tuttavia, sul punto la recente circolare Guoshuifa [2004] n. 97 (efficace dal 1°
luglio 2004) prevede che sia considerato giorno di permanenza quello in cui, per un qualunque lasso
di tempo, il soggetto si trova fisicamente in Cina: quindi d’ora innanzi sia il giorno dell’arrivo che
quello della partenza dovrebbero essere considerati.
Sebbene in alcune circostanze venga concesso un permesso permanente di soggiorno in Cina a cittadini
stranieri ivi stabilitisi definitivamente, normalmente questi ultimi sono considerati residenti in virtù della
permanenza fisica, piuttosto che del domicilio.
Ai sensi dell’art. 6 del Regolamento, la persona fisica che pur non essendo domiciliata in Cina, vi risiede
per un periodo superiore ad un anno e inferiore a cinque (che quindi sarebbe ordinariamente soggetta
ad imposta per tutti i suoi redditi, di fonte cinese e di fonte estera), può ottenere dall’amministrazione
finanziaria che i redditi di fonte estera siano tassati solo se pagati da persone fisiche, società o altre
organizzazioni residenti in Cina. In altri termini il residente in Cina per meno di cinque anni non è
tassato sui redditi di fonte estera, nella misura in cui mantenga tali redditi nella propria disponibilità
all’estero, e non li faccia affluire in Cina.
Qualora la residenza si protragga per più di cinque anni consecutivi, a partire dal sesto anno, il soggetto
sarà tenuto a pagare le imposte su tutti i redditi di fonte estera. Sul punto il documento del SAT Caishuizi
[1995] n. 98 ha chiarito quanto segue:
• perché si realizzi tale condizione, la persona deve aver vissuto in Cina per 365 giorni in ognuno dei
cinque anni precedenti, senza tener conto dei soggiorni temporanei;
• se in qualsiasi anno seguente al realizzarsi della condizione di residenza quinquennale il contribuente
risiede in Cina per meno di 365 giorni, per quell’anno – in quanto non residente - dovrà pagare le
imposte solamente sui redditi di fonte cinese;
• se, in qualsiasi anno seguente al realizzarsi della condizione, il contribuente risiede in Cina per meno
di 90 giorni, il periodo di cinque anni dovrà essere calcolato ex novo a partire dall’anno in cui il
contribuente risieda nuovamente in Cina per 365 giorni nel periodo 1° gennaio – 31 dicembre.
In mancanza di domicilio in Cina e di permanenza per 365 giorni durante l’anno solare, la persona
fisica sarà considerata non residente e tassata solamente sui redditi di fonte cinese. Tuttavia, l’art. 7 del
Regolamento consente ai soggetti che risiedano in Cina per non più di 90 giorni nell’anno (consecutivi
o meno), di non tassare i redditi di lavoro dipendente prestato in Cina, a condizione che essi siano pagati
da un datore di lavoro non residente in Cina, ed il relativo onere non sia sostenuto da una stabile
organizzazione in Cina dello stesso datore di lavoro non residente. L’esenzione - è bene sottolinearlo
– riguarda solo i redditi di lavoro dipendente, e non altre categorie reddituali.
Sul punto va osservato che una previsione del tutto analoga, ma con il diverso e più favorevole riferimento
temporale di “183 giorni o meno”, è contenuta nelle Convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate
dalla Cina, tra cui anche quella con l’Italia. Le previsioni convenzionali prevalgono in tal caso su quella
interna. Di fatto, quindi, la “regola dei 90 giorni” riguarda solo i Paesi con cui la Cina non ha stipulato
trattati.
L’art. 2 della legge IRPEF prevede le seguenti categorie reddituali:
1) reddito di lavoro dipendente;
2) redditi di “impresa artigianale” (in questa categoria sono compresi anche i redditi delle “solepropertorship”e le rispettive quote dei redditi realizzati dalle “partnership”);
3) redditi da attività assunte in appalto o subappalto (terzisti);
4) redditi di lavoro autonomo;
5) redditi da diritto d’autore;
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6) royalties;
7) interessi e dividendi;
8) redditi da locazione;
9) plusvalenze da cessione;
10) redditi occasionali;
11) altri redditi qualificati come imponibili dal Ministero delle Finanze.
Al di fuori della categoria sub 2), il metodo di imputazione a periodo è quello “per cassa”.
Sebbene la normativa in materia di imposta personale sembri in generale ancorare il concetto di reddito
di fonte cinese e di fonte estera al luogo di percezione del reddito, l’art. 5 del Regolamento indica alcuni
redditi che si considerano di fonte cinese, a prescindere da tali aspetti:
• reddito di lavoro dipendente o di lavoro autonomo svolti in Cina;
• redditi da locazione di beni utilizzati in Cina;
• plusvalenze da beni situati in Cina;
• royalties per utilizzi di licenze in Cina;
• interessi e dividendi erogati da società, imprese o organizzazioni situate in Cina.
12.2. Reddito da lavoro dipendente
Nel reddito da lavoro dipendente vengono ricompresi tutti i compensi percepiti dal lavoratore dipendente
in forza del rapporto di lavoro (retribuzione ordinaria, bonus, sussidi, premi, dividendi, etc.). Sono
considerati imponibili anche eventuali compensi ricevuti in natura (fringe benefit), nel qual caso il
loro valore è determinato in base al costo per il concedente oppure, in mancanza di questo, in base
al valore normale di mercato, così come determinato dall’amministrazione finanziaria (art. 10
Regolamento).
Possono concorrere alla formazione della base imponibile anche le azioni assegnate ai dipendenti
nell’ambito di piani di stock option, la cui modalità di tassazione è fissata da Guoshuifa [1998] n. 9.
L’imposizione non avviene al momento in cui l’opzione è concessa, bensì è rinviata al momento
dell’eventuale esercizio. Il reddito imponibile è costituito dalla differenza positiva fra il valore dell’azione
al momento dell’esercizio dell’opzione ed il prezzo pagato dal dipendente. In caso di successiva cessione
delle azioni, l’eventuale plusvalenza è imponibile secondo le regole indicate al par. 12.3.8. cui si rinvia,
a meno che le azioni in questione non siano quotate sul mercato cinese, nel qual caso la plusvalenza è
esente.
Nel reddito di lavoro rientrano anche i premi elargiti al dipendente (premi di produzione, incentivi,
etc.), tassati in generale al momento della percezione. Tuttavia in alcuni casi le modalità di tassazione
tengono conto della formazione pluriennale della componente reddituale, in modo da alleviarne il carico
fiscale; si tratta:
• dei premi che spesso, allo scopo di fidelizzare il dipendente, le imprese straniere insediate in Cina
concedono ai propri dirigenti cinesi al raggiungimento di un certo numero di anni di servizio, e
• delle indennità di fine rapporto.
Per i premi di anzianità di servizio, Guoshuifa [1995] n. 115 prevede che la tassazione possa essere
dilazionata in quote costanti per un numero di mesi corrispondenti agli anni di servizio a fronte dei
quali viene concesso il premio, con un massimo di cinque. Per le indennità di fine rapporto, Caishui
[2001] n. 157 consente l’esenzione di un importo massimo pari a tre volte la retribuzione media nella
località in cui il dipendente ha prestato la propria attività. L’eventuale maggior importo liquidato al
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lavoratore costituisce reddito imponibile, dilazionabile in quote costanti, in relazione al numero di anni
lavorati (Guoshuifa [1999] n. 178).
12.2.1. Esenzioni e deduzioni
Alcune spese sostenute dal datore di lavoro per il dipendente “espatriato” (cioè il cittadino straniero
non domiciliato in Cina, sia esso “residente” o meno: si veda par 12.1.) non sono considerate fringe
benefits e non sono dunque imponibili per il percipiente. In particolare si tratta delle seguenti erogazioni
(Caishuizi [1994] n. 20, Guoshuifa [1997] n. 54, Guoshuifa [1998] n. 101):
• vitto e alloggio, purché erogati in natura o tramite rimborsi spese. Dal 1° luglio 2004 l’esenzione
non è più soggetta a preventiva approvazione delle competenti autorità, alle quali resta la possibilità
di disconoscerla in sede accertativa, in mancanza delle necessarie condizioni;
• indennità di trasferimento per inizio o cessazione dell’attività lavorativa in Cina, considerate
“ragionevoli” dall’amministrazione finanziaria, cui spetta decidere, dietro esibizione degli opportuni
documenti di supporto. Si noti che eventuali pagamenti effettuati in contanti su base mensile, o
comunque periodica, a titolo di rimborso per trasferimento, non possono godere dell’esenzione;
• indennità di trasferta (in Cina e all’estero). Vale quanto detto al punto precedente in merito alla
“ragionevolezza” e alla documentazione di supporto. Se la trasferta non è di lavoro, ma per far visita
alla famiglia nel Paese di origine, il SAT, con il Guoshuihan [2001] n. 336, ha consentito la deduzione
nel limite di due viaggi all’anno;
• erogazioni per corsi di lingue e per l’educazione dei figli;
• assicurazioni e altri “social security benefits” (assicurazione infortuni e invalidità, assicurazioni
mediche, fondi pensione, etc.). L’esenzione è concessa a condizione che si tratti di premi e contributi
pagati dall’impresa in base ad obblighi imposti dalla legislazione del Paese di provenienza del
lavoratore; eventuali benefit non obbligatori o di importo superiore a quello eventualmente fissato
dalla legge parteciperanno alla formazione del reddito imponibile.
Caishuizi [1997] n. 144 ha inoltre previsto che anche alcuni benefit (contributi per l’alloggio, assicurazioni
mediche e contributi pensionistici) erogati dalle imprese a favore di dipendenti locali (cioè domiciliati
in Cina) possano andare esenti da imposte, purché siano pagati direttamente a specifiche istituzioni
finanziarie ufficialmente indicate dallo Stato.
La legge fiscale cinese non prevede deduzioni per l’individuo, da applicare al suo imponibile complessivo,
proprio in quanto, come detto in precedenza, non è prevista una tassazione sul reddito complessivo di
un soggetto, bensì un’imposizione sulle diverse categorie di reddito eventualmente possedute. Tuttavia,
sui redditi di lavoro dipendente sono previste delle deduzioni forfetarie mensili, a titolo di riconoscimento
delle spese sostenute per la produzione del reddito.
In particolare, l’art. 6, n. 1 della Legge IRPEF prevede una deduzione generale mensile di 800 RMB,
che spetta anche nel mese di inizio ed in quello di cessazione del rapporto. In considerazione del
crescente costo della vita, ai residenti di alcune città è consentita una deduzione di importo maggiore.
Nel caso di soggetti non domiciliati in Cina che percepiscano un reddito di lavoro dipendente di fonte
cinese, o di soggetti domiciliati che percepiscano un reddito di lavoro dipendente di fonte non cinese,
l’art. 6, comma 3 della Legge e l’art. 28 del Regolamento consentono una deduzione aggiuntiva
mensile di 3.200 RMB. In pratica, l’art. 27 indica i seguenti soggetti destinatari del beneficio:
• cittadini stranieri che lavorano in Cina per imprese a capitale straniero o per imprese straniere;
• esperti stranieri chiamati per lavorare in Cina da imprese, istituzioni, organizzazioni sociali e agenzie
governative cinesi;
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• persone fisiche domiciliate in Cina che percepiscono reddito di lavoro dipendente derivante da un
impiego al di fuori della Cina (si ricorda che tali soggetti, pur non essendo presenti in Cina, possono
essere considerati domiciliati, e quindi residenti, in virtù di un collegamento abituale con il Paese);
• altro personale indicato dal Ministero delle Finanze.
12.2.2. Calcolo dell’imposta e versamento
Il reddito da lavoro dipendente è soggetto ad imposta su base mensile secondo delle aliquote progressive,
suddivise in scaglioni di reddito. Come segue.
Reddito mensile al netto delle deduzioni
Fino a 500 RMB
Da 501 a 2.000 RMB
Da 2.001 a 5.000 RMB
Da 5.001 a 20.000 RMB
Da 20.001 a 40.000 RMB
Da 40.001 a 60.000 RMB
Da 60.001 a 80.000 RMB
Da 80.001 a 100.000 RMB
Oltre 100.000 RMB
Aliquota
5%
10%
15%
20%
25%
30%
35%
40%
45%
L’art. 5 della Legge IRPEF prevede, dietro approvazione delle competenti autorità, una riduzione delle
aliquote per i seguenti soggetti:
• disabili;
• anziani indigenti;
• familiari di “martiri della Rivoluzione”;
• contribuenti che abbiano subito gravi perdite patrimoniali a seguito di disastri naturali.
Altre riduzioni possono essere accordate in specifiche circostanze.
Inoltre, Guoshuifa [1994] n. 148 prevede una riduzione a favore dei soggetti non residenti che percepiscano
redditi da lavoro dipendente prestato in Cina per meno di un mese solare intero. Il beneficio consiste
nell’applicazione, all’imposta calcolata in base agli scaglioni sopra riportati, di una percentuale di
abbattimento pari al rapporto tra giorni di permanenza in Cina e giorni totali del mese in questione.
Si è detto che i non residenti sono tassati solo sui redditi di lavoro di fonte cinese, cioè sui redditi di
lavoro prestato in Cina. Guoshuifa [1994] n. 148 prevede il c.d. time apportionment: i non residenti
sono soggetti ad imposta in considerazione del loro “periodo di effettivo lavoro in Cina”, mentre resta
escluso da imposizione il reddito del “periodo di effettivo lavoro fuori dalla Cina” (fanno eccezione gli
amministratori di società, di cui si dirà subito appresso). Il “periodo di effettivo lavoro in Cina” comprende
i giorni di festività pubbliche, i giorni di addestramento e i giorni di ferie. Di contro, il “periodo di
effettivo lavoro fuori dalla Cina” comprende i giorni in cui si è prestato lavoro all’estero, incluse le
festività che cadono in tali giorni.
Gli amministratori non residenti di una impresa residente in Cina sono soggetti ad imposta in Cina
per tutti i compensi percepiti dalla società medesima, a prescindere dal luogo in cui essi svolgono le
proprie mansioni. In altri termini, per tali soggetti il reddito viene considerato di fonte cinese in quanto
erogato da un residente cinese, e non in quanto prestato nel territorio dello Stato. La soggezione ad
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imposta inizia dal momento dell’assunzione dell’incarico, e prosegue fino a quando questo non è
concluso. Per i soggetti de quibus non è nemmeno applicabile l’esenzione normalmente concessa per
le permanenze inferiori a 90 giorni. Lo stesso trattamento era fino a poco tempo fa previsto anche per
i senior manager: direttori generali, Chief Executive Officers, Chief Financial Officers, etc.. Guoshuifa
[2004] n. 97 ha però sostanzialmente ricondotto il trattamento fiscale di tali soggetti a quello generale
degli espatriati a partire dal 1° luglio 2004.
Le imposte sui redditi di lavoro dipendente sono trattenute mensilmente a cura del datore di lavoro e
versate entro il settimo giorno del mese successivo. Qualora il lavoratore abbia intrattenuto nell’anno
un solo rapporto di lavoro, le ritenute operate esauriranno il suo debito tributario e non sarà dovuta
dichiarazione, mentre nel caso che vi siano stati più datori di lavoro, il contribuente dovrà presentare
di sua iniziativa una dichiarazione per i propri redditi.
12.3. Altre categorie di reddito
12.3.1. Redditi di impresa artigianale
L’art. 8, n. 2 del Regolamento attuativo annovera nei redditi d’impresa artigianale (su cui cfr. par.
1.5.), fra gli altri, i redditi derivanti da artigianato, costruzioni, comunicazioni e trasporti, commercio,
somministrazione di alimenti e bevande, riparazioni, gestione di scuole e di cliniche o laboratori
medici.
Il reddito d’impresa è soggetto ad imposta su base annuale e con aliquote progressive. Gli scaglioni di
reddito sono diversi da quelli previsti per il lavoro dipendente: li si riporta nella tabelle che segue.
Scaglione di reddito annuo
Fino a 5.000 RMB
Da 5.001 a 10.000 RMB
Da 10.001 a 30.000 RMB
Da 30.001 a 50.000 RMB
Oltre 50.000 RMB
Aliquota
5%
10%
20%
30%
35%
Nel sistema cinese la tassazione sulle attività di impresa individuale non si differenzia sostanzialmente
da quella delle società, cui si rimanda (par. 13.1. sulla tassazione delle imprese domestiche).
12.3.2. Redditi da appalti e subappalti (terzisti)
Si tratta di una tipologia di reddito prevista per coloro che assumono a proprio carico lavorazioni o
parti di lavorazioni di un’impresa; è una figura avvicinabile a quella dei terzisti o dei lavoratori a
cottimo. Il reddito imponibile è costituito dalla remunerazione annua contrattualmente prevista per le
lavorazioni assunte, al netto della deduzione forfetaria di 800 RMB mensili prevista dall’art. 18 del
Regolamento.
Anche tale categoria di reddito è soggetta ad imposta su base annuale e con aliquote progressive.
L’imposta annua, calcolata in base agli stessi scaglioni di reddito previsti per il reddito di impresa, viene
versata entro i primi 30 giorni dell’anno seguente a quello di riferimento. Tuttavia, se il reddito è
percepito mensilmente o comunque periodicamente durante l’anno, l’imposta deve essere versata su
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base previsionale entro sette giorni dalla percezione, salvo conguaglio da effettuare entro tre mesi dalla
fine dell’anno solare.
12.3.3. Redditi di lavoro autonomo
Fra i redditi di lavoro autonomo l’art. 8, n. 4 del Regolamento elenca, fra gli altri, quelli derivanti da
consulenza e assistenza legale, servizi contabili, giornalismo freelance, trattamenti medici, traduzioni
e letture universitarie, pittura, scultura, calligrafia, decorazioni e altre attività artistiche, servizi di agenzia,
riprese televisive e cinematografiche, registrazioni sonore.
L’imposta sui redditi di lavoro autonomo è computata sulla base delle somme percepite ogni mese, ed
è versata entro il settimo giorno del mese successivo. La base imponibile è costituita, ex art. 6, n. 4
Legge IRPEF, dalle remunerazioni percepite nel mese, al netto di:
• una deduzione forfetaria di 800 RMB, per ogni pagamento è inferiore a 4.000 RMB;
• una deduzione del 20% dell’importo percepito, per ogni pagamento uguale o superiore a 4.000 RMB.
Si noti che in caso di più pagamenti per la stessa prestazione, tutti i pagamenti effettuati nel mese sono
considerati come un unico pagamento ai fini del calcolo dell’importo della deduzione.
I redditi di lavoro autonomo sono tassati, in generale, con aliquota proporzionale del 20% (art. 3, n. 4
Legge IRPEF). Tuttavia, qualora le remunerazioni di singole prestazioni siano eccessivamente elevate
– presentino cioè un ammontare imponibile (al netto della deduzione spettante) superiore a 20.000 RMB
-, è previsto un meccanismo di aggiustamento del carico fiscale, per evitare sperequazioni in danno dei
redditi di lavoro dipendente e d’impresa (tassati ad aliquota progressiva). L’art. 11 del Regolamento
dispone che la remunerazione “eccessiva” nel senso indicato, per la parte che eccede 20.000 RMB e
fino a 50.000 RMB, sia assoggettata ad una sovrattassa pari al 50% dell’imposta calcolata con le
ordinarie regole di tassazione (in pratica l’aliquota di tassazione effettiva di tale porzione di reddito
passa dal 20% al 30%). L’eventuale parte che eccede 50.000 RMB è soggetta ad una sovrattassa pari
al 100% dell’imposta ordinaria (la tassazione effettiva di questa ulteriore porzione è quindi del 40%).
12.3.4. Redditi da diritto d’autore
L’art. 8, n. 5 del Regolamento definisce “redditi da diritti d’autore” i redditi derivanti dalla pubblicazione
di opere (di letteratura, pittura, calligrafia, etc.) in libri, giornali e periodici.
L’imposta per questa categoria reddituale è calcolata separatamente per ciascun diritto di utilizzazione.
Le deduzioni, da applicarsi anch’esse separatamente (art. 21, n. 2 Regolamento), sono le medesime
viste per i redditi di lavoro autonomo (il maggiore tra 800 RMB e il 20% dell’introito). La tassazione
è proporzionale con aliquota del 20%; all’imposta così calcolata si applica una riduzione del 30% (art.
3, n. 3).
Ad esempio, se il signor K riceve nel mese di gennaio dall’editore X la somma di 10.000 RMB per
l’opera Alfa, e dall’editore Y la somma di 3.000 RMB per l’opera Beta, l’imposta dovuta, da versare
entro il settimo giorno del mese di febbraio, è pari a
per Alfa: (100.000 – 2.000) x 20% x (1 – 30%) = 1.120 RMB
per Beta: (3.000 – 800) x 20% x (1 – 30%) = 308 RMB
e quindi complessivamente 1.428 RMB.
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12.3.5. Royalties
Le royalties, cioè i canoni derivanti dalla concessione a terzi del diritto di utilizzazione di brevetti,
marchi, etc., sono tassati in modo del tutto analogo ai redditi da diritto d’autore. Identiche sono le deduzioni
(art. 6, n. 4 Legge IRPEF), l’aliquota proporzionale del 20% (art. 3, n. 5) e le modalità di computo
(separatamente per ciascun diritto). A differenza del diritto d’autore, però, per le royalties non é previsto
l’abbattimento forfetario del 30%. Ai non residenti l’imposta è applicata tramite ritenuta alla fonte.
12.3.6. Interessi e dividendi
Sui dividendi e gli interessi grava in generale un’imposta proporzionale del 20% (art. 3, n. 5 Legge
IRPEF), applicata tramite ritenuta alla fonte, senza alcun diritto a deduzioni analitiche o forfetarie. Il
sistema fiscale cinese non prevede per i dividendi il meccanismo del credito di imposta per le imposte
già assolte dalla società erogante.
I dividendi percepiti da un investitore non residente da parte di un’impresa con investimenti stranieri,
soggetta ad IRIS, o da parte di imprese cinesi su azioni quotate di tipo B (per la distinzione fra le diversa
tipologie di azioni quotate si rinvia al capitolo 10) e quotate in mercati esteri, sono esenti da imposta
(Guoshuifa [1993] n. 45).
Dopo l’abolizione dell’esenzione sui depositi bancari a decorrere dal 1° novembre 1999, rimangono
esenti, sia per i residenti che per i non residenti, gli interessi sui titoli del debito pubblico (art. 4, n. 2
delle Legge IRPEF) e quelli sugli speciali depositi e fondi vincolati agli scopi indicati dal Ministero
delle Finanze (ad esempio, quelli destinati all’istruzione dei figli).
12.3.7. Redditi da locazione
Appartengono a questa categoria reddituale, a norma dell’art. 8, n. 8 Legge IRPEF, i redditi derivanti
dalla concessione del diritto d’uso (affitto, locazione, etc.) di fabbricati, terreni, macchinari, attrezzature,
mezzi di trasporto, ed in genere di qualunque altro bene suscettibile di utilizzo da parte di terzi.
L’imposta su tale categoria reddituale è computata su base mensile (art. 21, n. 4 Regolamento). E’ concessa
una deduzione dalla base imponibile pari al maggiore importo tra 800 RMB e il 20% dei canoni percepiti
in ciascun mese. Guoshuifa [1994] n. 89 ha inoltre introdotto la possibilità di dedurre le eventuali spese
di manutenzione e riparazione sostenute nell’arco del mese, fino ad un massimo di 800 RMB; qualora
le spese dovessero essere superiori in un mese a tale importo, è possibile “portare in avanti” nei mesi
successivi l’importo non ancora dedotto, sempre nel limite di 800 RMB mensili. Sono infine deducibili,
senza alcuna limitazione di importo, le tasse ed imposte pagate in relazione al bene dato in uso a terzi,
purché venga fornita adeguata prova documentale del versamento.
L’aliquota di imposta è del 20% (art. 3, n. 5 Legge IRPEF), applicata per i non residenti tramite ritenuta
alla fonte a titolo di imposta.
12.3.8. Plusvalenze da cessione
L’art. 8, n. 9 del Regolamento IRPEF, ai fini dell’applicazione dell’imposta sui capital gain, considera
pariteticamente tutti i proventi netti derivanti dalla cessione di beni mobili ed immobili, compresi i
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diritti sugli stessi, le partecipazioni azionarie, e i diritti d’uso della terra. Si rinvia in proposito a quanto
detto al par. 5.3.
In generale la base imponibile è data dalla differenza fra il valore di cessione e il costo originario del
bene ceduto che, a seconda del bene, sarà costituito dal prezzo di acquisto ovvero dal costo di fabbricazione
(ad esempio per gli immobili), comprensivo delle spese di consegna, installazione e degli altri oneri
accessori (art. 19 Regolamento). L’imposta è applicata con aliquota proporzionale del 20% (art. 3, n.
5 Legge IRPEF). Nel caso di soggetti non residenti, l’imposta è trattenuta alla fonte.
In base a Guoshuifa [1999] n. 278, sono esenti le plusvalenze derivanti dalla cessione dell’immobile
che sia stato utilizzato dal contribuente quale unica abitazione per almeno cinque anni. Al di fuori
di questa ipotesi, il capital gain sulle case di abitazione è parzialmente o interamente esente se
realizzato con l’intento di acquistare una nuova casa di abitazione entro un anno dalla vendita. La
persona fisica è in tal caso tenuta a pagare l’imposta al momento della cessione, salvo poi ottenerne
il rimborso una volta che abbia proceduto all’acquisto nel rispetto della citata condizione temporale.
L’ammontare rifuso dipende dal prezzo della casa: se quest’ultimo è pari o superiore al prezzo di
vendita della precedente, allora il rimborso è integrale; se, invece, è inferiore, il contribuente ha
diritto solamente al rimborso di una percentuale dell’imposta pagata pari al rapporto tra i due
prezzi.
Vi è poi un’ulteriore esenzione, inizialmente prevista per un anno, poi più volte prorogata, e attualmente
in vigore sine die (Caishuizi [1998] n. 61), per le plusvalenze da cessione di azioni quotate sul mercato
cinese; l’esenzione non vale per le plusvalenze realizzate dai non residenti per la cessione di quote di
partecipazione in FIE (Guoshuifa [1993] n. 45).
12.3.9. Redditi occasionali
A norma dell’art. 8, n. 10 del Regolamento, costituiscono redditi di natura occasionale le vincite in
concorsi, lotterie ed altri proventi “fortuiti”. L’imposta si applica nella misura del 20% (art. 3, n. 5) su
ciascun provento lordo (art. 6, n. 6 Legge IRPEF).
12.3.10. Redditi esenti
Oltre agli interessi sui titoli del debito pubblico, di cui si è detto al par. 12.3.6., i seguenti redditi
individuali sono esenti da IREPF:
• premi e riconoscimenti per risultati raggiunti nell’ambito della ricerca scientifica, dell’educazione,
della tecnologia, della cultura, della sanità pubblica, della protezione ambientale, assegnati dalle
autorità governative centrale e periferiche o da organizzazioni internazionali;
• sussidi previsti dalle leggi statali (sussidi di disoccupazione, assegni familiari, etc.);
• pensioni di invalidità;
• rimborsi assicurativi;
• indennità di fine servizio per il personale delle forze armate e per i funzionari e dipendenti pubblici.
13. L’IMPOSIZIONE SUI REDDITI SOCIETARI
Si è detto che una delle architravi del sistema tributario cinese poggia sulla distinzione, nell’ambito
delle attività economiche, fra quelle che costituiscono espressione di imprenditorialità e capitali
142
esclusivamente “indigeni”, da quelle che vedono una presenza, nelle varie forme in cui questa è consentita
dall’ordinamento del Paese, dell’imprenditoria straniera.
Tale dicotomia è alla base delle due imposte che attualmente colpiscono in Cina i redditi delle società
e delle altre organizzazioni imprenditoriali (a parte l’impresa individuale, di cui si è detto ai paragrafi
precedenti, e che peraltro rappresenta, dato l’assetto istituzionale del Paese, un fenomeno marginale):
• l’Imposta sul Reddito delle Imprese Domestiche (IRID);
• l’Imposta sul Reddito delle Imprese Straniere (IRIS).
Preme evidenziare che la menzionata distinzione tra imprese domestiche e imprese straniere, su cui si
fondano le due diverse imposte, non coincide, né va quindi confusa, con quella tra imprese residenti e
imprese non residenti. Come si vedrà meglio più avanti, infatti, se è vero che l’IRID riguarda soggetti
“interamente cinesi”, che per la legislazione del Paese non possono che essere residenti in Cina anche
dal punto di vista fiscale, l’IRID riguarda sia alcune tipologie di imprese costituite secondo il diritto
cinese e residenti in Cina, sia imprese governate dalle legislazioni di altri Paesi, non residenti fiscalmente
in Cina ma che producono redditi di fonte cinese.
13.1. Imposta sul reddito delle società domestiche (cenni)
La Costituzione cinese prevede che la base del sistema economico della Repubblica sia la proprietà
comune (statale) dei mezzi di produzione, e che la forza economica trainante sia rappresentata dallo
Stato.
Fino alle riforme del 1994, esisteva una diversa imposta per ciascuna tipologia di soggetto imprenditoriale
domestico. Dal 01/01/1994, con l’entrata in vigore della legge n. 137 del 26/09/1993, su tutte le tipologie
di imprese cinesi (ad esclusione dell’impresa individuale e delle partnership, soggette entrambe a IRPEF,
la seconda con il sistema dell’imputazione ai soci per trasparenza) grava l’Imposta sul Reddito delle
Imprese Domestiche (di seguito IRID). Alla legge ha fatto seguito l’emanazione del Regolamento
attuativo del 04/02/1994.
I soggetti passivi dell’imposta sono rappresentati dalle imprese statali (possedute dallo Stato), dalle
imprese collettive, dalle imprese (società) private ed in genere da tutte le forme imprenditoriali organizzate
diverse dalle imprese a capitale straniero e dalle imprese straniere (artt. 1 e 2 Legge IRID), soggette
queste ultime all’imposta sul reddito delle imprese straniere.
Come si può facilmente intuire, dunque, l’IRID presenta una scarsa rilevanza per l’investitore straniero,
essendo destinata a soggetti imprenditoriali cui quest’ultimo non può in alcun modo accedere. Per questo
motivo, ci limiteremo a fornire alcuni brevi cenni esclusivamente agli aspetti salienti della disciplina.
13.1.1. Determinazione del reddito imponibile e periodo di imposta
Per le imprese domestiche, il requisito della residenza è svuotato di qualsiasi significato, non potendosi
avere imprese appartenenti alle elencate categorie, che non siano residenti in Cina ai fini fiscali. Sono
soggetti ad imposta i redditi ovunque prodotti (art. 1, ult. periodo).
L’imposizione è proporzionale con aliquota del 33%. Nei confronti delle imprese con reddito imponibile
annuo inferiore o pari a 30.000 RMB si applica temporaneamente l’aliquota ridotta del 18%, ed a quelle
con reddito superiore a 30.000 RMB ma inferiore a 100.000, l’aliquota del 27% (“Regulations on certain
policy issues concerning enterprise income tax”, art. IX).
143
Il periodo d’imposta coincide con l’anno solare e sono previsti versamenti di acconti periodici ed a
saldo a fine anno (si veda anche par. 14.2.2.). Costi e ricavi rilevano in generale in base al principio
della competenza.
I proventi lordi comprendono:
• i ricavi di impresa;
• le plusvalenze da cessione dei beni di impresa;
• gli interessi attivi;
• le royalties;
• i dividendi.
I principali costi deducibili sono:
• gli interessi passivi a favore di istituti finanziari per finanziamenti inerenti l’attività di impresa, e gli
interessi passivi verso enti non finanziari a condizione che siano caratterizzati da un tasso non superiore
a quello dei finanziamenti da enti finanziari (art. 6, n. 1 Legge IRID);
• salari e stipendi (art. 6, n. 2), per un ammontare massimo mensile stabilito dai governi delle province
e delle municipalità autonome, ma comunque entro il generale limite di 800 RMB mensili per
dipendente; tale soglia può essere incrementata al più di un ulteriore 20% dai governi locali per
determinate industrie;
• contributi sindacali, previdenziali e ai fondi per l’istruzione dei dipendenti, ma solo entro certe
percentuali dei salari corrisposti: rispettivamente 2%, 14% e 1,5% (art. 6, n. 3);
• donazioni a specifici enti di beneficenza e assistenza, nel limite del 3% del reddito imponibile (art.
6, n. 4);
• spese di rappresentanza, nel limite dello 0,5% del fatturato, per la parte di questo non superiore a 15
milioni di RMB, più lo 0,3% del fatturato, per la parte che eccede tale ammontare;
• spese di pubblicità, nel limite del 2% del fatturato; l’eccedenza può essere dedotta negli esercizi successivi,
sempre entro il predetto limite (Guoshuifa [2000] n. 84);
• accantonamenti per crediti dubbi (ad esclusione dei crediti infragruppo), nel limite dello 0,5% dei
crediti esposti in bilancio al termine dell’esercizio (Guoshuifa [2000] n. 84).
I principali costi indeducibili, oltre alle quote eccedenti dei costi sopramenzionati, sono:
• spese per beni capitali: il costo viene in tal caso recuperato tramite la deduzione di quote di ammortamento
(art. 7, n. 1);
• spese relative allo sviluppo o all’acquisizione di immobilizzazioni immateriali: vale quanto detto al
punto precedente (art. 7, n. 2);
• sanzioni e multe (art. 7, nn. 3 e 4);
• perdite, per la parte che abbia trovato copertura assicurativa (art. 7, n. 5);
• donazioni ad enti diversi da quelli appositamente specificati (art. 7, n. 6);
• spese di sponsorizzazione (art. 7, n. 7);
• altre spese “non inerenti” (art. 7, n. 8).
Le perdite di ciascun esercizio possono essere utilizzate per compensare i redditi degli esercizi successivi,
ma non oltre il quinto (art. 11 Legge IRID).
13.2. Imposta sul reddito delle imprese a capitale straniero
L’imposta sul reddito delle imprese a capitale straniero e delle imprese straniere (IRIS) è stata approvata
dalla Quarta Sessione del Settimo Congresso Nazionale del Popolo il 9 aprile 1991 e promulgata con
il numero d’ordine 45. La legge è in vigore dal 1° luglio 1991. Le disposizioni di legge sono integrate
144
dal Regolamento di attuazione, promulgato dal Consiglio di Stato con Decreto n. 85 del 30/06/1991,
anch’esso in forza dal 1° luglio 1991.
Di seguito ci si riferirà agli articoli della legge n. 45/91 anche semplicemente con la sigla L, e a quelli
del Regolamento di attuazione n. 85/91 con la sigla R.
13.2.1. Soggetti passivi
Come già accennato, l’art. 2 della legge 45/1991 prevede due distinte categorie di soggetti passivi
dell’imposta: (i) le imprese a capitale straniero e (ii) le imprese straniere.
Ai sensi dell’art. 2, comma 1 L, per imprese a capitale straniero (FIE, foreign owned enterpises) si
devono intendere:
• le joint venture sino-estere (Chinese-foreign Equity Joint Venture, EJV);
• le joint venture cooperative sino-estere (Chinese-foreign Contractual cooperative Joint Venture, CJV);
• le imprese a capitale interamente straniero (Wholly Foreign-Owned Enterprise, WFOE).
Per la disciplina civilistica delle imprese sopra elencate si rimanda rispettivamente ai paragrafi 1.11.2.,
1.11.3. e 1.11.4.. Si ricorda che sono altresì trattate come FIE ai fini fiscali le s.p.a. e le s.r.l. con partecipazione
straniera superiore al 25% del capitale sociale.
Le FIE che abbiano in Cina il proprio centro direzionale (head office) sono soggette all’IRIS per tutti
i loro redditi, ovunque prodotti, sulla base del worldwide taxation principle (art. 3 L).
Il centro amministrativo è definito dall’art. 5 del Regolamento come l’organizzazione centrale stabilita
in Cina da un’impresa con investimenti stranieri in qualità di persona giuridica soggetta alle leggi cinesi
e responsabile per la direzione, il controllo e l’attività di tale impresa.
Le imprese straniere, in quanto non residenti in Cina, sono soggette all’IRIS limitatamente ai redditi
di fonte cinese.
Con riferimento alle imprese straniere, è assai rilevante ai fini fiscali la circostanza che queste dispongano
o meno di una stabile organizzazione (“establishments or places”, “Ji Gou”) in Cina. Nel primo caso,
infatti, il reddito di fonte cinese, cioè il reddito prodotto dalla stabile organizzazione, è determinato e
tassato in linea di principio secondo le ordinarie regole valide per le FIE; nel secondo caso, invece, gli
eventuali redditi di fonte cinese sono soggetti a IRIS mediante ritenuta a titolo di imposta.
Per stabile organizzazione, secondo quanto precisato dall’art. 3 R, si deve intendere:
• organizzazioni direttive e/o amministrative e/o commerciali (uffici di rappresentanza, etc.),
• fabbriche,
• luoghi in cui si svolgono attività di costruzione, assemblaggio e installazione,
• luoghi di sfruttamento delle risorse naturali (miniere, fattorie, etc.),
• luoghi in cui vengono rese prestazioni lavorative,
• agenti d’affari.
Il successivo art. 4 R definisce agenti d’affari le società, le imprese, ed in genere qualsiasi organizzazione
economica cui un’impresa straniera abbia affidato il compito di condurre una delle seguenti attività:
• rappresentare stabilmente i soggetti preponenti esteri nelle trattative e nella conclusione di contratti
di fornitura e acquistare per loro conto beni e servizi,
145
• assumere stabilmente l’impegno di stoccare e custodire beni, materiali o merci dell’impresa preponente,
e di consegnare per conto della stessa tali beni, materiali e merci a terze parti (clienti, terzisti, etc.),
• rappresentare stabilmente il preponente nella conclusione di contratti di vendita e accettare in suo
nome ordini di acquisto.
Fatte queste precisazioni, si rinvia al paragrafo 13.3. per maggiori dettagli sulle imprese non residenti
senza stabile organizzazione in Cina. Nei paragrafi che seguono, invece, si concentrerà l’attenzione
sulle FIE residenti in Cina, con la precisazione che quanto detto vale, salvo che non sia specificato
diversamente, anche per le imprese estere con stabile organizzazione in Cina, ovviamente limitatamente
al reddito prodotto in Cina dalla stabile organizzazione.
Quanto agli uffici di rappresentanza, in linea di principio tali enti non sono soggetti passivi ai fini
IRIS, in quanto non svolgono attività remunerata (si veda par. 1.2.). Tuttavia, Guoshuifa [1996] n. 165
ha identificato alcune attività che, se svolte dall’ufficio di rappresentanza a dispetto delle limitazioni
imposte, gli fanno assumere la natura di stabile organizzazione, con la conseguenza di rendere tassabili
ai fini IRIS i relativi proventi. Fra le altre, è opportuno citare:
• attività di intermediazione commerciale degli uffici di rappresentanza delle società commerciali;
• servizi prestati dagli uffici di rappresentanza delle società di consulenza (società di revisione, legal
firms, etc.);
• servizi resi da un ufficio di rappresentanza di un Gruppo alle società controllate;
• servizi di agenzia e di intermediazione contrattuale resi dagli uffici di rappresentanza delle compagnie
pubblicitarie;
• servizi turistici resi dagli uffici di rappresentanza delle agenzie di viaggio;
• consulenze prestate dagli uffici di rappresentanza di istituti bancari o finanziari.
La citata circolare n. 165/1996 indica anche alcune attività che non determinano alcuna passività
tributaria, tra cui rientrano, ad esempio, ricerche di mercato, analisi, raccolta di informazioni, ed in
genere le attività semplicemente preparatorie o ausiliarie ad attività produttive/commerciali, senza
percezione di commissioni o altre remunerazioni dai clienti. Sono poi generalmente esenti gli uffici di
rappresentanza dei governi stranieri.
Il metodo di calcolo della base imponibile per gli uffici di rappresentanza potrà essere analitico (basato
sugli effettivi costi e ricavi), o più frequentemente forfetario, basato sul valore complessivo dei contratti
in cui l’ufficio ha svolto (e addebitato) attività di intermediazione, o sull’ammontare dei costi sostenuti,
applicando una percentuale di ricarico.
13.2.2. Tipologie reddituali
L’imposta sul reddito delle imprese a capitale straniero colpisce tutti i redditi derivanti da attività
produttive e commerciali e da altre fonti. L’art. 2 contiene in effetti un’elencazione di tali tipologie
reddituali, ma l’ampiezza di tale elencazione porta a concludere che qualunque tipologia di provento
realizzato dalle FIE sia potenzialmente soggetta ad imposta (salve evidentemente specifiche esenzioni).
In base al citato articolo, in effetti, sono redditi derivanti da attività produttive e commerciali i redditi
derivanti dalle seguenti attività: manifatturiera, mineraria, comunicazioni e trasporti, costruzione e
installazione, agricoltura, silvicoltura, allevamento degli animali, pesca, conservazione e trattamento
dell’acqua, commercio, servizi finanziari, servizi industriali, esplorazione e sfruttamento delle risorse
naturali, e così via. Sono redditi di altra fonte i profitti da partecipazione (dividendi e simili), gli interessi,
i canoni di affitto, locazione e simili, i redditi derivanti dal trasferimento della proprietà, i redditi
146
derivanti dalla concessione in uso o dal trasferimento di licenze, tecnologie, marchi commerciali, diritti
d’autore, ed in genere qualunque provento non legato ad una gestione imprenditoriale attiva.
13.2.3. Periodo d’imposta e aliquota
Ai sensi dell’art. 8 del Regolamento di attuazione, il periodo d’imposta per le FIE coincide in generale
con l’anno solare, e va quindi dal 1° gennaio al 31 dicembre del calendario gregoriano.
Il comma 2 del citato art. 8 prevede tuttavia che, qualora le FIE abbiano difficoltà nell’adottare l’anno
solare quale periodo di riferimento per la determinazione del reddito imponibile, possano, su apposita
richiesta e previa autorizzazione dell’ufficio fiscale periferico competente, utilizzare come periodo
d’imposta un esercizio di 12 mesi non coincidente con l’anno solare (si pensi, per fare un esempio, alla
società cinese controllata da una società straniera con esercizio “a cavallo” la quale, per esigenze di
consolidamento, imponga alla controllata l’adozione di un esercizio allineato con il proprio).
In effetti, l’autorizzazione ad assumere un periodo d’imposta non coincidente con l’anno solare è stata
concessa dagli Uffici fiscali fino al termine del 2001.
Successivamente il SAT, con il provvedimento Huiguoshuiwai [2002] n. 15, in seguito ulteriormente
specificato dal documento Guoshuihan [2002] n. 361, a decorrere dal 2002 ha imposto a tutte le FIE,
a dispetto della norma di legge primaria, di assumere quale periodo d’imposta l’anno solare, consentendo
comunque alle società che prima del 2002 fossero state debitamente autorizzate a servirsi di un diverso
periodo d’imposta, di continuare ad utilizzarlo.
Attualmente, pertanto, al di fuori dei casi delle società autorizzate prima del 2002, la coincidenza del
periodo d’imposta con l’anno del calendario gregoriano viene meno solamente nelle ipotesi seguenti:
• nell’esercizio di inizio o di cessazione dell’attività, quando il periodo d’imposta è costituito rispettivamente
dal periodo che va dall’inizio dell’attività al 31 dicembre e dal periodo che va dal 1° gennaio alla
cessazione dell’attività;
• nell’esercizio in cui avvenga la fusione in un’altra società. In tal caso il periodo d’imposta della società
fusa va dal 1° gennaio alla data di effetto della fusione.
Va tenuto infine presente che ai fini fiscali il periodo di liquidazione di una società costituisce un unico
periodo d’imposta, anche se si protrae oltre l’anno solare.
L’art. 5 della Legge 45/91 fissa il livello di imposizione complessivo sulle FIE al 33%, di cui il 30%
rappresenta la componente statale, il cui gettito è cioè interamente a favore del bilancio dello Stato,
e il 3% costituisce la quota destinata agli enti locali.
13.2.4. Calcolo del reddito imponibile
Il reddito imponibile è determinato come differenza fra i proventi lordi complessivi ed i costi deducibili
per legge, secondo le formule di calcolo che l’art. 10 del Regolamento attuativo della legge sull’IRIS
individua per i quattro macrosettori di attività: manifatturiero, commercio, servizi, residuale.
L’illustrazione seguente schematizza il procedimento e le componenti di calcolo della base imponibile,
quale indicati dall’art. 10, comma 1, n. 1), per le industrie manifatturiere.
147
Schemi di calcolo del tutto analoghi, sebbene con i necessari adattamenti, valgono per le imprese
operanti nel settore del commercio, nel settore dei servizi, e negli altri settori (rispettivamente n. 2), 3)
e 4) dell’art. 10 del Reg. 85/1991).
13.2.4.1. Imputazione a periodo
Il principio generale di imputazione a periodo dei proventi e dei costi per il calcolo del reddito imponibile
annuale, sancito dall’art. 11 R, è quello della competenza. In alcuni casi, indicati dal comma 2 del citato
art. 11, i redditi possono essere determinati “per gradi”, secondo lo stato di avanzamento. Come segue.
• Quando i prodotti e le merci sono venduti con pagamento rateizzato, i relativi ricavi di vendita possono
essere riconosciuti secondo le date di fatturazione o di spedizione, ovvero secondo le date di pagamento
stabilite nel contratto;
• Quando l’impresa è impegnata in un’attività di costruzione, installazione o assemblaggio, o in un’attività
di fornitura di servizi che si estende oltre l’anno, il reddito può essere riconosciuto in base all’avanzamento
del progetto o alla porzione di lavoro completato; parimenti, quando l’impresa è impegnata in un’attività
di costruzione di impianti, macchinari e navi di grandi dimensioni che richiedono più di un anno di
lavorazione, il reddito può essere riconosciuto in base all’avanzamento del prodotto o alla porzione
di lavoro completato.
Nel caso di joint-venture cooperative sino-estere che operano sulla base della divisione dei prodotti fra
i partner, l’art. 12, comma 1 del Regolamento prevede quale momento rilevante per la tassazione del
reddito, quello in cui viene operata la divisione; l’ammontare tassabile in capo a ciascun partner viene
determinato facendo riferimento al prezzo comunemente praticato a terzi, o ai prezzi correnti di mercato.
148
13.2.4.2. Proventi
Per quanto concerne i redditi in valuta, ai sensi dell’art. 15 R, essi devono essere convertiti in Renminbi
secondo il cambio pubblicato dall’Autorità amministrativa statale di cambio. Quando si versano gli
acconti trimestrali periodici previsti dall’art. 15 L, i redditi espressi originariamente in valuta estera
devono essere valutati al cambio vigente nell’ultimo giorno del trimestre. Al momento del pagamento
a saldo successivo al termine del periodo d’imposta, non si procede ad alcun ricalcolo dei redditi in
valuta dei precedenti trimestri, ma semplicemente si convertono in Renminbi i redditi dell’ultimo
trimestre, in base al cambio dell’ultimo giorno del periodo d’imposta.
L’art. 13 del Regolamento stabilisce il principio della valutazione a prezzi di mercato dei redditi in
natura, cioè dei redditi rappresentati da diritti o dai beni diversi dal denaro.
Nel reddito imponibile rientrano anche eventuali donazioni o altre liberalità in denaro o in natura. In quest’ultimo
caso Guoshuifa [1999] n. 195 impone la tassazione sulla base di una ragionevole stima del valore di mercato
alla data di perfezionamento della donazione; qualora la liberalità in natura dovesse comportare un
sostanziale debito d’imposta nell’anno di competenza, l’impresa può ottenere una diluizione dell’imposizione
dall’ufficio fiscale competente fino ad un massimo di 5 anni. Le donazioni in denaro devono invece senza
eccezioni essere assoggettate a imposizione nel periodo d’imposta di percezione.
In base a Guoshuifa [1999] n. 195, trattamento analogo hanno eventuali debiti scaduti dell’impresa,
che non siano stati oggetti di richieste di pagamento da parte dei creditori per più di due anni; la
disposizione, che ha l’evidente intento di evitare l’iscrizione di passività fittizie, rischia di attrarre a
tassazione anche debiti “genuini”, soprattutto nei casi di rapporti intercompany, dove è frequente il
protrarsi dei debiti oltre le scadenze contrattualmente pattuite. Per evitare tale inconveniente, è quindi
opportuno che il contribuente debitore si assicuri la disponibilità di documentazione che evidenzi la
volontà del creditore di esigere il rimborso.
Con riferimento ai dividendi, l’art. 18 del Regolamento stabilisce che i dividendi distribuiti alle FIE
da parte di altre società partecipate residenti in Cina, sono integralmente esclusi dalla base imponibile
(quindi non sono soggetti a tassazione nemmeno i dividendi distribuiti dalle FIE operative alla propria
holding cinese); tuttavia, le spese, le perdite e gli altri componenti negativi di reddito derivanti da tali
partecipazioni non sono deducibili dal reddito della partecipante.
L’esenzione non vale per i dividendi erogati da società straniere, per le quali è invece previsto lo
strumento del credito d’imposta per le eventuali imposte assolte all’estero (si veda par. 15.3.).
13.2.4.3. Oneri
Costi e spese sono in generale deducibili se inerenti alla produzione del reddito di impresa.
L’art. 19 della citata legge prevede che i seguenti oneri non possano essere computati in diminuzione
della base imponibile:
• spese connesse all’acquisizione o alla costruzione di immobilizzazioni materiali, o per il trasferimento
o lo sviluppo di immobilizzazioni immateriali (tali costi potranno essere recuperati fiscalmente
dall’impresa tramite il procedimento di ammortamento, per il quale si rinvia al par. 13.2.5. seguente);
• interessi sul capitale (la portata di tale riferimento non è del tutto chiara; verosimilmente la norma
intende riferirsi agli interessi eventualmente pagati sul denaro conferito a titolo di capitale sociale o
comunque di patrimonio);
149
• imposte sui redditi;
• sanzioni e multe irrogate per lo svolgimento di attività illecite, e perdite dovute alla confisca di
proprietà;
• sovrattasse e sanzioni per mancati o ritardati pagamenti di imposte;
• perdite di beni dovute a eventi naturali o fortuiti, nella misura in cui siano state risarcite dalla compagnia
di assicurazione;
• donazioni e liberalità diverse da quelle fatte per scopi sociali o di pubblica utilità a favore di organismi
governativi o enti non profit approvati dal Governo (Croce Rossa Cinese, etc.);
• royalties pagate alla casamadre dalla stabile organizzazione in Cina di una società straniera (ovviamente
nella determinazione del reddito della stessa stabile organizzazione, che come si è detto è un soggetto
passivo IRIS);
• altre spese non correlate ad attività commerciali o produttive (spese non inerenti, potremmo dire con
una terminologia a noi familiare).
Accanto a questi oneri sicuramente indeducibili, gli articoli da 20 a 29 del Regolamento attuativo della
Legge istitutiva dell’IRIS elencano le seguenti voci di costo, la cui deduzione è soggetta a specifiche
limitazioni.
• Management fees (art. 20). Sono deducibili se pagate alla casamadre dalla stabile organizzazione in
Cina e connesse all’attività produttiva o commerciale della stessa stabile organizzazione. Tali spese, se
ritenute “ragionevoli”, potevano fino a poco tempo fa essere dedotte solo dietro espressa autorizzazione
da parte del competente ufficio locale, il quale la rilasciava dopo aver proceduto all’esame e alla verifica
dei documenti di prova emessi dalla casamadre con riferimento alla tipologia di spese, all’ammontare
e al metodo di attribuzione. La circolare SAT del 25/06/2004 ha eliminato la necessità della verifica
preventiva, lasciando l’esame della documentazione alla successiva, ed eventuale, fase ispettiva.
• Interessi passivi (art. 21). Gli interessi sono deducibili nella misura in cui siano relativi a prestiti di
denaro inerenti l’attività produttiva o commerciale, e “ragionevoli”, con tale espressione intendendosi,
ai sensi dell’ultimo periodo dell’art. 21, l’ammontare di interessi derivanti da un tasso non più alto
di quelli normalmente correnti sul mercato per le operazioni di prestito. Si noti che, ai sensi dell’art.
21, comma 2 del Regolamento, gli interessi relativi a finanziamenti utilizzati dall’impresa per l’acquisto
o la costruzione di immobilizzazioni materiali o per il trasferimento o lo sviluppo di immobilizzazioni
immateriali, prima che il cespite venga posto in uso, non possono essere dedotti nell’esercizio di
sostenimento, ma devono obbligatoriamente essere portati ad incremento del costo originario di
acquisto o produzione, e quindi recuperati attraverso il processo di ammortamento.
A proposito degli interessi, va rammentato che la legislazione societaria impone alla EJV e, per
applicazione analogica, alle WFOE, un certo rapporto tra capitale sociale e passività complessive (si
veda in proposito il par. 1.11.1.), con la conseguenza di limitare l’entità dell’indebitamento, e quindi
indirettamente la deduzione di interessi passivi.
• Le spese di rappresentanza. Se debitamente documentate, sono deducibili dal reddito della FIE entro
i precisi limiti fissati dall’art. 22. In particolare, la deduzione di spese di rappresentanza non può
eccedere:
– per le imprese di produzione, lo 0,5% sui ricavi di vendita fino all’ammontare di 15 milioni di
RMB; lo 0,3% per la parte di ricavi che eccede 15 milioni di RMB;
– per le altre imprese, l’1% dei ricavi fino all’ammontare di 5 milioni di RMB; lo 0,5% per la parte
di ricavi che eccede 5 milioni di RMB.
• Accantonamenti rischi su crediti (artt. 25 e 26). Sono deducibili solo per le imprese finanziarie o di
leasing. Il fondo è fiscalmente deducibile sino al 3% del valore degli impieghi presso la clientela
(esclusi quelli interbancari) e va compensato con i crediti inesigibili, che per la legge fiscale cinese
sono i crediti verso soggetti falliti, deceduti o che risultano non onorati da più di 2 anni dalla scadenza.
L’eventuale eccedenza della perdita sul credito inesigibile rispetto al fondo sarà deducibile nell’esercizio.
150
Nel caso in cui un credito compensato venga in seguito recuperato, si originerà una componente positiva
di reddito per l’esercizio di recupero.
• Perdite e utili su cambi (art. 23). Possono essere imputati al risultato dell’esercizio in cui si originano;
in alternativa, il provento/onere in questione può essere tassato/dedotto in quote costanti, nell’anno
di realizzo e nei 4 successivi. Le perdite eventualmente derivanti dalle differenze di cambio emerse
tanto durante la fase organizzativa iniziale, quanto durante la fase produttiva vera e propria, devono
essere imputate al periodo di imposta in cui si sono manifestate.
• Salari, stipendi e oneri sociali (art. 24). I salari e gli stipendi sono deducibili se pagati direttamente
ai dipendenti. I premi per le assicurazioni pensionistiche, per le assicurazioni mediche e i contributi
sindacali versati in ottemperanza alle disposizioni di legge, sono interamente deducibili; a questi
Guoshuihan [1999] n. 709 ha aggiunto anche i sussidi per esigenze abitative e le contribuzioni ai
fondi per la formazione professionale. Gli altri benefit pagati dal datore di lavoro sono deducibili fino
alla misura massima del 14% dell’ammontare totale dei salari. I contributi pagati a enti di sicurezza
sociale esteri, invece, sono generalmente indeducibili (Guoshuifa [1998] n. 101).
Per ulteriori costi, non esplicitamente considerati dalle norme di legge o regolamentari, la possibilità
di deduzione è stata oggetto di chiarimenti forniti dall’Amministrazione Finanziaria.
• Spese di R&D (Guoshuifa [1999] n. 173). Le spese per l’acquisto di attrezzature e l’approntamento
di strutture di ricerca sono deducibili nell’esercizio in cui sono state sostenute se inferiori unitariamente
a 10.000 RMB.
I costi sostenuti per lo sviluppo di nuovi prodotti, nuove tecnologie, inclusi i costi di progettazione
e quelli di materiali e semilavorati legati alla fase di sperimentazione sono invece deducibili senza
limitazioni.
Per le spese di R&S relative a nuovi prodotti e nuove tecnologie, poi, è consentita, oltre alla deduzione
ordinaria dei costi sostenuti, un’ulteriore deduzione, pari al 50% degli stessi costi, a patto che le spese
di R&S siano superiori del 10% rispetto a quelle dell’esercizio precedente (c.d. “regola del 10%”);
l’eventuale eccedenza della deduzione aggiuntiva rispetto al reddito imponibile dell’anno non può
essere utilizzata negli anni successivi.
• Insussistenze e perdite (di crediti, di cespiti, etc.). Sono deducibili nei termini indicati da Guoshuifa
[2000] n. 46: l’impresa deve essere in grado di indicare le cause e l’ammontare e di provare l’effettività
della perdita. Se l’impresa è in grado di provare la perdita, ma non di determinarne l’ammontare entro
il termine di presentazione della dichiarazione, può procedere ad una stima di concerto con l’ufficio
fiscale, salvo poi i necessari aggiustamenti al momento in cui la perdita potrà essere determinata con
precisione.
• Assicurazioni contro i rischi. Le assicurazioni contro i rischi sono deducibili solo se versate in
ottemperanza ad obblighi di legge, ed in alcuni casi solo se le polizze sono stipulate con compagnie
cinesi (Guoshuifa [2002] n. 31).
13.2.5. Il trattamento fiscale delle immobilizzazioni
13.2.5.1. Le immobilizzazioni materiali
Ai sensi dell’art. 30 del Regolamento di attuazione, nella nozione di immobilizzazioni materiali rientrano
i fabbricati civili ed industriali, i macchinari, i mezzi di trasporto, le attrezzature, le apparecchiature ed
in genere i beni che partecipano direttamente o indirettamente al processo produttivo o commerciale,
e la cui vita utile sia di un anno o più.
Le attrezzature che non partecipano direttamente al processo produttivo (impianti di protezione ambientale,
di sicurezza sul lavoro, etc.), il cui prezzo unitario è pari o inferiore a 2.000 RMB o il periodo di utilizzo
151
non supera i 2 anni, possono, ex art. 30 R, essere spesate interamente nell’esercizio di acquisto.
I cespiti aziendali rilevano ai fini fiscali sulla base del costo storico, che:
• in caso di acquisto oneroso da terzi è dato dal prezzo di acquisto, incrementato degli oneri accessori
sostenuti fino all’entrata in funzione del bene, tra cui in particolare l’art. 31, comma 2 del Regolamento
cita le spese di trasporto ed installazione;
• in caso di costruzione in economia è rappresentato dal complesso delle spese effettivamente sostenute
dall’impresa per la costruzione (art. 31, comma 3 R);
• in caso di acquisto per donazione, è rappresentato dal valore ragionevolmente attribuibile al bene in
questione (art. 45 R);
• in caso di conferimento, è dato dal prezzo stabilito nel contratto, purché “ragionevole”, oppure, in
mancanza, dal valore di mercato, più le relative spese sostenute prima della sua entrata in funzione
(la norma, tuttavia, non fornisce alcun criterio per la valutazione circa la ragionevolezza del prezzo).
Il costo storico dei cespiti va incrementato inoltre di tutte quelle spese che ne reintegrino o accrescano
l’utilità, come le manutenzioni straordinarie.
Le immobilizzazioni materiali sono soggette ad ammortamento, e le relative quote sono deducibili dal
reddito della FIE.
Per il corretto calcolo della quota di ammortamento deducibile occorre prima di tutto individuare
il valore di presunto realizzo del bene al termine del suo ciclo di vita, tenendo presente che l’art.
33 R impone che tale valore sia almeno pari al 10% del costo storico, come sopra identificato. In
alcuni casi è consentito l’utilizzo di un valore di presunto realizzo inferiore al 10% o addirittura
pari a zero.
Il costo storico meno il valore di presunto realizzo rappresenta l’effettivo valore ammortizzabile. Infatti
le quote di ammortamento potranno essere dedotte fino al raggiungimento del valore di realizzo
individuato; successivamente nessuna quota potrà essere dedotta, anche se il bene continui di fatto ad
essere utilizzato nel processo produttivo dell’impresa. Il valore residuo non ammortizzabile potrà quindi
essere recuperato solo al momento della cessione.
L’art. 32 R dispone che l’ammortamento inizi il mese successivo a quello di entrata in funzione del
bene e sia interrotto il mese successivo a quello in cui ne sia eventualmente cessato l’utilizzo per
qualsiasi motivo (cessione, disuso, etc.).
L’ammortamento deve avvenire secondo la metodologia a quote costanti. Nel caso in cui l’impresa abbia
necessità di utilizzare un metodo diverso, il Regolamento prevede che possa presentare un’apposita
richiesta la quale è prima esaminata e verificata dall’ufficio fiscale periferico, e successivamente è
sottoposta ad approvazione da parte dell’amministrazione centrale. In realtà, con circolare del 25 giugno
2004, il SAT in questo ed in altri casi analoghi, ha eliminato la necessità dell’approvazione preventiva,
mantenendo semplicemente l’obbligo dell’esibizione della documentazione in caso di verifiche a
posteriori.
Il periodo di ammortamento del bene deve essere determinato tenendo conto della vita utile minima
fissata dalla legge per ciascuna tipologia di bene. Dalla vita minima stabilita dalla legge è agevolmente
ricavabile l’aliquota massima annuale per l’ammortamento a rate costanti, da applicarsi al valore
ammortizzabile. In particolare l’art. 35 del Regolamento individua le seguenti macroclassi di beni
materiali, ed i relativi periodi minimi di vita utile.
152
Macroclasse
Fabbricati
Treni e navi, macchinari, impianti per la produzione
Macchine elettroniche, mezzi di trasporto, mobilio e
arredo, attrezzatura di produzione o commerciale
Vita minima
20 anni
10 anni
5 anni
L’art. 37 R annovera nella prima macroclasse dei “fabbricati” i seguenti beni ammortizzabili:
• i fabbricati civili ed industriali utilizzati dall’impresa per scopi produttivi, commerciali e amministrativi,
tra cui capannoni, magazzini, uffici, negozi, scantinati, edifici residenziali per i dipendenti e strutture
“sociali” agli stessi destinate;
• le costruzioni fisse, quali torri, piscine, vasche, pozzi, rimesse, tettoie (salvo che non si tratti di
strutture temporanee o comunque assai semplici e potenzialmente removibili), piazzali, strade, ponti,
piattaforme, banchine, condutture, stazioni di rifornimento, oleodotti e gasdotti, fornaci, muri di cinta;
• le pertinenze e gli impianti non separabili dai fabbricati e dalle costruzioni e prive di autonomo valore,
tra cui impianti elettrici, di ventilazione, di scarico, di comunicazione, ascensori.
Nella seconda macroclasse rientrano a norma dell’art. 38 R:
• fra i “treni”: locomotrici, vagoni passeggeri, vagoni merci e relative pertinenze;
• fra le “navi”: navi a motore e relative pertinenze;
• fra gli “impianti per la produzione”: macchinari, apparati meccanici, impianti di produzione, impianti
generatori, impianti per la movimentazione;
Nella terza macroclasse, infine, rientrano (art. 39 R):
• fra le “macchine elettroniche”: circuiti integrati, transistor, componenti elettronici la cui funzione primaria
è quella di consentire il funzionamento di tecnologie elettroniche, e quindi computer, robot, sistemi
di controllo digitale;
• fra i “mezzi di trasporto”: aeromobili, autoveicoli per il trasporto di cose o persone (inclusi tram,
autocarri, autotreni, etc.), trattori, ciclomotori e motocicli, imbarcazioni a vela e fuoribordo, e altri
mezzi di trasporto diversi da quelli inclusi fra i “treni” e le “navi”.
Nel caso di cessione di beni ammortizzabili, l’eventuale eccedenza del prezzo di vendita rispetto al
valore netto fiscale sarà imponibile interamente nell’anno di competenza (non essendo previste ipotesi
di differimento totale o parziale delle plusvalenze), così come si avrà una componente negativa di reddito
deducibile nell’esercizio di realizzo nel caso opposto (art. 44 R).
Per esemplificare quanto fin qui detto, si ipotizzi che la società Alfa acquisti in gennaio per 100.000
RMB un macchinario la cui vita utile minima è di 10 anni ed il valore di presunto realizzo è di 10.000,
e che il macchinario entri in funzione nel corso del mese di febbraio.
Il valore ammortizzabile è quindi di 90.000 RMB (100.000 – 10.000), l’aliquota annua da applicare al
valore ammortizzabile è del 10% (100% / 10 anni) e quella mensile dello 0,833% (10% / 12),
l’ammortamento annuo è di 9.000 RMB (90.000 x 10%), e quello mensile di 750 RMB (90.000 x 0,833%
= 9.000 / 12). L’ammortamento deve essere iniziato nel mese di marzo 2004 e si concluderà quando il
bene avrà raggiunto il valore netto contabile di 10.000 RMB nel febbraio 2014 ovvero, se precedente,
nel mese successivo a quello di estromissione dal processo produttivo.
Qualora il bene venisse venduto nel mese di settembre 2006 per 82.000 RMB, la plusvalenza imponibile
va calcolata come segue:
153
V.N.C. = 100.000 – [ 750 x 31 (da marzo 2004 a settembre 2006 compresi)] = 76.750
Plusvalenza = 82.000 – 76.750 = 5.250
L’art. 40 del Regolamento consente, quando ciò sia richiesto dalle particolari modalità di utilizzo del
bene, di assumere come periodo di ammortamento un arco temporale più breve rispetto alla vita minima
fissata in via generale dallo stesso Regolamento, e di cui si è detto sopra. Lo stesso art. 40, al comma
2, individua alcuni casi tipici in cui si può procedere ad ammortamento accelerato:
• macchinari ed attrezzature esposte a forte corrosione da parte di sostanze acide o alcaline;
• fabbricati soggetti a continui sommovimenti e vibrazioni;
• macchinari ed attrezzature continuamente in funzione per tutto l’anno allo scopo di incrementarne il
tasso di utilizzo;
• immobilizzazioni materiali utilizzate da una joint-venture cooperativa sino-estera che prevede un
periodo di cooperazione più breve della vita utile del bene fissata normativamente, e destinate ad
essere lasciate al partner cinese al termine del periodo di cooperazione.
Va detto comunque che l’effettiva possibilità di utilizzare un ammortamento abbreviato in presenza di
particolari condizioni di logorio dell’immobilizzazione è comunque subordinata all’invio da parte
dell’impresa di un’esplicita richiesta, che dovrà essere esaminata dall’ufficio locale, e trasmessa
all’amministrazione centrale per l’approvazione.
Nel caso di acquisto di beni usati con una vita utile residua inferiore ai limiti temporali minimi di
ammortamento indicati sopra, l’art. 41 R concede, senza più necessità di verifiche e autorizzazioni preventive
dell’ufficio fiscale competente (circolare SAT del 25/06/2004), di dedurre l’ammortamento sulla più
breve vita residua del bene, permettendo in sostanza una “continuità” dell’ammortamento anche nel
passaggio fra soggetti diversi.
13.2.5.2. Immobilizzazioni immateriali
I brevetti, le tecnologie, i marchi, i diritti d’autore, i diritti di utilizzo dei terreni ed altri beni e diritti
immateriali dell’impresa vanno valutati anch’essi, come i beni materiali, in base di costo storico,
costituito, come per i beni materiali:
• dall’ammontare effettivamente pagato nel caso di acquisto da terzi;
• dall’ammontare delle spese sostenute per lo sviluppo, nel caso di beni prodotti internamente;
• dal prezzo stabilito nel contratto, nel caso di conferimento.
Anche per i beni immateriali deve essere utilizzato l’ammortamento a rate costanti. Ai sensi dell’art.
47 R, la vita utile è quella stabilita dal contratto che costituisce il titolo in base al quale l’impresa può
usufruire del bene; in mancanza (beni prodotti internamente o beni per i quali il contratto nulla specifica)
il periodo di ammortamento non dovrà comunque essere inferiore a dieci anni.
I costi d’impianto (costi di start up), cioè i costi sostenuti dall’impresa durante la fase di organizzazione
possono essere ammortizzati a partire dal mese successivo a quello di inizio della produzione o delle
operazioni commerciali, fermo restando che il periodo di ammortamento non può essere inferiore a
cinque anni. La fase di organizzazione ai sensi dell’art. 49, comma 2, va dal rilascio dell’autorizzazione
all’inizio della produzione - sia essa sperimentale o per il mercato - o delle operazioni commerciali.
154
13.2.6. Valutazione del magazzino
L’art. 50 del Regolamento impone che rimanenze di merci, prodotti finiti, prodotti in corso di lavorazione,
semilavorati, materie prime, e altri materiali utilizzati dall’impresa per la produzione siano valutati al
costo; ai fini fiscali non è possibile far valere il minor valore, rispetto al costo, che le rimanenze di
magazzino potrebbero avere al termine dell’esercizio.
Tra le configurazioni di costo accettate, l’art. 51 R contempla, in alternativa al costo specifico, i seguenti
metodi ampiamente diffusi a livello internazionale:
• primo entrato primo uscito (FIFO, first in first out);
• ultimo entro primo uscito (LIFO, last in first out);
• media ponderata.
Una volta scelto, il metodo di valutazione può essere cambiato solo per fondati motivi. Tuttavia non è
più richiesta la preventiva autorizzazione dell’ufficio fiscale.
13.2.7. Il riporto delle perdite
Ai sensi dell’art. 11 L, le perdite realizzate dalla FIE in un periodo d’imposta possono essere utilizzate
per compensare i redditi dei periodi di imposta successivi, ma non oltre il quinto. Non è invece
consentito il cosiddetto carry-back, cioè l’utilizzo delle perdite per la compensazione dei redditi di esercizi
precedenti.
Si noti inoltre che, secondo quanto stabilito dal SAT con Guoshuifa [1999] n. 34, le perdite riportabili
devono essere utilizzate sia per compensare redditi imponibili, sia per compensare eventuali redditi
esenti: solo l’eventuale eccedenza rispetto ad entrambe le tipologie costituisce la perdita ulteriormente
riportabile all’anno successivo.
Inoltre, sebbene nulla dica la legge circa la sorte delle perdite nelle operazioni straordinarie, la lacuna
è stata colmata da un’interpretazione del SAT emessa il 28/04/1997. In base a tale documento:
• nel caso di fusioni, le perdite maturate dalle società partecipanti alla fusione possono essere trasferite
alla società risultante, che le potrà riportare per il periodo residuo disponibile per ogni perdita;
• nel caso di scissioni la perdita può essere divisa fra le società beneficiarie secondo quanto stabilito
nell’atto di scissione e queste ultime potranno riportarla per il periodo residuo disponibile.
Va osservato infine che, in caso di dichiarazione consolidata (si veda in proposito il par. 14.2.3.) la
circolare Guoshuifa [2000] n. 152 stabilisce che la perdita di una branch deve essere compensata
prioritariamente con i redditi di altra branch che è soggetta alla stessa aliquota di imposta o, in subordine,
con quelli della branch con l’aliquota più vicina.
13.2.8. Transfer pricing
Il controllo del fenomeno del transfer pricing è una delle priorità del legislatore e dell’amministrazione
fiscale cinese, atteso il forte afflusso di capitali stranieri degli ultimi anni, che rende frequenti i rapporti
fra società residenti di investimento straniero ed estere, con molteplici occasioni di “trasferire” materia
imponibile all’estero. La grande attenzione del SAT è testimoniata anche dall’avvio, nel corso del 2004,
di un sistema sperimentale di scambio di informazioni che porterà alla implementazione di un database
accessibile a tutti gli uffici periferici (per ora sono coinvolte nel progetto, fra le altre, le province di
155
Pechino e Tianjin). Da ultimo, la circolare 370 del luglio 2004 ha invitato gli uffici periferici a concentrare
i propri controlli sulle pratiche di transfer pricing nei confronti, fra l’altro, di alcuni tipi di FIE considerate
“sospette” (ad esempio, le FIE sistematicamente in perdita, quelle che incrementano l’entità delle
operazioni nonostante il realizzo di perdite o di scarsi profitti, etc.).
L’art. 13 della legge 45/91 fissa il principio dell’arm’s length in tema di transfer pricing per le FIE. E’
infatti previsto che le transazioni effettuate tra le imprese a capitale straniero o le imprese straniere con
le loro consociate devono avvenire alle medesime condizioni in cui avvengono le transazioni tra imprese
indipendenti. Se ciò non avviene, con il risultato di portare ad una diminuzione della base imponibile,
le autorità fiscali hanno il potere di procedere con le opportune rettifiche.
Secondo quanto si ricava dall’art. 52 R e dal più recente art. 51 del Regolamento attuativo della legge
sull’accertamento e la riscossione (Regolamento n. 362 del 7/9/2002), per “imprese correlate” si intendono
la società, l’impresa ed in genere ogni altra entità economica che ha con un’altra impresa, società o
ente uno dei seguenti rapporti:
• possesso o controllo diretto o indiretto legato al capitale (c.d. controllo di diritto) o alle relazioni
commerciali, finanziarie, etc. (controllo di fatto) di un’impresa sull’altra;
• possesso o controllo diretto o indiretto legato al capitale (c.d. controllo di diritto) o alle relazioni
commerciali (controllo di fatto) su entrambe le imprese da parte di una terza impresa;
• qualunque altro rapporto derivante da una comunanza di interessi.
Fra le transazioni coperte dalla disciplina di transfer pricing, per le quali si possono esplicare i poteri
di rettifica dell’amministrazione finanziaria, sono incluse le compravendite di prodotti, le forniture di
servizi, le concessioni di finanziamenti, i trasferimenti di beni materiali o immateriali, o di diritti di
utilizzo degli stessi.
Le imprese hanno il dovere di mettere a disposizione dell’autorità locale fiscale la documentazione
rilevante sulle operazioni tra imprese associate. Va notato, comunque, che l’ampiezza delle informazioni
richieste è variabile a seconda degli uffici locali competenti.
Nei casi di transazioni fra imprese correlate, come sopra individuate, l’amministrazione finanziaria
potrà rideterminare i valori di dette transazioni attraverso diverse metodologie, le principali delle quali
sono:
• il metodo del confronto del prezzo: cerca di confrontare il prezzo della transazione con quello
emergente nel mercato fra soggetti terzi per beni comparabili, nelle medesime condizioni temporali
ed oggettive;
• il metodo del prezzo di rivendita: è applicabile nel caso di beni commercializzati senza sostanziali
modifiche rispetto al loro acquisto da parte del soggetto cedente;
• il metodo del mark-up: arriva alla determinazione di un prezzo di vendita compatibile con il mercato,
aggiungendo ai costi di produzione-acquisizione l’incidenza media di profitto del mercato. Quest’ultimo
metodo è però scarsamente applicato, vista la difficoltà di determinare un valore oggettivo di incidenza
media dei profitti sui costi.
In caso di transazioni fra società correlate è possibile richiedere all’amministrazione finanziaria un
parere preventivo sulla correttezza dei prezzi stabiliti (art. 53 del Regolamento sull’amministrazione
delle imposte). Al riguardo va detto che il 20 settembre 2004 il SAT ha emanato le “Regole attuative
sugli Advance Pricing Agreement (APA) per le transazioni tra parti correlate”.
Le Regole Attuative prevedono una fase preliminare di studio ed analisi di fattibilità, condotta dall’ufficio
competente assieme all’impresa. Se questa fase ha esito positivo, l’ufficio invia una nota scritta al
156
contribuente, cui spetta l’onere di presentare formale richiesta (generalmente entro tre mesi dal ricevimento
della nota), informando l’ufficio di tutte le circostanze utili ai fini dell’accordo (e per le quali è
espressamente previsto un obbligo di confidenzialità). A questo punto inizia la vera e propria fase di
valutazione, che deve durare al massimo cinque mesi. Una volta raggiunta una conclusione, l’ufficio
apre la fase “contrattuale” con l’impresa contribuente, che si può protrarre per un mese. Se le parti
pervengono ad un accordo, nei trenta giorni seguenti devono stipulare l’APA.
E’ poi regolamentata la fase di esecuzione e di “monitoraggio” dell’accordo, con obbligo dell’impresa
di rendere conto annualmente all’ufficio fiscale.
13.2.9. Determinazione forfetaria del reddito
L’art. 16 della legge sulla imposizione delle imprese di investimento straniero prevede che in alcuni
casi il reddito imponibile del contribuente sia calcolato forfetariamente.
Si tratta sostanzialmente dei casi in cui l’impresa non sia in grado di tenere una regolare contabilità.
La legge non determina in maniera puntuale la metodologia di determinazione forfetaria ed in questo
campo è intervenuta una regolamentazione da parte dell’amministrazione finanziaria, che ha individuato
diverse metodologie in base all’attività svolta. Ad esempio:
• imprese impegnate nella produzione industriale: 10% dei proventi complessivi;
• imprese di design: 15% dei proventi complessivi derivanti dai progetti di design;
• imprese alberghiere: fra il 20% ed i 40% dei proventi complessivi.
Ai sensi dell’art. 17 del Regolamento, inoltre, le imprese straniere di trasporto aereo e marittimo
internazionale determinano il reddito imponibile in modo forfetario, applicando al fatturato complessivo
derivante dall’attività di trasporto di passeggeri e cose in Cina la percentuale prefissata di redditività
del 5%.
13.3. Società non residenti prive di stabile organizzazione
Della distinzione fra imprese residenti e imprese non residenti, e del fatto che queste ultime siano
soggette a IRIS solo per i redditi di fonte cinese si è detto al par. 13.2.1., cui si rimanda. Aggiungiamo
ora che costituiscono redditi di fonte cinese in base all’art. 6 del Regolamento IRIS:
• i dividendi distribuiti da società residenti in Cina;
• interessi attivi derivanti da depositi situati presso istituti di credito cinesi, da finanziamenti concessi
a soggetti residenti o da acconti pagati a residenti;
• proventi da locazioni (anche finanziaria) di beni utilizzati in Cina;
• royalties pagate per l’utilizzo di licenze, brevetti e altri diritti in Cina;
• proventi da alienazione di beni immobili situati nel Paese;
• altri redditi che dovessero essere indicati dal Ministero delle Finanze.
I redditi percepiti da un non residente sono assoggettati ad una ritenuta a titolo di imposta normativamente
fissata nel 20% (art. 19, comma 1 Legge IRIS). E’ importante tuttavia segnalare che il Consiglio di
Stato, con nota del 18 novembre 2000 (Guofa [2000] n. 37), ha deliberato, con effetto retroattivo al 1°
gennaio 2000, la riduzione dell’aliquota della ritenuta d’imposta al 10% nei confronti di tutti i redditi
pagati a imprese non residenti. Naturalmente, rimane salva l’applicazione di aliquote più favorevoli
eventualmente previste dai Trattati contro le doppie imposizioni.
Con specifico riguardo ai dividendi, peraltro,va aggiunto che:
157
• i dividendi distribuiti da FIE a imprese non residenti sono esenti ex art. 19, comma 3, n. 1) Legge
IRIS e art. 63 Regolamento attuativo;
• i dividendi distribuiti su azioni cinesi quotate di tipo B (si veda capitolo 10) o quotate in mercati
esteri sono oggetto di un’esenzione formalmente temporanea, ma di fatto in vigore fino a nuova
disposizione del SAT.
Per quanto concerne la royalties, si tenga presente da un lato, che la ritenuta è applicata al netto
dell’eventuale imposta sugli affari assolta (Cai Shui Zi [1998] n. 59; per l’imposta sugli affari si veda
il par. 16.2.); dall’altro, che ai fini dell’assoggettamento a ritenuta rientrano nella nozione, se fornite in
dipendenza della concessione del diritto d’uso di brevetti, anche alcune prestazioni accessorie, tra cui:
la fornitura di materiale esplicativo (manuali, etc.), le prestazioni di assistenza tecnica, l’addestramento
del personale.
Ai sensi dell’art. 19, comma 3, n. 4 della Legge e dell’art. 66 del Regolamento, alcune tipologie di
royalties possono essere esentate dal pagamento dalla ritenuta del 10% (20%) dietro approvazione del
SAT. Tra queste vale la pena ricordare le royalties pagate a fronte dell’uso di tecnologie per:
• lo sviluppo dell’agricoltura e dell’allevamento;
• la prevenzione e il controllo dell’inquinamento ambientale;
• il migliore sfruttamento delle risorse energetiche;
• la produzione di circuiti integrati e semiconduttori;
• lo sviluppo delle comunicazioni e dei trasporti.
Sugli interessi basterà dire che può essere concessa l’esenzione da ritenuta per quelli derivanti da
prestiti fatti da banche straniere a favore delle banche statali (Bank of China, Agricultural Bank of
China, etc.) a tassi agevolati, e per quelli derivanti da dilazioni di pagamento concesse dal venditore
straniero all’acquirente cinese di materiale tecnologico (in tal caso il venditore deve aver finanziato
l’operazione ricorrendo al credito di una banca del proprio Paese, ed il tasso di interesse pagato
dall’acquirente non deve essere superiore a quello pagato dal venditore alla propria banca: Cai Shui
Zi [1983] n. 348).
14. ADEMPIMENTI FORMALI, ACCERTAMENTO E CONTENZIOSO
La legislazione cinese contempla una legge generale sull’amministrazione delle imposte, adottata il 4
settembre 1992 ed emendata da ultimo il 28 aprile 2001, cui va aggiunto il regolamento di attuazione
emanato con decreto del Consiglio di Stato n. 362 del 7 settembre 2002, in vigore dal 15 ottobre 2002.
Specifiche disposizioni relative ad obblighi dichiarativi e di versamento sono poi dettate dalle specifiche
leggi d’imposta. Nel paragrafi seguenti si fornisce una panoramica dei principali adempimenti in materia
di imposte sui redditi e di ritenute.
14.1. La registrazione ai fini fiscali
Gli artt. da 15 a 19 della Legge e da 10 a 21 del Regolamento disciplinano la registrazione ai fini fiscali,
la cui rilevanza e le cui caratteristiche sono per molti aspetti assimilabili alle dichiarazioni di inizio,
variazione e cessazione attività ai fini Iva previste dal nostro ordinamento (art. 35 del D.P.R. 633/1972).
L’art. 12 del Regolamento di attuazione della legge sull’amministrazione delle imposte impone ai
contribuenti che avviano un’attività produttiva o commerciale (lavoratori autonomi, imprese, stabili
organizzazioni di imprese straniere), di presentare all’ufficio fiscale del luogo ove viene svolta l’attività,
158
entro 30 giorni dall’ottenimento della licenza amministrativa, la richiesta per la registrazione ai fini
fiscali, servendosi degli appositi moduli conformi al modello approvato dal SAT. In generale, per le
imprese sarà necessario comunicare la denominazione ed il tipo di impresa, il nome e gli estremi
identificativi (numero di passaporto, etc.) del direttore generale, il numero di licenza amministrativa,
l’oggetto sociale, l’ammontare del capitale sociale, il tempo stimato delle operazioni, e così via. Con
la registrazione il contribuente riceve un numero fiscale di identificazione (art. 10 del Regolamento).
Ai sensi del successivo art. 14, il contribuente è altresì tenuto a comunicare ogni variazione nei dati
indicati nella dichiarazione originaria, entro 30 giorni dalla variazione, ovvero, se quest’ultima richiede
una corrispondente modifica della licenza amministrativa, entro 30 giorni dal completamento delle
formalità per tale modifica. Parimenti, in caso di trasferimento di sede dell’impresa che comporti il
cambiamento dell’ufficio locale competente, l’art. 15 richiede che il contribuente, prima di procedere
con il trasferimento medesimo, debba provvedere alla cancellazione dell’impresa dal luogo di origine,
per registrarsi successivamente in quello di destinazione.
L’importanza della registrazione fiscale emerge chiaramente dall’art. 18 del Regolamento in commento,
ove è precisato che i contribuenti devono esibire il proprio certificato di registrazione, fra le altre, nelle
seguenti circostanze:
• apertura di un conto corrente bancario;
• richieste di riduzioni ed esenzioni fiscali, rimborsi d’imposta, differimenti di termini;
• richieste di cessazione o sospensione dell’attività.
14.2. Versamenti e dichiarazioni
14.2.1. Soggetti IRPEF
Nella maggior parte dei casi, l’imposta sul reddito delle persone fisiche è trattenuta dal sostituto d’imposta
all’atto del pagamento, e nella misura in cui vi sia coincidenza tra ritenute complessivamente effettuate
e debito d’imposta, non sussiste obbligo di presentare la dichiarazione dei redditi. Per i redditi di lavoro
dipendente, l’imposta è calcolata e trattenuta su base mensile, e versata entro il settimo giorno del mese
successivo a quello di riferimento; se il datore di lavoro è unico, generalmente il lavoratore non è tenuto
alla presentazione della dichiarazione.
In alcuni casi, tuttavia, (dipendenti con due o più datori, redditi di fonte estera, errata o mancata
esecuzione della ritenuta, etc.) il contribuente è tenuto a presentare la dichiarazione dei redditi annuale,
come pure quella sintetica mensile.
14.2.2. Soggetti IRID
L’IRID viene calcolata su base annuale, ma sono previsti pagamenti di acconti, mensili o trimestrali,
da effettuare entro i 15 giorni successivi al termine del mese o trimestre di riferimento e calcolati
sull’imposta dell’anno precedente. Il pagamento a saldo va invece effettuato entro 4 mesi dal termine
dell’anno ed eventuali eccedenze di versamenti in acconto possono essere richieste a rimborso o
compensate con versamenti successivi.
Insieme ai pagamenti in acconto, i contribuenti sono tenuti a presentare un bilancio ed una dichiarazione
periodica riferita al periodo di riferimento. La dichiarazione annuale riepilogativa ed il bilancio del
periodo devono essere presentati entro 45 giorni dalla chiusura del periodo d’imposta.
159
I soggetti IRID sono inoltre tenuti alla presentazione della dichiarazione annuale dei sostituti di imposta,
e a rilasciare le certificazioni a favore dei sostituiti.
14.2.3. Soggetti IRIS
L’imposta sui redditi delle imprese a capitale straniero è computata su base annuale ed è versata in
quattro rate trimestrali anticipate (acconti), salvo conguaglio a fine anno, con il quale si procederà al
versamento dell’importo eventualmente ancora a debito, ovvero al rimborso dei versamenti eccedenti
o, più frequentemente, allo scomputo dell’eccedenza dai versamenti successivi (art. 15 della Legge IRIS).
Gli acconti devono essere versati entro il quindicesimo giorno successivo alla fine del trimestre di
riferimento, mentre l’eventuale versamento a saldo deve essere effettuato entro il quinto mese successivo
al termine del periodo d’imposta.
L’art. 94 del Regolamento prevede che gli acconti trimestrali siano calcolati sulla base dell’effettivo
reddito imponibile del trimestre di riferimento; se tuttavia esistono difficoltà nel rispettare tale metodologia
di computo, gli acconti possono essere determinati sulla base di un reddito imponibile trimestrale assunto
pari al 25% di quello dell’anno precedente, ovvero secondo un altro metodo indicato dalle competenti
autorità locali.
Negli stessi termini dei versamenti periodici in acconto, le FIE, abbiano o meno realizzato redditi
imponibili, sono comunque soggette all’obbligo di presentare una dichiarazione periodica relativa al
trimestre, mentre una dichiarazione complessiva annuale, con allegato il bilancio dell’anno, e la
dichiarazione dell’esito della revisione da parte di un revisore abilitato in Cina, deve essere presentata
entro 4 mesi dal termine del relativo anno di imposta (art. 16 Legge IRIS).
La legge (artt. 27 e 31) ed il regolamento (artt. 37 e 41) sull’amministrazione delle imposte consentono
alle FIE che per motivi eccezionali non sono in grado di presentare in tempo stabilito le predette
dichiarazioni, di presentare apposita richiesta scritta al competente ufficio fiscale, entro la scadenza
dello stesso termine, per ottenerne differimento (che comunque non può essere superiore a tre mesi).
Allo stesso modo, può essere richiesto il differimento del termine di versamento delle imposte per circostanze
straordinarie, tra cui vengono espressamente contemplati:
• i casi di forza maggiore (disastri naturali, furti, etc.) che hanno determinato perdite sostanziali al
contribuente, o ne hanno impedito il normale svolgimento dell’attività;
• l’insufficienza di liquidità, dopo il pagamento di salari, stipendi e oneri sociali (si noti che la legge
richiede l’esibizione degli estratti conto bancari accesi dall’impresa, ed in genere di tutta la documentazione
atta a provare tale circostanza).
La proroga del termine eventualmente concessa dall’ufficio (che deve pronunciarsi entro venti giorni
dal ricevimento della richiesta) non può comunque essere superiore a tre mesi.
Quando l’ultimo giorno cade in un giorno festivo o di domenica, la scadenza (di versamento o dichiarativa)
è prorogata al successivo giorno feriale.
Le imprese che cessano la propria attività nel corso dell’anno, anche a seguito di operazioni straordinarie
(fusioni, etc.) devono, entro 60 giorni dal fatto estintivo, regolarizzare la propria posizione, versando
la differenza eventualmente dovuta fra acconti versati e imposte determinate in via definitiva fino alla
data di cessazione. Nel caso di scissione, le società beneficiarie rispondono in solido per i debiti tributari
della scissa.
La presentazione delle dichiarazioni può avvenire per posta o per via telematica (art. 30 del Regolamento
160
sull’amministrazione delle imposte); l’effettiva implementazione delle procedure di invio telematico
varia tuttavia da regione a regione. Nel caso di utilizzo del canale postale, il contribuente deve servirsi
di apposite buste, e trattenere la ricevuta dell’ufficio postale quale prova della presentazione della
dichiarazione entro i termini di legge.
Le imprese straniere che stabiliscono due o più stabili organizzazioni in Cina possono utilizzare, a determinate
condizioni, la dichiarazione consolidata dei redditi delle stesse stabili organizzazioni. Al di fuori di tale
particolare ipotesi, la tassazione su base consolidata non è prevista dall’ordinamento cinese.
Oltre alla dichiarazione dei redditi, i soggetti IRIS sono tenuti alla presentazione della dichiarazione
annuale dei sostituti di imposta, e ad emettere le certificazioni a favore dei sostituiti.
14.3. Accertamento e sanzioni
L’amministrazione finanziaria cinese ha ampi poteri nello svolgimento della propria attività accertativa.
A norma dell’art. 54 delle legge sull’amministrazione, essa può:
1) ispezionare i libri contabili del contribuente, fatture, documenti di supporto ed in genere la documentazione
dell’impresa che abbia rilevanza fiscale;
2) esaminare i prodotti, le merci ed in genere tutte le proprietà dell’impresa site nei luoghi di produzione
o nei magazzini;
3) ordinare l’esibizione di documenti, prove e altre informazioni di rilevanza fiscale;
4) interrogare i contribuenti su questioni di rilevanza fiscale;
5) esaminare i beni in viaggio e la relativa documentazione in stazioni, aeroporti, uffici postali, etc.;
6) esaminare i conti bancari del contribuente, con l’approvazione del funzionario capo a livello di contea
o superiore, e dietro esibizione del necessario permesso.
L’art. 35 della legge sull’amministrazione delle imposte indica i seguenti casi in cui le autorità fiscali
hanno il potere di rideterminare induttivamente il reddito imponibile del contribuente:
• quando il contribuente è esentato dalla tenuta dei libri contabili;
• quando il contribuente ha omesso la tenuta dei libri contabili, pur essendovi obbligato;
• quando il contribuente, senza autorizzazione, distrugge i libri contabili o si rifiuta di fornire
documentazione;
• quando la contabilità risulta incompleta, inesatta o comunque disordinata in misura tale da renderne
difficile la revisione;
• quando il contribuente non presenta nei termini le dichiarazioni di imposta, né vi ottempera in seguito
ad espresso ordine dell’ufficio fiscale;
• quando il reddito imponibile dichiarato è irragionevolmente basso.
In questi caso, l’ufficio, ai sensi dell’art. 47 del Regolamento sull’amministrazione delle imposte, può
ricostruire il reddito imponibile del contribuente servendosi di uno dei seguenti metodi (o di più d’uno
contemporaneamente, se necessario nel caso di specie):
• facendo riferimento ad altri contribuenti operanti nella stessa zona e di dimensioni analoghe;
• a partire dai costi, considerando un ragionevole margine di profitto;
• a partire dai consumi di materie prime, carburanti e altri beni di consumo;
• in base a qualunque altro metodo ragionevole.
Per la possibilità di rettifica del reddito nelle operazioni tra imprese correlate, si rimanda al par. 13.2.8..
Per quanto concerne le sanzioni, va innanzitutto osservato che in caso di mancato versamento nel
termine fissato dalla legge di imposte o ritenute correttamente dichiarate, il contribuente viene assoggettato
161
ad una sovrattassa nella misura dello 0,05% dell’importo non versato per ogni giorno di ritardo. La
sanzione svolge di fatto - anche se con incidenza nettamente superiore - la funzione compensativa che
nell’ordinamento italiano è attribuita agli interessi di mora.
A fronte dal mancato versamento, l’ufficio fiscale assegna al contribuente un termine perentorio entro
cui provvedere al pagamento. Se anche tale termine trascorre inutilmente, oltre alla sovrattassa è dovuta
una sanzione che l’ufficio può determinare tra il 50% e il 500% dell’imposta o ritenuta non versata. La
stessa sanzione è dovuta nel caso di omesso versamento e di omessa dichiarazione.
Esistono poi varie sanzioni pecuniarie, il cui ammontare (determinato in minimi e massimi assoluti o
percentuali) varia in relazione alla gravità della violazione commessa.
Gli artt. 60, 61 e 62 delle legge prevedono l’applicazione di una sanzione fino a 10.000 RMB per alcune
violazioni relative ad adempimenti tributari non correlati (o quantomeno non direttamente correlati) alla
quantificazione dell’obbligazione tributaria, tra cui vale la pena ricordare:
• la mancata presentazione della richiesta di registrazione, di modificazione o di cancellazione della
registrazione. Qualora, a fronte dell’invito da parte dell’ufficio fiscale a regolarizzare la propria
posizione, il contribuente non vi provveda, è contemplata anche la pena accessoria della revoca della
licenza amministrativa all’esercizio dell’impresa;
• il danneggiamento, la distruzione, la contraffazione e l’uso illecito del certificato di registrazione ai
fini fiscali. In presenza di circostanze particolarmente serie, la sanzione può arrivare fino a 50.000
RMB;
• la mancata messa in uso o compilazione periodica dei libri contabili;
• la mancata comunicazione degli estremi di conto corrente bancario, del sistema di contabilità o del
software di gestione utilizzati dall’impresa;
• la mancata presentazione della dichiarazione nel termine di legge.
L’art. 63, invece, esamina i casi di mancato o insufficiente pagamento dell’imposta derivanti (i) da
contraffazioni, alterazioni, occultamenti o distruzione di libri contabili, (ii) da indicazione in contabilità
di spese in misura superiore a quelle effettivamente sostenute o di omessa indicazione di ricavi tassabili,
o (iii) da dichiarazione di imposta non veritiera, riguardandoli come fattispecie di “evasione fiscale”.
Per l’evasione, la legge prevede, oltre al recupero dell’imposta e della sovrattassa, l’irrogazione di una
sanzione dal 50% al 500% dell’importo non pagato, oltre alle pene eventualmente previste dalla
legislazione penale, se il fatto costituisce reato. Ad esempio, per le evasioni di importo superiore a
100.000 RMB per le quali la percentuale di imposta evasa è superiore al 30% dell’imposta totale dovuta,
è previsto l’arresto fino a 7 anni.
Sanzioni dal 50% al 500% dell’imposta non versata sono irrogate anche nelle ipotesi di ottenimento
fraudolento di riduzioni ed esenzioni d’imposta e di mancata effettuazione delle ritenute.
In alcune circostanze, la legge prevede la sanzione accessoria della pubblicazione del provvedimento,
anche sui mass-media.
Per concludere, è interessante notare che lo strumento concordatario è d’attualità, oltre che in Italia,
anche in Cina: si è infatti da poco concluso il periodo concesso dal SAT (circolari Guoshuifa [2004] n.
27 e Guoshuibanhan [2004] n. 364) per fruire di un’amnistia fiscale per alcune violazioni (principalmente
omessi, insufficienti o ritardati versamenti) commesse da persone fisiche straniere. La misura è stata
giustificata con le complessità e oscurità normative, che in molti casi hanno portato i lavoratori stranieri
in Cina ad una errata comprensione o ad una sottostima delle loro obbligazioni tributarie.
14.4. Contenzioso tributario: cenni
162
In sintesi, va osservato che la legge fiscale cinese prevede due tipologie di controversie tributarie:
• le controversie relative all’imposizione fiscale (spettanza di deduzioni e detrazioni, spettanza di crediti
di imposta, esenzioni e agevolazioni, aliquote applicabili, ammontare delle ritenute, etc.);
• le controversie relative alle misure amministrative assunte in campo tributario (irrogazione di sanzioni
amministrative, confische, richieste di presentazione di garanzie, divieto di lasciare il Paese, etc.).
Quanto alle prime, va detto che prima di poter presentare ricorso, il contribuente (o il sostituto d’imposta)
deve prima procedere al versamento delle imposte in contestazione. Solo dopo aver ricevuto l’attestazione
di versamento dell’imposta, è possibile, entro 60 giorni dal ricevimento stesso, richiedere la revisione
amministrativa all’autorità competente, cioè l’autorità gerarchicamente superiore rispetto a quella che
emesso l’atto (si tratta di una sorta di richiesta di autotutela).
Il procedimento di revisione dovrebbe concludersi entro 60 giorni dalla data di ricevimento dell’istanza
(in casi di particolare complessità può essere disposta una proroga di 30 giorni). In caso di silenzio nel
termine indicato o di risposta negativa, il contribuente può, entro 15 giorni, presentare appello al
Tribunale popolare (People’s Court).
Quanto alle seconde, è prevista in questo caso la possibilità di ricorso direttamente avanti il tribunale
popolare, entro tre mesi dall’assunzione della misura amministrativa contestata.
15. ASPETTI DI FISCALITA’ INTERNAZIONALE
Prima di affrontare altri aspetti di fiscalità internazionale, è opportuno premettere che la Cina è inclusa
tra i paesi con i quali il nostro Paese scambia informazioni in virtù di una convenzione contro le doppie
imposizioni (è in sostanza compreso nella cosiddetta white list, di cui al D.M. 4 settembre 1996) ed è
invece esclusa dalle liste dei paesi a fiscalità privilegiata, (cosiddette black list, di cui ai DD. MM.
21/11/2001 e 23/01/2002).
La mancata inclusione della Cina nelle black list emanate dal Ministero dell’Economia e delle Finanze,
comporta che la norma sulla indeducibilità dei costi derivanti da operazioni intercorse con soggetti aventi
un regime privilegiato non appartenenti all’Unione Europea (art. 110, commi da 10 a 12 del D.P.R.
917/1986, Testo unico delle imposte sui redditi) e la disciplina sulle Controlled Foreign Companies
(artt. 167 e 168 del citato Testo Unico) non risulteranno in alcun modo applicabili nei rapporti fra imprese
residenti in Italia e imprese residenti in Cina.
163
15.1. I trattati in vigore contro le doppie imposizioni
La Cina ha concluso una fitta rete di trattati contro la doppia imposizione internazionale in materia di
imposte sul reddito, basandosi sul modello di convenzione OCSE, con i seguenti Stati.
Armenia
Australia
Austria
Bahrain
Bangladesh
Barbados
Belgio
Bielorussia
Bosnia Erzegovina
Brasile
Bulgaria
Canada
Cipro
Corea (Repubblica di)
Croazia
Cuba
Danimarca
Egitto
Emirati Arabi Uniti
Estonia
Filippine
Hong Kong
Finlandia
Francia
Germania
Giamaica
Giappone
Grecia (*)
India
Indonesia
Irlanda
Iran
Islanda
Israele
Italia
Iugoslavia (Federaz.)
Kazakistan
Kirghisistan
Kuwait
Laos
Lettonia
Lituania
Lussemburgo
Olanda
Macao
Macedonia
Malesia
Malta
Mauritius
Moldavia
Mongolia
Nepal (*)
Nigeria (*)
Norvegia
Nuova Guinea
Nuova Zelanda
Oman
Pakistan
Papua Nuova Guinea
Polonia
Portogallo
Qatar (*)
Regno Unito
Repubblica Ceca
Repubblica Slovacca
Romania
Russia
Seychelles (*)
Singapore
Slovenia
Spagna
Stati Uniti d’America
Sud Africa
Sudan
Svezia
Svizzera
Tailandia
Tunisia
Turchia
Ucraina
Ungheria
Uzbekistan
Venezuela (*)
Vietnam
(*) trattati stipulati ma non ancora in vigore
Come si può notare, le aree amministrative speciali (SAR) di Hong Kong e Macao costituiscono due
territori autonomi dal punto di vista legislativo, con i quali la Cina ha stipulato specifiche convenzioni
contro le doppie imposizioni (più precisamente si tratta di “accordi” tra lo Stato centrale ed i Governi
delle SAR).
15.2. La Convenzione Italia - Cina per evitare le doppie imposizioni e prevenire le evasioni fiscali
in materia di imposte sul reddito
La vigente Convenzione tra Italia e Cina contro la doppia imposizione internazionale è stata firmata a
Pechino il 31 ottobre 1986 e ratificata dall’Italia con la Legge n. 376 del 31 ottobre 1989 (pubblicata
sulla Gazzetta Ufficiale n. 274 del 23 novembre 1989).
Il trattato, che si applica alle imposte sui redditi conseguiti in uno dei due Stati contraenti da persone
fisiche, giuridiche ed enti assimilati residenti nell’altro Stato contraente, prevede il seguente regime per
le diverse tipologie reddituali di seguito indicate.
Redditi fondiari (art. 6): i redditi ottenuti dal residente di uno Stato contraente da immobili situati
nell’altro Stato contraente sono imponibili nello Stato della fonte, ossia nello Stato nel quale sono
164
ubicati gli immobili (il che tuttavia non esclude che tali redditi possano essere tassati anche nello Stato
di residenza: in tali casi ad eliminare la doppia imposizione provvede l’art. 23 del Trattato e, quanto
alla normativa interna, l’art. 165 del D.P.R. 917/1986). Sono compresi i redditi derivanti dall’uso diretto,
dalla locazione o dall’affitto e da qualunque altra forma di utilizzazione degli immobili.
Redditi di impresa (art. 7): gli utili di un’impresa di uno Stato contraente sono imponibili soltanto in
questo Stato (Stato della residenza).
Tuttavia, se l’impresa svolge la sua attività nell’altro Stato contraente per mezzo di una stabile
organizzazione, gli utili dell’impresa saranno imponibili anche nell’altro Stato, ma solo per la parte
attribuibile alla stabile organizzazione. Anche in questo caso all’eliminazione della doppia imposizione
provvede l’art. 23 della Convenzione.
Dagli utili conseguiti dalla stabile organizzazione sono ammesse in deduzione le spese sostenute per la
realizzazione degli obiettivi della stabile organizzazione, incluse le spese di direzione e le spese generali
di amministrazione, sostenute nello Stato della stabile organizzazione o altrove.
Il concetto di stabile organizzazione è definito dall’art. 5 della Convenzione ed è mutuato dal modello
OCSE: si considera stabile organizzazione una sede fissa di affari in cui l’impresa eserciti in tutto o in
parte la sua attività. A questa definizione generale si accompagnano alcune ulteriori specificazioni di
rilievo: una persona che agisce in uno Stato contraente per conto di un’impresa di un altro Stato
contraente, si considera stabile organizzazione nel primo Stato se ha ed esercita abitualmente in questo
Stato il potere di concludere contratti in nome dell’impresa, ma a condizione che la persona non sia un
soggetto indipendente dall’impresa.
L’impresa è, invece, considerata priva di stabile organizzazione se conclude contratti nell’altro Stato
contraente per mezzo di un mediatore, di un commissionario o di un altro soggetto indipendente che
agisca nell’ambito della propria attività ordinaria.
Il fatto che una società residente di uno Stato contraente controlli o sia controllata da una società
residente nell’altro Stato, non trasforma per ciò solo ciascuna società nella stabile organizzazione
dell’altra.
Dividendi (art. 10), Interessi (art. 11) e Royalties (art. 12) : i dividendi distribuiti da una società
residente in uno Stato contraente ad un residente dell’altro Stato contraente, gli interessi pagati a un
residente dell’altro Stato contraente e le royalties provenienti dall’altro Stato contraente sono imponibili
nello Stato di residenza del percettore (Stato della residenza).
Tuttavia, tali dividendi, interessi e royalties possono essere tassati anche nello Stato della fonte (ossia
nello Stato in cui risiede la società che ha erogato i dividendi, o dal quale provengono interessi e
royalties), secondo la legislazione di tale Stato, ma l’imposta non potrà superare il 10% dell’ammontare
lordo dei dividendi, interessi o royalties corrisposti. Rimane applicabile l’art. 23 per l’eliminazione della
doppia imposizione.
Le disposizioni convenzionali su dividendi, interessi e royalties non si applicano nel caso in cui il
percettore eserciti nell’altro Stato contraente (Stato alla fonte) una attività commerciale o industriale o
una libera professione tramite una stabile organizzazione o una base fissa e i dividendi, interessi e royalties
derivino da tale attività: in tal caso la potestà impositiva spetta all’altro Stato contraente secondo la
propria legislazione interna.
Va infine segnalato l’art. 23, comma 4, della Convenzione tra Italia e Cina, che contiene la cosiddetta
clausola del matching credit, in base alla quale un’impresa italiana che operi in Cina tramite una stabile
165
organizzazione, al fine di ottenere in Italia il credito d’imposta per le imposte pagate all’estero (in base
al meccanismo previsto dal citato art. 165 D.P.R. 917/86), può considerare come interamente tassati in
Cina i redditi ivi prodotti dalla stabile organizzazione, anche nel caso in cui quest’ultima abbia usufruito
di esenzioni o riduzioni d’imposta.
15.3. Il credito d’imposta per le imposte assolte all’estero
Come rimedio interno finalizzato ad evitare la doppia imposizione, l’ordinamento cinese prevede il
meccanismo del credito d’imposta sui redditi conseguiti e tassati all’estero. L’ammontare delle imposte
pagate all’estero può essere portato in detrazione dall’imposta dovuta in Cina sull’ammontare complessivo
del reddito imponibile, ma solo sino al limite dell’imposta che la parte del reddito prodotto all’estero
avrebbe dovuto scontare in Cina se fosse stato ivi prodotto (trattasi di un meccanismo analogo a quello
contenuto nell’art. 165 del Tuir vigente in Italia).
In base all’art. 12 della legge 45/91, le FIE residenti in Cina hanno il diritto, in sede di presentazione
della dichiarazione dei redditi, di dedurre, dall’imposta cinese complessivamente dovuta, l’ammontare
delle imposte pagate all’estero sui redditi di fonte non cinese. Analogo diritto è sancito, quanto alle
persone fisiche, dall’art 7 della legge IRPEF.
L’imposta estera presa in considerazione per la determinazione del credito spettante è quella effettivamente
e definitivamente pagata, e quindi:
• va tenuto conto di eventuali riduzioni od esenzioni concesse dal Paese estero in questione, sempre
che la convenzione contro le doppie imposizioni applicabile nel caso di specie non disponga diversamente,
concedendo di fatto un credito anche per le imposte non pagate in virtù di particolari agevolazioni
(c.d. matching credit, previsto, come si è visto, anche dalla convenzione stipulata dall’Italia);
• non vanno considerate le imposte pagate ma successivamente rimborsate né quelle accollate a terzi.
L’importo del credito d’imposta concesso non può eccedere l’ammontare della quota di imposta cinese
dovuta sui proventi di fonte estera, calcolati secondo i criteri previsti dalla legislazione cinese. Il tutto,
in sostanza, secondo la seguente formula.
Credito d’imposta massimo
=
IRIS complessiva
dovuta in Cina
X
Reddito imponibile di fonte estera
–––––––––––––––––––––––––––––
Reddito imponibile complessivo
Va precisato che il metodo di determinazione del credito d’imposta per le imposte pagate all’estero è
“country-by-country” (art. 84 R). Tale metodo, seguito peraltro anche dall’Italia, implica che qualora i
redditi di fonte non cinese provengano da più Paesi esteri, debba essere calcolato un credito di imposta
per le imposte pagate all’estero per ognuno dei Paesi interessati. La formula sopra riportata può pertanto
essere così precisata.
Credito d’imposta massimo
=
per il Paese “alfa”
IRIS complessiva
dovuta in Cina
Reddito imponibile di fonte “alfa”
X ––––––––––––––––––––––––––––––
Reddito imponibile complessivo
Se l’imposta effettivamente pagata all’estero è inferiore al credito massimo spettante, dall’imposta
complessivamente dovuta potrà essere dedotto solo il minor importo corrispondente all’imposta estera.
166
Se invece l’imposta pagata all’estero è superiore al limite, la parte eccedente non potrà essere utilizzata
nel periodo d’imposta di riferimento, né potrà essere trattata come un costo deducibile, potendo invece
essere computata in diminuzione delle imposte dovute in Cina negli anni seguenti, ma non oltre il quinto
(art. 85 R), nella misura in cui in tali anni si verifichi un’eccedenza del credito massimo rispetto alle
imposte estere pagate.
Per meglio chiarire il concetto si ipotizzi che un’impresa con investimenti esteri Alfa abbia pagato all’estero
imposte per RMB 1.000.000 per l’anno 2004, e che il credito massimo spettante in Cina per tali imposte
sia 800.000. Per l’anno 2004 dalle imposte complessivamente dovute in Cina potrà essere dedotta la
somma di RMB 800.000.
L’eccedenza di 200.000 RMB potrà essere “portata in avanti” per cinque esercizi in questi termini: se
nel 2005 l’impresa Alfa dovesse pagare imposte estere per 500.000 RMB e avere diritto ad un credito
massimo per 600.000 RMB, potrà dedurre dall’imposta complessiva cinese, oltre ai 500.000 RMB
relativi al 2005, una parte dell’eccedenza del 2004, e cioè 100.000 RMB, fino ad arrivare al massimo
credito concesso per il 2005. L’ulteriore residuo del 2004, 100.000 RMB, potrà essere ulteriormente
portato in avanti con gli stessi criteri fino, al massimo, al 2009 (quinto esercizio).
E’ inoltre richiesto alle imprese che operano la deduzione in base alla regola testé indicata, di
produrre la documentazione originale dei pagamenti (si pensi al modello F24 utilizzato in Italia)
riferiti all’anno per il quale si calcola il credito. Attestazioni di pagamento di anni diversi non
possono essere utilizzate.
In alternativa alla regola di determinazione del credito d’imposta appena vista, che non può prescindere
dalla documentazione dell’effettivo pagamento, è previsto anche un metodo forfetario di calcolo, in
base al quale il credito concesso è pari al 16,5% di tutti i redditi di fonte estera realizzati di anno in
anno. In questo caso, evidentemente, non hanno rilevanza alcuna le eventuali esenzioni o riduzioni fruite
all’estero.
16. ALTRE PRINCIPALI IMPOSTE
16.1. L’imposta sul valore aggiunto
L’attuale normativa in materia di Imposta sul Valore Aggiunto (Legge del 13/12/1993, Regolamento
del 25/12/1993) è il prodotto della generale riforma del sistema fiscale operata con efficacia dal
01/01/1994. L’IVA, come la altre imposte indirette di cui si dirà, riveste un ruolo di primaria importanza
nel gettito fiscale cinese: basti dire che nel 2002 questo tributo ha portato nelle casse dello Stato il 37%
di tutti gli introiti tributari.
Anche nel campo della imposizione indiretta il legislatore ha perseguito le finalità di creare una neutralità
dell’imposta sui diversi passaggi produttivi, un’equità di applicazione fra imprese domestiche e di
investimento straniero e uno sviluppo dell’attività di esportazione. L’IVA è attualmente strutturata
similmente alla nostra imposta sul valore aggiunto, con una imposizione proporzionale che grava su
ogni fase del ciclo della produzione-vendita, a carico del soggetto cedente il bene o prestatore del
servizio, con un meccanismo di recupero dell’imposta “a monte” pagata dallo stesso su beni inerenti
all’attività soggetta ad IVA. Di fatto ed in linea di principio, l’IVA viene a gravare definitivamente sul
consumatore finale.
L’IVA è applicata su tutti i soggetti, persone fisiche e società, che svolgono attività di produzione e/o
commercio di beni (e di alcuni servizi), nonché su chiunque effettui importazioni.
167
Le fattispecie imponibili sono rappresentate dalla cessione di beni mobili materiali (incluse le forniture
di elettricità, riscaldamento e gas) e da prestazioni di servizi di lavorazione, riparazione e sostituzione,
operate sul territorio cinese, anche da non residenti (nel quale caso l’imposta sarà trattenuta dall’acquirente
o dall’intermediario commerciale). La legge fiscale prevede che per una serie di beni (soprattutto i beni
immateriali ed i beni immobili) e per la maggiore parte dei servizi non debba essere applicata l’IVA,
bensì un’altra tipologia di imposta indiretta (imposta sugli affari) di cui si darà descrizione nel paragrafo
seguente. Resta poi fuori dal campo di applicazione dell’IVA la prestazione di lavoro dipendente (art.
3, comma 3 del Regolamento IVA).
Sono anche considerate “cessioni di beni” a mente dell’art. 4 della legge istitutiva:
• il trasferimento di beni a proprie stabili organizzazioni situate all’estero;
• l’utilizzo di beni per produrre beni o servizi non soggetti ad imposta;
• il conferimento di beni ad altri soggetti;
• la destinazione dei beni all’uso personale o la cessione a titolo gratuito.
Considerato che l’IVA copre tendenzialmente solo le cessioni di beni, e l’imposta sugli affari le prestazioni
di servizi, regole particolari sono dettate per i casi in cui lo stesso contribuente effettui contemporaneamente
nella stessa transazione entrambe le tipologie di attività (c.d. mixed sales). L’art. 5 del regolamento IVA
prevede che le mixed sales siano interamente soggette ad IVA – anche per la parte che costituisce prestazione
di servizio ordinariamente soggetta a imposta sugli affari – quando sono effettuate da imprese che
svolgono come attività prevalente un’attività soggetta ad IVA (la prevalenza è calcolata con riferimento
al fatturato). In caso contrario, la mixed sale non è soggetta ad IVA, ma ad imposta sugli affari.
Le regole sulle mixed sales valgono esclusivamente quando vi è contemporaneità nella cessione di beni
soggetta ad IVA e nella prestazione di servizi soggetta a imposta sugli affari. Nel caso tale condizione
non sussista, non di mixed sale si può parlare, ma di attività promiscua, per la quale la legge impone
procedure di contabilizzazione fiscale separate.
I seguenti beni sono esenti da IVA ex art. 16 della legge:
• prodotti agricoli, se il cedente è lo stesso produttore;
• prodotti contraccettivi;
• libri d’antiquariato;
• beni usati;
• l’importazione di strumentazione e attrezzature necessarie alla ricerca scientifica o destinati all’educazione;
• attrezzature e macchinari di cui si richiede l’importazione nel territorio cinese a scopo di lavorazione,
assemblaggio o quale compenso in natura;
• beni destinati ad essere utilizzati dai disabili, importati direttamente dalle organizzazioni che se ne
prendono cura;
• altre categorie espressamente indicate dal Consiglio di Stato (si noti che in base alla legge IVA i
governi locali non possono disporre esenzioni o riduzioni di imposta).
Il soggetto che ponga in essere attività esenti da IVA, non potrà portare a credito l’imposta pagata sugli
acquisti di beni e servizi inerenti all’attività esente (art. 10 Legge IVA).
Al riguardo è da rammentare che costituiscono attività esenti tutti i servizi soggetti ad imposta sugli
affari. Nel caso particolare del contribuente che ceda prodotti agricoli esenti, la legge prevede un recupero
limitato dell’IVA pagata a monte, entro il limite forfetario del 10% del valore dei beni inerenti acquistati
(art. 8, comma 3).
Nel caso di attività di esportazione, poi, l’IVA assolta sugli acquisti inerenti le esportazione è in molti
168
casi riconosciuta a credito con il diritto di richiederne il rimborso. In effetti, l’esportazione non è
propriamente un’attività “esente”, ché allora non si giustificherebbe il rimborso dell’IVA assolta a
monte, quanto piuttosto operazione imponibile “ad aliquota zero” (in tal senso si esprime molto
chiaramente l’art. 2, n. 3 della legge).
Più in particolare, nel settore delle esportazioni dalla Cina, si distingue tra:
• beni la cui esportazione è esente da IVA e che danno diritto al rimborso dell’IVA assolta sugli acquisti;
• beni la cui esportazione è esente da IVA ma che non danno diritto al rimborso dell’IVA (spesso perché
si tratta di beni che non sono stati assoggettati ad IVA – o lo sono stati in modo forfetario – nel
precedente passaggio);
• beni per i quali non spetta nemmeno l’esenzione all’esportazione (si tratta di beni per i quali
l’esportazione è soggetta a restrizioni o è vietata, quali zucchero, rame, etc.).
Va osservata sul punto la diversità della legislazione cinese rispetto a quella italiana (ed in genere a
tutta la normativa IVA europea) laddove quest’ultima, a determinate condizioni, consente all’esportatore
c.d. “abituale” di acquistare i beni direttamente senza addebito dell’IVA dal parte del cedente.
La disciplina IVA delle esportazioni è stata oggetto di due interventi del SAT prima (Guoshuifa [1994]
n. 31) e del Consiglio di Stato e del SAT congiuntamente, poi (Caishuizi [1995] n. 92). Aspetto da
evidenziare è che in passato in varie occasioni (nel 1995, nel 1996 e nel 1998) il Consiglio di Stato ha
modificato le aliquote di rimborso, differenziandole (e abbassandole) in molti casi rispetto alla
corrispondente aliquota IVA applicata al momento della cessione. Da ultimo il 13 ottobre 2003 il
Ministero delle Finanze ed il SAT hanno emanato un documento, divenuto efficace dal 1° gennaio 2004,
con cui hanno nuovamente rivisto molte delle aliquote di rimborso.
Di fatto, un’aliquota di rimborso (poniamo del 13%, ma sono previste anche aliquote del 5% e del 15%)
minore rispetto all’aliquota IVA applicata dal venditore al momento della cessione all’esportatore (ad
esempio l’aliquota ordinaria del 17%), si risolve indirettamente in un maggiore onere sulle esportazioni
pari alla differenza.
Vanno infine menzionate le ipotesi di esenzione da IVA legate alla localizzazione dell’impresa nelle
Free Trade Zones (FTZ, si veda anche capitolo 17). In generale, è prevista l’esenzione da IVA (i) sulle
importazioni di materiali e attrezzature da utilizzare per scopi produttivi all’interno delle FTZ e (ii) per
le imprese che vendono i loro prodotti all’interno delle FTZ o li esportano.
L’art. 10 stabilisce alcune ipotesi di indetraibilità oggettiva, cioè legata al bene in quanto tale. Si tratta
dei casi di acquisto di:
• beni mobili strumentali (cioè beni soggetti ad ammortamento; sono esclusi i beni che non costituiscono
fattore produttivo primario per l’impresa e che presentano un valore pari o inferiore a 2.000 RMB o
una vita utile di due anni o meno, in quanto, come si è visto, spesabili nell’esercizio);
• beni perduti a causa di eventi naturali, di furti e di altri fattori non legati al normale processo produttivo;
• beni destinati a finalità estranee all’attività soggetta ad IVA.
L’imposta grava sul prezzo di vendita del bene o di fornitura del servizio. Nel caso di pagamento
effettuato in natura, si considera il valore di mercato della fornitura ovvero il valore di mercato del bene
dato in cambio. Nel caso di beni importati il valore imponibile è dato dal prezzo rilevante per il dazio,
accresciuto dei tributi doganali, dell’eventuale imposta sui consumi e dei costi accessori all’importazione
(trasporto, magazzinaggio, assicurazione, etc.).
L’aliquota ordinaria d’imposta è pari al 17% (art. 2, n. 1 legge IVA). È prevista un’aliquota ridotta
del 13% su particolari categorie di beni fra cui (art. 2, n. 2):
169
•
•
•
•
•
granaglie ed olii vegetali per usi alimentari;
fornitura di acqua corrente e gas per riscaldamento;
giornali, libri e riviste;
prodotti per l’agricoltura (macchinari, concimi, etc.);
altri beni primari definiti dal Governo.
L’IVA, a seconda di quanto stabilito dalle autorità fiscali locali in relazione al volume d’affari dell’impresa
e all’ammontare dell’imposta dovuta, viene liquidata con periodicità giornaliera, oppure ogni 3, 5, 10,
15 giorni, oppure ancora mensilmente. È inoltre obbligatorio presentare una dichiarazione mensile,
riassuntiva delle operazioni poste in essere e della liquidazione dell’imposta del periodo, da presentare
entro il decimo giorno del mese successivo a quello di riferimento.
Nel caso di contribuenti minimi - cioè esclusivamente le persone fisiche con volume d’affari mensile inferiore
ad una soglia compresa tra 600 e 2.000 RMB per le cessioni di beni, o tra 200 e 800 RMB per le prestazioni
di servizi (lavorazioni e manutenzioni/sostituzioni) - è prevista la totale esenzione dall’imposta. L’ufficio
fiscale competente determina l’effettiva soglia di esenzione localmente applicabile.
Per i contribuenti minori, ovvero con volume d’affari annuale inferiore a 1.000.000 di RMB (per i
contribuenti impegnati principalmente nella produzione di beni e nella prestazione di servizi) o 1.800.000
RMB (per i contribuenti impegnati nel commercio al minuto o al dettaglio), è invece prevista un’applicazione
semplificata dell’imposta, con una determinazione forfetaria della base imponibile con aliquota del
4%/6% del volume d’affari complessivo a seconda del tipo di attività.
16.2. Imposta sugli affari
L’IVA cinese grava, come visto nel paragrafo precedente, soprattutto sulle cessioni di beni mobili,
mentre non grava sulle cessioni di beni immobili o di beni immateriali, così come sulla gran parte dei
servizi. Tali attività sono invece oggetto dell’imposta sugli affari, disciplinata dalla legge n. 136 del
26/11/1993 e dal relativo regolamento di attuazione, entrambi in vigore dal 1° gennaio 1994.
L’imposta riguarda:
• gli imprenditori individuali, i lavoratori autonomi e le “unità” (requisito soggettivo)
• impegnati nella prestazione di servizi e nel commercio di beni immateriali e immobili (requisito
oggettivo)
• all’interno dei territorio dello Stato, con esclusione di Hong Kong, Macao e Taiwan (requisito
territoriale).
Per “unità” devono intendersi, a norma degli artt. 9 ss. del Regolamento, le imprese possedute dallo
Stato, le imprese collettive, le società e le altre forme imprenditoriali partecipative (comprese tutte le
FIE e le imprese straniere), le istituzioni, ed in genere tutte le organizzazioni che svolgano le attività
oggetto dell’imposta a scopo di lucro, cioè secondo la definizione data dall’art. 4, comma 2 del
Regolamento, ricevendone in cambio denaro, beni o altri benefici economicamente valutabili.
Fra i servizi imponibili indicati dall’art. 2, comma 1 del Regolamento sono compresi:
• i servizi postali e di telecomunicazione;
• i servizi di trasporto;
• l’attività delle imprese di costruzione (sia nelle ipotesi di svolgimento di costruzioni in appalto, sia
in quelle di cessione di fabbricati costruiti autonomamente dalle stesse imprese di costruzione: in tal
senso si esprime l’art. 4, comma 3 del Regolamento);
• i servizi finanziari e assicurativi;
170
• i servizi di promozione/pubblicità e di agenzia;
• i leasing, gli affitti e altre concessioni d’uso con pagamento di royalties;
• i servizi legati alla cultura, allo sport, all’intrattenimento.
Il comma 2 del citato articolo 2 e l’art. 4, comma 1 ultimo periodo, del Regolamento escludono
espressamente dal campo di applicazione dell’imposta de qua i servizi di lavorazione, di riparazione e
manutenzione (tutti peraltro soggetti a IVA), e la prestazione del lavoro dipendente. Sono inoltre esenti
le seguenti attività elencate dall’art. 6 della Legge:
1) servizi di nursery, degli asili nido, degli ospizi, degli istituti per disabili, delle agenzie matrimoniali
e di pompe funebri;
2) servizi prestati da disabili;
3) prestazioni sanitarie (diagnosi, terapie, vaccinazioni, etc.) rese da ospedali, cliniche e altre istituzioni
mediche;
4) servizi educativi forniti dalle scuole statali o riconosciute dallo Stato;
5) servizi di aratura meccanica, di irrigazione, di disinfestazione e altri servizi legati all’agricoltura e
all’allevamento;
6) biglietti di ammissione a esposizioni, gallerie d’arte, musei, centri culturali, biblioteche;
7) attività religiose.
Sono poi esenti da imposta le imprese estere non residenti il cui reddito è costituito da interessi o canoni
per l’utilizzo di beni mobili situati in Cina (Guoshuifa [1997] n. 35).
Ai casi di esenzione oggettiva, occorre aggiungere quello di esenzione soggettiva disposto dagli artt. 8
della Legge e 27 del Regolamento a favore degli imprenditori individuali e dei lavoratori autonomi il
cui volume di affari
• sia inferiore ad una soglia determinata dalle competenti autorità locali, ma comunque compresa tra
200 e 800 RMB mensili, per le attività caratterizzate da remunerazioni periodiche,
• sia inferiore a 50 RMB per transazione (o al giorno, nel caso vi siano più prestazioni nello stesso
giorno).
Per quanto concerne i beni immobili, va osservato che l’art. 4, ultimo comma, del Regolamento, considera
“cessione” anche la costituzione di diritti reali, i trasferimenti di semplici diritti d’uso, siano essi a
tempo determinato o indeterminato, ed i trasferimenti a titolo gratuito.
Gli artt. 7 e 8 del Regolamento disciplinano alcuni ipotesi relative al rispetto del requisito territoriale.
In base a tali norme, il servizio si considera reso in Cina quando:
• il trasporto di passeggeri o cose inizia nel territorio cinese;
• vengono trasferiti beni immateriali destinati ad essere utilizzati nel territorio cinese;
• vengono ceduti beni immobili situati in Cina;
• i servizi assicurativi vengono forniti da imprese ubicate in Cina (tranne nei casi di assicurazioni su
beni destinati all’esportazione, che sono escluse dall’ambito di applicazione dell’imposta) ovvero vengono
rese da imprese localizzate all’estero, ma relativamente a beni situati in Cina.
Sui rapporti tra IVA e Imposte sugli affari nel caso delle “cessioni miste” e delle attività promiscue si
richiama quanto già detto in materia di IVA.
L’art. 15 del Regolamento conferisce all’amministrazione finanziaria, indipendentemente dal fatto che
la transazione sia effettuata fra soggetti collegati o meno, il potere di rettificare i valori di scambio,
quando questi siano manifestamente e irragionevolmente inferiori a quelli rintracciabili sul mercato.
171
L’imposta grava sul prezzo di cessione o fornitura, al netto di particolari voci di spesa, individuate dalla
legge a seconda delle attività interessate; nel caso di pagamento in natura si considera il valore di
mercato del bene dato in cambio. Le aliquote di imposta sono differenziate, a seconda delle attività
svolte.
Attività
Trasporti, costruzioni, servizi postali, attività culturali
Banche, assicurazioni, trasferimenti immobiliari e immateriali
Servizi alberghieri, di ristorazione, catering, agenzie turistiche,
affitti, leasing, pubblicità
Servizi di intrattenimento e spettacolo
Aliquota
3%
5%
20%
Caishuizi [ 1999] n. 273, emesso congiuntamente dal Ministero delle Finanze e dal SAT, ha introdotto
un regime di favore per il trasferimento di tecnologia in Cina. In base al citato provvedimento, il fatturato
delle imprese derivante da
a) “trasferimento di tecnologia” (cioè il trasferimento a titolo oneroso della proprietà o del diritto d’uso
di brevetti o know-how tecnologico),
b) “sviluppo di tecnologia” (inteso come la ricerca e lo sviluppo per conto di un committente e dietro
compenso, di nuova tecnologia, nuove capacità, nuovi prodotti o nuovi materiali),
c) “consulenze in campo tecnologico” (studi di fattibilità, progetti e ricerche tecnologici, etc.),
è esente da imposta sugli affari. Si noti che:
• la consulenza indicata sub c), per godere dell’esenzione, deve necessariamente svolgersi in connessione
ad un’attività di trasferimento o di sviluppo di tecnologia resa al medesimo contribuente, con fatturazione
congiunta;
• l’esenzione si estende all’eventuale prezzo pagato per guide, manuali e altra documentazione relativa
alla tecnologia oggetto delle prestazione;
• l’esenzione non si estende ai campioni, alle macchine diagnostiche e alle altre attrezzature vendute
al committente assieme alla tecnologia in questione.
Il meccanismo di applicazione e versamento dell’imposta è molto simile a quello dell’IVA, di cui del
resto l’imposta de qua costituisce un complemento. L’imposta sugli affari è liquidata sulla base di
periodi di 5, 10, 15 giorni o su base mensile a discrezione delle autorità fiscali locali, che devono compiere
una valutazione del volume delle attività (art. 13, comma 1 della legge). Per il settore finanziario e
assicurativo, tuttavia, l’art. 33 del Regolamento d’attuazione prevede la periodicità rispettivamente
trimestrale e mensile. I contribuenti che adottano la periodicità mensile versano l’imposta entro il decimo
giorno del mese successivo; quelli che adottano periodicità inferiori, versano l’imposta entro cinque
giorni dal termine di ogni periodo (art. 13, comma 2).
Va osservato, infine, che l’art. 29 del Regolamento disciplina numerose ipotesi in cui l’imposta sugli
affari è trattenuta e versata dall’acquirente o committente (ad esempio nei casi di subappalto, di vendita
di biglietti per spettacoli di artisti individuali, delle riassicurazioni, del trasferimento di beni immateriali
e delle imprese straniere prive di stabile organizzazione che prestano servizi tassabili in Cina).
16.3. Imposta sui consumi
Si tratta di fatto di accisa che grava sulla produzione o importazione di particolari prodotti, in alcuni
casi assai pesantemente, e che si somma all’IVA, qualificandosi come uno strumento sia di finanziamento
172
della cosa pubblica, sia soprattutto di controllo sui consumi di determinati beni considerati come di
“lusso” (ad es. alcolici, cosmetici, tabacchi, autovetture e motocicli, carburanti, etc.).
I soggetti passivi dell’imposta sui consumi, prevista dalla legge adottata dal Consiglio di Stato il
13/12/1993, in vigore dal 1° gennaio 1994, integrata dal Regolamento di attuazione del 25/12/1993,
vanno ricercati negli imprenditori individuali e nelle “unità” (per l’ampia nozione di “unità” si rimanda
al precedente par. 16.2.) impegnati nella lavorazione e/o importazione di alcuni beni di consumo
all’interno dei confini che delimitano il territorio della Repubblica Popolare Cinese.
I principali prodotti oggetto dell’imposta e le relative aliquote sono le seguenti (si noti che l’imposizione
può avvenire sia in base all’ammontare delle vendite, sia in base al volume della produzione):
• tabacchi (sigarette: 30%-40%-45% a seconda della tipologia; sigari: 40%; tabacco lavorato: 30%);
• alcolici (spiriti e altre bevande alcoliche: 10%-15%-25% a seconda della tipologia; birra 220 RMB
per tonnellata; alcol puro: 5%);
• cosmetici (30%; prodotti per la cura dei capelli: 17%);
• gioielli (10%);
• fuochi d’artificio (15%);
• benzine (senza piombo: 0,2 RMB per litro; gasolio: 0,1 RMB per litro);
• motociclette (10%);
• autovetture (3%-5%-8% a seconda della cilindrata e del modello della macchina).
L’art. 2 della legge impone che ogni modifica che importi la variazione dei beni soggetti all’imposta o
delle aliquote applicabili debba essere approvata dal Consiglio di Stato. Come per l’imposta sugli affari
e l’IVA, qualora l’importo assoggettato a tassazione sia evidentemente e senza valide motivazioni
inferiore al normale, gli uffici fiscali hanno il potere di rideterminare la base imponibile.
I beni di consumo tassabili destinati all’esportazione da parte dei soggetti passivi sono esentati dal
pagamento dell’imposta (art. 11 della Legge e 22 del Regolamento), a meno che tali prodotti non siano
soggetti a restrizioni dallo Stato in cui vengono esportati.
In linea di principio i beni prodotti dal contribuente vengono incisi dall’imposta al momento della
vendita. Diversamente, tuttavia,
• i beni prodotti nel normale processo produttivo ma destinati all’uso privato del contribuente rimangono
incisi solo al momento del trasferimento per altro uso/destinazione;
• i beni importati vengono assoggettati ad imposta al momento della presentazione della dichiarazione
d’importazione;
• i beni la cui lavorazione viene appaltata a terzi, sono assoggettati ad imposta al momento della
consegna o spedizione da parte del terzista al committente.
Analogamente a quanto previsto per l’imposta sugli affari, il periodo assunto a base per la liquidazione
dell’imposta è concordato con le autorità locali, in relazione al volume della produzione e all’ammontare
dell’imposta e nell’ambito delle opzioni indicate dall’art. 14 della legge (giornalmente, ogni tre giorni,
cinque giorni, dieci giorni, quindici giorni o un mese). I soggetti che hanno come periodo di riferimento
il mese devono calcolare e versare l’imposta entro i dieci giorni seguenti la fine del periodo. Negli altri
casi contemplati il termine si riduce a cinque giorni. L’art. 15, inoltre, prevede che i soggetti che
importano beni di consumo debbano pagare l’imposta entro i sette giorni seguenti all’emissione del
documento di recepimento da parte degli uffici doganali.
173
16.4. Imposta sul valore aggiunto immobiliare
L’imposta sul valore aggiunto immobiliare, disciplinata con legge e regolamento del 13/12/1993, riguarda
gli imprenditori individuali e le unità che ricavano un reddito dalla vendita o altro trasferimento a titolo
oneroso della titolarità del diritto d’uso della terra di proprietà statale, e della proprietà di fabbricati e
relative pertinenze (di seguito “trasferimento di beni immobili”). Non sono soggetti ad imposta i
trasferimenti a titolo gratuito inter vivos o mortis causa tra persone fisiche, né quelli derivanti da fusioni
o scissioni, o da conferimento a favore di FIE.
La metodologia di calcolo è piuttosto inusuale: l’imposta in questione prende a riferimento il valore
aggiunto immobiliare, cioè il prezzo complessivo riscosso dal contribuente al netto dei costi deducibili,
e lo scompone in diversi scaglioni di aliquote, la cui ampiezza dipende dagli stessi costi deducibili.
L’art. 7 della legge fissa infatti quattro diversi scaglioni, con le relative aliquote progressive, nei termini
seguenti:
1) per la parte di valore aggiunto che non eccede il 50% della somma delle voci deducibili si applica
un’aliquota del 30%;
2) per la parte di valore aggiunto che eccede il 50% della somma delle voci deducibili ma non il 100%,
si applica un’aliquota del 40%;
3) per la parte di valore aggiunto che eccede il 100% della somma delle voci deducibili ma non il 200%,
si applica un’aliquota del 50%;
4) per la parte di valore aggiunto che eccede il 200% della somma delle voci deducibili, si applica
un’aliquota del 60%.
Per meglio illustrare il meccanismo applicativo dell’imposta, si supponga che un fabbricato venga
ceduto per 2.100.000 RMB, e che il cedente possa vantare costi deducibili per 600.000 RMB. Ebbene,
il valore aggiunto di 1.500.000 RMB viene così scomposto:
1) 300.000 RMB (50% di 600.000) sono assoggettati all’aliquota del 30%;
2) 300.000 RMB (100% di 600.000 – 300.000 di cui al punto 1) all’aliquota del 40%;
3) 600.000 RMB (200% di 600.000 – 300.000 di cui al punto 1 - 300.000 di cui al punto 2) all’aliquota
del 50%;
4) 300.000 RMB (il residuo per giungere a 1.500.000) all’aliquota del 60%.
I costi deducibili sono indicati dall’art. 6 della legge e dall’art. 7 del Regolamento di attuazione. Si
tratta di:
• somme pagate per l’acquisizione del diritto di utilizzazione del terreno;
• costi e spese per le migliorie al terreno, e costi e spese per la costruzione di nuovi fabbricati e
pertinenze (inclusi i costi di progettazione);
• tasse riferite al trasferimento del bene immobile (principalmente imposta sugli affari e imposta di
bollo).
La legge prevede alcuni casi di esenzione dall’imposta. Ciò avviene quando:
• il totale corrisposto al soggetto passivo e realizzato in seguito alla vendita di comuni unità abitative
(costruite cioè in ottemperanza agli standard locali dell’edilizia residenziale ordinaria) non eccede il
20% delle voci deducibili (art. 8, n. 1 Legge). Si noti che, in caso di eccedenza rispetto alla soglia
indicata, l’art. 11, comma 3 del Regolamento impone l’assolvimento dell’imposta sull’intero prezzo,
ovviamente al netto degli oneri deducibili;
• la cessione dell’immobile è obbligatoria, in applicazione della normativa cinese sulla costruzione delle
opere pubbliche (art. 8, n. 2 Legge);
• quando l’immobile è stato utilizzato dal cedente come propria abitazione per almeno cinque anni, e
la cessione avviene per motivi di lavoro o per migliorare le proprie condizioni di vita. Se l’immobile
174
è stato utilizzato come residenza per meno di cinque anni, ma per più di tre, l’imposta può essere
ridotta del 50%.
Nei casi seguenti è previsto che l’imposta sia corrisposta sulla base del valore determinato dalle autorità
competenti (art. 9 Legge):
• dissimulazione o falsa dichiarazione del reale prezzo di trasferimento degli immobili;
• indicazione di costi deducibili falsi o per importi superiori a quelli effettivamente sostenuti;
• prezzo di vendita dell’immobile notevolmente inferiore alla valutazione di mercato senza un giustificato
motivo.
Il soggetto passivo d’imposta deve rendere una dichiarazione di imposta alle competenti autorità del
territorio in cui è posto l’immobile oggetto di transazione entro sette giorni dalla stipula del contratto
di cessione dello stesso, esibendo altresì il contratto di trasferimento e il certificato di proprietà. Le
autorità possono consentire al contribuente una dichiarazione cumulativa periodica, qualora la frequenza
delle transazioni compiute dal contribuente lo renda utile. Il pagamento dovrà poi essere fatto in
conformità alla tempistica fornita dalle autorità competenti. Qualora il soggetto non effettui il pagamento
dell’imposta, è competenza del “Department for land administration” e del “Department for real estate
administration” bloccare il passaggio di proprietà siglato dall’accordo contrattuale.
16.5. Imposta sull’attività agricola
Si tratta di una imposta che può essere considerata un ibrido fra una imposta sul patrimonio ed una
imposta sul reddito, in quanto si basa su stime reddituali derivate da valori presunti di produzione
agricola. Questa imposta è definita dal Regolamento emanato dal Congresso Nazionale il 3 giugno 1958.
I soggetti passivi, considerata la distribuzione della proprietà della terra, sono soprattutto le fattorie
statali e quelle comuni, ma soggiacciono all’imposta anche i soggetti privati che siano stati autorizzati
a coltivare appezzamenti privati.
Attualmente, come maggiore risultato delle riforme economiche, l’unità base della produzione agricola
è la famiglia, la quale può stipulare un contratto con la collettività per la coltivazione di un appezzamento
esclusivo, in cambio dell’impegno a fornire alla collettività una certa quantità di prodotto.
La norma che regola tale imposta prevede un’aliquota media nazionale del 15,5%, con la possibilità
per le autorità locali di aumentarla fino al 25%. Esenzioni o riduzioni di imposta sono previste o possono
essere concesse per le famiglie dei “martiri della Rivoluzione” o per famiglie di disoccupati, per il
recupero di terreni abbandonati, per calamità naturali, per i territori più arretrati.
16.6. Imposta sulle risorse naturali
La disciplina dell’imposta sullo sfruttamento delle risorse naturali, di cui alla Legge n. 139 del 13/12/1993,
risale anch’essa, come molte altre esaminate, alla stagione di grandi riforme in campo tributario cui il
governo cinese pose mano nella seconda metà del 1993.
L’imposta riguarda tutti i soggetti impegnati nello sfruttamento delle seguenti risorse naturali:
- petrolio greggio: 8-30 RMB per tonnellata;
- gas naturale: 2-15 RMB per ogni mille metri cubi;
- carbone: 0,3-5 RMB/ton;
- altri minerali non metallici o altri gas naturali: 0,5-20 RMB per tonnellata o per metro cubo;
175
- minerali ferrosi: 2-30 RMB/ton;
- altri minerali non ferrosi: 0,4-30 RMB/ton;
- sale: solido 10-60 RMB/ton, liquido 2-10 RMB/ton.
L’esatto ammontare dell’imposta da corrispondere, e quindi il valore da applicare all’interno del range
per ogni prodotto, viene determinato di volta in volta dal Ministero delle Finanze di concerto con il
competente dipartimento del Consiglio di Stato (art. 3 della Legge).
16.7. Dazi doganali
La normativa sui dazi doganali è oggetto di frequenti revisioni, soprattutto per quanto concerne
l’identificazione dei beni soggetti al dazio, e la misura dello stesso. L’attenzione riservata dalla Cina
agli investimenti stranieri e la volontà di aderire all’Organizzazione Mondiale per il Commercio hanno
comportato, dal 1992 ad oggi, la progressiva diminuzione delle aliquote applicate sui principali beni:
l’aliquota media si è infatti ridotta dal 43% del 1992 all’attuale 17%. A partire dal 1° gennaio 2004
sono entrate in vigore le nuove Regulations of the People’s Republic of China on Import and Export
Customs Duty”, emanate dal Consiglio dello Stato il 29 ottobre 2003.
In buona sostanza, la nuova normativa riduce le tariffe, elimina le aliquote in relazione a numerosi
prodotti, introduce nuovi sistemi di valutazione dei dazi doganali, elimina controlli e sussidi governativi,
ed in generale, introduce una disciplina più semplice e flessibile.
In generale, i dazi doganali vengono fissati in considerazione del valore dei prodotti (CIF per le
importazioni, FOB per le esportazioni) che ne formano l’oggetto, a cui vengono applicate aliquote
differenti, a seconda dello status posseduto dal Paese contraente, secondo la seguente classificazione:
• Paesi membri della WTO (most favoured countries);
• Paesi non membri della WTO, ma con cui la Cina ha stipulato accordi commerciali;
• Paesi non membri della WTO, ma con cui la Cina ha stipulato accordi speciali;
• Altri Paesi.
Sempre in linea generale, la legge prevede alcuni casi di esenzione, tra cui:
• i campionari e prodotti di pubblicità senza valore commerciale;
• gli aiuti gratuiti concessi dai governi stranieri e dalle organizzazioni internazionali;
• i casi in cui il dazio dovuto per la partita di merci è inferiore a 50 RMB;
• i carburanti, i materiali ed gli alimenti necessari per i mezzi di trasporto.
Per alcuni prodotti importati o esportati temporaneamente, dietro il rilascio di apposita garanzia, è
possibile ottenere l’esenzione dal pagamento dei dazi, purché i beni siano riportati nei paesi di origine
entro 6 mesi; tale termine può essere prolungato su domanda dell’interessato ai competenti uffici
doganali. Si tratta, fra gli altri, dei seguenti beni:
• i beni inviati a fiere e convegni;
• i beni utilizzati in gare sportive o in eventi culturali;
• materiali e attrezzature per le registrazioni cinematografiche e televisive;
• i campioni;
• materiali e attrezzature per la ricerca, l’istruzione, la medicina;
• le apparecchiature e attrezzature per installazione, collaudo, etc.
Dal 1° gennaio 2004 l’aliquota media dei dazi per le “nazione più favorite” è ulteriormente scesa
dall’11% al 10,4%, grazie alla riduzione delle aliquote di oltre 2.400 prodotti. Rimangono ovviamente
176
prodotti su cui i dazi incidono ancora in misura significativa. Nei prossimi anni si prevede comunque
che proseguirà il trend di diminuzione dei dazi, a mano a mano che il processo di integrazione della
Cina con gli altri Paesi WTO proseguirà. A partire dal 2005, ad esempio, il tasso doganale medio relativo
ai prodotti agricoli dovrebbe diminuire dal 50% al 15%, mentre le tariffe relative ad automobili e parti
di automobili sono destinate a diminuire rispettivamente del 25% e del 10%. Si rinvia alla tabella del
capitolo 8 per un elenco, a titolo indicativo, delle tariffe doganali su alcuni prodotti tipici del “made in
Italy”.
Sono previste, inoltre, facilitazioni per le FIE che possono usufruire dell’esenzione da dazi doganali e
da IVA per le importazioni di beni in conto capitale. La concessione dell’agevolazione è subordinata
al verificarsi delle seguenti condizioni: a) che i beni costituiscano parte dell’investimento che lo straniero
si era impegnato ad apportare all’interno di una FIE all’atto della sua costituzione; b) che la FIE sia
impegnata in attività ad alto contenuto tecnologico o in progetti considerati “incoraggiati” da parte
dell’autorità cinese; c) che le importazioni diano luogo a trasferimento di know-how.
Vanno, poi, ricordati i benefici legati alla localizzazione nelle Free Trade Zones, zone speciali caratterizzate
dalla possibilità di potervi fare transitare merci in esenzione da tasse e dazi doganali; l’imposizione si
ha solo nell’eventuale momento successivo in cui le merci varcano il confine tra la zona franca ed il
territorio cinese vero e proprio.
16.8. Imposta sugli atti immobiliari
L’imposta in questione, disciplinata dalla legge n. 224 del 7 luglio 1997 (in vigore dal 1° ottobre 1997),
grava su qualunque soggetto, persona fisica o ente organizzato, che acquisisca la proprietà o altro diritto
su beni immobili, siano essi terreni o fabbricati, nel territorio della Repubblica Popolare Cinese. Più
precisamente, l’imposta si applica alle seguenti fattispecie, indicate dall’art. 2 della legge:
1) il trasferimento del diritto d’uso di terreni (ad esclusione del trasferimento del diritto di gestione
della terra di proprietà collettiva: art. 2, ultimo comma);
2) il trasferimento della proprietà di fabbricati.
Rientrano nel concetto di trasferimento le ipotesi di compravendita, donazione e permuta. Quanto
all’aliquota, la legge (art. 3) impone unicamente che essa debba essere compresa tra il 3% e il 5%. Il
tasso effettivamente applicabile sarà determinato dalle autorità governative di livello locale. La base
imponibile dell’imposta è costituita:
• nel caso di compravendita, dal prezzo convenuto fra le parti;
• nel caso di donazione, dal valore di mercato;
• nel caso di permuta, dall’eventuale conguaglio in denaro.
Se il prezzo stabilito è evidentemente e irragionevolmente inferiore al prezzo di mercato, l’ufficio
competente ha titolo per rideterminare la base imponibile secondo valori di mercato.
Ai sensi dell’art. 6 della legge istitutiva,
• sono esenti da imposta gli organi statali, le istituzioni pubbliche, le organizzazioni sociali e le unità
militari che acquisiscono il terreno o il fabbricato per farne uffici, o a scopo medico, di formazione,
di ricerca scientifica o per installazioni militari;
• sono esenti da imposta i funzionari pubblici che acquistano casa per la prima volta; un’esenzione o
una riduzione può inoltre essere accordata a coloro che la acquistano per la seconda volta, costretti
da circostanze di forza maggiore;
• altre cause di riduzione o di esenzione possono essere stabilite dal Ministero delle finanze.
177
E’ in ogni caso prevista la decadenza dal beneficio, con obbligo di integrare il versamento dell’imposta
fino alla misura ordinaria, per quanti alterino la destinazione d’uso dell’immobile rispetto a quella per
la quale l’agevolazione stessa è concessa (art. 7).
I contribuenti entro dieci giorni dalla stipulazione, sono tenuti a segnalare la transazione ed esibirne il
titolo all’ufficio fiscale competente all’esazione dell’imposta nella località dove il terreno o il fabbricato
è ubicato; il versamento dell’imposta avverrà secondo la tempistica stabilita dallo stesso ufficio fiscale.
16.9. Imposta di bollo
La fonte primaria dell’imposta di bollo è costituita dalla legge n. 11, adottata dal Consiglio di Stato il
24 giugno 1988, ed entrata in vigore il 1° ottobre 1988; a questa si affiancano le norme regolamentari
emanate con decreto del Ministero delle Finanze, n. 255 del 29 settembre 1988.
Secondo quanto previsto dall’art. 1 della citata legge, soggetti passivi dell’imposta di bollo sono tutte
le imprese, anche straniere, gli enti e le persone che emettono o ricevono, nel territorio della Repubblica
Popolare Cinese, documenti appartenenti alle categorie sotto indicate:
• contratti inerenti compravendite, lavorazioni, progetti di costruzione, leasing, trasporti, magazzinaggi,
prestiti, assicurazioni, collaborazioni tecnologiche (si potrebbe dire, tutti i contratti di natura economicopatrimoniale);
• documenti che determinino il trasferimento del diritto di proprietà;
• libri contabili dell’impresa;
• certificati che attestino diritti o licenze;
• altri documenti stabiliti dal Ministero delle Finanze.
Tali documenti devono avere efficacia all’interno dello Stato, mentre non è richiesto che siano ivi
stipulati (art. 2 del Regolamento). L’imposta è applicata secondo percentuali sul valore del contratto,
ovvero in misura fissa per ciascun atto. Le diverse misure dell’imposta sono riepilogate nella tabella
che segue.
Tipologia di atto
Misura dell’imposta
Debitore
Contratto di compravendita
0,03% sul prezzo
contraenti
Contratto di lavorazione
0,05% sul reddito dalla lavorazione
contraenti
Contratto di ricerca e progetto per l’ingegneria
0,05% sul ricavo del lavoro
contraenti
Contratto di appalto di costruzione e installazione
0,03% sull’ammontare dell’appalto
contraenti
Contratto di leasing
0,1% sul canone
contraenti
Contratto di trasporto di merci
0,05% sul corrispettivo del trasporto contraenti
Contratto di magazzinaggio e custodia
0,1% sul prezzo del servizio
contraenti
Contratto di mutuo
0,005% sul capitale dato a mutuo
contraenti
Contratto di assicurazione sul patrimonio
0,003% dell’ammontare assicurato
contraenti
Contratto di tecnologia
0,03% sull’ammontare del contratto
contraenti
Documento di trasferimento di patrimonio
0,05% dell’ammontare indicato
emittente
Libri contabili
0,05% sul valore originario delle
ente che pone
immobilizzazioni e del capitale di
in uso il registro
funzionamento per il libro contabile
che accoglie il fondo; per altri libri
5 RMB per ognuno
Certificati e licenze
5 RMB per ognuno
ricevente
178
Per l’assolvimento dell’imposta vengono utilizzate marche da bollo (i tagli sono attualmente nove: 10,
20, 50 centesimi e 1, 2, 5, 10, 50 e 100 RMB) da applicarsi al momento della stipulazione o del rilascio,
con opportuna timbratura o altra forma di obliterazione che ne impedisca il riutilizzo. Eventuali bolli
in sovrappiù non possono essere rimborsati o portati in detrazione da altri pagamenti della medesima
imposta. Se di un documento vengono emessi due o più esemplari originali, uno per ciascun contraente,
l’imposta deve essere assolta interamente per ciascun esemplare.
Il duplicato o la copia di un documento che ha già scontato l’imposta è a sua volta esente da imposta,
così come sono esenti gli atti di donazione al Governo, a istituzioni sociali e a scuole, ed i prestiti non
produttivi di interesse.
Qualora un atto contenga disposizioni soggette a diverse aliquote, le basi imponibili devono essere indicate
separatamente, pena l’applicazione dell’aliquota più elevata a tutte le clausole dell’atto.
16.10. Imposta sugli immobili urbani
Si tratta di un’imposta di tipo patrimoniale annuale che grava sui proprietari o sui creditori ipotecari di
immobili situati nelle aree urbane con le seguenti aliquote:
• 1,2% del “valore normale” nel caso di fabbricati;
• 1,8% del valore normale nel caso di terreni;
• 1,8% del valore normale complessivo di terreno e fabbricato, nel caso in cui il valore del secondo
non possa essere distinto dal valore del primo;
• 18% della “locazione normale”, nel caso in cui non possa essere determinato il valore normale
dell’immobile.
Il valore normale e la locazione normale sono determinati in base a diversi parametri quali la categoria,
l’ubicazione, l’estensione, lo stato di manutenzione, etc.. La valutazione viene compiuta annualmente
da un’apposita commissione. L’imposta è versata in due rate semestrali o in quattro rate trimestrali, in
base alla decisione delle autorità fiscali locali. Sono previste varie ipotesi di esenzione per immobili di
pubblica utilità (caserme, scuole pubbliche, uffici governativi, luoghi di culto, siti storici, etc.) e per gli
immobili di nuova costruzione (esenzione triennale dal completamento della costruzione) o rinnovati
(esenzione biennale dal completamento dei lavori di rinnovo, sempre che i costi per tali lavori siano
superiori alla metà del costo stimato di una nuova costruzione), che però non si applicano alle FIE
(Circolare Guoshuihanfa [1997] n. 39).
17. LE AGEVOLAZIONI FISCALI
Le agevolazioni fiscali destinate all’imprenditoria straniera hanno rappresentato nell’ultimo decennio
lo strumento su cui le autorità cinesi hanno fatto maggiormente affidamento per attirare capitali e
investimenti dall’estero e favorire lo sviluppo di specifici settori economici o di determinate aree del
Paese.
Al riguardo, non si può tacere il fatto che nel febbraio 2004 il Ministero delle Finanze ha reso noto il
programma governativo per la riforma del sistema fiscale, che prevede in sintesi:
• l’unificazione dei sistemi impositivi delle imprese domestiche e delle FIE;
• l’abbandono del sistema di tassazione basato sui regimi fiscali preferenziali;
• l’adozione di un’aliquota “di compromesso” fra quella ordinaria del 33% e quelle agevolate del 15% o
24%, comune a tutte le imprese, che dovrebbe attestarsi ad un valore compreso nel range 24% - 28%.
179
Nei programmi del Governo, la riforma non dovrebbe concretizzarsi prima del 2006.
Detto questo, va altresì osservato che, sebbene l’ingresso nella World Trade Organization abbia ormai
avviato la Cina verso l’adeguamento agli standard legislativi occidentali anche in materia fiscale,
nondimeno gli incentivi e le agevolazioni fiscali costituiscono tuttora uno degli aspetti di maggior
interesse per l’imprenditore e l’investitore straniero, anzi forse lo sono ora come non mai, considerato
che è molto probabile che i benefici concessi sino all’entrata in vigore delle nuove regole di tassazione
siano mantenuti anche per gli anni (o per un certo numero di anni) successivi. In altre parole, l’ultimo
scorcio del 2004 ed il 2005 potrebbero essere le ultime occasioni per salire – e rimanere a lungo – sul
treno della agevolazioni cinesi, che come si vedrà viaggia a notevole velocità.
Nel tracciare il panorama dei trattamenti agevolativi, va tenuto presente che esso è molto variegato e
complesso, in quanto alle agevolazioni di carattere statale, tutto sommato facilmente “monitorabili”, si
aggiunge la nutrita serie di riduzioni ed esenzioni d’imposta concesse dalla moltitudine di aree a regime
speciale esistenti nel Paese (di cui in alcuni casi è addirittura dubbia la legittimità ai sensi della normativa
statale), che rappresentano invece un sistema assai dinamico ed intricato, di cui all’osservatore esterno
risulta pressoché impossibile cogliere con precisione i dettagli.
Nei paragrafi che seguono esamineremo le agevolazioni ai fini delle imposte sui redditi previste dalla
legge per l’imposizione sulle imprese straniere e con investimenti stranieri, precisando fin d’ora che
non esauriscono il novero dei trattamenti fiscali preferenziali, atteso che molti altri ne sono contemplati
nel settore dei dazi doganali, dell’IVA e di altre imposte minori.
Prima di entrare nel merito, è opportuno fornire alcune nozioni preliminari. In effetti, nel campo delle
agevolazioni per le imposte sui redditi, tre aspetti assumono primaria importanza per individuare le
diverse agevolazioni (alcune cumulabili fra loro) cui è possibile accedere. Si tratta dei seguenti:
• la tipologia del soggetto;
• il luogo di svolgimento dell’attività;
• la caratteristiche dell’attività.
Altri aspetti importanti, come vedremo, sono il periodo di attività e l’ammontare dell’investimento.
17.1. I soggetti
Tutte le agevolazioni fiscali previste dalla legislazione cinese riguardano esclusivamente le Foreign
Investment Enterprises residenti in Cina (EJV, CJV e WFOE) e le imprese straniere con stabile
organizzazione in Cina.
Va ricordato poi che anche le ordinarie s.p.a. e s.r.l. possono essere totalmente o parzialmente in mano
straniera; quelle con capitale straniero complessivo inferiore al 25% sono assimilate alle imprese
domestiche, e sono quindi escluse da qualsiasi agevolazione, salvo approvazione dal Consiglio dello
Stato (Guoshuihan [2003] n. 422); quelle con capitale straniero pari o superiore al 25% sono invece
assimilate ai fini fiscali alle FIE. Per capitale straniero deve intendersi la partecipazione da parte di una
persona fisica o di una società straniera, ovvero di una holding company cinese interamente posseduta
da persone fisiche straniere o società straniere (Guoshuihanfa [1995] n. 154).
180
17.2. L’ubicazione: le zone speciali o di sviluppo
I benefici fiscali riguardano esclusivamente le FIE e le stabili organizzazioni in Cina di imprese straniere
che siano insediate in specifiche aree individuate dalla legge. Si tratta di una sorta di “parchi industriali”,
cioè di aree in cui il governo cinese incentiva la localizzazione degli investimenti esteri utilizzando
varie leve, fra cui ovviamente quella fiscale, ma anche quella delle infrastrutture, delle facilitazioni e
dell’efficienza amministrative, della libera circolazione dei capitali, dell’approvvigionamento di
manodopera e di materiali, e così via, il tutto in termini e misure diversi in relazione alla particolare
“vocazione” dell’area (esportazione, tecnologia d’avanguardia, etc.).
Le zone speciali (o zone di sviluppo), anche limitandosi a quelle di rango statale, sono moltissime, non
tutte ugualmente appetibili sotto il profilo dei vantaggi fiscali. In generale le diverse aree sono riconducibili
ad una delle seguenti tipologie:
1) Zone Economiche Speciali (Special Economic Zones, SEZ);
2) Zone di Sviluppo Economico e Tecnologico (Economic and Technological Development Zones,
ETDZ);
3) Zone di Sviluppo Industriale ad alto tasso tecnologico (High-Tech Industrial Development Zones,
HTDZ);
4) Zone aperte costiere (Coastal Open Ecomonic Zones, COEZ) e città aperte costiere (Coastal Open
Ecomonic Cities, COEC);
5) Vecchi distretti urbani delle città in cui si trovano le SEZ o le ETDZ;
6) Zone di libero scambio (Free Trade Zones, FTZ, note anche come “Bonded Zones”) e zone di
esportazione (Export Processing Zones, EPZ);
7) Zone di cooperazione economica di confine (Border Economic Cooperative Zones, BECZ)
L’ istituzione delle prime Zone Economiche Speciali risale all’epoca della “politica della porta aperta”,
la politica di riforma intrapresa in Cina verso la fine degli anni 70, quando una direttiva congiunta del
Consiglio di Stato e del Comitato Centrale del partito nel luglio 1979 autorizzava le autorità locali delle
province del Guangdong e di Fujian ad assumere misure speciali per la promozione dello sviluppo
economico. Nella seconda metà del 1980, in accordo con la normativa sulle zone economiche speciali
nella provincia del Guangdong adottata dal CNP il 26 agosto dello stesso anno, vennero create le prime
tre ZES nelle municipalità di Shenzhen (attualmente la SEZ maggiormente sviluppata quanto a volumi
di produzione), Zhuhai e Shantou, tutte site nella provincia meridionale del Guangdong. Ad esse fece
seguito in ottobre la ZES di Xiamen, nella provincia di Fujian. Infine nel 1988 venne costituita la ZES
dell’intera isola di Hainan.
Nel 1984 vennero istituite le quattordici Coastal Open Economic Cities, che includono Shanghai e Tianjin,
cioè rispettivamente la prima e la terza fra le metropoli cinesi; altre COEC sono: Dailan, Qinhuangdao,
Yantai, Qingdao Lianyungang, Nantong, Ningbo, Wenzhou, Fuzhou, Guangzhou, Zhanjiang e Beihai.
Nello stesso periodo vennero istituite le aree denominate Economic and Technological Development
Zones, con incentivi e vantaggi per gli investitori stranieri paragonabili a quelli delle SEZ. Nel corso
degli anni le ETDZ si sono moltiplicate, fino a superare le 50 unità.
Del 1985 è la creazione delle prime Costal Open Economic Zones: a partire da quell’anno la politica
di apertura agli investimenti esteri venne estesa ai delta dei fiumi Yangtze e Pearl, al triangolo XiamenZhangzhou-Quanzhou (il cosiddetto “Triangolo d’oro”), nella parte meridionale della Provincia di
Fujian, alle penisole di Shandong e di Liaodong, Hebei e Guangxi fino a formare un’intera fascia
costiera aperta.
Nel 1990 vennero aperte agli investimenti esteri la “Pudong New Area”, presso Shanghai, e altre città
181
nella pianura del fiume Yangtze. Nel 1990 venne anche istituita la prima zona di libero scambio, la
“Waigaoqiao Free Trade Zone”, situata all’interno della Pudong Area, a circa 20 chilometri da Shanghai,
gestita da un organismo autonomo, la Waigaoqiao Free Trade Zone Administration.
A partire dal 1992 la politica della porta aperta venne estesa anche a numerose città di confine, con
l’istituzione di alcune Border Open Economic Cities. Alle ZES sono state poi affiancate le High-Tech
Industrial Development Zones per lo sviluppo economico-tecnologico a livello nazionale.
Nel 1999 e nel 2000 sono state istituite altre due categorie di Zone a trattamento privilegiato: quelle
appartenenti al “Go West Program” e le Export Processing Zones. Queste ultime (attualmente una
quindicina) sono generalmente costituite all’interno delle Economic and Technological Development
Zones e beneficiano, per determinate tipologie di operazioni, di agevolazioni simili alle free trade zones.
Altre zone economiche speciali e zone franche sono state infine istituite anche da autorità a livello
locale e tutte caratterizzate, come le zone a livello nazionale sopraccitate, da varie forme di agevolazioni
agli investimenti esteri.
Si riporta un prospetto riepilogativo delle diverse zone di sviluppo, con la precisazione che le COEC
sono indicate in uno schema a parte.
182
Provincia,
municipalità
o Regione
Livello statale
ETDZ
HTDZ
Anhui
Wuhu
Hefei
Hefei
Wuhu
Beijing
Beijing
Zhongguancun
Tianzhu
Chongqing
Chongqing
Chongqing
Chongqing
Rongqiao
Fuzhou
Dongshan
Haicang
Xiamen Huoju Fuzhou
Fuzhou
Lanzhou
Lanzhou
Fujian
SEZ
Xiamen
Gansu
Guangdong
Shenzhen Guangzhou
Shantou Nansha
Zhuhai
Zhangjiang
Dayanwan
COEC
FTZ
EPZ
Fuzhou
Xiangyu
Xinglin
Foshan
Guangzhou
Huizhou
Shenzhen
Zhongshan
Zhuhai
Guangzhou
Zhanjiang
Zhuhai
Shenzhen
Shantou
Guangzhou
Guangzhou
Shenzhen
Guangxi
Beihai
Beihai
Guangxi
Nanning
Guilin
Nanning
Guizhou
Guiyang
Guiyang
Hainan
Haikou
Hebei
Qinhuangdao
Baoding
Shijiazhuang
Heilongjiang
Harbin
Daqing
Harbin
Henan
Zhengzhou
Luoyang
Zhengzhou
Zhengzhou
Hubei
Wuhan
Wuhan
Xiangfan
Wuhan
Hunan
Changsha
Changsha
Zhuzhou
Inner mongolia
Huhhot
Baotou
Jiangsu
Kunshan
Lianyungang
Nanjing
Nantong
Suzhou
Changzhou
Nanjing
Suzhou
Wuxi
Jiangxi
Nanchang
Nanchang
Hainan
Hainan
Qinhuangdao Haikou
BECZ
Dongxing
Pingxiang
Qinhuangdao
Heihe
Suifenhe
Huhhot
Manzhouli
Erlianhaote
Nantong
Zhangjiagang Suzhou Ind.
Lianyungang
Suzhou Hidz
Kunshan
Lianyungang
Nantong
Nanjing
Zhengjiang
Wuxi
183
Provincia,
municipalità
o Regione
Livello statale
ETDZ
HTDZ
Jilin
Changchun
Changchun
Jilin
Liaoning
Dalian
Shenyang
Yingkou
Anshan
Dalian
Shenyang
Ningxia
Yinchuan
Qinghai
Xining
Shaanxi
Xi’an
Baoji
Xi’an
Yangling
Shanxi
Taiyuan
Taiyuan
Shandong
Qingdao
Weihai
Yantai
Jinan
Qingdao
Weifang
Weihai
Zibo
Qingdao
Yantai
Qingdao
Yantai
Weihai
Qingdao
Jinan
Shanghai
Caohejing
Hongqiao
Minhang
Jinqiao
Lujiazui
Pudong
Zhangjiang
Shanghai
Waigaoqiao
Songjiang
Jinqiao
Minhang
Qingpu
Caohejing
Sichua
Chendu
Chendu
Mianyang
Tibet
Lasha
Tianjin
Tianjin
Tianjin
Xinjiang
Urumqi
Shihezi
Urumqi
Yunnan
Kunming
Kunming
Zhejiang
Hangzhou
Ningbo
Xiaoshan
Wenzhou
Daxiedao
Hanzhou
184
SEZ
COEC
Dalian
FTZ
Dalian
EPZ
BECZ
Huichun
Huichun
Dalian
Shenyang
Dangdong
Xi’an
Chengdu
Tianjin
Tianjin
Tianjin
Urumqi
Tacheng
Bole
Yining
Hekou
Ruili
Wanding
Ningbo
Wenzhou
Ningbo
Hangzhou
Ningbo
Jiaxin
Le zone costiere economiche aperte sono situate nelle seguenti aree:
• Aree dei delta dei fiumi Yangtze (Zhejiang-Jiangsu-Shanghai) e Pearl (Guangodng);
• Aree del triangolo Xiamen-Zhangzhou-Quanzhou (Fujian);
• Penisola di Liaodong (Liaoning);
• Penisola di Shandong (Shandong);
• Provincia di Hebei;
• Provincia di Guangxi.
Segue tabella di dettaglio delle COEZ.
Provincia
Municipalità
Contee, città o distretto
Tianjin
Tianjin
Jinghai, Ninghe, Baodi, Wuqing and Jixian
Hebei
Tangshan
Fengnan, Luannan, Leting, Tanghai, Luanxian
Cangzhou
Cangxian, Qingxian
Huanghua, Haixing
Liaoning
Qinhuangdao
Changli, Funing, Lulong
Dandong
Donggou, Fengcheng
Yingkou
Yingkou, Gaixian
Panjin
Panshan, Dawa
Jinzhou
Jinxi City, Xingcheng City, Jinxian, Suizhong
Anshan
Haicheng City
Liaoyang
Liaoyang, Dengta
Dalian
Wafangdian City, Xinjin, Zhuanghe, Jinzhou District
Shenyang
Jiangsu
Zhejiang
Nanjing
Jiangning, Liuhe and Jiangpu
Zhenjiang
Dantu, Danyang, Yangzhong, Jurong
Suzhou
Changsou city, Wuxian, Shazhou, Taicang, Kunshan, Wujiang, Zhangjiagang distrect
Wuxi
Wuxi, Jiangyin, Yixing
Changzhou
Wujin, Jintan, Liyang
Yangzhou
Taizhou City, Yizheng City, Hanjiang, Jiangdu, Jingjiang, Taixing, Taixian
Yancheng
Sheyang, Dongtai, Dafeng, Xiangshui and Binhai
Nantong
Nantong, Haimen, Qidong, Rudong, Rugao, Hai’an
Lianyungang
Ganyu, Donghai and Guanyun
Hangzhou
Xiaoshan City, Yuhang, Fuyang, Tonglu, Lin’an
Shaoxing
Shaoxing, Shangyu and Shengxian
Jiaxing
Pinghu, Haiyan, Jiashan, Tongxiang, Haining
Huzhou
Changxing, Deqing
Ningbo
Yuyao City, Cixi, Fenghua, Ninghai, Xiangshan, Yinxian
Wenzhou
Ouhai, Yueqing, Rui’an, Pingyang, Cangnan, Yongjia
Jiaojiang
Linhai
Huangyan
185
Provincia
Municipalità
Contee, città o distretto
Fujian
Fuzhou
Minhou, Changle, Fuqing, Lianjiang, Pingtan, Minqing, Luoyuan, Yongtai
Quanzhou
Dehua
Zhangzhou
Zhao’an, Yunxiao, Nanjing, Changtai, Pinghe, Hua’an
Putian
Putian, Xianyou
Xiamen
Tong’an
Ningde and Xiapu, Longhai, Zhangpu, Dongshan, Hui’an, Nan’an, Jinjiang,
Anxi, Yongchun,
Shanghai
Shanghai, Jiading, Baoshan, Chuansha, Nanhui, Fengxian, Songjiang, Jinshan,
Qngpu, Zongming
Shandong
Jinan
Weihai
Rongcheng, Wendeng and Rushan
Weifang
Zhucheng city, Qingzhou city, Changyi, Changle, Gaomi, Wulian, Shouguang, Anqiu
Zibo
Huantai
Qingdao
Jiaozhou City, Pingdu, Laoshan, Jimo, Jiaonan, Laixi
Yantai
Longkou City, Laiyang City Mouping, Penglai, Zhaoyuan, Haiyang, Qixia
Laizhou
Rizhao
Guangdong
Guangzhou
Fanyu, Zengcheng
Foshan
Zhongshan city, Hainai, Shunde, Gaoming
Jiangmen
Kaiping, Xinhui, Taishan, Heshan, Enping
Shenzhen
Bao’an
Zhuhai
Doumen
Zhanjiang
Dongwan
Guangxi
Beihai
Hepu
Wuzhou
Cangwu
Qinzhou, Yulin
Fangchenggang
186
17.3. Le caratteristiche dell’attività esercitata: alcune definizioni
Generalmente le modalità con cui l’impresa esercita l’attività, e la stessa natura dell’attività sono rilevanti
ai fini della concessione di benefici fiscali. Di seguito vengono fornite alcune definizioni, che rivestono
primaria importanza nel settore della fiscalità agevolata.
17.3.1. I settori “incoraggiati”: il Catalogo per le industrie straniere
Per dettagli sul Catalogo si rimanda a quanto detto al par. 1.1.1.. In questa sede evidenziamo che alcuni
trattamenti preferenziali sono concessi alle imprese che svolgono le attività che il Catalogo indica come
“incoraggiate” dallo Stato.
17.3.2. Imprese impegnate in attività di natura produttiva
Aspetto spesso decisivo per accedere a molte delle agevolazione garantite dalla legislazione cinese è
rappresentato dalla possibilità della FIE di qualificarsi quale “impresa impegnata in attività di natura
produttiva” (di seguito anche “impresa production-oriented”). Si tratta, a dire il vero, di una nozione
piuttosto ampia, nella quale rientrano, a norma dell’art. 72 del Regolamento attuativo della Legge IRIS,
le imprese operanti nei seguenti settori industriali:
a) produzione di macchinari e apparecchi elettronici;
b) produzione energetica (ad esclusione delle imprese di sfruttamento del petrolio e dei gas naturali);
c) industria chimica, metallurgica e di produzione di materiali edili;
d) industrie leggere, tessili e di produzione di imballaggi;
e) industrie farmaceutiche e di produzione di apparecchiatura medica;
f) agricoltura, silvicoltura, allevamento di animali, pesca e tutela idrica;
g) costruzioni edili;
h) industrie delle telecomunicazioni e dei trasporti (ad esclusione del trasporto persone);
i) ricerca scientifica e tecnologica, analisi geologiche, consulenza informatica “applicate” all’industria;
j) altre industrie eventualmente indicate dall’autorità fiscale, con l’approvazione del Consiglio dello
Stato.
Le FIE operanti nel settore immobiliare non sono qualificate come imprese produttive (circolare Guoshuifa
[1995] n. 153).
Il ministero del Commercio con l’Estero, nel documento Caishuizi [1994] n. 51, ha specificato che le
imprese che svolgono le attività indicate sub i) hanno “natura produttiva”, nelle seguenti fattispecie:
• se il risultato della ricerca tecnologica può avere diretta applicazione nella fase produttiva o nella fase
di gestione del processo produttivo;
• se i risultati della analisi geologiche possono essere direttamente utilizzati nell’attività di ricerca e di
sfruttamento delle risorse naturali;
• se la consulenza informatica e lo sviluppo di software sono connessi alle precedenti ricerche applicate.
Il medesimo documento n. 51/1994 chiarisce che non possono considerarsi di “natura produttiva” altri
servizi pure ausiliari alle imprese manifatturiere, quali i servizi contabili, di auditing, le consulenze
legali, la valutazioni, la fornitura di informazioni di mercato, lo sviluppo di software non direttamente
correlato al processo produttivo o all’esplorazione del territorio per scopi di sfruttamento. Inoltre, sempre
in base ai criteri fissati dal Caishuizi [1994] n. 51, le imprese che acquistano beni che sottopongono
unicamente ad un processo di assemblaggio, confezionamento, pulitura o selezione prima di rivenderli,
187
senza cambiarne tuttavia la forma, la funzione o la composizione, così come le imprese che forniscono
tali servizi su beni altrui, non sono considerate “produttive”.
Con la circolare Guoshuifa [1994] n. 209 si sono invece indicati i criteri per stabilire quando, in presenza
di un’impresa che svolge sia attività aventi “natura produttiva”, sia attività non aventi tale caratteristica,
l’impresa possa comunque nel suo complesso qualificarsi come “produttiva” per fruire delle relative
agevolazioni.
Innanzitutto occorre fare riferimento alle attività indicate nella licenza rilasciata alla FIE: qualora non
sia indicata alcuna “attività produttiva” di cui al precedente elenco, l’impresa in questione non può
fruire in alcun caso delle agevolazioni connesse, anche se di fatto eserciti un’attività produttiva. Se
invece la licenza prevede lo svolgimento sia di “attività non produttive” che di “attività produttive”,
ovvero preveda solamente queste ultime, ma di fatto l’impresa le eserciti entrambe, allora la spettanza
delle agevolazioni spetta secondo i seguenti criteri:
• per quanto concerne l’applicazione dell’aliquota ridotta di cui all’art. 7 Legge IRIS (per la quale si
rimanda al par. 17.4.), essa spetta a partire dall’anno in cui il reddito da attività produttiva è superiore
al 50% del reddito complessivo, anche se negli anni successivi tale condizione non dovesse essere
rispettata;
• per quanto concerne l’esenzione/riduzione (formula 2+3) di cui all’art. 8 Legge IRIS (per la quale si
rimanda al par 17.5.), la condizione di prevalenza deve essere invece oggetto di verifica in ogni anno
durante il periodo in cui teoricamente spetta l’esenzione o la riduzione; l’agevolazione potrà essere
fruita, previa approvazione delle competenti autorità fiscali, negli anni in cui i redditi da attività
produttiva abbiano prevalso sugli altri redditi, mentre non potrà essere goduta in quelli in cui tale
prevalenza non si è verificata.
17.3.3. Imprese ad alto tasso tecnologico
Un’impresa può qualificarsi come “impresa ad alto tasso tecnologico” (di seguito anche “impresa hightech”) quando rispetta tutte le seguenti condizioni:
1) è impegnata nei progetti o nei settori “incoraggiati” previsti dal Catalogo (si veda par. 1.1.1.),
2) possiede e utilizza, per fini produttivi, tecnologia avanzata a livello internazionale (tecnologia applicata
alla produzione, processi produttivi, attrezzatura, strumentazione, etc.),
3) il livello qualitativo e le funzionalità tecnologiche dei prodotti sono “pionieristiche” per il mercato
cinese (Waijinmaozifa [1996] n. 822).
Anche le imprese high-tech non caratterizzate da attività produttiva, ma comunque impegnate nello
sviluppo di nuove tecnologie, possono in determinati casi ottenere dalle autorità competenti il riconoscimento
di “imprese ad alto tasso tecnologico”.
17.3.4. Imprese orientate all’esportazione
L’articolo 2, comma 2 della Disposizione del Consiglio dello Stato per l’incoraggiamento degli investimenti
stranieri definisce come “orientate all’esportazione” (nel seguito anche “export-oriented”) le imprese
che soddisfanno le seguenti condizioni:
• sono di natura produttiva;
• i prodotti sono destinati principalmente all’esportazione;
• realizzano un’eccedenza di divise estere (la valuta estera in entrata derivante dai ricavi deve essere
maggiore di quella in uscita per gli acquisti e per dividendi distribuiti all’estero).
188
L’ottenimento della qualifica di export oriented da parte di una FIE è subordinato alla presentazione di
un’apposita istanza amministrativa. La qualifica è oggetto di conferma di anno in anno, previo esame
da parte delle autorità competenti della documentazione relativa all’esportazione e al flusso delle valute
che l’impresa è tenuta a presentare ogni anno entro marzo (oltre a questa comunicazione annuale,
l’impresa è tenuta altresì alla presentazione di rendiconti trimestrali).
Spesso, come vedremo, le agevolazioni fiscali sono legate alla condizione che le esportazioni di una
FIE “export oriented” siano superiori rispetto ad una certa percentuale del fatturato complessivo.
17.4. Le agevolazioni sine die: le aliquote IRIS ridotte
Come si è visto, l’art. 5 della Legge IRIS fissa l’aliquota dell’imposta sui redditi delle imprese a capitale
straniero residenti in Cina, e delle stabili organizzazioni in Cina di imprese straniere, al 33% (30%
componente statale, 3% di spettanza dell’ente locale territoriale).
Accanto a tale imposizione generalmente valida per tutte le FIE, l’art. 7 prevede due aliquote agevolate,
del 15% e del 24%, di cui le FIE possono godere, senza limitazioni temporali (salvo ovviamente una
eventuale eliminazione dei trattamenti preferenziali, peraltro - come detto - allo studio) in ragione della
loro ubicazione e dell’attività esercitata. L’aliquota ridotta è applicabile solo alla quota di reddito prodotta
nell’ambito della zona di insediamento in relazione alla quale il beneficio è concesso (art. 71 Regolamento
IRIS).
Si noti che le aliquote agevolate sono da intendersi sostitutive della sola componente statale (30%) e
non anche della quota destinata agli enti locali (3%). Tuttavia, ai sensi dell’art. 9 della Legge IRIS, le
autorità governative nelle province, nelle regioni autonome e nelle municipalità sotto il diretto controllo
del Governo Centrale possono accordare esenzioni e riduzioni relativamente alla quota locale di imposta
sui redditi a favore delle imprese impegnate in settori di attività o in progetti incoraggiati dallo Stato.
Ai sensi dell’art. 7, comma 1 della Legge IRIS, le FIE e le stabili organizzazioni di imprese straniere
insediate nelle SEZ sono ammesse alla tassazione del 15% a prescindere dal tipo di attività esercitata;
le FIE ubicate nelle ETDZ, invece, possono godere della tassazione con aliquota del 15% solo a
condizione che siano impegnate in attività di natura produttiva.
Le FIE “production-oriented” ubicate nei vecchi distretti urbani delle città in cui si trovano le SEZ e
le ETDZ, e nelle COEC/COEZ, sono tassate in linea generale con aliquota del 24%. Dietro approvazione
del SAT, tuttavia, alle FIE produttive site in queste zone è possibile applicare la minor aliquota del 15%
se tali imprese sono impegnate in progetti di investimento con una delle seguenti caratteristiche (art.
73, n. 1, Reg. di attuazione):
• progetti “technology-intensive” o “knowledge-intensive” (purtroppo la legge non reca alcuna definizione
di tali concetti, la cui “applicazione pratica” è quindi lasciata alle competenti autorità fiscali);
• progetti con investimenti stranieri superiori a 30 milioni di dollari, caratterizzati da un lungo periodo
stimato di rientro;
• progetti nel settore delle costruzione di infrastrutture portuali, delle telecomunicazioni ed energetico.
Inoltre, la tassazione ridotta del 15% è applicabile anche ai seguenti soggetti (art. 73, nn. da 2 a 6, R):
a) joint-venture sino-estere impegnate nella costruzione di porti e banchine;
b) istituti finanziari quali banche estere e banche sino-estere situate nelle SEZ e in altre aree indicate
dal Consiglio di Stato, nelle quali il capitale straniero conferito (o il fondo di dotazione attribuito in
caso di stabili organizzazioni) dalla casamadre estera supera i 10 milioni di USD, e il periodo previsto
189
di operatività è almeno di 10 anni;
c) le FIE che operano nel settore della costruzione di infrastrutture legate ai trasporti ed alla produzione
di energia (aeroporti, porti, ferrovie, centrali elettriche, etc.);
d) le FIE riconosciute “ad alto tasso tecnologico”, stabilite nelle HTDZ;
e) le altre FIE operanti in settori economici “incoraggiati” dallo Stato (cioè previsti come tali dal
Catalogo di cui al par. 1.1.1.) e ubicate nelle altre aree stabilite dal Consiglio di Stato.
Infine possono essere assoggettate ad aliquota del 24% le FIE orientate alla produzione nelle BECZ
dietro approvazione dell’ufficio locale competente, mentre le FIE ubicate nelle FTZ godono in generale
di una tassazione del 15% sulle attività produttive e commerciali.
17.5. Le esenzioni e le riduzioni limitate nel tempo
Oltre alle aliquota agevolate , l’art. 8 della Legge IRIS prevede che qualsiasi FIE
• che svolga attività di “natura produttiva”, e
• sia destinata ad operare per un periodo non inferiore a 10 anni (da computarsi a partire dall’inizio
delle operazioni produttive o commerciali fino alla loro cessazione, art. 74, comma 1, Reg. IRIS),
possa, a partire dal primo anno in cui realizza profitti, godere di un’esenzione integrale da IRIS nei
primi due anni, e di una riduzione del 50% dell’aliquota applicabile per i seguenti tre anni
(esenzione/riduzione temporale, secondo la cosiddetta “formula 2 + 3”). Il beneficio de quo è cumulabile
con quelli visti al par. 17.4.. Pertanto, ad esempio, un’impresa stabilita in una SEZ, soggetta in generale
all’aliquota del 15%, qualora rispetti i requisiti richiesti dall’art. 8, può ottenere nei primi due anni di
attività l’applicazione di un’aliquota dello 0%, nei seguenti tre del 7,5%, nei successivi del 15%.
L’art. 76 del Regolamento attuativo al riguardo specifica, da un lato, che il primo anno di realizzazione
di profitti deve intendersi quello in cui residua un reddito imponibile dopo l’eventuale abbattimento
legato al riporto delle perdite pregresse; dall’altro, che il realizzo di una perdita in uno degli anni del
quinquennio non dà titolo per estendere l’esenzione o la riduzione ad un anno successivo in cui vengano
realizzati dei profitti.
A titolo esemplificativo, se l’impresa Alfa realizza nel 2004 una perdita di 100.000 RMB, nel 2005 un
utile di 50.000 RMB, nel 2006 un utile di 200.000 RMB e nel 2007 una perdita di 50.000 RMB, il
primo anno di decorrenza dell’agevolazione di cui all’art. 8 Legge IRIS è il 2006, in quanto nel 2005
gli utili sono compensati interamente dalla perdita realizzata nel 2004, e l’ultimo anno sarà in ogni caso
il 2010, anche se nel corso del quinquennio (2006 – 2010) l’impresa realizza delle perdite (nel nostro
esempio, nel 2007).
Se una FIE inizia la propria attività nel corso dell’anno, e produce utile già al termine dello stesso,
purché il periodo di effettivo svolgimento di attività produttiva o commerciale sia inferiore a sei mesi,
essa può scegliere di considerare quale primo anno di produzione dei profitti ai fini di cui all’art. 8
l’anno successivo. L’anno successivo costituisce però il primo anno di esenzione anche se esso dovesse
concludersi con una perdita.
Come si evince dall’art. 74, comma 2, del Regolamento, il beneficio 2 + 3 non può essere fruito
“automaticamente” dalle imprese che rispettino i requisiti richiesti dalla legge, dovendo essere oggetto
di una specifica autorizzazione da parte delle autorità fiscali competenti, previo esame e verifica da
parte di queste di specifici aspetti quali il settore di attività, le caratteristiche della produzione, il periodo
di durata dell’attività, etc.
190
L’impresa che eserciti di fatto l’attività in questione per meno di dieci anni (salvo i casi di forza maggiore
legati a disastri naturali o a eventi imprevedibili) sarà tenuta a pagare un ammontare corrispondente
alle imposte in precedenza non versate (art. 8 comma 1, ult. periodo Legge IRIS, e art. 79 Regolamento
IRIS).
L’art. 78 del Regolamento esclude dall’esenzione/riduzione fin qui descritta le imprese che esercitano
attività di sfruttamento delle risorse naturali (petrolio, gas naturali, metalli rari, metalli preziosi).
Le circolari Guofa [2000] n. 18 e Caishui [2000] n. 25 hanno esteso, a partire dal 1° luglio 2000 e fino
al 2010 l’agevolazione 2 + 3 alle imprese di nuova costituzione che siano state riconosciute come
“imprese di software” dalle competenti autorità.
17.6. Altre agevolazioni specifiche ai fini IRIS
In aggiunta alle agevolazioni viste fin qui, l’art. 75 del Regolamento ripropone ulteriori, più specifiche,
esenzioni e/o riduzioni previste da provvedimenti del Consiglio di Stato anteriori all’emanazione della
legge istitutiva dell’IRIS. Si tratta, in particolare, dei seguenti benefici:
1) Esenzione integrale da IRIS nei primi cinque anni a partire dal primo anno di produzione di reddito,
e riduzione del 50% dell’aliquota d’imposta nei seguenti cinque. Il beneficio è concesso:
1.1 alle equity joint-ventures sino-straniere impegnate nella costruzione di porti e banchine;
1.2 alle FIE ubicate nella SEZ di Hainan o nella Pudong New Area di Shanghai e impegnate in
progetti relativi a infrastrutture (porti, aeroporti, autostrade, ferrovie, centrali elettriche, etc.);
1.3 alle FIE ubicate nella SEZ di Hainan operanti nel settore agricolo.
In ogni caso si richiede che la durata delle operazioni sia di almeno 15 anni. La concessione del
beneficio è condizionata all’approvazione delle competenti autorità, che si pronunciano su apposita
richiesta dell’impresa.
2) Esenzione integrale da IRIS nel primo anno di produzione di reddito, e riduzione del 50% dell’aliquota
d’imposta nei seguenti due. Il beneficio è concesso:
2.1 alle FIE situate nelle SEZ e operanti in settori di attività “service-oriented”, sempre che l’investimento
estero complessivo ecceda i 5 milioni di dollari;
2.2 gli istituti finanziari quali banche straniere e banche sino-straniere situate nelle SEZ e in altre
aree indicate dal Consiglio di Stato, nelle quali il capitale straniero conferito (o il fondo di
dotazione attribuito in caso di stabili organizzazioni) dalla casamadre estera superi i 10 milioni
di USD.
La durata minima delle operazioni richiesta in questi casi è di 10 anni. Come nelle ipotesi sub 1), la
concessione del beneficio è condizionata all’approvazione delle competenti autorità.
3) Esenzione integrale da IRIS nei primi due anni di produzione di reddito. Il beneficio può essere
concesso alle equity joint-ventures sino-estere stabilite nelle HTDZ e riconosciute “ad alto tasso
tecnologico”, purché la durata minima delle operazioni sia di 10 anni.
4) Riduzione del 50% dell’aliquota applicabile a favore delle FIE “export-oriented” in ciascun periodo
di imposta (successivo alla scadenza del periodo di esenzione/riduzione di cui al par. 17.5., se
applicabile), in cui il valore delle esportazioni è superiore al 70% del fatturato totale. Tuttavia, in
caso di cumulo di questo beneficio con quello della tassazione ad aliquota agevolata (par. 17.4.),
l’aliquota effettivamente applicabile non può essere inferiore al 10%.
5) Riduzione del 50% dell’aliquota per ulteriori tre anni, per le imprese che conservino la caratteristica
di imprese “ad alto tasso tecnologico” (dopo la scadenza del periodo di esenzione/riduzione esaminato
al par. 17.5., se applicabile).
Un’ulteriore agevolazione è prevista da Caishui [2002] n. 56 ed è efficace dal 1° gennaio del 2002. In
191
sostanza, è consentito ad una FIE che intraprenda un nuovo progetto “incoraggiato”, di fruire delle
agevolazioni anzidette e di quella di cui al par. 17.5. (c.d. formula 2 + 3), relativamente agli utili derivanti
dallo stesso progetto, purché a fronte del progetto sia eseguito un “investimento addizionale”. Si è in
presenza di un investimento addizionale quando alternativamente:
• la FIE aumenta il proprio capitale sociale di almeno 60 milioni di USD;
• la FIE aumenta il proprio capitale sociale, in misura relativa, di almeno il 50% rispetto alla precedente
misura e nello stesso tempo, in termini assoluti, di almeno 15 milioni di USD.
Come precisato da Guoshuihan [2003] n. 368, è possibile in certa misura “sfruttare” ai fini agevolativi
anche precedenti aumenti di capitale, nella misura in cui non abbiano già fruito di agevolazioni. Potrebbe
quindi darsi che una FIE possa godere di tale ultimo beneficio anche senza una nuova iniezione di
liquidità, o con una iniezione solo parziale.
17.7. Il credito di imposta per gli utili reinvestiti
L’art. 10 della Legge istitutiva dell’IRIS prevede un ulteriore, importante incentivo fiscale, finalizzato
a favorire il reinvestimento degli utili societari.
Il beneficio riguarda gli “investitori stranieri” che reinvestano la propria quota di profitti derivanti da
un’impresa con investimenti stranieri nella stessa FIE o, in alternativa, in altre FIE, esistenti o di nuova
costituzione, e si concretizza nel rimborso del 40% delle imposte statali pagate dalla società sulla quota
di reddito imponibile corrispondente ai medesimi profitti reinvestiti.
Va sottolineato che il reinvestimento deve sempre tradursi in un incremento del capitale sociale (“registered
capital”) o del fondo di dotazione (“working fund”) della FIE. Sul punto, il Guoshuifa [2002] n. 90 ha
infatti chiarito che, nell’ipotesi in cui un investitore straniero utilizzi i profitti derivanti da una FIE per
acquistare le quote di un’altra FIE esistente, senza però incrementare il capitale sociale o il fondo di
dotazione di quest’ultima, non è possibile godere del beneficio de quo.
E’ inoltre opportuno evidenziare che l’art. 80 del Regolamento attuativo impone che il reinvestimento
degli utili nella stessa FIE che li ha prodotti avvenga direttamente nella forma dell’aumento gratuito di
capitale sociale, senza possibilità quindi che la liquidità sia prima distribuita all’investitore e solo in un
secondo momento utilizzata per la sottoscrizione dell’aumento di capitale. Nel caso in cui la distribuzione
sia già avvenuta, pertanto, per godere del beneficio rimane unicamente la possibilità di investire nel
capitale di un’altra FIE.
Nella circolare Guoshuihanfa [1995] n. 154, il SAT ha poi precisato che una FIE nella forma di “Holding
Company” cinese a capitale interamente straniero è considerata un “investitore straniero”, e può pertanto
ottenere il rimborso a fronte di profitti reinvestiti in una FIE partecipata. Al di fuori di questa ipotesi
le FIE che reinvestano in altre FIE non si qualificano mai per l’agevolazione in commento.
Il diritto al rimborso è in ogni caso condizionato alla circostanza che i capitali reimpiegati nelle FIE
non vengano successivamente disinvestiti per almeno cinque anni. In tale evenienza, infatti, le somme
eventualmente rimborsate nel frattempo dovranno essere restituite. Guoshuifa [2000] n. 49 include nella
nozione di disinvestimento la cessione da parte dell’investitore della propria quota di partecipazione
nella FIE oggetto di reinvestimento, a meno che la cessione non si inserisca nel contesto di una
riorganizzazione societaria caratterizzata da apprezzabili ragioni economiche, al termine della quale
l’impresa trasferita sia comunque sotto il controllo diretto o indiretto dell’investitore, o della stessa
persona che controlla l’investitore.
192
Esemplificando quanto fin qui detto, si ipotizzi che la FIE Alfa realizzi un utile lordo (pari al reddito
imponibile) di 1.000.000 di RMB e che su tale importo sia dovuta l’imposta nella misura del 33%,
quindi con un onere complessivo di 330.000 RMB, di cui 300.000 RMB (30%) per imposta statale. I
profitti spettanti all’ipotetico unico investitore straniero sarebbero pari a 670.000 RMB. Qualora
l’investitore li impiegasse interamente nella stessa FIE, evidentemente avrebbe diritto ad un credito pari
al 40% delle imposte statali pagate dalla società, cioè 120.000 RMB (300.000 x 40%).
Generalizzando il concetto, si tratta di applicare la seguente formula (art. 82 R):
Profitti reinvestiti X aliq. IRIS naz.
Somma a credito = –––––––––––––––––––––––––––––––––––––––––X40%
[1 – (aliq. IRIS naz. + aliq. IRIS locale)]
Infatti, nel nostro esempio, si ottiene:
[ 670.000 x 30%/(1 – 33%) ] x 40% = 120.000
L’aliquota cui fare riferimento per il calcolo del credito è quella effettivamente applicata dalla FIE,
tenendo conto delle possibili agevolazioni esaminate ai paragrafi che precedono. Tornando ancora
all’esempio, se la società scontasse un’aliquota nazionale agevolata del 15%, e quella ordinaria locale,
le imposte dalla stessa dovute sarebbero pari a 1.000.000 RMB x (15% + 3%) = 180.000 RMB. Gli
utili che l’investitore potrebbe reinvestire sarebbero quindi pari a 820.000 RMB, ed il rimborso in tale
caso spettante sarebbe:
[ 820.000 x 15%/(1 – 18%) ] x 40% = 60.000
Il citato documento Guoshuifa n. 90/2002 ha introdotto un limite all’importo del reinvestimento da
utilizzare per il calcolo del credito di imposta spettante. La formula per la determinazione di tale soglia
è la seguente:
Reinvestimento massimo = (A - B) x C
Dove
A = reddito imponibile della FIE nell’anno in cui i profitti sono prodotti;
B = importo delle imposte effettivamente pagate dalla FIE nel medesimo anno;
C = percentuale di partecipazione dell’investitore.
Nel calcolo della somma a credito dovrà quindi essere utilizzato il minore fra l’importo effettivamente
reinvestito e il “reinvestimento massimo”.
Anche questo beneficio, come altri esaminati in precedenza, è condizionato all’approvazione da parte
delle competenti autorità fiscali, cui deve essere inoltrata apposita richiesta entro un anno dal reinvestimento,
ed esibita la documentazione idonea a dimostrare l’effettività dello stesso.
Si tenga infine presente che la percentuale di rimborso passa dal 40% al 100% nei seguenti due casi,
indicati dall’art. 81 R:
a) quando il reinvestimento è destinato alla costituzione o all’espansione di imprese “export oriented”
o “ad alto tasso tecnologico”;
b) quando si tratti di utili derivanti da FIE ubicate nella SEZ di Hainan e reinvestiti nella stessa SEZ
di Hainan in imprese impegnate in progetti di sviluppo agricolo o relativi ad infrastrutture.
Nel caso indicato sub a), qualora entro tre anni dall’inizio delle operazioni commerciali o produttive
193
l’impresa fallisca nel rispettare gli standard per essere considerata “export oriented”, o non venga
confermata la qualifica di “impresa ad alto tasso tecnologico”, il 60% dei rimborsi eventualmente
ottenuti dovrà essere restituito.
17.8. Il credito di imposta per l’acquisto di macchinari e attrezzature cinesi
Nel tentativo di incoraggiare l’utilizzo di attrezzature e macchinari di produzione cinese, Caishuizi
[2000] n. 49 ha introdotto dal 1° luglio 1999 un credito d’imposta da far valere ai soli fini dell’imposta
sui redditi, a favore delle imprese a capitale straniero e alle stabili organizzazioni in Cina di imprese
straniere che acquistino (con pagamento in denaro) tali cespiti e li utilizzino nel proprio processo
produttivo.
Il credito di imposta è concesso nella misura del 40% dell’ammontare dell’investimento complessivo
annuo in attrezzature e macchinari cinesi (cioè prodotti da imprese domestiche), a condizione che questi
ultimi vengano utilizzati in progetti classificati come “incoraggiati” dal Catalogo (par. 1.1.1.).
Per l’imputazione a periodo dell’acquisto occorre fare riferimento alla data della fattura; qualora l’acquisto
sia fatto a rate, si ha riguardo alla data di ricevimento dei beni.
Il credito può essere utilizzato esclusivamente in compensazione dell’IRIS, nei limiti della maggiore
imposta eventualmente dovuta per l’esercizio in cui è stato effettuato l’acquisto, rispetto all’esercizio
precedente. Ai fini del calcolo dell’incremento del debito tributario, l’imposta dovuta si considera pari
a zero se in un periodo d’imposta l’impresa gode di esenzione totale da imposta, o è a credito.
Qualora l’incremento del debito tributario sia inferiore al credito disponibile, la parte inutilizzata di
questo può essere fatta valere negli esercizi successivi, ma non oltre il quinto, e comunque nei limiti
dell’eventuale incremento del debito tributario rispetto all’anno precedente a quello dell’acquisto. Le
imprese che si giovano di trattamenti fiscali agevolati possono richiedere l’estensione del periodo di
carry-forward a 7 anni.
L’attribuzione del credito d’imposta non pregiudica l’ordinaria deduzione delle quote di ammortamento
del cespite, sulla base dell’intero prezzo di acquisto.
Vi è poi da dire che è prevista la revoca del beneficio, con obbligo di versare le imposte eventualmente
non versate per effetto dell’utilizzo del credito, per le imprese che cedano o affittino a terzi i macchinari
e le attrezzature nei cinque anni dall’acquisto.
La concessione del credito è soggetta all’approvazione delle competenti autorità, cui devono essere
esibite la fatture e gli altri documenti di prova degli acquisti effettuati.
17.9. Le agevolazioni in alcune province
Si propone qui di seguito un panorama delle agevolazioni in alcune delle province che presentano aspetti
di maggiore attrattività per l’investitore italiano. Si tenga comunque presente che:
- in molte di queste province sono istituite SEZ, ETDZ, COEC, COEZ o altre zone speciali (per una
agevole identificazione si invita a consultare la tabella al par. 17.2.) nelle quali risulteranno generalmente
applicabili le esenzioni/riduzioni generali di rango statale viste nei paragrafi precedenti;
- alcune delle agevolazioni di livello nazionale precedentemente illustrate non sono legate al luogo di
194
insediamento della FIE, per cui anche queste si devono ritenere generalmente valide per le province
in questione;
- si tratta di normative estremamente variegate, complesse e soggette a frequenti cambiamenti, delle
quali in alcuni casi è persino difficile affermare la legittimità. In effetti, tale è la concorrenza fra le
diverse aree nell’attrarre gli investitori stranieri, che alcune amministrazioni locali hanno emanato
provvedimenti legislativi non compatibili con la legge statale. La circolare Guofa [2000] n. 2, emanata
dal Consiglio di Stato, nell’intento di porre un freno alla proliferazione degli incentivi ha precisato
che i trattamenti preferenziali stabiliti localmente senza l’autorizzazione dello stesso Consiglio di
Stato sono privi di valore.
> Beijing (Pechino)
Quota statale dell’imposta sul reddito
• Previa l’autorizzazione dell’ufficio fiscale competente, possono fruire di un’aliquota ridotta pari al
24% per la determinazione dell’imposta sul reddito le FIE aventi natura produttiva (“production-oriented”)
situate nell’area dell’amministrazione municipale.
• Le FIE anzidette possono godere dell’aliquota IRIS (componente statale) del 15% qualora posseggano
uno dei seguenti ulteriori requisiti:
- sono impegnate in progetti “knowledge-intensive” o “technology-intensive”;
- progetti a lungo termine che prevedano investimenti superiori a 30 milioni di dollari;
- progetti che abbiano ad oggetto i campi dell’energia, delle infrastrutture e delle infrastrutture portuali.
Per ottenere tale beneficio occorre fare richiesta all’ufficio fiscale locale competente. La pratica viene
poi trasmessa per la verifica al SAT di Beijing, il quale dopo aver ottenuto l’autorizzazione della sede
centrale del SAT, può concedere l’agevolazione.
• Per le FIE ad alto tasso tecnologico presenti nella nuova zona tecnologica sperimentale di Zhongguancun
(“Beijing Zhongguancun Science and Technology Park”) è consentita la tassazione con aliquota del
15%. E’ prevista inoltre un’esenzione totale da imposta sul reddito nei primi tre anni dalla costituzione
della società e il dimezzamento dell’aliquota, nei tre anni successivi. Per le società il cui valore dei
prodotti esportati sia superiore al 40% del totale in uno qualsiasi degli anni successivi a quelli di
esenzione/riduzione, l’aliquota è ulteriormente abbassata al 10%.
Quota locale dell’imposta sul reddito
• Le FIE con periodo di operatività superiore a 10 anni, dal primo anno in cui realizzano profitti, godono
dell’esenzione totale da imposta locale (si ricorda che l’aliquota ordinaria è del 3%) per i primi 5
anni, e nei successivi 5 della riduzione dell’aliquota alla metà.
• Le FIE classificate come imprese ad alta o nuova tecnologia situate nell’Area sperimentale di
Zhongguancun e nelle altre aree sperimentali della municipalità di Beijing possono fruire dell’esenzione
totale dal pagamento della quota locale dell’IRIS, previa autorizzazione dalle autorità governative
locali.
• L’esenzione da imposta locale sul reddito è riconosciuta anche alle FIE che abbiano ottenuto la
qualificazione di “società orientate all’esportazione”.
195
> Chongqing
Quota statale dell’imposta sul reddito
• Nella municipalità di Chongqing a tutte le FIE di natura produttiva si applica l’aliquota del 24%.
• Le seguenti FIE possono avvalersi dell’aliquota del 15%, concessa in base al settore in cui operano
e all’area in cui svolgono la loro attività:
- FIE aventi natura produttiva site nella ETDZ di Chongqing (si tratta del generale beneficio previsto
dall’art. 7 Legge IRIS di cui al par. 17.4.);
- FIE “ad alto tasso tecnologico” situate nella HTDZ di Chongqing ; (anche in questo caso si tratta
del generale beneficio previsto dall’art. 75 Regolamento IRIS di cui al par. 17.6., punto 3);
- FIE di natura produttiva impegnate in progetti “knowledge-intensive” o “technology-intensive”;
- FIE di natura produttiva impegnate in progetti a lungo termine che prevedano investimenti superiori
a 30 milioni di dollari;
- FIE di natura produttiva impegnate in progetti che abbiano ad oggetto i settori dell’energia, delle
infrastrutture e dei porti.
• Per le FIE impegnate nel settore primario e nelle zone arretrate, dopo il normale periodo di esenzione
e riduzione di cui si è detto sopra, si ha l’ulteriore possibilità, per 10 anni al massimo, di pagare
l’imposta sul reddito avvalendosi di un’aliquota compresa tra il 15% e il 30% previa autorizzazione
dell’ufficio fiscale competente.
• A seguito del varo della politica cosiddetta del “go west” (Chongqing è infatti situata ad ovest del
Paese e rientra fra le zone oggetto di tale politica di incentivazione) è stata prevista a favore delle
FIE che derivano almeno il 70% del loro reddito dallo svolgimento di attività “incoraggiate” dal Governo,
fino al 2010, l’imposizione con aliquota del 15%, previa autorizzazione dell’autorità fiscale di
Chongqing.
Quota locale dell’imposta sul reddito
• Le società con capitale straniero production-oriented, con periodo di operatività superiore a 10 anni,
dall’anno in cui producono utili e per i primi sei anni sono esentate dall’imposta locale sul reddito,
dal settimo al decimo anno sono soggette ad un’aliquota dimezzata. Se il periodo di gestione supera
i 15 anni o il capitale investito è superiore a 30 milioni di USD, l’esenzione totale si ha per i primi
otto anni, mentre per la riduzione alla metà per i successivi sette.
• Per le società con capitale straniero production-oriented con tempo di gestione inferiore a 10 anni e
per le società con capitale straniero non production-oriented (anche se con periodo di gestione superiore
a 10 anni), si applica l’esenzione per i primi due anni, e per i successivi tre anni l’imposta è ridotta
alla metà.
• Le FIE orientate alla produzione, che operano in aree poco sviluppate o impegnate nel settore dello
sfruttamento minerario, con periodo di gestione superiore a 10 anni, dopo il periodo di esenzione e
riduzione possono continuare a beneficiare dell’aliquota dimezzata, previa autorizzazione delle
competenti autorità; per quelle società che operino per un periodo inferiore a 10 anni, si può prolungare
la riduzione a metà aliquota dal sesto all’ottavo anno.
• Esaurito il periodo di esenzione/riduzione riconosciuto per uno dei motivi visti sopra, alle FIE che
esportano per un valore superiore al 50% del proprio fatturato, e per ogni anno in cui sorpassano tale
limite, è riconosciuta l’esenzione dall’imposta locale.
• Sono infine previste ulteriori esenzioni per le società che operano nel settore della costruzione delle
infrastrutture (centrali elettriche, strade, ponti, porti, banchine, etc.).
196
Altre imposte e diritti
• E’ prevista l’esenzione dall’imposta sulla proprietà immobiliare per immobili di nuova costruzione e
dall’imposta sull’immatricolazione dei veicoli per le FIE orientate alla produzione (esenzione decennale)
e non (esenzione triennale). Tali società devono però presentare un periodo di operatività superiore
a 15 anni. Si ha invece un’esenzione per tutto il periodo di operatività a favore delle società impegnate
nel settore primario, delle infrastrutture, della protezione ambientale, delle tecnologie avanzate, dello
sviluppo turistico, dell’istruzione superiore e nelle aree arretrate.
> Fujian
Imposte sui redditi
• In questa provincia è prevista a favore delle FIE l’esenzione da imposta statale sul reddito per i primi
due anni di attività; dal terzo al quinto anno si paga provvisoriamente con aliquota ridotta alla metà,
poi saranno rimborsate tutte le imposte così versate in tale periodo; dal sesto al decimo anno il
versamento dell’imposta verrà effettuato ad aliquota piena, ma il dipartimento delle finanze provvederà
in seguito a restituire il 50% dell’imposta riscossa. Per poter godere di tali vantaggi le FIE, oltre ad
avere un capitale totale superiore ai 10 milioni di USD e un periodo di attività superiore a 10 anni,
devono appartenere ad una delle tipologie di seguito indicate:
- grandi imprese impegnate nei seguenti settori strategici: industria chimica del petrolio, elettronico
e meccanico, materiali da costruzione, industria forestale, industria ittica, industria di filatura leggera;
- imprese ad elevata o nuova tecnologia (certificate dall’ufficio competente);
- imprese impegnate in progetti nel settore agricolo, e imprese orientate alla produzione nel Ningde,
Nanping, Sanming, Longyan (in questo caso il periodo di gestione deve essere superiore a 15 anni);
- imprese del settore turistico ubicate nella “Area nazionale di vacanza e turismo” e nella “Area provinciale
di sviluppo economico del turismo”.
• Previa autorizzazione, gli investitori stranieri impegnati nei servizi finanziari, informazioni, consulenze,
trasporti, magazzinaggi, con periodo di gestione superiore a 10 anni, dal primo anno in cui raggiungono
l’utile, si vedranno restituire l’importo totale delle imposte pagate il primo anno e la metà delle
imposte pagate il secondo ed il terzo anno.
• Le “Disposizioni provvisorie di incoraggiamento dell’investimento straniero alla costruzione e
all’amministrazione di moli e porti della provincia di Fujian” (Legge Minzhen n. 22/1993) e le “Disposizioni
provvisorie di incoraggiamento dell’investimento straniero in progetti relativi alla realizzazione e gestione
di centrali elettriche della provincia di Fujian” prevedono ai fini IRIS l’aliquota statale agevolata del 15%.
Le equity joint-venture con periodo di operatività superiore ai 15 anni, con l’autorizzazione dell’autorità
fiscale provinciale, possono fruire, dall’anno in cui realizzano i primi redditi, di cinque anni di esenzione
totale e di altri cinque anni di riduzione alla metà; le joint-venture contrattuali e le WFOE sono invece
esenti per i primi due anni, dal terzo al quinto anno sono soggette ad aliquota dimezzata.
Per tutte le imprese ad investimento straniero operanti in tali settori è prevista l’esenzione dall’imposta
locale sul reddito.
Per tutti i materiali di costruzione, i macchinari, gli automezzi, i materiali d’ufficio e in generale per
le altre attrezzature produttive e amministrative necessarie alla costruzione e/o amministrazione del porto,
molo o centrale elettrica, è prevista l’esenzione dai dazi doganali, IVA e imposta sui consumi.
• Gli investitori stranieri che investono nelle seguenti zone, settori o progetti sono esenti dall’imposta
locale sul reddito:
197
- FIE ubicate nella SEZ di Xiamen e nella ETDZ di Fuzhou;
- imprese con alta o nuova tecnologia ubicate nell’HIDZ;
- imprese orientate all’esportazione e imprese a tecnologia avanzata;
- progetti riguardanti porti ed elettricità.
• Le FIE operanti nella zona economica aperta costiera o nel vecchio distretto di Fuzhou godono di
un’ esenzione da imposta locale sul reddito per la durata di cinque anni.
> Guangdong
Quota statale dell’imposta sul reddito
• Nella provincia di Guangdong sono presenti varie tipologie di aree speciali, tra cui in particolare SEZ,
ETDZ, HTDZ e COEZ (si veda lo schema).
Pertanto, quanto alla componente statale dell’imposta sul reddito delle FIE, oltre naturalmente alle
agevolazioni non legate alla ubicazione dell’impresa, valgono tutte le agevolazioni sulle aliquote –
illimitate o temporanee - illustrate al paragrafo 17.4. per le imprese localizzate appunto nelle SEZ
(aliquota 15%), nelle ETDZ e nelle COEZ (aliquota 24% con possibile ulteriore riduzione a 15% a
determinate condizioni).
• Le società di natura produttiva export-oriented operanti nelle 4 FTZ esistenti possono godere dell’aliquota
agevolata del 15%.
• Le FIE impegnate nel settore primario o nelle zone arretrate, dopo il periodo di esenzione/riduzione
previsto dalle norme statali, possono ottenere un’ulteriore periodo di 10 anni (al massimo) in cui la
portata dell’aliquota è compresa tra il 15% e il 30%, previa autorizzazione del competente dipartimento
del Consiglio di Stato.
Quota locale dell’imposta sul reddito
• Generalmente le FIE che godono di esenzioni/riduzioni dalle imposte statali, sono anche esentate,
per lo stesso periodo, qualora si tratti di benefici temporanei, dall’imposta locale sul reddito.
> Hunan
Quota statale dell’imposta sul reddito
• Nella provincia di Hunan è presente una ETDZ per la quale vale la consueta aliquota agevolata del
15% per le FIE di natura produttiva; così pure per le FIE riconosciute come imprese ad alto tasso
tecnologico insediate nelle 2 HTDZ presenti nella Regione (Changsha e Zhuzhou).
• Dopo la temporanea esenzione/riduzione fiscale eventualmente fruita, le FIE che svolgono nella
provincia di Hunan un’attività nei settori incoraggiati dallo Stato, possono godere di un ulteriore periodo
agevolato di 3 anni ad aliquota ridotta del 15%.
• Le FIE impegnate nei settori indicati dallo Stato nella prefettura autonoma di Xiangxi, usufruiscono
dell’aliquota del 15% per tutto il periodo compreso tra il 2001 e 2010. Se sono impegnate nel settore
delle infrastrutture, dell’energia, della tutela dell’acqua, della radiotelevisione e con periodo di gestione
superiore a 10 anni godono anche della agevolazione c.d. “2 + 3”.
• Le FIE di natura produttiva operanti nella municipalità di Changsha o in quella di Yueyang godono
dell’agevolazione assegnata alle COEZ (aliquota del 24%).
198
Quota locale dell’imposta sul reddito
• E’ prevista l’esenzione per le seguenti FIE:
- impegnate nel settore dell’energia, delle infrastrutture, delle materie prime (esenzione sine die);
- site nella ETDZ e nelle HTDZ (esenzione sine die);
- di natura produttiva che presentino un periodo di operatività superiore a 10 anni (esenzione decennale);
- non di natura produttiva che presentino periodo di operatività superiore a 10 anni (esenzione
quinquennale).
Altre imposte e diritti
• Le imprese straniere che trasferiscono tecnologia alle FIE situate in Cina nella provincia di Hunan
sono esentate dall’imposta sugli affari. Se le condizioni sono vantaggiose o la tecnologia è avanzata,
con l’autorizzazione del dipartimento del Consiglio di Stato, si può ottenere l’esenzione anche
dall’imposta sul reddito.
> Jiangsu
Quota statale dell’imposta sul reddito
• Nella provincia di Jiangsu sono presenti varie zone speciali (ETDZ, HTDZ, COEC, COEZ) per le
quali valgono le agevolazioni già ampiamente illustrate.
Quota locale dell’imposta sul reddito
• Sono esenti dall’imposta locale sul reddito le FIE di natura produttiva site nelle ETDZ, nelle FTZ,
nelle HTDZ, nell’Industrial park di Suzhou e nelle zone di sviluppo provinciale.
• Godono dell’esenzione biennale e della riduzione alla metà triennale le FIE ubicate nelle altre zone.
Altre imposte e diritti
• Per la cessione di software sviluppati all’interno dell’azienda, a fronte dell’aliquota ordinaria IVA
pari al 17%, la quota eccedente al 6% può essere chiesta a rimborso; dopo aver ottenuto la registrazione
presso l’ufficio brevetti, si ha l’esenzione da IVA.
• Esenzione da imposte sugli affari per le imprese impegnate nel trasferimento e/o sviluppo di tecnologie,
consulenze e servizi alle tecnologie.
• Incentivi locali per le imprese orientate all’esportazione e le imprese di tecnologia avanzate
> Liaoning
Quota statale dell’imposta sul reddito
• Non sono previste particolari agevolazioni rispetto a quelle valide per tutte le FIE indipendentemente
dall’ubicazione, e a quelle stabilite per le varie zone speciali della provincia.
199
Quota locale dell’imposta sul reddito
• Quando sono previste delle agevolazione statali (esenzioni/riduzioni) dell’imposta statale, generalmente
le stesse agevolazioni sono estese dal Governo locale anche alla quota di imposta di competenza.
• Le seguenti EJV con periodo di gestione superiore a 10 anni beneficiano dell’esenzione da imposta
locale sul reddito per 5 anni dall’anno in cui raggiungono il primo risultato utile, e per altri 3 anni
della riduzione del 50% dell’aliquota purché si tratti di:
- imprese orientate alla produzione con tecnologia avanzata;
- imprese orientate all’esportazione;
- imprese in cui il capitale straniero sia superiore a 30 milioni di USD e che presentino un lungo
periodo di rientro dell’investimento;
- imprese impegnate in progetti nel campo dell’energia e delle infrastrutture;
- imprese operanti nel settore dell’agricoltura;
- imprese operanti nelle zone arretrate, nelle zone autonome delle etnie minori e nelle zone di confine.
• Le CJV e WFOE che operano nel settore agricolo e dell’estrazione mineraria con tempo di gestione
superiore a 10 anni, previa autorizzazione, dall’anno in cui si realizza il primo utile hanno l’esenzione
dall’imposta locale sul reddito e per altri 2 anni la riduzione alla metà.
• le CJV e WFOE con fatturato inferiore a 1 milione di renminbi, previa autorizzazione, usufruiscono
della riduzione alla metà dell’imposta locale sul reddito.
> Shaanxi
Quota statale dell’imposta sul reddito
• Non sono previste particolari agevolazioni rispetto a quelle valide per tutte le FIE indipendentemente
dall’ubicazione, e a quelle stabilite per le ETDZ (nella provincia si trova l’ETDZ di Xi’an) e le HTDZ
(Baoji, Xi’an, Yangling).
Quota locale dell’imposta sul reddito
Le seguenti imprese sono esenti dall’imposta locale:
• le FIE orientate all’esportazione;
• le FIE riconosciute come imprese con tecnologie avanzate o nuove;
• le FIE impegnate nel settore dell’agricoltura, dell’energia, e delle infrastrutture e le imprese di pubblica
utilità;
• le FIE operanti nelle aree arretrate;
• le FIE orientate alla produzione nella zona urbana di Xi’an, per un periodo pari al 60% della durata
stimata dell’impresa.
> Shandong
Quota statale dell’imposta sul reddito
• Si applicano le consuete agevolazioni valide per tutte le FIE indipendentemente dall’ubicazione, e a
quelle stabilite per le ETDZ, le HTDZ e le COEC/COEZ, tutte presenti nella provincia.
200
Quota locale dell’imposta sul reddito
• Previa autorizzazione dell’autorità fiscale locale, le FIE orientate alla produzione con periodo di
operatività superiore a 10 anni, godono dell’esenzione da imposta locale sul reddito da 5 a 10 anni
a partire dall’anno in cui si produce utile, purché rispettino uno dei seguenti requisiti:
- siano orientate all’esportazione;
- siano riconosciute “ad alto tasso tecnologico”;
- siano impegnate in progetti “knowledge-intensive” o “technology-intensive”;
- siano impegnate in progetti che prevedano un investimento superiore a 30 milioni USD, con un
lungo periodo stimato di rientro del capitale investito;
- siano impegnate in attività di costruzione nei comparti dell’energia, dei trasporti e delle infrastrutture
portuali;
- operino nel settore dell’agricoltura;
- operino nelle aree depresse.
• Dopo il periodo di esenzione, le imprese orientate all’esportazione (per le quali almeno il 70% del
fatturato derivi dall’esportazione), possono avvalersi della riduzione a metà dell’imposta; sono inoltre
concessi altri 3 anni di riduzione alla metà dell’aliquota alle imprese con tecnologia avanzata.
• Le imprese orientate alla produzione non corrispondenti ai requisiti sopraccitati, e con periodo di
gestione superiore a 10 anni, previa autorizzazione dell’ufficio locale imposte, possono ottenere due
anni di esenzione, e altri tre anni di riduzione a metà dell’aliquota d’imposta.
• Dopo il periodo di esenzione e riduzione si applicano le seguenti aliquote:
Tipi di imprese
Imprese orientate alla produzione nelle aree di sviluppo
Imprese orientate alla produzione nelle COEZ
Altre imprese
Aliquote
1,5%
2,4%
3%
> Shanghai
• Nella municipalità di Shanghai si applica a tutte le FIE production-oriented l’aliquota statale dell’imposta
sul reddito del 24%.
• Le FIE di natura produttiva site nella Pudong New Area sono soggette ad aliquota IRIS statale del
15%.
• Valgono poi le altre agevolazioni già viste ai paragrafi 17.5. e 17.6.
> Tianjin
• Alle FIE che conducono progetti relativi ai trasporti, alle infrastrutture e ad altri settori di pubblica
utilità, si applica l’aliquota statale ridotta del 15% e viene rimborsata l’eventuale imposta sugli affari
versata. Inoltre, se il periodo di gestione è superiore a 15 anni, l’imposta sul reddito verrà rimborsata
integralmente per i primi cinque anni, e al 50% dal sesto al decimo.
• Le FIE orientate alla produzione presenti nelle “aree di sviluppo” sono esentate dall’imposta locale
sul reddito.
• Le FIE impegnate nel settore commerciale, dei pubblici esercizi, dell’intrattenimento, del turismo,
previa autorizzazione del locale ufficio fiscale dell’area di sviluppo di Tianjin, possono ottenere la
restituzione dell’imposta sul reddito pagata nei primi tre anni dall’inizio dell’attività.
201
• Le imprese localizzate nelle “aree di sviluppo” che esportano i prodotti fabbricati all’interno dell’area,
sono esenti da dazi all’esportazione, ad esclusione di alcuni prodotti specificamente indicati dallo
Stato.
• Per gli imprenditori stranieri che investono nel settore delle banche, delle assicurazioni, delle consulenze
contabili e legali, è prevista un’agevolazione consistente nell’esenzione dall’imposta sugli atti
immobiliari per l’acquisto o la costruzione di edifici ad uso uffici, nonché l’esenzione per un anno
dell’imposta sugli immobili.
• Sui redditi realizzati dalla vendita di prodotti innovativi di livello nazionale e di prodotti brevettati,
è concessa l’esenzione illimitata dall’imposta sul reddito; per i redditi realizzati dalla vendita di
prodotti la cui novità non riguarda l’intero stato, ma solo l’area municipale di Tianjin, l’esenzione
accordata è di due anni.
> Zhejiang
Quota locale dell’imposta sul reddito
• Le FIE godono in generale di un’esenzione biennale e di una riduzione del 50% triennale dall’imposta
locale sul reddito, attuata secondo un meccanismo di pagamento provvisorio e rimborso a posteriori.
• I progetti di investimento strategici fatti da investitori stranieri nei settori incoraggiati dal governo
locale, dopo il periodo specificato nel punto precedente, possono godere di un prolungamento del
periodo di riduzione dell’imposta locale sul reddito (sempre tramite rimborso successivo).
• Le FIE di natura produttiva, che appartengano ad una delle seguenti categorie, possono presentare
richiesta per ottenere da 5 a 10 anni di esenzione da imposta locale:
- FIE export-oriented o ad alto tasso tecnologico;
- FIE impegnate in progetti knowledge-intensive o technology-intensive;
- FIE con capitale estero investito superiore a 30 milioni di dollari e lungo periodo di rientro
dell’investimento;
- FIE coinvolte in progetti nei comparti dell’energia, dei trasporti, delle infrastrutture portuali;
- FIE ad alto tasso tecnologico site nella HTDZ di Hanzhou.
202
ITALIA – CINA: RIFLESSI FISCALI DI ALCUNI
PERCORSI OPERATIVI
18. DISTRIBUZIONE COMMERCIALE DIRETTA
18.1. Imposte dirette
Le attività di distribuzione commerciale effettuate da una impresa residente in Italia direttamente ad un
utilizzatore in Cina o indirettamente tramite un distributore, un agente o comunque un soggetto terzo
non danno luogo, di norma, a fenomeni rilevanti ai fini delle imposte dirette. In nessuna di queste ipotesi,
infatti, si realizza il presupposto impositivo richiesto dalla normativa cinese in tema di imposizione
diretta che, come già detto al capitolo 13, per una società non residente richiede l’esistenza sul territorio
di una stabile organizzazione e coincide con tutti i redditi di fonte nazionale.
Se quindi l’attività di distribuzione commerciale da parte dell’imprenditore italiano non avviene tramite
una struttura che integri la stabile organizzazione, ma viene effettuata direttamente nei confronti di operatori
cinesi o comunque tramite soggetti terzi, non verrà considerata detta attività come rilevante ai fini di
una imponibilità in Cina dei relativi proventi.
A tal fine, si ricorda che la definizione di “stabile organizzazione” di cui alla vigente Convenzione
contro le doppie imposizioni tra Italia e Cina (stipulata il 31 ottobre 1986 ratificata con legge 31 ottobre
1989 n. 376 ed entrata in vigore il 13 dicembre 1990) è quella di “una sede fissa di affari in cui l’impresa
esercita in tutto o in parte la sua attività”.
Quindi, se l’attività viene svolta tramite soggetti terzi, quand’anche esista sul territorio cinese una
installazione utilizzata però ai soli fini di deposito, esposizione o consegna dei beni dell’impresa (art.
5, comma 3 della Convenzione) non si dovrebbe concretizzare una stabile organizzazione.
Qualche dubbio può sorgere, invece, in merito alle operazioni effettuate tramite agente, quand’anche
esso goda di uno status indipendente.
Se infatti l’impresa non residente opera attraverso un agente che abitualmente agisce nel territorio cinese
per conto di questa, esercitando poteri che gli consentono di concludere contratti a nome dell’impresa,
per espressa disposizione convenzionale (art. 5, comma 4, della Convenzione) si considera che tale
impresa abbia in Cina una stabile organizzazione in relazione all’attività che l’agente esercita per
l’impresa, con le ovvie conseguenze ai fini dell’imposizione diretta.
Parimenti accade poi nel caso di impiego di un mediatore, di un commissionario generale o di un altro
intermediario, per quanto indipendente, dal momento che non viene riconosciuta la sussistenza di una
stabile organizzazione dell’impresa non residente solo a condizione che dette persone agiscano nell’ambito
della loro ordinaria attività (art. 5 quinto comma della Convenzione).
18.2. Imposte indirette e dazi doganali
Di regola, le imprese straniere che operano sul territorio cinese sono soggette, ai fini delle imposte
indirette, agli stessi principi ai quali sono sottoposte le imprese residenti che effettuano la medesima
attività imprenditoriale.
203
L’importazione di beni in Cina dà luogo alla soggettività all’imposta sul valore aggiunto, la cui aliquota,
come si è visto, si assesta sul 17%, anche se esistono aliquote ridotte (al 13% ed al 9%) su alcuni beni
e servizi ritenuti di primaria necessità. Esistono poi alcune ipotesi di esenzione totale, mentre le piccole
imprese sono soggette a tale imposta in misura forfetaria sull’ammontare delle vendite, purché questo
sia inferiore ad una determinata soglia.
L’importazione di beni nel territorio cinese comporta, inoltre, l’applicazione di dazi doganali, determinati
dall’autorità governativa competente a seconda del tipo di prodotto oggetto di importazione. Sul punto
si rimanda comunque a quanto indicato al par. 16.7..
19. DISTRIBUZIONE COMMERCIALE INDIRETTA: IL FRANCHISING
19.1. Il contenuto essenziale dei contratti di franchising nella prassi internazionale e in Italia
Come nel mercato interno, anche nel commercio internazionale gli accordi di franchising o, più in generale,
di affiliazione commerciale, costituiscono lo strumento che consente la presenza diretta all’estero
dell’impresa esportatrice attraverso una struttura organizzata e caratterizzata dall’utilizzo di una specifica
formula distributiva.
Le imprese già dotate di un collaudato sistema produttivo e/o distributivo, possono infatti organizzare
reti di distribuzione selettiva dotate di stabilità ed avvalersi di collaboratori indipendenti ricorrendo alla
conclusione di accordi di franchising, sistema di distribuzione relativamente recente che, nato e sviluppato
negli Stati Uniti, ha un discreto successo nei paesi nei quali i circuiti distributivi e le forme di commercio
al dettaglio si presentano già piuttosto sviluppate.
La recente legge 6 maggio 2004, n. 129 ha disciplinato espressamente nel diritto italiano il contratto
di franchising, che prima di tale legge era sempre stato considerato un contratto atipico, basato su patti
sviluppati nella prassi commerciale interna e internazionale, spesso in riferimento al Regolamento CEE
n. 4078/88 del 30 novembre 1988, riguardante la compatibilità dei rapporti di franchising con obblighi
restrittivi alla concorrenza in ambito comunitario. Per la disciplina cinese del franchising, si veda
specificamente anche il precedente paragrafo 2.5..
L’art. 1 legge n. 129/2004 definisce tale contratto come un contratto di affiliazione commerciale stipulato
tra due soggetti giuridici, economicamente e giuridicamente indipendenti, in base al quale una parte
concede all’altra, verso corrispettivo, la disponibilità di un insieme di diritti di proprietà industriale o
intellettuale relativi a marchi, denominazioni commerciali, insegne modelli di utilità, disegni, diritti di
autore, know-how, brevetti, assistenza o consulenza tecnica e commerciale, inserendo l’affiliato in un
sistema costituito da una pluralità di affiliati distribuiti sul territori, allo scopo di commercializzare determinati
beni o servizi.
A tal fine, il know-how oggetto del contratto di franchising è rappresentato da un patrimonio di conoscenze
pratiche non brevettate, derivanti da esperienze e da prove eseguite dall’affiliante. Tale patrimonio di
conoscenze deve essere segreto (non noto, né facilmente accessibile), sostanziale (indispensabile per la
vendita o la gestione e l’organizzazione dei servizi contrattuali) e individuato (ovvero descritto in modo
esauriente).
Il contratto di franchising può essere utilizzato in ogni settore di attività economica e consente
all’esportatore italiano di essere sempre in diretto contatto con i clienti esteri, avvalendosi di una struttura
appositamente realizzata nel paese estero.
204
Il che gli consente:
• il controllo diretto dei dettaglianti nel paese estero;
• l’utilizzazione di una formula di distribuzione esclusiva già ampiamente collaudata, sia per quanto
riguarda il marchio dei beni e dei servizi venduti, sia per quanto riguarda il know-how commerciale,
sia, infine, per quanto riguarda eventuali brevetti aventi ad oggetto la produzione industriale dei beni
esportati;
• di avvalersi di una rete distributiva uniforme, attuabile con una certa tempestività;
• di attuare il sistema distributivo attraverso imprenditori locali, ai quali sono richiesti investimenti
relativamente modesti a fronte dei benefici commerciali connessi alla notorietà del marchio dei beni
o dei servizi esportati.
Con tali caratteristiche, il franchising si presenta come una formula commerciale di distribuzione
integrata che risulta però remunerativa principalmente per le imprese che superano certi livelli di fatturato
e che consiste nella creazione di un network multi-imprenditoriale in cui l’elemento centrale (il franchisor)
è costituito dall’impresa esportatrice, che si collega ad elementi satellite costituiti dai dettaglianti residenti
nello Stato estero (i franchisee) tramite rapporti economico-contrattuali definiti nell’ambito di un
pacchetto globale (franchising package deal), nel quale i singoli franchisee sono dotati di autonomia
gestionale e si occupano della distribuzione e della vendita al dettaglio nel paese estero dei beni e dei
servizi prodotti o commercializzati dal franchisor.
Tale sistema permette di contenere il fabbisogno finanziario, i costi ed i rischi connessi alla penetrazione
in mercati esteri non uniformi e poco conosciuti, ma soprattutto accentua le capacità di penetrazione
nei mercati esteri già sviluppati (in particolare in quelli evoluti): per ben funzionare, esso presuppone
però un mercato in grado di apprezzare l’accentuata componente di marketing che caratterizza le vendite
in franchising.
Inoltre, l’efficacia di tale metodo distributivo è inversamente proporzionale al grado di innovazione
tecnologica ed alla fase del ciclo di vita in cui si trovano i prodotti e i servizi esportati (e quindi risulterà
adatto per i beni di largo consumo a contenuto tecnologico medio-basso), nonché direttamente proporzionale
alla capacità del franchisor di controllare il rispetto degli accordi contrattuali da parte dei franchisee.
19.2. I caratteri del rapporto di franchising
Per le sue caratteristiche, il franchising può essere quindi concepito come un contratto di durata in virtù
del quale un’impresa produttrice (di beni o di servizi) o già presente sul mercato come distributore
(franchisor) concede ad un’altra impresa indipendente (franchisee), la facoltà di entrare a far parte della
propria catena di produzione e/o di distribuzione, con il diritto di sfruttare – a determinate condizioni
e dietro il pagamento di un corrispettivo finanziario diretto o indiretto (franchise fee) – i brevetti, i
marchi, il know-how, il nome, l’insegna o addirittura una semplice formula o segreto commerciale ad
esso appartenente. In base allo stesso accordo, il franchisor si obbliga anche ai rifornimenti di beni e/o
di servizi, mentre il franchisee si obbliga ad uniformarsi costantemente ad una serie di comportamenti
prefissati dal suo dante causa.
Le obbligazioni essenziali del contratto di franchising sono quindi:
• l’utilizzazione dei segni distintivi del franchisor;
• la comunicazione del know-how;
• l’assistenza commerciale e/o tecnica per tutta la durata del contratto;
• il rispetto della riservatezza circa il contenuto del package deal fornito dal franchisor.
205
La varietà delle prestazioni oggetto del contratto di franchising, lo rende un contratto misto (cd. mixed
contract) in cui la concessione di un know-how si mescola alla fornitura dei beni e all’assistenza tecnica
necessaria per aprire e per gestire il punto vendita.
Così individuato il nucleo del rapporto, anche nella prassi internazionale si distinguono tre tipi di
franchising:
a) Il franchising di prodotto o industriale, che riguarda la produzione di beni ed in base al quale il
franchisor concede al franchisee la licenza di know-how e di marchio per la produzione e la successiva
rivendita dei beni da esso prodotti. Tale formula consente di abbinare l’elevato grado di produttività
della manodopera cinese con il know-how fornito dalle imprese italiane e quindi si presta ad essere
utilizzata nel settore delle lavorazioni industriali.
b) Il franchising di distribuzione, che riguarda la vendita di merci e nel quale il franchisor nomina il
franchisee distributore privilegiato dei suoi prodotti, a condizione che questi si uniformi e rispetti
completamente la formula commerciale del franchisor. Nei confronti della Cina, tale forma distributiva
si presta a sfruttare l’attuale fase di sviluppo del mercato locale dei beni di consumo.
c) Il franchising di servizi, in virtù del quale il franchisee offre e fornisce prestazioni di servizi qualificate
sotto l’insegna, la ditta oppure il marchio del franchisor, conformandosi completamente alle direttive
di quest’ultimo (ad esempio, servizi complementari all’industria).
19.3. Le forme del franchising internazionale
Gli accordi di franchising internazionale prevedono spesso la meticolosa codificazione contrattuale delle
procedure di esportazione dei prodotti e delle prestazioni di servizio che è relativa ai segni distintivi
non tipizzati ed è variamente ricondotta – a seconda dei casi - all’ambito del trasferimento di knowhow oppure di quelle informazioni il cui trasferimento caratterizza normalmente l’oggetto del contratto
franchising.
In assenza di un’espressa regolamentazione normativa uniforme, l’esame dei modelli di contratto
maggiormente adottati nella prassi consente di distinguere quattro tipi di franchising internazionale.
Come segue.
19.3.1. Il franchising diretto
Nel franchising diretto un franchisor con attività all’estero conclude – a partire dal proprio paese - contratti
di franchising con imprese residenti in paesi stranieri ove egli desidera operare.
Tale forma di franchising offre dei vantaggi nei confronti dei paesi vicini nei quali la rete distributiva
è già sufficientemente sviluppata e le cui condizioni consentono di mantenere gli standard di processo
e/o di prodotto che caratterizzano l’attività del franchisor. Per contro, mano a mano che si sviluppa la
rete distributiva, quest’ultimo può trovarsi in difficoltà nel gestire il mercato e nel controllare l’attività
del franchisee.
19.3.2. Il franchising internazionale attraverso una filiale o una succursale
Si tratta di un modello caratterizzato dall’istituzione di una filiale cui affidare l’organizzazione della
rete distributiva nella nazione estera.
206
Tale formula favorisce la presenza fisica del franchisor nello stato estero, e quindi il diretto controllo
del mercato da sviluppare, ma richiede il sostenimento di elevati costi per investimenti.
Sotto il profilo fiscale, in base alla disciplina convenzionale OCSE la filiale estera del franchisor residente
in Italia configura, generalmente, una stabile organizzazione dell’impresa esportatrice, con conseguente
attrazione a tassazione nel paese estero degli utili d’impresa ivi prodotti secondo la legislazione del
luogo in cui è istituita. Pur prevalendo su di essa, la previsione della Convenzione deve essere coordinata
con la nozione di stabile organizzazione prevista dalla legge cinese (illustrata al precedente par. 13.2.1.).
Con particolare riguardo ad eventuali franchisee residenti in Italia di franchisor cinesi, l’art. 162, D.P.R.
n. 917/1986 (Tuir), stabilisce che la legge italiana configura come stabile organizzazione di un’impresa
non residente la presenza nel territorio italiano di una sede fissa di affari utilizzata in tutto o in parte
per l’esercizio di attività commerciali in Italia.
19.3.3. Il franchising internazionale attraverso la creazione di una filiale comune o di una joint
venture con un partner estero
In questo modello il partner è rappresentato da un’impresa residente nel paese straniero che aiuta il
franchisor italiano a sviluppare una rete di franchising condividendo con esso i rischi e i profitti.
Si tratta di una formula contrattuale usata quando si raggiungono intese con imprese locali già presenti
nei mercati interni e spesso già dotate di una propria rete distributiva.
19.3.4. Il “master franchising”
Consiste nella conclusione – tra il franchisor ed un’ impresa residente nel paese estero (c.d. master
franchisee) – di un particolare contratto di franchising in base al quale il master franchisee s’impegna
a sviluppare la rete distributiva del franchisor nello Stato target.
A tal fine, il master franchisee si impegna a stipulare con altre imprese residenti nel paese estero (c.d.
sub-franchisee) altri contratti di (sub-)franchising dipendenti da quello principale. Questi contratti sono
regolati dalla legge locale.
Grazie a tale sistema – nel quale il master franchisee può essere anche un’impresa figlia o controllata
dal franchisor – quest’ultimo evita di subire direttamente i rischi legati allo sviluppo della rete di vendita
nel paese estero. Egli può così istituire una rete distributiva economicamente efficiente riducendo nel
contempo le incertezze conseguenti alla scarsa conoscenza del mercato-obiettivo. Allo stesso modo, il
franchisor deve però garantirsi il controllo sul marchio (depositandolo nel paese estero) e sul partner
locale.
19.3.5. Il franchising attraverso un contratto di supervisione
Si tratta di una forma di franchising attuata incaricando un lavoratore autonomo residente nel paese
estero dei compiti di creare, organizzare e coordinare i punti vendita locali dietro un compenso determinato
in misura percentuale sul fatturato.
207
19.4. I riflessi fiscali dei contratti di franchising stipulati dalle imprese italiane
I principali riflessi fiscali dei contratti internazionali di franchising riflettono lo Stato di residenza fiscale
ed il regime fiscale delle imprese interessate e riguardano la rilevanza reddituale delle prestazioni
pattuite, oppure – a seconda del tipo di imposta considerata – del valore aggiunto ad esse riconducibile.
Per le caratteristiche delle prestazioni concordate, il contratto di franchising è sempre concluso tra
imprenditori. Come conferma la legge n. 129/2004, le principali prestazioni economiche oggetto del
contratto riguardano:
• le royalties dovute per l’utilizzazione del know-how fornito dal franchisor, che sono di regola
commisurate al giro d’affari dell’affiliato oppure in quota fissa, da versare in unica soluzione o a
scadenze periodiche;
• il diritto d’ingresso, determinato in quota fissa da versare al momento della stipula del contratto e
che è rapportata al valore economico ed alla capacità di sviluppo della rete;
• l’ammontare degli investimenti e delle spese d’ingresso richieste al franchisee, prima dell’inizio
dell’attività.
Oltre all’eventuale imposta di registro applicabile a tassa fissa in Italia sull’accordo che sia ivi concluso
(se non concluso come corrispondenza commerciale, nel cui caso l’imposta è dovuta solo in caso d’uso),
le obbligazioni convenute e la loro esecuzione integrano direttamente i presupposti per l’applicazione
dell’Ires (o dell’Irpef), dell’Irap e dell’Iva, imposte che quindi interessano nella maggior parte dei casi
i contratti di franchising stipulati da imprese italiane che desiderino operare in tale forma nei mercati
cinesi senza avvalersi di società di capitali partecipate costituite in Cina ed ivi residenti.
19.4.1. Le imposte sul reddito: il reddito d’impresa e le componenti reddituali relative ai contratti
di franchising
La natura dei rapporti di franchising – per lo più caratterizzati dall’autonoma soggettività dei franchisee
non residenti rispetto all’impresa del franchisor italiano – fa sì che anche in ambito internazionale il
franchisor residente in Italia sia principalmente assoggettato all’imposizione del reddito d’impresa
secondo la legge italiana.
A seconda dell’imposta applicabile al soggetto passivo (imprenditore individuale e società di persone:
Irpef; società di capitali: Ires), è noto infatti che per la legge italiana il reddito d’impresa concorre a
formare o costituisce direttamente il reddito imponibile ai fini delle imposte sul reddito.
Coerentemente con il principio della tassazione in base al reddito mondiale, i riflessi in tema di reddito
d’impresa sono quindi prevalentemente interni e sono correlati ai canoni (royalties e/o entrance fee), ai
corrispettivi delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi oggetto del contratto ed all’adempimento,
da parte del franchisee (o del master franchisee) non residente, delle sue prestazioni di natura patrimoniale
nei confronti del franchisor italiano.
Rinviando a quanto specificamente evidenziato in tema di investimenti in Cina tramite società controllate
ivi costituite, la pianificazione fiscale del franchising dovrà tenere conto anche delle implicazioni fiscali
dell’eventuale rapporto di controllo tra il franchisor italiano ed i franchisee cinese, ed in particolare
della disciplina convenzionale relativa al flusso degli utili dalla società controllata cinese alla casa madre
italiana.
Nel caso in cui il master franchisee o i singoli franchisee residenti nel Paese estero costituiscano (ad
208
es. come filiali o sedi secondarie) invece stabili organizzazioni del franchisor italiano in tale Stato, esse
saranno soggette alla locale imposta sul reddito secondo il risultato economico ivi conseguito.
In merito, l’art. 7 della Convezione Bilaterale contro le doppie imposizioni tra l’Italia e la Cina afferma,
come si è visto, il principio generale secondo il quale gli utili di un’impresa di uno Stato sono imponibili
solo in detto Stato a meno che l’impresa non svolga la sua attività nell’altro Stato per mezzo di una
stabile organizzazione ivi situata.
Ai fini fiscali, i principali elementi reddituali rinvenibili nelle forme più ricorrenti dei contratti di
franchising internazionale rientrano nelle categorie delle cd. royalties, dei corrispettivi per prestazioni
professionali e dei ricavi per la vendita di beni oggetto dell’attività d’impresa.
Tra questi, gli interessi e le royalties corrisposte ad imprese italiane da imprese residenti in Cina possono
essere astratti dall’insieme dei redditi d’impresa imponibili in Italia e tassati secondo l’aliquota prevista
dalla Convenzione a meno che il loro effettivo beneficiario non eserciti l’attività attraverso una stabile
organizzazione ivi situata.
Nelle configurazioni più usuali dei rapporti in esame e secondo le previsioni della Legge n. 129/2004,
tali varietà di proventi possono essere suddivise in diverse categorie, sulle quali seguono alcuni
approfondimenti.
19.4.1.1. Royalties ed entrance fees
Poiché i contratti di franchising hanno sostanzialmente ad oggetto licenze di diritti di proprietà industriale
o intellettuale relativi a marchi o insegne e know-how, solo eventualmente correlate a restrizioni relative
alla fornitura o all’acquisto di merci, il pagamento al franchisor dei corrispettivi per la concessione di
tali licenze costituisce per il franchisee la prestazione tipica del rapporto (si veda in proposito anche
l’art. 1, comma 3, Regolamento CEE n. 4087/88).
Così configurati tali corrispettivi includono:
a) il diritto di entrata (franchise fee) pagato dal franchisee cinese per affiliarsi al franchisor italiano;
b) le royalties pagate dal franchisee cinese come corrispettivo per la concessione in uso dei beni
immateriali oggetto del contratto di franchising (ad es. la licenza di marchio, l’uso dell’insegna, la
comunicazione del know-how commerciale o industriale, le procedure di esportazione, etc.).
Nei contratti internazionali di franchising, royalties ed entrance fees costituiscono somme che integrano
la nozione di canone prevista dall’art. 12 della Convenzione Bilaterale Modello OCSE, ove è specificato
che il termine “canoni” designa “i compensi di qualsiasi natura corrisposti per l’uso o la concessione in
uso di un diritto d’autore su (…) marchi di fabbrica o di commercio, disegni o modelli, progetti, formule
o processi segreti o per l’uso oppure la concessione di uso di attrezzature industriali, commerciali o
scientifiche, o per informazioni concernenti esperienze di carattere industriale, commerciale o scientifico”.
In proposito, i punti e) II) ed e) III) del Protocollo aggiuntivo alla Convenzione Bilaterale contro le
doppie imposizioni in vigore tra l’Italia e la Cina precisano che costituiscono canoni anche i pagamenti
per l’utilizzazione di “know-how” e che la disciplina convenzionale si applica anche in presenza di
contratti misti che prevedono la fornitura di know-how tecnico insieme alla vendita di attrezzature e
macchinari, la parte di corrispettivo relativa ai canoni dovendo essere scorporata e trattata secondo il
più favorevole regime convenzionale.
209
I canoni possono essere determinati in misura forfetaria o in percentuale rispetto al fatturato o ai profitti
del franchisee.
In linea generale, i canoni corrisposti direttamente alle imprese italiane da franchisee residenti in Cina
costituiscono componenti positivi di reddito d’impresa ai sensi dell’art. 85 D.P.R. n. 917/1986, per cui
concorrono a formare il reddito in base al principio di competenza.
L’art. 12, comma 1, della Convenzione tra l’Italia e la Cina prevede che i canoni provenienti dalla Cina
siano imponibili nello Stato del beneficiario, che nel caso è l’Italia (c.d. criterio della residenza del
destinatario dei canoni).
Il comma 2 del medesimo art. 12 dispone però, in aggiunta, anche la tassazione nello Stato di provenienza
dei canoni, che nel caso è la Cina. Come si è visto al par. 13.3. la ritenuta cinese per i canoni in uscita
è di fatto applicata per disposizioni interne (Guofa [2000] n. 37) nella misura del 10%, anche se la
legge IRIS prevede l’aliquota del 20%.
Dal canto suo, la Convenzione Italia - Cina prevede che la ritenuta sia applicata in misura non superiore
al 10%, calcolata sull’ammontare lordo dei canoni, con la possibilità di fare valere in Italia il relativo
credito d’imposta (criterio dello Stato di provenienza dei canoni). Inoltre, sui canoni relativi all’uso o
alla concessione in uso di attrezzature industriali, commerciali o scientifiche, la ritenuta è applicabile
sul 70% dell’ammontare lordo: ciò significa che in tal caso la tassazione dei canoni non può superare
il 7% di tale valore, come previsto dal punto e) I) del Protocollo aggiuntivo alla Convenzione.
Nell’ipotesi in cui il debitore dei canoni disponga in uno dei due Stati contraenti di una stabile
organizzazione in relazione alla quale sia stato concluso il contratto di franchising, i canoni stessi si
considerano provenienti dallo stato contraente in cui è situata la stabile organizzazione. Ne consegue
in primo luogo che se la beneficiaria italiana dei canoni esercita attività di commercio o di distribuzione
dei beni oggetto del franchising attraverso una stabile organizzazione in Cina, i canoni non saranno
tassati in base al regime agevolato previsto dalla Convenzione, ma saranno ivi imponibili come utili
d’impresa secondo la legge locale, che prevede, come si è visto, aliquote ordinarie del 33%, e aliquote
agevolate del 15%/24%, ulteriormente riducibili per limitati periodi di tempo. In ipotesi di aliquote
agevolate, l’impresa italiana può comunque scomputare dall’imposta sul reddito dovuta in Italia il
credito relativo anche alla quota di imposte non pagate in Cina per effetto delle agevolazioni medesime
(art. 23 Convenzione Italia-Cina).
Per contro, se il franchisee cinese dispone di una stabile organizzazione in Italia in relazione alla quale
sostiene gli oneri del rapporto di franchising, i canoni ad essa addebitati si considerano in ogni caso
corrisposti in Italia ai fini della tassazione (art. 12, comma 4, della Convenzione e art. 23, comma 1,
del Tuir). In tal caso, la Convenzione consente però la deduzione dall’imposta cinese di un ammontare
corrispondente all’imposta pagata in Italia.
In ogni caso, in presenza di particolari relazioni tra il debitore e l’effettivo beneficiario dei canoni o tra
ciascuno di essi e terze persone tali da influire sul prezzo dei canoni, la disciplina convenzionale limita
la propria applicabilità all’ammontare dei compensi che sarebbe stato convenuto tra gli interessati in
assenza di tali relazioni, tenuto conto della prestazione, diritto od informazione (know-how) per i quali
sono pagati. La parte eccedente è imponibile secondo la legislazione di ciascuno Stato.
Il corrispettivo finanziario può essere anche indiretto, come accade quando le royalties sono inglobate
nel prezzo di cessione dei beni prodotti o distribuiti dal franchisor oppure quando esso è incorporato
nel costo dell’arredamento del punto vendita.
210
In tal caso, per non precludere l’autonoma (e più conveniente) tassazione secondo il regime convenzionale
dei canoni, è opportuno che l’incorporazione dei canoni nel prezzo dei beni risulti da un’apposita
clausola contrattuale o quanto meno dalle fatture emesse.
Per completezza si evidenzia che, se previsto dal contratto, il diritto fisso di entrata (cd. “entrance fee”)
costituisce una immobilizzazione immateriale per il franchisee e come tale esso deve essere imputato
nell’attivo dello Stato Patrimoniale ed ammortizzato in relazione alla durata del rapporto.
19.4.1.2. I corrispettivi delle prestazioni di servizi accessori forniti dal franchisor
Anche i corrispettivi delle prestazioni accessorie fornite dal franchisor italiano al franchisee cinese in
relazione al contratto di franchising (la comunicazione del know-how contenuto nei manuali, la formazione
del personale del franchisee, la progettazione e l’assistenza al momento dell’apertura dei locali, etc.)
costituiscono componenti positivi di reddito d’impresa ai sensi dell’art. 85, D.P.R. n. 917/1986, per cui
concorrono a formare il reddito in base al principio di competenza in riferimento alla data di ultimazione
della prestazione oppure - in presenza di prestazioni aventi carattere continuativo (ad es. rapporti di
somministrazione accessori al franchising) - ai corrispettivi periodici eventualmente maturati in base
alle condizioni contrattuali. Tali proventi confluiscono nel bilancio dell’impresa italiana se vengono
pagati direttamente dal franchisee cinese ad essa o ad una sua stabile organizzazione in Cina. Diversamente,
come nel caso in cui il franchisee cinese abbia rapporti con una subsidiary cinese del franchisor italiano,
i canoni rileveranno solo indirettamente nei confronti della casa madre, sotto forma di dividendi ad essa
eventualmente distribuiti.
19.4.1.3. I depositi cauzionali versati dal franchisee al franchisor
Gli eventuali depositi cauzionali versati direttamente dal franchisee cinese al franchisor italiano
costituiscono un debito per quest’ultimo. Essi rappresentano una semplice movimentazione finanziaria
e non rilevano ai fini del reddito posseduto in Italia, né al momento della loro percezione, né al momento
della restituzione.
Ove i depositi cauzionali fossero fruttiferi, gli interessi corrisposti al franchisee cinese saranno deducibili
dal reddito del franchisor italiano nell’esercizio di competenza se oggettivamente certi e determinabili
nel loro ammontare in base alle previsioni contrattuali e regolarmente contabilizzati. Diversamente, essi
saranno deducibili nell’esercizio in cui si verificheranno tali condizioni.
Trattandosi di interessi compensativi, al momento del pagamento, il franchisor residente in Italia non
deve comunque applicare la ritenuta prevista dall’art. 26 D.P.R. n. 600/1973.
19.4.1.4. Le indennità contrattuali da corrispondere al franchisee o al franchisor
Le eventuali indennità che il franchisee cinese avesse pattuito di corrispondere al franchisor italiano
come indennizzo in caso di anticipata risoluzione del rapporto, sono imponibili come reddito d’impresa
in capo al percettore ai sensi degli artt. 6, comma 2, e 88, comma 3, lett. a), D.P.R. n. 917/1986.
Se percepiti da un imprenditore individuale residente in Italia ed aventi ad oggetto la perdita di redditi
relativi a più anni, i medesimi importi possono essere tassati separatamente ai sensi dell’art. 17, comma
1, lett. i) e comma 2, D.P.R. n. 917/1986.
211
Le indennità percepite dal franchisor italiano per l’utilizzo abusivo del know-how da parte del franchisee
non residente devono invece essere assoggettate ad imposizione come royalties (v. supra, punto 19.4.1.1.
sub b).
Le eventuali indennità dovute dal franchisor al franchisee costituiranno componenti negativi di reddito
dell’esercizio di competenza, posto che non è consentita la deduzione fiscale di accantonamenti annuali
a tale titolo.
19.4.1.5. I corrispettivi delle cessioni dei beni tra il franchisor italiano ed il franchisee cinese
Trattandosi di cessioni di beni oggetto dell’attività d’impresa del franchisor italiano, i corrispettivi delle
cessioni di beni al franchisee sono imponibili in capo al franchisor secondo il principio di competenza
temporale, in relazione a quanto previsto con specifico riferimento alle varie forme di vendita all’estero.
Ovviamente, fa eccezione il caso in cui i beni siano direttamente venduti da un’impresa residente
in Cina controllata dal franchisor residente in Italia. In tal caso, le vendite confluiranno nei ricavi
della controllata cinese che sarà soggetta alle imposte ivi dovute sul reddito dell’esercizio. La
diversità delle aliquote delle imposte sul reddito, potrebbe quindi influire sulle modalità di vendita
del franchisor.
Le eventuali maggiorazioni applicate ai prezzi di trasferimento delle merci in contropartita del diritto
all’uso dei beni immateriali o dei servizi tecnici accessori oggetto del rapporto, non rilevano autonomamente
come royalties ed influiscono così solo indirettamente nei bilanci delle imprese interessate. In ogni
caso, è opportuno che tale comportamento trovi fonte in un’apposita clausola contrattuale, al fine di
non pregiudicare la chiarezza informativa del conto economico e per evitare rettifiche fiscali ai prezzi
di trasferimento dei beni.
In presenza di cessioni di beni commercializzati o prodotti dal franchisor residente in Italia, il contenuto
del rapporto di franchising rileva ai fini dell’individuazione del momento di competenza, in quanto le
merci possono essere trasferite a mezzo di una serie di semplici vendite, così come anche in base a
contratti di somministrazione o di vendita a consegne ripartite.
In ogni caso, i ricavi relativi a tali vendite si considerano conseguiti al momento della consegna o della
spedizione dei beni oppure, se diverso e successivo, al momento in cui si verifica l’effetto traslativo
della proprietà.
Diversamente (ad es. nei casi previsti dall’art. 1474 c.c.), il corrispettivo concorre a formare il reddito
dell’esercizio in cui si verificano tali condizioni.
Ne consegue che le clausole “Ex Works”, “CIF”, ”FOB” e simili che caratterizzano le vendite internazionali
(c.d. Incoterms) influenzano solo marginalmente l’imputazione del ricavo al periodo d’imposta di
competenza, per quanto incidono sul momento della consegna o della spedizione dei beni, posto che
esse non riguardano il trasferimento della proprietà, bensì per lo più il trasferimento del rischio sui beni
ceduti. A tal fine, la consegna può essere provata dagli ordinari documenti che di regola accompagnano
i trasporti internazionali di beni, nel caso in cui siano disponibili.
Come previsto dalla legge italiana, la consegna e la spedizione dei beni rilevano però ai fini dell’imputazione
dei ricavi al periodo d’imposta di competenza solo se al momento in cui hanno luogo i corrispettivi
della cessione sono anche certi ed oggettivamente determinabili nell’ammontare. Diversamente (ad
212
esempio nei casi previsti dall’art. 1474 c.c.), il corrispettivo concorre a formare il reddito dell’esercizio
in cui si verificano tali condizioni.
Sulle regole di imputazione a periodo che presiedono alla determinazione del reddito imponibile secondo
la legge fiscale cinese si rinvia a quanto detto in precedenza (par. 13.2.4.1.). Se i corrispettivi, i proventi,
gli oneri e le spese sono pagati in valuta cinese, essi devono essere valutati secondo il cambio del giorno
in cui sono stati effettivamente percepiti o, se precedente, di quello in cui sono stati sostenuti. In
mancanza, essi possono essere valutati secondo il cambio del giorno antecedente più prossimo o quello
del mese in cui sono stati percepiti o sostenuti.
19.4.1.6. Problematiche in tema di transfer price
Quando invece il master franchisee (o il semplice franchisee) residente in Cina si configura come una
stabile organizzazione del franchisor italiano oppure è costituito da imprese direttamente o indirettamente
controllate da questo, i prezzi contrattuali dei beni e dei servizi trasferiti sono soggetti dalla disciplina
del transfer pricing, per la quale essi devono essere valutati in base al loro valore normale, se da tale
valutazione ne deriva un aumento del reddito rispetto a quello che riflette i corrispettivi determinati in
base al contratto (si veda supra sub 19.4.1.1.). In tal caso, l’eccedenza è imponibile secondo la legislazione
di ciascuno Stato contraente. Di qui la necessità di documentare i criteri seguiti per la determinazione
dei prezzi per evitare le riprese fiscali in esame da parte delle autorità fiscali italiane e cinesi.
In proposito, si evidenzia che, per quanto riguarda specificamente i canoni pagati dal franchisee cinese
per le prestazioni eseguite o per i diritti concessi o per le informazioni fornite dal franchisor italiano,
la Convenzione Bilaterale contro le doppie imposizioni tra Italia e Cina prevede comunque un limite
massimo all’importo assoggettabile al regime di favore da essa disposto, in presenza di particolari
relazioni tra il debitore e l’effettivo beneficiario dei canoni o tra ciascuno di essi e terze persone. In tal
caso, l’ammontare eccedente quello pattuibile secondo normali rapporti commerciali è imponibile in
conformità della legislazione di ciascuno stato contraente, sia pure tenendo conto di quanto previsto
dalla Convenzione Bilaterale.
In tema di valore normale dei trasferimenti di beni immateriali, l’Amministrazione finanziaria italiana
ritiene ordinariamente giustificabili in base al contratto solo i canoni pattuiti in misura non superiore
al cinque per cento del fatturato del franchisee. Per la disciplina del transfer price vigente in Cina si
veda il precedente par. 13.2.8..
19.4.1.7. Gli interessi di dilazione di pagamento corrisposti dal franchisee cinese al franchisor italiano
Gli eventuali interessi di dilazione concessi ai franchisee cinesi sui crediti di fornitura commerciale
sono tassati come reddito d’impresa in capo al franchisor.
In aggiunta, essi possono essere tassati secondo il regime convenzionale, ovvero con l’aliquota del 10
per cento, facendo valere in Italia il relativo credito d’imposta. Tale aliquota si applica se il percettore
degli interessi ne è l’effettivo beneficiario e se essi non possono essere imputati ad una stabile
organizzazione. In quest’ultimo caso, gli interessi non sono infatti soggetti alla ritenuta convenzionale,
ma confluiscono direttamente nel reddito della stabile organizzazione.
213
19.4.2. L’imposta sul valore aggiunto italiana
Le prestazioni oggetto dei contratti di franchising hanno principalmente per oggetto cessioni di beni e
prestazioni di servizi esercitate nell’ambito di un’attività d’impresa commerciale e quindi rilevano ai
fini dell’applicazione dell’Imposta sul Valore Aggiunto prevista dalla normativa italiana (D.P.R. 26
ottobre 1972, n. 633).
In presenza di un contratto internazionale, l’applicazione di tale tributo è però condizionata anche dal
requisito della territorialità, il quale è generalmente legato alla residenza dei soggetti interessati ed al
luogo di esecuzione delle prestazioni oggetto del contratto.
Poiché la natura della prestazione rileva diversamente in ordine al momento impositivo ed all’esecuzione
degli adempimenti formali strumentali all’applicazione del tributo (fatturazione, etc.), si distingue a
seconda che ci si trovi in presenza di cessioni di beni o di prestazioni di servizi.
19.4.2.1. Cessioni di beni
Ai sensi dell’art. 8 D.P.R. n. 26 ottobre 1972, n. 633, le cessioni di beni nei confronti di soggetti residenti
in Cina sono considerate cessioni all’esportazione. Come tali, esse sono prive del requisito della
territorialità e sono effettuate senza applicazione dell’imposta pur comportando l’obbligo di emissione
della fattura.
L’effettuazione di cessioni all’esportazione consente agli esportatori abituali di acquistare nello stato
originario i beni da esportare od altri beni e servizi senza applicazione dell’imposta nei limiti dell’ammontare
complessivo dei corrispettivi delle esportazioni conseguiti nel corso dell’anno solare precedente (c.d.
plafond).
Se le merci sono esportate senza passaggio della proprietà e vengono successivamente vendute quando
sono nello stato estero (ad es. al momento della consegna in territorio estero), non si verifica il requisito
della territorialità e quindi la loro cessione non è soggetta all’IVA italiana e non comporta neppure
l’obbligo di emissione della fattura (art. 7, comma 2, D.P.R. n. 633/1972), costituendo una semplice
esportazione ai fini doganali. Essa rileverà semmai come importazione ai fini dell’applicazione dell’imposta
sul valore aggiunto Cina, su cui si veda più diffusamente il precedente par. 16.1..
19.4.2.2. Prestazioni di servizi
La natura degli accordi di franchising fa sì che il destinatario della prestazione di servizi ne sia
generalmente anche il diretto utilizzatore.
Ai fini della rilevanza ai fini dell’IVA delle diverse prestazioni di servizi che possono essere oggetto
di un contratto di franchising, si distingue principalmente tra:
a) prestazioni di servizi effettuate verso corrispettivo consistenti in cessioni o concessioni di licenze e
simili relative a know-how industriale, modelli, disegni, processi, formule, marchi e insegne;
b) prestazioni di assistenza tecnica, comprese quelle di formazione ed addestramento del personale;
Quando sono rese nei confronti di un’ impresa cinese, le prestazioni in esame non si considerano rese
nel territorio dello Stato italiano, per cui non comportano alcun obbligo formale o sostanziale in tema
di IVA.
214
Per le prestazioni diverse dalle prestazioni di consulenza ed assistenza nella formazione e nell’addestramento
del personale, nonché di elaborazione e di fornitura di dati, la non territorialità è invece condizionata
alla loro utilizzazione fuori del territorio dello Stato (art. 7, lett. d ed f, D.P.R. n. 633/1972).
La mancanza di territorialità e quindi di rilevanza delle prestazioni di servizi relative al franchising ai
fini dell’IVA italiana non esclude però la sua imponibilità ai fini dell’IVA cinese, che deve essere
verificata caso per caso in relazione alla legge locale (cfr. il precedente par. 16.1.).
c) Prestazioni di trasporto accessorie alle cessioni di beni oggetto del rapporto;
Le prestazioni di trasporto connesse alle cessioni di beni forniti in base a tali contratti di franchising
sono imponibili in Italia in proporzione alla distanza percorsa fino al limite del territorio doganale.
d) Eventuali prestazioni di servizi diverse da quelle indicate.
L’imponibilità ai fini dell’IVA italiana dipende dal requisito della territorialità, che alla luce della vastità
dei casi possibili, deve essere esaminata caso per caso in base all’art. 7 D.P.R. n. 633/1972.
19.4.3. Le imposte sul valore aggiunto applicate in Cina
Sulla determinazione del prezzo dei beni esportati in Cina grava indirettamente anche l’imposta sul
valore aggiunto a carico dell’importatore ivi residente.
Si tratta di un’imposta sul valore aggiunto che viene applicata sulle vendite e sulle importazioni di beni
materiali e sulla fornitura di procedimenti industriali e, quanto ai servizi, solo su quelli di riparazione
o di sostituzione, essendo gli altri in generale soggetti a imposta sugli affari.
Come già visto nel corrispondente paragrafo, l’aliquota ordinaria è pari al 17%, ridotta al 13% in alcune
ipotesi tassative, quali ad esempio alimenti, riscaldamento, prodotti editoriali. L’IVA sulle importazioni
è applicata sul prezzo delle merci accertato dalle autorità doganali, maggiorato dei dazi e dell’eventuale
tassa sul consumo.
Le esportazioni dalla Cina sono invece esenti, ma l’esenzione spesso costituisce il risultato di un
complesso meccanismo di rimborsi da verificare con attenzione caso per caso.
19.4.4. Altre tasse, diritti ed imposte applicate in Cina
Quando il franchisee è costituito da un’impresa locale diversa dal franchisor italiano, le altre tasse e
diritti applicati in Cina non sono direttamente a carico dell’impresa italiana, ma possono influire sulla
determinazione dei prezzi di vendita dei beni e dei servizi oggetto del franchising. Detti oneri gravano
sul valore CIF delle merci e sono suddivisi in:
• imposta sugli affari;
• imposta sui consumi;
• dazi d’importazione.
In particolare, gli investitori stranieri che costituiscono imprese non manifatturiere, come ad esempio
società per operare come master franchisee, sono tenuti a pagare l’imposta sugli affari per il trasferimento
di beni immateriali ed i servizi accessori al contratto di franchising. Per ulteriori nozioni sulle imposte
in questione, si rinvia rispettivamente ai paragrafi e 16.2., 16.3 e 16.7.
215
20. ACCORDI RELATIVI A DIRITTI INDUSTRIALI
20.1. Premessa
Come evidenziato nella corrispondente sezione, l’oggetto dei contratti di licenza è costituito da formule,
esperienze, tecniche, brevettate o brevettabili, ancorché non brevettate, o anche da conoscenze non
brevettabili, che tuttavia abbiano un significativo valore economico in quanto, non essendo divulgate,
attribuiscono al possessore un vantaggio competitivo rispetto agli altri operatori del settore. Con
riferimento all’oggetto si è soliti distinguere tra:
• licenze pure, di brevetto o know-how, e
• licenze miste, di brevetto e know-how, dove quest’ultimo costituisce in genere la modalità operativa
di applicazione del brevetto, e infine
• accordi di licensing, nei quali, oltre alla concessione del diritto di sfruttare il brevetto, il licenziante
concede altresì l’uso del proprio marchio e si impegna a fornire servizi di assistenza tecnica e di
formazione del personale del licenziatario e talvolta anche i macchinari e gli impianti necessari alla
produzione.
Contenuto essenziale di ogni contratto di licenza è dunque la concessione in uso di brevetti, marchi,
know-how. A tale contenuto accedono poi una serie di clausole, eventuali, volte a tutelare il licenziatario
(ad es. esclusiva territoriale, garanzia della qualità della tecnologia licenziata, garanzia dei risultati), o
il licenziante (obbligo di mantenere segrete le informazioni e conoscenze acquisite, obbligo di servirsi
della tecnologia solo nei limiti contrattuali, divieto di concorrenza, etc.).
Il corrispettivo di un trasferimento di tecnologia può essere costituito da una somma da versarsi in unica
soluzione, immediatamente, ma, più frequentemente, viene convenuto il pagamento periodico di somme
– royalties - da determinarsi sulla base di parametri diversi. In genere le royalties vengono fissate in
percentuale del prezzo di vendita o in misura fissa per ogni pezzo prodotto, realizzato con la tecnologia
licenziata, ovvero in percentuale del volume d’affari del licenziatario o dell’ammontare complessivo
dei ricavi. In alcuni casi, soprattutto nei primi anni di esecuzione del contratto di licenza, vengono fissati
altresì dei limiti minimi, ciò al fine di garantire al licenziante un adeguato sfruttamento della tecnologia
oggetto di licenza.
20.2. Il regime fiscale delle importazioni di tecnologia nell’ordinamento cinese
• La tassazione di royalties e commissioni pagate alle imprese non residenti
La disciplina fiscale cinese prevede l’applicazione di una ritenuta alla fonte sui corrispettivi pagati dalle
imprese residenti a fornitori stranieri per l’acquisto di tecnologia. L’aliquota è fissata dalla legge al
20%, ma va ricordato, da un lato, che il Consiglio di Stato ha ridotto temporaneamente l’aliquota al
10%, dall’altro che esistono varie ipotesi di esenzione integrale (si veda anche quanto detto al paragrafo
13.3.).
La ritenuta viene effettuata dal soggetto residente autore del pagamento, e si calcola sull’ammontare
lordo del canone o della commissione pattuiti.
Va poi ricordato che la Convenzione contro le doppie imposizioni stipulata con l’Italia prevede
l’applicazione della ritenuta sulle royalties nella misura del 10%. Inoltre sulle royalties percepite dalle
imprese italiane in dipendenza della concessione in godimento di attrezzature ed impianti industriali,
commerciali e scientifici, la ritenuta convenzionale del 10% si calcola sul 70% dell’ammontare lordo.
216
Deve segnalarsi infine che da una nota dell’Amministrazione finanziaria cinese sembrerebbe desumersi
che le royalties percepite da imprese straniere per la concessione di licenze su diritti di proprietà
industriale sono altresì soggette alla business tax. La business tax, secondo la disciplina normativa,
colpisce alcune prestazioni di servizi e la cessione di beni immobili e di beni immateriali (quali appunto
brevetti, marchi, know-how); per quanto riguarda i beni immateriali anche le licenze rientrerebbero tra
le operazioni imponibili.
L’aliquota (che può variare dal 3% al 20%) è fissata al 3% per i trasferimenti o le licenze di diritti di
proprietà industriale ed intellettuale ed altri beni immateriali; l’imposta è trattenuta e versata dall’acquirente.
• Il trattamento fiscale dei costi sostenuti dall’impresa residente acquirente
In generale l’ordinamento cinese consente la deduzione dal reddito delle spese necessarie e ragionevoli
sostenute nell’esercizio dell’attività di impresa (per maggiori dettagli si veda il par. 13.2.4.3.). La
deduzione può tuttavia essere limitata in applicazione delle norme sui prezzi di trasferimento (par.
13.2.8.), che riguardano anche le operazioni aventi per oggetto beni immateriali. In particolare il fisco
cinese non consente la deduzione delle royalties pagate dall’impresa residente alla casa madre.
I costi effettivamente sostenuti per l’acquisto o per la licenza di brevetti, marchi ed altri diritti di proprietà
industriale (incluso il know-how), possono essere dedotti secondo un piano di ammortamento, a quote
costanti. Il costo viene in specie ripartito secondo la durata del contratto, o in assenza di indicazioni
sulla durata nel termine di dieci anni.
20.3. Il regime fiscale dei trasferimenti internazionali di tecnologia nell’ordinamento italiano
I proventi conseguiti dall’impresa italiana a fronte del trasferimento all’estero di tecnologia mediante
contratti di licenza concorrono alla formazione del reddito di impresa secondo le regole ordinarie, a
prescindere dalla loro qualificazione in termini di canoni per la concessione di diritti di utilizzazione
di opere dell’ingegno, marchi, brevetti, know-how, ovvero di commissioni per la prestazione di servizi
di assistenza tecnica (la diversa qualificazione potrebbe invece rilevare qualora il soggetto percipiente
non fosse imprenditore), nonché a prescindere dalla loro corresponsione secondo scadenze periodiche
o in unica soluzione. Il corrispettivo pattuito viene computato al lordo, restando salva la facoltà
dell’impresa di dedurre i costi sostenuti per lo sviluppo della tecnologia trasferita in via analitica secondo
quanto previsto dalla normativa interna.
Va ricordato che qualora il trasferimento avvenga mediante cessione pura e semplice il corrispettivo
concorrerà alla formazione del reddito di impresa secondo le norme sulle plusvalenze.
Naturalmente, trattandosi di redditi di fonte estera, è riconosciuto un credito di imposta per le imposte
pagate in Cina, con i limiti di cui alle disposizioni fiscali nazionali.
21. PRODUZIONE CON PRESENZA IN CINA
La RPC ha incoraggiato i finanziamenti e gli investimenti stranieri a partire dalla fine degli anni Settanta,
quando è iniziata la stagione delle riforme economiche con la politica della porta aperta i cui principali
obiettivi sono lo sviluppo del paese, sfruttando le più sofisticate tecnologie e conoscenze dei paesi stranieri,
incassando moneta straniera ed aumentando le esportazioni.
217
L’instaurazione di una presenza diretta sul territorio cinese può avvenire tramite diversi percorsi, con
conseguenti differenti riflessi sotto il profilo fiscale.
Innanzitutto, tutte le imprese a capitale straniero (FIE) e le imprese straniere sono soggette ad IRIS
(paragrafo 13.2.), che si compone di una quota statale (30%) e di una locale (3%). Va comunque
rammentato l’ampio ventaglio di agevolazioni fiscali create dalle autorità governative al fine di favorire
gli investimenti esteri in forma diretta nel paese, e di cui si è trattato diffusamente al capitolo 17.
Le imprese straniere sono soggette a tassazione per il complessivo reddito prodotto a livello mondiale;
comunque, è concesso il riconoscimento di un credito di imposta per le tasse sui redditi pagati in altri
paesi da parti di filiali della impresa.
Se poi le imprese straniere non hanno acquisito personalità giuridica, come avviene per le CJV che non
assumano natura societaria, le parti componenti la joint-venture possono decidere di essere tassate
separatamente in relazione alla quota di ciascuno nei redditi ricevuti oppure, previa approvazione
dell’amministrazione, di essere tassate come singole entità.
Come già evidenziato, attualmente le imprese straniere possono scegliere di costituire in Cina un
semplice ufficio di rappresentanza, oppure una tra le possibili forme di impresa a capitale straniero
(FIE), tra cui si annoverano:
• Wholly Foreign Owned Enterprise (WFOE);
• Equity Joint Venture;
• Cooperative Joint Venture.
In aggiunta possono stipulare determinati accordi quali:
• Processing and assembling trade;
• Compensation trade.
nonché partecipare a società cinesi già esistenti, nelle forme di:
• società a responsabilità limitata;
• società per azioni.
21.1. Acquisizione di partecipazioni di una società cinese già esistente
Si rammenta che con la nuova legge sulle società commerciali i si è consentito agli investitori esteri di
acquistare una quota di capitale di una società cinese già esistente (s.p.a. o s.r.l.) anche se con talune
limitazione concernenti l’attività esercitata. Sul punto si rinvia, per maggiori dettagli, al par. 1.1..
Sotto il profilo più strettamente fiscale, preme sottolineare ancora una volta che il trattamento fiscale
di tali società oggetto di acquisizione è lo stesso delle tradizionali FIE, a patto che la partecipazione
degli investitori stranieri sia complessivamente superiore al 25% del capitale. In caso contrario la società
è trattata come un’impresa domestica ed è quindi soggetta ad IRID, e non può godere di tutte le
agevolazioni previste per le FIE.
Fermo il rispetto della soglia partecipativa, l’acquisizione di partecipazioni di società cinese ad opera
di un non residente non comporta particolari conseguenze in relazione alle principali imposte, salvo
che ciò avvenga tramite una fusione, i cui riflessi fiscali sono di notevole rilievo, interessando la disciplina
dei profitti ed accantonamenti, delle perdite, oltre che delle imposte indirette.
218
Per quanto riguarda invece i dividendi distribuiti, la loro imponibilità dipenderà sostanzialmente dalla
tipologia del soggetto percettore, in base alle ordinarie regole di determinazione del reddito stabilite
dall’ordinamento cinese. Sul punto si rinvia, comunque, a quanto in precedenza esposto al riguardo (si
vedano in particolare i paragrafi 12.3.6., 13.3. e 15.2.).
21.2. Costituzione di unità locali e sedi secondarie
Una prima presenza stabile sul territorio cinese può essere costituita tramite l’apertura di un ufficio di
rappresentanza, attraverso il quale, solitamente, possono essere svolte attività di promozione, rappresentanza
e controllo, quali, ad esempio, ricerca di fornitori e clienti, assunzione di informazioni sul mercato
nazionale e informazione su prodotti esteri.
Dall’entrata in vigore della legge sulle società (1994) è inoltre ammessa la costituzione di una filiale o
di una sede secondaria su tutto il territorio della Cina e non già solo nella provincia del Guandong,
come prima del 1994. E’ comunque richiesta l’approvazione dell’investimento da parte dell’autorità
governativa competente; le branches non godono inoltre del privilegio della responsabilità limitata e
non sono ammesse ad usufruire delle agevolazioni fiscali previste per le FIE.
Sotto il profilo fiscale, l’apertura di un ufficio di rappresentanza non comporta particolari oneri fiscali,
se tramite lo stesso vengono esercitate solo attività di promozione o di raccolta di informazioni, non
determinando l’esistenza di una stabile organizzazione.
Di conseguenza, tali uffici di rappresentanza sono esenti da imposizione. Ove invece l’ufficio di
rappresentanza fosse considerato quale centro generatore di profitti per la casa madre, sarà conseguentemente
tassabile; in questi casi l’ufficio di rappresentanza è soggetto all’imposta sulle imprese a capitale
straniero.
La costituzione di una filiale o di una sede secondaria in Cina è considerata invece come allocazione
di una stabile organizzazione sul territorio, come tale soggetta all’imposta sui redditi e alle altre imposte
che colpiscono le società operanti sul territorio nazionale.
La società estera che esercita attività imprenditoriale in Cina tramite una organizzazione di questo tipo
è soggetta a tassazione unicamente sui redditi di fonte nazionale connessi con la sua attività. Il reddito
viene determinato sulla base delle stesse regole che disciplinano il reddito delle società residenti e l’aliquota
è quella ordinaria, (per maggiori dettagli su questi aspetti si rinvia a quanto esposto ai paragrafi 13.2.
e seguenti).
La costituzione di una entità autonoma in Cina, nelle forme della filiale o della sede secondaria, comporta,
inoltre, che l’attività svolta da questa entità sia soggetta alle imposte indirette.
21.3. Costituzione di joint-venture
Sulle diverse tipologie di joint-venture e le differenti modalità di costituzione, nonché per l’analisi delle
svariate opportunità di investimento che le medesime offrono all’operatore straniero si rimanda a quanto
diffusamente al capitolo 1.
Sotto il profilo fiscale, va ricordato come le joint-venture siano considerate imprese a capitale straniero
(FIE), come tale assoggettate alla relativa imposta. In particolare, come rammentato sopra (si vedano
219
i paragrafi 13.2.1. e seguenti) le FIE che abbiano in Cina il proprio centro direzionale (head office)
sono soggette all’IRIS per tutti i loro redditi, ovunque prodotti, sulla base del worldwide taxation
principle. Con riferimento alle imprese straniere, va poi rammentato che, ai fini fiscali, rileva la circostanza
che queste dispongano o meno di una stabile organizzazione in Cina. Nel primo caso, infatti, il reddito
di fonte cinese, cioè il reddito prodotto dalla stabile organizzazione, è determinato e tassato in linea di
principio secondo le ordinarie regole valide per le FIE; nel secondo caso, invece, gli eventuali redditi
di fonte cinese sono soggetti a IRIS mediante ritenuta a titolo di imposta.
21.4. Processing and assembling trade. Compensation trade
Consistono in particolari accordi tra una parte straniera ed una parte cinese, in forza dei quali la parte
straniera fornisce tecnologie, materie prime, componenti (che vengono importati in esenzione di dazi
doganali e IVA) mentre la parte cinese contribuisce mettendo a disposizione locali e forza lavoro,
procedendo alla produzione e assemblaggio secondo le istruzioni del partner straniero.
La parte cinese fabbrica e quindi cede i beni alla controparte straniera, in cambio dell’onorario concordato.
I prodotti finiti normalmente sono destinati alla (ri)esportazione.
In alternativa (ed è questo il caso cosiddetto di “compensation trade”), la società straniera conferisce
servizi, macchinari, equipaggiamenti, tecnologia, know-how, per i quali riceve pagamenti in natura,
solitamente nella forma di prodotti; questi pagamenti, che possono essere strutturati anche come canoni
o tasse di installazione, sono esenti dalla tassazione dei redditi, se l’accordo non comporta il trasferimento
di tecnologia. Al termine dell’accordo, gli strumenti produttivi già conferiti rimangono al partner cinese.
Termini e condizioni dell’accordo (tra cui la durata di questo e a chi spetterà la proprietà di macchinari
e tecnologie una volta terminata la collaborazione) dovranno essere concordati in dettaglio ed essere
sottoposti per la necessaria approvazione alla locale Commissione per le Relazioni Economiche Straniere.
In questo modo, si può ottenere il risultato di intraprendere una attività n Cina, senza dover costituire
alcun genere di impresa.
220
PROSPETTI DI SINTESI
SISTEMA ECONOMICO-COMMERCIALE
Forme societarie
(i) SPA (ii) SRL (iii) società di persone, (due tipologie assimilabili
rispettivamente alle SNC e alle SAS italiane)
Forme societarie specificamente dedicate all’investitore straniero: (i)
EJV (Equity joint-venture), (ii) CJV (contractual joint-venture), (iii)
WFOE (wholly foreign-owned enterprises), (iv) CHC (chinese holding
company)
Società di capitali
• SPA (gufen youxian gongsi)
- Capitale sociale minimo: 10.000.000 RMB;
- Numero massimo di soci: illimitato;
- Organi sociali: assemblea, organo esecutivo (collegiale, da 5 a 19
membri), direttore generale, collegio sindacale;
- Cessione delle azioni: libera (consegna per azioni al portatore, girata
e annotazione a libro soci per quelle nominative).
• SRL (youxian zeren gongsi)
- Capitale sociale minimo: 100.000 RMB, 300.000 RMB, 500.000
RMB a seconda del tipo di attività;
- Numero massimo di soci: 50;
- Organi sociali: assemblea, organo esecutivo (collegiale - da 3 a 13
membri - o monocratico), direttore gene-rale, organo di controllo
(monocratico per le piccole SRL, collegiale – 3 membri - per le
altre);
- Cessione delle azioni: cessione soggetta ad approvazione degli altri
soci, i quali hanno anche diritto di prelazione;
- Responsabilità società/amministrativa: sono previste varie sanzioni
amministrative per il mancato rispetto degli obblighi imposti dalla
legge societaria;
- Recesso: non consentito dopo la registrazione.
Tipi societari dedicati
esclusivamente
all’investitore
straniero
• EJV
- è, assieme alla WFOE, la strumento più utilizzato dagli investitori
stranieri;
- sono costituite nella forma di SRL, ma hanno una legislazione
specifica che si sovrappone a quella delle SRL e presenta
alcune specificità:
- debt/equity ratio: sono imposte soglie minime di capitale sociale
rispetto al passivo complessivo, variabili a seconda
dell’ammontare del passivo stesso (fino a 3 mln USD, tra 3 e 10
mln USD, tra 10 e 30 mln USD, oltre 30 mln USD);
- partner cinese: parte del capitale della EJV deve essere detenuto da
un partner cinese;
221
- iter amministrativo di approvazione del progetto di investimento: la
presenza dell’investitore straniero fa sì che la costituzione di una
EJV sia soggetta ad uno specifico iter di autorizzazioni
amministrative.
• CJV
- possono non assumere forma societaria, ovvero forma di SRL. Come
le EJV hanno una legislazione specifica che si sovrappone a quella
delle SRL e presenta alcune specificità:
- debt/equity ratio: come EJV;
- distribuzione utili: può essere fissata in misura non proporzionale ai
conferimenti;
- conferimenti: possono riguardare anche entità non suscettibili di
essere portate a capitale sociale (assistenza nelle relazioni con
gli organi governativi, etc.);
- partner cinese: parte del capitale della EJV deve essere detenuto da
un partner cinese;
- iter amministrativo di approvazione del progetto di investimento:
come EVJ.
• WFOE
Sono generalmente SRL, ma possono dietro autorizzazione assumere
anche la forma di SPA. Specificità rispetto alle SRL/SPA:
- debt/equity ratio: come EJV;
- partner cinese: come suggerisce il nome, il capitale delle WFOE è
interamente straniero;
- iter amministrativo di approvazione del progetto di investimento: più
stringente che per le EJV.
Tutela della proprietà
industriale
Disciplina dei marchi e dei brevetti recentemente aggiornata e portata in
linea con gli standard europei grazie alla ratifica di tutti i principali
trattati internazionali in materia.
Esiste la nozione di marchio celebre, marchio collettivo e marchio
certificativo.
Tuttavia va notato che anni di inadeguata legislazione e di controlli
insufficienti hanno consentito che l’imitazione e la contraffazione
divenissero fenomeni di larga diffusione.
Regime della
proprietà immobiliare
Non è consentita la proprietà privata sui terreni, urbani ed extraurbani,
ma solo il diritto d’uso.
E’ invece ammessa la proprietà sugli edifici o porzioni di edifici (anche
se la proprietà del terreno su cui insistono rimane pubblica).
222
SISTEMA FISCALE
Imposta sui redditi
delle persone fisiche
(IRPEF)
Aliquote: (i) per i residenti a scaglioni dal 5% al 45% per i redditi di
lavoro dipendente; a scaglioni dal 5% al 35% per i redditi
d’impresa (artigianale); 20% per gli altri redditi; (ii) per i non
residenti ritenuta 20% (o minori aliquote previste nelle
convenzioni interna-zionali).
Soggetti passivi: persone fisiche residenti (domicilio in Cina o residenza
per un anno o più), e non residenti che percepiscono redditi di
fonte cinese.
Imposta sui redditi
delle imprese
domestiche (IRID)
Aliquota ordinaria: 30% (componente statale) + 3% (componente
locale).
Soggetti passivi: (i) imprese statali o delle collettività; (ii) delle società
private interamente cinesi o con partecipazione straniera
inferiore al 25%.
Dichiarazione dei redditi: (i) annuale (entro 45 giorni dalla fine del
periodo d’imposta); (ii) periodica (entro il 15 del mese
successivo a quello del periodo di riferimento).
Liquidazione dell’imposta: (i) annuale (entro 4 mesi dalla fine del
periodo d’imposta); (ii) acconti mensili o trimestrali (entro il 15
del mese successivo a quello del periodo di riferimento).
Imposta sui redditi
delle imprese a
capitale straniero
(IRIS)
Aliquota ordinaria: 30% (componente statale) + 3% (compo-nente
locale).
Aliquote agevolate: 0%/7,5%/10%/12% temporanee e 15%/24%
sine die (componente statale) + 0%/1,5% (componen-te locale).
Soggetti passivi: (i) EJV, (ii) CJV, (iii) WFOE, (iv) SPA e SRL con
partecipazione straniera pari o superiore al 25%.
Dichiarazione dei redditi: (i) annuale (entro 4 mesi dalla fine del periodo
d’imposta); (ii) periodica (entro il 15 del mese successivo a
quello del trimestre di riferimento).
Liquidazione dell’imposta: (i) annuale (entro 5 mesi dalla fine del
periodo d’imposta); (ii) acconti trimestrali (entro il 15 del mese
successivo a quello del trimestre di riferimento).
IRIS: Principali
componenti della base
imponibile
Dividendi: esenti se corrisposti da società residenti in Cina;
ordinariamente imponibili (con crediti d’imposta per le
imposte estere) se corrisposti da società non residenti.
Plusvalenze d’impresa: tassazione ordinaria, anche se inerenti
partecipazioni (no participation exemption, no dilazione della
plusvalenza).
223
Interessi passivi: deducibili se in linea con i tassi di mercato.
Accantonamenti rischi su crediti: deducibilità consentita solo alle
imprese che svolgono attività finanziaria (banche, società di
leasing). Per le altre deduzioni al momento del realizzo.
Ammortamenti: diverse aliquote in relazione alle tipologie di
immobilizzazioni (materiali e immateriali). Il valore
ammortizzabile è dato dal costo meno il valore di realizzo.
IRIS: Altre
informazioni di
interesse
Perdite fiscali: riporto in avanti (carry forward) per 5 anni, non previsto
il riporto all’indietro (carry back).
Normativa CFC: non prevista.
Consolidato fiscale per i gruppi: non previsto (esiste solo un’ipotesi
particolare di dichiarazione consolidata per le imprese straniere
con più stabili organizzazioni in Cina).
Transfer pricing: esiste normativa specifica applicabile alle FIE sia per
operazioni tra residenti che con soggetti non residenti.
Convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni: stipulate con
84 paesi, di cui, con 5 non ancora entrate in vigore.
IRIS: Ritenute alla
fonte sui redditi
percepiti da imprese
soggetti non residenti
prive di stabile
organizzazione
- 10% (aliquota generalmente applicabile a tutti i redditi per effetto di
una decisione del Consiglio di Stato; l’aliquota indicata dalla
legge è del 20%).
- i dividendi distribuiti dalle FIE sono esenti.
La convenzione Italia - Cina prevede:
- 10% su interessi, dividendi e royalties (per le royalties su utilizzo di
attrezzature industriali, commerciali o scientifiche la ritenuta si
applica sul 70% del canone lordo).
IVA
Aliquote: 17% (ordinaria), 13% (acqua, gas, editoria), 0%
(esportazioni).
Presupposti (oggettivo, soggettivo e territoriale): simili a quelli previsti
nella normativa italiana.
Meccanismo di applicazione: simile a quello previsto nella normativa
italiana (detrazione dell’Iva sugli acquisti dall’Iva sulle vendite)
Principali differenze rispetto al D.P.R. 633/72: (i) non è prevista per gli
esportatori abituali la possibilità di acquistare senza applicazione
dell’imposta, ma è invece previsto il rimborso a posteriori, con
aliquote diverse a seconda dei beni e non necessariamente legate
a quelle applicate al momento dell’acquisto; (i) non è applicabile
alle prestazioni di servizi (tranne lavorazioni conto terzi e
manutenzioni) e alle cessioni di beni immobili e immateriali (si
applica invece l’imposta sugli affari).
Liquidazione dell’imposta: generalmente mensile (diverse periodicità
possono essere concordate).
Dichiarazione IVA: mensile.
224
Altri principali tributi
Imposta sugli affari (par. 16.2.)
Imposta sui consumi (par. 16.3.)
Imposta sul valore aggiunto immobiliare (16.4.)
Imposta sull’attività agricola (16.5.)
Imposta sulle risorse naturali (6.6.)
Dazi doganali (16.6.)
Altre (paragrafi da 16.7. a 16.10.)
Fattori chiave per le
agevolazioni fiscali
Le agevolazioni fiscali sono legate alla
Tipologia del soggetto: esclusivamente le FIE (EJV, CJV, WFOE) e
SPA/SRL con capitale in mano straniera superiore al 25% e ad
almeno uno dei seguenti ulteriori fattori:
Ubicazione: nelle zone a regime speciale (SEZ, ETDZ, HTDZ,
COEC/COEZ, BECZ, etc.: par. 17.2.)
Attività: “di natura produttiva”, “orientate all’esportazione”,
“incoraggiate”, “ad alto tasso tecnologico”, etc.
Periodo di operatività: ad esempio superiore a 10 anni, a 15 anni, etc.
L’ammontare dell’investimento: ad esempio, superiore a 30 mln USD, etc.
225
PRINCIPALI RIFERIMENTI NORMATIVI
Generale
• Principi Generali del Diritto Civile, 12 aprile 1986
• Costituzione della Repubblica Popolare Cinese, 4 dicembre 1982
Società e commercio estero
• Legge sul Commercio Estero, 1 luglio 2004
• Catalogo per gli investimenti industriali esteri (il Catalogo è oggetto di periodico aggiornamento)
• Legge sulle WFOE, 12 aprile 1986
• Regolamento di attuazione della legge sulle WFOE, 28 ottobre 1990
• Legge sulle equity joint-venture sino-estere, 1 luglio 1979
• Legge sulle contractual joint-venture sino-estere, 13 aprile 1988
• Regolamento di attuazione della Legge sulle CJV, 7 agosto 1995
Proprietà intellettuale e concorrenza sleale
• Legge sul diritto d’autore, 7 settembre 1990
• Legge sui marchi, 23 agosto 1982
• Regolamento di attuazione della legge sui marchi, 7 settembre 1990
• Legge sui brevetti, 12 marzo 1984
• Regolamento di attuazione della legge sui Brevetti, 12 dicembre 1992
• Legge sulla concorrenza sleale, 2 settembre 1993
Lavoro
• Legge del lavoro, 5 luglio 1994
Immobili
• Legge sulla proprietà immobiliare urbana, 5 luglio 1994
• Legge sulla proprietà immobiliare dei terreni, 25 giugno 1986
• Regolamento sullo sviluppo degli investimenti stranieri e di appezzamenti di terreni, 19 maggio
1990
• Legge sugli edifici ad uso abitativo di proprietà di enti stranieri, 25 agosto 1984
• Regolamento provvisorio sulla cessione e il trasferimento del diritto d'uso immobiliare sugli immobili
di proprietà dello Stato, 19 maggio 1990
Controversie
• Legge sull’arbitrato, 31 agosto 1994
• Legge di procedura civile, 9 aprile 1991
Finanza
• Codice sulla corporate governance delle società quotate, 7 gennaio 2001
• Legge sulle securities, 29 dicembre 1998
• Regolamento sull’apertura di conti correnti denominati in RMB, 10 aprile 2003
Fiscalità
• Legge istitutiva dell’imposta sui redditi delle persone fisiche, 31 ottobre 1993
• Regolamento di attuazione della legge istitutiva dell’imposta sui redditi delle persone fisiche, 28
gennaio 1994
• Legge istitutiva dell’imposta sui redditi delle imprese a capitale straniero, 9 aprile 1991
227
• Regolamento di attuazione della legge istitutiva dell’imposta sui redditi delle imprese a capitale
straniero, 30/06/1991
• Legge sull’amministrazione e la riscossione delle imposte, 28 aprile 2001
• Regolamento di attuazione sull’amministrazione e la riscossione delle imposte, 7 settembre 2002
• Legge istitutiva dell’imposta sul valore aggiunto, 13 dicembre 1993
• Regolamento di attuazione della legge sull’imposta sul valore aggiunto, 25 dicembre 1993
• Legge di attuazione dell’imposta sugli affari, 13 dicembre 1993
• Regolamento di attuazione della legge istitutiva dell’imposta sugli affari, 25 dicembre 1993
• Legge istitutiva dell’imposta sui consumi, 13 dicembre 1993
• Regolamento di attuazione della legge istitutiva dell’imposta sui consumi, 25 dicembre 1993
228
ALCUNI SITI DI INTERESSE
Siti in italiano
• Camera commercio italiana in Cina: http://www.cameraitacina.com
• Ambasciata italiana a Pechino: http://www.italianembassy.org.cn
• Consolato italiano a Shanghai: http://www.conitsha.org.cn
Siti in inglese e/o in cinese
• Sito di legislazione dell’Ufficio Affari Legislativi del Consiglio di Stato: www.cinalaw.gov.cn
• Sito dell’Ufficio Marchi e Brevetti cinese: hwww.sipo.gov.cn
• Camera di Commercio americana in Cina: www.amcham-china.org.cn
• Sito della Banca Centrale: www.pbc.gov.cn
• Commissione di vigilanza sui mercati finanziari: www.csrc.gov.cn
• Borsa di Shanghai: www.sse.com.cn
• Borsa di Shenzhen: www.szse.cn
• Sito della Amministrazione statale per i cambi e le valute estere: www.safe.gov.cn
• Sito del Ministero per il commercio della RPC: www.mofcom.gov.cn
• Sito dell’Agenzia Statale delle Imposte cinese: www.chinatax.gov.cn
• Sito governativo per gli investimenti esteri in Cina: www.fdi.gov.cn
• Sito dell’Associazione cinese delle zone speciali (di sviluppo): www.cadz.org.cn
• Sito della Fiera internazionale cinese degli investimenti ed il commercio: www.chinafair.org.cn
• Sito del governo municipale di Beijing: www.beijing.gov.cn
• Sito governativo per gli investimenti nella provincia di Chongqing: www.investcq.gov.cn
• Sito del governo provinciale di Jiangsu: www.js.gov.cn
• Sito della Shandong International Business net: ww.shandongbusiness.gov.cn
• Sito della Commissione per le relazioni economiche ed il commercio con l’estero di Shanghai:
www.smert.gov.cn
• Sito del governo municipale di Shanghai: www.shanghai.gov.cn
• Sito governativo per gli investimenti nella provincia a Tianjin: www.tjinvest.gov.cn
• Sito del Governo provinciale di Zhejiang: www.zhejiang.gov.cn
229
INDICE ABBREVIAZIONI E ACRONIMI PRINCIPALI
ASIC
BECZ
BPC
CJV
CNP
COEC
COEZ
COFTEC
CSDCC
CSRC
EJV
EPZ
ETDZ
FIE
FTZ
HTDZ
IRID
IRIS
IRPEF
IVA
JV
LC
LCE
LCES
LCT
LUC
MOF
MOFTEC
OCSE
PGDC
QFII
RMB
RPC
SAFE
SAR
SAT
SEZ
SOC
WFOE
WTO
Autorità Statale dell’Industria e del Commercio
Border Economic Cooperative Zones
Banca Popolare Cinese
Contractual Joint-Venture
Congresso Nazionale del Popolo
Coastal Open Economic Cities
Coastal Open Economic Zones
Commission of Foreign Trade and Economic Cooperation
China Securities Depositary and Clearing Corporation
China Security Regulatory Commission
Equity Joint-Venture
Export Processing Zones
Economic and Technological Development Zones
Foreign Investment Enterprise
Free Trade Zones
High-Tech industrial Development Zones
Imposta sul Reddito delle Imprese Domestiche
Imposta sul Reddito delle Imprese Straniere
Imposta sul Reddito delle PErsone Fisiche
Imposta sul Valore Aggiunto
Joint-Venture
Legge sui Contratti
Legge sui Contratti Economici
Legge sui Contratti Economici Stranieri
Legge sui Contratti legati alla Tecnologia
Legge Uniformata sul Contratto
Ministry Of Finance
Minister of Foreign Trade and Economic Cooperation
Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico
Principi Generali di Diritto Civile
Qualified Foreign Institutional Investor
Renminbi / Yuan
Repubblica Popolare Cinese
State Administration of Foreign Exchange
Special Administrative Region
State Administration of Taxation
Special Economic Zones
State-Owned Commercial banks
Wholly Foreign-Owned Enterprise
World Trade Organization
Il Centro di Ricerca sulla Finanza e la Fiscalità Internazionale desidera precisare che il presente
documento deve essere considerato esclusivamente quale guida generale intesa a fornire un quadro
informativo d’insieme del sistema economico, giuridico e fiscale cinese. Le indicazioni contenute nel
presente lavoro sono state inserite sulla base delle informazioni disponibili al momento della sua
elaborazione (settembre 2004) e potrebbero essere soggette a integrazioni, aggiornamenti o altre
modifiche.
231
FINITO DI STAMPARE
NEL MESE DI DICEMBRE 2004 DALLA TIPOGRAFIA
UTVI Tipolito Srl - VICENZA
232