Incontro con le Telecomunicazioni - La Facoltà di Ingegneria Per La Città Estratto dagli atti del ciclo di conferenze sulla storia della scienza tenutosi presso l’Università di Napoli “Federico” II Dall’Elettromagnetismo alle Onde Elettromagnetiche: la genesi delle equazioni di Maxwell O.M. Bucci Dipartimento di Elettronica e Telecomunicazioni Università di Napoli “Federico II” Via Claudio 21, Napoli E-mail [email protected] Nell'inverno del 1819 un professore, allora poco noto, dell'Università di Copenhagen, Hans Christian Öersted, eseguì una esperienza che cambiò completamente il corso successivo dello studio dei fenomeni elettrici e magnetici. In tale esperienza Öersted osservò la deflessione di un ago magnetico posto in vicinanza di un filo percorso da corrente, individuando un legame tra effetti elettrici e magnetici. Ecco come lui stesso, circa un anno dopo i fatti, racconta gli avvenimenti: Hans Christian Oersted (1777-1851) ...pertanto la mia vecchia convinzione sull'identità delle forze elettriche e magnetiche si sviluppò con maggiore chiarezza e decisi di verificare le mie ipotesi 62 (Paragrafo attuale) con un'esperienza. La preparazione fu fatta un giorno in cui dovevo tenere una lezione pomeridiana... Öersted teneva un corso su Elettricità, Galvanismo e Magnetismo. E’ interessante notare la denominazione del corso, che indica come all'epoca per elettricità si intendesse l’elettrostatica mentre i fenomeni legati alle correnti elettriche erano detti galvanici, in quanto non c'era ancora nessuna chiara idea sulla relazione tra cariche e correnti elettriche. ...poiché mi aspettavo che l'effetto fosse meglio osservabile nel caso di una scarica tale da produrre incandescenza, inserii nel circuito un filo di platino molto sottile al di sopra dell'ago: l'effetto fu certamente inequivocabile. All'inizio di luglio ripresi gli esperimenti e li continuai fino a quando giunsi ai risultati che sono stati pubblicati. Öersted pubblicò questa sensazionale scoperta in un lavoro dal titolo Experimenta circa effectum conflictus elettrici in acum magneticum (Copenhagen, 1820). Come a segnare il passaggio da un'epoca all'altra, questa è l'ultima memoria importante nel campo dell'elettromagnetismo scritta in latino, e fornisce una idea della personalità di Öersted, che era ancora legato alla tradizione settecentesca. Immediatamente dopo la pubblicazione di questo articolo gli esperimenti furono ripetuti in tutta Europa e lo stesso articolo fu tradotto, nel giro di pochissimi mesi, in tedesco, in inglese e in francese. All’epoca era abitudine dell'Accademia di Francia tenere una riunione ogni mercoledì, per comunicare e discutere i risultati scientifici più importanti. Arago, presidente della Accademia, l'11 settembre 1820 presentò, ripetendola in pubblico, l'esperienza di Öersted. A questa riunione dell'Accademia era presente André-Marie Ampère. Ampère, nato nel 1775 era già membro dell'Accademia e professore famoso. Figlio di un ricco commerciante lionese, estremamente precoce, a 12 anni aveva letto tutta la biblioteca paterna, compresa l'intera Encyclopédie, di cui conservava ancora memoria da grande. È famoso un episodio di quando, a 12 anni, si recò presso la biblioteca di Lione per richiedere le opere di Bernoulli ed Eulero. Il bibliotecario gli rispose che erano opere di difficile comprensione e che, fra l'altro, erano scritte in latino. Ampere tornò dopo un mese e mezzo avendo imparato il latino e richiedendo il prestito delle opere. Fu professore di matematica, di filosofia e di fisica. All'epoca della presentazione dell’esperienza di Öersted da parte di Arago era professore di astronomia all'università di Parigi. 63 Incontro con le Telecomunicazioni - La Facoltà di Ingegneria Per La Città André-Marie Ampère (1775-1836) Ampère fu estremamente colpito dall'esperienza e immediatamente pensò alla possibilità che oltre che tra correnti e magneti, ci potesse essere un effetto di interazione fra le correnti. Appena una settimana dopo, Ampère presentò e dimostrò l'esistenza degli effetti mutui fra le correnti in due successive sedute, il 18 e il 25 settembre. La presentazione ottenne un eccezionale successo. Di tale riunione si riporta un episodio in cui una persona del pubblico commentò il risultato di Ampère dicendo: "...ma cosa ha fatto di particolarmente importante Ampère? È evidente, tutto sommato, che se le correnti agiscono sugli aghi e l'ago per reazione agisce sulle correnti, le correnti agiscono fra di loro." Arago, che presiedeva come sempre la riunione, si alzò e prese due chiavi di ferro che teneva in tasca. Avvicinò una delle chiavi all’ago della bussola (che ovviamente fu deflesso), poi pose la chiave vicino all'altra chiave e disse rivolgendosi alla persona che aveva mosso la critica "...adesso fammi attrarre le due chiavi fra di loro!", dimostrando l'inconsistenza dell'argomento dell'accademico che era intervenuto. Subito dopo questa presentazione, Ampère iniziò una serie molto raffinata di esperienze. Nel frattempo, Biot e Savart, il 30 ottobre, comunicarono, e immediatamente dopo pubblicarono, la legge quantitativa del fenomeno scoperto da Öersted che, viceversa, si era limitato ad una semplice illustrazione qualitativa. Ampere iniziò a lavorare a ritmi serrati sul fenomeno scoperto e nel '25 pubblicò la Mémoire sur la théorie mathematique des phénomènes electrodinamique uniquement déduite de l’experience, che ebbe risonanza e diffusione immediata e valse ad Ampère l’appellativo di "Newton dell'elettrologia". In tale lavoro Ampère riuscì a ridurre tutti i fenomeni e le leggi dell'interazione elettromagnetica in termini puramente newtoniani, introducendo la famosa legge elementare di Ampere che fornisce l'interazione fra due elementini di corrente. Nella stessa memoria pose inoltre le fondamenta dell'altro grandissimo contributo dato all'elettrologia: 64 (Paragrafo attuale) l'interpretazione amperiana del magnetismo ovvero l'ipotesi che tutti i fenomeni magnetici fossero dovuti esclusivamente all’interazione tra correnti. In realtà i risultati ottenuti non erano stati dedotti completamente dall'esperienza in quanto Ampère introdusse l'ipotesi, tanto naturale nell’ambito di una visione newtoniana da essere considerata ovvia, che la forza fra i due elementi fosse diretta lungo la congiungente. Anche se oggi sappiamo che ciò non vero, nello studio condotto da Ampère era una ipotesi lecita, poiché fin quando si opera con circuiti chiusi il risultato che si ottiene è corretto, in quanto esistono infinite leggi elementari che conducono allo stesso risultato, se applicate a circuiti chiusi. Era stato ormai dimostrato che una corrente genera quello che noi oggi chiamiamo un campo magnetico e quindi agisce sia sulle altre correnti sia sull'ago magnetico. Era abbastanza naturale pensare che ci dovesse essere una simmetria e quindi che dovesse esistere un effetto dei campi magnetici sulle correnti elettriche. Ampère dal '27 in poi andò alla ricerca, inutilmente, di tale effetto. L’effetto fu infine trovato da un fisico inglese, Michael Faraday. Michael Faraday (1791-1857) Faraday era figlio di un maniscalco. Autodidatta, ebbe la fortuna di essere messo a bottega dal padre in una legatoria. Il giovane Faraday oltre a rilegare i libri, li leggeva. In tal modo acquisì una preparazione scientifica di base. Ciò fu notato da un cliente di questo rilegatore, il quale gli procurò dei biglietti per assistere a delle lezioni alla Royal Institution, a Londra. A quell'epoca il presidente della Royal Institution era un famosissimo scienziato, nominato baronetto per i suoi meriti scientifici, Sir Humphry Davy. Faraday seguì con attenzione tutte la serie di lezioni di Davy e ne compilò degli appunti, che rilegò e presentò a Davy. L'accuratezza di questi appunti, che mostravano le capacità di comprensione di Faraday, colpirono Davy, che gli offrì un posto di assistente. L'anno successivo, nel '13, Davy portò Faraday con se in un viaggio in Europa che durò quasi due anni. Questa esperienza 65 Incontro con le Telecomunicazioni - La Facoltà di Ingegneria Per La Città permise a Faraday di entrare in contatto con la scienza europea, istituendo una serie di contatti scientifici. Successivamente Faraday entrò a far parte della Royal Institution, fu eletto alla Royal Society nel '24, diventò direttore del laboratorio alla Royal Institution l'anno dopo. Faraday è stato forse il più grande, certamente fra i più grandi, scienziati sperimentali di tutti i tempi. L'insieme dei suoi appunti di laboratorio, tenuti con scrupoloso ordine, sono il resoconto di oltre 17.000 esperienze accuratamente registrate e furono la base di un famoso insieme di pubblicazioni, le Experimental Resource in Electricity, che ebbero un'influenza notevolissima su tutto lo sviluppo dell'elettrologia e in particolare sul lavoro di Maxwell. Il 29 agosto del 1831, Faraday scoprì il fenomeno dell'induzione elettromagnetica. La figura mostra la pagina del suo diario di laboratorio in cui è riportata l'esperienza. È rappresentato un anello di metallo, su cui sono avvolti due avvolgimenti. Faraday notò che variando il campo magnetico prodotto da una delle due correnti si otteneva un effetto di corrente indotta sull'altra. Il motivo per cui non si era riuscito ad individuare tale effetto era che tutti, fino ad allora, avevano effettuato esperimenti con campi stazionari; la chiave, viceversa, era proprio quella della variazione della corrente. In realtà il fenomeno dell'induzione elettromagnetica era stato già scoperto da Henry in America, il quale però pubblicò i suoi risultati con un anno di ritardo su una rivista americana. All'epoca pubblicare su una rivista americana significava non essere letti dalla scienza che contava, e la sua scoperta rimase praticamente sconosciuta. Pagina del diario di laboratorio di Faraday del 29 agosto 1831 Questa esperienza fondamentale, di cui fra l'altro Faraday non enunciò le leggi quantitative, dette inizio agli sviluppi successivi. Un ulteriore contributo che Faraday apportò fu la dimostrazione della identità tra le correnti galvaniche e quelle dovute al moto di cariche. La dimostrazione che le cariche in moto hanno gli stessi 66 (Paragrafo attuale) effetti della correnti prodotte dalle pile permetteva finalmente di dire che tutti i fenomeni, sulla base dell'ipotesi amperiana, erano dovuti semplicemente a interazioni tra cariche in riposo o in moto relativo. Questo aprì, naturalmente, la possibilità di approntare una visione unificata dei fenomeni elettromagnetici. Successivamente lo stesso Faraday scoprì l'effetto giromagnetico, cioè l’esistenza di un effetto del campo magnetico sulla polarizzazione della luce, ed affrontò lo studio dei fenomeni di polarizzazione elettrica e magnetica. Ciò lo portò ad elaborare quel concetto di campo come un insieme di linee di forza che in qualche modo riempiono lo spazio e trasmettono le azioni, che sarà cruciale per gli sviluppi successivi. La concezione di Faraday modificava completamente la prospettiva con cui vedere le azioni elettromagnetiche: invece che azioni a distanza fra cariche in quiete o in moto, azioni trasmesse dal mezzo attraverso tubi di flusso che riempiono tutto lo spazio esercitando una azione sulle cariche. Probabilmente, l'origine di questa concezione è il ben noto esperimento delle linee di forza visualizzate con la limatura di ferro, riportato in figura. In realtà, la capacità immaginativa di Faraday andò ben oltre arrivando fino a formulare l'ipotesi che la luce fosse un fenomeno elettromagnetico dovuto alla perturbazione del campo, e addirittura a sperimentare la possibilità di individuare degli effetti gravito-elettrici, cioè effetti del campo gravitazionale sui fenomeni elettrici. Tali fenomeni sono in realtà esistenti (sono previsti dalla teoria della relatività generale), ma la loro rilevazione sperimentale va ben oltre le possibilità di quel tempo. Laboratorio di Faraday alla Royal Institution Pagina del diario di laboratorio di Faraday:linee di forza magnetiche tracciate con limatura di ferro Nonostante i contributi dati, lo sviluppo immediatamente successivo dell'elettromagnetismo non seguì la via proposta da Faraday, basata sul concetto di campo. La ragione fondamentale di ciò risiede da un lato nell’assoluto dominio del 67 Incontro con le Telecomunicazioni - La Facoltà di Ingegneria Per La Città paradigma newtoniano nella fisica del tempo, dall’altro nel fatto che Faraday, non avendo una profonda base matematica, non fu capace di formulare le idee in un modo accettabile secondo i criteri elaborati per la fisica matematica, portati a sommi livelli dalla scuola continentale europea. La teoria dei fenomeni elettromagnetici fu sviluppata, pertanto, ancora in termini di azioni a distanza. Tale approccio fu formalizzato da due tedeschi, Neumann e Weber, i quali, ad un anno di distanza, elaborarono due teorie delle azioni elettromagnetiche semplicemente in termini di azioni a distanza fra particelle in moto. L’unica differenza cruciale rispetto alla meccanica classica era che queste forze non dipendevano solo dalla distanza ma anche dalla velocità e dall’accelerazione con cui le particelle si muovevano. Siamo quindi arrivati all'attore principale di questa storia: James Clerk Maxwell. Maxwell bambino (disegni della cugina Jemina) Nato ad Edimburgo nel 1831, morto relativamente giovane nel 1879, apparteneva ad una famiglia della nobiltà scozzese, i Clerk, che acquisì l’ulteriore cognome di Maxwell a seguito di un'eredità che il padre aveva ricevuto. Maxwell visse la sua infanzia in un possedimento di campagna che i Clerk avevano a Glenlair, 100 Km circa a sud di Glasgow, fino a circa l'età di 12 anni. Studiò all'Università di Edimburgo, e successivamente a Cambridge. Quivi, ad appena 23 anni, affrontò con successo il terribile “tripos”, esame che era necessario superare alla fine della propria carriera a Cambridge per potersi laureare. Il termine deriva da un’antica tradizione, consistente nel sottoporre il candidato ad un esame farsesco da parte di uno studente anziano laureato, seduto, per l’appunto, su uno sgabello a tre piedi. La prova era di eccezionale difficoltà e consisteva nello sviluppare e discutere un argomento assegnato, che in genere equivaleva ad un nuovo risultato. L’esame fu poi abolito a causa della eccessiva severità, tale da spingere anche alla follia ed al suicidio i candidati respinti. Dopo aver affrontato il problema della visione dei colori, elaborando la teoria dei tre colori fondamentali su cui si basano tutti i processi di ricostruzione dei colori nei sistemi di telecomunicazione moderni, Maxwell spostò il suo interesse verso l’elettromagnetismo. Il lavoro di costruzione dell'elettromagnetismo da parte di Maxwell fu portato avanti in un tempo relativamente ristretto ed è tutto contenuto, 68 (Paragrafo attuale) sostanzialmente in tre memorie. La prima, On Faraday lines of force, fu letta alla Cambridge Society in due parti, il 10 dicembre del '55 e l'11 febbraio del '56, e subito dopo pubblicata. La seconda, On physical lines of force fu pubblicata in più parti, nel 1861 e nel 1862, ed è forse, come vedremo, la più importante delle tre. La terza: A dynamical theory of the electromagnetic field (1864), fu letta alla Royal Society l’8 dicembre 1864 e pubblicata l’anno successivo. Nella prima memoria l’obiettivo di Maxwell è dimostrare che le concezioni di Faraday non erano delle idee, più o meno qualitative, di un genio sperimentale privo di capacità matematiche, ma potevano essere formalizzate in un modo matematicamente ineccepibile e, quindi, accettabile come descrizione possibile delle interazioni elettrodinamiche ed elettromagnetiche. Per raggiungere questo obiettivo utilizzò una analogia con il moto di un fluido incomprimibile, privo di massa, soggetto a delle forze che lo mettono in moto e a delle forze resistenti proporzionali alla velocità. Applicando questo modello ai vari casi possibili Maxwell trovò, applicando? le leggi del moto dei fluidi con opportuna identificazione delle velocità e delle forze, tutte le leggi dell'elettricità e del magnetismo, dimostrando che effettivamente era possibile un modello coerente in termini di campo di tutto ciò che all'epoca era noto. Ad esempio, nel caso della magnetostatica la velocità viene identificata con l'induzione magnetica, mentre le forze che mettono in moto il fluido sono rappresentate dal campo magnetico. Ne consegue che le forze sono irrotazionali mentre il vettore di induzione magnetica risulta essere solenoidale, in quanto il fluido è incomprimibile. Nel caso elettrostatico la velocità è identificata con l'induzione elettrica e la forza con il campo. Le forze risultano irrotazionali, mentre il campo non è più a divergenza nulla ma la divergenza è legata alle densità di cariche che danno origine al campo. Nel caso dell'elettrodinamica Maxwell dimostrò che tutta la formulazione di Ampère è equivalente a quella che noi oggi chiamiamo (impropriamente) legge della circuitazione di Ampère (ovvero che la circuitazione del campo magnetico intorno ad un conduttore fornisce la corrente che fluisce attraverso il conduttore). Maxwell notò inoltre che da questa equazione conseguiva che le correnti dovevano essere sempre “chiuse”, come diceva, ovvero a divergenza nulla. “Le nostre indagini sono quindi allo stato limitate alle correnti chiuse; di fatto conosciamo poco sugli effetti magnetici delle non chiuse”, su cui, fra l'altro, all'epoca non era stata fatta nessuna esperienza. Infine Maxwell introdusse un'altra innovazione: trattando l'induzione elettromagnetica dimostrò che la legge di LenzNeumann, che lega la forza elettromotrice indotta alla variazione di flusso concatenato, è equivalente ad introdurre un vettore, che oggi chiamiamo potenziale vettore, da cui dedurre l'induzione magnetica, e che la forza elettromotrice indotta non è altro che la derivata temporale di questo vettore. Maxwell interpretò il potenziale vettore come il vettore che descriveva un effetto fisico, ovvero lo “stato elettronico del mezzo”, un concetto anch’esso proposto da Faraday. 69 Incontro con le Telecomunicazioni - La Facoltà di Ingegneria Per La Città James Clerk Maxwell (1831-1879) Schema del modello meccanico adottato nella seconda memoria La seconda memoria segue di circa sei anni la prima. In questo periodo Maxwell non pubblicò nulla sull'elettromagnetismo, occupandosi di altri campi di ricerca inerenti la teoria cinetica dei gas, e completò la teoria dei colori. Pubblicò, fra l'altro, un famosissimo lavoro sugli anelli di Saturno dimostrando che essi non potevano essere né solidi né gassosi ma dovevano essere costituiti da un insieme di particelle solide, utilizzando un approccio puramente dinamico e matematico. Il modello utilizzato nella seconda memoria partiva dalla considerazione dei su ricordati effetti giromagnetici, che suggerivano di associare al magnetismo una rotazione. Maxwell concepì il campo magnetico come dovuto a vortici la cui velocità era proporzionale al campo magnetico. La direzione dell'asse del vortice forniva la direzione del campo magnetico, come mostrato dalla figura, estratta dalla memoria. Naturalmente il fatto di avere tutti questi vortici paralleli pone immediatamente un problema meccanico: come fanno i vortici a girare se dove si toccano devono muoversi in senso opposto? Per permettere ai vortici di girare nella stessa direzione, fra un vortice e l'altro Maxwell inserì delle sferette che rotolano senza strisciare. In analogia al meccanismo del differenziale, nel caso in cui tutti i vortici ruotano con la stessa velocità le sferette rimangono ferme, altrimenti vi sarà uno slittamento reciproco. Analizzando matematicamente questo modello, Maxwell riuscì immediatamente a dimostrare che c'era una relazione puramente cinematica fra la velocità con cui ruotano i vortici (cioè il campo magnetico) e la velocità con cui si spostano queste sferette (o meglio il numero di sferette che passa attraverso una superficie nell'unità di tempo). Interpretando il moto di queste sferette come corrente elettrica ottenne la legge di circuitazione di Ampere, ovvero dimostrò che la quantità di sferette che passa nell'unità di tempo attraverso una superficie è pari al rotore della velocità. Inoltre, supponendo che questi vortici non si muovessero a velocità costante nel tempo, e sfruttando il fatto che essi hanno una massa, assunta proporzionale alla 70 (Paragrafo attuale) permeabilità del mezzo, osservò che una variazione della velocità dei vortici esercita una forza sulle sferette. Interpretando questa forza come forza elettromotrice indotta ottenne la legge dell'induzione elettromagnetica. In questo modo il modello includeva tutti i fenomeni elettromagnetici riguardanti il magnetismo e le correnti indotte. Per descrivere i fenomeni elettrostatici Maxwell suppose che i vortici fossero costituiti da una materia elastica, in modo tale che se si agisce con una forza su queste particelle (ovvero sulle sferette) senza far girare i vortici, questi si deformano fino a quando la forza di richiamo elastica non equilibra la forza applicata. Interpretando la forza che agisce come campo elettrostatico e la deformazione elastica come l'induzione, Maxwell ottenne le leggi dell'elettrostatica. A questo punto Maxwell fece una osservazione di importanza fondamentale. Suppose di deformare il sistema, e studiò cosa accadeva dopo la deformazione lasciando il sistema libero di evolvere. Naturalmente i vortici, che sono elastici, tendono a ritornare nella posizione di equilibrio e quindi producono un movimento transitorio delle sferette. Ma un movimento di queste sferette deve produrre un campo magnetico. Ecco quindi che anche le correnti transitorie, dovute a variazioni di spostamento, devono produrre un effetto magnetico. Ciò significa che devono esistere degli effetti magnetici delle correnti di spostamento. Analizzò quindi che cosa accadeva se si deformava questo mezzo, ottenendo che, come conseguenza delle leggi della meccanica, si generavano delle perturbazioni elastiche, che si propagavano nel mezzo. Calcolando la velocità di propagazione di queste perturbazioni, trovò che essa era pari (nell'ambito dell’incertezza sperimentale) alla velocità della luce. Ebbe quindi il coraggio di fare un salto intellettuale enorme, ed affermare che la luce è un fenomeno elettromagnetico. Questo concetto, e la teoria elettromagnetica del campo, furono ripresi, questa volta senza far riferimento ad alcun modello, nella terza memoria. In questo lavoro Maxwell adottò solo le leggi della dinamica nella loro forma più generale, quella che noi oggi chiamiamo la forma lagrangiana. Postulò unicamente l’esistenza di un mezzo meccanico sede dei fenomeni elettromagnetici. Identificò i parametri fondamentali dinamici in termini elettromagnetici e sviluppò le equazioni fondamentali che oggi sono alla base dell'elettromagnetismo. Nella stessa memoria sviluppò a fondo la teoria elettromagnetica della luce non più, questa volta, deducendola da un modello ma dalle equazioni del campo elettromagnetico. Per la loro rilevanza storica si riportano le equazioni nella formulazione originale ottenuta da Maxwell, più complessa rispetto alla formulazione oggi utilizzata, derivata invece da Lorentz. Secondo le denominazioni date da Maxwell, abbiamo l’equazione delle correnti totali, l’equazione della forza magnetica, l’equazione delle correnti, l’equazione della forza elettromotrice, l'equazione dell'elasticità elettrica (il nome della relazione fra campo elettrico e induzione elettrica è l’unico residuo del modello meccanico utilizzato nelle memorie precedenti). Abbiamo quindi l'equazione di Ohm in forma locale, l'equazione dell'elettrostatica e l'equazione di continuità della corrente. 71 Incontro con le Telecomunicazioni - La Facoltà di Ingegneria Per La Città A) B) C) D) E) F) G) H) UCU= UKU + UDU µUHU = rotUAU rotUHU = 4πUCU UEU = UVU^UBU - dUAU/dt – grad Φ UEU = kUDU UEU = ρUKU divUDU = e divUKU = -de/dt eq. delle correnti totali eq. della forza magnetica eq. delle correnti eq. della forza elettromotrice eq. dell’elasticità elettrica eq. della resistenza elettrica eq. dell’elettricità libera eq. di continuità Equazioni di Maxwell nella forma originale L'evoluzione successiva, che ha portato alle equazioni di Maxwell così come oggi sono note, è consistita nell’eliminazione dei potenziali. Come già notato, questo passo non fu fatto da Maxwell. Ciò fu probabilmente dovuto al suo impegno morale nel cercare di dare interpretazioni matematiche e fisiche a tutte le idee di Faraday (e quindi voler conservare un senso fisico allo stato elettrotonico). I risultati ottenuti nelle tre memorie costituiscono la base del famosissimo Treatise on Electricity and Magnetism, pubblicato nel 1873. Nel 1879 Maxwell morì, mentre attendeva alla revisione della seconda edizione del trattato. Le idee di Maxwell stentarono ad essere accettate. Nel continente continuò l'approccio all'elettromagnetismo in termini di azioni a distanza. Mentre Maxwell pubblicava il trattato, von Helmholtz, che era lo scienziato più famoso dell'epoca nell'ambiente europeo, e poi Clausius, pubblicarono ulteriori trattazioni dell'elettromagnetismo raffinando le precedenti di Weber. Tali lavori erano tutti basati sul concetto di azioni a distanza, continuando a rifiutare l'approccio in termini di campo e anche alcune delle conclusioni rivoluzionarie che da questo approccio erano conseguite, come l'esistenza della pressione di radiazione. L'effetto più immediato della rivoluzione maxwelliana si ebbe non sull'elettrodinamica, bensì sull'ottica. Infatti, al contrario di ciò che era accaduto nell’ambito dei fenomeni propriamente elettromagnetici, dopo la pubblicazione del trattato partì subito la reinterpretazione dell'ottica in termini elettromagnetici, con i contributi fondamentali forniti da Lorentz e Fitzgerald, fra il '75 e il '78. Negli anni '80, in particolare per la prima volta nell'81 da Michelson in modo non sufficientemente accurato e poi nell'87 da Michelson e Morley, fu tenuta la famosa esperienza tendente a mettere in rilievo il moto della terra rispetto all'etere, sede della propagazione delle perturbazioni ottiche. Una delle conseguenze più impressionanti della teoria di Maxwell era, infatti, la previsione che le onde elettromagnetiche si muovessero con la velocità della luce. Era naturale pensare che tale velocità dovesse essere misurata rispetto all'etere, cioè rispetto al mezzo meccanico che supporta queste fluttuazioni. Doveva quindi essere possibile comporre la velocità della luce con quella della terra in movimento nell’etere e misurare la differenza di velocità relativa. Come ben noto, questa esperienza diede risultati negativi che determinarono poi conseguenze cruciali nella fisica. 72 (Paragrafo attuale) Heinrich Rudolf Hertz (1857-1894) Figura estratta dalla memoria di Hertz del 1887 Tornando all'elettromagnetismo, l'affermazione della teoria di Maxwell e, in particolare, la dimostrazione dell'esistenza delle onde elettromagnetiche è dovuta ad Heinrich Hertz. Hertz, morto anche lui giovane, e anche lui di cancro come Maxwell, era di origine ebrea. In quanto ebreo non poteva accedere, pur essendo di famiglia nobile, alla carriera militare e quindi seguì la carriera scientifica. Hertz fu un personaggio di intelligenza eccezionale; parlava sette lingue correntemente, compreso arabo, italiano, greco, e latino, era un'escursionista (amava recitare Dante durante le escursioni sulle Alpi), ed esperto egittologo. Dopo aver iniziato i suoi studi a Monaco, Hertz, ancora molto giovane, si trasferì a Berlino dove fu allievo di Helmholtz. A Berlino iniziò le esperienze che portarono alla dimostrazione dell'esistenza delle onde elettromagnetiche. La prima esperienza, dell'ottobre dell'86, fu raffinata nell'anno successivo e pubblicata nell'87. Come si usava allora, Hertz mandò ad Helmholtz il manoscritto di cui si riporta la cartolina con cui Helmholtz rispose: ..ho ricevuto il manoscritto. Bravo! Mi affretterò a passarlo al tipografo giovedì (datato 7 novembre 1887). I risultati furono presentati in una serie di memorie dall'87 all'89, di cui si riporta una figura della prima memoria, che mostra il famoso oscillatore di Hertz, gli specchi parabolici e tutti gli apparati sperimentali con cui dimostrò che le onde elettromagnetiche generate, questa volta, da correnti e non più da sorgenti ottiche, si comportavano come le onde luminose. In una memoria successiva compaiono per la prima volta dei disegni che mostrano l'andamento delle linee di forza del campo elettrico e magnetico irradiati da un dipolo elementare, chiamato, per l’appunto, dipolo hertziano. L'elettromagnetismo è ormai diventato lo studio dei campi elettromagnetici che si propagano sotto forma di onde. Le conseguenze di ciò hanno cambiato completamente l'evoluzione non soltanto della fisica, ma anche della vita di tutti i giorni. Nel '95, cioè dopo appena sette anni dalla dimostrazione dell'esistenza delle onde elettromagnetiche, Marconi faceva le sue esperienze di telegrafia senza fili. 73 Incontro con le Telecomunicazioni - La Facoltà di Ingegneria Per La Città Cartolina di Helmholtz a Hertz Dieci anni dopo Einstein, nel 1905, risolveva il problema dei risultati negativi dell'esperienza di Michelson e Morley, sovvertendo completamente il punto di vista, e rinunciando alla dinamica newtoniana per una dinamica in cui, in qualunque sistema di riferimento, le equazioni di Maxwell, e non le equazioni Newton, conservavano immutata la loro forma. A questo punto il cerchio si chiude, e le stesse equazioni di Maxwell, nate da un modello meccanico, distruggono ogni modello meccanico dell'etere. Le conseguenze di tali equazioni costringeranno, da Einstein in poi, ad abbandonare ogni concezione meccanica del campo elettromagnetico. La storia del cammino verso le equazioni di Maxwell fornisce un meraviglioso esempio del modo in cui la Scienza si sviluppa e del complesso rapporto fra teoria ed esperienza. Per quanto l’esperienza spesso indirizzi lo sviluppo delle teorie e, a volte, costringa a modificarle o a svilupparne di nuove, il caso delle equazioni di Maxwell (come quello della rivoluzione copernicana) mostra come innovazioni teoriche cruciali possano essere il prodotto di un diverso modo di guardare agli stessi fenomeni, alternativo rispetto al paradigma dominante e frutto, in ultima analisi, di istanze “metafisiche”. L’immagine naive di una scienza che procede per accumulo di esperienze e generalizzazioni teoriche è profondamente sbagliata. Nessuna teoria può essere logicamente dedotta da un numero finito di esperienze perché ogni teoria, per definizione, comprende infinite possibilità e, quindi, trascende l’esperienza. Per la stessa ragione nessuna teoria può mai essere confermata, perché nessuno può mai logicamente escludere che il giorno dopo una nuova esperienza la metta in crisi. Lungi dall’essere un difetto, è proprio questa falsificabilità che distingue la scienza dalla metafisica e chiarisce il ruolo dell’esperienza, insieme levatrice ed assassina delle teorie. Noi costruiamo teorie e le manteniamo fino a quando l’esperienza non ci costringe ad abbandonarle. Da questo punto di vista la teoria del campo elettromagnetico è certamente una delle più ampie e robuste che siano mai state sviluppate. Da essa, in pochi anni, è nato un universo completamente diverso, nonché la previsione di un numero di fenomeni enormemente maggiore rispetto a quelli che erano stati alla base degli sforzi di Maxwell per elaborare la teoria stessa. Questo è quello che distingue le 74 (Paragrafo attuale) teorie importanti da quelle secondarie o transitorie. Le teorie che si limitano a sistemare ciò che si sa già hanno vita breve. Sono le teorie che vanno oltre i fenomeni noti e ne fanno prevedere di completamente nuovi quelle che sono destinate ad avere rilevanza nella storia della scienza e della nostra immagine del mondo. Riferimenti: E. Segre: Personaggi e scoperte della fisica classica, Biblioteca E.S.T.,Mondadori,1983. E. Whittaker:A History of the Theories of Aether and Electricity, Dover,New York,1989. J.L. Heilbron: Alle origini della fisica moderna: il caso dell’Elettricità, Il Mulino,1984. M. Pera: La rana ambigua: la controversia sulla elettricità animale tra Galvani e Volta, Einaudi, 1986. C. De Marzo: Maxwell e la fisica classica, Laterza, 1978. E. Agazzi: Introduzione al Trattato di Elettricità e Magnetismo , i classici della Scienza,UTET,1973. Ovidio Mario Bucci è nato a Civitaquana (Pescara) il 18 novembre 1943. Si è laureato in Ingegneria Elettronica presso l'Università di Napoli nel 1966. Dal 1967 al 1975 è stato Assistente ordinario presso l'Istituto Universitario Navale di Napoli. Dal 1980 al 1985 è stato professore associato di Elettronica Quantistica presso la Facoltà di Ingegneria dell’Università di Napoli, dove, dal 1976, è Professore ordinario di Campi Elettromagnetici. Dal 1984 al 1986, e dal 1992 al 1993, è stato Direttore del Dipartimento di Ingegneria Elettronica e, dal 1993 al 2000, Pro Rettore dell’Università di Napoli. Dal 2001 e’ Direttore dell’Istituto per il Rilevamento Elettromagnetico dell’Ambiente (IREA) del CNR. Dal 2002 è membro del Consiglio Direttivo e della Giunta del CNIT (Consorzio Nazionale Interuniversitario per le Telecomunicazioni) e dal 2005 del Consiglio di Amministrazione del CeRICT (Centro Regionale Information e Communication Tecnology). E’ autore o coautore di oltre 300 lavori scientifici, pubblicati per gran parte su riviste internazionali o atti di Convegni internazionali. La sua attività scientifica riguarda la diffusione da parte di superfici e riflettori caricati e il loro uso nel controllo della radiazione da antenne a riflettore, l’analisi e la sintesi di antenne, lo studio delle proprietà analitiche dei campi elettromagnetici e lo sviluppo di rappresentazioni con un campionamento non ridondante, le tecniche di misura NF-FF, i problemi inversi e la diagnostica elettromagnetica non distruttiva, e, recentemente, le applicazioni dei campi elettromagnetici al controllo di processi biologici. E’, inoltre, autore di contributi sulla storia dell’Elettromagnetismo. O.M. Bucci è Fellow dell’IEEE e membro dell’Accademia Pontaniana. E’ stato insignito di diversi premi e riconoscimenti, tra cui la medaglia d'oro del Presidente della Repubblica quale benemerito della Scienza e della Cultura.. E’ stato Presidente del Gruppo Nazionale Italiano di Elettromagnetismo, Membro del Management Committee della European Microwave Conference, Presidente del chapter MTT-AP della IEEE Center-South Italy Section e Direttore del C.I.R.M.A. (Centro Interuniversitario di Ricerca sulle Microonde e le Antenne). 75