A.R.I.F.S. onlus
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Cesare Luporini
La concezione della storia in Marx.
(conferenza tenuta per un pubblico di studenti)
Brescia, 22 maggio 1984
c/o Quadriportico di Piazza della Vittoria
(trascrizione non rivista dall’autore)
Il tema è la concezione della storia in Marx. Io prendo questo tema alla lettera, in certo modo in
presa diretta. Questo vuol dire anche tenere distinto Marx dal marxismo o dai vari marxismi che gli
sono succeduti, in forme che si sono chiamate ortodosse (e quando sono ortodosse vuol dire che ci
sono anche delle eresie), che sono state importanti, certo, storicamente, particolarmente per la storia
del movimento operaio internazionale, i marxismi che si ispirano, o dicono o dicevano di ispirarsi, a
Marx, ma che non sono Marx. Questa é una prima distinzione che credo importante, fondamentale.
Esiste una bellissima, importantissima Storia del marxismo pubblicata da Einaudi in sei volumi,
un'opera collettiva, internazionale; però il primo volume di questa storia, a mio parere, ha un titolo
sbagliato, perché si chiama "Il marxismo al tempo di Marx”; ecco, un marxismo al tempo di Marx
poteva anche esistere (dal punto di vista logico non ci sarebbe nessuna contraddizione), come
poteva esistere un aristotelismo al tempo di Aristotele; di fatto non c'è stato, c'è stato dopo. Il
marxismo al tempo di Marx non c'è stato, e certamente a Marx avrebbe ripugnato molto la parola
stessa, la personalizzazione (come si dice freudismo, invece di psicanalisi), questa
personalizzazione avrebbe ripugnato certamente al suo modo di vedere. Del resto è noto che lui
stesso diceva “non sono marxista". Però forse intendeva un'altra cosa: non sono un capo setta, non
sono un capo fazione. L'idea stessa di un marxismo non esisteva. Cominciò - è una singolare
coincidenza storica - a esistere proprio immediatamente dopo la morte di Marx nel 1883, quando
Kautsky fondò una rivista in Germania, che doveva affiancare la socialdemocrazia tedesca e si
chiamava la Neue Zeit (Il tempo nuovo), e disse che era il centro di raccolta della scuola marxista.
Si può quasi dire che il marxismo ha una data: comincia un mese dopo la morte di Marx.
Io penso che oggi abbiamo interesse a rifarci a Marx direttamente, come dicevo, in presa diretta.
Marx ha analizzato soprattutto la società del suo tempo, il capitalismo (lui non adoperava questa
parola, ma dopo è entrata in uso; lui diceva "modo di produzione capitalistico”, era sempre
aggettivo; oppure c'erano “i capitalisti", oppure c'era "Il Capitale", che è il titolo più famoso della
sua opera più importante). Comunque ha analizzato la società della sua epoca, e la sua epoca.
Ora, il nostro tempo è molto diverso da quello analizzato da Marx; però nello stesso tempo la nostra
epoca è figlia di quella di Marx, ne discende direttamente: si tratta di vedere se Marx ha ancora
qualcosa da dire, da insegnare, per esempio nel suo modo e metodo di analizzare le cose.
Inoltre noi abbiamo un’immagine molto più ricca del pensiero di Marx, e della formazione di questo
pensiero, di quella che non avessero questi primi - chiamiamoli - fondatori del marxismo, o dei
marxismi, perché in questo mezzo secolo sono state pubblicate tante opere, particolarmente del
periodo più giovanile di Marx, ma poi del Marx che, prima di essere comunista, era stato un
radicale liberale, soprattutto pratico, poi un democratico, un democratico estremo, soprattutto
teorico, e poi simmetricamente diventa comunista e scopre - diciamo così - il materialismo storico.
Ma poi anche altri materiali, molto recentemente pubblicati, del Marx più maturo, del Marx della
critica dell'economia politica, particolarmente degli anni 1860-61-63, materiali interessantissimi,
che ci danno un'immagine estremamente più ricca, mossa, movimentata, di Marx, di quella che non
ci fosse, supponiamo, alla fine del secolo o al principio del secolo, o ancora negli anni Venti, dopo
la Rivoluzione d'Ottobre.
Inoltre si pone subito un problema, che è: dopo tanti decenni di discussioni, di interpretazioni anche
passionali perché legate alla passione politica, come trovare oggi una giusta angolatura per questo
approccio a Marx.
Io penso che, prima di tutto, bisogna non deformarlo Marx, nel senso che non si può farne, per
esempio, un professore di filosofia o di economia politica o di teoria della politica, perché questo
non è stato né ha mai voluto esserlo (forse se avesse avuto un'altra vita, certo aveva una
preparazione molto grande, anche accademica, universitaria). Ma insomma, l’approccio giusto è
quello di partire da quelli che furono i suoi reali interessi, che toccano certo la filosofia, l'economia,
la politica, però per uno scopo preciso, che è né più né meno che quello di trasformare il mondo, la
società. Ed è anche per questo che poi ha avuto un’enorme influenza.
Sono famose le sue Tesi su Feurbach, che Engels pubblicò nel 1888 (erano appunti personali), che
poi hanno fatto tanto discutere; l'ultima sonava: "i filosofi hanno interpretato il mondo in modo
diverso; si tratta ora di mutarlo"; che é una contrapposizione drastica, già un po' enigmatica, perché
ognuna delle due proposizioni é chiara di per se stessa, il loro rapporto invece racchiude tutta la
problematica di Marx. Non é che voglia dire che Marx pensasse che il mondo non va interpretato,
anzi; però in un modo che consenta di mutarlo. Il che significa che Marx non accetta l'esistente, che
è una critica dell’esistente (non il primo né l'unico), ma é una critica dell'esistente in modo tutto
particolare. Quando diventa comunista, per esempio, non accetta nessuna delle concezioni
comunistiche allora circolanti, e dalle quali inizialmente era molto distante, ma fonda un
comunismo nuovo - Engels lo chiamò un "secondo comunismo" -, che non si contrappone
semplicemente alla società esistente, che è ormai quella capitalistica, post rivoluzione americana e
francese, ma che cerca all'interno di questa società una forza sociale - un soggetto sociale diremmo
oggi - interessata a cambiarla, che Marx ritiene che abbia un interesse storico a cambiarla. Ecco, la
cerca dentro questa società ed é, come tutti sanno, il proletariato industriale, figlio della rivoluzione
industriale e del capitalismo moderno, cioè figlio esso stesso di una rivoluzione.
Non bisogna mai dimenticarsi che per Marx le classi rivoluzionarie (una potenzialmente e una non
potenzialmente) sono due: la borghesia (e questa è un'idea che lui ha mantenuto sempre, fino
all'ultimo) e il proletariato, non il solo proletariato; quindi lui si opponeva a quelli che
consideravano - per esempio la socialdemocrazia tedesca - la borghesia tutta una “massa
reazionaria" (espressione del famoso programma di Gotha) contrapposta al proletariato industriale;
lui ha sempre considerato la borghesia come classe rivoluzionaria non solo perché ha fatto delle
rivoluzioni politiche, perché queste ormai sono nel passato, ma perché rivoluziona il modo di
produzione, perché è portatrice appunto della rivoluzione industriale.
Quindi una forza sociale che sta dentro la società e dentro la storia: ecco che qui si affaccia il tema
storia, unito a quella di società.
Marx, cioè, vuol capire per agire. E capire che cosa? Capire quella che lui chiama la "attuale
società" (è un'espressione sua) appunto per agire, per cambiarla, partendo da forze che siano
maturate entro il suo seno. E la vuol capire così com’é, appunto per vedere com’è possibile
cambiarla, attraverso quelle contraddizioni che lui crede di poter riscontrare all'interno di questa
società. E quindi vuol capire l'epoca presente senza veli ideologici (vedremo dopo cosa intende
come ideologia).
Ora, l’epoca presente e la società attuale (attuale al tempo di Marx) non sono uguali a quella del
passato; sono però un risultato storico, sono il risultato di un processo storico.
Però qui siamo al punto più delicato della concezione di Marx. Io, a un certo punto, ho combattuto
lo storicismo e l’interpretazione storicistica del marxismo e di Marx. L’attuale società, cioè quella
dominata dal modo di produzione capitalistico, dal rapporto di capitale, che Marx esaminerà in
seguito, soprattutto appunto nell'opera così intitolata - il Capitale -, cioè quella dominata dalla
forma di merce e dal capitale, non è soltanto un risultato storico.
Essa funziona anche di per se stessa, essa ha le proprie leggi di funzionamento e di sviluppo da
scoprire, che già gli economisti inglesi classici, Smith, ma poi soprattutto Ricardo, hanno
cominciato a esaminare. Marx si pone in continuità scientifica - critica ma scientifica - con questi
economisti classici inglesi; è appunto una critica che lui intende portare avanti - vedremo dopo che
cosa significa critica dell'economia politica in Marx, almeno nell'essenza. Cioè, questa società ha
una forma propria (ed è importantissima in Marx la nozione di forma), una struttura propria (in un
senso generale del termine struttura), che tende a riprodursi, come tutte le forme e formazioni
sociali precedenti tendevano a riprodursi. E' una delle cose che Marx mette in luce. E la
riproduzione sociale, che avviene attraverso particolari istituzioni sociali, per esempio la famiglia
(la famiglia è tra la altre cose un fondamentale istituto per la riproduzione dei rapporti sociali), è per
Marx non meno importante della produzione sociale.
Dunque questa società va studiata per quello che è. Perché dicevo che è un punto molto delicato che
spesso viene frainteso? Perché Marx parte dal presente, dall'idea, o dalla constatazione, che il
presente non è qualcosa di puntuale, un punto tra il passato e il futuro; ma c’è un sistema del
presente - e c'è sempre un sistema del presente, e in questo caso dell'attuale società - che appunto
tende a riprodursi, come tutte le società, e le "formazioni sociali” (Marx inventa questa formula,
questa espressione) che ci sono state nel passato.
Però è specifico, per Marx, del sistema capitalistico che esso, oltre a tendere a riprodursi, tende ad
espandersi, a svilupparsi, ad accrescere le proprie forze, prima di tutto la propria forze produttive, e
che intanto ha già creato, e da un pezzo ormai, un mercato mondiale, per opera dell’Inghilterra, che
è - era - il paese di punta di questo modo di produzione capitalistico.
Nello stesso tempo questo sistema del presente, che si riproduce per le forze proprie cui ho
accennato, è un risultato storico, perché queste forze non ci sono sempre state, così come sono ora,
si sono accumulate storicamente, è storicamente che hanno assunto la forma attuale, hanno dato
lungo alla formazione sociale attuale.
Quindi c'é come una duplice radice del presente: una è nel presente stesso come sistema e l'altra è
nel passato da cui geneticamente questo presente è venuto fuori. Secondo me, capire questo punto,
questa duplicità della radice, è importantissimo per l'interpretazione di Marx.
Ecco perché Marx non può ridursi ad uno storicismo, che, sarebbe semplicemente vedere il presente
soltanto come un risultato del passato. La storia é stata un processo, e questo lo sapeva anche Hegel,
quindi qualcosa che è, per così dire, venuto avanti; ma questo processo ha dato luogo a formazioni.
sociali diverse, che si sono succedute attraverso trasformazioni e anche rotture; e in Occidente,
particolarmente, il capitalismo "in grandi linee” - dice Marx, è un'altra espressione sua (macrostoria,
si direbbe con un termine più moderno) - è uscito dal feudalesimo, questo a sua volta è uscito dal
modo di produzione antico, schiavistico.
Quindi questo processo non è un flusso continuo; è ritmato e differenziato da queste formazioni
sociali che si succedono. Certo, non è che un giorno finisca una e cominci l'altra: una comincia
dall'interno dell'altra; e spesso ci sono fatti esterni che interrompono questo processo, che creano
regressi, stagnazioni, e così via. Però è a questo tipo di storicità che Marx affida lo studio delle
successive formazioni sociali.
Non è quindi una filosofia della storia nel senso hegeliano. Questo è uno dei temi su cui più si
attacca il marxismo. Marx ha sempre rifiutato, anzi ha ironizzato, ha esercitato sarcasmo sulla
filosofia della storia in senso hegeliano. Come se ci fosse una ragione che governa il mando - per
prendere l'espressione di Hegel - che ha un suo fine, una ragione finalistica, teleologica, che
governa il mando, che ha una sua finalità da realizzare: lo spirito del mondo! Come se il dopo che
nasce dal prima fosse anche la scopo di quel prima! Marx rifiuta assolutamente questo tipo di
filosofia della storia hegeliana, la rifiuta al principio e la rifiuta alla fine della sua attività.
Esiste sì anche un finalismo oggettivo nella storia, ma il finalismo oggettivo è frazionato: è
semplicemente il fatto, che si diceva prima, che ogni formazione sociale, una volta stabilita, tende a
mantenersi. C'è una specie di forza inerziale che tende a mantenerla finché non sono maturate forze
disgregatrici dentro questa, che partoriranno la futura formazione sociale. Solo in questo senso c'è
un finalismo: è quello di una formazione sociale; poi, intendiamoci, per Marx non sono dei soggetti
questi, sono semplicemente dei modi riassuntivi; i soggetti operanti, agenti, sono sempre gli uomini.
Ecco allora la storicità, la Geschichtlichkeit. Anche la nozione di storicità per noi sembra ovvia,
però, in verità, è una nozione moderna, che comincia in pratica in Hegel (c'è in Hegel, in
Schleiermacher); quest’idea, che ci sono dei fenomeni che sono per loro natura storici, è un'idea
moderna. Naturalmente l'idea di storia è antica, ma è appunto la storia come narrazione (ad es.
Historiae fiorentine, o Tucidide), però l’idea che ci sono dei fenomeni che sono per loro natura
storici è un'idea moderna, che si afferma prima di tutto in Hegel.
Ma c'è un altro significato, altre a quello del risultato storico, e cioè l'idea della transitorietà:
qualcosa è storico sia in quanto è un risultato di un processo storico, sia in quanto esser storico vuoi
dire che non è eterno, ma che è transitorio.
Certo, nella storia - storia umana naturalmente - come la vede Marx ci sono delle costanti, alcune,
poche. Ma nessuna delle formazioni sociali cui ha dato luogo il “corso della storia" - anche questa è
un'espressione marxiana - si è stabilizzata per sempre, per il movimento delle forze interne.
E quindi anche le categorie economiche, politiche, spirituali che via via le hanno dominate, e che la
scienza deve scoprire, non sono eterne, sono anch’esse delle categorie storiche, affette da questa
storicità, da questa intrinseca storicità, perché dipendono dalle condizioni storiche nelle quali si
sono prodotte e nelle quali si sono affermate, nelle quali sono entrate in opera.
Questo fatto era completamente fuori dell’ottica degli economisti classici. Questo quindi è uno dei
primi - forse il più importante - prodotto della critica dell'economia politica: cioè gli economisti
classici trattavano le categorie dell'economia come, in fondo, se fossero eterne; sapevano benissimo
che si riferivano alla loro epoca, ma la loro epoca la vedevano come il perfezionamento pressoché
assoluto di un processo di avvicinamento precedente dell'umanità.
Allora, il corso storico, come dicevo, è venuto avanti, ritmato da questa successione di formazioni
sociali, sia pure con stagnazioni, catastrofi, processi interrotti (spesso per interventi esterni, per
esempio di invasione di un paese da parte di un altro). Però noi, intellettualmente, per capirlo, lo
dobbiamo recuperare andando all'indietro, per via differenziale. Questa è l'altra novità che porta
Marx. Perché? Che cosa vuol dire?
Perché la società presente, quella capitalistica, è - secondo l'analisi di Marx - il sistema più
complesso e più ricco di elementi, tra cui anche elementi residuati dal passato storico (per esempio
la proprietà fondiaria) assorbiti nel sistema. Ma é più ricco, più complesso di quelli che c'erano stati
prima; e nello stesso tempo - vedremo perché - il più dinamico rispetto a tutti quelli che c'erano stati
prima. Ora, Marx ha questa specie di assioma, del resto largamente condiviso, che dal più
complesso si capisce il più semplice. C'è la famosa affermazione che l'anatomia dell'uomo ci fa
capire l'anatomia della scimmia, che lui ha enunciato assai prima di. Darwin; non c'è nemmeno
bisogna di ficcarci dentro un evoluzionismo di tipo darwiniano, anche se poi non è in disaccordo;
semplicemente questo é appunto: dal più complesso si capisce il più semplice.
Ecco dunque il metodo differenziale all'indietro: io recupero andando all'indietro la storia, per
questo metodo differenziale, cioè trovo gli elementi che sono comuni a tutte le formazioni sociali;
ma molto più importanti sono gli elementi differenziali.
Ecco dunque una specie di rovesciamento dell’ottica sul processo storico.
Poi a Marx preme, per ragioni soprattutto pratiche e politiche, capire la linea storica che ha portato
al presente, quindi particolarmente (non esclusivamente, ma particolarmente) nell’Occidente,
almeno nella prima e nella seconda parte del suo pensiero (il Marx più maturo si interessa molto
anche ad altre cose, cioè a cose ancora precedenti, che vanno fuori del campo della linea della storia
occidentale e delle sue formazioni sociali).
Allora, già a questo punto, si possono fare alcune constatazioni sul pensiero storico di Marx.
Che intanto il discorso di Marx sulla storia e la storicità è strettamente legato a quello sulla società,
sulle formazioni sociali: sono cioè strettamente interdipendenti l'uno dall'altro, nel senso che gli
accadimenti storici vanno visti come tali che si producono sempre all'interno di un sistema sociale
(quelli che gli storici appunto, almeno gli storici della storia événementielle come é stata chiamata
modernamente, quella dell'accadimento, quella che normalmente é oggetto della narrazione), vanno
visti all'interno dei sistemi sociali entro cui si producano.
D’altra parte il discorso sul sociale risulta strettamente imbricato (non propria identico, ma
strettamente imbricato) al discorso sull'economico. E qui siamo proprio nel cuore del materialismo
storico o “concezione materialistica della storia", che è un'espressione che Marx non ha inventato
(Marx, amava pochissimo le etichette ed è in verità molto difficile etichettarlo), è un'espressione
inventata da Engels (però bisogna riconoscere che Marx l'ha accettata). Dunque, l'economico e il
sociale sono strettamente imbricati tra di loro, sono quasi come due facce della stessa medaglia,
anche se non proprio identici.
Bisognerà poi capire il luogo che prendono in questa visione il politico - o la politica - e lo
spirituale - o il culturale. Ora, Marx ha rotto con Hegel e con le scuola hegeliane nelle quali si era
formato (i giovani hegeliani della sinistra, innanzitutto) ed ha rotto anche con l'aiuto di Feuerbach,
però poi voltando immediatamente le spalle anche a Feuerbach; ha rotto per fondare una scienza
della società e della storia autonoma dalla filosofia. Anche questo lo considero un punto di grande
rilevanza; perché è già una mistificazione fare di Marx, come si diceva una volta soprattutto nei
paesi latini, un "filosofo tedesco"; certo, Marx viene fuori dal seno della filosofia, è intriso di
filosofia, inoltre c'è una ricaduta filosofica, ricaduta nel senso di fallow up del suo pensiero; però lui
non intendeva fare il filosofo, ma anzi fondare una scienza che a un certo momento risulti
completamente autonoma dalla filosofia; e quindi anche questo è essenziale, se non lo si vuole
travisare: non lo si più tramutare appunto in un "filosofo", anche se c'è una filosofia di Marx, come
c'è una filosofia di Machiavelli, come c'è una filosofia di Galileo (però Galilei faceva lo scienziato,
Machiavelli faceva il politico): è la ricaduta, l’effetto sulla filosofia.
Marx polemizza, in particolare, con la filosofia speculativa in senso hegeliano - Hegel stesso
chiamava la sua “filosofia speculativa" -, che pretende di essere senza presupposti. E questa è già
una critica che Feuerbach aveva rivolto a Hegel, cioè la mistificazione che sarebbe contenuta
nell’idea e nella pretesa di fare una filosofia che partisse da se stessa, senza presupposti.
Marx dice esplicitamente che egli presuppone, cioè che la storiografia deve presupporre una cosa
molto semplice che tutti conoscono, e cioè gli individui umani viventi, coi loro processi di vita; non
l'Uomo però, non l'Uomo con la maiuscola - ecco dove si distacca da Feuerbach: la Gattung, il
genere sublimato speculativamente -, ma l'uomo al plurale, gli individui umani viventi, viventi in
condizioni fisiche e ambientali date, anche se essi le modificano con la loro attività, che sono
comunque condizionanti della loro attività.
Quindi gli uomini sono condizionati appunto, prima di tutto, dalle condizioni fisiche e ambientali
nelle quali nascono, sorgono, si muovano (e sono condizionati anche dalla propria fisicità: come già
diceva Aristotele, sono prima di tutto degli animali, degli animali di tipo particolare) e nelle quali
loro sono attivi.
Gli uomini, diceva Marx, si distinguono dagli animali perché producono da sé i propri mezzi di
sussistenza, modificando il proprio ambiente (non che si distinguano per il pensiero, la religione;
non che questo non ci fosse, per Marx, evidentemente; vedremo dopo anche in che senso).
Modificano quindi la natura, l'ambiente circostante, attraverso il loro lavoro; e con questo
modificano anche se stessi. C'è almeno una parte dell'uomo che non è fissa; c’è una parte che è
fissa, che sono le sue condizioni biologiche, però c'è una parte, che oggi si direbbe culturale. Gli
uomini hanno prima di tutto dei bisogni elementari da soddisfare, come del resto gli animali, per la
loro sopravvivenza, che, in quanto bisogni elementari, sono sempre gli stessi, ora come diecimila
anni fa: quelli del mangiare, del bere, del nutrirsi, la riproduzione, e così via; anche se assumono via
via forme storiche diverse, però sono quelli, e non altri, sono fissi, insomma sono delle costanti,
sono una delle poche costanti. E in verità la storiografia deve sempre presupporre che alle spalle c'è
un uomo di questa natura. Poi l'evoluzione storica, però, produce bisogni nuovi, più complessi,
superiori. La soddisfazione di questi bisogni, prima di tutto di sopravvivenza, gli uomini la attuano
sottomettendo, attraverso il loro lavoro, le forze naturali, cioè forze strappate dal loro contesto
naturale materiale.
E lo fanno non isolatamente, ma lo fanno cooperando, cioè vivendo in società, vivendo associati in
gruppi umani. Marx interpreta la zoon politicòn di Aristotele nel senso proprio di animale sociale
(anche se non è completamente esatto, penso io, rispetto alla proposizione di Aristotele che
veramente voleva dire, a mio parere, politico).
Questa dunque é la struttura materiale di fondo della società, della società in cui si combinano
variamente, secondo le fasi storiche, le capacità produttive degli uomini e i mezzi di produzione.
Mezzi di produzione vuol dire non solo gli strumenti che gli uomini hanno cominciato a formarsi
dall'età della pietra, ma anche ciò a cui gli strumenti materialmente si applicano, la terra ad
esempio, e così via.
Quindi è un materialismo che dovremmo dire storico-sociale, in cui la materia c'entra poco; o
c'entra come oggetto; materialismo in quanto sono considerati i rapporti materiali, che hanno prima
di tutto, come base - Marx la chiama “base reale" - appunto questa natura, questa struttura.
A questo punto bisogna domandarsi che cose è la società, per Marx, in generale.
Ora, a Marx piacevano pochissimo i discorsi in generale; gli piacevano i discorsi specifici, cioè
applicati a una situazione, a una formazione sociale; però ci sono alcune, poche, costanti: ci sono
alcune affermazioni di carattere generale, tra cui la risposta a che cos'é la società in generale.
La società in generale per Marx non è un semplice aggregato di uomini, cioè di individui (la
categoria dell'individuo è centrale, fondamentale, in Marx, sia dal punto di vista dell'analisi, sia dal
punto di vista politico, dello scopo; ma questo è il Marx politico, rivoluzionario, e lo lasciamo da
parte), ma é un insieme di relazioni tra gli individui; e questo è centrale in Marx. La società é un
insieme di relazioni di individui, quindi non esiste propriamente, come soggetto, mai, la società, se
non per espressione letteraria; il soggetto società non c’è. Ci sono gli individui associati con le loro
relazioni. Il tessuto relazionale é quello che costituisce la società. Questo è un altro dei punti
centrali di Marx.
Cos'è il tessuto relazionale? Quello che permette agli uomini di interagire - si direbbe oggi - tra di
loro, cooperando. E’ ciò che Marx chiama la prassi, la prassi sociale. Quindi c'è questo primato
della prassi sociale. I processi sociali, quindi i processi di questo interagire degli uomini tra di loro
nella società, che diventano storici, cioè che danno luogo ad una evoluzione storica, sono prima di
tutto processi pratici, i quali generano strutture, generano formazioni sociali, le quali, a loro volta,
condizionano gli individui.
Si potrebbe dire che il marxianesimo è, prima di tutto, una scienza dei condizionamenti. (Però non
sola il marxianesimo. Anche la psicanalisi di Freud è prima di tutto una scienza dei
condizionamenti, visti da un altro punto di vista dell'interiorità, chiamiamola così, del singolo). E'
prima di tutto (non soltanto, ma prima di tutto) una scienza dei condizionamenti; cioè, dice Marx in
una proposizione famosa: gli uomini, gli individui umani, producono sì la propria storia, ma
sempre in condizioni date, in cui ogni generazione di uomini viene a trovarsi, modificabili con la
loro attività, ma che prima di tutto li condizionano. Condizioni date, che non si può fingere che non
esistano. E' ciò che, a un certo punto, Marx chiama, con un’espressione un po' ontologica, “essere
sociale”: esiste un essere sociale, dato, di volta in volta.
E c'é la famosa espressione, che alcuni considerano espressione chiave del materialismo storico:
non è la coscienza che determina l'essere sociale, ma è l'essere sociale che determina la coscienza.
Cosa vuol dire? Che tutte le determinazioni che si trovano dentro ciò che noi chiamiamo coscienza
provengono dalla realtà sociale. Naturalmente poi c'è la ricaduta della coscienza nell'essere sociale;
non è che rimanga fuori. E poi, in quanto è una coscienza pratica, influisce sull'essere sociale. Però
il verso, diciamo così, della determinazione comincia non dalla coscienza, come pensavano Hegel,
gli idealisti, ecc., ma comincia appunto da questo vivere sociale, nei processi di vita della società.
Quindi anti-idealismo.
Un materialismo in questo senso, cioè un materialismo non in quanto parte da una nozione fisica di
materia (questa Marx la lascia ai fisici); questa per Marx basta che in qualche modo esista. Ma lui
non fa una scienza della natura, fa una scienza della società, al centro della quale sta l’attività
produttiva degli uomini per soddisfare i loro bisogni, prima di tutto quelli elementari.
Sotto questo riguardo, le relazioni sociali hanno questa impronta: scientificamente considerate dice Marx - sono prima di tutto “rapporti di produzione", cioè i rapporti in cui gli individui si
trovano a interagire tra loro nel produrre e riprodurre la loro vita associata, i loro processi di vita,
prima di tutto quelli materiali, quelli più elementari.
Però anche qui bisogna stare attenti a non fraintendere, come spesso avviene, Marx. Perché questa
che lui indica non è una situazione originaria degli uomini, ma una situazione che è già essa stessa
storica: la predominanza, nelle società umane, di quelli che Marx chiama, nel senso anzidetto,
“rapporti di produzione", che poi danno luogo ai rapporti di proprietà, cioè al risvolto giuridico,
presuppone già un'evoluzione storica, che Marx fissa in due punti: fondamentalmente incremento
della popolazione e incremento della produzione.
I rapporti sociali originari degli uomini non sono questi, non sono i rapporti di produzione, benché
gli uomini debbano vivere, quindi in qualche modo produrre (con la caccia, o la pesca, o la raccolta,
quello che sia); ma è una forma talmente elementare, che non può ancora dar luogo a rapporti
caratterizzanti la società. I rapporti originari degli uomini sono semplicemente parentali, sono
strutture parentali, che sono quelle dominanti nelle società primitive (e tutti gli studi moderni
antropologici, etnologici, hanno confermato questa tesi fondamentale di Marx).
La preminenza dei rapporti di produzione, rapporti di proprietà fra gruppi sociali che si sono
diversificati secondo che dominino o non dominino i mezzi di produzione, questi rapporti di
produzione, di proprietà, si sono districati lentamente dagli originari rapporti parentali, e spesso
hanno dato luogo, nelle società antiche (pensiamo alla Gens romana, alla divisione ancora in tribù
che derivava da questa di Roma, oppure, non so, nell'Attica) a strutture parallele che sono
convissute, finché quelle più moderne hanno fatto scomparire quelle più antiche; e di qui anche i
famosi riformatori antichi, Solone e quelli che hanno dato istituzioni alla società, che sono sempre
espressione di rivoluzionamenti che erano già avvenuti, nel seno, nelle struttura di queste società.
Quindi si sono districati lentamente con l'incremento della produzione attraverso la divisione del
lavoro, concetto che Marx desume dall’economia classica, dagli economisti classici.
E allora sono nate le classi sociali, la possibilità dello sfruttamento (perché l'incremento della
produzione dà la possibilità che un gruppo sociale sfrutti un altro e quindi lo domini), il bisogno
della politica e poi dello Stato, che quindi per Marx non sono rapporti eterni, sono rapporti che si
sono formati (anche questo è confermato oggi dall'enorme sviluppo degli studi della società
primitive, che possono andare avanti per secoli a per millenni senza che esista qualcosa che somigli
alla nostra politica. Magari ci sono dei capi, ma in generale non hanno nulla che assomigli al potere
e al dominio politico come li vediamo nelle nostre società di classe). Quindi nasce la politica, la
statualitá, nascono gli ordinamenti giuridici, la separazione del pubblico dal privato, e così via.
E nascono le forme antagonistiche o potenzialmente antagonistiche - in quanto c’è una classe che
domina le altre, oppure un'alleanza di alcune che dominano le altre - che caratterizzano appunto le
grandi civiltà umane; risultati storici dunque e non eterni. La nostra linea di sviluppo occidentale,
fondamentalmente, per Marx: il sistema schiavistico antico, il sistema feudale e quello capitalistico.
Ecco la progressività. Marx non adopera quasi mai (io non ricordo) la parola progresso; però,
invece, c’è l'aggettivo progressivo. Ma la progressività delle formazioni sociali, che corrispondono
a modi di produzione diversi, almeno nella linea storica che conduce a noi nell'Occidente, consiste
nel fatto, constatabile empiricamente - nonostante le fasi di stagnazione, di regresso, e così via (sempre in quest'ottica di macrostoria, che dicevo) del sempre maggiore dominio tecnico-scientifico
dell'uomo sulla natura, cioè sulle forze naturali. Questa è la progressività: ogni formazione
successiva, almeno al suo apice, rappresenta una fase ulteriore di progresso.
Ma questa ha raggiunto nel sistema capitalistica un enorme e decisivo sviluppo, come non aveva
avuto nelle formazioni sociali precedenti. E' qui, in questa società a forma antagonistica, cioè divisa
in classi, che abbiamo distinto fra questa base economica e invece le forma politiche, giuridiche.
Marx, è noto, a un certo punto, distingue fra struttura economica e sovrastruttura politica e
giuridica, che è quella che cementa, tiene insieme, possiamo dire, quegli elementi costitutivi della
struttura economica, che poi è fatta di rapporti di produzione, che sono già rapporti tra gli uomini e
le forze produttive messe in opera.
A questa punto ci possiamo domandare: ma che posto ha la coscienza, che posto ha tutto ciò che
tradizionalmente si raccoglie sotto questo termine? Ecco, qui si tocca un altro punto cruciale, cioè la
critica di ciò che Marx chiama ideologia, prendendo questo termine da una certa scuola filosofica,
ma cambiandogli completamente significato, termine che poi ha avuto un’enorme fortuna. (Oggi
tutti parlano di ideologia, dicono che il marxismo é un'ideologia; e ideologia ha preso anche
significati diversi da quelli originari di Marx). Anche qui bisogna vedere con una certa cura.
Per Marx intanto c'è la coscienza pratica e immediata - che si realizza prima di tutto nel lavoro
umano, in ogni individuo di una società in cui si produce - pratica-immediata, che però contiene un
elemento riflesso, e cioè la rappresentazione del fine, che ogni singolo che lavora o partecipa a una
cooperazione del lavoro si rappresenta. Nel Capitale c'è la famosissima contrapposizione tra l'ape
che costruisce l'alveare e l’uomo: la differenza è che l’ape fa una costruzione perfetta dal punto di
vista dell'analisi infinitesimale (l'angolo delle celle, e così via), però non è che si possa dire che ne
ha una rappresentazione, è qualcosa di istintuale che la parta a questo; la più rozza capanna che si
costruisce l'uomo - dice Marx - prima di costruirla nelle cose, se la rappresentata nella mente, cioè
appunto c'è la rappresentazione del fine. Quindi c’é questo fatto tecnico; e questa é la coscienza
pratica, immediata.
Però ci sono la forme sociali della coscienza, dalla più rudimentali alle più sofisticate, le grandi
religioni storiche, le filosofie, che sono anch'esse un prodotto della divisione del lavoro e che
corrispondono in qualche modo all'essere sociale, alla struttura e sovrastruttura, che cambiano di
epoca in epoca. Dice Marx - un'altra proposizione famosa - come non si giudicano gli individui da
ciò che essi pensano di per se stessi, altrettanto vale per le epoche storiche e la società storiche:
non è che si possano giudicare da quello che pensavano a dicevano di se stesse, ma bisogna vedere,
scoprire, quali erano i processi reali, da cui sortivano anche queste idee.
Ora, nelle società antagonistiche le classi dominanti producono a fanno produrre - diciamo - dai loro
intellettuali delle idee che, in un modo o in un altro, diventano idee dominanti (anche se in genere
non penetrano mai fino in fondo le classi subalterne, ma questa fu Lenin a osservarlo piuttosto che
Marx), e quindi che sono illusionistiche, che i filosofi perfezionano spesso creando quella che poi
Engels chiamò falsa coscienza, cioè una coscienza illusoria, sbagliata.
Qui ideologia si contrappone a scienza, evidentemente.
Però l’ideologia è anche funzionale; non c’è società umana senza ideologia, dice Marx, perché negli
uomini tutta la loro attività, comunque, passa attraverso la coscienza, così come è storicamente e
così come si viene trasformando storicamente, e quindi passa attraverso le forme ideologiche,
(vedete un'altra volta l’importanza del termine forme) le forme sociali ideologiche; ed è attraverso
queste poi che gli uomini - dice Marx - combattano le loro lotte, per esempio le loro rivoluzioni
quando ci sono, quando si producono delle epoche rivoluzionarie.
Per Marx le rivoluzioni non si possono fare a piacere solo perché non si è contenti della società
presente: bisogna che ci sia qualcosa che sia un'epoca rivoluzionaria, che contenga cioè gli elementi
di trasformazione, ovvero delle contraddizioni così forti da contenere elementi e forze sociali per la
trasformazione; queste epoche hanno delle fasi, si chiudono; e Marx é estremamente ostile ai
rivoluzionari che vogliono fare sempre e comunque la rivoluzione.
Si tratta allora di far convergere in un futuro storico forse lontano il più possibile ideologia e
scienza.
Comunque si tratta sempre degli individui umani associati, gli individui sociali, essi sono gli agenti;
anche quando si parla di classi, dietro le classi bisogna vedere gli individui che le compongono, e le
condizioni reali in cui si trovano gli individui che compongono le classi: le classi non si muovono
quasi mai compattamente, hanno certe radici nel processo produttivo, ma in genere poi si muovano
per frazioni, per parti, con determinazioni anche ideologiche, e così via.
Detto tutto questo, che ha una validità molto generale per la concezione della storia, Marx
contrappone in modo radicale il modo di produzione capitalistico, cioè il capitalismo, a tutti quelli
che lo hanno preceduto, ed all'ultimo dei quali, dal cui seno è uscito, perché il modo di produzione
capitalistico è caratterizzato dalla separazione, cioè dalla distribuzione su classi sociali diverse da
una parte del potere o del comando sopra i mezzi di produzione, che comincia dalla proprietà di
questi mezzi di produzione, e dall'altra parte dalla massa della forza lavoro cioè dal lavoro salariato.
Ora, una separazione così radicale, di questo genere, non c'è mai stata prima nella storia. Cioè, il
lavoratore, diciamo così, ha sempre avuto una parte almeno dei mezzi di produzione (nella
manifattura, ancor più nell'artigianato, o il contadino) a sua disposizione. Invece proprio il sistema
capitalistico è dominato e caratterizzato da questa separazione e distribuzione su gruppi sociali
diversi; il che voleva dire che ci doveva essere per la sua origine una massa di lavoro disponibile, di
forza lavoro disponibile, disoccupata, che veniva fuori da processi di degradazione di altre attività
produttive.
E' questo che caratterizza il dominio e lo sviluppo del capitale industriale e della produzione
industriale, anche rispetto al precedente capitale mercantile, che si era accumulato per attività
mercantili e che non è affatto necessariamente legato (per esempio nelle città medievali) a questa
caratteristica della produzione capitalistica, che segue alla rivoluzione industriale, alla rivoluzione
delle macchine, prima di tutto quindi in Inghilterra.
E ciò dà luogo ad un fatto nuovo nella storia, e cioè all'esistenza di un meccanismo economico, che
tende ad essere autonomo, a svilupparsi secondo le proprie leggi e tendenze, che Marx studia, un
meccanismo autonomo nel suo svolgersi e nel suo riprodursi come non c'era mai stato nella storia.
Il capitalista in linea di principio non ha bisogno di dominare politicamente la società per dominare
la società! Gli basta avere il comando sulla produzione per dominare nella società. E quindi i
politici diventano un gruppo sociale a parte, al suo servizio; mentre nelle formazioni sociali
precedenti la classe dominante era dominante nello stesso tempo economicamente e politicamente,
cioè doveva esercitare il dominio politico diretto, perché solo attraverso il dominio diretto la stessa
persona (il signore feudale, mettiamo) poteva tenere insieme la riproduzione di questa formazione
sociale: non bastava l'economia di per se stessa.
Voi vedete quindi come l'economia non abbia sempre una funzione uguale in Marx: cambia
secondo la formazioni sociali; nella società primitiva ne ha pochissima, il minimo - tanto è vero che
non determina nemmeno la formazioni sociali-; nelle altre formazioni, di società antagonistiche, è
sempre connessa col politico, perché solo col politico si riproduce. Ecco, in linea di principio il
capitalista moderno non ha bisogno di fare lui direttamente il politico; ha bisogno di avere dei
politici al suo servizio, ma non di fare lui il politico. E difatti, anche oggi, fa sempre una strana
impressione quando un capitalista, direttamente, va a fare l'uomo politico. Questa é la caratteristica
del capitalismo, che viene fuori dal fatto che il meccanismo economico ha una sua vita autonoma e
che consente un dominio della società indiretto, in cui la politica ha (o avrebbe) sola una funzione
ausiliaria.
Naturalmente questa vale soprattutto per la società e lo Stato che Marx analizzava ai suoi tempi, che
era il capitalismo della libera concorrenza, dello stato minimale. Oggi le cose sono cambiate, però
sono cambiate in un processo continuativo, non con una rottura.
E d'altra parte questo processo continuativo è legato a un’altra caratteristica del capitalismo
(adoperiamo questo termine, anche se a Marx non sarebbe piaciuto), e cioè al fatto che il sistema
capitalistico, per mantenersi, deve rivoluzionare continuamente se stesso soprattutto attraverso
l'innovazione tecnologica. Ha delle crisi - ecco l'altra scoperta della critica dell'economia politica di
Marx -, che non sono un fatto che si aggiunge casualmente, sono crisi organiche, attraverso le quali
il capitalismo si ristruttura e si rinnova.
Quindi da una parte Marx pensa che questa contraddizioni interne lo porteranno ad un certo
momento non proprio al crollo (perché l'idea del crollo non è sua), ma certo a una crisi finale, però
nella stesso tempo sono la sua forza, costituiscono la sua grande forza espansiva, che appunto ha
dato lungo al mercato mondiale. La storia universale di Hegel si è realizzata, ma si è realizzata
partendo da queste strutture, cioè s'è realizzata come mercato mondiale; l'ha creata prima di tutto
l'Inghilterra, quando creò un mercato mondiale: allora è nata veramente la Weltgeschichte.
Quindi il sistema capitalistico rivoluziona continuamente se stesso attraverso la crisi, le
ristrutturazioni. E vedete che questo, un po’, lo stiamo vivendo anche oggi; sono i grandi punti
interrogativi che stiamo vivendo anche oggi.
Se uno dovesse a questo punto, per finire, chiedere: qual è l’ereditá scientifica di Marx? L'eredità
scientifica di Marx é in questa cose che si sono dette. E quando dico eredità scientifica non intendo
dire verità assoluta: tutte le verità scientifiche sono scientificamente discutibili, perché altrimenti
sarebbero verità religiose, metafisiche, quello che si vuole, ma non scientifiche.
L'ultima parola è che il modo di produzione capitalistico é l'ultima forma antagonistica della
società: in fondo poi il punto da discutere, anche da discutere suddividendolo, sarebbe questo.
Prima di tutto è vero che ci sono state nelle grandi civiltà forme antagonistiche? Sembra difficile
negarlo; ma c’è anche chi lo può negare.
Poi: è vero, e in che senso è vero - perché questa proposizione di Marx potrebbe essere vera anche
in un senso diverso da quello di Marx - che si trasforma dal di dentro fino a diventare non più
antagonistica? C'é oggi chi lo ritiene. E così via. Questa è l'eredità scientifica.
C'è poi un'eredità etico-politica. Io faccio solo un accenno.
Quel meccanismo economico basato sul valore di scambio, cioè sul dominio generalizzato della
merce, della forma di merce, genera la mercificazione di tutti i rapporti, quello che alcuni chiamano
alienazione degli uomini, fino al punto che la forma di merce sembra che quasi diventi essa stessa il
soggetto della storia, quindi è come una seconda natura, una potenza che nasce dall’interno delle
strutture della società, ma che è anche una potenza estranea ai singoli individui che opera sulle loro
coscienze (per esempio Marx non ha conosciuto quel fenomeno che noi chiamiamo consumismo, in
cui propria la forma di merce cerca di plasmare le coscienze degli uomini in modo da riprodurle e
da espanderle e riprodurre così il sistema). Però c’è questo antagonismo, secondo Marx, tra i
meccanismi economici, che superano le volontà degli individui, perché il capitalismo potrebbe
esistere anche senza capitalisti, in quanto il capitalismo é caratterizzato da quella separazione, e
potrebbero esserci società capitalistiche, Stati capitalistici, e il lavoro, quello che oggi si chiama
lavoro dipendente, che non dispone del comando sopra i mezzi di produzione.
Marx lascia in sostanza due messaggi, uno scientifico e uno etico-politico: che i processi di vita
degli uomini non sono basati sul valore di scambio, sono basati sopra i loro bisogni e aspirazioni
individuali, sopra i valori d'uso (chiamiamoli così, in un senso anche lato), e che comunque questo
potere del meccanismo economico è qualcosa da cui lui pensa che il genere umano debba riscattarsi.
Come? Tornando indietro? No, Marx questo non lo pensa, lo escluderebbe (anche se oggi ci sono
invece tendenze che dicono: questa società è brutta, torniamo indietro); non in questo senso, ma
controllando collettivamente (anche se la parola collettivamente Marx l'adopera molto poco, e può
essere sorprendente per i nostri orecchi; la conosce, quindi non è che non l'adoperi perché non la
conosce; quasi sempre, nelle traduzioni in lingue latine, quando viene tradotto collettivo, è in genere
genossenschaftlich: e la Genossenschaft è la compagnia, la comunità; è una sfumatura, se volete,
semantica; però nel collettivo sparisce l'individuo; nell'immagine di Marx del genossenschaftlich
non sparisce mai l'individuo: questa è la differenza) i processi economici e sociali per liberare gli
individui. La libertà di ciascuno come condizione della libertà di tutti - dice Marx -, non viceversa.
Quindi vedete come tiene sempre d'occhio l'elemento individuale. Non è un individualista nel senso
borghese, perché per lui quella è un'ideologia e l'individuo si può isolare nella società solo dove c'è
una società molto sviluppata e quindi presuppone la società, ma in questo senso diverso di
emancipazione, liberazione. E attribuisce appunto alla classe rivoluzionaria questa compito
universale di emancipazione a partire dall’emancipazione del lavoro, dunque dominando e
controllando i processi produttivi. E' quella che lui chiama, con una formula spesso un po' irrisa,
regno della libertà, che si dovrebbe instaurare su quello della necessità (quello della necessità,
economico, che non può essere soppresso), che sarebbe poi questo controllo e quindi lo sviluppo
delle personalità degli uomini associati (riprende questo termine rousseauiano dell'associazione
degli uomini) che si instaura. Marx crede in questo senso liberatorio dalle costrizioni, e in questo
senso indirizza il suo comunismo.
Marx è fondamentalmente un antistatalista; non è un anarchico, perché non crede che lo Stato si
possa sopprimere da un giorno all'altro; però è un antistatalista, è un associazionista, cooperativista,
è in questo senso che interpreta il suo comunismo.
E con questo chiudo, perché io credo che questa sia poi la domanda centrale che Marx ci ha
lasciato. Sarà possibile un giorno che gli uomini associati in una qualunque forma e liberi dallo
sfruttamento e dall'oppressione (che per Marx facevano una cosa sola, anche se potenzialmente no;
però non ne ha mai sviluppato la differenza, mentre noi sappiamo oggi che sono due concetti che
vanno tenuti relativamente separati), che un giorno le soggettività degli uomini associati possano
controllare, dominare, i meccanismi economici, senza tornare indietro, senza tornare a forme di
miseria e a forme di società più primitive?
Questa è la domanda centrale che in fondo ci ha lasciato. Per chi? Naturalmente per chi intenda
riconoscerla. Si può anche respingerla.