EPIFANIA Il rito della luce L’anno si apriva col Cargamentè, un rito propiziatorio molto antico. Nel territorio tra l’Oglio e Chiese, il pomeriggio che precedeva l’Epifania i giovani andavano di casa in casa a raccogliere legna, rovi (rasi) ¸ e gambe del granoturco (canòt), per i falò che si elevavano agli incroci delle strade, dove la gente si radunava, dopo la cena. Dopo aver acceso il falò si cantava: El cargamentè el vò el vé g’om piantàt li ope ‘i òm piantade noi se li sèca poverèti noi. Alla fine si gridava: El vò, el vè Il falò dell’Epifania Gianni Bosio Il trattore di Acquanegra Piccola grande storia di una comunità contadina Ed. De Donato, Bari 1981 96 La gente cantava e girava, come in una danza, intorno al fuoco. I giovani lo saltavano con lunghe e robuste pertiche, le donne raccoglievano la brace e quattro legni bruciacchiati (quatèr stis) con cui riempivano lo scaldino da mettere nel letto o che conservavano per assicurarsi un fortunato anno nuovo, per proteggere l’olmo, l’acero campestre a sostegno della vite (l’òpe) e i numerosi frutti, oppure per propiziare un buon esito dell’allevamento dei bachi: bruciavano un tizzone (stis) per ogni dormita dei cavalér, ovvero dei bachi (G. Bosio) Con il falò si bruciava la vecchia, (vecia o sobia): era il vecchio anno ¸ che se ne andava, portando con sé ogni negatività. Le ragazze da marito misuravano con la calza la distanza dal camino alla porta, oppure mettevano sotto il cuscino tre fagioli, uno con la sua buccia a simboleggiare uno sposo ricco, uno mezzo sbucciato a simboleggiare uno sposo agiato e infine a rappresentare lo sposo povero, un fagiolo privo di buccia. Durante la notte, al buio, gettavano due dei tre fagioli e l’aspetto del fagiolo che rimaneva faceva presagire la condizione del futuro marito (G. Bosio). La festa dell’Epifania era solenne come il Natale, con le stesse solenni celebrazioni religiose e con le immancabili ritualità gastronomiche. Quanto a queste ultime, a destra del Fiume Oglio, esauriti gli agnoli, era indispensabile tirare la prima sfoglia per le tagliatelle da mangiare in brodo o asciutte, mentre in altri paesi dell’Ecomuseo si mangiavano nuovamente i tortelli. Il rito della stella è una tradizione dalle antiche radici: nel passato era diffusa in tutta Europa, ora persiste in particolare nelle valli alpine, mentre è molto rara in Pianura Padana. Un corteo di pastori con i Re Magi segue una stella illuminata, sfila per le vie del paese, nelle frazioni e nei cascinali, confermando il lieto annuncio e la gioia dei Magi. Un canto o un pezzo suonato da musici annuncia il loro passaggio, spesso accompagnato dalla partecipazione dei cittadini che si scambiano doni. Era un rito che si celebrava e si celebra ancora tra il Natale e l’Epifania. Nel comune di Canneto sull’Oglio, un gruppo di musicanti della banda locale, durante la notte della Vigilia dell’Epifania, suonava alcuni brani natalizi locali: “Caro Bambin e la Pastorella”. I musicanti, nonostante la tarda ora, erano invitati a entrare nelle case, per condividere non solo gli auguri ma anche una fetta di panettone o meglio ancora di salame, il tutto accompagnato da un buon bicchiere di vino nostrano. La notte tra il 5 e il 6 gennaio, la buona vecchietta, la Befana, scorazzando per il cielo con la sua scopa magica e il grosso sacco sulle spalle, avrebbe depositato durante la notte, nella grossa e lunga calza del papà posta davanti al camino, qualche dono, tradizionalmente una stecca di torrone. Con il Battesimo del Signore che si celebra la prima domenica dopo l’Epifania, termina il tempo liturgico del Natale. Per l’Epifania, èl salt de na cagna Per l’Epifania le giornate incominciano ad essere più lunghe. L’Epifania tüti li fèsti la porta via L’Epifania porta via tutte le feste. Fausto Scalvini - Il rito della stella, acquarello 97 LE ORIGINI DEL“BISSOLANO” Come propiziare la rinascita del sole Tanto tempo fa si raccontava di un tremendo e lungo inverno che aveva attanagliato gli abitanti e le case, fatte di legno e di argilla, del borgo di Bissolano. Il suo territorio era circondato dalle acque dei fiumi Oglio e Chiese che, in quel tratto di pianura, si univano dopo aver percorso un lungo cammino dal massiccio dell’Adamello verso il mare. Il gelo di quel lungo inverno imbiancava la pianura: neve, ghiaccio galaverna e nebbia. Un immenso silenzio aveva cancellato il sorriso sia del sole sia della luna su tutta la valle. Gli anziani del borgo, dopo un lungo consulto, decisero di spezzare la morsa del gelo, per propiziare la primavera con una grande festa. Si eseguirono musiche e danze alternate da scorpacciate e bevute e da cortei di ragazzi che, con strumenti improvvisati, nella valle fecero tanto, tanto fracasso per scacciare il demone dell’inverno mentre altri con una verga di salice battevano gli alberi da frutto per risvegliarli. Le donne del villaggio poi, per propiziare la bella stagione, decisero di realizzare un nuovo dolce utilizzando i prodotti maturati durante l’estate. La farina fu impastata con burro, melassa e uova e qualche chicco di uva passa, infine furono modellate ciambelle rotonde come il sole con un buco centrale per far posto alla luna. Le ciambelle furono cotte nel forno a legna, usato tradizionalmente per il pane e poi ognuna fu tagliata in dodici fette. Chiamati a raccolta, i giovani del villaggio davanti a un fiammeggiante falò mangiarono il dolce sulla sommità del terrazzamento guardando verso sud la valle ghiacciata del fiume Oglio. Celebrato il rito, tutti ritornarono nelle loro case in attesa degli eventi. Il giorno dopo il sole spuntò e come per incanto riapparve la vita! Da quel giorno, a ricordo dell’evento, il dolce nato per caso divenne il simbolo del cambiamento, della gioiosa primavera. In onore delle massaie del villaggio prese il nome di Bussolano e poi Bissolano. La dolce e solare fragranza del dolce allieta ancora oggi per tradizione i momenti sereni e felici dello stare insieme. Nei giorni di festa, in particolare nelle stagioni primaverili, è servito con vino bianco novello, per allietare e rafforzare le intimità familiari o i momenti comunitari di fervida amicizia. 98 IL MITO DEL FUOCO La sacralità del focolare Nel passato si è sempre creduto che il fuoco avesse proprietà magiche, salutari e purificatrici. Da esso si traevano previsioni e predizioni e con esso si compivano riti propiziatori. Come gli altri elementi (acqua, terra, aria), poteva fungere da tramite tra l’uomo e Dio. Trarre dalle fiamme di un falò gli auspici sul futuro andamento dell’annata agraria era usanza che si praticava nell’imminenza della primavera. Farne lo strumento di prove iniziatiche, (si pensi al salto del fuoco), o valersi delle sue virtù purificatrici nei Giorni della Merla o del Venerdì Santo, cavarne previsioni circa l’andamento di una malattia, erano pratiche di un codice antico, oggi completamente dimenticato. Il focolare era considerato il luogo più importante della casa, davanti ad esso si svolgeva la vita di tutta la famiglia. Su di esso si cuocevano la polenta, la minestra e le verdure, vi si friggeva il pesce e vi si rosolavano gli spiedi, mentre sotto la cenere si cuocevano torte, patate, lumache e carne, ecc. Il focolare era inoltre testimone, non solo dei riti quotidiani della sopravvivenza, ma anche delle intimità famigliari e della trasmissione dei valori culturali. Durante i giorni che precedevano la Pasqua, i riti purificatori e del rinnovo del focolare acquistavano un’importanza particolare. Dal fuoco sacro acceso sul sagrato della chiesa il Sabato Santo erano raccolti e portati a casa con venerazione alcune braci o tizzoni che diventavano il nuovo fuoco destinato a esplodere nella luce della Resurrezione, a rinnovare la vita e i legami famigliari. Legami che si tramandavano anche attraverso i rituali del grande ceppo - soch o cavedon. Era consuetudine che il ceppo acceso dal nonno in attesa del Natale fosse dedicato ai figli più piccoli, mentre nella notte di S. Silvestro diveniva il ceppo dei giovani, per la vigilia dell’Epifania invece era dedicato agli sposi, infine per Sant’Antonio si consacrava ai nonni e agli anziani della famiglia. La cenere dei ceppi, considerata magica, era conservata non solo per il bucato ma anche per scongiuri e rituali propiziatori. Occorre infine ricordare che nelle notti tra il Natale e l’Epifania si crede avvengano prodigi e che solo in esse si possono trasmettere segreti, formule, preghiere e magie necessari non solo per guarire gravi malattie, evitare epidemie, ma anche per esorcizzare gelosie e tradimenti. La nonna davanti al focolare Centro Documentazione dell’Ecomuseo Valli Oglio Chiese Sezione Riti e Miti nelle Tradizioni Popolari 99 Ricettario El pipasener Carne cotta tra le braci Ingredienti: Ingredienti: farina bianca farina gialla zucchero un po’ di limone e un poco unto di maiale pezzi di pollo di coniglio salamelle salame Preparazione Togliere le braci dal focolare e nella cenere calda, cioè la madre del fuoco, mettere l’impasto fatto con gli ingredienti elencati sopra, dopo averlo avvolto nella carta e avendo cura di ricoprirlo con altra cenere. Preparazione Marinare la carne con olio sale e spezie, avvolgerla in carta oleata o stagnola, collocarla sotto la cenere in prossimità del fuoco per circa 20 minuti. Togliere alle cipolle la prima corona e condirle con olio, pepe, sale, e un goccio di aceto; indi cuocerle nella cenere avvolte nella carta, affinché mantengano tutto il loro intenso profumo. Si abbinano con patate e carote cotte. Se abbinate a mele e zucchero, sono ritenute un toccasana per la tosse e per l’asma. Mirtol Ingredienti: Peperoni alle brace Patate cotte nella cenere Pop corn (li culumbini) Ingredienti: Ingredienti: patate sale olio aceto prezzemolo granoturco di tipo particolare. Preparazione Porre le patate con la loro pelle, anche incartate, a cuocere tra la cenere, dove acquistano un ottimo sapore. Togliere la buccia e consumarle ancora calde, con un po’ di sale oppure condite con olio, aceto e prezzemolo, magari accompagnate con polenta. Preparazione Sotterrare i chicchi di granoturco nella cenere calda dove, scoppiettando, prendono forme diverse, ma spesso simili alle colombe. Cipolle cotte nella cenere Ingredienti: cipolle olio sale e pepe aceto Preparazione 100 3 bicchieri di farina bianca uno di gialla (fioretto) un mezzo bicchiere di olio un po’ di sale 4 cucchiai di zucchero una scorza di limone latte bicarbonato strutto Preparazione Mescolare i vari ingredienti con latte quanto basta per formare un impasto piuttosto molle dell’altezza di 3 cm (il bicarbonato è da aggiungere alla fine). Porre l’impasto in una padella in cui sarà stato sciolto un po’ di strutto. Cuocere con fuoco sopra e sotto.