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Antologia (minima) di Dedalo e Icaro
Ovidio (43-17 aC), Le metamorfosi, libro ottavo
Ma intanto Dedalo, insofferente d'essere confinato a
Creta da troppo tempo e punto dalla nostalgia della
terra natale, era bloccato dal mare. "Che Minosse mi
sbarri terra ed acqua," rimuginò, "ma il cielo è pur
sempre aperto: passeremo di lì. Sarà padrone di
tutto, ma non dell'aria!". E subito dedica il suo
ingegno a un campo ancora inesplorato, sovvertendo
la natura. Dispone delle penne in fila, partendo dalle
più piccole via via seguite dalle più grandi, in modo
che sembrano sorte su un pendio: così per gradi si
allarga una rustica zampogna fatta di canne diseguali.
Poi al centro le fissa con fili di lino, alla base con cera,
e dopo averle saldate insieme, le curva leggermente
per imitare ali vere. Icaro, il suo figliolo, gli stava
accanto e, non sapendo di scherzare col proprio
destino, raggiante in volto, acchiappava le piume che
un soffio di vento sollevava, o ammorbidiva col
pollice la cera color dell'oro, e così trastullandosi
disturbava il lavoro prodigioso del padre. Quando
all'opera fu data
l'ultima mano, l'artefice provò lui stesso a librarsi
con due di queste ali e battendole rimase sospeso in
aria.
Le diede allora anche al figlio, dicendogli: "Vola a
mezza altezza, mi raccomando, in modo che
abbassandoti troppo l'umidità non appesantisca le
penne o troppo in alto non le bruci il sole. Vola tra
l'una e l'altro e, ti avverto, non distrarti a guardare
Boòte o Èlice e neppure la spada sguainata di Orìone:
vienimi dietro, ti farò da guida". E mentre l'istruiva al
volo, alle braccia gli applicava quelle ali mai viste. Ma
tra lavoro e ammonimenti, al vecchio genitore si
bagnarono le guance, tremarono le mani. Baciò il
figlio (e furono gli ultimi baci), poi con un battito d'ali
si levò in volo e, tremando per chi lo seguiva, come
un uccello che per la prima volta porta in alto fuori
del nido i suoi piccoli, l'esorta a imitarlo, l'addestra a
quell'arte rischiosa, spiegando le sue ali e volgendosi
a guardare quelle del figlio.
E chi li scorge, un pescatore che dondola la sua
canna, un pastore o un contadino, appoggiato l'uno al
suo bastone e l'altro all'aratro, resta sbalordito
ritenendoli dei in grado di solcare il cielo. E già
s'erano lasciati a sinistra le isole di Samo, sacra a
Giunone, Delo e Paro, e a destra avevano Lebinto e
Calimne, ricca di miele, quando il ragazzo cominciò a
gustare l'azzardo del volo, si staccò dalla sua guida e,
affascinato dal cielo, si diresse verso l'alto. La
vicinanza cocente del sole ammorbidì la cera
odorosa, che saldava le penne, e infine la sciolse: lui
agitò le braccia spoglie, ma privo d'ali com'era, non
fece più presa sull'aria e, mentre a gran voce
invocava il padre, la sua bocca fu inghiottita dalle
acque azzurre, che da lui presero il nome.
Ormai non più tale, il padre sconvolto: "Icaro!"
gridava, "Icaro, dove sei?" gridava, "dove sei finito?
Icaro, Icaro!" gridava, quando scorse le penne sui
flutti, e allora maledisse l'arte sua; poi ricompose il
corpo in un sepolcro e quella terra prese il nome dal
sepolto.
Dante (1265-1321), Divina Commedia, Inf.,
XVII, 109-111
né quando Icaro misero le reni
sentì spennar per la scaldata cera,
gridando il padre a lui: “Mala via tieni”!
Lorenzo il Magnifico (1449-1492), Selve
d’Amore, II, 109
Al troppo manca, e par che avanzi al poco,
men vegga il troppo, e 'l poco assai presuma,
e come in verde legno debil foco
non splende chiar, ma gli occhi umidi affuma.
Gli uccei notturni son degli altri gioco,
cercando il sole; e l'insolita piuma
Icaro perde se troppo alto sale,
e resta in mezzo al ciel uccel sanza ale.
Matteo Bandello (1485-1561), Tocco dal
fuoco
Tocco dal fuoco di celesti rai,
Icaro cadde in mar: ché ’l grand’ardire
tant’alto il fe’ poggiar, che piú seguire
l’orme del padre egli non seppe mai.
Dedalo pur dicea: figliuol, che fai,
ove ne voli, ahimè! frena il salire,
spiega piú basso l’ali: il tuo fallire
veggio che giá m’apporta eterni guai.
Non seppe il mezzo il giovanetto ardito
tener del raro e insolito vïaggio,
ond’ebbe il nome sí famoso lito.
Cosí, Madonna, chi del vostro raggio
s’infiamma il cor, alfin riman schernito,
se la ragion non segue sempre saggio.
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Il Mito Di Dedalo Ed Icaro
(ALCUNE RIFLESSIONI)
Quando si parla del mito di Dedalo e Icaro è molto facile
ricordarsi della vicenda in cui Icaro perse la vita: fa quasi parte di
una memoria collettiva, appresa sui banchi di scuola. Eppure di
Dedalo, il padre di Icaro, sappiamo molto poco: chi ha studiato i
classici o letto qualche libro di mitologia saprà certamente ch'egli
fu il costruttore del famoso labirinto del Minotauro, da cui
appunto, insieme al figlio, uscì "volando". Nel contesto culturale
mitologico Dedalo, che rappresenta, se vogliamo, l'archetipo
dell'artigiano geniale.
Il mito di Icaro
Prima di parlare di Dedalo affrontiamo il mito di Icaro, perché,
rispetto al primo, appare come una sorta di banalizzazione. Icaro
rappresenta, col suo volo aereo straordinariamente anticipatore,
il sogno dell'adolescente di diventare adulto prima del tempo, di
superare la mediazione di una vita piena di contraddizioni (quella
di Dedalo) nell'immediatezza di una coerenza assoluta all'ideale,
quella coerenza che porta sempre, come anche la sua vicenda
dimostra, a contraddizioni ancora maggiori, tragiche in quanto
irrisolvibili. Icaro vedeva l'accortezza e la moderazione del padre
(che chiedeva, come strategia di volo, di abbandonarsi ai venti e
di volare né troppo alto né troppo basso) come una forma di
cedimento all'ideale assoluto di perfezione, come una forma di
eccessiva esitazione, un compromesso inaccettabile con le forze
della natura e dell'ignoto insondabile.
Icaro, ch'era figlio di una schiava, aveva fretta di volare in alto,
per liberarsi dei timori, delle riserve mentali, dei pregiudizi del
passato, senza tener conto dei condizionamenti della realtà. Ecco
perché raffigura, sul piano politico, l'avventurismo, l'estremismo
infantile.
Forse Icaro rappresenta anche l'ateismo impulsivo, autoritario,
egocentrico: il suo bisnonno, Eretteo, nonno di Dedalo, fu sepolto
vivo sotto terra per il suo ateismo.
Il mito di Dedalo
Cosa dice la leggenda?
Della stirpe regale ateniese, Dedalo è geniale artefice in ogni
settore artigianale. Inventa molti nuovi strumenti di lavoro: sega,
trapano, accetta, filo a piombo, succhiello, colla...
Geloso di suo nipote Talo, che immaginava di poter realizzare il
tornio, il compasso, una sega metallica o che forse pensava di
rivelare ad altri i segreti di Dedalo, lo uccide gettandolo
dall'Acropoli. Costretto all'esilio o forse fuggiasco, ripara a Creta
presso Minosse, fabbricando statue che muovevano da sole
occhi, braccia e gambe e progetta un luogo per la danza,
destinato ad Arianna, figlia di Minosse.
Per la moglie di Minosse, invece, costruisce una struttura a forma
di vacca di legno ricoperta di cuoio che permetteva alla regina,
nascosta all'interno, di unirsi a un toro, quello che il dio
Poseidone aveva donato a Minosse, perché lo sacrificasse, e che
lui invece aveva sostituito con un altro di minor valore,
suscitando così le ire del dio, che indusse la regina ad innamorarsi
del toro. Dall'unione sessuale nascerà il Minotauro: un mostro
che sul corpo umano aveva una testa di toro.
Minosse, per nascondere il Minotauro, chiede a Dedalo di
costruire il Labirinto (a Cnosso), dove, essendo chiuso da un
bosco, con molti andirivieni, era impossibile uscirne una volta
entrati.
Accade poi che Androgeo, uno dei figli di Minosse, viene ucciso
dagli Ateniesi: il padre li combatte e, approfittando
dell'occasione, li costringe al tributo di sette giovani e di
altrettante giovinette da inviare, ogni nove anni a Creta per
essere divorati dal Minotauro.
Atene però, al terzo tributo, manda Teseo per uccidere il
Minotauro. E' proprio Dedalo che per compiacere Arianna che
amava l'eroe, dà a questa il gomitolo che doveva servire per far
ritrovare a Teseo la strada del ritorno, dopo aver ucciso il
Minotauro.
Ma Minosse viene a sapere tutto e, non potendo punire la figlia
ch'era fuggita con Teseo, rinchiude lo stesso Dedalo col figlio
Icaro nel labirinto.
Dedalo però trova un altro modo per uscirvi: riesce a preparare
grandi ali di penne, tenute insieme con la cera, e ad applicarle
sulle sue scapole e su quelle di Icaro, col quale spiccano il volo.
Dedalo aveva raccomandato a Icaro di volare ad altezza media,
ma quello vola troppo in alto, sicché il sole scioglie la cera delle
ali, e Icaro, sotto gli occhi del padre, precipita nel mare Tirreno e
affoga.
Dedalo, invece, proseguendo nel suo volo, raggiunge la Sicilia
(Agrigento), mettendosi al servizio del re Cocalo. Gli costruisce
una diga, fortifica una cittadella per proteggere i tesori del re,
edifica su una roccia a picco le fondamenta di un tempio ad
Afrodite, installa uno stabilimento termale...
Ma Minosse lo cerca perché lo vuole morto e propone una
ricompensa a chi sarà in grado di far passare un filo attraverso il
guscio di una chiocciola. Il re Cocalo sottopone Dedalo alla prova.
Questi attacca il filo a una formica che introduce nel guscio
attraverso un buco praticato alla sommità. Quando la formica
esce il problema è risolto.
Minosse scopre così la presenza di Dedalo e chiede che gli venga
consegnato, ma le figlie del re Cocalo, per salvare Dedalo, lo
aiutano a far morire Minosse nell'acqua bollente mentre il re sta
facendo il bagno.
Dedalo torna poi ad Atene dove diventa capostipite della famiglia
ateniese dei Dedalidi.