Le vespe: un caso di sociogiologia culturalmente mediato LE VESPE: UN CASO DI SOCIOBIOLOGIA CULTURALMENTE MEDIATO di Marco Fratoni* Secondo il pensiero del professor Bauman, celeberrimo sociologo britannico, viviamo in un’epoca di “modernità liquida”, concetto che fa coincidere la felicità dell’uomo con l’accettazione della transitorietà delle cose. Siamo tutti in movimento costante, abbattiamo le frontiere, integriamo i popoli. In quest’ottica la regola di ospitalità reciproca diventa fondamentale per la convivenza di tante specie. Studi scientifici effettuati nel territorio panamense, hanno portato ad esaminare la vita di un insetto sociale, ma a nucleo chiuso, come quello delle vespe. È possibile che la loro vita sociale si sia evoluta tanto da tollerare la coabitazione con altri gruppi di vespe provenienti da zone lontane? Lo studio ha dato risultati affermativi. Lo sciame assume identità collettiva, si unisce ad un altro sciame fin tanto che entrambi ne traggano vantaggio, poi si disperde, in attesa di un nuovo legame. Anche le vespe hanno imparato l’integrazione! l 12 maggio 2007, in occasione dell’ultima Fiera del Libro di Torino, il Professor Zygmunt Bauman (classe 1925), accompagnato da sua moglie, al cospetto di una copiosa e curiosa platea, celebra una lectio magistralis. Oggetto dell’intervento una dissertazione su Le vespe di * Commissario Capo Forestale - Dottore in Scienze Politiche - laureando magistrale in Scienze Sociali CATRI SILVÆ Anno IV - n. 10 I According to Professor Bauman’s opinion, the famous Britannic sociologist, we live in a period of “Liquid Modernity”, a concept that makes men’s happiness to coincide with a plain acceptance of the impermanence of things. We all move continually, demolish frontiers, integrate people. From this point of view, a rule of mutual hospitality becomes essential for the coexistence of so many species. Scientific studies, carried out in the Panamanian territory, have examined the life of an insect, social but living in a closed group, such as that of wasps. Is it possible that their social life has so much evolved as to accept to live together with other groups of wasps coming from far away areas? The observation gave positive results. The swarm adopts a collective identity, live with another swarm as long as it is convenient for both, then they separate, waiting for a new joining. Even wasps learnt integration. 253 Le vespe: un caso di sociogiologia culturalmente mediato Anno IV - n. 10 254 Panama. Una riflessione tra centro e periferia, maneggevole libello fuori catalogo, omaggio di Laterza1, editore italiano dell’opera di Bauman, rivolta al pubblico del grande sociologo britannico di origini ebraico-polacche, considerato uno dei maggiori teorici della post-modernità. Felice caso di sociobiologia culturalmente mediato, le ultime osservazioni scientifiche sul comportamento delle vespe, insetti sociali per eccellenza, diventano, nella lezione di Bauman, un apologo perfetto a dare senso allo stato attuale della nostra coabitazione planetaria di esseri umani. Zygmund Bauman prende a prestito da Richard Jones, in Why insects gets such a buzz out of socializing2 (25 gennaio 2007), la ricerca di un gruppo di etologi3 londinesi trasferitosi a Panama per studiare la vita sociale delle vespe locali. Per oltre 6000 ore, con l’ausilio di evoluti segnalatori elettronici, gli studiosi della Zoological Society of London monitorano i movimenti di 422 vespe appartenenti a 33 diverse colonie. Gli esiti di questa indagine, condotta sul campo aperto, riescono ad incrinare una radicata e diffusa convinzione relativa alle abitudini degli insetti sociali (categoria che oltre alle vespe comprende api, termiti e formiche). Tanto i saperi esperti (comunità scientifica), quanto i saperi comuni (opinione pubblica), avevano, per anni, caldeggiato l’idea che la socievolezza di questi insetti fosse limitata e riservata ai soli membri della colonia d’origine, ipotizzando l’inconciliabilità tra alveare di nascita ed alveare di elezione. La ragionevole e naturale conseguenza di quella condivisa premessa, veniva scientificamente a cristallizzarsi nell’assunto (poi rivelatosi pregiudizievole) che vespe indigene e vespe straniere non avrebbero mai potuto coesistere all’interno della stessa colonia. Nulla di più apodittico: anche gli insetti sociali confermavano la tendenza a mantenere chiusi ed impermeabili i confini della comunità di appartenenza, conservando e rinnovando la separazione tra noi (esemplari indigeni) e loro (esemplari immigrati). Per estensione analogica viene applicata agli insetti sociali una categoria culturale tipicamente umana. La socievolezza limitata, di cui vengono tacciate le vespe, fotografa pedissequamente la soluzione offerta 1 (n.d.r.) Il pamphlet è consultabile all’indirizzo web http://laterza.fastweb.it/fiera/Bauman.pdf. 2 (n.d.r.) In merito si visiti l’indirizzo web http://www.guardian.co.uk/g2/story/0,,1997821,00.htm. 3 (n.d.r.) Gli etologi sono biologi che svolgono ricerche sul campo tra gli animali piuttosto che nella situazione artificiale degli zoo e dei laboratori. SILVÆ Le vespe: un caso di sociogiologia culturalmente mediato dalla comunità tradizionale alla questione annosa dell’integrazione sociale. Una semplice astrazione contestuale permette di coglierne l’analogica coincidenza. Storicamente la coesione sociale era assicurata anche e soprattutto additando la diversità (considerata deviante), il “negativo” riconoscimento della alterità assurgeva a momento fondante l’identità e l’appartenenza al gruppo nativo. Una convinzione prassomorfica4, quindi, radicata e diffusa, in qualche misura scontata: nessuna precedente indagine svolta per validare scientificamente (confutando o confermando) il tradizionale assunto, piuttosto studi finanziati per cercare di capire come gli insetti riuscissero ad individuare l’estraneo (tramite la vista, l’udito, l’olfatto, il comportamento, etc…). Quale motivazione spinge il gruppo di studio a riesaminare il caso della socievolezza limitata? Perché riaprire una questione che sembrava potersi ritenere chiusa una volta per tutte? Donde la necessità di sottoporre a nuova verifica scientifica l’assunto della socievolezza limitata? Ecco la spiegazione di Bauman. Le credenze umane tendono a mutare col tempo. Quanto oggi si reputa giusto e buono, domani potrebbe non esserlo più, anzi difficilmente lo sarà. La proteiforme cultura umana celebra valori e simboli esposti a dinamica e periodica svalutazione. Non sfuggono a questa legge le accreditate convinzioni prassomorfiche quando si trovano sopravanzate da nuove prassi umane. Quella che si considerava una questione risolta veniva a riproporsi in tutta la sua critica attualità. Seguono le risultanze finali della ricerca: • il 56% delle vespe operaie cambiano alveare nella loro vita; • gli alveari oggetto dello studio sono di norma popolazioni miste dove vespe native e vespe immigrate lavorano spalla a spalla e vivono vis à vis (l’ausilio degli strumenti di identificazione elettronica permette di risalire ai movimenti tra nidi); • le vespe immigrate non vengono affatto discriminate o marginalizzate, quanto piuttosto integrate pienamente. SILVÆ Anno IV - n. 10 4 (n.d.r.) Il prassomorfismo individua una modalità di lettura sociale influenzata culturalmente, pratiche e condotte diffuse e dominanti all’interno della comunità corrente condizionano l’elaborazione di corrispondenti visioni sociali. Caso storico di prassomorfismo è l’antropomorfismo nella versione critico-teologica elaborata dal presocratico Senofane di Colofone (VI° secolo a.C.). Attribuire agli Dei forme esteriori, caratteristiche psicologiche e passioni uguali o del tutto analoghe a quelle umane, è la grande e grave responsabilità riconosciuta dal filosofo a quella primigenia tipologia di prassomorfismo rappresentata dall’antropomorfismo. 255 Le vespe: un caso di sociogiologia culturalmente mediato Anno IV - n. 10 256 Risultato inatteso e sorprendente: uno sbalorditivo rovesciamento di prospettiva5. “Come può essere?” Si domandarono increduli i ricercatori. Quale spiegazione per un esito così apertamente in contrasto con la convinzione atavica della socievolezza limitata? Ma soprattutto, come giustificare scientificamente il bizzarro comportamento delle vespe panamensi? Presi in contropiede, i ricercatori cercarono sicuro riparo affermando che non si sarebbe trattato di vere e proprie popolazioni miste; le vespe alloctone sarebbero sì provenute da differenti colonie ma sarebbero state legate alle vespe indigene da vincoli parentali. Del resto, continuarono piuttosto tautologicamente i ricercatori, in mancanza di questo vincolo le vespe indigene avrebbero senza alcun dubbio reagito marginalizzando le nuove arrivate, osteggiandone la permanenza al punto da tentarne l’eliminazione fisica6. Spiegazioni pleonastiche, poco scientifiche. Quali prove in mano agli scienziati per affermare che tra le vespe corressero rapporti di parentela? Nessuna evidentemente! E poi, quand’anche provata, l’esistenza di tali legami sarebbe bastata ad assicurare coesione e integrazione sociale tra coabitanti? Certamente no! Ogni riferimento prassomorfico appare ancor più motivato e chiaro. Mi spiego. Due contestuali convinzioni, entrambe prassomorfiche, avevano più inconsapevolmente che consapevolmente - condizionato, l’opera degli zoologi londinesi. La prima di tipo meccanico7, tradizionale e solida, impartita loro dai professori della generazione precedente e incentrata sulla limitatezza della socialità degli insetti. La seconda di tipo organico, convinzione in fieri che non tarda a realizzare il mutamento della società vaticinando l’epifania di un ambiente globale multiculturalizzato fondato sulla fluidità delle appartenenze e sul mescolarsi continuo delle popolazioni. Bauman è magistrale nello scovarle. Una volta evidenziati, i pregiudizi culturali vengono consegnati alla gogna pubblica del lettore attento e disilluso. Questa operazione critica di liberazione consente allo sguardo sociologico di ognuno di affrancarsi mutando le prescritte vie 5 Z. Bauman, Le vespe di Panama. Una riflessione fra centro periferia, Ed. Laterza, 2007. 6 Ibidem. 7 (n.d.r.) Viene qui nominalmente ripresa l’originale coppia antinomica durkheimiana: solidarietà meccanica-solidarietà organica. SILVÆ Le vespe: un caso di sociogiologia culturalmente mediato 8 A. Bagnasco, M. Barbagli, A. Cavalli, Elementi di sociologia, Il Mulino, 2006. 9 F. Ferrarotti, Manuale di Sociologia, BUL, 1986. 10 (n.d.r.) In ordine alla distinzione fra compito critico e compito scientifico della sociologia si veda F. Crespi, Il pensiero sociologico, Il Mulino, 2006. SILVÆ Anno IV - n. 10 culturali per un cammino di scelte tutte individuali. “Autentico compito della sociologia è far sì che le scelte siano realmente libere”, ricorda il Professore di Leeds e Varsavia in una delle pagine conclusive della sua Modernità liquida. È consigliato al ricercatore sociale adottare una disposizione intellettuale che lasci spazio alla possibilità di sorprendersi di fronte a casi strani o risultati inattesi. Per designare questo effetto sorpresa R. Merton ha usato il termine di serendipity (capacità di lasciarsi sorprendere/stupire). Si narra infatti che i prìncipi di Serendip, antico nome di Ceylon, fossero dotati di una straordinaria capacità di osservazione che consentiva loro di dedurre da particolari apparentemente insignificanti complessi stati della realtà. Imparare a pensare sociologicamente significa coltivare un certo potere di immaginazione. Il lavoro sociologico dipende da quella che, C.W. Mills con una famosa espressione, ha chiamato l’immaginazione sociologica8. Il sociologo si differenzia proprio in questo dal filosofo e dallo scienziato della natura. La sociologia, come sostiene il decano degli accademici Franco Ferrarotti, è scienza del vivente e del presente, anche e soprattutto in quanto scienza dell’osservazione9. Strumento di conoscenza (episteme e doxa), la sociologia assolve un duplice compito10: • scientifico, quando svolge la sua funzione conoscitiva (descrittiva, esplicativa, comparativa, etc…), • critico e demistificatorio quando, squarciando ogni velo di Maya, svolge la sua funzione emancipativa. Puntando dritti al core sociologico della dissertazione in conferenza è funzionale intraprendere una duplice direttrice di approfondimento. La prima di carattere socio-politico, la seconda precipuamente sociologica. Per una motivata scelta le rilevanze di ordine politico trattate nel prezioso opuscolo non riceveranno seguito significativo. Il tema della fratellanza fra i popoli e fra le genti di uno stessa nazione, così come ricordato da Bauman nel motto rivoluzionario francese, la stella dell’u- 257 Le vespe: un caso di sociogiologia culturalmente mediato Anno IV - n. 10 258 guaglianza ricondotta nell’alveo di un più criptico e critico diritto al riconoscimento, la riemergenza dell’idea di disuguaglianza quale naturale condizione degli esseri umani, sono alcuni degli issues politici che si intende destinare ad altra diacronica discussione. Ma andiamo con ordine. Alla lettura del prezioso contributo la percezione di trovarsi di fronte ad uno studio di sociobiologia è forte: biologia e sociologia si incontrano inter et intra le righe del piccolo Laterza. Quella sociobiologica è una prospettiva relativamente attuale ancorata alle dottrine di C. Darwin e H. Spencer. Per il suo più noto esponente, l’americano E.O. Wilson11, la sociobiologia è lo studio sistematico delle basi biologiche di tutte le forme di comportamento sociale in tutte le specie di organismi, compreso l’uomo. Aggressività, comportamento sessuale, interazioni, rapporti parentali o semplicemente di parentela, rapporti di genere, etc…, sono tutti argomenti cari alla sociobiologia ma sui quali l’arena scientifica tende a dividersi. Lo stretto parallelismo instaurato tra comportamenti umani e comportamento animale conduce spesso i sociobiologi a perder di vista le qualità distintive della specie umana rispetto a quella animale. Gli autori che simpatizzano per le risultanze della sociobiologia sono per lo più biologi (che poco sanno di scienze sociali). Sociologi e antropologi tendono in grande maggioranza ad essere scettici circa le affermazioni della sociobiologia. Al di là delle polemiche che di frequente riesce a sollevare, la sociobiologia si afferma più per ciò che rivela sulla vita degli animali che per quanto dimostra a proposito del comportamento umano. E infatti i biosociologi sono riusciti a dimostrare che alcune specie animali sono molto più socievoli di quanto si ritenesse in precedenza e che i gruppi animali hanno una considerevole influenza sul comportamento dei loro membri12. Le idee dei sociobiologi sulla vita sociale dell’uomo sono, per quanto suggestive, troppo spesso congetturali. I detrattori recriminano che non esiste nessuna prova a dimostrazione della fondatezza di queste tesi. In buona sostanza nessuno può negare la presenza di una base biologica al comportamento sociale ma, deve riconoscersi che, tale ipostasi biologica non compare mai allo stato puro. La sociobiologia tende a 11 (n.d.r.) Si ricordi tra le sue opere Sociobiology: the new synthesis, 1975, Harward University Press, 25th Anniversary Edition, 2000. 12 F. Crespi, Il pensiero sociologico, Il Mulino, 2006. SILVÆ Le vespe: un caso di sociogiologia culturalmente mediato configurare se stessa come autonoma rispetto al mondo culturale, sociale, politico, economico13. Rectius, il comportamento biologicamente fondato, va inteso sempre come mediato culturalmente. È peraltro la mancata capacità di cogliere la specificità storica delle società umane la critica più corrosiva rivolta alla moderna sociobiologia. La variabile storica rimane troppo spesso esclusa dal discorso dei sociobiologi. L’a-storicità della sociobiologia contribuisce ad alimentarne una visione precipuamente idealistica14. L’uomo è ovviamente condizionato biologicamente ma le società umane si specificano storicamente in modi che non sono direttamente determinati dall’essere biologico dell’uomo: ogni condizionamento biologico appare mediato socialmente, non è mai immediato. Le strutture sociali che condizionano l’azione dell’uomo hanno sempre - repetita iuvant - origine storica15. Anche gli interpreti più favorevoli alla sociobiologia affermano che i geni non causano direttamente alcun comportamento; secondo L. Gallino l’influenza dei geni sul comportamento è fuor di dubbio, ma il problema rimane stabilire quali geni influenzano quali comportamenti16. Leitmotif del pensiero baumaniano è il concetto di modernità liquida (declinato recentemente anche in amore, vita e paura liquida). “Una vita è felice quando tutto è transitorio”, esordisce il sociologo, ponendo all’incipit del suo intervento torinese l’accettazione della precarietà e dell’incertezza come paradigma della felicità. La società liquida emergente non riconosce alcun punto fermo, costringe l’individuo ad una navigazione a vista, privata di ormeggi sicuri, lo conduce a solcare un mare viscoso di cui egli, sempre più smarrito, non riesce a scorgere i fondali, rendendo la sua esistenza, di esperienza in esperienza, più angosciosa17. Rimandando ogni ulteriore approfondimento all’opera integrale del maestro, va comunque rilevato che la modernità liquida pone causa sui la questione dei traffici umani, dei flussi migratori continui e globali. Qualsiasi territorio del pianeta è ormai di fatto defrontierizzato18. In SILVÆ Anno IV - n. 10 13 (n.d.r.) Si osservi che lo stesso Wilson quando cerca di indicare qualche conseguenza delle determinanti biologiche nel concreto comportamento umano è costretto ad usare il condizionale: il suo programma di ricerca sociobiologico si arresta, non può andare oltre l’ipotetico. 14 A. Izzo, Storia del pensiero sociologico, Il Mulino, 2003. 15 Ibidem. 16 L. Gallino, Oltre il gene egoista, in AA.VV., Sociobiologia e natura umana, Einaudi, 1980. 17 Z. Bauman, La modernità liquida, Ed. Laterza, 2003. 18 Z. Bauman, Le vespe di Panama. Una riflessione fra centro periferia, Ed. Laterza, 2007. 259 Le vespe: un caso di sociogiologia culturalmente mediato Anno IV - n. 10 260 ogni paese la popolazione è somma di diaspore, aggregato di profonde diversità culturali, crogiolo di razze, coacervo di caleidoscopici stili di vita. Ad eccezione di poche enclaves totalitarie, gli stati moderni, raggiunta la fase del nation-building, sono ormai più interessati (ancorché obbligati) ad assimilare (atteggiamento antropofago) gli stranieri in arrivo, piuttosto che a marginalizzarli e discriminarli secondo spinte centrifughe (tendenza antropoemetica). Non c’è luogo sul pianeta che possa sottrarsi a questa sfida, ogni società è destinata a piegarsi sotto l’egida di questa sfida globale, nessuna difesa sarà efficace. I protagonisti dell’era della modernità liquida non rivendicano più un formale e ormai svuotato diritto all’uguaglianza, quanto, piuttosto, la necessità di rimanere (in quanto si è) differenti (senza che questo significhi vedersi negati dignità e rispetto), non sognano un mondo migliore ma chiedono un posto tollerabile e tollerato in questo mondo. Già Immanuel Kant (in Per la pace perpetua, 1795) aveva predetto che la costruzione di regole di reciproca ospitalità sarebbe divenuta una emergente necessità per la specie umana. Le differenze tendono a dissolversi nella diffusa coabitazione allargata della società post-moderna: “…ormai siamo tutti o lo stiamo diventando come le vespe di Panama…”, ammonisce Bauman. E, giova sottolinearlo di nuovo, alle vespe d’oltreoceano il destino ha riservato l’onore di essere riconosciute come la prima entità sociale a cui è stata applicata una cornice cognitiva emergente e ancora in attesa di pieno riconoscimento. La nuova società creolizzata manca di un centro autoritario. Vivere senza un centro, ovvero in assenza di un centro ordinatore globale, assurge a nuova dimensione socio-politica. Si impone la necessità di metabolizzare il nuovo diktat. “La centralità del centro è stata smantellata”, scrive Bauman. Le mappe politiche del mondo con i territori colorati dovranno usare colori facili da cancellare ed usarli con parsimonia: panta rei (tutto scorre osservava Eraclito). Le oltre 200 unità sovrane del pianeta terra ricordano sempre di più i 33 alveari di Panama19. Ancora in tema di parallelismi con il mondo degli insetti sociali Bauman effettua un importante rimando alla teoria sistemica delle reti. Decisamente à la page, la teoria delle reti calza alla perfezione la fluida 19 Ibidem. SILVÆ Le vespe: un caso di sociogiologia culturalmente mediato 20 F. Crespi, Il pensiero sociologico, Il Mulino, 2006. 21 Z. Bauman, Homo consumens, Ed. Laterza, 2007. 22 A. Giddens, Sociologia, Il Mulino, 1996. SILVÆ Anno IV - n. 10 composizione della società contemporanea. La teoria delle reti o network analysis, elaborata dalla c.d. Scuola antropologica di Manchester, individua un nuovo modello sistemico di interazione sociale. L’analisi delle reti costituisce un utile contributo sul piano dei metodi empirici ai fini dell’individuazione di una serie di condizioni strutturali presenti nei contesti specifici dell’agire sociale. Il presupposto di fondo delle teorie di rete, che riprendono elementi dello strutturalismo, è che la struttura generale del sistema è il risultato dell’insieme delle strutture di interazione tra i diversi soggetti sociali. Le qualificazioni di questi ultimi sono costituite dalla posizione che occupano all’interno della rete di relazioni e non da caratteri indipendenti da tali relazioni. Le strutture dei ruoli e le posizioni nelle reti di scambio costituiscono pertanto il contesto delle possibilità concrete di scambio che si offrono gli individui e, di conseguenza, forniscono anche la base della spiegazione dei comportamenti. In questo senso le teorie di rete sono orientate alla individuazione e descrizione delle costellazioni dei modelli concreti di interrelazioni, costellazioni in base alle quali gli attori sociali possono effettuare determinate scelte o ne trovano precluse altre20. In una prospettiva ultronea la network analysis estromette dal linguaggio corrente il concetto di struttura tradizionalmente inteso surrogandolo con l’idea di connettività. Le strutture includono e racchiudono, trattengono, mantengono, limitano, contengono. Le reti sono flessibili e mutue, operano solo interinalmente attraverso un interscambio di connessione e disconnessione. Le reti nascono nel corso dell’azione, si mantengono vive solo nel presente e per il tramite di una successione di atti comunicativi. Diversamente dai gruppi o da qualsiasi altro tipo di organizzazione sociale, le reti sono appannaggio del singolo individuo. L’individuo è il perno su cui poggia la rete, snodo e fulcro dalla interconnessione, elemento permanente e irremovibile: unico suo creatore, proprietario e gestore21. Le relazioni istituite e sorrette da connettività di rete si avvicinano all’ideale della relazione pura22, ai legami sottili, facilmente tranciabili, incerti nella durata, privi del fardello della fedeltà eterna o delle promesse di impegni a lungo termine. Le reti offrono al proprietario/gesto- 261 Le vespe: un caso di sociogiologia culturalmente mediato re la confortevole (ancorché ingannevole e, in ultima analisi, frustante) sensazione di un controllo totale senza rischi sui propri obblighi e sulle prioprie lealtà: la revoca degli impegni assunti è sempre possibile, con poco sforzo e nessun senso di colpa23. Il passaggio è a dir poco traumatico: l’impegnativa appartenenza, sovraindividuale ed esageratamente strutturata, al gruppo sociale glissa in favore della nuova esperienza individualistica di rete. C’è un’ultima sorprendente similitudine colta dalla lente baumaniana tra le vespe panamensi e le comunità umane. Più che una metafora quella dello sciame delinea una idea paradigmatica in grado di tipicizzare ulteriormente la mixofobica società24 liquida. In primis lo sciame prende il posto del gruppo. Non esistono leader al suo interno, perché non esiste una struttura gerarchica che lo governi, non esiste al suo interno un alto più alto, e non è individuabile un centro, solo la direzione contingente colloca alcune delle unità di questo sciame a propulsione autonoma nella posizione di leader. Lo sciame non stimola la formazione di legami durevoli, ma di soli legami che durano il tempo dell’atto del consumo. Gli sciami si assemblano, si disperdono e si ricompongono guidati ogni volta da bersagli in movimento, agiscono a progetto e non conoscono la divisione del lavoro, prive di specialisti, in essi nessuno detiene competenze e risorse distinte25. Non sono delle squadre organizzate sistematicamente, piuttosto evocano squadriglie o compagnie di ventura alle quali il volare in gruppo conferisce una suggestiva sicurezza in considerazione del numero degli aderenti26. E allora, in conclusione, quale significato teleologico attribuire al volo collettivo delle vespe di Panama? E soprattutto quale occulta regia induce le vespe al c.d. volo di gruppo? Ben si guarda Bauman dal vaticinare una risposta perentoria, consapevole (come già Max Weber), del fatto che la sociologia, a differenza delle tante ideologie laiche e/o religiose, non abbia funzioni consolatrici. Un ameno suggerimento alla soluzione ermeneutica delle evoluzioAnno IV - n. 10 262 23 Z. Bauman, Le vespe di Panama. Una riflessione fra centro periferia, Ed. Laterza, 2007. 24 (n.d.r.) In ordine alla mixofobia, che si configura come paura di una qualsiasi unione con persone di diverse credenze (ad esempio religione, cultura, etc…) o di diverso gruppo (ad esempio sociale, etnico, etc…), si approfondisca in Z. Bauman, Homo consumens, Ed. Laterza, 2007. 25 Z. Bauman, Le vespe di Panama. Una riflessione fra centro periferia, Ed. Laterza, 2007. 26 (n.d.r.) Per un approfondimento sul tema delle masse si veda A.L. Farro, I movimenti sociali. Diversità, azione collettiva e globalizzazione della società, Franco Angeli, 2001. SILVÆ Le vespe: un caso di sociogiologia culturalmente mediato ni amebiformi degli sciami potrebbe prospettarsi nel recupero nostalgico di uno pseudoscientifico know-how. Rivisitare in chiave postmoderna l’arte divinatoria dei pagani àuguri vorrebbe significare abbandonarsi ad una possibilità romantica, tentativo naif di lenire le insicurezze dei mixofobici individui che popolano le ribalte della storia contemporanea. E concludiamo, stavolta davvero, con Bauman, così come lui stesso a Reggio Emilia (29 Aprile 2007) alla rassegna Fotografia Europea27: “…non voglio equiparare le vespe agli esseri umani ma il risultato fa ben sperare, se le vespe riescono a convivere con il diverso, perché noi non dovremmo riuscirci?”. La questione, secondo il miglior metodo sociologico, rimane aperta…per aspera ad astra… . SILVÆ Anno IV - n. 10 27 (n.d.r.) II^ edizione della manifestazione, tema Le Città/L’Europa. 263