Lezioni sul totalitarismo 2011 - Dipartimento di Scienze Umane

Totalitarismo, autoritarismo, democrazia
Working paper – da non citare
Tatjana Sekulić
Nel tentativo di identificare natura e carattere delle società del socialismo di tipo sovietico (detto
anche realsocialismo) è prevalso finora l‟approccio delle teorie del totalitarismo, i cui modelli
basilari possono senz‟altro essere considerati strumenti rilevatori per il riconoscimento di
elementi totalitari in qualunque struttura di potere politico. Nelle sue forme classiche tra cui si
distinguono quelle di F.Neumann, Z.Brzezinski e K.Fridrich, H.Arendt, T.Adorno e
M.Horkheimer, esse rappresentano analisi preziose delle forme storiche di questo fenomeno,
figlio diabolico della modernità. A queste teorie sarà dedicata la prima parte di quest‟articolo.
La sorte dei due grandi sistemi totalitari del XX secolo non è stata la stessa: la forma
esplosa prima e soprattutto durante la Seconda Guerra Mondiale, il nazismo, a cui si affiancano
diversi modelli dei regimi fascisti, fu fisicamente eliminato da un movimento internazionale,
militare ma anche ideologico, quello antifascista, di un‟ampiezza senza precedenti nella storia e
che anche oggi rappresenta un forte punto di riferimento della legittimità di governi attuali sia
democratici, sia di quelli non-democratici. Dall‟altra parte, Stalin, l‟alleato militare dei vincitori
senza il quale sarebbe stato molto difficile sconfiggere il nazismo, si è rivelato molto presto
l‟immagine rispecchiata del nemico Hitler. Il sistema staliniano è riuscito comunque a
sopravvivere molto più a lungo; non avendo subito sconfitta militare, esso è sopravvissuto, in
forme sempre meno radicali, fino al crollo dei regimi dell‟Europa centrale e orientale
simbolicamente rappresentato dalla caduta del muro di Berlino, a novembre del rivoluzionario
1989. Il modello di regime politico detto „post-totalitario‟ e la società da esso creata sono stati
afrontati con particolare attenzione dai teorici della Scuola di Budapest, A.Heller, F, Fehér e
Georgy Markucs, attraverso l‟analisi di stampo marxiano di una „dittatura sui bisogni‟.
L‟approccio di questi autori sarà presentato e discusso nella seconda parte del testo.
1.1.
Il concetto di totalitarismo
Le teorie classiche cercano di scoprire alcune caratteristiche comuni di questi fenomeni e il loro
nesso, in quanto direttamente riferiti alla modernità, con la società di massa nelle sue diverse
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dimensioni. I tratti comuni, che singolarmente possono essere identificati, sul piano storico e
geopolitico, nei diversi sistemi politici e all‟interno delle corrispondenti strutture e dinamiche
sociali, nelle società totalitarie invece appaiono in un modo particolare, poiché è solo in un
intreccio speciale instauratosi tra di loro, che assumono il loro carattere terrorizzante. Teorie di
totalitarismo, infatti, intendono le società totalitarie come una forma estrema della modernità che
è, in modo immanente, antisociale: tende ad abolire la stessa società in quanto tale.
Nel corso della storia i movimenti totalitari sono riusciti ad instaurare in maniera duratura
soltanto due regimi, quello nazista e quello stalinista, le cui ideologie sono state interpretate in
modo radicale; il numero delle loro vittime va ben aldilà dei confini della comprensione razionale.
A parte queste forme storiche, una serie di movimenti e regimi, fondati sulla revisione
bolscevica non soltanto del marxismo, ma anche dell‟idea socialista in quanto tale, hanno tentato
di costruire sistemi sociali e politici ex novo, comprendendo la società nella sua totalità. Fu così
anche per la società socialista jugoslava. Le élite comuniste jugoslave, ben presto (nel 1948, dopo
la guerra combattuta a fianco dell‟URSS, ) presero distanze da Stalin e dalla politica egemonica
dell‟Unione Sovietica, tesa ad allargare il proprio dominio oltre i confini degli altri stati nazionali,
inseguendo un‟idea distorta dell‟internazionalismo del „movimento operaio‟. Ad ogni modo, tale
presa di distanza non fu seguita da una seria riflessione sulle basi ideologiche su cui si fondava il
sistema politico sovietico. Questo fatto ebbe come conseguenza uno sviluppo di antinomie
specifiche di questa società, che si era trovata tra una trappola del totalitarismo immanente al
bolscevismo da una parte, e la rinuncia al modello stalinista dall‟altra. Fatta salva la specificità del
tentativo jugoslavo di creare un “umanesimo socialista”, un “socialismo dal volto umano”, che ha
reso, di fatto, questa società molto più vivibile rispetto agli altri regimi del socialismo reale, questo
sistema rimane comunque della stessa famiglia. All‟esperimento jugoslavo è mancata la
consapevolezza del fatto che, per quanto radicale possa essere l‟intervento riformatore nel
sistema, esso è destinato a rimanere mono-dimensionale finché tenta di costruire una società
libera senza istituzionalizzare il pluralismo politico.
Un altro interrogativo che si pone è quanto queste teorie siano applicabili alla comprensione
della natura dei movimenti etnonazionalisti che hanno portato alla dissoluzione della Jugoslavia, e
se, e quanto, esse possano aiutare a capire la natura dei regimi nei nuovi stati ex jugoslavi.
L‟etnonazionalismo, come fattore dominante della transizione molto ambigua delle società
post-comuniste e, in particolare, di quelle ex jugoslave, si è presentato come un movimento
sociale di destra aggressivo, grazie al quale, nel processo di mobilitazione e di integrazione degli
attori individuali e collettivi in chiave etnica, venivano livellate altre differenze e, almeno
apparentemente, altre disuguaglianze sociali. Nel confronto con i movimenti sociali occidentali
degli anni sessanta e ottanta, inclusi quelli cosiddetti “alternativi”, che hanno avuto
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prevalentemente una dimensione politica, questo tipo di movimento, oltre alla conquista di
obiettivi politici – creazione dei nuovi stati nazionali etnicamente omogenei, pretende di agire, ma
solo tendenzialmente ed in modo negativo (esplosione della violenza), anche sul piano sociale e
culturale delle identità collettive.
La domanda se ogni nazionalismo, nelle sue conseguenze finali, possa diventare autoritario
oppure totalitario, supera gli obiettivi di questo testo. Nel caso dei movimenti etnonazionalisti
nella ex Jugoslavia degli anni „90 la risposta sarebbe, con molta probabilità, positiva. In questo
senso si può parlare di un‟eventuale accettabilità delle teorie di totalitarismo nell‟analisi di
etnonazionalismo, in una dimensione comparativa con le sue forme storiche precedenti. In ogni
caso, esse si rivelano assai attuali, nonostante la crescente complessità sociale a livello planetario.
Franz Neumann: lo stato totalitario come Behemoth.
La parola “totalitarismo” compare nelle teorie sociali e politiche all‟inizio degli anni „20, nel
tentativo di spiegare la natura del nuovo stato sovietico, e dei movimenti fascisti che avevano
sempre più successo in alcuni paesi dell‟Europa. Gli autori conservatori, liberali, ma anche quelli
socialisti e comunisti, affrontavano questo termine da diversi punti di vista, concordando, pur
senza volerlo, nell‟analisi di alcune caratteristiche fondamentali di questi movimenti.1
Uno dei primi analisti dei movimenti totalitari fu Franz Neumann, che nel 1944, in esilio negli
Stati Uniti, pubblicò il suo famoso libro “Behemoth. Struttura e prassi del nazionalsocialismo”. In
quanto un teorico di sinistra marxista, Neumann spiega la società totalitaria del
nazionalsocialismo tedesco come una società di classe il cui ordinamento interno è in realtà
conseguenza dello sviluppo e del bisogno del capitalismo nello stadio monopolista. Stato
totalitario, per lui, è soltanto un altro nome per nazionalsocialismo. Questo scrittore si chiede
anche se sia opportuno considerarlo uno Stato, poiché il nazionalsocialismo aveva abolito i due
presupposti fondamentali per la sua esistenza: il monopolio sul uso legittimo della forza ed il
potere giuridico in quanto basilari per un ordinamento democratico. Invece dello Stato, questo
movimento totalitario instaura il suo potere creando una (debole) coalizione tra i quattro centri di
potere fortemente integrati e centralizzati - partito, burocrazia, esercito ed industria – “ognuno
dei quali opera secondo il principio del Führer e possiede un suo potere giuridico, amministrativo
e giurisdizionale.” (Neumann, 1988, p.542) Alle decisioni politiche si giunge con accordi informali
fra le élite di queste quattro “organizzazioni totalitarie”, e così ogni coordinamento tramite leggi o
Il leader dei popolari cattolici italiani, Luigi Sturzo, scriveva, verso la metà degli anni Venti, della similitudine del
fascismo e del bolscevismo, definendo il primo "il bolscevismo di destra", ed il secondo "il fascismo di sinistra".
Negli stessi anni Francesco Nitti, scrittore di orientamento liberale, pubblica a Parigi, dove si trova in esilio, un libro
su bolscevismo, fascismo e democrazia. In America, Sigmund Neumann e James Burnham, lavorano ad una teoria
sul fenomeno del totalitarismo. Comunque, una teoria complessiva sul totalitarismo apparirà solo dopo la fine della
Seconda guerra mondiale.
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“burocrazia razionale” diventa superfluo. L‟esistenza di uno stato che al di sopra di questi quattro
gruppi, rappresenterebbe, secondo Neumann, un pericolo per un indisturbato “raggiungimento di
compromessi e di governo sulle masse sottomesse”.
Il potere totalitario abolisce l‟ordinamento democratico ed anche lo Stato di diritto (Rules of
Law). L‟individuo rimane senza la protezione dei propri diritti, mentre il potere esercita solo la
“legge” del sistema e lo fa, per giunta, con il terrore. Così il potere politico, negando lo Stato
stesso, appare sotto l‟immagine di Behemoth e come governo del caos e dell‟emergenza quali
parti integranti dell‟ordinamento: “Poiché crediamo che il nazionalsocialismo sia, o stia
diventando, un non-stato, un regno di illegalità ed anarchia che distrugge diritti e dignità
dell‟uomo, e poiché esso va nella direzione del cambiamento del mondo nel caos di governo su
territori immensi, Behemoth ci sembra il nome giusto per il sistema nazionalsocialista.”
(Neumann, 1944).
La società tedesca degli anni Venti, prima dell‟arrivo di Hitler al potere, è vista come una
società di classe, aggravata da seri conflitti interni. Pertanto la coalizione tra i grandi capitalisti ed
il movimento nazionalsocialista viene spiegata come conseguenza della paura dei primi di fronte
alla ribellione delle masse. La repressione totalitaria appare lo strumento ideale per rompere
legami integrativi sociali: tale fu la messa fuori legge dell‟opposizione o l‟abolizione dei sindacati e
di tutte le associazione dei lavoratori. In questo modo diventò molto più semplice la
manipolazione delle masse di individui atomizzati. Attraverso particolari meccanismi di natura
politica, sociale, ma anche psicologica, si instaura un‟unica e tacita coalizione tra le élite e le masse:
le prime, per paura di essere private del potere usano il terrore per opprimere la società globale,
mentre le seconde, per paura del leader, perdono la capacità di pensare in maniera razionale e, di
conseguenza, agiscono emotivamente. Nella situazione in cui l‟individuo viene privato della
protezione dello stato legale, e sottoposto al terrore delle “forze inaspettate”, egli perde ogni base
di sicurezza nel proprio habitat, ed è ossessionato dalla paura e dalla frustrazione. Questo
sentimento di frustrazione accumulato, che di seguito si manifesterà sotto spoglie di tensione
aggressiva, viene astutamente indirizzato da parte del potere verso “oggetti secondari” (quali
Ebrei e comunisti), scelti, in generale, dal Führer. La paura è uno degli elementi fondamentali
legati all‟instaurazione e alla sopravvivenza dei regimi totalitari. “Solo un uomo libero dalla paura
può decidere liberamente.” (Neumann,1992, p.227) Negli anni che precedono la conquista del
Reichstag da parte di Hitler, la Germania è un paese “di alienazione e di paura”. I fatti sono noti:
“la sconfitta della Prima guerra mondiale, la breve ed incompiuta rivoluzione, l‟inflazione, la
depressione, la non-identificazione con i partiti esistenti , il non-funzionamento del sistema
politico… sono tutti sintomi della mancanza di una patria in senso morale, sociale, politico.”
(Idem, p.246).
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L‟alienazione viene presentata da Neumann come manifestazione a più strati. L‟alienazione
psicologica, quella dell‟ego dalla dinamica di stimoli, è immanente alla società industriale moderna
e produce paura, che può essere reale e nevrotica. Questa paura nevrotica svolge una funzione
politica nella società, dove, attraverso la propaganda, si crea un‟atmosfera di “congiura” che si
manifesta come mania di persecuzione. Il risultato di un tale sentimento è la “resa dell‟ego”, che
rinuncia alla propria individualità, e l‟identificazione del singolo, ormai parte della massa, con il
capo. Il singolo nella massa diventa barbaro – “creatura degli impulsi”. Questa paura potenziale
diventa “arma crudele nelle mani del capo” quando è attivata a livello sociale, dove le classi sociali
(ma anche gruppi religiosi e razziali) si difendono con movimenti di massa contro il proprio
degrado, che non viene compreso come conseguenza di un certo “processo storico”. Quando a
ciò si aggiunge anche la cosiddetta “alienazione politica”, sotto forma di “rifiuto cosciente del
sistema politico globale , che si manifesta con l‟apatia, perché il singolo non vede la possibilità di
cambiare con il proprio sforzo qualcosa nel sistema”, si completano le condizioni per la comparsa
di un movimento cesarista, che “disprezzando le regole del gioco, sfrutta l‟incapacità del cittadino
di decidere individualmente, e compensa la perdita dell‟ego con l‟identificazione con il Cesare”.
(Idem, p.250) La paura in quanto tale deve essere istituzionalizzata, una volta instaurato il potere
totalitario. Questo viene raggiunto non solo con il terrore e la propaganda, ma anche con il
particolare e perverso meccanismo di partecipazione collettiva al crimine. In questo senso il
sentimento morale di colpa, che si sviluppa inevitabilmente nell‟individuo, e che provoca paura e
panico, viene soppresso solo con un‟ulteriore identificazione con il capo, l‟unico in grado di fare
del crimine un atto morale.
Così si conclude il processo di formazione di stato totalitario come tipo specifico di “dittatura
moderna”, definito da Neumann come “governo di una o più persone che si appropriano del
potere nello Stato, monopolizzandolo ed esercitandolo senza limitazioni.” (Neumann,1992,p.195)
Cinque sono i fattori fondamentali che distinguono questo tipo di potere da altri modelli di
dittature: 1. Lo Stato legale viene trasformato in uno Stato di polizia, dove “gli organi esecutivi
[…] dispongono a loro piacimento della vita, della libertà e della proprietà” (Tadić,1988: p.390);
2. Il potere viene concentrato nel centro del regime totalitario; 3. L‟istanza centrale di controllo
diventa il partito statale monopolista; 4. Il controllo pluralista della società si trasforma in quello
totalitario - si perde la distinzione tra lo stato e la società;2 5. Si basa sul terrore nel senso “dell‟uso
di violenza non calcolabile quale minaccia permanente all‟individuo” (Idem, p.390).
Ciò, secondo Neumann, avviene tramite il principio del Führer, per cui la responsabilità va impostata verso il
vertice. Con la sincronizzazione di tutte le organizzazioni sociali, viene creata "l'élite gerarchica" che da una parte
controlla le masse dall‟interno e dall‟altra tenta di nascondere da esse le manipolazioni che provengono dall‟esterno,
atomizzando ed isolando l'individuo e trasformando la cultura in propaganda, e valori culturali in merce.
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Così concepita, la dittatura totalitaria rappresenta, secondo Neumann, il sistema politico più
repressivo nella storia.
Karl Friedrich e Zbignev Brzezinski: La dittatura totalitaria e l’autocrazia.
K. Friedrich ed il suo discepolo Z. Brzezinski sono gli autori di una della più complete teorie
classiche sul totalitarismo. Secondo questi autori, la dittatura totalitaria è una forma storica di
comunità politica completamente nuova, comparsa in due aspetti sostanzialmente uguali - lo
stalinismo ed il nazismo. Pur facendo parte di sistemi autocratici, la sua specificità è che si basa su
“presupposti di civiltà moderna e di democrazia di massa” (Tadić, 1988,p.378), ed è, come tale,
adattata alla società moderna, tecnicizzata, industriale: “Totalitarian dictatorship is a logical extension of
certain traits of our modern industrial society.” (Friedrich, Brzezinski, 1956, p.3).
In ogni modo, a differenza delle autocrazie tradizionali, nelle quali i leader politici sono
comunque sottomessi alla legge costituzionale dello stato, in uno stato totalitario si arriva ad una
distorsione del principio legale. Così la legge suprema diventa quella del movimento, dettata dal
capo, che, a sua volta, ha una totale autonomia nell‟agire. L‟ideologia del movimento così tende a
trasformare la sfera normativa in quella esistenziale, dove l‟agire viene interpretato secondo le
leggi superiori della natura o della storia. Esso si presenta, da un lato, come negazione del
principio comunemente accettato come la spartizione dei poteri (legislativo, governativo e
giuridico) cruciale nelle democrazie occidentali, e dall‟altro, nello stesso tempo, risulta
perfettamente capace di strumentalizzare le procedure democratiche per conquistare il potere
(come fu il caso di Mussolini e Hitler). Per questa sua caratteristica Karl Friedrich lo definisce
“perversione della democrazia”.
Secondo questi autori, la dittatura totalitaria non era nelle intenzioni primarie delle élite del
movimento totalitario: i leader del movimento, a cui sono immanenti l‟anticostituzionalità e l‟antidemocraticità, si sono trovati, al momento della conquista del potere, davanti a difficoltà
impreviste, sotto forma di varie resistenze sociali alla trasformazione della società secondo
presupposti ideologici. Pertanto, l‟accettazione ideologica di forza e di violenza si è rivelata
necessaria nella successiva realizzazione del progetto dello Stato totalitario. Questa accettazione
della violenza come strumento politico del movimento, con il quale viene abolito il monopolio
dello Stato all‟uso legittimo della forza, è strettamente legata all‟attività propagandistica
ingannevole (“propagandistic fraud on a large scale”), che è, in fondo, una particolare forma di violenza
che agisce sulla mente e sui sentimenti (Idem, p.293). In questo modo la totalizzazione appare
come uno specifico processo evolutivo che ha attraversato varie fasi, ma che ha sempre svolto,
con coerenza e con ogni mezzo disponibile, un cambiamento radicale della società. Nella prima
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fase, il movimento totalitario conquista il potere, presentandosi come una „nuova forma della
democrazia‟. Trovandosi in quel momento circondata da un ambiente “pre-totalitario”, l‟élite
partitica del movimento si pone, come primo compito, la necessità di liquidare la vecchia classe
dirigente e di estendere controllo sulla maggior parte degli strumenti di potere (Idem,p.296)) Solo
nella seconda fase, dopo l‟installazione di un governo basato sul principio del monopolio di un
unico partito, ha inizio la vera totalizzazione della società, dapprima con la resa dei conti con
l‟opposizione interna al movimento. La richiesta ideologica di un cambiamento radicale, che, in
fondo, implica un‟agire incisivo sulla realtà reale e la sua creazione ex novo, lega il movimento
totalitario alle rivoluzioni che lo hanno preceduto nella storia. D‟altro canto, secondo gli autori,
da esse lo distingue la sua specifica componente pseudo-scientifica, che descrive ogni attività
come dovuta ad una pretesa trascendentale, in riferimento alle forze sovraumane, come nel caso
del richiamo di Stalin alla “spietatezza della dialettica” o del “ragionamento gelido” di Hitler.
(Idem, p.298)
Un regime totalitario quindi, secondo Friedrich e Brzezinski, risulta caratterizzato da sei
elementi specifici: (a) un‟ideologia totalitaria che ha, in fondo, un carattere pseudo-religioso3; (b)
un unico partito di massa guidato da un capo che ha il monopolio di potere; (c) la polizia
terrorista che prende il controllo della società e dello stato 4; (d) il monopolio sui mezzi di
comunicazione; (e) il monopolio sull‟armamento; (f) un‟economia pianificata guidata
centralmente5.
Comunque, secondo questi autori, nemmeno una semplice somma di questi fattori fa della
dittatura totalitaria una forma politica sui generis che la distinguerebbe da altre autocrazie. Quello
che la rende diversa da simili regimi è un particolare intreccio che si crea tra i suddetti sei
elementi, il che fa diventare questa società uno specifico sistema organico. La sottomissione della
totalità sociale è resa possibile proprio dalla diffusione dell‟ideologia, che in precedenza era
inimmaginabile, e che è conseguenza dello sviluppo tecnologico. Le tecnologie moderne e la
società di massa diventano così presupposti centrali e sostanziali per la comparsa del
totalitarismo.
Alla fine del loro studio sul totalitarismo, gli autori si chiedono quale destino possano avere i
regimi totalitari, e concludono affermando che i regimi di tipo sovietico non possono essere
destituiti dal potere con una guerra o con un qualche tipo di cambiamento rivoluzionario, proprio
"Totalitarian ideology consists of an official doctrine which radically rejects the pre-existing society in terms of a
chiliastic proposal for a new one." (Idem, p.13)
4 "In order to become the instrument of total terror which the police system is in a matured totalitarian system, it
must acquire the requisite knowledge of its human material, the potential victims of its terrorist activity." (Idem,
p.299)
5 "It is at the point at which the totalitarian break-through occurs that the total planning of the economy imposes
itself. For it is at this point that the social life of the society has become so largely disorganised that nothing short of
central direction will do. In a sense, this total planning is the sign of the culmination of the process."(Idem, p.99).
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a causa della loro natura totalitaria che abolisce qualsiasi spazio di libertà. Qualche possibilità
sussiste nell‟ambito delle trasformazioni interne del regime, una volta che esso raggiunge l‟apice
del potere. Pertanto il punto debole potrebbero essere le contraddizioni causate dalle richieste di
un nuovo sviluppo tecnologico ed industriale; ciò avrebbe come conseguenza il conflitto tra una
nuova classe di tecnocrati e manager, e la vecchia struttura “pietrificata” del partito. Comunque,
affermano questi autori, la scomparsa di un regime totalitario, non significa automaticamente che
un movimento di simili caratteristiche non apparirà sotto qualche altra forma o in un qualche
altra area, proprio a causa di condizioni endemiche che le hanno permesso di nascere. (Idem,
p.303)
Hannah Arendt: Alle origini di totalitarismo
Hannah Arendt parte dalla asserzione che il totalitarismo sia un fenomeno completamente
nuovo, caratteristico delle società moderne del XX secolo. Lei prende le distanze dalle teorie che
avevano spesso, a suo avviso, erroneamente interpretato questa forma politica o come regime
autoritario o come tirannia. Le teorie liberali basano la propria analisi dei regimi politici prima di
tutto sulla “storia e sul progresso della libertà”, e vedono pertanto elementi totalitari in ogni
“restrizione autoritaria della libertà”. D‟altra parte, le teorie conservatrici trovano la propria
premessa fondamentale nella ininterrotta sparizione dell‟autorità nel mondo moderno, nella
dissoluzione delle basi sociali tradizionali. Perciò, secondo loro, i regimi totalitari si avvicinano
alle tirannie, nel senso che il totalitarismo viene interpretato come “conseguenza della perdita di
tutte le autorità tradizionalmente riconosciute”. (Arendt, 1970, p.108)
Secondo Arendt, invece, nell‟ambito dei regimi autoritari la libertà è ristretta, mentre le tirannie
sopprimono del tutto la libertà politica. A differenza di questi due casi, nei regimi totalitari viene
abolita la spontaneità stessa quale “manifestazione di libertà più generica ed elementare” (Idem,
p.106). I regimi autoritari e le tirannie si differenziano per il fatto che nelle tirannie il tiranno
esercita il potere esclusivamente sulla base della propria volontà e di interessi che diventano la
legge più alta dello stato, mentre persino “il peggiore regime autoritario” viene comunque
condizionato da un certo ordinamento legislativo. La fonte dell‟autorità in queste società è
sempre all‟infuori dal potere autoritario stesso, in riferimento ad una forza esterna e superiore,
che trascende la stessa società. In questo senso il modello di una società autoritaria può essere
rappresentato nella forma di piramide, dove l‟autorità legittimante si trova fuori dal sistema,
mentre la sede del potere è collocata al vertice. Dal vertice verso gli strati più bassi vengono
filtrati l‟autorità ed il potere, in modo tale che ogni strato più basso acquisisce un certo livello di
autorità, certamente inferiore rispetto ai precedenti strati più alti della piramide. In questo modo
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si stabilisce un sistema in cui i nessi integrativi si dimostrano molto stabili e resistenti ad influenze
esterne. Attraverso una gerarchia così impostata il regime autoritario si dimostra come “forma di
governo meno egualitaria, che incorpora l‟ineguaglianza e la distinzione come principi informatori
dell‟intero sistema”. (Idem., p.109)
A differenza dai regimi autoritari, le tirannie si dimostrano, paradossalmente, molto più
egualitarie poiché è il tiranno che governa in maniera assoluta tutto il resto della società, la quale è
ridotta alla semplice massa di sudditi, resi uguali dalla mancanza di potere.
Il regime totalitario, però, si distingue sia dalla tirannia sia da altri modelli di autocrazie. Arendt
lo rappresenta nella forma di cipolla: nel suo centro, “quasi in uno spazio vuoto”, è collocato il
capo supremo. Lui agisce non come nel caso del potere autoritario, fuori dal sistema, e nemmeno
come il tiranno dal vertice, ma dal nucleo del sistema. Il capo è circondato dai seguaci più fedeli,
l‟élite partitica, che formano il primo velo. Il secondo velo è rappresentato dai membri del Partito
(che è sempre ed unicamente uno), seguiti dai cosiddetti “simpatizzanti” che devono la propria
esistenza e il proprio status al fatto di aver accettato l‟integrazione nel sistema. Il radicalismo
estremo del movimento è espresso dal pensiero e dalle attività del capo, nella forma di
un‟ideologia. Rispetto a lui, gli appartenenti alle élite più fedeli si mostrano sempre meno radicali.
Il mondo esterno dei membri del partito si distanza, rispetto alle élite radicali, ancor di più dalla
base ideologica del regime. Il radicalismo si perde ulteriormente nel rapporto dei membri del
partito con la base sociale. Questo diluirsi del radicalismo ideologico, secondo Arendt, costituisce
la sostanza stessa del regime totalitario, e gli consente di sopravvivere e di presentarsi come
accettabile, ad ogni suo passo verso gli strati esterni della vita e della realtà, nascondendo in tal
modo la vera natura del mondo, artificialmente costruito, nel quale vive. D‟altro lato, proprio i
diversi gradi di radicalismo e di integrazione, consentono di proteggere gli strati interni del
movimento e soprattutto il capo: “le organizzazioni di simpatizzanti avvolgono il movimento in
una nebbia di normalità e rispettabilità, che inganna i suoi membri sul vero carattere del mondo
esterno ed il mondo esterno sul vero carattere del movimento.” (Arendt, 1996, p.506) Lo stesso
capo, che si trova al centro del movimento, agisce così autonomamente come se si trovasse al di
fuori del movimento. Contemporaneamente egli si identifica con ciascuno dei suoi subordinati e
si assume la responsabilità per ogni azione compiuta da loro, inclusi i peggiori crimini. Così “il
vero mistero del capo totalitario sta in un‟organizzazione che gli consente di assumersi, come il
più radicale dei radicali, tutta la responsabilità per i crimini commessi dalle formazioni d‟élite, e di
fingere, nello stesso tempo, l‟onesta e innocente rispettabilità del più ingenuo simpatizzante.”
(Idem, p.518)
Per la autrice il presupposto della formazione di un movimento totalitario consiste
nell‟esistenza di una società di massa, atomizzata ed individualizzata. In una società del genere
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l‟individuo è isolato e rimane fuori da legami e da rapporti sociali „normali‟. Una società
atomizzata si manifesta sotto forma di masse, che firmano una specie di patto/alleanza con le élite
dei movimenti totalitari. La base ideologica di questi movimenti non è il raggiungimento di un
determinato scopo; essi sono quasi del tutto privi di ogni tipo di utilitarismo e pertanto possono
sopravvivere solo sotto forma di movimento. Ai loro membri si richiede “una dedizione e fedeltà
incondizionata ed illimitata”; inoltre, i movimenti totalitari “usano ed abusano delle libertà
democratiche per distruggerle” (Idem, p.448). Una volta raggiunto il potere, essi compiono una
rottura radicale con la realtà, in contrappunto con la quale creano una propria organizzazione,
basata su una particolare menzogna ideologica. Questa organizzazione tende non solo a accludere
la società integrale nelle quale è nata, ma anche ad estendersi fuori dai confini di essa, proprio a
causa della sua peculiarità - e cioè dell‟impossibilità a lei immanente di concludere ed abolire il
movimento. L‟estensione avviene tramite la propaganda basata sul terrore, poiché “il vero fine
della propaganda totalitaria non è la persuasione ma l‟organizzazione” (Idem, p.498). La
propaganda è basata su un totale disprezzo verso i fatti, che vengono giudicati non come dati
oggettivi, ma come entità del tutto dipendenti dalla capacità e dal potere umano di produrli. Così
l‟ideologia dei movimenti totalitari viene presentata come assai più logica e coerente rispetto al
mondo della realtà, e come tale riesce a creare un mondo fittizio, “capace di competere con
quello reale”. (Idem, p.500)
Inoltre, nel momento in cui un movimento totalitario si costituisce come regime, smette di
utilizzare la propaganda come strumento di integrazione totalitaria e passa all‟indottrinamento.
Questo passaggio è cruciale per la comprensione del movimento totalitario, nel senso che la
violenza ed il terrore non perdono la loro funzione nel momento della conquista del potere nella
società, ma rimangono incorporati, in maniera forte, nel regime. Il terrore, poi, rappresenta la
sostanza stessa del regime ed è indispensabile non più per „spaventare‟ la gente, ma per “tradurre
in realtà le dottrine ideologiche e le menzogne pratiche che ne derivano”. (Idem, p.471). La base
dell‟ideologia perde la sua importanza, sia essa classe, nazione o qualsiasi altra cosa: “la forma di
predizione infallibile in cui sono presentati questi concetti è più importante della sostanza” (Idem,
p.481). L‟ideologia si presenta come teoria scientifica, basata non più sul diritto positivo, bensì
sulle leggi della natura o della storia. Il posto del diritto positivo viene così occupato dal terrore
totale, il cui compito è di “tradurre in realtà la legge del movimento”. In questo modo vengono
annullati gli strumenti razionali immanenti al genere umano con i quali l‟uomo è capace di
distinguere il bene dal male, il giusto dall‟ingiusto. Tutte le leggi diventano quelle del movimento,
e tutta l‟attività umana viene misurata secondo la forza sovrumana, sotto forma di natura o storia,
e le cui leggi, inconcepibili ad una mente ordinaria, vengono interpretate dal capo. In questa
maniera il terrore totalitario elimina la stessa “capacità umana di agire”. (Idem, p.640)
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In ogni ideologia, interpretata come “logica di un‟idea”, dove quell‟idea specifica diventa
strumento basilare di interpretazione, esistono certi elementi totalitari che possono essere
sviluppati soltanto da movimenti totalitari. Questi elementi, secondo Arendt, sono: 1. La
tendenza a spiegare non quel che è, ma quel che diviene, quel che nasce e muore. 2.
L‟emancipazione dalla realtà; l‟indipendenza da ogni esperienza; l‟insistere su una realtà “più
vera”. 3. Le ideologie non hanno il potere con il quale trasformare la realtà, e pertanto, tendono
ad emancipare il pensiero dall‟esperienza, e creano una propria logica interna la cui coerenza
dovrebbe essere la prova più importante della supremazia della vita ideologica su quella reale.
Nei regimi totalitari l‟ideologia, intesa come “politica ideologica”, tende a “distruggere tutti i
legami con la realtà”, usando come mezzi coercitivi terrore e repressione. Per riuscire nel suo
intento, il presupposto è l‟esistenza di una tale società composta da individui isolati ed atomizzati
che, dapprima per la propaganda ideologica e dopo per l‟indottrinamento ideologico, perdono la
capacità di vivere esperienze e di avere un pensiero autonomo. Così, il suddito ideale di un regime
totalitario non è né l‟individuo convinto della giusta causa dell‟ideologia di regime, né il suo
fervente seguace, bensì l‟individuo che ha perso la capacità di intendere la differenza tra realtà e
finzione.
Un‟altra importante caratteristica dei regimi totalitari, secondo Arendt, è l‟assenza di
motivazioni legate ai giochi di potere, così normali per la politica, o al desiderio per il potere. Il
movimento non si ferma alla conquista del potere: dopo averlo raggiunto, parte alla conquista di
tutti gli strati sociali. Per mantenere la mobilità del movimento, il regime crea un sistema parallelo
di potere tra il partito e lo Stato, moltiplicando gli organi statali. In questo modo si crea una falsa
immagine di sistema gerarchico nella spartizione del potere, che assomiglia a quello dei sistemi
autoritari. Comunque, a differenza da questi, il potere e l‟autorità non fluttuano con una certa
regolarità tra i vari strati e strutture nella scala del potere; i funzionari dei vari uffici ed istituzioni
non ricevono potere dalle istanze superiori, ma direttamente dal capo o dalla più ristretta élite del
movimento. Questi cosiddetti “quadri” cambiano posto nella “gerarchia” del regime totalitario,
non a seconda dei propri meriti, ma in base ai criteri „noti‟ solo al capo supremo. Nell‟ambito di
un sistema politico e sociale così mobile, ogni funzione diventa arbitraria e ogni atto viene
giudicato da criteri di “forza maggiore” delle leggi del movimento. La continua creazione ed
abolizione di sempre nuove “istituzioni” e il passaggio dei “quadri” da una funzione all‟altra,
rispecchia la natura finta del regime come movimento, mentre la confusione della gerarchia
sottolinea la sua diretta dipendenza dal capo. D‟altra parte, il reale centro del potere, viene
nascosto da un velo di segreto: “La mutevole divisione fra segreta autorità effettiva e
rappresentazione esteriore faceva della vera sede del potere un mistero per definizione, tanto che
11
neppure i membri della cricca dominante potevano essere assolutamente sicuri della propria
posizione nella gerarchia segreta.” (Idem., 550)
Questo potere rimane al di fuori delle istituzioni del sistema, dell‟apparato statale e di quello
militare. Il modello che gli assomiglia di più è quello dell‟istituzione della polizia segreta. Il capo e
la cerchia militante più ristretta delle élite del movimento non si affidano più all‟esercito, come nel
caso di altri regimi politici, ma alla polizia ed in particolare, ai servizi segreti. Distruggendo la
legittimità del diritto positivo e proclamando le leggi del movimento, le élite totalitarie
introducono due categorie fondamentali nel diritto del regime: la categoria del “nemico
oggettivo” e quella del “delitto possibile”. In questo senso, nessuno è fatto salvo dall‟eventualità
di essere dichiarato nemico o di rispondere per crimini di cui non è consapevole. Dunque
ciascuno è esposto, in uguale misura al terrore del regime e non può mai essere del tutto certo di
non venire rigettato, da un momento all‟altro, indipendentemente dalla posizione che occupa
nella “gerarchia”.
Il terrorismo totale di regime si consolida nel momento in cui è del tutto stabile, cioè quando
“non ha più niente da temere dagli oppositori” (Idem, p.602) Questo presupposto ha reso
possibile l‟eliminazione di interi gruppi di popolazione, scelti dapprima su base razziale e
nazionale (come Ebrei, Rom e Sinti, Serbi, Polacchi, Russi), e poi in base alla scala di priorità
stabilita dalle leggi del movimento (comunisti, disabili ecc).
Per questo Arendt ritiene che uno dei postulati fondamentali dell‟ideologia del movimento sia
la “mostruosa illimitata esplorazione del possibile” dove il regime, in maniera diretta, dimostra la
propria natura tendendo ad “esigere un potere illimitato”. (Idem, p.626) Per riuscire in questo
intento, il regime deve attraversare tre stadi: nel primo vengono aboliti i diritti umani
fondamentali, con “l‟uccisione del soggetto di diritto che è nell‟uomo”. Segue poi
l‟annientamento della moralità personale dell‟individuo, della sua capacità di decidere secondo
coscienza. Infine, la più difficile da distruggere, l‟ultima istanza umana: l‟unicità della personalità,
ciò che distingue ogni singola persona dal genere umano globale, viene eliminata nel campo di
concentramento, il lager, “la vera istituzione centrale del potere totalitario”, dove, nel modo più
radicale, viene soppressa la spontaneità stessa, il fondamento della libertà umana.
Come è possibile che venga instaurato un regime totalitario? Quali sono gli elementi in grado
di avvertirci del pericolo che una tale cosa possa accadere? Arendt, ad un certo punto del suo
studio sul totalitarismo, afferma: “E‟ la comparsa del male radicale, precedentemente sconosciuto,
che pone fine alle evoluzioni e alle trasformazioni di qualità. Qui non ci sono criteri politici,
storici o semplicemente morali, ma tutt‟al più la constatazione che nella politica moderna è in
gioco qualcosa che non dovrebbe mai rientrare nella politica, come noi usiamo intenderla, che
essa è al bivio fra tutto e niente: tutto, un‟indeterminata infinità di forme di convivenza umana, o
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niente, la distruzione dell‟uomo in seguito alla vittoria del sistema dei campi di concentramento,
una distruzione altrettanto inesorabile di quella che l‟impiego della bomba all‟idrogeno
riserverebbe alla razza umana.” (Idem., p.607) La base di ogni probabilità di instaurazione del
regime totalitario è l‟impotenza dell‟individuo isolato: “l‟isolamento può essere l‟inizio del terrore;
ne è certamente il terreno più fertile; ne è sempre il risultato.” (Idem., p.649) Nel campo dei
rapporti sociali, l‟isolamento assume l‟immagine di estraniazione. L‟estraniazione, nel senso di
non-appartenenza al mondo, è una delle esperienze più radicali e disperate del genere umano,
dice la Arendt; con l‟estraniazione si perde la propria specificità, la propria identità, il proprio io.
Questa “esperienza limite”, che prepara il terreno al potere totalitario, “è diventata un‟esperienza
quotidiana delle masse crescenti del nostro secolo.” (Idem, p.655).
La scuola di Budapest - totalitarismo e dittatura sui bisogni.
Agnes Heller intende il totalitarismo in quanto un termine più ampio rispetto alla visione relativa
alle due principali immagini storiche dei regimi totalitari, il nazismo dopo il 1938, e lo stalinismo,
ritenuti da Arendt come le uniche vere realizzazioni del totalitarismo. Alla precedente distinzione
tra movimento e regime totalitario, Heller aggiunge la distinzione tra potere totalitario e società
totalitaria. In questo senso dice: “Ogni potere totalitario tende a totalizzare la società, ma solo
alcuni tendono alla totalizzazione piena”. (Feher, Heller, 1989, p.274). Nel caso del fascismo
italiano, il potere totalitario si limitava “all‟indottrinamento politico ed ideologico della società”;
nemmeno il nazismo tedesco ha avuto abbastanza tempo per costituirsi come società totale.
Pertanto, il prototipo di società totalitaria, secondo l‟autrice, rimane quello sovietico.
La definizione del potere totalitario di Heller non diverge molto dal modello di Arendt. Il
potere è totalitario se viene espresso come potere monopolista di un partito che diventa la sua
unica fonte. Il capo e la leadership partitica assumono il ruolo dell‟unico centro che emana potere,
anche quello legislativo, e mettono fuori legge il pluralismo. Il potere legislativo viene espresso
come volontà del capo supremo e del vertice partitico. Se “la volontà del capo determina tutta la
struttura socioeconomica di una data società e ciò mette fuori legge le alternative non solo
politiche ed ideologiche, ma anche quelle socioeconomiche”, si tratta di una società
completamente totalizzata (Idem, p.275).
Poi, secondo Heller, il potere totalitario si mantiene per mezzo di atteggiamenti politici ed
ideologici, ma anche psicologici e morali. Il governo totalitario viene applicato prima dentro il
partito, e in seguito esteso al movimento e alla società. Come fonte di potere viene indicato il
Partito, che ha ruolo sovrano, mentre la sovranità del popolo viene completamente abolita con il
principio del centralismo democratico. Su tutte le questioni pubbliche decide l‟apparato partitico
13
centrale. I quadri partitici vengono scelti solo all‟interno del Partito stesso, ma anche tutte le altre
organizzazioni, a livello comunale, nazionale, federale sono sotto il suo controllo. Il programma
del Partito diventa legge dello stato. Comunque, il paradosso della sovranità del Partito è che esso
attinge il suo potere dalla volontà del Capo: pertanto, la sua sovranità è finta, poiché nasconde il
vero centro del potere.
Gli individui atomizzati, che in un tale sistema perdono la possibilità di integrazione attraverso
una qualsiasi altra identificazione collettiva, trovano il proprio ambiente e la motivazione d‟agire
solo nell‟interesse di svolgere certe funzioni nell‟ambito del sistema. Questo è, nello stesso tempo,
anche l‟unico modo di integrazione sociale, e ciò porta ad una totale dipendenza della totalità
sociale rispetto al sistema. Nonostante il fatto che, secondo Heller, restino alcune oasi civili ma
non politiche, come la religione, nelle quali il pluralismo riesce a resistere, esse sono del tutto
marginalizzate, mentre gli individui che rifiutano l‟integrazione nel sistema vengono spesso
collocati nella sfera patologica e, non di rado, finiscono nei manicomi.
Questa situazione, comunque, porta alla “mancanza di motivazione morale ed alle nevrosi di
massa che potrebbero indebolire la riproduzione sociale” (Idem, p.278) Ciò, a lungo termine, può
portare all‟indebolimento delle basi stesse del sistema.
Il sistema sovietico si è dimostrato capace di auto-riprodursi nel corso degli anni, soprattutto
grazie alla propria capacità di auto-re-interpretazione ideologica. In questo senso, la revisione del
modello di Stalin, compiuta da Chruschev, si rivela non come una radicalizzazione minore del
sistema, ma come un adattamento del sistema a nuovi bisogni ideologici. Pertanto, l‟apparente
controversia della svolta ideologica contro il fondatore del movimento, era, in verità,
l‟adattamento del potere totalitario al modello oligarchico come più adatto per la seguente fase di
totalitarizzazione della società rispetto a quello precedente, autarchico. In questo senso il regime
rimane coerente, e sviluppa la propria funzionalità interna che agisce in sintonia con i fini
ideologici del progetto di totalitarizzazione.
Queste caratteristiche stabiliscono l‟appartenenza, per quanto problematica, di questo regime
ai
tempi
moderni.
Heller
distingue
la
“modernizzazione”
di
tipo
Occidentale,
dall‟”ammodernamento” del modello sovietico. Questa “modernizzazione” avviene attraverso un
alto livello di industrializzazione, che diventa così il denominatore comune del tipo di società
moderna occidentale e sovietica (tenendo conto del fatto che le società occidentali sono
caratterizzate anche da capitalismo e democrazia, mentre quella sovietica lo è da funzionalismo e
totalitarismo). In questo senso, lei concorda con Arendt che “si è rivelato che il totalitarismo è la
forza motrice e la reale sostanza di una nuova modernità” (Idem, p.277) e non un qualunque
prodotto di arretratezza o sottosviluppo.
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Il totalitarismo si presenta dunque sotto forma di movimenti che tendono ad instaurare un
regime. Essi si differenziano in quanto alcuni riescono ad accontentarsi dell‟indottrinamento
politico ed ideologico della società, mentre altri tendono a creare e consolidare una vera e propria
società totalitaria. Heller nomina quest‟ultima forma come “totalitarismo terrorista”: un
totalitarismo è terrorista quando, oltre allo Stato totalitario mette in azione anche un principio
carismatico legittimante. Questa definizione è basata sul presupposto che lo stato totalitario possa
sopravvivere anche senza questo tipo di legittimazione. Il totalitarismo terrorista invece funziona
in seguente modo: (a) la società viene sostituita dalla comunità; (b) le regole legali formali
vengono sostituite dall‟agire diretto; (c) il pluralismo viene eliminato con il processo
dell‟omogeneizzazione. Così il totalitarismo viene spiegato come una “società politica che
sottomette e distrugge la società civile”. Il sistema di dominazione, che viene sviluppato nel
totalitarismo, è tale da non determinare necessariamente una struttura socioeconomica che
funziona sempre secondo lo stesso principio; perciò “strutture socioeconomiche del tutto diverse
possono essere totalitarie allo stesso modo”. (Idem, p.216) Questo aveva reso possibile la
comparsa di movimenti e regimi totalitari su fondamenta economico-sociali così diverse tra di
loro, quali erano il nazionalsocialismo tedesco, il fascismo italiano ed il “realismo sociale”
sovietico. Una delle prime definizioni del totalitarismo fu espressa da Mussolini: “Il concetto
fascista dello Stato è universale; all‟infuori di esso non ci deve essere nessun valore umano o
spirituale. Il fascismo così concepito è totalitario, mentre lo stato fascista, come sintesi ed unità
che include tutti i valori, interpreta, sviluppa e dà potere aggiunto alla vita globale del popolo.”
(Idem, p.216)
La prima base di legittimazione del regime totalitario è costituita dal leader carismatico. La
fonte ausiliaria di legittimazione è relativa al principio di “razionalità sostantiva”, che è in
contrasto con i principi legittimanti di razionalità del fine e del valore. Secondo questo principio, i
fini non rappresentano valori per sé, ma sono riferiti agli interessi di gruppo, secondo i quali
vengono ridefiniti in dipendenza dal contesto. Poiché lo scopo del Partito, impostato secondo “lo
studio scientifico sulla trasformazione socialista”, è quello di incarnare gli interessi del
proletariato, secondo Heller “si arriva al punto in cui la razionalità sostantiva serve solo come
ideologia per centralizzare le decisioni economiche - diventa un puro mito”. Nel momento di una
sconfitta militare o della morte del capo carismatico, l‟élite partitica passa completamente a questo
tipo di legittimazione dell‟ordinamento. Nel caso dell‟Unione Sovietica, il sistema riuscì a
sopravvivere dopo la morte di Stalin proprio reinterpretando con successo le proprie basi
legittimanti. Ciò poté accadere grazie al fatto che lunghi anni del potere del totalitarismo
terroristico riuscirono a costruire una struttura socioeconomica relativamente stabile ed adeguata
al sistema di dominazione, mentre ogni alternativa politica veniva “sterminata”. Inoltre, fu
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importante il fatto che l‟URSS uscì dalla guerra come parte della vittoriosa alleanza antifascista e
come potenza mondiale politica e militare. All‟inizio degli anni Ottanta, il sistema era già talmente
radicato nel tessuto sociale che poteva essere considerato un sistema tradizionale: “Tutti i
costumi, atteggiamenti, capacità, anche la stessa lingua, erano creati dal totalitarismo, che era
diventato parte di vita quotidiana e una seconda natura per gli esseri umani che vivono sotto di
lui.” (Idem, p.225)
In una società totalitaria del genere, ormai tradizionale, il potere autocratico del capo
carismatico viene sostituito da quello dell‟oligarchia. Il primariato del segretario generale, che ora
governa secondo il principio primus inter pares rispetto ai membri della leadership più stretta, è più
dovuto a “tradizione, concentramento del potere e valutazione pragmatica”, che a una fede
pseudo-religiosa come nel caso del potere autocratico.
L‟oligarchia instaura uno specifico sistema gerarchico di potere, mentre, nello stesso tempo, il
sistema non diventa autocratico. I quattro elementi fondamentali in questa forma di realizzazione
del potere sono: burocrazia, polizia, codice penale e paternalismo.
Mentre secondo Weber, la burocrazia è la “macchina amministrativa della razionalità
strumentale”, nelle società di tipo sovietico essa perde la propria formale razionalità. Il suo potere
è unicamente quello “esecutivo emanato”, affidatole dal potere centrale del Partito. La burocrazia
ha un tale ruolo che la obbliga ad essere inefficace, “a rinviare di soddisfare i bisogni della
popolazione.” Agisce secondo il sistema delle direttive, ed in questo modo “apre la strada alle
(avanzate) priorità di indottrinamento ideologico”. (Idem,p.259). Il potere di una ristretta élite
partitica è assicurato dal significato che la polizia ha in questo tipo di sistema: “tutti gli Stati
totalitari sono […] necessariamente Stati di polizia”. Il codice penale ha la funzione di ridefinire
clausole costituzionali che, come quadri ideali (ma in realtà finti) del sistema, sono forse rivolti
più verso l‟esterno del sistema, che all‟interno, verso i cittadini del paese, e come tali lasciano
spazio ad interpretazioni più liberali. Ai sudditi di un sistema statale del genere, non restano che
due diritti fondamentali: lo “ius supplicationis”( il vecchio diritto feudale di richiesta di servizi), ed il
diritto di denunciare. Lo stato si comporta verso i sudditi in maniera paternalista. “I sudditi
ricevono tutto ciò che assicura la loro dipendenza: (a) la base materiale necessaria per la pura
sopravvivenza e (b) servizi che permettono il controllo dello stato sull‟individuo.” (Idem, p.260).
La totalizzazione della società viene effettuata attraverso l‟indottrinamento. E‟ necessario a
questo punto comunque sottolineare che Heller intende l‟ideologia in modo diverso rispetto a
Arendt. Secondo questa interpretazione, l‟ideologia sovietica perde le caratteristiche di
un‟ideologia, in modo tale che (a) cambia interessi di classe del proletariato per la sovranità del
partito come fine a sé stesso; (b) la particolarità delle ideologie è di essere competitive tra di loro,
mentre l‟ideologia sovietica aveva escluso anche la possibilità di esistenza di ogni altra ideologia
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“fino al punto di smettere essa stessa di essere ideologia”; (c) diventa superflua la coerenza di
Weltanschauung, poiché esso viene ogni volta reinterpretato, a seconda della volontà del sovrano.
Così l‟ideologia sovietica diventa dogma/dottrina/scienza, che non può tollerare ideologia di
nessun tipo, ed in particolare quella marxista. La funzione della dottrina diventa così quella di
legittimare il sistema tramite la “razionalità sostanziale”, e, in questo modo, di totalizzare e
controllare la società. Attraverso l‟indottrinamento il sistema si realizza nella sua estrema
conseguenza dell‟appropriazione del monopolio al pensiero ed alla “dis-illuminzione”
dell‟individuo: il partito chiede all‟individuo di “non usare la mente” e di appoggiarsi
completamente “sull‟intelletto collettivo del Partito che si occupa del pensiero”. Il Partito come
tale, ne assume tutte le responsabilità per ogni sua decisione, ed in tal modo “la dis-illuminazione
libera l‟uomo dalla libertà morale, intellettuale e politica..” (Idem, p.281)
Questo “degradamento dei valori, la dissoluzione di un individuo potenzialmente libero”, si
raggiunge, secondo Ferenz Feher, tramite la cosiddetta “dittatura sui bisogni”, come punto
centrale dell‟interpretazione e della critica di modello sovietico della società. Il concetto della
“dittatura sui bisogni” deriva dalla teoria dei bisogni radicali, sviluppata dagli appartenenti alla
Scuola di Budapest, e basata sulla critica della filosofia radicale di K.Marx e della sua distorsione
stalinista. Rispetto ai bisogni naturali, indispensabili (che rappresentano il valore limite stesso di
tutti i bisogni, che poi è il limite dell‟esistenza come tale), e rispetto a quelli cosiddetti „sociali‟,
imposti dall‟integrazione di individui tramite la socializzazione, i bisogni radicali “portano al totale
cambiamento della struttura del sistema di bisogni”. (Heller, 1976).
La comparsa e lo sviluppo dei bisogni radicali è da collegare con le “contraddizioni inerenti
alla società moderna”. Essi vengono compresi prima di tutto, secondo questi autori, “come
principali forze motrici di superamento di alienata e dominante struttura capitalista di bisogni, di
qualità della vita e di carattere della società in generale.” Come tali, sono definiti come “necessità
collettiva per cambiamento dell‟esistente” (Vujadinović,1988,173). La teoria dei bisogni radicali
viene compresa come un progetto democratico del socialismo, e come tale intende restituire
dignità all‟idea del socialismo, degradata dal modello sovietico stalinista della società.
In questo senso, la dittatura sui bisogni diventa lo strumento fondamentale con il quale il
terrorismo totalitario del regime sovietico annienta l‟uomo non solo in senso politico e sociale,
ma anche in quello antropologico, privandolo della sua umanità e riducendolo, come direbbe
Arendt citando Aristotele, allo stato di animal laborans. Ciò viene effettuato tramite un totale
dominio della politica sull‟economia, ed in modo tale che per il leader carismatico e per l‟élite
partitica non è più importante il motivo utilitarista di appropriazione del valore aggiunto, nel
senso materiale di arricchimento e di privilegi. Il fine del regime e del movimento diventa la
dominazione stessa dell‟apparato sulla società: “Il sistema globale di dominazione sociale non è
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più indirizzato ad assicurare l‟appropriazione del valore aggiunto da parte di una classe sociale,
ma questa appropriazione rappresenta solo la base materiale per l‟espropriazione e
monopolizzazione di tutti i mezzi di socializzazione e di organizzazione sociale da parte di un
unico apparato di potere.” (G.Markucs, 1986, p.114) La produzione sociale è organizzata in
modo che, nella situazione in cui il mercato è del tutto eliminato, con un sistema politico
decisionale sotto forma di direttive centrali pianificate, essa viene completamente sottomessa al
“principio di massimo allargamento della base materiale di dominazione dell‟apparato sulla
società.” (Idem, p.140) L‟offerta stessa viene limitata in modo duplice: direttamente, con la
cosiddetta “politica di scarsità dei beni di largo consumo”, ed indirettamente, tramite l‟abolizione
del meccanismo di offerta e di domanda, con la definizione amministrativa dei prezzi. Così,
“questo sistema nella sua forma pura tende ad agire come brutale dittatura sui bisogni.” (Idem,
p.140) Nell‟ambito della società politica, dopo la prima fase di rivoluzione dall‟alto, si crea la
cosiddetta “società garantita”, che viene definita da Feher in modo seguente: “La società garantita
significa che, in cambio di una minima quantità di beni che assicurano la sua auto-riproduzione
fisica e culturale ad un basso livello, l‟individuo rinuncia alle possibilità di alternative sociali.”
(Feher,1986,p.351). In questo modo le persone rinunciano ai fattori fondamentali della
razionalità: la libertà individuale, il diritto all‟uso critico della mente, la liberazione dalla tutorship
globale sociale: qui si chiude il cerchio della società totalitaria consolidata.
Secondo Heller, i sistemi totalitari rischiano di fallire a causa delle proprie contraddizioni, solo
al momento in cui la società risulti completamente totalizzata. Quando ciò avviene, essi
acquistano un‟incredibile forza di ricostruzione e di riproduzione. Anche se la Heller nel suo
studio sulla dittatura sui bisogni del 1983, correttamente avverte che il punto vulnerabile del
sistema è quello legato alla crisi di legittimazione, quando non solo la popolazione ma anche i
membri del Partito “perdono la fede nella caratteristica primaria dell‟ordinamento, e pertanto non
lo ritengono più obbligatorio”, poco dopo conclude (erroneamente) che comunque “non si potrà
arrivare al fallimento del totalitarismo sovietico con un graduale cambiamento, ma soltanto con
una rivoluzione prevedibilmente sanguinosa.” (Feher, Heller, 1989, p.287)
Oltre a queste forme storiche fondamentali di totalitarismo, come particolari “vicoli ciechi
della storia” ( cosa in cui concordano le teorie classiche del totalitarismo), gli scrittori della Scuola
di Budapest ritengono che il fenomeno del totalitarismo sia anche capace di apparire in forme
diverse e mutate. Così Heller afferma, a differenze di Arendt, che pure alcuni movimenti del
Terzo mondo possano essere indicati come totalitari. A differenza dal totalitarismo nazista e
stalinista come fenomeni universali ed antireligiosi, questi nuovi movimenti utilizzano l‟elemento
religioso in funzione della totalizzazione. Insieme a questo (oppure indipendentemente), appare
come seconda caratteristica di questi movimenti una tendenza anti-modernizzante.
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Pertanto, si rivela alquanto problematica la tesi di Arendt secondo la quale “soltanto grandi
stati possono avventurarsi nel totalitarismo”, in quanto sono gli unici in grado di sacrificare
grandi gruppi di popolazione senza mettere in crisi le basi stesse della propria esistenza. Si è
dimostrato che, rinunciando alle tendenze universali verso un continuo allargamento, come
eterno movimento che tende a trascendere gli ambiti del sistema, i sistemi totalitari possono, con
molta semplicità, costituirsi come micro-sistemi locali all‟interno dei confini statali nazionali,
senza con ciò perdere la loro sostanziale aspirazione a sottomettere la società nel suo totale.
Le teorie del totalitarismo e il crollo dei regimi comunisti.
Nei paragrafi precedenti sono state esposte alcune delle teorie classiche del totalitarismo, che,
nonostante le divergenze nell‟interpretazione di società totalitarie, propongono una cornice
interpretativa coerente per la comprensione di questo tipo di sistemi politici.
Oltre agli autori presentati, vi è un numero significativo di altri che si sono occupati di questo
tema e che in questo luogo non è stato possibile presentare. Nelle società comuniste, hanno
avuto un significato particolare le idee della teoria critica della società sviluppate dagli
appartenenti alla Scuola di Francoforte e specialmente da T.Adorno, M.Horkheimer e
H.Marcuse, E.Fromm e W.Benjamin, con la loro critica della ragione strumentale e le indagini
sulla personalità totalitaria. Le opere di questi autori arrivavano ai lettori nei regimi di una certa
apertura, come quello jugoslavo (ancor prima che le teorie della Arendt, di Friedrich e Brzezinski,
che paragonavano apertamente le società di tipo sovietico con il totalitarismo nazista.) Ciò
probabilmente accadeva poiché questi teorici erano legati alla teoria marxista, il che li rendeva
accettabili (almeno) negli ambiti confinanti del sistema. Per questo motivo, i suddetti autori
hanno avuto un‟influenza molto forte sullo sviluppo del pensiero critico politico e sociologico
nella società jugoslava, dove la nomenclatura politica era più tollerante verso i suoi intellettuali
rispetto a quella sovietica. Ciò ha reso possibile la pubblicazione dei loro libri e articoli nella
rivista Praxis e la loro partecipazione ai seminari o alle scuole estive di filosofia, come quella di
Kurzola (1964-1974) o come nelle attività dell‟Università internazionale di Dubrovnik negli anni
Ottanta. Inoltre, molti autori avevano spesso distinto il sistema jugoslavo, quale esperimento
particolare della “democrazia popolare”, avendo grande rispetto soprattutto per la resistenza di
Tito verso Stalin nel 1948. Questo fatto aiutava il regime ad assumere un ruolo più democratico
di quanto in realtà non fosse.
Per formare una cornice analitica per la comprensione non solo della società jugoslava ma anche
e soprattutto dei sistemi politici e sociali dei nuovi stati post-comunisti in generale, diventa
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essenziale determinare i fattori e le variabili che risultano una costanza di ogni movimento
totalitario e del regime da esso costituito. A quel scopo potrebbe essere interessante la proposta
di Lipset e Bence6 di formulare le quattro caratteristiche fondamentali del modello totalitario:
1. Il presupposto è che tutte le organizzazioni ed associazioni debbano essere integrate in un
unico sistema gerarchico di controllo. Il comando è legato ad un solo centro, incarnato dalla
figura del dittatore.
2. Il metodo di governo è il terrore, attraverso mezzi di propaganda di massa e rituali di
mobilitazione diretti dallo stato, nonché la sorveglianza sistematica di tutti i segmenti e soggetti
della società.
3. Il tentativo di trasformazione totale della società e della natura umana mediante il più alto
livello di ideologizzazione. Il totalitarismo è più di un regime politico o di un sistema di governo
in senso generale. Esso cerca di penetrare e di trasformare lo stesso sistema sociale in modo fino
a quel momento sconosciuto.
4. Il totalitarismo è un‟utopia alla quale ci si può avvicinare, ma che non si può mai
raggiungere. Nessuno degli autori che hanno cercato di spiegare questo fenomeno ha accettato
l‟idea che il totalitarismo potesse diventare totale.7
Il continuo cambiamento riformistico di questi regimi, che tra l‟altro è intrinseco allo loro natura
di “rivoluzione permanente”, ha portato alle diverse elaborazioni teoriche che tentano di spiegare
questi mutamenti. Lipset e Bence parlano di interpretazioni diverse dei modelli totalitari a partire
dall‟inizio degli anni „60. In quei tempi diventa più difficile applicare il puro tipo ideale del
totalitarismo, come la descrizione arendtiana degli individui atomizzati e manipolabili.8
Il modello precedente comincia a subire diverse revisioni dell‟impostazione iniziale. Nel 1968
Herbert J. Spiro pubblica il cosiddetto «epitaffio» al totalitarismo nell‟«International Encyclopaedia of
Social Sciences», in cui dice:
Totalitarianism is a twentieth-century term that did not come into general or academic use until the late
1930s..... The Encyclopaedia of the Social Sciences (1930-1935), for instance, has no entry entitled
«totalitarianism» [...] As the social sciences develop more discriminating concepts of comparison, as the
developing political systems discover that the invention of new methods of modernisation may obviate
their need for slavishly copying more coercive methods from models whose experience is no longer
relevant, and as, hopefully, the more glaring differences between the major parties in the cold war begin to
wither away, use of the term «totalitarianism» may also become less frequent. If these expectations are
born out, then a third encyclopaedia of the social sciences, like the first one, will not list «totalitarianism».
“Anticipations of the Failure of Comunism”
Così, secondo Friedrich e Brzezinski, anche nei momenti del massimo potere di un sistema totalitario, rimanevano
alcuni "gruppi isolati", come la famiglia, la chiesa, l‟università, certe comunità professionali, che resistevano alla
penetrazione totale del sistema.
8 Brzezinski continua a notare i mutamenti di questo paradigma: nel 1969 pubblica "The Dilemmas of Change"; nel
1970 "Between Two Ages. America's Rule in the Tehnectronic Era" ; nel 1989 esce il suo libro "The Great Failure:
The Birth ad Death. Failure of communism in the XX Century", “La grande scachiera” nel 1997.
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6
7
All‟inizio degli anni „70 il modello totalitario sovietico è interpretato come “pluralistico”, a cui
vengono aggiunti vari attributi quali: “quasi”, “burocratico”, “istituzionale”, “corporativo”, ecc.
L‟esponente più aggressivo di questa teoria è stato Jerry Hough.
Comunque, possiamo concordare con Lipset e Bence quando sostengono che gli esponenti di
queste teorie, sia di destra che di sinistra, abbiano fallito nel tentativo di prevedere il modo in cui
sarebbe avvenuta la fine del comunismo (Lipset, Bence, 1994). Ciò rende problematica la
possibilità di capire la trasformazione ambivalente delle società comuniste nel modo giusto,
mediante i modelli del totalitarismo. In tal caso è necessario riesaminare se e dove hanno fallito
queste teorie: forse hanno trascurato il potenziale storico della nazione, visto che il ritorno
dell‟idea di nazione e dei vari nazionalismi ormai è diventato la tendenza principale della fine del
nostro secolo.
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