Dallo stato etico hegeliano alle riflessioni sul totalitarismo di Hannah Arendt di Rita Piccini 1_ Hegel e la filosofia dello stato: lo stato etico Lo stato rappresenta per Hegel il momento culminante dell’ eticità, ossia il riaffermamento dell’ unità della famiglia (tesi) aldilà della dispersione della società civile (antitesi). Lo stato è la sostanza etica consapevole di sé , la riunione del principio della famiglia e della società civile. Di conseguenza lo stato non implica una soppressione della società civile, ma lo sforzo di indirizzare i particolarismi verso il bene collettivo. Questa concezione etica dello stato prevede una assoluta supremazia delle leggi sulla morale: sono le leggi a fondare la morale. Il modello statale di Hegel si differenzia dai modelli liberali di Locke e Kant che vedono nello stato lo strumento per garantire sicurezza e diritti ai singoli cittadini, e dal modello democratico di Rousseau che fonda la sovranità nel popolo. Avendo consapevolezza di sé come totalità etica, ciascuno stato non riconosce al di sopra di sé nessun’ altra autorità e la guerra diventa uno strumento necessario per riaffermare il proprio diritto e per difendere la propria sicurezza. Lo stato fonda la sua sovranità e la sua ragion d’ essere in sé medesimo e non nel popolo. Lo stato si impone come prius logico e cronologico. (Principi che rifiutano i modelli contrattuali stie giusnaturalismi). 2- Karl Popper: interpretazioni della filosofia politica di Hegel come nemico della società aperta La filosofia politica di Hegel è stata ampiamente discussa e ha dato origine ad una serie di interpretazioni diverse: una fra queste è quella di Karl Popper che scorge in Hegel politico un nemico “della società aperta” ed un profeta del totalitarismo. Molti sono i punti che costituirebbero, secondo Popper, una sorte di “arsenale teorico” da cui avrebbero attinto a piene mani i fautori del totalitarismo. In generale, la filosofia statalistica di Hegel sarebbe servita a giustificare il primato del Collettivo ( comunque inteso: Nazione, Stato, Razza, Classe, Partito ecc) sull’ individuale. A questo proposito è emblematica la voce “Dottrina del fascismo” redatta da Giovanni Gentile per l’ Enceclopedia Treccani e firmata da Mussolini : “…caposaldo della dottrina fascista è la concezione dello stato, della sua essenza, dei suoi compiti,delle sue finalità. Per il fascismo lo stato è un assoluto, davanti al quale gli individui e i gruppo sono il relativo. Individui e gruppi sono pensabili solo in quanto siano nello Stato. Lo Stato liberale non dirige il gioco e lo sviluppo materiale e spirituale della collettività, ma si limita a registrarne i risultati. Lo stato fascista ha una sua consapevolezza, una sua volontà, per questo si chiama Stato etico. “ 3_ L’industrializzazione e la società di massa Occorre precisare che Hegel può essere letto solo come il teorizzare di alcune idee la cui degenerazione potrebbe portare alla formulazione di uno stato totalitario poiché allo stato Hegeliano manca l’ 1 intero retroscena storico-sociale che ha permesso l’ attecchimento degli stati totalitari. Fondamentale per la diffusione dei totalitarismi del novecento è stata la Società di massa. La società di massa inizia a diffondersi nella prima metà del 1900. E’ una fase della modernità (più propriamente denominata postmodernità) in cui si tenta di omologare gli individui in modo da renderli uguali anche nel consumo così da ripristinare un equilibrio fra domanda e offerta che con la grave crisi del 1929 si era inevitabilmente alterato. All’ “homo faber”, all’ individuo produttore dell’ epoca precedente, in cui tutto era volto ad una massimizzazione delle condizioni di produttività (Taylorismo), si sostituisce un individuo consumatore. Il clima culturale che fa da sfondo a queste trasformazioni è il positivismo; quest’ ultimo può essere riassunto come quella corrente culturale che guarda solo ai dati quantitativamente verificabili e misurabili: anche l’ uomo quindi deve essere ridotto esclusivamente a corpo. 4- La standardizzazione “razionale” nella società di massa e l’inutilità dell’imprevedibilità umana Freud scopre l’inconscio ma la definizione che ci offre è in negativo, ci dice ciò che “non è”. Di ciò che non conosciamo abbiamo paura e, dunque, l’ “altro ci fa paura perché portatore della stessa nostra dimensione inconscia. L’ unica soluzione è svuotare l’ uomo di questa dimensione e ridurlo a estrema RAZIONALITA’. [vedi lettura H. Arendt da “le origini del totalitarismo”<<Che cosa sia veramente oggi il male radicale non lo so, ma mi sembra che in un certo modo abbia a che fare con i seguenti fenomeni: la riduzione degli uomini in quanto uomini ad essere assolutamente superflui, il che significa non già affermare la loro superfluità nel considerarli mezzi da utilizzare, ciò che lascerebbe intatta la loro natura umana e che offenderebbe solo il loro destino di uomini, bensì rendere superflua la loro qualità stessa di uomini. Ciò avviene quando si elimina qualsiasi imprevedibilità che è nel destino e alla quale corrisponde negli uomini la spontaneità […]Se l’uomo in quanto uomo fosse onnipotente, allora non sarebbe necessario domandarsi perché devono esistere gli uomini […] In questo senso l’onnipotenza dell’uomo rende superflui gli uomini…>>]. La vera identità dell’ individuo risiede solo nella ragione; Hannah Arendt, invece, criticando questa concezione, ritiene che l’ identità dell’ uomo risieda nella sua imprevedibilità, nella sua dimensione creativa e istintuale. Questa dimensione creativa e istintuale mette paura proprio per la sua incontrollabilità e in gestibilità ed è allora necessario eliminarla. La concezione di fondo è un’ assoluta negatività e sfiducia nell’ uomo che deve essere controllato dalla dimensione sociale: il sociale nasce per controllare il singolo. Resi tutti uguali in nome della ragione, gli individui si trovano omologati all’ interno di una società che vuole solo controllarli e manipolarli. Ecco come la società di massa ha permesso l’ attecchimento dei regimi totalitari. [ letture H. Arendt da “Le origini del totalitarismo”.) 5- Regimi totalitari, il consenso delle masse e l’annietamento dello specifico umano Il Regime totalitario è un regime in cui Stato e Società civile coincidono. A seconda di una maggiore o minore coincidenza possiamo distinguere fra totalitarismi perfetti o imperfetti. I totalitarismi hanno come caratteristica fondamentale quella del paradossale consenso delle masse derivante dalla 2 capacità di annullare la capacità di pensare e di provare sentimenti; ecco perché i totalitarismi nazisti e fascisti sono stati definiti fenomeni di iperrazionalità. I punti fondamentali che permettono la realizzazione del totalitarismo sono: la propaganda, il mito del capo, il terrore e la degenerazione della società di massa. [letture di H. Arendt da “la banalità del male”.] 6- La banalità del male e il male radicale Con l’arresto di Eichmann, esponente della milizia nazista fuggito in Argentina dopo la disfatta tedesca, la Arendt si reca, come inviata speciale, a seguire il processo nel quale si muove causa a quello che, nell’immaginario collettivo, è il mostro per antonomasia, colui che incarna “il male radicale”. In una lettera a Scholem, la Arendt si esprime così: «Ho cambiato idea e non parlo più di "male radicale". […] Quel che ora penso veramente è che il male non è mai "radicale", ma soltanto estremo, e che non possegga né profondità né una dimensione demoniaca. Esso può invadere e devastare il mondo intero, perché si espande sulla sua superficie come un fungo. Esso "sfida" […] il pensiero, perché il pensiero cerca di raggiungere la profondità, di andare alle radici, e, nel momento in cui cerca il male, è frustrato perché non trova nulla. Questa è la sua "banalità". Solo il bene è profondo e può essere radicale».1 La spaesante conclusione cui ella perviene è che Eichmann non è un mostro demoniaco né un essere "non umano" e che anzi il demonizzarlo, come facevano in tanti, portava con sé il grave rischio che gli si conferisse una grandezza che non gli spettava, una grandezza diabolica. Emerge, invece, la figura di un Ponzio Pilato che, scevro da qualsiasi responsabilità, si libera da ogni colpa, trasformandosi in un meschino esecutore di ordini: da ciò, la Arendt deduce che Eichmann non pensa, che rappresenta la perfetta incarnazione del totalitarismo e dell’ideologia.2 Chiamato a difendersi, egli afferma di aver agito "kantianamente" e di aver seguito la volontà di Hitler, non capendo che «l’etica di Kant si fonda soprattutto sulla facoltà di giudizio dell’uomo, facoltà che esclude la cieca obbedienza». Nel male che l’uomo può commettere, allora, non vi è né un convinto amore di Satana, né una debolezza di volontà, né necessariamente un’intenzione3, bensì una sorta di analfabetismo morale, di mancanza di conoscenza etica che conduce ad un annebbiamento dei valori. Da questo punto di vista il male non mostra radici profonde, ma appare piuttosto come un fenomeno che dilaga ovunque gli uomini si dimostrino incapaci di pensare da soli. Eichmann stesso agisce mantenendosi rigorosamente nei limiti permessi dalle leggi ed il suo atteggiamento è quello di cieca obbedienza nei confronti dei capi, fra l’altro condivisa da un’ampia massa di uomini come lui. Heichmann, agì in un clima di forte conformismo in cui le sue azioni erano moralmente giuste per la collettività4: era uno dei numerosissimi ingranaggi che portarono avanti la macchina del nazismo. Il male, allora, prende possesso degli individui e diviene “banale”, conformandosi alla società, ai suoi usi e costumi. Ciò che si palesa è che la moralità è strettamente connessa al periodo storico, ai costumi ed al luogo 1 H. Arendt, Lettera a Gershom Scholem, 1963. 2 H. Arendt, La banalità del male, pp.142-45. 3 Ivi, pp. 282-83. H. Arendt, La banalità del male p. 295. 4 3 in cui ci troviamo e dunque, se il nazismo fosse uscito vincitore dalla guerra, probabilmente Eichmann sarebbe ricordato come un eroe e molti di coloro che sostennero il regime, mai si sarebbero pentiti. Di fronte ad una situazione di questo genere, la Arendt si domanda come sia possibile resistere al regime mantenendo la propria facoltà di giudizio ed arriva alla conclusione che i non partecipanti sono gli unici che osano essere "giudicati da loro stessi"; e sono capaci di farlo perché essi si domandano fino a che punto sarebbero capaci di vivere in pace con loro stessi dopo aver commesso certe azioni. Proprio per questo, il termine "obbedienza" dovrebbe essere eliminato per sempre dal vocabolario politico e morale 5, mantenendo la sua applicazione unicamente nella sfera religiosa e solo in questo modo, attraverso l’esercizio del pensiero e riconoscendo la responsabilità delle nostre azioni, potremmo riacquistare la dignità di esseri umani. 5 «La politica non è un asilo: in politica obbedire ed appoggiare sono la stessa cosa» H. Arendt, La banalità del male, p. 284. 4