PROGETTO “LA RABBIA DENTRO: VIOLENZA E REATO
MINORILE. Dalle immagini che la rappresentano alle
parole per elaborarla”
- Diario di Bordo –
Laboratorio Esperienziale 14 aprile 2016
Secondo incontro del progetto: abbiamo proposto la visione del film “In un
mondo migliore” (2010) della regista Susanne Bier, occasione di riflessione non solo
sul bullismo nelle sue implicazioni legali e dinamiche psichiche, ma anche sul
coinvolgimento del mondo degli adulti che educano, genitori e insegnanti. In
particolare è stato affrontato, attraverso il film, il tema del reato minorile in quanto
espressione di una forma di disadattamento e breakdown evolutivo oppure nella
forma della patologia mentale o della sociopatia. Sono stati discussi gli aspetti
giudiziari sanzionatori e rieducativi connessi al reato minorile.
Prima della visione del film la Dott.ssa Mantegazza e la Dott.ssa Sofisti hanno
esposto un breve riassunto del primo incontro, riproponendo alcuni temi
precedentemente discussi. In particolare la Dott.ssa Mantegazza ha focalizzato
l’attenzione sul “distacco emotivo” come dimensione difensiva, che può esprimersi
nel rapporto educativo, portando tuttavia a un profondo senso di incomunicabilità
dei vissuti emotivi e di solitudine.
La mancanza di comunicazione porta a cercare sul web, secondo i temi proposti
dal film “Disconnect”, qualcuno cui affidare i propri pensieri più intimi, che
rischiano poi di tornare indietro come un boomerang terribile, pronto a ferire senza
più difese, come accade nei casi di cyberbullismo.
La Dott.ssa Sofisti invece si è concentrata sulla sintesi del materiale proposto dagli
insegnanti dopo la visione del film.
La Prof.ssa Albonetti ha illustrato alcuni aspetti della psicopatologia in età
evolutiva, fornendo chiavi di lettura utili per gli insegnanti a discriminare fra alunni
che necessitano di un intervento educativo o sociale e alunni che necessitano di cure
in ambito propriamente clinico. Per dare concretezza all’esposizione la relatrice ha
analizzato i protagonisti del film “In un mondo migliore”. La reazione psicotica di
Christian alla morte della madre, caratterizzata da onnipotenza di stampo paranoide e
proiezioni deliranti si fondava sull’esigenza di negare il dolore del lutto. Elias è
invece rappresentato come un caso tipico di disadattamento in una situazione di stress
dovuta alla separazione dei genitori e al contesto scolastico (bullismo). Elias
interpreta la separazione dei genitori: immagina un padre abbandonato e depresso,
non conoscendo quanto accaduto realmente tra i genitori. La figura paterna gli appare
allora debole e “perdente”, si offre come un modello di identificazione che il figlio
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legge come “vittima”. Identificato con il padre vissuto come “vittima” e depresso,
Elias assume le caratteristiche psicologiche tipiche dell’adolescente che soccombe
agli atti di bullismo. Sotus rappresenta invece il minore sociopatico, il tipico “bullo”,
caratterizzato da mancanza di empatia e difficile da recuperare in un percorso di
integrazione. Sono discussi i metodi attraverso i quali è possibile contenere le
dinamiche tipiche del bullismo a scuola.
L’Avv Rossoni ha sottolineato il ruolo delle istituzioni educative di fronte a
fenomeni così gravi e difficili da gestire come quelli rappresentati nel film “In un
mondo migliore”. Ha sottolineato il ruolo fondamentale della scuola nella
rieducazione degli adolescenti che hanno commesso reati: lo stesso processo minorile
ha una finalità prettamente educativa. Per esempio un ragazzo che viene penalmente
ritenuto responsabile, viene punito per gli atti che ha compiuto e dovrà scontare la
pena, ma attraverso un’azione rieducativa , come è la “messa alla prova”. Questo
istituto della giustizia italiana che prevede la sospensione del processo penale
minorile in funzione di una strategia di giustizia riparativa. Ha come oggetto
principale la posizione della vittima e i danni che ha dovuto subire dal reo, che deve
conciliarsi e riparare. La sospensione del processo avviene in un periodo
predeterminato in modo da consentire al Giudice di valutare la personalità del minore
all’esito della prova, così che lo Stato possa o meno rinunciare alla sentenza punitiva.
A questo scopo il ragazzo deve aderire a un programma di risocializzazione e
rieducazione nel quale è coinvolta anche la scuola. Sono discussi i metodi di questo
intervento in ambito scolastico.
Comportamenti o atti “gravi” non nascono mai improvvisamente, ma si presentano
sempre in escalation . Quasi sempre, infatti, c’è un atteggiamento di sfida e di “non
rispetto” delle regole che si manifesta sin dalla giovane età, spesso mal gestito sia
dalla famiglia che dalle istituzioni.
Riprendendo quest’ultima tematica la Prof.ssa Albonetti ha approfondito a
livello teorico-clinico la personalità antisociale, spiegando come i soggetti
caratterizzati da questo tipo di patologia possiedano un sintomo clinico molto chiaro:
l’assenza di empatia. I minori che presentano disturbi gravi della condotta, precursori
del disturbo antisociale di personalità sono cresciuti in un contesto inadeguato sotto il
profilo relazionale e affettivo, non necessariamente carente, ma certamente distorto.
Se le istituzioni si limitano a isolare e punire questi soggetti, stigmatizzandoli, si
conferma circolarmente per loro la necessità di porsi contro la società, non c’è
integrazione. Finiscono per sentirsi sempre più alieni nel mondo e quindi la rabbia,
il sadismo e la provocazione si confermano come unico modo di esprimersi.
Appare quindi importante che l’istituzione dia una risposta normativa e
sanzionatoria ma anche accompagnata da un messaggio diverso, più strettamente
legato al prendersi cura degli aspetti distorti della personalità. Quindi, all’interno
dell’istituzione scolastica, qualora ci siano minori con questo tipo di patologia, è
importante proporre un lavoro sul gruppo classe, che abbia come obiettivo
l’integrazione delle parti “sane” della personalità del minore con disturbi della
condotta.
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Sulla base di questi interventi i professori hanno riflettuto sulla responsabilità e
sul ruolo della scuola nel recupero di ragazzi che hanno manifestato aspetti
psicopatologici più o meno gravi. I docenti hanno riportato episodi e situazioni
vissute in prima persona, raccontando come la scuola abbia deciso di intervenire e
analizzando le criticità. Alcuni ritengono sia necessario l’intervento di persone
esperte, altri invece, propongono di consapevolizzare i ragazzi con i mezzi a loro
disposizione.
Infine è emerso un ulteriore elemento di riflessione: la mancanza di partecipazione
delle figure genitoriali. La scuola come punto di ascolto e accoglimento dei bisogni
non sempre trova nei genitori qualcuno con cui dialogare e confrontarsi rispetto alle
problematiche dei figli. Mancano infatti momenti e luoghi di ascolto che possano
essere utilizzati in modo costruttivo ma, soprattutto, manca la partecipazione diretta
dei genitori.
Il Responsabile del Progetto Dott.ssa Sabina Albonetti
L’équipe “Dentro l’adolescenza”
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