LA PROPAGANDA FASCISTA Il movimento fondato in Italia da

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LA PROPAGANDA FASCISTA
Il movimento fondato in Italia da Benito Mussolini fu sempre intollerante verso le manifestazioni popolari e pronto ad appoggiare
chiunque fosse disposto a usare la "mano forte". Questo sistema autoritario fu assicurato da una grande capacità comunicativa,
la "propaganda" appunto, attraverso la quale fu stabilito un controllo totale sull'informazione e la cultura. L'aspetto fisico del
perfetto fascista prevede il volto sbarbato e il corpo allenato da una vita attiva e sportiva. Il modo di camminare deve dare
l'impressione di sicurezza: movimenti scattanti e veloci. Il fascista si riconosce da un proprio modo di salutare: con braccio e mano
tesa in avanti: il saluto romano, obbligatorio nelle circostanze ufficiali e nelle parate. Il fascismo tentò senza successo di abolire l'uso
della stretta di mano.
La propaganda fascista conquistò terreno e, senza far segreto di una
volontà autoritaria, dichiaratamente antidemocratica.
Il fascismo faceva appello al principio della superiore "unità nazionale",
l'esaltazione di un ipotetico primato nazionale, da raggiungere non più
nel segno della politica liberale, che aveva caratterizzato tutto il periodo
del Risorgimento e la storia postunitaria, ma attraverso un esplicito
rifiuto degli ideali democratici e una vigorosa difesa della
"diseguaglianza irrimediabile e benefica degli uomini".
Mussolini espose nella sua Dottrina del fascismo una concezione dello
stato che sembrava riallacciarsi al pensiero risorgimentale, ma in realtà il
fascismo pretese di costruire uno Stato che accogliesse in sé ogni
individualità per annullarla nella concezione di una propria priorità assoluta
volta ad affermare il primato del dominio e della forza. Vi fu l’intelligente
opera di strumentalizzazione che sfruttò le capacità di indottrinamento
delle masse. Avvenne un drastico annullamento della volontà
individuale per l'esaltazione assoluta del sacrificio e sottomissione alla
volontà del capo per il bene della patria.
Tramite la propaganda che effettuò un controllo politico su tutti i mezzi di comunicazione,
avvenne il processo di fascistizzazione del paese, con lo scopo di orientare l’opinione
pubblica, di caricarla, comunicando l'esaltazione della missione nazionale. I messaggi
furono rivolti a tutte le categorie della società italiana e vennero diffusi incessantemente
attraverso la radio, la stampa e il cinema. In seguito alla nascita dell’impero l'Italia fascista
venne celebrata sulla stampa con tutta l’enfasi comunicativa possibile;le popolazioni furono
investite da una emissione continua di messaggi in cui era prevalente il tema dello
scontro ideologico. Si cercò di dare una giustificazione alle iniziative di guerra e di
conquista dell'impero, qui è evidente l'uso politico che viene fatto della storia e sulla sua
riscrittura sulla base dei miti della romanità e delle imprese coloniali riviste in chiave eroica,
per la costruzione del consenso al fascismo.
IL DOPOLAVORO
A partire dal 1925 il regime fascista avviò il programma di "nazionalizzazione" del tempo libero, dai divertimenti agli sport, il cui
primo passo fu la creazione (aprile 1925) dell’Opera Nazionale Dopolavoro (OND). La creazione dell’OND rese istituzionali le
iniziative già esistenti, come i circoli ricreativi patrocinati dai sindacati fascisti sorti autonomamente nelle sedi socialiste,
eliminandone il carattere politico e sopprimendo le analoghe organizzazioni antifasciste. Lo scopo primo dell’OND era inizialmente
limitato alla formazione di comitati provinciali a sostegno delle attività ricreative, ma tra il ‘27 e il ‘39 da ente per l’assistenza sociale
diventò "movimento" nazionale che vigilava sull’organizzazione del tempo libero.
Le attività dei vari circoli erano suddivise, secondo un uniforme programma per tutta la nazione, in una serie di servizi sociali:
 Istruzione: cultura fascista e formazione professionale;
 Educazione fisica: sport e turismo;
 Educazione artistica: filodrammatica, musica, cinema, radio e folklore.
Questo programma era rivolto agli ambienti urbani ed industriali; a partire dal 1929 si sviluppò anche il dopolavoro agricolo,
le cui finalità convergevano nel proposito di "non distrarre dalla terra" i contadini. Alla fine degli anni Venti venne inoltre messo a
punto un programma ricreativo femminile, che implicava un accurato addestramento per "l’elevazione morale" delle donne nella
società fascista, e corsi di pronto soccorso, igiene ed economia domestica.
Nel 1935 la nazionalizzazione del dopolavoro era tale da permettere una rapida mobilitazione del popolo per la guerra in Etiopia. Dal
giugno di quell’anno Mussolini istituì il "sabato fascista", che interrompeva la giornata lavorativa del sabato alle ore tredici perché il
pomeriggio venisse dedicato all’istruzione pre e post militare.
Un aspetto importante dell’OND era quello dell’assistenza ai lavoratori, che avevano modo di sviluppare le proprie capacità fisiche,
intellettuali e morali anche fuori dalle ore di lavoro. Nel primo periodo, che va dal 1919 al 1924, il movimento dopolavoristico venne
sviluppato da un ufficio costituito nella capitale con l’appoggio del P.N.F. allo scopo d’incoraggiare l’adozione della previdenza
dopolavoristica da parte dei datori di lavoro a favore delle maestranze dipendenti e la costituzione di enti o sodalizi coordinatori di
queste iniziative. Quest’ufficio inoltre provvide a fare ampie inchieste, in Italia come all’estero, e a pubblicare una rivista quindicinale
intitolata Il Dopolavoro, nella quale veniva non soltanto propagandata l’idea dopolavoristica, ma venivano resi noti i sempre maggiori
sviluppi dell’istituzione.
GIOVENTU' ITALIANA DEL LITTORIO
Il fascismo considerava fondamentale la missione educativa, dedicando le cure maggiori all’educazione giovanile attraverso
istituzioni di carattere assistenziale, risolvendo tutti i problemi attinenti alla scuola ed esplicando opera rigorosa nelle istituzioni
educative, scolastiche e parascolastiche, come la Gioventù Italiana del Littorio (G.I.L.). Il motto della G.I.L. era "credere, obbedire,
combattere"; essa organizzava tutti i fanciulli e giovani italiani dei due sessi, dai sei ai ventun’anni, nelle seguenti categorie: per i
maschi Giovani Fascisti, Avanguardisti e Balilla; Giovani Fasciste, Giovani Italiane e Piccole Italiane per le femmine; più i Figli della
Lupa per maschi e femmine. Il regime affidò alla G.I.L. la preparazione sportiva, spirituale e premilitare delle nuove generazioni.
Per la gioventù maschile la G.I.L. coltivava ogni attitudine militare, impartiva una formazione che li preparava alla vita in Marina o
nell’Aviazione. Invece per quanto riguarda la gioventù femminile possiamo citare i corsi di preparazione alla vita domestica, nei
quali le fanciulle italiane si addestravano al buon governo della casa in quei lavori che corrispondevano alle loro attitudini e alle
esigenze pratiche della vita che avrebbero dovuto condurre.
LA RADIO
Più di ogni altro mezzo assunse un ruolo di primo piano. I programmi trasmessi , in cui erano presenti svago ed informazioni allo
stesso tempo per aumentare il numero degli ascoltatori, erano costituiti per lo più da discorsi del Duce o del Führer, marce ufficiali
o conversazioni sul razzismo. La radio diventava, così, la voce ufficiale dello stato.
La nascita della radiofonia in Italia risale all’istituzione dell’Unione Radiofonica Italiana (agosto 1924). Fino agli anni ’30 il
regime privilegiò l’informazione e la propaganda scritta; solo col tempo comprese la capacità di penetrazione dello strumento
radiofonico, considerati gli alti tassi d’analfabetismo e la scarsa propensione alla lettura.
Il 27 Novembre 1927, un Decreto legislativo trasformò l’URI in Ente Italiana Audizioni Radiofoniche (EIAR), struttura a capitale
privato con sostegno finanziario dello Stato.
La radio rimase a lungo in Italia un genere di lusso, una sorta di status symbol dell’alta borghesia urbana visti gli alti costi di licenza,
il difficile processo d’elettrificazione delle aree poco sviluppate e l’ostilità dei settori produttivi alla realizzazione d’apparecchi a
basso costo.
Mussolini, dopo un attento studio delle potenzialità pedagogiche e propagandistiche del mezzo, lanciò la campagna “Il villaggio deve
avere la radio” (per l’ascolto di massa) in concomitanza con lo slogan hitleriano “La radio in ogni casa” (per l’ascolto individuale).
Nel 1933 iniziarono le trasmissioni dell’Ente Radio Rurale (1933), organo rivolto agli studenti (la domenica agli agricoltori), allo
scopo di promuovere l’acculturazione di massa.
L’ERR si mosse anche verso il mondo rurale con “L’ora dell’agricoltore” (1934).
La nuova trasmissione rompeva l’isolamento della vita contadina e portava alla ribalta le masse rurali, particolarmente fiere degli
intervalli musicali considerati segno di riscatto sociale. In forma semplice e diretta furono diffuse indicazioni tecniche e accorgimenti
sul lavoro, fondamentali nell’ottica autarchica.
Nel 1936 nacque la rubrica “I dieci minuti del lavoratore", dedicata agli operai delle fabbriche.
Questa trasmissione mascherava la crisi economica, aggravata dalle sanzioni conseguenti alla guerra di Etiopia, ed esaltava la sobrietà
e la tenacia dei lavoratori che con la loro opera rendevano vana “la meschinità della coalizione sanzionista delle potenze
demoplutocratiche”.
L’ERR chiuse la sua attività il 4 Aprile 1940; in pieno clima di guerra le sue funzioni furono assorbite dall’EIAR.
La radiofonia entrava nelle scuole. Una vasta documentazione indica gli sforzi di ogni scuola per l’acquisto del mezzo (donazioni,
collette, lotterie).
Vane furono le rimostranze degli insegnanti: nei programmi per le scuole, trasmessi almeno tre volte a settimana, risaltavano le
radioscene ispirate agli avvenimenti principali dell’epopea fascista, rivissuti nella trasfigurazione mitica della realtà.
Grande successo ebbero anche i disegni radiofonici, dove i bambini, chiamati a seguire le direttive del conduttore, finivano per
realizzare un simbolo o valore del regime.
Il pubblico infantile era l’obiettivo specifico di parte della programmazione pomeridiana. Nota la figura di Cesare Ferri (Nonno
Radio), insegnante romano che lanciò “ Il giornale radiofonico del fanciullo” (Radio Roma, 1925). Particolarmente apprezzata dal
Duce, la rubrica che esaltava le glorie patrie comprendeva comunicati sugli avvenimenti del giorno, la lettura di una favola, un
calendarietto storico religioso e la corrispondenza.
Altra “star” del pubblico infantile era Giuseppe Eugenio Chiorino (Baffo di Gatto), conduttore del “Gaio Radio Giornalino” (Radio
Torino, 1929) noto per le sue novelle moraleggianti volte a formare il giovane fascista fedele, laborioso e combattivo.
L’immagine di Mussolini si scolpiva nelle menti infantili come quella del padre, bonificatore dell’agro romano, benefattore e
sommo interprete della giustizia.
Con l’anno scolastico 1938-’39 cambiò il tono delle trasmissioni; promulgate le leggi razziali, l’Italia scivolò verso una pericolosa
alleanza politico ideologica col nazismo. Le due ore dedicate alle “Voci dalla Germania” simboleggiavano il legame ormai
indissolubile tra i due regimi totalitari.
Si moltiplicarono i collegamenti con caserme ed accademie militari e le esercitazioni di radiotelegrafia; forte era la volontà di
inculcare nei giovani i valori bellici e l’amor di Patria.
Le celebrazioni del calendario fascista: ricoprivano un ruolo fondamentale nella propaganda radiofonica, poiché espressioni di
coesione e manifestazioni di forza. Il duce, consapevole che per governare occorrevano le redini dell’entusiasmo e dell’interesse, era
convinto che senza riti e simboli la fede non potesse durare.
Nel calendario liturgico fascista si assisteva ad interventi radiofonici rievocativi, solenni nel tono ed aggressivi nel linguaggio.
Frequente era il ricorso agli slogan dall’intento persuasivo- “Tutto nello Stato, niente al di fuori dello Stato, nulla contro lo Stato”- ed
ai numeri, spesso falsificati per accentuare il sacrificio dei “Martiri della Rivoluzione” o la partecipazione alle manifestazioni.
Il movimento fascista era ricordato come: “La forza dominante che ha reso servizi inestimabili al paese, sconfiggendo la Bestia
Trionfante del bolscevismo, gli antinterventisti e i fautori della lotta di classe, l’immobilismo di uno stato liberale incapace di mettere
a frutto i risultati della Vittoria”. Preponderante in tutti gli interventi radiofonici era la figura del Duce, anima della Rivoluzione,
uomo della Provvidenza, capo indiscusso del movimento fascista e fondatore dell’Impero.
Nell’esaltazione del nuovo “Dio d’Italia”, la fedeltà incondizionata e la mancata obiettività annullarono le differenze tra il Mussolini
uomo e il Nume protettore; il tutto in una cultura che credeva al culto dell’eroe come fattore di storia.
Nelle rievocazioni ritornava anche il mito di Roma, universale ed eterna. Roma come mito della stirpe italiana e idea di Impero,
inteso come espansione territoriale e militare, spirituale e morale.
La propaganda radiofonica fascista raggiunse anche il bacino mediterraneo e le Americhe, ribadendo l’attenzione verso i figli lontani
della Patria.
Il fascismo e i cattolici: inizialmente la Chiesa cattolica considerò la radio “strumento del diavolo”.
I generi criticati erano il teatro di prosa, le canzonette e la musica da ballo, che attaccavano la morale cristiana e l’unità della famiglia.
La svolta si ebbe nel 1928 grazie a Padre Vittorio Facchinetti, predicatore francescano di Radio Milano. Dopo una lunga serie di
rubriche quaresimali, iniziò l’appuntamento domenicale con la lettura e il commento del Vangelo; si passò poi alla trasmissione
della Messa in versione cantata. La Chiesa approvò così l’ascolto radiofonico per assolvere il precetto domenicale.
“Frate radio” (pseudonimo di Facchinetti) teneva la triade “ Dio, Patria, Famiglia” come nucleo portante delle sue predicazioni.
Nel 1931 fu inaugurata la stazione romana della Radio Vaticana; Facchinetti esaltò il Regime e il suo capo che restituivano valore al
sentimento religioso del popolo, proteggendo e rispettando la fede.
Nell’interpretazione dei fatti del XX secolo, “Frate radio” spiegava la Grande Guerra come effetto dell’anticlericalismo e rivolgeva
dure parole di condanna verso la rivoluzione bolscevica, espressione dell’ateismo e del materialismo. L’appoggio all’operato del
Regime era ormai totale: dall'autarchia esempio di sobrietà alla politica demografica, fondata sulle prolificità e sul valore della
famiglia, fino alla guerra d’Etiopia, “missione civilizzatrice” necessaria per dare terra e lavoro agli abitanti di un paese glorioso.
Diverse furono invece le posizioni dei predicatori verso gli ebrei: dall’antisemitismo sfegatato di mons. Petazzi, allo sdegno di Don
Magri verso la politica di discriminazione razziale e religiosa del III Reich.
La politica antisemita colpì anche il settore dello spettacolo, tanto che la commissione per la musica leggera finì per eliminare la
musica ebrea dal nostro repertorio. Con l’applicazione delle leggi razziali (1938) fu vietato il possesso della radio agli ebrei.
I generi radiofonici.
Le conversazioni si affermarono come genere riempitivo serale.
Di tono didascalico, costituivano un intrattenimento su molteplici temi: storia, scienza, commenti di libri e mostre, aneddoti.
Per scrittori, letterati e giornalisti si aprivano nuove possibilità di lavoro in un clima clientelistico, dove prebende e favori erano la
naturale conseguenza delle lodi portate al regime.
Altra tipica figura radiofonica era quella del radiocronista, al quale si richiedevano sensibilità, eloquenza e capacità
d’improvvisazione.
Le radiocronache sportive suscitarono passione tra gli ascoltatori: calcio, ciclismo, motori e boxe furono gli appuntamenti più graditi
dal pubblico.
Figura eminente delle radiocronache sportive fu Niccolò Carosio, esaltato dalla massa per l’emotività dei suoi resoconti. La sua voce
si legò alle partite della Nazionale di calcio trionfante nei mondiali del 1934 e '38.
Lo spettacolo leggero trovò maggiori difficoltà: secondo gli scopi dirigenziali la radio doveva mantenere un tono perbenista ed uno
scopo pedagogico.
Dopo i primi successi dell’operetta, si affermarono le conversazioni umoristiche con autori quali Campanile, Zavattini e Colantuoni.
Il Radiogiornale nacque a Milano nel 1929; la redazione fu unificata solo nel 1935 a Roma, con cinque edizioni giornaliere.
Vivo e agile, con molte notizie e pochi commenti, dal 1933 fu integrato con le “Cronache del Regime” di Roberto Forges
Davanzati, nazionalista e membro del Gran-Consiglio, un appuntamento fisso del palinsesto dedicato alla pura propaganda.
Con tono affascinante e persuasivo, in dieci minuti si commentavano i principali fatti interni e internazionali, allo scopo di convincere
le masse sul benefico operato del governo fascista.
Sempre più massiccio fu il ricorso del regime ai radiocronisti in occasione delle principali manifestazioni; gli altoparlanti
portavano ovunque il credo fascista con cronisti fedeli come Palmieri, ideatore di molti programmi tra cui Radio Igea, una rubrica
inaugurata nel ’39 rivolta ai feriti di guerra ed ai degenti negli ospedali, tra propaganda e canzonette. I gloriosi feriti furono presentati
come coloro che, in odio al materialismo e al parassitismo, concepivano i più alti valori dell’esperienza eroica della guerra. In realtà,
l’immagine del soldato obbediente e fedele, pronto a sfidare la morte per la vittoria, fu spesso contraddetta dalle lettere d’ insofferenza
di molti combattenti.
Prima le guerre di Etiopia (1935) e di Spagna (1936) e poi l’intervento nella II Guerra Mondiale (1940), portarono la radio a dar
spazio ai fatti di guerra a scapito della restante programmazione. Ciò comportò anche l’impennata di acquisti e abbonamenti, che
passarono da 500.000 c.a. nel 1935 ad 1.500.000 c.a. nel 1940-’43.
Nella guerra d’Etiopia si moltiplicarono le interviste ai gerarchi partiti volontari, insistendo sul diritto all’espansione di popoli virili e
fecondi, mentre la guerra civile spagnola (1936-39) vide la presenza di italiani in opposti schieramenti: da una parte i legionari
sostenitori della rivoluzione franchista, dall’altra i volontari delle Brigate Internazionali postisi a difesa della repubblica spagnola.
Questi fatti coinvolsero l’opinione pubblica internazionale assumendo l’aspetto di lotta tra fascismo e antifascismo; la guerra si
combattè anche ai microfoni e da Radio Barcellona, i fratelli Rosselli, esuli antifascisti e teorici del socialismo liberale, lanciarono
il grido “oggi in Spagna, domani in Italia”, incitando il popolo italiano alla lotta contro il regime.
Fu chiamato “vagabondaggio nell’etere” il fenomeno d’ascolto delle stazioni estere tramite apparecchi potenti che permettevano un
ascolto vario, completo e meno “velinato” di quello proposto dal regime. Nonostante il divieto posto già dal 1930, il fenomeno acquisì
dimensioni di massa; alla sua origine non vi erano solo motivi politici ma anche la curiosità e il fascino della trasgressione.
Nonostante l’inasprimento delle pene dal 1940 (fino a tre anni di reclusione e 40.000 £ di multa) vana fu la repressione fascista.
La guerra fu trasfigurata in una crociata ideologica contro il bolscevismo, l’ateismo e il materialismo, dove il soldato italiano, erede di
quello romano, si batteva per garantire all’Italia un futuro glorioso simile ai fasti dell’Impero romano.
La realtà fu ben diversa: Roma subì il bombardamento alleato (19/7/1943); il 25 luglio un secco comunicato informò del crollo del
regime, mentre l’otto settembre fu diffuso il proclama Badoglio sull’armistizio con gli alleati.
L’Italia scivolava nello spettro della guerra civile e dell’occupazione tedesca; l’EIAR seguì le sorti della Repubblica Sociale
Italiana, sotto la rigida sorveglianza dei nazisti. Le tre reti furono riunificate in un solo programma ed il palinsesto acquisì toni
sempre più lugubri, trattando le condizioni dei lavoratori italiani deportati nelle fabbriche del Reich e fornendo i lunghi elenchi dei
caduti. Scarsi erano gli spazi riservati al varietà e all’intrattenimento.
Solo dal 25 aprile 1945 gli altoparlanti ebbero modo di trasmettere la voce di un paese libero; la volontà di potenza del nazifascismo
era ormai irrimediabilmente sconfitta.
LA STAMPA
È importante sottolineare il controllo attuato dai regimi sulle informazioni. Fu possibile grazie all’acquisto da parte del partito
fascista tra il 1921 e il 1925 delle maggiori testate giornalistiche e grazie all’introduzione degli albi nel 1925. I quotidiani, dunque,
presentavano, attuando una censura su cronache nere e di fallimenti economici, il periodo fascista come un modello storico di pace
e moralità. Lo stesso accadde anche nei giornali per bambini i cui argomenti erano strettamente legati all’ideologia fascista
(superiorità dei bianchi sui neri, malvagità degli ebrei ecc.). Nei primi anni del regime la stampa fu sottoposta ad un controllo formale.
Mussolini acquistò i maggiori giornali italiani per portare avanti il suo progetto teso ad accrescere il consenso intorno al regime.
Nonostante il controllo attuato dal fascismo però, alcuni giornali d’opposizione come La Stampa e Il Corriere della Sera riuscirono a
sopravvivere.
Con le "Leggi Fascistissime" e quelle del 31\12\1925 Mussolini dispose che ogni giornale avesse un direttore responsabile inserito
nel partito fascista e che il giornale stesso, prima di essere pubblicato, fosse sottoposto ad un controllo. Queste leggi inoltre istituirono
"L’Ordine dei Giornalisti" i cui membri dovevano far parte del partito fascista. Mussolini creò inoltre l’Ufficio Stampa, che nel 1937
venne trasformato in Ministero Della Cultura Popolare (Min.Cul.Pop.) Questo Ministero aveva l’incarico di controllare ogni
pubblicazione sequestrando tutti quei documenti ritenuti pericolosi o contrari al regime e diffondendo i cosiddetti "ordini di stampa"
(o "veline") con i quali s’impartivano precise disposizioni circa il contenuto degli articoli, l’importanza dei titoli e la loro grandezza.
A capo di questo Ministero c’era Galeazzo Ciano, che poi diventò Ministro degli Esteri e che s’interessò anche dei mezzi di
comunicazione di massa, cioè la radio e il cinema. Il Min.Cul.Pop., oltre a controllare le pubblicazioni, si pose come obiettivo quello
di suscitare entusiasmo intorno alla guerra d’Etiopia e di esaltare il mito del Duce.
Nei quotidiani trovano sempre più spazio specialisti e personaggi della cultura,
introducendo caratteristiche proprie dei settimanali nei quotidiani. La valorizzazione
della "terza pagina" ne è l'esempio più evidente. I giornali svolgono per tutto il resto
degli anni Trenta un ruolo fondamentale nella formazione dell'opinione pubblica
durante il regime e nel celebrare le "imprese del Duce". Lo scoppio della seconda
guerra mondiale acuisce l'accentramento dittatoriale sui mezzi d'informazione e,
in generale, l'uniformità dei giornali. Il governo interviene attraverso una doppia
censura, quella del Ministero della guerra e quella del Ministero della cultura popolare
(Minculpop), mentre in provincia spuntano fogli dei fasci locali che richiamano allo
spirito squadristico del primo fascismo nel tentativo di rafforzare la mobilitazione
generale per la guerra.
Il CINEMA
Avvenne la costituzione nel 1925 dell’istituto nazionale L.U.C.E., ovvero L’Unione Cinematografica Educativa, nello stesso periodo
si chiudeva il cinema privato UCI. Ente parastatale e poi di stato per la propaganda e la diffusione della cultura popolare. Questo
istituto, i cui cinegiornali venivano proiettati obbligatoriamente in tutte le sale cinematografiche a partire dal 1926, rappresenta il più
efficace mezzo del regime nel campo dello spettacolo. La tematica più ricorrente diventa il mito bellico con il conseguente elogio del
patriottismo. L’Unione Cinematografica Educativa divenne il fulcro del cinema e venne posto alle dirette dipendenze del Capo del
governo con l’obbligo della supervisione diretta di Mussolini sui materiali realizzati. La produzione del cinegiornale era fatta di
immagini tipo rotocalco: apertura e chiusura erano dedicate a notizie che riguardavano Mussolini o la Casa Savoia e all’interno
trovavano spazio i documentari dall’estero.
Negli anni '30 nascono gli studi di Cinecittà, il centro sperimentale di cinematografia, gli stabilimenti
di Tirrenia, importanti riviste di cinema. Lo Stato sostiene finanziariamente l'industria cinematografica
e guarda con simpatia, fino alla seconda metà degli anno '30 al cinema di evasione americano. Il
cinema nostrano oscilla tra tentativi di fascistizzazione in chiave imperiale e lo sviluppo del filone dei
"telefoni bianchi". Le sale in Italia erano parecchie ma non coprivano tutto il territorio nazionale;
nacque così il Cinemobile che proiettava film nelle piazze. Nel 1931 avvenne il passaggio dal
cinema muto a quello sonoro.
LO SPORT
L'organizzazione paramilitare della scuola, l'istituto dell' Opera nazionale Balilla(O.N.B.) costituito nel 1926 valse a monopolizzare,
fin dalle prime classi elementari, il processo di formazione educativa dei giovani secondo il principio del "credere, obbedire,
combattere" , che tendeva a fare di ogni cittadino essenzialmente un "soldato" , pronto a rispondere agli ordini e fedele esecutore delle
direttive imposte dall'alto. Fino agli anni '30 venne perseguita la realizzazione di una educazione fisica di massa. Mussolini fu
spesso ritratto in foto come aviatore, schermidore, automobilista, cavaliere..., incarnando il simbolo di una concezione attivistico-
viriloide dello sport e dello Stato. Il regime mussoliniano costituì il primo esempio di utilizzazione dell’organizzazione sportiva
come strumento di propaganda. Al nascere della prima guerra mondiale il crescendo di vittorie olimpiche dell’Italia rappresentava
uno dei fenomeni più caratteristici nel panorama sportivo internazionale: 24 medaglie conquistate all’olimpiade di Anversa nel 1920,
16 a Parigi quattro anni dopo, 19 ad Amsterdam nel 1928 e 37 a Los Angeles nel 1932. Nel ciclismo alle vittorie di Bottecchia al Tour
de France del 1924 e 1925 fecero seguito i campionati del mondo conquistati da Binda e Guerra, la vittoria di Gino Bartali al Tour del
1938. Negli sport motoristici l’Italia raggiunse significativi risultati. La Mille miglia concretizza nella propaganda il mito della
velocità: campioni del volante come Villoresi, Campari, Nuvolari entrarono nella leggenda, le vittorie delle Alfa Romeo, delle Bugatti
e Maserati erano prova dell’elevato grado tecnologico dell’industria automobilistica italiana.
Nel 1928 la Juventus inaugurò la politica del calcio spettacolo con l’asso argentino Orsi (offrì uno stipendio mensile di 8000 lire, una
Fiat 509 e un premio forfetario di 100 mila lire). Negli anni ’30 fu il Bologna a diventare la prima squadra italiana di rango
internazionale. Tra il 1930 e il 1938 gli azzurri disputarono 62 partite vincendone 45, pareggiandone 11 e perdendone 6, la nazionale
si aggiudicò per due volte consecutive la coppa Rimet e nel 1936 conquistò l’alloro olimpico a Berlino. Quindi lo sport assunse un
valore come attività educativa in sintonia con i valori della “nazione guerriera” propagandati dal fascismo. Esso, come attività di
massa, doveva stabilire una nuova gerarchia di valori ed essere espressione di uno stile di vita basato sulla supremazia del più forte.
Questo ideale fu personificato da Primo Carnera il pugile italiano che conquistò il titolo mondiale dei massimi.
LE DONNE.
La politica fascista ha verso le donne un duplice atteggiamento: da una parte le colloca a casa come custodi e angeli del focolare,
dall'altra le coinvolge nella partecipazione al regime nella ricerca di un consenso alla dittatura. Si punta alla creazione di "una donna
fascista per l'Italia fascista" sottolineando il ruolo della madre, della massaia, fino ad arrivare alla missione patriottica. E' il modello
della donna-madre ad essere sostenuto dalla retorica a cui si uniscono una serie di interventi legislativi quale la creazione
dell'O.M.N.I. (Opera Nazionale per la protezione della maternità e dell'infanzia). Vi fu una politica per la formazione della
donna: viene istruita nell'economia domestica, nell'educazione all'infanzia, nell'assistenza sociale ed educata alla salute e a una sana
maternità attraverso l'introduzione dell'educazione fisica e dello sport femminile.
La donna viene inquadrata in associazioni per ragazze, per giovani, per massaie, per laureate. "Madri nuove per i figli nuovi" è lo
slogan del duce che tende sempre a ad esaltare in ogni occasione la funzione sociale della donna (secondo una precisa politica di
incremento demografico). Si rivolge direttamente a lei nei momenti di difficoltà perché essa dia sempre il proprio contributo alla
Patria e lancia il mito della fecondità e della sanità della razza; ciò fu reso esplicito nel Codice Civile del '42 in cui il giurista Rocco
definisce la famiglia" un'istituzione sociale e politica ".
Da sempre delusa e ignorata dal potere, la donna è sensibile all'appello diretto del duce, alle scenografie di massa che le daranno
l'illusione dell'appartenenza attiva alla Nazione, di fatto l'ideologia fascista inquadra le donne in una visione gerarchica del
rapporto fra i sessi, dovuta al culto della virilità, enfatizzato della mentalità fascista.
L'ideologia del regime sostiene le aspirazioni della donna, anche se di fatto la chiude nei ruoli tradizionali e vara misure contrarie al
lavoro femminile. Nel 1935 la guerra di Etiopia segna la svolta verso un nazionalismo sempre più razzista e antifemminista.
Vengono sciolte le maggiori associazioni femminili così come vengono soppresse alcune riviste come la "Rassegna", "Almanacco
della donna italiana" (1920-1943) e "Donna Italiana".
INTELLETTUALI E POTERE
Il fascismo cercò il consenso anche sfruttando gli intellettuali di rilievo. Una parte del mondo della cultura aderì al fascismo attraverso
l’ingresso nell’Accademia d’Italia o entrando a far parte dell’ Istituto Treccani; è il caso di Pirandello che s’iscrisse al partito fascista
dopo il delitto Matteotti. Il fascismo di fatto non accetta la libertà di opinione e persegue tutti coloro che non si allineano al pensiero
ufficiale. Non esiste voto segreto: alle elezioni le proposte del governo si votano con una scheda "sì" che all'esterno è tricolore o una
scheda del "no" che è tutta bianca. Il regime contro gli oppositori si manifesta con la censura, le manganellate e la costrizione a bere
un'abbondante dose di olio di ricino; la polizia politica è attiva contro gli antifascisti che vengono giudicati e condannati da un
tribunale speciale. Sono proibite le riunioni di più di tre persone sia nei luoghi di lavoro che nei ritrovi pubblici.
Tuttavia già dai primi anni del secolo molti intellettuali avevano scelto di fare da supporto ai movimenti di destra, anche in
forme aggressive dal punto di vista politico e innovative dal punto di vista artistico (D’Annunzio, Marinetti). Con l’avvento del
fascismo le esperienze d’avanguardia furono assimilate in una totale adesione al regime: Marinetti entrò nell’ Accademia d’Italia, la
cui presidenza fu assegnata nel 1937 a D’Annunzio. Anche Ungaretti aderì al fascismo e fu assunto come corrispondente dal
Ministero degli Esteri.
La cultura fascista si espresse attraverso riviste e correnti; Il Selvaggio e il movimento Strapaese manifestavano l’anima
rivoluzionaria e sovversiva dello squadrismo. Il Bargello era l’organo ufficiale del partito, ma furono più importanti Critica fascista e
Primato di Bottai, il quale tentò di coinvolgere gli intellettuali in un processo revisionista: frequentarono questi periodici autori come
Bilenchi e Guttuso, Vittorini e Pratolini, Montale e Pavese, che diventarono poi antifascisti militanti. Non si può dire che ci fu una
vera e propria letteratura fascista; le opere di narrativa sono di livello modesto, non mancarono naturalmente voci di dissenso, ma
subirono una dura repressione con la censura: Gobetti morì per percosse subite da fascisti, Gramsci morì in carcere, i fratelli
Rosselli furono uccisi in Francia da sicari fascisti, Bernari e Moravia ebbero difficoltà a far circolare i loro romanzi, Silone visse in
esilio, la rivista Solaria, la più ricca officina letteraria del ventennio, fu chiusa nel '36.
due figure che meglio rappresentano i punti di riferimento per gli intellettuali fascisti ed antifascisti furono Giovanni Gentile e
Benedetto Croce. Gentile fu il filosofo ufficiale del regime che teorizzò lo stato totalitario nel quale il singolo doveva completamente
identificarsi. Fu Ministro della Pubblica Istruzione, presidente dell’ Enciclopedia Italiana, la Treccani, in cui comunque accettò la
collaborazione d’intellettuali di non stretta osservanza fascista. Fu l’ultimo presidente dell’ Accademia d’Italia e redattore del
Manifesto degli intellettuali fascisti. Croce, filosofo napoletano, era un liberale giolittiano che vedeva nel fascismo una sorta di
parentesi nella continuità dello stato liberale, di malattia dello spirito. Diventò nel ventennio il simbolo di una cultura che non si
piegava al regime e fu il redattore del Manifesto degli intellettuali antifascisti.
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