Il dibattito economico oltre i confini a cura dell'Osservatorio Economico e Finanziario Area Politiche di Sviluppo Su questo “Numero Due” Serie monografica La serie monografica di specchio internazionale, nei limiti dei suoi mezzi, offre alla lettura papers, analisi, saggi, ricerche, previsioni di singoli studiosi o di associazioni e agenzie internazionali. Inauguriamo la serie con un working paper di Thomas Palley, pubblicato da Insight (Centro internazionale di studi sociali): "Il ruolo della disuguaglianza del reddito nella crisi finanziaria e nella stagnazione". Palley, che è, tra le altre cose, Senior Economic Adviser dell'AFL-CIO, mette a confronto quattro tesi (competing stories) di altrettanti economisti che danno la propria interpretazione della cause determinanti la crisi finanziaria e la stagnazione che ne è seguita. Egli cerca in tal modo di dimostrare quanto conti l'impostazione teorica attraverso la quale si filtra la ricerca per la conoscenza e l'interpretazione del mondo che ci circonda. Se si ha la pazienza di leggere il paper, (perdonando anche qualche inesattezza di traduzione), esso aiuta a chiarire tali diverse letture e interpretazioni, che spesso si sovrappongono tra di loro ma che invece, sotto il profilo delle risposte politiche che evocano, arrivano a conclusioni profondamente diverse. Offre pertanto interessanti prospettive di politica economica e di politica tout court. Macroeconomic Policy Institute Working paper Disuguaglianza, crisi finanziaria e la stagnazione: storie in concorrenza e perché contano Thomas I.Palley (senior economic adviser AFL-CIO) Abstract Questo paper esamina diverse spiegazioni mainstream della crisi finanziaria, della stagnazione e del ruolo attribuito alla disuguaglianza di reddito. Tali spiegazioni contrastano con la spiegazione strutturale keynesiana. Il ruolo della disuguaglianza di reddito differisce sostanzialmente, facendo nascere raccomandazioni politiche tra loro diverse. Questo evidenzia l'importanza critica della teoria economica. La teoria informa il modo con cui noi comprendiamo il mondo, plasmando le nostre risposte. La narrazione teorica che adottiamo pertanto determina la policy. Questa considerazione si applica prepotentemente al tema della disuguaglianza di reddito, della crisi finanziaria e della stagnazione, rendendo importante analizzare bene la storia. Parole chiave disuguaglianza di reddito, crisi finanziaria, stagnazione, teoria economica Introduzione: l'economia, gli economisti e la disuguaglianza Gli economisti si sono sempre interessati alla disuguaglianza di reddito per ragioni sociologiche, politiche e di politica ugualitaria. Tuttavia, recentemente, il carattere di tale interesse è cambiato e pare si sia capito che la disuguaglianza di reddito può contare anche per l'efficienza macroeconomica, impattando con la disoccupazione e la crescita. Tale idea è di vecchia data nella tradizione economica keynesiana e c'è su di essa una estesa letteratura teorica, empirica e di policy. Ora ci sono segnali che stia filtrando anche nel mainstream della professione economica. In passato, l'interesse mainstream si concentrava esclusivamente nella documentazione empirica della disuguaglianza. Negli anni 2000, il mainstream ha cominciato a discutere le cause della crescita della disuguaglianza. E ora, sulla scia della crisi finanziaria e dell'emergere della stagnazione, questo interesse è ulteriormente cambiato e si è cominciato a considerare il ruolo della disuguaglianza come causa di crisi e stagnazione. Questo paper esamina diverse spiegazioni mainstream della crisi finanziaria e della stagnazione e del ruolo attribuito alla distribuzione e alla disuguaglianza del reddito. Esse sono poi messe a confronto con la spiegazione strutturale keynesiana. Il ruolo svolto dalla disuguaglianza del reddito è sostanzialmente diverso in ciascuna spiegazione, dando corso a diverse raccomandazioni di policy. Queste caratteristiche illustrano l'importanza della teoria economica. Informano il modo in cui comprendiamo il mondo, costruendo in tal modo anche il modo in cui rispondiamo. La narrazione teorica che adottiamo dunque dà implicitamente forma alla policy. Questa osservazione generale si applica al tema della disuguaglianza di reddito, della crisi finanziaria e della stagnazione. E rende fondamentale il modo in cui analizziamo la storia. 2. Linee di famiglia: Rajan (2010) Rajan (2010) è stato uno dei primi, nel nuovo corso di pensiero, ad assegnare alla disuguaglianza un ruolo nella crisi finanziaria. Secondo lui, l'aumento della disuguaglianza negli US ha incitato una risposta politica populista volta a rendere più accessibile la proprietà della casa. Questo ha coinvolto interventi del governo nel mercato finanziario dell'edilizia abitativa che ha incoraggiato la proprietà della casa tra le persone aldilà dei loro mezzi e stimolato una bolla dei prezzi credit-driven. Quando, alla fine, la bolla è scoppiata nel 2006, la struttura finanziaria che la supportava è crollata. In questa storia sono da notare tre caratteristiche. Primo, l'affermazione di Rajan che la crisi finanziaria del 2008 è stata causata dall'intervento del governo nel mercato delle case è empiricamente implausibile (Palley, 2012). Questo genere di interventi è in atto da decenni. Il Community Reinvestment Act è entrato in vigore nel 1977 e la Federal National Mortgage Association (FNMA o Fannie Mae) è stata fondata nel 1938 come parte del New Deal. I prestiti sub-prime che hanno innescato la crisi erano stati originati dai lenders privati e Fannie Mae ha cominciato a comprarli e a facilitare la loro emissione solo verso la fine della bolla. Infine, la bolla dei prezzi si è determinata in modo altrettanto forte per gli immobili commerciali che non sono soggetti a nessuno intervento del governo. Secondo, per Rajan il mercato del lavoro stava funzionando in modo efficiente e la distribuzione del reddito non costituiva un problema né micro né macro-economico. Invece, la disuguaglianza era economicamente giustificata dagli sviluppi tecnologici che avevano aumentato i ritorni al lavoro professionalizzato e abbassato i ritorni al lavoro non professionalizzato ed era un problema solo perché, per ragioni politiche, stimolava una policy sbagliata. Quindi, anche se solleva il tema della disuguaglianza di reddito, Rajan, fondamentalmente, parte dal ragionamento per cui la disuguaglianza genera problemi alla domanda aggregata ed è il risultato di un disuguale potere contrattuale nei mercati del lavoro. Se non si fa attenzione è molto facile sbagliare, attribuendo questo argomento a Rajan, quando, nei fatti, è completamente assente nel suo libro. Terzo, il libro di Rajan manca di qualsiasi implicazione sulla stagnazione. Recentemente, per spiegarla, ha sostenuto (Rajan e Ramcharan 2015) che i postumi delle crisi economiche, associati a un alto leverage sono particolarmente lunghi. Questo lo mette in compagnia di Reinhard e Rogoff (2009) ma la loro affermazione empirica della lunghezza delle recessioni dopo le crisi finanziarie è stata messa in discussione da Christina e David Romer (2015). Questi ultimi scoprono che quando le difficoltà finanziarie sono classificate su una scala più fine anziché essere trattati come una variabile 0-1, “nei moderni paesi avanzati, la contrazione del risultato economico a seguito delle crisi finanziarie è altamente variabile, mediamente solo moderata e spesso temporanea”. 3. Disuguaglianza, leverage e crisi: Kumhof e Ranciere (2010) Una terza descrizione della stagnazione è nel gruppo di spiegazioni associate con la trappola dei tassi di interesse nominali zero lower bound (ZLB). L'inventore di questa struttura di pensiero è Paul Krugman (1998) che, in origine, l'ha sviluppata per spiegare la stagnazione del Giappone dopo il collasso della sua bolla dei prezzi nel 1991. Ora, Eggrtsson e Krugman (2012) hanno elaborato la storia per cercare di spiegare la situazione che è seguita alla crisi finanziaria US del 2008. In questa storia, precorritrice della stagnazione è una bolla finanziaria che ha portato un indebitamento e un leverage eccessivi nell'economia US. Quando, nel 2007-08, la bolla è scoppiata, l'economia ha avuto una crisi finanziaria e una profonda recessione. A questo è seguito un forte deleverage perché chi si era indebitato si è spostato verso la ricostruzione del suo bilancio. Tale deleverage ha aumentato il risparmio che l'economia non ha saputo assorbire a causa dello ZLB. Il conseguente eccesso di risparmio ha ridotto la domanda aggregata causando in tal modo la stagnazione. Il punto cruciale della storia Krugman-Eggertsson sulla stagnazione è l'affermazione che i tassi d'interesse sono determinati nei mercati dei fondi mutabili dall'offerta di risparmio e dalla domanda di investimento. Il tasso di interesse si aggiusta in modo da assicurare che il pieno impiego del risparmio equivalga al pieno impiego dell'investimento. Il deleverage aumenta il risparmio e causa una riduzione del suo pieno utilizzo. Così, per pareggiare il pieno impiego del risparmio e dell'investimento serve un tasso di interesse negativo. Tuttavia, a causa dello ZLB il tasso di interesse nominale non può diventare negativo. Di conseguenza, c'è un eccesso di offerta di risparmio che causa una contrazione dell'occupazione e del reddito. La soluzione di policy è duplice. Primo, avere grandi deficits di bilancio in modo che il deficit del settore pubblico assorba l'eccesso di risparmio del settore privato. Secondo, incoraggiare le aspettative di inflazione in modo che i tassi reali diventino negativi anche se i tassi nominali di mercato sono bloccati a zero. Ci sono molteplici aspetti problematici nella ZLB story. A livello più generale, la ZLB story della stagnazione poggia su una teoria dei tassi di interesse dei fondi mutuabili in cui il tasso di interesse è determinato dall'offerta del risparmio e dalla domanda di investimento. Questo approccio alla teoria dei tassi di interesse era stata messa in dubbio già molto tempo fa da Keynes (1936) nella sua Teoria Generale. Secondo, la ZLB story della stagnazione attribuisce troppo significato ai tassi di interesse sia come fonte del problema che come mezzo per risolvere i problemi dell'occupazione e della instabilità di una economia capitalistica. L'affermazione che un tasso di interesse negativo del 3% aumenterebbe l'investimento tanto da ripristinare la piena occupazione. Tuttavia i tassi di interesse reali erano negativi negli anni '70 e non hanno risolto i problemi occupazionali di quel periodo. Oggi, un tasso negativo del 2% innescherebbe probabilmente una nuova bolla finanziaria e crollerebbe anche più duramente una volta che i tassi di interesse reali alla fine cominciassero a risalire. Questa inconsistenza suggerisce che nell'economia c'è un problema più profondo di quello che la ZLB story di Krugman non riesca a identificare. Terzo, la storia del deleveraging dell'eccesso di risparmio e della carenza di domanda non è convincente. Infatti, dal 2011, l'US non-financial business debt è aumentato abbastanza rapidamente. Anche il debito delle famiglie US si è ridotto poco durante la Grande Recessione e dal 2012 sta di nuovo aumentando. Inoltre, è probabile che una parte significativa della riduzione del debito delle famiglie sia scaturita da fallimenti e cancellazioni, cosa che, sollevando i debitori dalle loro obbligazioni, aumenta probabilmente la domanda aggregata e riduce il risparmio. Quarto, per Eggertsson e Krugman (2012) la spiegazione della stagnazione in realtà non attribuisce alcun ruolo alla disuguaglianza del reddito. La distribuzione del reddito può essere aggiunta alla loro storia assumendo che le famiglie a più alto reddito hanno una più alta propensione al risparmio. In questo caso, lo spostamento della distribuzione del reddito a favore le famiglie più ricche aumenterebbe il pieno impiego del risparmio. (nota: l'aumento del debito delle famiglie US, che nel 2008 era pari all'1.1%; si è ridotta di -1,1% nel 2010 per tornare a crescere negli anni successivi:+1.5% nel 2012 e nel 2013, + 2.9% nel 2014. Mentre l'aumento del debito del business non finanziario che nel 2008 era pari al 5.8%, nel 2009 era sceso a -4.3%, per tornare a crescere negli anni successivi: +3% nel 2011, +4.8% nel 2012 e +5.9% nel 2014). In termini di quanto descritto nella nota di cui sopra, lo spostamento della distribuzione del reddito a favore delle famiglie più ricche avrebbe un effetto identico come deleveraging e sposterebbe correttamente la funzione del pieno impiego del risparmio. Tuttavia anche se questo aggiunge effetti di distribuzione del reddito al modello Eggertsson-Krugman, non risolve le altre critiche riguardanti la logica e il significato economico del ragionamento ZLB. C'è bisogno di aggiungere la distribuzione del reddito per spiegare la stagnazione, ma questo deve essere aggiunto a un'altra storia. 4. Il significato economico della disuguaglianza per la stagnazione Oltre che introdurre lo ZLB come spiegazione della stagnazione, Krugman ha persistentemente contestato il significato economico della disuguaglianza come spiegazione della stagnazione: “Joe Stiglitz ha sostenuto che la disuguaglianza è uno dei grandi fattori della nostra lenta ripresa. Joe è un economista follemente grande, così tutto quello che dice dovrebbe essere preso sul serio. E date le mie opinioni politiche e le preoccupazioni generali sulla disuguaglianza, mi piacerebbe essere d'accordo. Ma - sapevate che c'era in arrivo un “ma” - ho pensato molto a questi temi e non sono riuscito a persuadermi che questo particolare racconto sia vero” (Krugman 2013). Essenzialmente, il rigetto di Krugman del significato economico della disuguaglianza dipende dal fatto che il risparmio privato US come quota del PIL si è ridotto negli anni precedenti la crisi finanziaria malgrado la disuguaglianza fosse in crescita. Il tasso di risparmio si è significativamente ridotto dopo il 1980 e fino al 2000 e questo si suppone provi che la disuguaglianza non riduce la domanda: “Così si guardi al risparmio privato come quota del PIL: il trend prima della crisi era di riduzione e non di crescita - e, chiaramente, questo aumento a seguito della crisi non è stato guidato da un aumento improvviso della disuguaglianza. Così sto dicendo che si può avere la piena occupazione sulla base degli acquisti di yachts? Bene, si. Non deve piacere per forza, ma l'economia non è un racconto morale”. (Krugman 2013). Cosa c'è di sbagliato nella tesi che sostiene che una riduzione del tasso di risparmio è la dimostrazione che l'aumento della disuguaglianza del reddito non causa carenza di domanda? Il problema è che non tiene conto di altri sviluppi che contrastano e nascondono gli effetti avversi sulla domanda del peggioramento nella distribuzione del reddito. L'era neo-liberista è formalmente iniziata con l'inaugurazione del presidente Reagan (in realtà era già in corso con il presidente Carter che aveva iniziato il movimento di deregolamentazione e nominato Paul Volcker con il mandato di schiacciare l'inflazione con alti tassi di interesse). Lo spostamento verso una policy neo-liberista ha generato due cambiamenti fondamentali. Il primo è stato un periodo di stagnazione salariale e di allargamento della disuguaglianza di reddito. Il secondo è stato un periodo di inflazione dei prezzi degli assets e una bolla creditizia lunga 30 anni che ha aumentato la ricchezza, il valore dei collaterali e la quantità di credito e ha facilitato l'accesso al credito. Questi sviluppi finanziari, anziché riequilibrare gli impatti negativi della stagnazione salariale, hanno alimentato di più la spesa e spiegano perché il tasso di risparmio si è ridotto anche con l'aumento della disuguaglianza del reddito. La bolla del credito è venuta meno con la crisi finanziaria, mettendo fine a un periodo di prestiti eccessivi. Questo ha determinato un contraccolpo al tasso di risparmio, causando carenza di domanda. Tale spiegazione dimostra che il risparmio piuttosto che il deleveraging è responsabile della stagnazione. 5. La narrazione strutturale keynesiana della disuguaglianza e della stagnazione: Palley (2009, 20012) La tesi sopra esposta mostra come la distribuzione del reddito conti, ma debba anche essere inserita in una storia macroeconomica migliore di quella offerta dai proponenti della tesi ZLB. Questo paragrafo presenta una narrazione “strutturale keynesiana” (Palley 2009, 2012) della crisi finanziaria e della stagnazione - che è stata scritta molto tempo prima che la stagnazione fosse anche solo uno scintillio negli occhi di Larry Summers. Ciò la rende piuttosto inusuale per l'economia perché anticipa correttamente sviluppi imminenti. La spiegazione è la seguente. Fino alla fine degli anni 1970, le economie dei paesi sviluppati, compresi gli US, potevano essere descritti da un modello keynesiano di crescita in cui i salari erano il motore della crescita della domanda. La logica economica era un circolo virtuoso in cui la crescita della produttività guidava la crescita dei salari che alimentava la crescita della domanda. Ciò ha promosso la piena occupazione che ha fornito incentivi a investire, il che guidava ulteriori crescite di produttività. All'interno di questo sistema, la finanza era caratterizzata da un modello di pubblica utilità basato sulle regole del New Deal. Il suo ruolo era quello di fornire al business e agli imprenditori la finanza per gli investimenti; di fornire al business e alle famiglie i servizi assicurativi; e di fornire alle famiglie i mezzi per risparmiare per le necessità future. Dopo il 1980, il modello keynasiano del circolo virtuoso della crescita è stato sostituito da un modello neo-liberista. I due cambiamenti chiave nella economia reale sono stati: 1) l'abbandono dell'impegno politico alla piena occupazione che è stato sostituito dall'impegno a una stabile bassa inflazione e 2) la separazione tra la crescita della produttività e quella dei salari. In più, c'è stato un cambiamento nel settore finanziario guidato dal fenomeno della “finanziarizzazione” che ha aumentato la presenza e il potere della finanza all'interno dell'economia. Insieme, questi cambiamenti hanno creato un nuovo modello economico. Prima del 1980, le retribuzioni erano il motore della crescita della domanda: dopo il 1980 il debito e il gonfiarsi dei prezzi degli assets sono diventati i motori della crescita della domanda. Il nuovo modello economico può essere descritto come “”neoliberal policy box” che rinchiude i lavoratori e preme su di loro da tutti i lati attraverso (1) il modello corporate della globalizzazione; (2) l'agenda dello small government che attacca le regolamentazioni e l'attività del settore pubblico; (3) l'agenda per la flessibilità del mercato del lavoro che attacca i sindacati, il potere contrattuale dei lavoratori e le protezioni del lavoratori; e (4) la sostituzione della politica macroeconomica per il pieno impiego con una policy orientata alla bassa inflazione. Riguardo al sistema finanziario, il modello di pubblica utilità del New Deal è stato sventrato dalla deregolamentazione e le conseguenti innovazioni finanziarie sono rimaste largamente non regolate. Il risultato è stato un nuovo sistema caratterizzato da crescente instabilità finanziaria, stagnazione salariale e aumento della disuguaglianza di reddito. Gli sviluppi salariali e di reddito hanno creato una strutturale carenza di domanda. Il ruolo della finanza era solo quello di riempire quel gap. La regolamentazione vecchio stile ha permesso alla finanza di riempire il gap di domanda prestando ai consumatori e gonfiando i prezzi degli assets. Ci sono diversi aspetti da notare. Primo, che la finanza dovesse riempire questo gap della domanda non era parte di un grande piano: è stata una conseguenza non voluta. I policy makers economici neliberisti non hanno capito che stavano loro creando un gap di domanda, ma la loro ideologia del “laisser-faire” ha determinato sviluppi che accidentalmente lo hanno riempito. Secondo, inevitabilmente, il processo era instabile ed era sempre destinato a implodere. Ci sono limiti ai prestiti e alla crescita dei prezzi degli assets. Ogni schema Ponzi alla fine si rompe. Il problema è che è impossibile prevedere quando finisce. Terzo, il processo è stato di lunga durata. Di conseguenza, il collasso è stato molto più profondo quando, alla fine, si è verificato. Significa anche che evitare le conseguenze è più difficile perché l'economia è ora appesantita dal debito e la fiducia nel credito è distrutta. 6. Il ruolo della disuguaglianza nella crisi finanziaria e nella stagnazione La narrazione keyenesiana degli eventi sopra esposta è sottilmente diversa dai racconti popolari. La disuguaglianza del reddito non ha causato la crisi finanziaria. La crisi è stata determinata dall'implosione delle bolle del prezzo degli assets e del credito che avevano compensato e oscurato l'impatto della disuguaglianza. Tuttavia, una volta scoppiata la bolla finanziaria e una volta che i mercati hanno smesso di riempire il gap della domanda creato dalla disuguaglianza di reddito, sono arrivati alla ribalta gli effetti della disuguaglianza sulla domanda. Vista in questa luce, la stagnazione è il prodotto congiunto della lunga bolla creditizia, della crisi finanziaria e della disuguaglianza del reddito. La bolla creditizia si è lasciata appresso grossi postumi di debito; la crisi finanziaria ha distrutto credito per milioni; e la disuguaglianza ha creato una strutturale carenza di domanda. La diagnosi chiarisce anche perché la prognosi per il medio termine resta la stagnazione. La policy non ha infatti riparato a questi problemi fondamentali che in realtà sono persino peggiorati. Primo, gli US hanno ancora un gap di domanda causato dal deterioramento della distribuzione del reddito che si è persino aggravata dall'inizio della crisi del 2008. Secondo, la bolla del credito è superata e i prestiti non possono più riempire il gap della domanda. Inoltre, le riforme del settore finanziario hanno sistematicamente ristretto l'accesso al credito. Terzo, il peso e le perdite di investimento associati alla globalizzazione restano non risolti, mentre lo stimolo fiscale è stato sostituito dall'austerità fiscale. Di conseguenza, malgrado le politiche zero interest rate e del quantitative easing della FED, l'economia è preda di una crescita più lenta e il complessivo ristagno del mercato del lavoro tende ad essere permanentemente più alto. Inoltre c'è il pericolo che essendosi sgonfiati i prezzi degli assets, l'esperimento del QE fallirà nella forma di una rinnovata agitazione del mercato finanziario. 7. La storia che accettiamo è importante Nel precedente paragrafo ho descritto 4 storie sul ruolo della disuguaglianza del reddito come causa della crisi finanziaria e della stagnazione. E' enormemente importante quale storia si accetta perché il modo in cui si spiega il mondo ne influenza comprensione la quale, a sua volta, ha grandi conseguenze politiche e di policy. Se si accetta la storia di Rajan, la distribuzione del reddito si riduce a un tema di preoccupazione politica ed etica, ma non è un tema di preoccupazione macroeconomica. Inoltre, poiché si suppone che i mercati del lavoro stiano funzionando, non c'è alcuna giustificazione per intervenire su di loro con l'intento di aumentare la quota per il lavoro o di rafforzare il potere contrattuale dei lavoratori. Piuttosto che concentrarsi sulla disuguaglianza di reddito allora, la risposta di policy economica dovrebbe annullare gli interventi governativi nella finanza abitativa e tornare a una politica monetaria più ortodossa per evitare la possibilità di un'altra bolla del prezzo degli assets. Così potrebbe essere anche per qualche distribuzione del reddito al netto delle imposte, ma questa sarebbe materia puramente etica e politica. Se si accetta la storia Kumhof-Ranciere, la causa della crisi è il fallimento del mercato finanziario che ha permesso un eccessivo indebitamento delle famiglie lavoratrici le cui prospettive di reddito erano diminuite. La risposta di policy dovrebbe essere una stretta nella regolazione dei mercati finanziari per evitare che si ripeta una nuova bolla di credito malata. Tuttavia, ancora una volta, i mercati del lavoro stanno in realtà funzionando efficientemente. Ciò significa che l'argomento della distribuzione del reddito volta ad aumentare la quota salariale, è di nuovo puramente etica e politica. Se si accetta la storia Eggertsson-Krugman sul deleveraging, la distribuzione del reddito è di nuovo ridotta a un tema non economico. Invece, la causa della stagnazione è il deleveraging che è il processo su cui concentrarsi. Tuttavia, durante tale periodo c'è bisogno di larghi deficits di bilancio per riequilibrare gli eccessi del risparmio privato causati dal deleveraging e per evitare in tal modo ogni perdita di produzione e di occupazione causata dallo ZLB impedimento alla piena occupazione. Poiché il mercato del lavoro è efficiente e non costituisce problema, questo significa che la distribuzione del reddito è di nuovo materia puramente etica e politica e non argomento economico per interventi volti ad aumentare la quota dei salari. Da ultima, se si accetta la storia “strutturale keynesiana”, la distribuzione del reddito è un problema centrale e il principale fattore di spiegazione della carenza di domanda che è causa della stagnazione. La soluzione è sostituire il quadro di politiche neoliberiste con un quadro “strutturale keynesiano”. Metaforicamente parlando, i policy makers devono reimballare la “box”, tirare fuori i lavoratori e metterci dentro le corporations e i mercati finanziari. E' cioè necessario sostituire la globalizzazione corporate con una globalizzazione gestita; ripristinare l'impegno politico macroeconomico alla piena occupazione; sostituire l'agenda anti-government con l'agenda socialdemocratica che sostenga investimenti pubblici, previsione di servizi pubblici e regolazione (compresa quella dei mercati finanziari); e sostituire la flessibilità neoliberista dei mercati del lavoro con mercati del lavoro basati sulla solidarietà in cui i lavoratori abbiano maggiore potere contrattuale e ricevano una aumentata quota salariale. 8. La disuguaglianza e il fallimento della politica economica come causa della stagnazione Finora il focus è stato sul ruolo economico della disuguaglianza nel generare stagnazione. La politica economica fornisce un altro canale di impatto attraverso cui la disuguaglianza influenza la politica economica. Effettivamente, Krugman sostiene (2013) che la politica economica è stata il canale principale. Il suo argomento è che la crescita della disuguaglianza aumenta il potere contrattuale dei ricchi che hanno favorito le politiche di austerità fiscale causa della stagnazione: “Secondo me, tuttavia, il ruolo realmente cruciale della disuguaglianza in una calamità economica è stato politico. Negli anni prima della crisi, c'era a Washington un considerevole consenso bipartisan a favore della deregolamentazione finanziaria un consenso non giustificato né dalla teoria né dalla storia. Quando è scoppiata la crisi, c'è stata la corsa a salvare le banche, ma appena operati i salvataggi, è emersa una nuova opinione generale, una opinione che ha riguardato lo spostamento dell'attenzione dalla creazione di lavoro alla presunta minaccia dei deficits di bilancio.... Sondaggi dei molto ricchi hanno tuttavia dimostrato che essi - a differenza dell'opinione pubblica più generale - considerano i deficits di bilancio come un tema cruciale e favoriscono grossi tagli nei programmi di sicurezza sociale. E, di certo, queste priorità hanno conquistato tutto il discorso politica” (Krugman 2013). Secondo Krugman, la stagnazione è il risultato del fallimentare uso della politica fiscale per bilanciare il deleveraging e questo fallimento politico può essere attribuito agli effetti politici dell'aumento della disuguaglianza di reddito. Ci sono diversi punti importanti da notare. Primo, questo argomento di politica economica è pienamente coerente con l'ipotesi strutturale keynesiana. Infatti Palley (2012) sostiene esplicitamente che potere e ricchezza hanno plasmato le idee economiche che hanno spinto la politica neoliberista. L'aumento della disuguaglianza ha soltanto rafforzato ulteriormente questa tendenza. Secondo, sebbene non intenzionalmente, la tesi di politica economica di Krugman arriva al cuore del dibattito economico. Per Krugman, non c'è niente di strutturalmente sbagliato in economia. Essa è in un processo di deleveraging che ha bisogno di essere superato e lo stimolo fiscale può aiutare a superarlo più rapidamente e meno penosamente. Al contrario, l'ipotesi strutturale keynesiana radica la stagnazione nella difettosa struttura dell'economia. L'adozione dell'austerità fiscale ha definitivamente aggravato la stagnazione ma non ne è la causa profonda. Terzo, l'idea che la politica economica è causa di stagnazione è comune sia alla visione di Krugman che alla visione strutturale keynesiana. Tuttavia, come con il dibattito sull'impatto economico della disuguaglianza, è importante chiarire la storia riguardo al ruolo della politica economica. Per Krugman (2013) il fallimento di policy è stato il rivolgersi all'austerità fiscale dopo il 2009. Questo contrasta con l'ipotesi strutturale keynesiana che riporta indietro il fallimento alla fine degli anni '70 e allo spostamento verso le politiche neoliberiste. Questa è una storia molto diversa con implicazioni di policy molto diverse. Essa mostra di nuovo l'importanza di capire bene la storia. 9. Conclusioni Ci sono tre conclusioni principali. Primo, le quattro storie hanno superficiali similitudini nel menzionare ciascuna o la distribuzione del reddito o la carenza di domanda, ma in realtà sono fondamentalmente differenti. Se i lettori non ci fanno attenzione, è facile perdere tali differenze fondamentali. La potenziale confusione è aumentata dal fatto che storie differenti possono portare a sovrapporre le raccomandazioni di policy. Per esempio, la ZLB di Krugman raccomanda l'uso dello stimolo fiscale e così fa la storia strutturale keynesiana. Tuttavia, le due storie sono fondamentalmente diverse nella loro spiegazione della cause della crisi finanziaria e della stagnazione. Questo solleva un tema critico. Non basta trovare punti di accordo politica: è necessario anche comprendere bene la storia. Una storia sbagliata inganna i policy makers e l'opinione pubblica su come pensare a proposito dell'economia; incoraggia una risposta politica incompleta; e imposta disaccordi analitici e di policy futuri che sono politicamente dannosi. Secondo, c'è un grosso pericolo di “gattopardo economics” (Palley2013), che è il cambiamento che lascia l'economia immutata. Per 40 anni i progressisti keynesiani hanno sostenuto il significato macroeconomico della distribuzione del reddito. Ora gli economisti mainstream hanno raccolto questo tema. Il pericolo gattopardesco è che lo incorporeranno nelle loro storie in modi che spogliano la distribuzione del reddito del suo significato cruciale per l'efficienza macroeconomica, cannibalizzando in tal modo la tesi della necessità di interventi di policy per ridurre la disuguaglianza di reddito. Terzo, il paper ha descritto 4 storie. Tre di esse sono largamente conosciute e citate. Sono insegnate nelle scuole di specializzazione e discusse dal FMI e dalle Banche Centrali. La quarta (la storia strutturale keynesiana) è consegnata a un buco nero. E questo non per mancanza di evidenza o di logica. Infatti, la sua logica ed evidenza sono superiori. Invece è a causa del “potere degli interessi” che assicura che solo certe idee entrino nelle aule di studio e conquistino il palcoscenico del dibattito pubblico. Questi interessi includono i ricchi, ma includono anche la professione economica che è strutturata come un club e dà voce solo alle idee dei membri del club. Queste conclusioni portano a una importante implicazione pratica. Dato il vitale significato di “comprendere bene la storia”, l'azione politica progressista volta a un cambiamento di policy deve essere accompagnata da sforzi vigorosi per cambiare la storia economica mainstream. Senza di essi, è improbabile che i progressisti vincano nel dibattito politico sui cambiamenti di policy necessari a una prosperità condivisa e a una buona società. Questo fallimento è evidente negli sviluppi politici dalla crisi finanziaria del 2008. L'incapacità di cambiare la storia ha visto la politica economica tornare significativamente alle truppe pre-crisi, compresa l'austerità fiscale, la flessibilità del mercato del lavoro e alla globalizzazione più corporate. Solo la politica monetaria resta diversa, ma anche essa. Al primo soffio di inflazione, minaccia di tornare alle modalità pre-crisi. Quanto alle politiche elettorali, negli US, il partito repubblicano ha avuto grandi guadagni politici; in UK il partito conservatore ha sconfitto il Labor Party; e in Germania i conservatori cristiano democratici hanno battuto i socialdemocratici. In parte, tali sviluppi politici riflettono l'incapacità di comprendere bene la storia e offrire all'elettorato una alternativa narrazione strutturale keyenesiana chiaramente definita.