“GOD BLESS AMERICA” DI FABRIZIO PEZZANI (*) 06 OTTOBRE 2015 “Dio benedica l’America” è l’augurio con cui Papa Francesco ha chiuso i suoi interventi nel recente viaggio negli Stati Uniti d’America, ma è anche l’invocazione più forte dell’inno patriottico scritto da Irving Berlin. Forse mai come oggi quest’invocazione dovrebbe far riflettere sul senso profondo del suo significato e non solo come ripetizione di una formula in modo taumaturgico ed esoterico. Mai come ora gli Usa hanno bisogno di fare un esame di coscienza per provare a capire il dramma sociale che ne sta spegnendo la genetica spinta verso la libertà, l’uguaglianza, la democrazia ed il diritto al perseguimento della felicità come i padri fondatori avevano solennemente dichiarato nella dichiarazione d’indipendenza verso la corona inglese. Mai come ora gli Usa si trovano di fronte ad una sfida socioculturale che ne sta sgretolando la tenuta sociale, eppure erano stati loro a poter far tornare la speranza ad un mondo che sembrava perso nell’orrore. Molta acqua è passata sotto i ponti della storia da quei tempi e ha contribuito a fare la storia ma in modo diverso rispetto a quelle dichiarazioni, solennemente riprese nel 1948 quando dopo due guerre mondiali sembrava che l’uomo avesse ritrovato il senso della sua vita e del suo essere. Troppe mostruose atrocità erano state compiute in nome di diritti rivendicati come forma di sterminio e di oppressione. Eppure dopo quegli anni di ritorno alla normalità, alla voglia di vivere e di ricostruire una casa per il bene comune globale siamo ritornati a vivere un dramma sociale senza fine e siamo ancora davanti al caos proprio nel Paese che sembrava portarci verso un sogno di felicità. La lettura della storia e delle relazioni di causa ed affetto fra fatti ed eventi mostra sempre in modo crudo e spietato l’insipienza dell’“homo sapiens” e quanto la sua genetica sete di avidità lo porti sempre a sfidare il destino. 1 “Quid non mortalia pectora, auri sacra fames” (a cosa non spinge i petti mortali la miserabile cupidigia dell’oro) scriveva Virgilio nell’Eneide, ripreso poi da Seneca, l’avidità morbosa dell’accumulazione è sempre pronta a stimolare la parte più violenta dell’animo umano fino a quando i nodi arrivano al pettine e la “Storia” presenta il conto; ora siamo a domandarci come finirà. L’ennesimo atto di violenza compiuto in questi giorni viene dai più, forse per comodo e non mettersi in discussione, attribuito all’uso facile delle armi da fuoco, certamente questa è una parte della verità ma quella più profonda è che quelle armi sono caricate dal dramma sociale di una società in cui i valori espressi dalla formula “E pluribus unum” sono stati cancellati da una disuguaglianza senza pari nella loro storia e da una decadenza valoriale e culturale che sembra avvitarsi su sé stessa incapace di trovare le risposte ai problemi che un modello socioculturale cavalcato cui la democrazia ha finito per essere sostituita dall’oligarchia. Qui si entra nella storia e nel ciclo di vita delle società che collassano sempre per l’incapacità delle élites di far fronte con coraggio e creatività le sfide poste dal divenire della storia. In questo modo le élites si ossificano per non mettere in discussione un modello che privilegia gli interessi personali a scapito del bene comune fino a quando le società iniziano a collassare. Sono i fatti che nel 1989 hanno fatto saltare l’impero sovietico che stava già implodendo dal tempo dell’invasione in Afghanistan; questo stesso contesto sta facendo saltare la tenuta sociale degli Usa. La storia ha i suoi tempi e questi vanno letti per capirne l’evolversi. Gli Usa svoltano la pagina della loro storia alla fine degli anni sessanta; il 1968 è l’“annus horribilis”, il 30 e 31 gennaio l’offensiva del Tet lanciata nel Vietnam dal piccolo ma sapiente generale Giap stronca le speranze certe di vittoria che il supponente generale Westmoreland aveva dichiarato e lancia gli Usa nel dramma della sconfitta. In Aprile viene ucciso Martin Luther King, in giugno Robert Kennedy e con loro le speranze di libertà e di uguaglianza razziale. Finisce un periodo politicamente socialista, il quintile più povero cresceva del 115 per cento ed il più ricco dell’85 per cento, con Kennedy il debito pubblico americano arrivò al punto minimo del secolo così come la disuguaglianza, ma era quello il momento dell’“American dream” oggi cancellato dai fatti. Negli anni Settanta la svolta avviene con Nixon che dichiarando lo sganciamento del dollaro dall’oro lo rende convertibile in forza militare ed in portaerei e prepara la rivoluzione del neoliberismo assunto come fine e verità incontrovertibile; la moneta e la finanza si preparano ad inondare il mondo ed a alimentare l’infinita avidità dell’uomo che diventa eutanasia della società. Con Reagan si mostrano i muscoli celebrati nella cinematografia dai vari “Rambo” ed il debito pubblico esploderà per alimentare le spese belliche e la guerra contro l’impero del male, la Russia, che stava già implodendo con l’attacco dell’Afganistan, ultima mossa disperata per tenere insieme il Paese. Il mercato viene eretto a verità incontrovertibile ed i suoi sacerdoti - la scuola di Chicago e Milton Friedman - diventano i guru e come gli antichi maghi prevedono con certezza il futuro. I mercati finanziari diventano illogicamente razionali perché il loro divenire è basato su aspettative non su conoscenze certe, i mercati sembrano prevedere con esattezza gli eventi futuri ma in realtà sono le aspettative degli eventi futuri che determinano l’andamento dei mercati. Ci sono oltre due millenni di storia che li smentiscono ma tanto nessuno la studia più e si guarda solo al futuro ed al breve tempo, lo 2 stesso Keynes aveva scritto che il capitalismo come fine se non regolato è per natura instabile perché il capitalismo non esiste come entità astratta ma esistono gli uominicapitalisti che vedono come fine l’accumulazione infinita fino a quando l’eccessiva disuguaglianza gli si rivolta contro. Alla prova dei fatti Keynes aveva ragione e la scuola di Chicago è fallita non solo culturalmente ma moralmente per i danni globali che ha creato e prima o poi ne dovrà rispondere al tribunale della storia. Da quel momento la finanza assume un potere egemone fine a sé stesso alla ricerca della massimizzazione a breve del profitto e della liquidità; il mantra “creare valore per gli azionisti finirà per spolpare la società americana con la delocalizzazione della manifattura, il crollo degli occupati nei settori dell’industria e dell’agricoltura, il Pil americano sarà costruito sulla carta della finanza, 24 per cento, e non sulla manifattura, 11 per cento, la concentrazione di ricchezza esploderà schiacciando la classe media che è il lievito della civiltà occidentale e determinerà uno stato di povertà socialmente inaccettabile che li sta portando al punto di non ritorno. Infine, la globalizzazione della finanza consentirà alle grandi corporation usa di delocalizzare le imposte privando il Paese delle risorse per ridurre i drammi sociali; all’aumentare dei profitti crollano le imposte che finiscono nei Paesi black-list, il tax rate medio è 8,7 per cento, e crolla l’occupazione mascherata sistematicamente dalla Fed che la trasforma in sottoccupazione così diminuisce la disoccupazione ma aumenta la povertà. In tutto questo la Fed ha gravissime responsabilità nell’avere assecondato un processo contrario ai suoi fini: stabilire la politica monetaria nazionale influenzando la quantità di moneta in circolazione e le condizioni creditizie dell’economia al fine di perseguire il massimo impiego, supervisionare e regolare le istituzioni bancarie per assicurarne la sicurezza e la stabilità del sistema bancario e finanziario nazionale e proteggere i diritti dei consumatori, mantenere la stabilità del sistema finanziario e contenere il rischio sistemico che può nascere nei mercati finanziari. Il mancato controllo e regolamentazione dei mercati finanziari ha generato l’espansione della massa monetaria, della finanziarizzazione dell’economia reale, della conseguente disoccupazione, della povertà ma soprattutto di una disuguaglianza che non può essere corretta nel breve tempo. La stessa crescita del Pil con l’attuale struttura fiscale ha un’utilità negativa perché accentua la distanza tra ricchi e poveri e peggiora la tensione sociale determinata dalla crescente disuguaglianza e qui sta il problema di fondo. Esiste, infatti, una stretta correlazione tra disuguaglianza e patologie sociali, all’aumentare della prima la società si disgrega ed esplode; gli Usa terzo Paese al mondo per disuguaglianza ne sono l’evidenza empirica: il più alto tasso di incarcerazione, di mortalità infantile, di gravidanze precoci, di minorenni obesi, di abbandono scolastico, di povertà minorile - secondi solo dietro la Romania, di consumo di droghe, di omicidi, di malattie mentali - tra i farmaci più venduti vi è l’antidepressivo Prozac - di suicidi e potremmo continuare in un elenco drammatico che svela il male dell’anima che ci si ostina a non vedere. Alla fine la frustrazione, l’isolamento, l’angoscia della solitudine finiscono per colpire i più deboli e comunque a generare reazioni di violenza inusitata ed apparentemente incomprensibili spinte da forme deliranti. Fino a quando può durare una miopia così volutamente suicida? Per il bene degli Usa e del mondo intero ancora una volta: “God bless America”. (*) Professore ordinario di Programmazione e Controllo - Università Bocconi 3