Attraverso il Torino Fringe Festival. Report da un

24 ore di Krapp in un foglio
11 maggio 2013
FRONT
Digest quotidiano a cura della redazione di Krapp’s Last Post – www.klpteatro.it
Attraverso il Torino Fringe Festival. Report da un
debutto
di Maria Rossa
Ospiti del Torino Fringe Festival in corso in questi giorni,La ballata dei Lenna e O.P.S Officina
per la Scenapresentano rispettivamente “La protesta – Una fiaba italiana” e “Beat: Beatles
esistenze a tempo”.
Come già vi abbiamo raccontato qualche tempo fa,Nicola Di Chio, Paola Di Mitri e Miriam
Fieno si sono formati presso la Civica Accademia d’arte Drammatica “Nico Pepe” di Udine e nel
2011 hanno fondato la compagnia La ballata dei Lenna.
Vincitore del Festival Anteprima89 nel 2012, “La protesta – Una fiaba italiana” è uno spettacolo
nato da un percorso che ha coinvolto nel corso di un anno svariate persone: iniziato in
collaborazione con la residenza teatrale di Teatro Minimo in Puglia, il progetto si è nutrito delle
storie raccolte durante diversi laboratori tenuti dalla compagnia in giro per l’Italia.
In continua evoluzione grazie al contributo del pubblico e al costante confronto coi tempi, la
performance riassume senza presunzione la situazione di crisi che molti italiani vivono oggi.
Licenziati da un centro informazioni cui nessuno più si rivolge se non con qualche sporadica
telefonata, tra equivoci e racconti personali tre impiegati riflettono e agiscono nel tentativo di darsi
un futuro, anche quando questo sembra impossibile.
“Papà, ma noi, il futuro, ce lo possiamo permettere?” è la domanda posta da un bambino al padre
nell’aprile 2011, ed è il dubbio che aleggia per tutto il corso della performance.
Ben calata nei personaggi che mette in scena – la ragazza bulimica, quella che riempie le sue
serate di uomini ogni volta diversi perché “meglio così che niente” e il giovane alcolizzato – La
ballata dei Lenna cerca e offre un punto di vista tagliente sulla nostra contemporaneità. Forse un
po’ carenti nell’uso del corpo, i tre attori mostrano abilità nello scandire il testo, e quasi mai la loro
intensità interpretativa scade nel cliché.
Oltre allo spettacolo, la compagnia ha partecipato al festival con un workshop aperto a tutti, volto allo scambio culturale e artistico tra realtà differenti, “in modo da creare un
raccoglitore di storie eterogenee, con l’intento di dare voce a una protesta vera, sintomo di un malessere diffuso che è difficile mettere su uno striscione: la protesta degli
esseri umani”.
Un’aria completamente diversa si respira ridiscesi nel nuovo Spazio Ferramenta dopo una breve pausa per cambiare la scenografia.
Giorgia D’Agostino, Michele Guaraldo, Orlando Manfredi e Paola Raho portano in scena la storia dei Beatles in uno spettacolo costruito attraverso aneddoti e canzoni,
filmati e racconti.
Diretto da Valentina Volpatto, questa performance-documentario intrattiene e commuove il pubblico per più di un’ora. Anche in questo caso è centrale la riflessione sulla
contemporaneità: il Beat, il battito di una generazione che ha saputo scuotere gli anni Sessanta a livello non solo musicale ma anche politico, economico e sociale,
dovrebbe tornare ad animarci nel periodo di crisi che stiamo vivendo.
Leggero e stuzzicante, “Beat: Beatles esistenze a tempo” alterna registri differenti, passando da momenti cabarettistici al canto, da testimonianze e squarci spesso
drammatici del contesto storico a immagini teatrali create con simpatia. Il luogo dà un tocco in più all’esibizione, con quei mattoni rossi e l’atmosfera soffusa che facilmente
accolgono una performance di questo tipo.
Ospite fino al 12 maggio delle serate del Circolo Oltrepo è invece la milanese Piccola Compagnia Dammacco, che propone al Fringe lo spettacolo con cui nel 2010 ha
vinto il premio nazionale di drammaturgia Il centro del discorso.
“L’ultima notte di Antonio”, primo di tre spettacoli a formare "La Trilogia della Fine del Mondo", mette in scena le voluttuose idiosincrasie di un cocainomane ormai giunto a
uno stato di incontrollabile delirio.
La notte di Antonio non è mai l’ultima finché non viene la fine, cioè l’inizio
dello spettacolo: il funerale, raccontato dalla donna che è rimasta con lui
nel crescendo della sua dipendenza.
Gambe sghembe e microfono in mano. L’attrice Serena Balivo parla con
voce sobria e profonda, non le servono grandi interpretazioni per
cominciare il racconto del funerale d’Antonio, a partire dalle domande dei
genitori su quella sua strana abitudine.
Poi, l’apparizione di Antonio dalla porta da cui prima era entrato il pubblico,
ora stipato sulle panche in fondo alla stanza, in trappola davanti all’assito
di legno su cui i due attori si muovono.
Antonio entra quasi fosse una visione dell’amata man mano che ne
racconta la storia. Parla di dipendenza, necessità, urgenza. Di incubi e
paranoie. L’atmosfera è onirica, sembra galleggiare su una scena vuota.
Gli attori indossano abiti di velluto dal taglio irregolare, dai colori intensi e
opachi che ci portano alla mente un’epoca remota, forse mai esistita, quasi
fossero personaggi di Tim Burton. Non comunicano che attraverso
microfoni, strumento sintomatico della contemporaneità, e il contrasto che
ne deriva, unito a quello tra i loro gesti lenti e improbabili e le turbolenze
emotive di Antonio, tra i balzi improvvisi da un registro interpretativo
comico-grottesco ad uno lirico-poetico, amplificano la dissociazione
psichica e lo spaesamento del protagonista, denunciando il rovinoso
inganno della tossicodipendenza.
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Lo spettacolo è scenicamente ben studiato. Lo stesso Mariano
Dammacco racconterà, durante il successivo incontro con il pubblico, della
lunga gestazione del lavoro, frutto anche del contributo di diversi attori e del
parere di qualche critico teatrale che ha assistito il progressivo sviluppo.
Ma dei tanti scrupoli artistici non arriva purtroppo che il riflesso.
La recitazione è meticolosa e molto misurata, ma le immagini non si fanno
palpabili, la comunicazione a tratti tace. Dammacco usa toni e modi poco
permeabili e presto diventa prevedibile. Serena Balivo è più insistente nella sua
ricerca scenica, ma stenta a incidere nel qui e ora teatrale.
Intanto, tra un acquazzone e uno squarcio di sole, la prima edizione del Torino
Fringe Festival va avanti, proponendo fino al 13 maggio un programma di
performance e workshop dislocati in varie zone della città. Oltre agli spazi
teatrali, anche esibizioni per le strade del centro e feste in locali.
Gli obiettivi dichiarati dagli organizzatori del festival sono essenzialmente due:
“invadere” e avvolgere la città in un vivace clima artistico, e promuovere la
cultura facilitando l’incontro coi produttori. Due compiti di certo non semplici.
Crab Teatro, Quinta Tinta, Piccola Compagnia della Magnolia, Il sommo e il
sottraziono, Kataplixi Teatro, Saulo Lucci e Gianluigi Barberis, O.P.S –
Officina Per la Scena sono le sette compagnie di riferimento per altrettanti
spazi teatrali che ospitano le performance: Caffè del Progresso, Cecchi Point,
Circolo Oltrepo, Circolo Rainbow, Magazzino sul Po, la zona teatrale del
cimitero di San Pietro in Vincoli e lo Spazio Ferramenta.
A Torino, oltre quelle 'di casa', sono quindi arrivate compagnie da Roma, Napoli,
Milano, Pisa, Catania, Cagliari, Aosta ma anche da Scozia, Inghilterra, Spagna e
Francia, allargano il respiro del festival e cercando di inaugurare, anche a
Torino, quella grande tradizione dell’off nata a Edimburgo nel 1947, e che lì è
diventata una concreta occasione (seppur costosissima) di incontro tra realtà
affermate ed emergenti.
Url articolo: http://www.klpteatro.it/attraverso-il-torino-fringe-festivalreport-da-un-debutto
Torino Fringe Festival: http://www.tofringe.it/
Tfaddal:
Tfaddal: 40 anni di Franco Parenti visti da Amleto
di Martina Melandri
Per i suoi quarant'anni, il Teatro Franco Parenti di Milano si concede un regalo di gran peso, che è
prima di tutto un'importante responsabilità, sia come investimento produttivo, che come scelta
artistica. Infatti, da stasera al 18 maggio, i festeggiamenti del 40°saranno affidati a 13 diversi
“binocoli” su Amleto da parte di altrettanti gruppi e compagnie teatrali, protagonisti della scena
contemporanea under 40, ossia più piccoli del teatro stesso.
Tfaddal, che in arabo significa “benvenuto”, è proprio il titolo di questo festival nato per accogliere
chi non era ancora nato quel 13 gennaio 1973, quando il teatro milanese inaugurò la sua storia
proprio con l'“Amleto” diGiovanni Testori.
Tfaddal quindi si presenta come una novità, su più fronti, introdotti nel corso di una conferenza
stampa dalle tre curatrici del festival: Claudia Cannella, Sara Chiappori e Natalia Di Iorio.
Prima di tutto, il principio alla base di Tfaddal: non una vetrina giovane di fine stagione, non un
bando, non un concorso (e quindi nemmeno un premio, né una giuria popolare), ma un progetto
ad hoc, un'opportunità per le giovani compagnie di entrare in una struttura produttiva importante e istituzionale, “vera”, attraverso mini produzioni, lavori che dovranno stare
nei 30 minuti e che si alterneranno e ripeteranno in diverse serate.
Anche dal punto di vista artistico, Tfaddal è una scommessa e una responsabilità, perché alle compagnie è stata data la massima libertà di trattare un testo tanto
intoccabile quanto abusato, temuto e affascinante, amato e odiato, ma che è, nel bene e nel male, nel dna di qualsiasi teatrante.
La maggiore novità di Tfaddal, quindi, saranno i 13 frammenti dell'opera shakespeariana: un Amleto “burlato”, tra Antonio Petito e il burlesque settecentesco, sarà “Hamlet
travestie” di Punta Corsara; una favola di fantasmi raccontata da un padre al suo bambino sarà “L'Amleto della buonanotte” firmato Teatrodilina, con in scenaFrancesco
Colella e un bimbo di 9 anni; Vincenzo Schino di Opera presenterà una performance attorno a un dettaglio anatomico ingrandito di Amleto in “XX, XY, primo studio nella
tragedia di Amleto”; “Studio per A.” sarà l'assolo di danza di Zerogrammi che connetterà Amleto ad Alice, il mondo di uno e il paese delle meraviglie dell'altra; Ambra
Senatore si metterà “A lato di Amleto” per capire cos'è, dopo averlo chiesto a “varie persone incrociate sulla via”; teatro di parola sarà invece quello diretto da Andrea
Baracco che avrà due attori in scena per indagare “Amleto o dei passifalsi della ragione”; con “Cherchez la femme” un Amleto a tragedia avvenuta delGruppo Nanou che
seguirà le tracce di Ofelia; Musellamazzarelli, che – ammettono – non avrebbero mai fatto Amleto, porteranno in scena un 17enne nei panni del ragazzo che è diventato
Amleto, protagonista della loro “Indagine su uno spettro al di sopra di ogni sospetto”; “Chiedetemi tutto ma non Amleto” della compagnia diGianfranco Berardi e Gabriella
Casolari porterà in scena personaggi da bar e incredibilmente sovrapponibili a quelli del testo shakespeariano.
Per la compagnia Monstera è un'atmosfera di noia da dopo-festa, ispirata da “Leonce e Lena”, a scatenare la reazione tra Shakespeare e Büchner; mentre CollettivO
CineticO in “Amleto (primo studio)” affiderà parte della recitazione a un candidato attore, selezionato dal pubblico durante lo spettacolo, per agire sul concetto di sfida e
duello; Teatro sotterraneo presenterà il primo studio di "Be Legend!", al quale stavano già lavorando, un percorso sul tema della vocazione che coinvolgerà diversi
bambini, scelti il giorno prima dello spettacolo in ogni città; “Pre-amleto” sarà il prequel scritto da Michele Santeramo e messo in scena da Veronica Cruciani, per
immaginare il ragazzo prima che diventasse personaggio, con il padre vivo e la madre prima del tradimento.
Ogni sera, oltre a quatto o più spettacoli, ci sarà un incontro con due compagnie, saranno proiettati un video contributo del nostro Mario Bianchi sugli Amleti nel cinema e
non solo, e, in varie postazioni del foyer, si potranno vedere le immagini di backstage e non, scattate da Andrea Messana e Fabio Bortot, i due fotografi della rassegna,
mentre un gruppo di giovani critici testimonierà tutto attraverso un blog dedicato.
Url articolo: http://www.klpteatro.it/tfaddal-40-anni-di-franco-parenti-visti-da-amleto
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