SULLA CATTEDRA DI MOSE` CI SONO GLI SCRIBI E I FARISEI A

SULLA CATTEDRA DI MOSE’ CI SONO GLI SCRIBI E I FARISEI
A chi è rivolta la Parola di Dio? Quale coerenza e fedeltà
si attende? Come diventare discepoli che «dicono e fanno»?
«Quanto vi dicono, fatelo, ma non fate secondo le loro
opere» (Vangelo).
Le parole taglienti di Gesù interrogano una preghiera
distaccata dalla giustizia, una liturgia separata dalla vita,
forme di culto esteriori, comportamenti per «essere
ammirati dagli uomini», come alcuni gesti abituali
ricercati: complimenti, riverenze, il fregiarsi di titoli
posseduti, insieme a logiche che indicano interessi privati,
quali avidità di potere, spirito di dominio.
Tutti siamo richiamati da una Parola che alimenti la
coscienza, che scuota i "praticanti", convinti che per essere
cristiani sia sufficiente un po' di osservanza e un certo devozionalismo, una Parola che
tocchi la profondità del cuore e della vita, che ci renda maestri, in quanto testimoni, nello
spirito dell'apostolo Paolo ai Tessalonicesi: «Siamo stati amorevoli in mezzo a voi come
una madre», disposti allora, non tanto a farci chiamare "rabbì", ma a dare la vita, che è
addirittura essere "madre"!
Mons. Alfredo Di Stefano,
Presidente del C.A.L.
SIGNORE, I SANTI CI PROTEGGANO NEL CAMMINO
VERSO DI TE
LA Chiesa, soprattutto durante il pontificato del beato
Giovanni Paolo II, ci ha abituati a familiarizzare con i santi
non solo del passato, ma anche recenti, addirittura
contemporanei, diventandone lui stesso un esempio. La santità si distingue ora sempre più dal miracoloso e dallo
straordinario per identificarsi con la vita quotidiana. Si
tratta di una vita "vissuta" alla luce delle beatitudini, resa
possibile dalla presenza e dall'azione dello Spirito Santo che
Gesù ci ha donato attraverso la sua incarnazione.
Vivendo della vita di Gesù, è normale che questa vita si
manifesti nel nostro operato, ossia in una "vita santa", con
forme alla volontà di Dio. Poiché tale manifestazione rivela
la sua sorgente, che è Gesù e la potenza della sua risurrezione, i santi proclamano le
meraviglie da Dio operate nei suoi servi, testimoni del mistero pasquale. Oltre a
intercedere per noi, loro fratelli, presso il Padre, i santi ci insegnano «la via sicurissima per
la quale, tra le mutevoli cose del mondo, potremo arrivare alla perfetta unione con Cristo,
cioè alla santità, secondo lo stato e la condizione propria di ciascuno» (LG, n. 50).
Tarcisio Stramare, osj
«VEGLIATE: NON, SAPETE NE IL GIORNO NE L'ORA!»
QUAL è il dramma vero per le dieci vergini della parabola
evangelica propostaci oggi? Il fatto che si sono addormentate o che, all'arrivo dello sposo, alcune non avevano
quanto era necessario per riconoscerlo lucidamente?
Certamente il problema vero è il secondo: l'arrivo del
Signore coglierà tutti di sorpresa, ma se nel tempo
dell'attesa il cristiano si prepara all'incontro, alimentando la
lampada della fede con l'olio della preghiera e dell'ascolto
della Parola di Dio, diviene "discepolo della Sapienza" (I
Lettura), sempre assetato di Dio e della sua verità.
Come è accaduto alle vergini sagge che hanno saputo
conservare dell'olio per i momenti tenebrosi (Vangelo), anche per ciascuno di noi si impone di vigilare nello spirito, perché l'armatura della fede
possa proteggerci di fronte alla tentazione di assopirci in una vita mediocre e continuamente oppressa dal peccato. Come afferma sant'Agostino: «Tutta la durata del tempo è
come una notte, nel corso della quale la Chiesa veglia, con gli occhi della fede rivolti alle
Sacre Scritture come a fiaccole che risplendono nel buio, fino alla venuta del Signore».
Tiberio Cantaboni
SERVO BUONO, PRENDI PARTE ALLA GIOIA DEL TUO
PADRONE
COME nelle questioni materiali, così anche nella vita
spirituale non si danno automatismi! Il buon seme gettato in
noi necessita di essere coltivato, perché possa fruttificare; il
talento (Vangelo) a noi donato necessita di essere trafficato
per potersi moltipllcare. Il Signore non guarda alla quantità
del frutto, ma alla qualità del nostro lavoro e ci invita a non
sotterrare i suoi doni, tenendoli nascosti e inerti, bensì a
renderli operativi, perché diventino anzitutto parte della
nostra esistenza ed egli possa, al suo ritorno, trovarci al
lavoro, secondo il suo comandamento.
Gli antichi sostenevano che se non si va avanti, non è che
si resti fermi, nella vita spirituale inesorabilmente si torna
indietro. Così con i doni di Dio: non possiamo sotterrarli, perché pian piano diminuiranno
fino a scomparire.
Accogliamo, dunque, l'insegnamento dell'Apostolo a non dormire, ma a stare svegli e sobri,
lavorando nel giorno della vita temporale per essere accolti nel giorno dell'eternità (II
Lettura). Come per la donna "perfetta" della Prima lettura, per le nostre opere saremo
lodati dal Signore e parteciperemo alla sua gioia.
Tiberio Cantaboni
XXXIV Domenica del T.O.
VENITE, BENEDETTI DEL PADRE MIO,
PERCHE’ HO AVUTO FAME...
LA solennità di Cristo Re chiude l'anno liturgico
offrendoci la visione della sovranità di Cristo nel giudizio
finale. La prima lettura, con il salmo responsoriale, ci offre
uno squarcio sulla profezia che annuncia lo stile del
pastore: egli raduna e passa in rassegna le sue pecore per
«condurle nel regno della vita» (Rit. del salmo). Così la
grandiosa pagina del giudizio universale (Vangelo) non
vuole essere minacciosa, ma richiamarci alla nostra
responsa- bilità di pecorelle che desiderano appartenere al
gregge di Dio. Lo stile di queste pecorelle amate da Dio,
non può che essere lo stesso del pastore: andare dove lui
va e cercare di imitare la sua condotta fatta di accoglienza,
di carità, di opere concrete.
La scena del Vangelo ci impedisce di fantasticare su quel giorno, ma ci obbliga a
prendere sul serio la nostra vita, perché è ora e qui, in quest'oggi che ci giochiamo il futuro.
Le opere elencate non sono gesti eccezionali, ma raccontano una quotidianità fatta di un
bicchiere d'acqua, di un vestito, di un pezzo di pane, di una visita: cose che ognuno può
fare. Se viviamo con fede tutti questi gesti, nella nostra vita potremo sentire le dolci parole:
«... ogni volta... l'avete fatto a me».
Elide Siviero