Gli odierni commentatori di Kant alla prova di Leibniz

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Annali del Dipartimento di Filosofia (Nuova Serie), XVI (2010), pp. 39-54
Gli odierni commentatori di Kant alla prova di Leibniz
Francesco Venturi
During the Eighteenth century, in the way to consider time, mainly
talking about external objects, there were two conflicting tradition
inspired by Newton and Leibniz. To choose one of them meant
too to choose a certain kind of relationship with cause and with
succession. Kant made a choice. We will consider how the modern
authors that examine the Kant texts or try to defend his point of
view could answer if he made a wrong choice.
Keywords: Kant, time, causality, succession.
1. Le decisioni di Kant su successione, tempo e causa tra Newton e Leibniz
Basta solo la definizione della seconda analogia, termine con cui Kant
indica il principio di causalità, a far capire quanto essa sia legata al tempo,
o meglio, alla successione temporale: «Principio della successione temporale secondo la legge di causalità. Tutti i mutamenti accadono secondo
la legge della connessione di causa ed effetto»1. Ma proprio il rapporto
tra tempo e causa non sembra essere stato al centro dell’attenzione della
letteratura secondaria kantiana, nonostante i motivi storici e gli spunti di
confronto che poteva offrire. Durante l’articolo tenteremo di introdurre
degli argomenti di discussione sulla maniera di intendere il rapporto tra
causa e tempo da parte di Kant ”di stampo anglosassone”, alla luce di
un modo completamente opposto di considerare la successione, tratto
da alcuni spunti di Leibniz.
Perché il rapporto tempo-causa è stata, relativamente, poco approfondito e ritenuto poco problematico da autori di tradizione analitica o di
filosofia della scienza? Credo che la colpa sia da imputare principalmente
1 I. Kant, Critica della ragion pura, trad. it. di P. Chiodi, Utet, Torino 2005, p. 225
(B 232). Quest’ultimo riferimento è la numerazione canonica e spesso usata delle pagine
della prima e della seconda edizione della Critica, riferimento che sarà presente anche
nelle note successive al fine di una maggiore facilità di ricerca.
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ISSN 0394-5073 (print) ISSN 1824-3770 (online)
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al tempo e per un motivo che può sembrare strano: le caratteristiche assegnategli erano comunemente ritenute valide, sia dalla scienza (almeno
fino alla teoria della relatività) che nella vita di tutti i giorni, perciò poco
dibattute e implicitamente accettate. Prendiamo, ad esempio, l’elenco
delle proprietà, che viene dato del tempo nella prima Critica, all’interno
dell’Estetica trascendentale, nella parte intitolata Esposizione metafisica
del concetto di tempo2, limitandoci a riportare quelle caratteristiche che
hanno un’importanza maggiore per la discussione che ci apprestiamo ad
affrontare3: la rappresentazione del tempo è a fondamento della simultaneità quando qualcosa è rappresentato nello stesso tempo, e a fondamento
della successione, quando qualcosa è rappresentato in tempi diversi (punto
1); il tempo ha una sola dimensione (punto 3); il tempo è una forma pura
dell’intuizione sensibile che serve, a sua volta, a dare forma ai fenomeni
(punto 4); tempi diversi sono parti dello stesso tempo e la successione ha
una natura sintetica (punto 4); la rappresentazione di un unico oggetto si
definisce intuizione (punto 4); il tempo è infinito (punto 5). Altri attributi
dell’intuizione temporale si possono evincere dall’unione di quelli suddetti: per esempio, che il tempo sia successivo e monodimensionale ci fa
supporre che abbia una sola direzione. Molti degli attributi ora elencati,
la monodimensionalità, l’infinità, la successione di tempi diversi come
parti di un unico tempo, sono entrati a far parte delle proprietà che erano
comunemente assegnate a tale nozione, in maniera più o meno esplicita.
È importante, inoltre, un paragrafo aggiunto nella seconda edizione,
l’Esposizione trascendentale del concetto di tempo, dove viene detto che il
movimento (regolato dalle leggi del moto) e il mutamento sono possibili
solo grazie alla rappresentazione del tempo e che se questo non fosse
un’intuizione non potremmo, per esempio in un cambiamento di stato,
mettere in relazione tra loro due predicati opposti appartenenti ad un
unico oggetto. Essendo il tempo un’intuizione ed avendo le caratteristiche
sopra elencate, un soggetto conoscente può riferire allo stesso oggetto
due predicati contraddittori tra loro, come quando dico che la cera prima
era solida e adesso è liquida, magari perché si è sciolta al sole: «Solo nel
tempo due determinazioni opposte contraddittorie possono aver luogo
2 Anticipando un po’ il discorso, sebbene il tempo kantiano sia un’intuizione qui
viene definito «concetto», perché, Bird fa notare, «Per Kant ogni metafisica ha a che
fare con i concetti, e abbiamo concetti di spazio e di tempo così come abbiamo concetti
di colori o serie. È inevitabile, e riconosciuto come inevitabile, che la discussione stia
continuando in termini di concetti di spazio e di tempo, ma ciò è interamente compatibile
con la loro classificazione metafisica nell’‘argomento trascendentale’ di Kant come intuizioni o come intuitivi, cioè come appartenenti ai sensi» (G. Bird, The Revolutionary
Kant, Open Court, Chicago e La Salle 2006, p. 132).
3 Per quanto segue: Kant, Critica della ragion pura, cit., pp. 106-10 (A 30-32/B 46-47).
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in un medesimo oggetto, e precisamente l’una dopo l’altra. Quindi il
nostro concetto del tempo rende ragione di tutte le conoscenze sintetiche
a priori che sono avanzate dalla teoria generale del moto»4. Tuttavia il
tempo kantiano è originale solo in alcune sue parti, altre sono un’eredità
dei dibattiti e delle tradizioni precedenti.
Nel Settecento due importanti posizioni si trovarono a confrontarsi
aspramente riguardo a quella che, kantianamente, sarebbe stata la funzione
del tempo nella sua forma mediata, in rapporto cioè ai fenomeni esterni,
posizioni che si rifacevano a Leibniz e Newton e che affondavano le loro
radici nella filosofia greca: gli appartenenti alla prima corrente, tra i quali
rientra il filosofo razionalista, affermano, in sintesi, che il tempo, come lo
spazio, è solo una relazione tra gli oggetti e quindi dipenderebbe da essi; i
secondi invece sostengono che le due nozioni siano entità a sé, che hanno
una struttura con caratteristiche proprie indipendente dalle cose poste
al loro interno, posizione vicina alle idee di Newton. Kant, per quanto
riguarda gli oggetti esterni, sembra più vicino a quest’ultima tradizione.
Un primo punto d’incontro tra la tradizione newtoniana, la principale
fonte d’ispirazione scientifica del periodo, e la filosofia critica si ha nella
similitudine tra l’immagine del tempo vista come una linea geometricoalgebrica: Newton, studiando le «flussioni», paragona l’avanzare sull’asse
delle ascisse allo scorrere temporale; Kant, sottolineava che il tempo si
differenzia da una linea per il solo fatto che che le sue parti non sono
simultanee ma sintetiche5. Il fisico inglese usava quindi il tempo per illustrare meglio i suoi elementi matematici, il filosofo prussiano faceva il
contrario. Ma una delle somiglianze più rilevanti si ha tra il tempo assoluto
di Newton, entro il quale si muovo gli oggetti fisici, e una particolare funzione dell’intuizione temporale che è possibile trarre da un’affermazione
espressa nell’Analitica trascendentale. Per Newton
È possibile che non vi sia movimento talmente uniforme per mezzo del
quale si possa misurare accuratamente il tempo. Tutti i movimenti possono essere
accelerati e ritardati, ma il flusso del tempo assoluto non può essere mutato.
Identica è la durata o la persistenza delle cose, sia che i moti vengano accelerati,
sia che vengano ritardati, sia che vengano annullati; per cui, e a buon diritto,
questa durata viene distinta dalle sue misure sensibili6.
Ivi, p. 109 (B 48-49).
«È proprio perché questa intuizione interna non ha alcuna figura che noi cerchiamo
di porvi rimedio con analogie, rappresentando la successione temporale con una linea che
va all’infinito, nella quale il molteplice dà luogo a una serie monodimensionale; e dalle
caratteristiche di questa linea inferiamo tutte le proprietà del tempo, tranne una sola,
giacché le parti della linea sono simultanee, mentre quelle del tempo sono successive»:
ibid. (A 33/B 50).
6 I. Newton, Principi matematici della Filosofia naturale, Utet, Torino 1965, pp. 105-6.
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Ciò ci lascia intendere che il tempo sia un’entità indipendente dagli
oggetti ma che serve ad essi da contenitore. In Kant l’intuizione temporale
mantiene ‘la funzione-contenitore’ ma al contrario del tempo assoluto
esso sembra essere qualcosa di fermo al cui interno si trovano i fenomeni
(immagine che ci presenta anche un problema di compatibilità con l’esempio del tempo come linea sintetica successiva): «Ciò che scorre non
è il tempo, ma è l’esistenza di ciò che muta a scorrere nel tempo» dato
che il tempo «è in se stesso immobile e permanente»7.
Un’ultima importante caratteristica in comune è che, per entrambi, il
tempo deve poter rendere conto delle leggi del moto, lasciando intendere
che sia una condizione fondamentale per tali leggi, e queste, a loro volta,
saranno utili nell’offrirci delle immagini dei tempi particolari o, come
direbbe Newton, ‘volgari’, attraverso i moti degli oggetti (il movimento
degli astri, il pendolo degli orologi e così via).
Il razionalismo tedesco, in particolare di matrice leibniziana, è
anch’esso interessato alle leggi del moto, ai movimenti e a ciò che li genera, ma concepisce in maniera diversa il tempo, o meglio, la successione
temporale rispetto alla fisica newtoniana:
Avendo compiuto nuove scoperte sulla natura della forza attiva e sulle leggi
del moto, ho fatto vedere che [...] esse dipendono dalla convenienza, come ho
osservato sopra, ovvero da quel che chiamo il principio del meglio, e che si
riconoscono in ciò, come ogni altra cosa, i caratteri della sostanza prima, i cui
prodotti rivelano una suprema saggezza e danno luogo alla più perfetta delle
armonie. Ho mostrato inoltre che è siffatta armonia a produrre il legame sia
dell’avvenire col passato sia del presente con ciò che è assente. La prima specie
di legame unisce i tempi, l’altra i luoghi8.
Nell’ottica leibniziana la successione sembra fondarsi sulla causa e
non sul tempo. La causa efficiente, la nozione che si avvicina di più alla
seconda analogia, è in relazione con quelli che Leibniz chiama ‘principi
primitivi’ (i principi fondamentali a cui fanno capo tutti gli altri) ed in
particolare con la ragione sufficiente:
Ma la ragion sufficiente deve trovarsi anche nelle verità contingenti o di
fatto, cioè nella serie delle cose sparse per l’universo delle creature, nelle quali
la decomposizione in ragioni particolari potrebbe giungere a una frazionamento senza limiti, a cagione dell’immensa varietà delle cose della natura, e della
divisione dei corpi all’infinito. V’è un’infinità di figure e di movimenti, presenti
e passati, che entrano nella causa efficiente del mio scrivere attuale9.
Kant, Critica della ragion pura, cit., p. 194 (A 144/B 183).
G.W. Leibniz, Saggi di teodicea in Scritti filosofici, a cura di M. Mugnai e E. Pasini,
Utet, Torino 2000, t. III, p. 40.
9 G.W. Leibniz, Monadologia e Discorso di metafisica, trad. it., Laterza, Roma-Bari
1986, § 36, p. 42.
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Associazione tra movimenti e causa ribadita anche in seguito: «I corpi
agiscono secondo le leggi delle cause efficienti o dei movimenti»10. La
causa efficiente non solo sembra agire in maniera antecedente al tempo,
ma svolge la doppia funzione di render conto sia della successione sia
dei movimenti.
Trovandosi tra due correnti di pensiero, che avevano addirittura
interessi in comune, perché Kant ha scelto Newton e non ha aderito alla
posizione di Leibniz? Potremmo rispondere che, alla fine del Settecento,
e anche oltre, le teorie che ipotizzavano si potesse derivare il tempo da
altre nozioni, implicando talvolta la sua inesistenza o illusorietà, erano
poche e mal argomentate; al contrario l’incalzare ed il passare del tempo,
nonostante esso stesso o la sua essenza non fossero mai stati percepiti direttamente, erano ritenuti un dato di fatto che si avvertiva continuamente
e quotidianamente. Nel caso specifico di Kant, in più, la formulazione
di ipotesi alternative a quelle da lui proposte sarebbe dovuta passare
al vaglio di una deduzione trascendentale, condizione di cui godevano
alcune nozioni a priori. Che cos’è una deduzione trascendentale? Attraverso di essa Kant cercava di mostrare non solo che determinate nozioni
ci fossero o si utilizzassero de facto ma anche con che diritto (quid juris)
siamo legittimati ad usarle. Nel caso delle categorie, ed in particolare
delle ‘analogie dell’esperienza’, sembra giochi un ruolo fondamentale il
loro rapporto con le discipline scientifiche, dato che la loro non validità,
sarebbe «incompatibile con la reale esistenza delle conoscenze a priori che
sono in nostro possesso, cioè con la matematica pura e la fisica generale e
risulta in tal modo contraddetta dai fatti»11. Poniamo che qualcuno avanzi
un’ipotesi alternativa alla causalità, non considerandola né universale né
necessaria: ogni possibile alternativa o permetteva altrettanto bene le leggi
di Newton, che Kant riteneva universalmente valide e necessarie, e non
sembravano esserci candidati atti a svolgere tale ruolo, o non si poteva
effettuare per esse una deduzione trascendentale, lasciando in tal modo
ampio spazio, per esempio, alle possibili critiche di stampo humeano.
Ma contrariamente a nozioni come lo spazio e le analogie dell’esperienza, tra le quali rientra anche la causa, il tempo non sembra avere una
vera e propria deduzione trascendentale e non viene messo in corrispondenza diretta con una disciplina scientifica, bensì sembra che si basi solo
sulla sua evidenza che gli permette una sorta di ‘deduzione continua’.
Prendiamo il caso più semplice in cui io abbia solo due rappresentazioni, come la luce e il buio. Secondo Kant, il tempo, sintetico e a priori,
è necessario per render conto di una successione elementare del tipo
10 11 Ivi, § 79, p. 53.
Kant, Critica della ragion pura, cit., p. 159-160 (B 128).
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luce-buio o buio-luce, perché, se non avessi qualcosa che mi permetta
di capire che sono davanti ad una successione, io non potrei neanche
avvertirla come tale: «la simultaneità o la successione non potrebbero
neppure mai costituirsi come percezioni se non ci fosse a priori, quale
fondamento, la rappresentazione del tempo»12. Va ricordato infatti che il
tempo è forma del senso interno e solo mediatamente ha a che fare con gli
oggetti esterni, per cui, sebbene si possa dubitare13 di ciò che ci proviene
dai sensi, più difficile è che un soggetto conoscente sospetti dei suoi stessi
pensieri o della loro semplice successione. Se io, per esempio, iniziassi a
dubitare della successione dei miei stati interni ne andrebbe addirittura
della coerenza stessa di quello che sto scrivendo. Ciò è maggiormente
sottolineato nella prima edizione della Critica della ragion pura, quando
il peso della deduzione dei concetti puri sembra ricadere sull’intuizione
temporale «Ogni intuizione ha in sé un molteplice, il quale non potrebbe
tuttavia esser rappresentato come tale se l’animo non distinguesse il tempo
nella successione delle impressioni»14. Sembrerebbe quindi plausibile
aggiungere una considerazione fatta da Michael Friedman, riferita alla
successione numerica, ma che può essere estesa ad un livello più generale:
non avendo strumenti logici che sarebbero stati raffinati solo nel corso
dell’Ottocento, Kant, per rendere conto della successione in generale,
si basa sul tempo15. Per cui, sebbene non sia collegato a nessuna disciplina scientifica in senso stretto, il tempo assolve la funzione logica della
successione, è la base stessa per ogni successione, come sembrerebbe
confermato anche dalle caratteristiche dell’intuizione temporale sopraelencate. Quindi sembrerebbe che nell’ottica kantiana, o si dispone di una
deduzione trascendentale o si dispone di un’evidenza incontrovertibile
che faccia le veci della deduzione.
Ma a discapito dell’evidenza temporale, e sebbene non sia fondamentale come nell’ottica di Leibniz, viene spesso sottolineato il valore
oggettivo della causa rispetto a quello soggettivo del tempo: è possibile
accettare questa distinzione? Se partiamo dalle considerazioni appena
fatte, la relazione soggettivo-oggettivo che viene spesso istituita tra tempo
e causa può essere un buon banco di prova per mostrare cometalvolta
il rapporto tra le due nozioni non sia stato approfondito come merita.
Ivi, p. 106 (A 30/B 46).
Si veda a questo proposito il capitolo Confutazione dell’idealismo trascendentale,
ivi, pp. 251-260 (B 274-287).
14 Ivi, p. 641 (A 99).
15 M. Friedman, Kant and the Exact Sciences, London Harvard University Press,
Cambridge 1992, p. 121.
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2. Il rapporto tempo-causa come rapporto soggettivo-oggettivo?
Gli esempi tipici forniti dai sostenitori di un rapporto tempo-causa
come un rapporto soggettivo-oggettivo in Kant sono quelli della serie di
percezioni di una casa e della serie di percezioni di una nave che risale
la corrente:
Nel nostro caso [la percezione della casa], dovrò dunque inferire la successione soggettiva dell’apprensione dalla successione oggettiva dei fenomeni;
in caso diverso la prima è del tutto indeterminata e non può distinguere un
fenomeno dall’altro. Da sé sola, essa non prova nulla circa la connessione del
molteplice nell’oggetto, essendo del tutto arbitraria. La seconda successione
[quella della nave che risale la corrente] pertanto consisterà nell’ordine del
molteplice fenomenico, per il quale l’apprensione di qualcosa (che accade)
segue l’apprensione dell’altra (che precede) in conformità ad una regola. Solo
in questo caso posso giustificatamente affermare – del fenomeno stesso e non
della mia semplice apprensione – che nel fenomeno ha luogo una successione;
il che sta a significare che io non posso effettuare l’apprensione che in quella
determinata successione16.
Alla luce di quanto viene detto qui, è giusto dire che le successioni
date dall’intuizione temporale possono essere rese oggettive, messe in
discussione o ribaltate dal principio causale? O possiamo addirittura
affermare che la causa ha una funzione oggettivante sul tempo? Se così
fosse, la funzione temporale apparirebbe ausiliare rispetto alla causa,
sarebbe soltanto uno strumento capace di fornire del materiale per poi
costruirci sopra un edificio più solido. Per smontare questa impostazione, per prima cosa, anche se può sembrare superfluo, è bene specificare
che qui non stiamo parlando direttamente di tempo e causa, ma delle
successioni temporali e di quelle causali, quindi non delle nozioni a priori
stesse, ma degli oggetti di tali funzioni: se la prima opera sui fenomeni
(livello sensibile), la seconda opera sui concetti tratti dai fenomeni (livello
concettuale), quindi su due piani epistemologici differenti. In più, come
detto in precedenza, il tempo è una sorta di base logica per ogni tipo di
successione, si occupa di loro in maniera generale, invece la successione
causale riguarda esclusivamente un certo tipo di serie concettuali, assicurando che ogni fenomeno è effetto di un fenomeno precedente.
Ora, riprendiamo il brano riportato sopra. Lì tutto verte sul significato che diamo ai termini ‘soggettivo’ e ‘arbitrario’ e sul problema se siano
coestensivi o meno. Se i termini si riferiscono alle sequenze all’interno
dell’intuizione temporale allora hanno un significato molto simile, ma se
16 Kant, Critica della ragion pura, cit., p. 229 (A 193/B 238).
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si riferiscono alle nozioni stesse no. Ad esempio, osservando una casa possiamo avere la sequenza tetto-finestra-porta-prato, e, essendo arbitrarie
le condizioni di partenza o di ricezione dei fenomeni da cui dipendono
le sequenze acquisite, in altre circostanze si possono avere ordini diversi
(potremmo infatti avere la serie prato-porta-finestra-tetto), ma non può
essere ‘soggettivo’ che si sia acquisita una serie di fenomeni e che essi
avessero il carattere della successione. Il compito principale e oggettivo
del tempo dunque non è darci l’ordine rigoroso delle successioni, bensì
darci le successioni stesse, vale a dire il materiale empirico, informandoci
inoltre che esso sta cambiando o si sta spostando poiché lo percepiamo
come successivo. Dire che tutto ciò che si trova nel tempo è soggettivo o
che la funzione del tempo è solo soggettiva rispetto a quella della causa
equivarrebbe a sminuire l’intuizione a priori kantiana. Dove alcuni vedono
una distinzione tra soggettivo e oggettivo noi vediamo una separazione dei
ruoli tra tempo e causa che conduce ad una ripartizione tra le successioni:
quelle temporali, che possiamo definire ‘successioni in generale’, e quelle
causali, che possiamo indicare come ‘successioni necessarie’.
Il compito diverso che hanno le due nozioni a priori è dovuto anche
ai due piani su cui agiscono, distinzione non da poco perché se non si
stesse attenti si correrebbe il rischio di un possibile scontro di facoltà, utilizzando un principio intellettuale (che si occupa di concetti) per mettere
in dubbio ciò che proviene dalla sensibilità (il materiale empirico): non è
possibile che una categoria si occupi direttamente del materiale sensibile
andando a saltare tutto il lavoro fatto dagli schemi trascendentali e con
buona pace dei testi kantiani da cui emerge la collaborazione tra le varie
facoltà e i vari livelli.
Collaborazione che si manifesta puntualmente anche nella definizione della seconda analogia, quando si parla della successione temporale
‘secondo la legge di causalità’: quanto detto in precedenza ci porta a
pensare che il principio di causalità non agisca sulle successioni temporali
riordinandole e riorganizzandole, ma deve fare in modo che tra i vari
rapporti di successione e tra le innumerevoli successioni che possiamo
percepire, ce ne siano alcuni considerati, per la nostra esperienza e quindi
a livello concettuale, causali o necessari (la cera che si scioglie al sole,
la nave che risale la corrente, ecc...). Il tempo ci assicura che possiamo
avere degli stati successivi, la seconda analogia ci assicura che uno stato
di cose, un evento o un fenomeno è necessariamente effetto di una causa
antecedente, causa che spesso è esemplificata o trova un corrispettivo
nelle leggi empiriche. È quest’ultimo punto che viene ribadito da Kant
nell’Esposizione trascendentale del concetto di tempo quando afferma che
il tempo deve ‘render ragione’ della dottrina del moto: ‘render ragione’
non nel senso di ‘derivare’, ma di ‘permettere’; non cerca di porre in una
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relazione esclusiva tempo e leggi del moto, assai legate alle analogie, ma
cerca di assicurarne la possibilità.
Se così stessero le cose sembrerebbe che il tempo, base logica di ogni
successione e fornitore di materiale empirico, sia epistemologicamente
antecedente alla causa, accentuando ancora di più la distanza con Leibniz.
Ma, prima ancora di considerazioni del genere, dovremmo chiederci:
sarebbe plausibile una teoria ‘alla Leibniz’? Una teoria in cui sia la causa,
in qualche modo, antecedente al tempo? Ci chiediamo se sia plausibile
una teoria senza un’entità ‘tempo’, con a fondamento della successione
il passaggio da un fenomeno (causa) ad un altro fenomeno (effetto); una
situazione, in pratica, in cui non ci sarebbe più un tempo che passa ma
delle cose che succedono.
Se volessimo fare un esempio semplice e immediato che ci aiuti a
capire meglio la diversità che c’è tra una concezione in cui sia il tempo
a scorrere e quella per cui la temporalità è derivabile dalla causalità potremmo dire che tale situazione assomiglia, semplificando molto le cose,
alla differenza che c’è tra il cinema e il fumetto. Se pensiamo all’esempio
di Kant in cui il tempo viene paragonato ad una linea sintetica, le cui
parti siano successive, è possibile una similitudine con le vecchie pellicole
cinematografiche: ogni pellicola è divisa in fotogrammi uguali tra di loro
che si susseguono alla stessa velocità circa e su cui, in casi limite, possa
essere stata impressa la stessa identica immagine qualora sia stata ripresa
una scena senza movimento. In una concezione in cui la successione
sia data da un’entità che scorre abbiamo una situazione simile: i singoli
movimenti si susseguono attraverso le parti temporali, unità dopo unità,
anche se tutto restasse immobile, anche se l’universo fosse ‘congelato’;
come nella frase di Newton citata in precedenza «Tutti i movimenti
possono essere accelerati e ritardati, ma il flusso del tempo assoluto non
può essere mutato»17. Prendiamo ora il caso del fumetto. Qui abbiamo
ugualmente delle unità, le vignette, ma, a differenza del caso precedente,
esse non sono uguali tra di loro e anche il contenuto al loro interno può
variare parecchio, influenzando la grandezza della vignetta stessa: possiamo
averne una piccola in cui è rappresentato un solo dettaglio oppure una
che si estende anche su due pagine in cui l’azione o i dialoghi sono molti
e molto complessi. Inoltre, solo dopo che si sia compiuto l’evento o che si
sia completamente svolta l’azione in una vignetta è possibile passare alla
successiva e, a differenza del cinema, è raro che due vignette siano uguali,
ma anzi è proprio la diversità tra di esse che ci dà il senso della successione.
L’utilizzazione del concetto di tempo, non solo nella vita di tutti i
giorni ma anche in ambito scientifico, pone in svantaggio le teorie di tipo
17 Cfr. p. 3.
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leibniziano. Inoltre, come abbiamo visto, Kant contrapponeva a tali tipi di
ipotesi un esame delle caratteristiche del tempo, delle sue funzioni e dei
suoi compiti e in aggiunta anche la deduzione trascendentale. Da parte
nostra riteniamo che, affinché delle ipotesi siano alternative o possano
rappresentare delle alternative, non ci sia bisogno di una deduzione
trascendentale, in particolare alla luce delle rivoluzioni scientifiche del
secolo scorso, che hanno mostrato come le leggi di Newton non fossero
né universali né necessarie. Proprio in conseguenza di ciò sono nate
delle interpretazioni che si proponevano di rivalutare e salvaguardare il
pensiero kantiano, o alcuni suoi aspetti, dopo la sostituzione della fisica
newtoniana con quella einsteiniana. Quello che ci proponiamo di fare qui
è vedere se le ipotesi da essi avanzate possano essere utilizzate qualora
entrasse in crisi un’immagine del tempo e soprattutto della sua funzione
di base, la successione temporale, così come teorizzata da Kant.
3. Regolaristi e costitutivisti alla prova della successione causale
Purtroppo tra alcuni dei moderni commentatori di Kant di tradizione
analitica o provenienti dalla filosofia della scienza ci sono delle divergenze
che portano alla diversificazione di molte teorie su argomenti cruciali. Qui
intendo restringere il campo a due correnti di pensiero che differiscono
proprio sul modo di considerare la seconda analogia e ciò credo che
dipenda implicitamente anche da una sottovalutazione dell’importanza
dell’intuizione temporale. Possiamo prendere come casus belli due articoli, Kant and the Twentieth Century di M. Friedman e Causality and
Causal Laws in Kant: a Critique of Michael Friedman di H.E. Allison18,
in cui si valutano in maniera diversa i rapporti tra i principi di Kant e
quelli di Newton, considerazioni che hanno la loro origine in una diversa
concezione di nozioni ancor ‘precedenti’, tra cui la seconda analogia.
I ‘regolaristi’, tra i quali rientrano autori come il succitato Allison
e Gerd Buchdahl, ritengono che tra i principi kantiani e i principi della
scienza newtoniana ci fosse un accordo debole, in modo che l’abbandono delle leggi della meccanica classica, dopo i cambiamenti avvenuti
nelle scienze durante il secolo scorso, non comportasse l’abbandono dei
principi kantiani. Seguendo Buchdahl, i principi dell’intelletto sono da
considerarsi universalmente validi e necessari, ma regolativi, cioè «1) privi
di forza costitutiva; 2) svolgono una funzione metodologica; 3) possiedono uno status trascendentale»19. Che siano trascendentali è dovuto al
18 Entrambi gli articoli si possono trovare in Kant and Contemporary Epistemology,
a cura di P. Parrini, Kluwer academic publishers, Dordrecht 1994.
19 G. Buchdahl, Kant and the Dynamics of Reason: Essays on the Structure of Kant’s
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fatto che Kant definisce così tutti i principi sintetici a priori del soggetto
conoscente20; che siano metodologici sembra quasi una scelta dovuta, dato
che, non potendo essere costitutivi, essi si limitano ad indicare un modo
per organizzare il materiale empirico; la proprietà su cui si focalizza l’attenzione è quella di non avere forza costitutiva. Stando alle proposte dei
regolaristi, l’intelletto avrebbe solo la funzione di organizzare il materiale
proveniente dalla sensibilità in una struttura empirica, ma tale struttura
non è considerata fissa o immutabile, essendo sempre possibile una sua
revisione da parte della facoltà della ragione. I principi come quello di
causa-effetto perciò non sarebbero costitutivi a livello empirico, bensì
avrebbero «solo la funzione trascendentale minima di assicurare un ordine temporale oggettivo alle occorrenze contingenti, mentre il progetto
effettivo di un ordine empiricamente legiferato della natura è visto come il
lavoro della ragione o del giudizio riflettente»21. Una serie di eventi ha un
ordine oggettivo datole dallo schema della causalità: se la cera si scioglie
possiamo utilizzare il principio di causalità come un mezzo per cercare
qualcosa che sia causa del suo sciogliersi, ma questo schema, non avendo
forza costitutiva, non solo non garantisce la conclusione della ricerca, ma
neanche che la ricerca abbia una conclusione. Sarà poi la facoltà della
ragione a confermare che l’ordine della sequenza sia corretto inserendola
in apposite gerarchie eidetiche (all’interno delle quali è possibile inserire
i concetti provenienti dall’intelletto), e sarà poi sempre la ragione a modificare tali gerarchie in base a nuovi ed eventuali dati empirici. Se, per
esempio, si scoprisse che alcune leggi scientifiche sono corollari di altre o
che determinati fenomeni in realtà non sottostanno a determinate leggi,
i principi metodologici della ragione, operanti ad un livello più alto di
quelli dell’intelletto, possono riorganizzare le gerarchie in modo tale che
quelle leggi sottostiano a regole ancor più generali o diverse.
Agli autori regolaristi si oppongono interpreti che possiamo chiamare ‘costitutivisti’, come il succitato Friedman, i quali sostengono che i
principi dell’intelletto vadano considerati costitutivi dell’esperienza, ma
non universalmente validi e necessari, seguendo la famosa distinzione
che traccia Reichenbach sul termine ‘a priori’: «in primo luogo esso
Philosophy, Blackwell, Oxford 1992, p. 93. Durante l’analisi terrò conto principalmente
dell’interpretazione che danno Buchdahl e Allison; ciò non toglie che altri autori dello
stesso gruppo possano dare interpretazioni differenti.
20 «Chiamo trascendentale ogni conoscenza che si occupi, in generale, non tanto
di oggetti quanto del nostro modo di conoscere gli oggetti nella misura in cui questo
deve essere possibile a priori. Un sistema di tali concetti potrebbe essere detto filosofia
trascendentale»: Kant, Critica della ragion pura, cit., p. 90 (A 11/B 25).
21 H.E. Allison, Causality and Casual Laws in Kant: a Critique of Michael Friedman,
in Kant and Contemporary Epistemology, cit., p. 291.
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Francesco Venturi
vuol dire ‘apoditticamente valido’, ‘valido in tutti i tempi’, ed in secondo
luogo significa ‘costituente il concetto di oggetto’»22. Preso per buono il
secondo significato di ‘a priori’, Friedman sostiene anche che si debbano
considerare i principi sintetici dell’intelletto come dei presupposti:
I principi costitutivi sono condizioni necessarie della possibilità di leggi
empiriche proprie. Ma questo non significa che siano condizioni necessarie nel
senso standard, dove A è una condizione necessaria di B semplicemente se B
implica A. Dire che A è una condizione costitutiva di B significa piuttosto che
A è una condizione necessaria, non semplicemente della verità di B, ma del
significato o del possesso di un valore di verità di B. Ciò significa, adesso in una
terminologia relativamente familiare, che A è un presupposto di B23.
Contrariamente a quanto sostenuto dall’altro tipo di interpretazione,
qui i principi hanno un collegamento diretto con le leggi scientifiche,
in modo che, alla sostituzione di una legge possa fare seguito la sostituzione di un principio più generale. Si aprono così due strade: la prima
è abbandonare definitivamente il principio, la seconda restringerne il
campo. Ad esempio, dopo l’avvento della fisica quantistica si è iniziato
a pensare che in alcuni casi il principio di causalità non fosse utilizzabile,
tuttavia in altri, per esempio nella scala dimensionale in cui agiamo quotidianamente, sembrava mantenere la sua efficacia. Lo stesso Friedman
è consapevole24 che prima di cambiare dei principi fondamentali si tenta
una riorganizzazione delle leggi a livello empirico25, ma ci sono casi in
cui si ha una reazione a catena che finisce per implicare pure le nozioni
più generali, che nel nostro caso sarebbero i principi sintetici a priori.
A differenza di Kant però, il quale cerca una continuità tra i due
tipi di principi, l’errore di fondo di questi suoi commentatori ,secondo
me, è quello di sottovalutare ora gli aspetti regolativi ora i collegamenti
con le discipline scientifiche e di evidenziare quei punti che rispecchiano maggiormente gli interessi personali. Ma gli autori di cui abbiamo
H. Reichenbach, Relatività e conoscenza a priori, Laterza, Roma-Bari 1984, p. 101.
M. Friedman, Dynamics of Reason, Csli Publications, Stanford 2001, p. 74.
24 Friedman analizza problemi di questo tipo, cercando di andare oltre la divisione
tra scienza normale e scienza rivoluzionaria proposta da Kuhn (cfr. Friedman, Dynamics
of Reason, cit., p. 44.)
25 Un esempio è dato da questa ricostruzione: «la legge di Snell asserisce l’esistenza
di una relazione tra l’angolo di incidenza e l’angolo di rifrazione quando un raggio di luce
viene deviato passando da un mezzo (l’aria) a un altro (per esempio, l’acqua). Fermat
(1601-1665) mostrò che la legge di Snell è una conseguenza della proposizione secondo
cui la luce segue la via più corta. Questa fu debitamente sussunta sotto leggi più generali
dell’ottica, che possono a loro volta essere derivate come conseguenza della meccanica
quantistica». (I. Hacking, Linguaggio e filosofia, Cortina, Milano 2004, p. 145).
22 23 Gli odierni commentatori di Kant alla prova di Leibniz
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parlato hanno commesso un altro errore, per noi ben più importante:
occupandosi soprattutto di quel che riguarda i principi sintetici a priori
di Kant, non hanno considerato che le loro interpretazioni sarebbero
potute andare a sbattere contro altre nozioni a priori, prima tra tutte il
tempo. Cosa accadrebbe se alcune considerazioni comunemente ritenute
corrette riguardo l’intuizione temporale ad un tratto non venissero più
ritenute tali? Le due correnti di pensiero forse estenderebbero le loro
considerazioni all’intuizione pura: ma sarebbe fattibile?
Ai regolaristi possiamo ricordare un ragionamento fatto in precedenza sul rapporto tra seconda analogia e tempo che può essere esteso a
tutti i rapporti tra facoltà kantiane. Si è detto che il principio causale non
può rimettere in gioco, vanificare o annullare i dati ricavati dall’intuizione
temporale, allo stesso modo la ragione non può interferire con quelli che
sono i compiti specifici della sensibilità, altrimenti ci troveremmo nella
sgradevole situazione in cui una facoltà, o un principio sintetico a priori
che opera ad un certo livello, può mettere in discussione una facoltà o
un principio dello stesso tipo, che opera ad un altro livello, addirittura
nei loro ambiti di competenza specifici.
Friedman, invece, sembra sottovalutare l’importanza del tempo nei
confronti del principio di causalità, anzi, in un certo qual modo esso viene addirittura subordinato alla seconda analogia. Il primo passo è stato
affermare che il tempo sarebbe il fondamento per la meccanica pura, e
non per la matematica, contrariamente a quanto si sente dire spesso, passo
che avrebbe consentito un legame molto stretto con le analogie dell’esperienza, le quali hanno, sempre secondo l’interprete costitutivista, la loro
esemplificazione nelle leggi del moto26. Il nucleo di questa interpretazione
risiede nell’analisi dei testi: come osserva giustamente Friedman, non c’è
un solo brano nella prima Critica in cui Kant dice del tempo e della matematica ciò che dice dello spazio e della geometria27. Eppure la strategia
di Friedman dimostra anche troppo perché può essere rigirata contro il
suo stesso autore: infatti non c’è nemmeno un periodo in cui si dice che
26 «Le leggi del moto non sono fatti empirici in base ai moti reali, ma condizioni a
priori della possibilità di tali moti – così come le analogie dell’esperienza, che considerano le leggi del moto come esemplificazioni o realizzazioni, non sono fatti di esperienza
oggettiva, ma condizioni a priori di tale esperienza» (Friedman, Kant and the Exact
Sciences, cit., p. 171).
27 Nell’Esposizione trascendentale del concetto di spazio viene affermato esplicitamente: «anche tutti i principi geometrici, ad esempio che in un triangolo la somma
dei due lati è maggiore del terzo, non sono mai derivati da concetti universali di linea
e di triangolo, ma dall’intuizione e, senz’altro, a priori con certezza apodittica»: Kant,
Critica della ragion pura, cit., p. 101 (A 25/B 39). E successivamente: «La geometria è
una scienza che determina le proprietà dello spazio sinteticamente, ma tuttavia a priori»,
ivi, p. 102 (B 40).
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Francesco Venturi
il tempo sia collegato alla meccanica28 come lo è spazio alla geometria!
L’intuizione temporale sembra avere sia un’evidenza maggiore rispetto
alle altre nozioni a priori, in quanto senso interno e fondamento per la
successione, sia una generalità maggiore in quanto base ‘logica’ per ogni
tipo di successione; evidenza e generalità che la esonerano dall’avere una
deduzione trascendentale simile a quelle dello spazio e delle analogie, le
quali erano in relazione diretta con singoli ambiti scientifici.
Sebbene divisi su tante cose, regolaristi e costitutivisti condividono un
terzo errore, ossia non aver riconosciuto il peso della sensibilità all’interno
del progetto critico. Sebbene sia da entrambi i gruppi molto analizzato
il rapporto tra ragione e intelletto (alimentato anche dalle diatribe tra
le due correnti di pensiero), il rapporto tra intelletto e sensibilità non è
stato analizzato altrettanto a fondo a causa del modo, credo, in cui venivano abitualmente considerate le due intuizioni a priori: da un lato, lo
spazio aveva creato molte difficoltà per i suoi rapporti con la geometria
euclidea, portando a considerare le parti dell’Estetica in cui si parlava di
ciò ormai compromesse dallo sviluppo delle nuove geometrie non euclidee; dall’altro, molte funzioni assegnate al tempo sono diventate poco a
poco di competenza di altre discipline (logica, psicologia...) ma alcune
sue importanti proprietà non sembravano essere messe in discussione
neanche dopo la teoria einsteiniana: sebbene dopo la fisica relativistica il
tempo sia stato addirittura considerato una quarta dimensione spaziale,
non ne veniva sminuita la sua funzione principale, essere la base per la
successione. Ancor meno è stato analizzato un ipotetico rapporto tra
sensibilità e ragione. Tuttavia queste obiezioni, che implicano un modo
particolare di intendere il rapporto tra tempo e causa, non sembrano
sconfessare del tutto le interpretazioni regolariste e costitutiviste, anzi,
magari con opportuni accorgimenti, gli interpreti kantiani potrebbero
anche controbattere.
Ben peggiore sarebbe la loro posizione se venisse messa in discussione l’intuizione temporale come fondamento della successione: come si
comporterebbero questi autori se prendessimo per buone le teorie sulla
28 Friedman cita soprattutto dei passi di altre opere, uno è dei Prolegomeni: «ma
soprattutto la meccanica pura può formare i suoi concetti di movimento solo per mezzo
delle rappresentazioni del tempo». I. Kant, Prolegomeni ad ogni futura metafisica che
potrà presentarsi come scienza, trad. it. di P. Carabellese, Editori Laterza, 1996, § 4, 283,
p. 67. Però, da un lato Friedman omette la frase precedente che collega il tempo alla
matematica («L’aritmetica anche riesce a costruire i suoi concetti di numero mediante
una successiva aggiunta delle unità nel tempo», ibidem) dall’altro il periodo citato in
precedenza non pone un rapporto esclusivo, come già detto, tra tempo e leggi del moto,
infatti non viene detto che le leggi si basano sull’intuizione temporale, ma che grazie ad
essa siamo in grado di formare dei concetti, come accade per tutti i fenomeni.
Gli odierni commentatori di Kant alla prova di Leibniz
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temporalità ipotizzate da Leibniz, cioè se a fondamento della successione
temporale ci fosse una successione di tipo causale? Probabilmente chi si
troverebbe più in difficoltà nell’adattare la loro strategia a tale evenienza
sarebbero i filosofi regolativi. Forse per loro è possibile che la ragione
svolga un ruolo anche sulla sensibilità, dopotutto, come amano ricordare,
«la ragione in questo caso non chiede l’elemosina ma impone, anche se
non determina, i limiti dell’unità»29 (nonostante colei a cui impone tali
limiti e di cui si sta parlando il quel periodo non sia un’altra facoltà del
soggetto conoscente ma la natura): Forse questi interpreti potrebbero
prospettare un uso regolativo delle intuizioni pure e, usando la ragione, si
potrebbe agire sulle intuizioni così come si è fatto per i principi sintetici
a priori. Ma utilizzare tali operazioni per l’intuizione temporale si rivela
problematico: non appare possibile adoperare dei principi metodologici
con e sulla sensibilità. Se sembra almeno plausibile riorganizzare i concetti del soggetto conoscente, suona ben strano che le nozioni a priori
che ci devono fornire il materiale empirico abbiano solo una funzione
regolativa su un materiale che, è bene ricordare, per sua stessa definizione
è un molteplice che ha solo la forma del tempo (e dello spazio), ma che,
a differenza dei principi e delle leggi fisiche, noi non dobbiamo andare
a ricercare, avendolo già qui, percepito.
Le cose non sembrano andare molto meglio per i costitutivisti,
sebbene ci fossero dei punti di partenza che ci facevano ben sperare:
per un autore come Friedman rimane centrale il ruolo del principio di
causalità come costitutivo per la nostra esperienza ed aveva già proposto
la sostituzione di alcune ipotesi kantiane per renderle compatibili con gli
sviluppi della fisica einsteiniana. Ma se la teoria della relatività ha messo
in discussione Kant credo che una successione di tipo causale potrebbe
mettere in discussione le interpretazioni di Friedman su Kant, o per
lo meno ‘disinnescarle’. Lo spazio non è più vincolato alla geometria
euclidea; la causalità rimarrebbe sì centrale, ma lo farebbe in una maniera molto diversa da quella ipotizzata dall’interpretazione costitutiva
dopo che, inoltre, è venuto a mancare il legame molto stretto tra le tre
analogie dell’esperienza e le tre leggi newtoniane del moto; ora anche
le funzioni dell’intuizione temporale vengono sostituite dalla causa,
passo che potrebbe anche essere teoricamente possibile se estendiamo
il carattere non apoditticamente valido dei principi sintetici a priori
costitutivi alle intuizioni pure; ma che ne rimarrebbe allora della teoria
kantiana se cinque nozioni base (le due forme a priori della sensibilità e
le tre analogie dell’esperienza), e, di conseguenza, due facoltà venissero
del tutto rielaborate?
29 I. Kant, Critica della ragion pura, cit., p. 514 (A 653/B 681).
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Francesco Venturi
La carenza di fondo di entrambe le correnti sembra essere lo stessa di
Kant: affidarsi solo all’evidenza dell’intuizione temporale non valutando
la possibilità di ipotesi alternative. Ma i commentatori odierni hanno una
colpa ancor maggiore perché nel periodo trascorso dalla pubblicazione
degli scritti kantiani, alcuni, e non solo leibniziani, avevano ipotizzato
una sorta di successione causale30 e altri, come Heidegger31, avevano
sottolineato la centralità del tempo nel pensiero critico.
Supponiamo per un attimo che la successione causale trovi delle
conferme a livello empirico o addirittura scientifico, cosa resterebbe della
nozione temporale di Kant o cosa potrebbero salvare i suoi commentatori?
Una soluzione sarebbe quella di ritenere la successione temporale una
condizione epistemologica del soggetto conoscente, ma in un modo molto
relativo: nella vita di tutti i giorni, in cui operano soggetti conoscenti simili
a noi, i moti degli oggetti e la successione degli eventi ci danno l’idea che
qualcosa passi, che un’entità scorra, e per semplicità chiamiamo questo
qualcosa tempo. Magari sia i regolaristi sia i costitutivisti potranno trovare
delle risposte ancor più soddisfacenti, ma c’è bisogno di argomenti totalmente nuovi che salvino alla radice il pensiero critico perché, non avendo
un’alternativa al modo di considerare la successione, ciò incrinerebbe,
e parecchio, la validità dell’intuizione temporale di Kant che egli voleva
non solo a priori, ma anche apodittica.
Ma il quadro può essere addirittura peggiore perché la prospettiva
di Kant incarnava bene quelli che sono gli attributi che comunemente
vengono assegnati al tempo e allora a rischio non c’è solo la concezione
critica, ma parte della concezione comune del tempo. Per i sostenitori
del tempo come entità è necessario mettere al sicuro una buona parte
delle caratteristiche che Kant gli assegnava, in particolare l’essere base
per qualche tipo di successione, altrimenti potrebbe essere considerato
un concetto superfluo. Per quel che ci riguarda il nostro intento non era
quello di infierire sulla nozione di tempo in Kant, quanto portare alla
luce certi meccanismi che lui e i suoi commentatori ritenevano sicuri e
acclarati, mostrando come alla radice di alcuni dei maggiori problemi
epistemologici che affliggono la filosofia critica (il modo di intendere il
principio di causalità e di conseguenza la risposta da dare a Hume, la
validità epistemologica della nostra conoscenza e così via) ci possano essere alcune valutazioni non approfondite sul modo di intendere il tempo.
30 Si può vedere, a questo proposito, J. E. McTaggart, La natura dell’esistenza,
trad. it., Pitagora, Bologna 1999, in cui viene proposta una successione simile a quella
leibniziana. Infatti molto spesso i cambiamenti causali che ci danno il senso del passaggio
temporale vengono chiamati «cambiamenti mctaggartiani».
31 A questo proposito, M. Heidegger, Kant e il problema della metafisica, trad. it.
di M.E. Reina, Editori Laterza, Roma-Bari 2006.
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