Lo Spettatore - Versione stampabile Pagina 1 di 2 Lo Spettatore Copyright ©2005 del Lunedì, 15 Maggio, 2006 Brecht al tempo delle staminali di Nicola Zuccherini Sabato, 13 Maggio, 2006 I nostri conti con un grande autore teatrale, a margine della "Vita di Galileo" all'Arena del Sole. Con utili consigli per ristrutturazioni brechtiane a venire A cinquant'anni dalla sua morte, i conti con Bertolt Brecht non sono ancora chiusi. E' tempo di un nuovo, inderogabile bilancio brechtiano. E sarà - se per una volta si avrà il coraggio di portarlo fino in fondo - un esame costoso e necessario. Costoso, perché su un certo Brecht - come su altri idola intellettuali - riposa ancora una parte della nostra falsa coscienza, vale a dire quell'insieme di atteggiamenti che permettono di stare sempre dalla parte giusta e pazienza se il mondo non dà retta e prende un'altra strada. Necessario per gli stessi motivi, ma soprattutto perché ora che l'ideologia brechtiana comincia a sembrarci irrimediabilmente, davvero invecchiata e fuori tempo, di Brecht rischiamo di perdere tutto. Il tema è da qualche anno nella mente del nostro teatro, pensiamo ad esempio a I pescecani Quel che resta di Bertolt Brecht, fortunatissimo spettacolo di Armando Punzo con i detenuti attori della Compagnia della Fortezza di un paio d'anni or sono, che metteva in scena un'Opera da tre soldi fatta a brandelli, ridotta a un incubo, buttata sull'attualità con meritevole spregiudicatezza. Di Brecht, a sentire Punzo, "restava" quasi tutto (anche se poi lo spettacolo volterrano ne presentava una lettura tutt'altro che scontata). Nelle scorse settimane una sorprendente Vita di Galileo all'Arena del Sole ha offerto - chissà quanto intenzionalmente - il più seducente invito a riaprire il dossier Brecht. Il regista Nanni Garella ha inscenato l'opera con interpreti "canonici", professionisti (Virginio Gazzolo a fare Galileo) e attori che potremmo definire "professionalizzati": i membri della compagnia Arte e Salute, pazienti psichiatrici che un percorso formativo di vari anni ha trasformanto in una compagine teatrale scalognata ma insolita e a suo modo convincente. Lo spettacolo merita un commento per la sua efficacia scenica e per la commozione e l'attenta partecipazione che ha provocato del pubblico bolognese. Come già in passato lavorando con questa compagine (su Pirandello e Pinter negli ultimi anni), il regista Garella ha azzeccato in pieno l'allestimento. Ha sfruttato la forma circolare della sala Interaction dell'Arena, completando il semicerchio della platea con un altro mezzo giro di sedie e formando così un circolo centrale in cui si svolge l'azione, mentre gli attori attendono il loro turno seduti intorno, nei posti di prima fila, restando sempre in vista. La soluzione mette il dramma tra virgolette, per così dire, trasforma il testo in citazione, la sua recita in compimento rituale: "questo è teatro", sembrano dirci i protagonisti, o forse "questo è il teatro". Una distribuzione accortissima mette in risalto le qualità degli attori targati Arte e Salute, li dota di una paradossale, innegabile "credibilità": cardinali e artigiani, donne di casa e nobili sono autentici nell'aspetto, nelle mosse, nel parlare. La fatica di questi attori, lo stesso impaccio con cui dicono le loro battute sono un'aggiunta di realtà, di quotidiana verità. Il rapporto tra Gazzolo e i comprimari finisce per somigliare a quello tra il suo personaggio e i suoi seguaci. Affiora con la giusta chiarezza l'attenzione impegnata da Brecht sulla dimensione familiare, domestica, della vicenda di Galileo; un pezzo di verità è lì, infatti, nella dedizione di Galilei alle sue passioni, ai piaceri, al proprio benessere. C'è da augurarsi che la vita di questo spettacolo non finisca con la serie di rappresentazioni conclusa qualche giorno fa a Bologna, ma continui di fronte a altri pubblici. Brecht oggi, dunque. Bisogna innanzi tutto mettere in conto rischi il fatto che Brecht possa ormai diventare l'autore delle pratiche teatrali alternative, il poeta delle scene dell'emarginazione. Di recente, questo inedito “uso sociale” è stato applicato anche ai giovani, intesi come categoria sociologica: è stata quest'ultima la scelta del Teatro Due Mondi per Santa Giovanna dei Macelli, messa in scena (regia di Alberto Grilli) con modi e toni adatti in particolare a un pubblico di adolescenti, anche http://www.lospettatore.it/print_article.asp?aid=569&iid=54&sud=35 15/05/2006 Lo Spettatore - Versione stampabile Pagina 2 di 2 nell'intenzione di suscitare riflessioni e dibattiti. Il successo riscosso dal Teatro Due Mondi riguardo questa intenzione premia uno spettacolo assai efficace e ben costruito, che, senza banalizzare, riduce a misura di spettatore inesperto talune acquisizioni sceniche del "nuovo teatro". Però. Anche se c’è ormai da aspettarsi che qualche entusiasta scopra questa "nuova vita" di Brecht e arruoli l'inventore del Lehrstücke (il "Il dramma didattico istruisce in quanto lo si recita, non in quanto lo si vede") nelle battaglie a favore dei moderni oppressi e emarginati. Auguriamoci che il suo destino non sia tutto lì. Sarebbe una fine ben triste, in secca tra i teatri con giustificazione sociale, per uno scrittore di drammi così grande e così poco disposto all'umanitarismo. Il problema resta: cosa fare dell'imponente edificio tratralpolitico di Brecht? La tentazione di dire "teniamo il teatro di Brecht e buttiamo a mare la sua ideologia" è forte, ma sarebbe una sofisticheria devastante, perché il suo teatro e la sua riflessione politica sono pressoché inscindibili. È proprio per questo che oggi quell'edificio somiglia sempre più a uno di quei grandi impianti industriali dismessi che si arredano le nostre periferie. Qualcosa di affascinante, ma divenuto inservibile perché non esiste più il suo scopo. Il suo destino sarà analogo a quello di tali complessi? Per un periodo più o meno lungo restano lì, ingombrante testimonianza di un passato glorioso e irrecuperabile; poi arrivano gli "architetti" della ristrutturazione. L'impressione è che, se le vecchie fabbriche diventano loft, musei d'arte, centri sociali, palaghiaccio, auditorium, pure Brecht abbia cominciato a diventare qualcosa del genere. Un autore sociale o un puro tecnico drammaturgico, un monumento, un museo o chissà cos'altro. I Brecht di cui abbiamo parlato (Punzo, Garella, Due Mondi) hanno in comune il fatto di essere spettacoli che non si limitano a "impaginare", ma interpretano, illuminano il testo con le loro intenzioni (merito che deve riconoscere anche chi quelle intenzioni non le condivide). Ma la verità è che forse nelle pieghe di queste tre interpretazioni si nascondono i primi e ancora pregevoli esempi di "ristrutturazione". E forse tracciano anche le linee su cui si innesteranno le riletture a venire: Punzo inaugura il versante "pasoliniano", anarchico, attualizzato e estetizzante del Brecht futuro; Grilli e i Due Mondi operano un "restauro", sia pure in chiave didattica, espositiva, della destinazione rivoluzionaria della drammaturgia brechtiana; Garella, con i suoi di Arte e Salute, provvede a riportare al centro della scena l'uomo Brecht e i suoi conflitti. Anche in questo lo spettacolo dell'Arena del Sole ci ha fatto l’impressione di essere quello che mette sulla strada giusta: ci induce infatti a pensare al Brecht più "difficile" e lacerato e meno rassicurante. Al Brecht poeta e non al Brecht sistema. Un pensiero da coltivare, poi, con l'orecchio attento alla "malinconia" intuita e poi mostrata sulla scena da Federico Tiezzi, autore dell'altro importante Brecht italiano di questi anni, un'Antigone. E agli stessi temi biografici del Galilei, all'autoprofezia contenuta in un testo su cui l'autore lavorò per tutta la vita, costruendo per tempo l'affinità finale con il personaggio, che sarebbe diventato l'emblema della sua ultima vita, quella del Berliner Ensemble e dell'ambiguo rapporto con l'autorità della Repubblica Democratica Tedesca. Quasi un flirt (anche per la sottolineata comune adesione agli aspetti carnali della vita da parte di autore e personaggio) diventato una tragica realtà. Come è noto, Vita di Galileo è anche l'ultima regia che Brecht intraprese poco prima di morire, ormai ostaggio o forse orpello del nascente socialismo reale. Un pensiero da coltivare, quello del Brecht difficile e irrisolto, soprattutto perché nella rappresentazione "come tali" dei nodi insoluti e delle contraddizioni sta il grande talento e la vera lezione “politica” del poeta Brecht, che, da comunista, rappresentava soprattutto i personaggi irriducibili allo schema ideologico, svolgeva il dramma nei casi contrari alla tesi (si pensi anche a come, in Galilei, la scena del carnevale illustri gli effetti "sociali" delle nuove idee non mostrando conversioni, ma adombrando la satira popolare nei confronti dello scienziato). Ammainate le bandiere rosse, conviene ripartire da qui. http://www.lospettatore.it/print_article.asp?aid=569&iid=54&sud=35 15/05/2006