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Brecht al tempo delle staminali
di Nicola Zuccherini
Sabato, 13 Maggio, 2006
I nostri conti con un grande autore teatrale, a margine della "Vita di Galileo"
all'Arena del Sole. Con utili consigli per ristrutturazioni brechtiane a venire
A cinquant'anni dalla sua morte, i conti con Bertolt Brecht non sono
ancora chiusi. E' tempo di un nuovo, inderogabile bilancio brechtiano. E
sarà - se per una volta si avrà il coraggio di portarlo fino in fondo - un
esame costoso e necessario. Costoso, perché su un certo Brecht - come
su altri idola intellettuali - riposa ancora una parte della nostra falsa
coscienza, vale a dire quell'insieme di atteggiamenti che permettono di
stare sempre dalla parte giusta e pazienza se il mondo non dà retta e
prende un'altra strada. Necessario per gli stessi motivi, ma soprattutto
perché ora che l'ideologia brechtiana comincia a sembrarci irrimediabilmente, davvero
invecchiata e fuori tempo, di Brecht rischiamo di perdere tutto.
Il tema è da qualche anno nella mente del nostro teatro, pensiamo ad esempio a I pescecani Quel che resta di Bertolt Brecht, fortunatissimo spettacolo di Armando Punzo con i detenuti
attori della Compagnia della Fortezza di un paio d'anni or sono, che metteva in scena un'Opera
da tre soldi fatta a brandelli, ridotta a un incubo, buttata sull'attualità con meritevole
spregiudicatezza. Di Brecht, a sentire Punzo, "restava" quasi tutto (anche se poi lo spettacolo
volterrano ne presentava una lettura tutt'altro che scontata). Nelle scorse settimane una
sorprendente Vita di Galileo all'Arena del Sole ha offerto - chissà quanto intenzionalmente - il
più seducente invito a riaprire il dossier Brecht. Il regista Nanni Garella ha inscenato l'opera
con interpreti "canonici", professionisti (Virginio Gazzolo a fare Galileo) e attori che potremmo
definire "professionalizzati": i membri della compagnia Arte e Salute, pazienti psichiatrici che
un percorso formativo di vari anni ha trasformanto in una compagine teatrale scalognata ma
insolita e a suo modo convincente.
Lo spettacolo merita un commento per la sua efficacia scenica e per la
commozione e l'attenta partecipazione che ha provocato del pubblico
bolognese. Come già in passato lavorando con questa compagine (su
Pirandello e Pinter negli ultimi anni), il regista Garella ha azzeccato in
pieno l'allestimento. Ha sfruttato la forma circolare della sala Interaction
dell'Arena, completando il semicerchio della platea con un altro mezzo
giro di sedie e formando così un circolo centrale in cui si svolge l'azione, mentre gli attori
attendono il loro turno seduti intorno, nei posti di prima fila, restando sempre in vista. La
soluzione mette il dramma tra virgolette, per così dire, trasforma il testo in citazione, la sua
recita in compimento rituale: "questo è teatro", sembrano dirci i protagonisti, o forse "questo
è il teatro". Una distribuzione accortissima mette in risalto le qualità degli attori targati Arte e
Salute, li dota di una paradossale, innegabile "credibilità": cardinali e artigiani, donne di casa e
nobili sono autentici nell'aspetto, nelle mosse, nel parlare. La fatica di questi attori, lo stesso
impaccio con cui dicono le loro battute sono un'aggiunta di realtà, di quotidiana verità. Il
rapporto tra Gazzolo e i comprimari finisce per somigliare a quello tra il suo personaggio e i
suoi seguaci. Affiora con la giusta chiarezza l'attenzione impegnata da Brecht sulla dimensione
familiare, domestica, della vicenda di Galileo; un pezzo di verità è lì, infatti, nella dedizione di
Galilei alle sue passioni, ai piaceri, al proprio benessere. C'è da augurarsi che la vita di questo
spettacolo non finisca con la serie di rappresentazioni conclusa qualche giorno fa a Bologna,
ma continui di fronte a altri pubblici.
Brecht oggi, dunque. Bisogna innanzi tutto mettere in conto rischi il fatto
che Brecht possa ormai diventare l'autore delle pratiche teatrali
alternative, il poeta delle scene dell'emarginazione. Di recente, questo
inedito “uso sociale” è stato applicato anche ai giovani, intesi come
categoria sociologica: è stata quest'ultima la scelta del Teatro Due Mondi
per Santa Giovanna dei Macelli, messa in scena (regia di Alberto Grilli) con
modi e toni adatti in particolare a un pubblico di adolescenti, anche
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15/05/2006
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nell'intenzione di suscitare riflessioni e dibattiti. Il successo riscosso dal
Teatro Due Mondi riguardo questa intenzione premia uno spettacolo assai efficace e ben
costruito, che, senza banalizzare, riduce a misura di spettatore inesperto talune acquisizioni
sceniche del "nuovo teatro". Però. Anche se c’è ormai da aspettarsi che qualche entusiasta
scopra questa "nuova vita" di Brecht e arruoli l'inventore del Lehrstücke (il "Il dramma
didattico istruisce in quanto lo si recita, non in quanto lo si vede") nelle battaglie a favore dei
moderni oppressi e emarginati. Auguriamoci che il suo destino non sia tutto lì. Sarebbe una
fine ben triste, in secca tra i teatri con giustificazione sociale, per uno scrittore di drammi così
grande e così poco disposto all'umanitarismo.
Il problema resta: cosa fare dell'imponente edificio tratralpolitico di Brecht? La tentazione di
dire "teniamo il teatro di Brecht e buttiamo a mare la sua ideologia" è forte, ma sarebbe una
sofisticheria devastante, perché il suo teatro e la sua riflessione politica sono pressoché
inscindibili. È proprio per questo che oggi quell'edificio somiglia sempre più a uno di quei
grandi impianti industriali dismessi che si arredano le nostre periferie. Qualcosa di
affascinante, ma divenuto inservibile perché non esiste più il suo scopo. Il suo destino sarà
analogo a quello di tali complessi? Per un periodo più o meno lungo restano lì, ingombrante
testimonianza di un passato glorioso e irrecuperabile; poi arrivano gli "architetti" della
ristrutturazione. L'impressione è che, se le vecchie fabbriche diventano loft, musei d'arte,
centri sociali, palaghiaccio, auditorium, pure Brecht abbia cominciato a diventare qualcosa del
genere. Un autore sociale o un puro tecnico drammaturgico, un monumento, un museo o
chissà cos'altro.
I Brecht di cui abbiamo parlato (Punzo, Garella, Due Mondi) hanno in comune il fatto di essere
spettacoli che non si limitano a "impaginare", ma interpretano, illuminano il testo con le loro
intenzioni (merito che deve riconoscere anche chi quelle intenzioni non le condivide). Ma la
verità è che forse nelle pieghe di queste tre interpretazioni si nascondono i primi e ancora
pregevoli esempi di "ristrutturazione". E forse tracciano anche le linee su cui si innesteranno le
riletture a venire: Punzo inaugura il versante "pasoliniano", anarchico, attualizzato e
estetizzante del Brecht futuro; Grilli e i Due Mondi operano un "restauro", sia pure in chiave
didattica, espositiva, della destinazione rivoluzionaria della drammaturgia brechtiana; Garella,
con i suoi di Arte e Salute, provvede a riportare al centro della scena l'uomo Brecht e i suoi
conflitti. Anche in questo lo spettacolo dell'Arena del Sole ci ha fatto l’impressione di essere
quello che mette sulla strada giusta: ci induce infatti a pensare al Brecht più "difficile" e
lacerato e meno rassicurante. Al Brecht poeta e non al Brecht sistema.
Un pensiero da coltivare, poi, con l'orecchio attento alla "malinconia" intuita e poi mostrata
sulla scena da Federico Tiezzi, autore dell'altro importante Brecht italiano di questi anni,
un'Antigone. E agli stessi temi biografici del Galilei, all'autoprofezia contenuta in un testo su
cui l'autore lavorò per tutta la vita, costruendo per tempo l'affinità finale con il personaggio,
che sarebbe diventato l'emblema della sua ultima vita, quella del Berliner Ensemble e
dell'ambiguo rapporto con l'autorità della Repubblica Democratica Tedesca. Quasi un flirt
(anche per la sottolineata comune adesione agli aspetti carnali della vita da parte di autore e
personaggio) diventato una tragica realtà. Come è noto, Vita di Galileo è anche l'ultima regia
che Brecht intraprese poco prima di morire, ormai ostaggio o forse orpello del nascente
socialismo reale. Un pensiero da coltivare, quello del Brecht difficile e irrisolto, soprattutto
perché nella rappresentazione "come tali" dei nodi insoluti e delle contraddizioni sta il grande
talento e la vera lezione “politica” del poeta Brecht, che, da comunista, rappresentava
soprattutto i personaggi irriducibili allo schema ideologico, svolgeva il dramma nei casi
contrari alla tesi (si pensi anche a come, in Galilei, la scena del carnevale illustri gli effetti
"sociali" delle nuove idee non mostrando conversioni, ma adombrando la satira popolare nei
confronti dello scienziato). Ammainate le bandiere rosse, conviene ripartire da qui.
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