Plotino e il suo tempo Mappa dell`Unità Ma su questo ritorneremo

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Plotino e il suo tempo
Mappa dell'Unità
Ma su questo ritorneremo nel corso di altre conversazioni. Adesso è giusto chiudere la serata con l’ultimo grande
filosofo classico: Plotino. Figura particolare, senza paragoni nella storia. Un crocevia intricato e multietnico, con vie che
provenivano da passati diversi, da luoghi diversi, e che come un estuario si sono ramificate verso il grande oceano della
spiritualità occidentale. Badate bene, non intendo qui per spiritualità qualcosa di religioso, anzi; qui intendo l’essenza più
in-attuale e astratta del pensiero umano in quanto tale, la sua massima e sublimemente inutile possibilità.
Ho parlato di un molteplice passato storico ed etnico. Ed in effetti Plotino, nato probabilmente in Egitto, studiò ad
Alessandria, la capitale culturale dell’ellenismo. Conobbe il pensiero ebraico e il cristianesimo delle origini, ma
soprattutto la filosofia greca, nelle diverse ramificazioni che il platonismo aveva assunto nella sua diffusione orientale.
Naturalmente lesse le opere di Aristotele, almeno quelle giunte fino alla biblioteca di Alessandria. Tutto questo egli lo
rinchiuse nel tipico orizzonte alessandrino di una cultura intrisa di misticismo intellettuale. Poi giunse a Roma, dove
Gordiano III stava preparando una spedizione militare contro i Parti, nella lontana Persia. Quale occasione migliore per
un filosofo per ripercorrere le strade che avevano portato Pirrone alla scoperta del cuore spirituale più antico
dell’umanità, quello induista? Si aggregò quindi all’imperatore, pagandone un caro prezzo, poiché per un niente egli
rischiò di rimanere vittima ignota e dimenticata del disastro che causò la disfatta dell’esercito, lo stesso che, attraverso i
suoi pochi superstiti, portò in Occidente la più grave epidemia di peste fino ad allora mai vista.
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Rilievo a Bishapur: Gordiano è calpestato dal cavallo del re sasanide
Un’epidemia che avrebbe causato il tracollo demografico ed economico dell’Occidente. Malgrado tutto, Plotino ricavò da
quel viaggio idee e ispirazioni fondamentali per il suo insegnamento. Aprì infatti una scuola a Roma, diventando
successivamente il filosofo di palazzo dell’imperatore Gallieno. In breve, la figura di quello che la storia ricorda come il
massimo esponente del Neoplatonismo fu un vero ricettacolo di conoscenze, che spaziavano su tutto quello che
l’Occidente e l’Oriente del III secolo rappresentavano sotto il profilo filosofico. E nel cuore di una simile dottrina troviamo
ciò con cui, per forza di cose, un intellettuale di quel tempo non poteva non misurarsi: il problema del bene. Che ancora,
e non per l’ultima volta, era il problema della felicità.
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Occorre subito dire, per essere chiari, che Plotino, per le caratteristiche che ho fin qui sintetizzato, non fu un innovatore;
non fu cioè, pur nella sua grandezza, un personaggio paragonabile a un Platone o a un Aristotele. Avvenne nel suo
pensiero quello che stava avvenendo, a un livello più complessivo e maestoso, nell’intera cultura ellenista: un
rimescolamento di tutte le carte lasciate in eredità dai secoli della classicità, rimescolamento dovuto all’incontro tra
pensiero greco e pensiero orientale. Un rimescolamento paragonabile al lavoro di chi costruisce un nuovo edificio
utilizzando i pezzi di edifici più vecchi. Nel “castello in aria” di Plotino si riconosce infatti la facciata in stile platonico, le
colonne alzate con metodo aristotelico, innumerevoli stanze arredate con reminiscenze di carattere pitagorico o stoico;
ma nelle cantine si nascondono le controversie con gli gnostici e le infinite sette religiose dell’epoca, mentre il tetto ha
tutte le caratteristiche della più pura speculazione buddistica. E l’idea del bene porta in sé, nel sistema plotiniano, la
sintesi armonica di tutti questi elementi. Essa è quel principio di unità che salva le Enneadi dall’essere opera di pura
erudizione, che fa respirare un’aria di coerente preannuncio di quello che sarebbe diventato il paradiso metafisico
cristiano-occidentale.
Il Bene dunque. Per comprendere la posizione di Plotino è necessario tornare a quanto dissi parlando di Platone.
Apparentemente, infatti, Plotino non aggiunge quasi nulla alla concezione del suo grande predecessore. A fronte della
molteplicità delle Idee, il Bene è Uno, l’ente supremo che illumina l’essere come il sole illumina la Terra. Il Bene è quindi
luce, e perciò causa della conoscenza della verità. Ma Platone si era fermato qui, in quello che è poco più che un
accenno non sistematico del problema. Luce e Uno diventano invece, con Plotino, un tutto originario, una coppia
concettuale di sinonimi che si integrano e arricchiscono a vicenda: non ci vuole altro per definire la concezione
neoplatonica del filosofo egiziano. Una concezione visionaria e fortemente intellettualistica, appunto, agli antipodi di
quella filosofia “pratica” che aveva segnato il pensiero dell’età alessandrina; una teoria tra l’altro del tutto anomala nella
“grammatica” della metafisica classica, poiché pone l’essere, il principio supremo di ogni cosa, al di sotto del Bene, del
quale non si può dire né sapere nulla, se non ciò che esso non è. Il Bene diviene causa dell’essere stesso, che è una
semplice emanazione del’Uno, come l’Intelligenza e l’Anima del mondo, emanazioni inferiori. La lingua dei filosofi
diventa, con Plotino, insufficiente al bisogno della conoscenza. Il Bene non si può dire perché ogni definizione è una
demarcazione, la fissazione di un limite, e il Bene non può avere limiti; ecco allora il ricorso alla metafora, che è il codice
poetico per eccellenza. Il linguaggio filosofico si sposa col linguaggio poetico, quasi che la poesia nella sua espressione
più alta consenta l’unica apparizione possibile della verità.
In una concezione di questo genere, parlare di felicità ha senso solo se capovolgiamo l’impostazione aristotelica della
eudaimonia, cioè di una condizione riducibile al “vivere bene”. Quale vita infatti può rapportarsi a un Principio, che è
anche Fine, così irriducibile a ogni dimensione umana? Ma qual è la dimensione umana? Il maggior discepolo di Plotino,
Porfirio, ha scritto di lui che «sembrava si vergognasse di essere in un corpo». E in effetti quale garanzia di felicità
poteva offrire un’epoca come quella? Tuttavia felicità e bene non possono, dopo secoli di speculazione instancabile,
venire improvvisamente scissi in due entità estranee tra loro; il passo sarebbe stato troppo lungo anche per Plotino. A
subire la torsione più violenta non fu dunque l’idea del Bene, assimilata con grande cura dal Filebo platonico, ma quella
di felicità. Il compimento del bene si fa identità con l’assoluto, e la condizione umana più vicina all’assoluto è quella
dell’anima. Ma non tutta l’anima, bensì la parte di essa più slegata dal corpo, più indipendente da ogni passione e
appetito carnale: l’intelligenza, che come abbiamo visto è anche l’immediata emanazione dell’Uno. Il legame tra mondo
della vita e mondo della perfezione è la vita contemplativa dell’intelligenza, che rappresenta il culmine di ogni desiderio
di autentica felicità.
Ma contemplazione è un termine transitivo: esso richiede cioè un oggetto. A un ideale di felicità così esclusivo e
totalizzante cosa può corrispondere sul piano attivo della contemplazione? Che cosa può offrirsi allo sguardo dell’anima
come oggetto degno dell’assoluto a cui essa tende? Ovviamente l’anima stessa, scintilla di luce staccatasi dalla
sorgente del Bene. Alla natura totalizzante del Bene corrisponde l’adesione totalizzante di sé a sé; non c’è altro oggetto
di desiderio e d’amore possibile per l’uomo che la propria interiorità. Autocontemplazione estatica, fuga da un’esteriorità
che è anche moltiplicazione mondana degli io, dispersione esistenziale dietro le innumerevoli sirene dell’alienazione,
della perdita di sé. Non è ancora il salto mistico verso la trascendenza, anzi: qui abbiamo il puro concentrato
dell’immanenza, cioè della perfetta adesione di immagine tra interiorità e verità assoluta. Con Plotino si apre un
processo implosivo che porterà l’intera metafisica a “collassare” nella dimensione dell’interiorità, anzi: a oscillare
indecisa tra gli scogli tremendi della trascendenza e dell’immanenza, dell’oggetto assoluto e dell’io assoluto, per lunghi
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secoli a venire.
Questa sofisticatezza aliena da ogni forma di concretezza mondana ha però in sé una forza di cui la fantasia umana ha
bisogno. È vano tentare di criticare Plotino dal punto di vista della efficacia del suo pensiero, perché esso fu altrettanto
penetrante di quello aristotelico e platonico. E là dove meno ce lo potremmo aspettare. A parte la considerazione del
fatto che il nostro filosofo ebbe un notevole seguito nel suo tempo, e affascinò generazioni di intellettuali, non è
esagerato dire che le più grandi espressioni artistiche del tardo medioevo non sarebbero esistite senza la sua metafisica
della luce. E penso alle cattedrali gotiche, le cui vetrate sono la “porta” attraverso cui la presenza di Dio si manifesta al
credente; penso allo splendore illuminato dei mosaici ravennati e alla loro ineffabile stilizzazione visionaria; ma
soprattutto penso all’irruente fiume di luce che erompe dai versi del Paradiso dantesco, una rappresentazione
pressoché perfetta della mistica intuizione neoplatonica dell’Assoluto.
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Mausoleo di Galla Placidia a Ravenna - Gustave Doré, Paradiso, canto XXXI, incisione
Ogni pensiero ha il suo destino. Ed è sempre un destino non pensato alla sua origine, di cui la fonte non presagiva il
corso. Platone e Aristotele hanno tessuto l’ossatura della teologia cristiana, e Plotino ne ha rivestito l’immaginazione. La
via verso il Bene indicata da Plotino, una via che noi oggi conosciamo nella sua versione buddistica, lo spogliarsi
progressivo dell’anima di ogni habitus che ne determini l’individualità, il suo innalzamento come naufragio mistico
nell’Assoluto, pur avendo avuto una sua storia, tutt’altro che marginale, appartiene a una dimensione oggi dimenticata
dalla filosofia. Ma gli esiti espressivi del suo pensiero sono stati la fonte inesauribile di una stagione culturale che non ha
eguali nella storia, quella che copre il periodo che va dall’architettura gotica alla grande pittura del Rinascimento. Non
c’è dubbio: senza le Enneadi la vita culturale dell’Occidente europeo, da Notre Dame a Dante, da Botticelli al
Parmigianino, non sarebbe stata quella che fu.
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In questa unità
Testo: Storia delle idee
Autore: Maurizio Châtel
Curatore: Maurizio Châtel
Metaredazione: Erica Pellizzoni
Editore: BBN
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