VIII Ludwig Feuerbach (1804-1872) Max Stirner [Johann Kaspar

VIII
GLI ESITI DELLA SINISTRA HEGELIANA
LUDWIG FEUERBACH, MAX STIRNER, KARL MARX
Ludwig Feuerbach (1804-1872)
- Das Wesen des Christentums [L’essenza del Cristianesimo] (1841)
Feuerbach mantiene il principio idealistico di Hegel che il contenuto della coscienza umana è la totalità dell’essere.
Se per l’idealismo assoluto di Hegel il pensiero è in equazione con la totalità dell’essere e questa è la crescita dello
spirito assoluto che si sviluppa nella storia, per Feuerbach il pensiero è ancora in equazione con la totalità dell’essere,
quindi è infinito, e questa è coscienza dell’infinità di coscienza, ma – ecco il superamento di Hegel che Feuerbach
attribuisce come un merito ai positivisti – è l’uomo effettivo, sensibile, finito ad essere l’infinito.
Ciò vuol dire che dobbiamo uscire dalla prospettiva teologica.
Per Feuerbach ragione, volontà, sentimento sono le forze supreme che costituiscono l’essenza dell’uomo.
La sensibilità è “l’unità vera esistente del materiale e del spirituale”; “solo una essenza, quella dell’uomo che si
svolge e si dispiega nel tempo (storia), è un’essenza assoluta (immanente, potenzialità infinita), cioè vera e reale”, con il
suo divenire.
Ecco che già in Feuerbach c’è l’affermazione dell’equazione tra essere e divenire, non ancora della totalità, forse,
ma dell’autenticità dell’essere. L’essenza è più autentica, più vera e più piena quanto più è in coincidenza con il
divenire.
In questa identificazione di finito e infinito, è l’idea di proiezione che si rivela determinante, e sta tutta in questa
sentenza: “Il segreto della teologia è l’antropologia”, cioè “i misteri speculativi della religione non sono altro che
verità empiriche.” Così, ad es., per quanto riguarda la Trinità: l’uomo si sperimenta come soggetto in vita comunitaria e
sociale e in questa condizione di relazione comunitaria e sociale proietta i legami che sono di padre, di figlio.
Feuerbach analizza la struttura della religione nella sua opera L’essenza del cristianesimo, del 1841.
La religione è alienazione, perché il divenire è altro dall’uomo: è il patrimonio personale di coscienza che si
proietta e genera una cosa altra, e con questo egli si espropria da sé, perché guarda a questi contenuti come aventi una
consistenza reale e non più a sé come “la consistenza” reale di queste realtà proiettate al di fuori.
Quindi la religione pone fuori dell’uomo ciò che invece gli è sostanziale, e il Cristianesimo, da questo punto di vista
(cioè se riscoperto come latore di una certa verità sull’essere umano) è una grande risorsa per la conoscenza dell’uomo
e delle sue strutture di pensiero, ma nient’altro.
Vi è perciò un vero e proprio ateismo etico di Feuerbach, pur se valorizza il Cristianesimo come cultura, anzi,
proprio nel momento in cui e come lo valorizza.
Max Stirner [Johann Kaspar Schmidt] (1806-1856)
- Der Einzige und sein Eigentum [L’unico e la sua proprietà] (1844)
- Das unwahre Prinzip unserer Erziehung oder der Humanismus und Realismus [I falsi principi della nostra
educazione ovvero Umanesimo e Realismo] (1911).
Max Stirner ritiene che la propria impotenza verso la verità inibisca la propria creatività.
La creatività è la potenza del divenire in cui l’io consiste. Allora tutto è incentrato ancora sulla storia dell’uomo e
la storia dell’uomo si realizza in due tempi.
- Nel primo gli antichi hanno voluto idealizzare il reale, cioè trovare il fondamento della realtà diveniente, la
stabilità dell’instabile, decifrare ciò che è stabile sotto il divenire degli enti e quindi hanno finito con il disprezzare il
reale (gli enti finiti sono il diveniente, ma a noi interessa ciò che è stabile).
- Nel secondo, con il Cristianesimo si è voluto realizzare l’ideale. Dall’Incarnazione all’assoluto di Hegel si è
consumato un processo che ha finito per radicalizzare ogni ideale posto al di sopra dell’uomo.
Allora l’ideale, la giustizia di Dio, l’assoluto, lo si deve incarnare e allora diventa storia, divenire, il che finisce per
dissolvere l’assoluto come tale.
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Karl Marx (1818-1883)
- [con F. Engels] Manifest der Kommunistischen Partei [Manifesto del Partito Comunista] (1848)
- Das Kapital [Il capitale] (1867-1894)
Marx auspica il tempo in cui “la scienza naturale comprenderà la scienza dell’uomo come la scienza dell’uomo
comprenderà la scienza naturale”, e in cui “non ci sarà che una sola scienza”.
Marx capovolge la relazione tra il mondo e la coscienza che ne hanno gli uomini: vi è sempre una relazione di
implicazione, ma viene rovesciata: l’esistenza sociale determina la realtà, anche di coscienza, per cui la condizione di
coscienza dipende dal modo in cui il soggetto si situa nella società.
Viene così a decadere il senso di responsabilità individuale, e si torna ad un rapporto tra individuo e società sbilanciato dalla
parte della società: la società assorbe l’individuo. Per Rosmini abbiamo visto valere il contrario: la società è funzionale all’individuo,
non viceversa. Ogni qual volta aleggia nel pensiero anche dell’“uomo di strada” l’idea del condizionamento sociale come attenuante
per la mancanza di responsabilità diretta nei crimini e disagi dell’uomo contemporaneo, assistiamo ancora ad un’eredità da
addebitarsi ad un certo positivismo sociale e, soprattutto, al marxismo, con l’idea – antitetica al modello di responsabilità morale
individuale-sociale – che è necessario per prima cosa scalzare il sistema e non riformare i cuori. È qui avvertibile il fondo di profonda
sfiducia per l’umano, al di là di tutto il preteso e professato ottimismo positivista.
Per Marx la società determina la coscienza. La base è l’esperienza, i dati di fatto empiricamente osservati e
osservabili sono gli individui umani.
Così, la base dell’analisi dello studio filosofico di questa scienza naturale da applicare all’umanità è l’empiria del
comportamento umano.
Ne viene una teoria per cui evolutisi, gli uomini avrebbero cominciato a produrre i loro mezzi di sussistenza, dando
luogo ad una produzione sociale della loro esistenza. In questa produzione, proprio perché sociale, gli individui
sarebbero entrati in rapporti determinati che dipendono dalla natura dei mezzi di sussistenza.
I rapporti di produzione si esprimono in rapporti di proprietà. L’uomo possiede il proprio lavoro, gli strumenti ed i
prodotti del lavoro. Ciò che produco è anche ciò che ottengo e ciò che esce da me e si distingue da me, ma è mio.
In ogni società l’insieme dei rapporti di produzione costituisce la struttura economica della società. Nella produzione
Marx riconosce l’essenza del divenire dell’uomo, essenza storica. Ancora quello di Marx è un potente pensiero del
divenire.
Sulla realtà economica, che è struttura, cioè la base reale dell’esistenza, la consistenza dell’uomo è nel suo
divenire: c’è coincidenza tra l’ontologia dell’essere persona e il suo divenire. Cioè l’essere dell’uomo è il suo essere
storico, è il suo essere che diviene.
Allora abbiamo una realtà che è semplicemente economia, divenire storico economico, produzione, struttura e,
sulla base di questo, una sovrastruttura che è la coscienza. Il piano è esattamente rovesciato: non è l’economia ad
essere strumentale rispetto ad una persona con una vita di coscienza che assume contenuti, finalità, obiettivi, progetti e
per perseguirli si dota di una strumentazione che le permette di realizzarli. Al contrario, quest’ultima è la realtà, e la
coscienza è la sovrastruttura.
Questa sovrastruttura è l’insieme delle forme giuridiche, politiche, spirituali, culturali. La cultura va allora in
disequazione rispetto alla natura o, almeno, alla mera fattualità diveniente che ormai resta, quale pallido fantasma della
natura umana.
La liberazione dal potere delle sovrastrutture ideologiche va ottenuto agendo sulla struttura economica alla base, con
un’attività rivoluzionaria, o “pratico-critica”. Si afferma il primato della prassi sull’ontologia: “sinora i filosofi hanno
solo interpretato il mondo, ora si tratta di cambiarlo”, afferma Marx (ancora negli anni ’80 e pure ’90 si sentivano i
post-sessantottini proclamare “voglio cambiare il mondo!”).
Ora, ad un certo punto le forze produttive materiali della società entrerebbero in contraddizione con l’organizzazione
sociale del lavoro. Nello stato borghese il proletariato è la forza rivoluzionaria che determina la distruzione dei rapporti
di produzione borghese, fondati sulla proprietà privata (intangibile per la dottrina sociale della Chiesa e strenuamente
difesa da Rosmini).
Il processo storico è inevitabile. “Il comunismo è il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente”. Il
movimento reale è la dialettica, che è la legge autentica del divenire. Il destino è il toglimento della contraddizione
causata dall’alienazione dell’uomo dai “prodotti d’uso”, ridotti a merce, perciò scissi dalla loro utilità, e il toglimento
della contraddizione è il superamento del capitalismo nella società comunista, culmine e sintesi suprema dello sviluppo
storico conflittuale dell’umanità: “la storia è storia di lotta di classi”.
Nell’esperienza del ’68 convergerà l’idea di una natura conflittuale della storia, insieme al concetto di superfluità
della vita di coscienza e della cultura come sovrastrutture (vedi l’attacco alla famiglia come ipocrita sovrastruttura
borghese), donde l’opposizione alla natura o, meglio, a ciò che ne rimane.
Sulla struttura che è l’economia, la semplice trama dei rapporti materiali, si costruisce quindi la sovrastruttura della
cultura. La sovrastruttura ha alienato l’uomo, perché il lavoratore produce e poi gli è sottratto e commercializzato il
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frutto del suo lavoro.
Questo è il tradimento capitalistico della struttura: la cultura tradisce la struttura, ma nella cultura il massimo
dell’inutile, la quintessenza delle sovrastrutture, è rappresentato dalla religione, che sarebbe “un inganno di preti” e
“l’oppio dei popoli”. Ritroviamo per molti aspetti il positivismo, e Comte; ma è Comtiana anche l’idea che sia un
destino inevitabile (e perciò necessario) dell’umanità il superamento dialettico di questa situazione. È un destino
secondo necessità, ragione per cui si annida ancora nel materialismo storico-dialettico marxiano un residuo metafisico,
come in Comte.
L’uomo è la sua storia, e il suo essere, tutto fattuale, coincide col divenire, un divenire necessariamente conflittuale.
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