Il sistema dei Servizi per l`impiego in Toscana

Il sistema dei servizi per l'impiego in Toscana
Lavoro - Studi / 85
Collana Lavoro - Studi e Ricerche / 85
ISBN 978-88-6517-018-2
Il sistema dei Servizi
per l'impiego in Toscana
Regione Toscana - Rapporto 2010
COLLANA LAVORO
studi e ricerche
85
Il sistema dei Servizi per l’impiego
in Toscana
Regione Toscana - Rapporto 2010
IRPET
Istituto
Regionale
Programmazione
Economica
Toscana
Attribuzioni e Ringraziamenti
Il rapporto, frutto delle attività in collaborazione fra l’Area di ricerca Lavoro, Istruzione e
Welfare dell’IRPET (Istituto Regionale per la Programmazione Economica della Toscana)
e il Settore Lavoro-Direzione Generale Politiche Formative, Beni e Attività culturali della
Regione Toscana, è stato curato da Teresa Savino.
Pur essendo il risultato di un lavoro comune, l’attribuzione dei capitoli è la seguente:
-- capitolo 1: Teresa Savino, con la collaborazione di tutto il gruppo di ricerca;
-- capitolo 2: Roberto Landi (ISFOL);
-- capitolo 3: Barbara Marchetiello (Regione Toscana) e Teresa Savino;
-- capitolo 4: Simona Baldanzi, Germana Berni (IRIS) e Teresa Savino;
-- capitolo 5: Simona Baldanzi, Germana Berni (IRIS), Francesca Ricci e Teresa Savino;
-- capitolo 6: Michele Beudò, Fabio Bracci e Stella Milani;
-- capitolo 7: Michele Beudò, Francesca Ricci, Teresa Savino e Filippo Tosi (Eurema).
Le interviste qualitative ai dirigenti, ai funzionari provinciali e agli operatori dei CPI sono
state realizzate da Simona Baldanzi. L’indagine diretta presso le Province, i Centri per
l’impiego e i Servizi territoriali è stata effettuata da IRIS (capitolo 4).
L’indagine telefonica alle imprese è stata effettuata da Scenari S.r.l. (capitolo 5).
Veronica Gherardini e Elena Vannuccini hanno partecipato alla fase empirica dell’indagine
sugli utenti stranieri (capitolo 6).
Eurema ha coordinato la fase empirica relativa alla CIG in deroga (capitolo 7).
Si ringraziano Barbara Marchetiello (Regione Toscana), Silvia Frondi e Stefania Pampaloni
(Provincia di Arezzo), Simonetta Lungani e Daniele Terenzi, (Provincia di Firenze), Laura
Fulceri e Silvia Meoli (Circondario Empolese Valdelsa), per i preziosi suggerimenti nella
stesura degli strumenti di rilevazione.
Un sincero ringraziamento per la disponibilità e la collaborazione va a tutti i dirigenti e
funzionari delle Amministrazioni provinciali e del Circondario, ai responsabili dei Centri per
l’impiego e agli operatori, che hanno dedicato parte del loro tempo, accettando di svolgere
con noi interviste dirette e fornendo dati preziosi per lo svolgimento dell’indagine.
Un ringraziamento particolare agli intervistati, imprese e lavoratori, che hanno dedicato
il loro tempo per raccontare la propria esperienza.
L’allestimento del testo è stato curato da Elena Zangheri del Servizio editoriale dell’IRPET.
Giunta Regionale
Direzione Generale
Politiche Formative, Beni e Attività culturali
Area di Coordinamento
Orientamento, Istruzione, Formazione e Lavoro
Settore Lavoro
ISBN 978-88-6517-018-2
Indice
Presentazione
1.
INTRODUZIONE
1.1 Le politiche del lavoro in Europa: un quadro di sintesi 1.2 Come si cerca e si trova lavoro
1.3 Le tendenze più recenti del mercato del lavoro in Toscana
1.4 Alcune anticipazioni sui contenuti del Rapporto
7
9
9
13
18
20
Parte I
Il sistema regionale dei Servizi per l’impiego
2.
Il sistema dei serviZi per l’impiego della Toscana all’interno
del quadro nazionale
2.1 Introduzione
2.2 Presentazione del sistema regionale
2.3 Servizi alla persona
2.4 Servizi alla domanda
2.5 Alcune riflessioni sul posizionamento territoriale dei Servizi per l’impiego
2.6 Considerazioni conclusive
43
43
47
52
62
72
75
3.
IL masterplan regionale dei Servizi per l’impiego.
Il bilancio del biennio 2008-2009
3.1 Introduzione
3.2Gli sportelli dei Servizi per l’impiego
3.3 I servizi di front office erogati
77
77
78
91
4.
I risultati delle indagini dirette presso le province e
i Centri per l’impiego
4.1 La riforma
4.2 Decentramento e modalità di gestione
4.3Reti e relazioni sul territorio
4.4 I servizi e le specificità 4.5 Il personale
4.6 Considerazioni conclusive
101
101
106
116
124
133
141
Parte II
Le indagini sugli utenti
5.
I servizi alle imprese
5.1 Introduzione
5.2 I servizi alle imprese: il quadro delle province toscane
5.3 Tre casi di studio
5.4 I risultati dell’indagine diretta: le caratteristiche delle imprese intervistate
5.5 Le dinamiche occupazionali presenti e future
5.6 Le modalità di ricerca del personale
5.7 L’accesso ai servizi di ricerca e selezione del personale offerti dai Centri per l’impiego
5.8 Conoscenza, utilizzo e valutazione dei servizi offerti dai Centri per l’impiego
5.9 Considerazioni conclusive
151
151
153
156
190
195
200
205
209
218
6.
Stranieri e Centri per l’impiego: rappresentazione e uso dei servizi
6.1 Introduzione
6.2 Le politiche e i progetti in Toscana
6.3 Meccanismi dell’incontro domanda e offerta di lavoro
6.4 I percorsi di accesso e il primo contatto
6.5 La fruizione dei servizi: una possibile tipologia dei profili di utilizzo dell’utenza migrante 6.6 Percezioni dei Centri per l’impiego da parte dell’utenza migrante
6.7 Il ruolo della formazione
6.8 Una prospettiva di genere
6.9 I modelli organizzativi: i casi di Firenze e di Prato
6.10 Considerazioni conclusive 223
223
231
237
242
249
257
263
269
281
294
Parte III
Approfondimenti
7.
l’impatto della cig in deroga SUI SERVIZI PER L’IMPIEGO DELLA TOSCANA
7.1 Introduzione
7.2 La CIG in deroga e l’attuazione delle politiche attive
7.3 L’introduzione della CIG in deroga e l’inevitabile riorganizzazione dei Servizi per l’impiego
7.4 Priorità e nuovi servizi per sostenere i lavoratori
7.5 L’effetto “spiazzamento”, le conseguenze positive e la sostenibilità futura dell’intervento
7.6 Efficacia, impatto e criticità
307
307
308
314
317
320
323
Riferimenti bibliografici
329
Appendice A: Indagine sulle province e i Centri per l’impiego
Appendice B: Indagine sulle imprese
Appendice C: INDAGINE SUGLI STRANIERI
Appendice D: CRISI E CENTRI PER L’IMPIEGO
333
343
355
357
Presentazione
Nell’attuale situazione di crisi economica e occupazionale, il
Rapporto sul sistema dei Centri per l’impiego in Toscana, realizzato
da IRPET, assume un particolare rilievo, dato il ruolo strategico dei
servizi pubblici nel supportare le persone in cerca di un’occupazione
e in assenza dei quali appare del tutto impossibile parlare di politiche
attive del lavoro.
La lettura del volume evidenzia la strada percorsa dalla riforma
epocale degli uffici di collocamento fino ad oggi e l’impegno che
le Province toscane e i loro Centri hanno sostenuto nel tempo,
consentendo di acquisire buoni livelli di efficacia ed efficienza
dei servizi e di posizionarsi tra i sistemi più strutturati a livello
nazionale.
L’indagine si è concentrata non solo sull’approfondimento delle
risorse, dei servizi e dei risultati conseguiti dalla rete regionale
dei Centri, ma offre anche osservazioni ed indicazioni importanti
sulle questioni nodali sulle quali occorre migliorare ed investire
ulteriormente risorse umane e finanziarie, ad esempio per quanto
concerne la dimensione di servizio e di collaborazione con il mondo
delle imprese.
Senza dubbio, il contesto economico e occupazionale, con
le novità normative collegate, ha influito in maniera rilevante
sui CPI, condizionandone le attività negli ultimi due anni: come
evidenziato nel Rapporto, nel corso del 2009 sono state registrate
presso gli sportelli oltre 670mila prese in carico relative a quasi
435mila individui, con un incremento significativo rispetto all’anno
precedente, sia in termini di numero di utenti che in termini di
probabilità che ciascun lavoratore si rivolga più volte ai CPI.
A partire da maggio 2009, infatti, i CPI sono diventati titolari della
gestione complessiva degli interventi di politica attiva nei confronti
dei lavoratori in Cassa integrazione in deroga, secondo un modello
di accompagnamento personalizzato, che prevede l’accertamento
della disponibilità del lavoratore a seguire un piano di azione
individuale (pena la decadenza del sostegno), che sia coerente con le
7
esigenze effettive del singolo, soprattutto in riferimento all’effettiva
durata e distribuzione temporale della sospensione dal lavoro. I
CPI sono diventati, dunque, il riferimento attraverso il quale è stata
resa operativa la strategia di intervento della Regione Toscana per
salvaguardare i posti di lavoro e sostenere i redditi delle famiglie
toscane colpite dalla crisi.
I tempi di recessione economica hanno reso ancora più strategici
i servizi pubblici per l’impiego, sia per la prossimità al bisogno
delle persone e delle imprese sul territorio, sia per la capacità di
sviluppare e rafforzare le reti di collaborazione con altri soggetti
pubblici e privati nei territori, aspetto questo che se consolidato e
reso strutturale rappresenta una risorsa importante per lo sviluppo
futuro dei servizi.
In generale, possiamo affermare che la fase di avvio dei servizi
pubblici per l’impiego si è chiusa e si è aperta quella successiva di
consolidamento e specializzazione dei CPI quali punti istituzionali
di riferimento territoriale per i servizi al lavoro.
Forte deve restare l’impegno della Regione nel potenziare e
qualificare sempre più il sistema regionale dei Centri per l’impiego
per renderlo più adeguato alle sfide che deve sostenere.
Gianfranco Simoncini
Assessore alle Attività Produttive,
al Lavoro e alla Formazione
della Regione Toscana
8
1.
Introduzione
1.1
Le politiche del lavoro in Europa: un quadro di sintesi
L’attuale crisi economica e occupazionale ha senza dubbio avuto
il merito di aver riportato al centro della discussione il tema delle
politiche del lavoro, un ambito questo dell’intervento pubblico
la cui rilevanza politica non è stata per lungo tempo confermata
dall’impegno finanziario profuso dai paesi europei, poiché nessun
governo nazionale -almeno nel periodo pre-crisi- vi ha dedicato più
del 3% del PIL.
Per quanto concerne l’Italia, al 2007 la spesa per l’insieme delle
politiche del lavoro (sia attive che passive)1 superava di poco l’1%
del PIL contro una media europea dell’1,7%, lontano dai massimi
livelli che si osservavano in Belgio (3,3%), Danimarca (2,7%),
Germania (2,4%) e Paesi Bassi (2,5%).
Il divario che separava l’Italia dagli altri paesi europei era
imputabile alla quota esigua di spesa che il governo nazionale
destinava al finanziamento delle misure di politica passiva (0,7%
del PIL, contro una media europea dell’1%); inoltre nel panorama
europeo l’Italia si è sempre distinta per avere il sistema di sussidi
meno generoso, fortemente polarizzato tra una fascia ristretta di
lavoratori protetti, provenienti dalle grandi imprese, e la larga
maggioranza di lavoratori che, invece, potevano accedere a sussidi
di esigua entità e di durata limitata.
Ovviamente l’eccezionalità della crisi economica ha reso
indispensabili altrettanto eccezionali interventi di sostegno per
imprese e lavoratori; è stata confermata la tendenza recente del
governo nazionale ad una logica derogatoria della normativa
vigente, attraverso l’approvazione di alcuni provvedimenti,
Eurostat suddivide le spese in politiche del lavoro in tre grandi categorie: le spese per i servizi pubblici
per l’impiego; le misure di politica attiva (dalla formazione continua alla promozione dell’incontro tra
domanda e offerta tramite i Servizi per l’impiego, incentivi per l’occupazione ecc.); le misure di politica
passiva, che riguardano gli interventi di sostegno al reddito in caso di perdita dell’impiego (ad esempio i
sussidi di disoccupazione) e i pre-pensionamenti.
1
9
contenuti in larga parte nelle Leggi Finanziarie, volti a introdurre
aggiustamenti, a prorogare o comunque disporre trattamenti di cassa
integrazione, mobilità, disoccupazione per gestire situazioni di crisi
occupazionale, riferite a specifici settori produttivi o aree regionali,
rimandando nel tempo un intervento complessivo di riforma degli
ammortizzatori sociali.
L’esempio più recente è senza dubbio rappresentato dalla Cassa
integrazione straordinaria in deroga (e degli altri interventi in deroga
in materia di mobilità e di indennità di disoccupazione) previsti a
partire dalla Finanziaria dello scorso anno, e poi attraverso la Legge
2 del 28 gennaio 2009 e le successive integrazioni, per contrastare
gli effetti occupazionali derivanti dalla recessione in atto. La legge è
intervenuta sulla questione degli ammortizzatori sociali, rimodulando
alcuni strumenti di sostegno, ampliando la platea dei destinatari e
introducendo un collegamento diretto con la sfera delle politiche
attive. In generale, infatti, l’accesso alle diverse tipologie di indennità
è subordinato alla dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro
o a un percorso di riqualificazione professionale che il lavoratore ha
l’obbligo di rilasciare presso i servizi competenti, ovvero i Centri
per l’impiego (CPI) e servizi privati accreditati2.
Se nella fase pre-crisi la spesa per politiche passive ci poneva
al di sotto della media europea, altrettanto contenuta risultava la
quota di spesa destinata agli interventi di politica attiva del lavoro,
ma in questo caso maggiormente allineata al dato medio europeo:
rispettivamente 0,4% contro 0,5% (Tab. 1.1).
Come sottolinea Reyneri (2005), la ridotta distanza dalla media
europea non rende conto dello stato di arretratezza in cui versa il
nostro paese, dove in larga parte le spese di politica attiva riguardano
sgravi contributivi alle imprese (circa il 40% sul totale delle misure
contro una media europea di circa il 25%), mentre solo in misura
contenuta le risorse vengono investite in interventi innovativi e
mirati (dalla formazione continua alla promozione dell’incontro tra
domanda e offerta tramite i Servizi per l’impiego -SPI-, ecc.).
Così come decisamente marginale è l’impegno finanziario
dedicato ai Servizi pubblici per l’impiego: 0,03% sul Pil, pari al 18%
della media europea, valore che ci colloca in fondo alla graduatoria
europea (Graf. 1.2).
Il tema degli ammortizzatori sociali in deroga è approfondito nel capitolo 7.
2
10
Tabella 1.1 SPESA PUBBLICA PER LE POLITICHE DEL LAVORO (PER TIPOLOGIA DI INTERVENTO): % SUL
PIL. PAESI EUROPEI. 2007 Spesa
per SPI
Belgio
0,22
Danimarca
0,15
Paesi Bassi
0,41
Germania
0,27
Finlandia
0,13
Spagna
0,09
Francia
0,22
Austria
0,17
UE15
0,20
Svezia
0,17
UE27
0,19
Portogallo
0,12
Irlanda
0,21
Italia
0,04
Polonia
0,10
Norvegia
0,11
Lussemburgo
0,05
Ungheria
0,08
Cipro
0,04
Slovacchia
0,11
Bulgaria
0,05
Malta
0,11
Slovenia
0,09
Regno Unito
0,27
Repubblica Ceca
0,13
Latvia
0,06
Lituania
0,09
Romania
0,04
Estonia
0,03
Grecia
0,00
Fonte: nostre elaborazioni su dati Eurostat
Spesa per misure
di politica attiva
1,08
1,02
0,68
0,51
0,70
0,63
0,69
0,51
0,49
0,91
0,47
0,39
0,47
0,37
0,41
0,45
0,39
0,21
0,09
0,12
0,31
0,03
0,11
0,05
0,12
0,10
0,23
0,08
0,03
0,00
Spesa per misure
di politica passiva
2,00
1,50
1,39
1,63
1,43
1,45
1,24
1,25
1,07
0,67
1,02
1,09
0,91
0,71
0,51
0,42
0,54
0,36
0,48
0,36
0,15
0,36
0,30
0,16
0,20
0,30
0,11
0,23
0,10
0,00
Spesa totale
in politiche del lavoro
3,29
2,67
2,49
2,40
2,25
2,17
2,15
1,93
1,76
1,74
1,68
1,60
1,59
1,12
1,02
0,97
0,97
0,65
0,61
0,59
0,51
0,50
0,50
0,48
0,46
0,46
0,43
0,35
0,15
0,00
Grafico 1.2 SPESA PUBBLICA DESTINATA AI SERVIZI PUBBLICI PER L’IMPIEGO. ALCUNI PAESI EUROPEI. 2007
UE27= 100
250
200
150
100
Fonte: nostre elaborazioni su dati Eurostat
11
ITALIA
Spagna
Portogallo
Finalndia
Danimarca
Svezia
Ue 27
Irlanda
Belgio
Francia
Germania
0
Paesi Bassi
50
Carattere essenziale delle politiche del lavoro nei paesi europei
è la stretta connessione tra politiche passive e attive, sia in termini
economici (chi più spende nelle prime, più spende anche nelle
seconde) che operativi: ovunque gli interventi di riqualificazione, di
inserimento assistito, di orientamento sono indirizzati principalmente
a quei soggetti che percepiscono un’indennità e devono rispettare il
“patto di servizio” pena la perdita del sostegno; così come vi è uno
strettissimo legame tra chi gestisce questi interventi e chi eroga le
indennità.
Tutto questo è possibile grazie a sistemi collaudati di servizi
locali di natura prevalentemente pubblica, organizzati su base
nazionale, ma con una forte autonomia gestionale e operativa a
livello regionale. L’Italia, invece, si è trovata ad affrontare questa
questione con qualche decennio di ritardo rispetto a quasi tutti gli
altri paesi europei. Solo sul finire degli anni Novanta è stato avviato
il processo di riforma delle politiche del lavoro, che ha determinato
il passaggio dal vecchio sistema di collocamento centralizzato ad
un nuovo sistema di SPI, con il massimo grado di decentramento in
Europa, preceduto solo dal Belgio. La reimpostazione dei SPI deriva
dal decentramento di competenze dallo Stato alle Regioni e agli
Enti locali, superando la tradizionale concezione amministrativa del
collocamento a favore di un modello organizzativo improntato allo
sviluppo di politiche attive del lavoro.
Si tratta di una vera e propria rivoluzione copernicana, come
la definisce Reyneri (2007), che ha l’indubbio vantaggio di aver
recepito l’idea che il mercato del lavoro sia una questione il cui
ambito naturale di gestione è collocato a scala locale (identificazione
dei problemi, adeguamento delle azioni, coinvolgimento dei soggetti
istituzionali e delle parti sociali, ecc.). Tuttavia non è esente da alcune
criticità nel percorso di attuazione. Come mostrano i monitoraggi
periodici dell’ISFOL, il processo di attuazione della riforma dei SPI
si è avviato attraverso una vasta iniziativa a livello locale, che ha
prodotto uno scenario composito, con rilevanti differenze in termini
istituzionali, organizzativi e di avanzamento tra le regioni, ma
anche tra le province se non addirittura tra i CPI di una stessa area
territoriale (cfr. capitolo 2).
In secondo luogo, il trasferimento “in periferia” delle competenze
avrebbe dovuto essere associato ad una “metamorfosi” delle funzioni
svolte: se l’intervento pubblico non mira più ad applicare norme,
ma a fornire servizi alle imprese e ai lavoratori, diventa prioritaria
la questione del rinnovamento delle competenze professionali e dei
12
codici di comportamento non più ispirati ad una filosofia giuridicoamministrativa, bensì ad una cultura dei servizi. Gli operatori dei
CPI non devono più applicare norme e procedure amministrative,
ma devono essere in grado di valutare posti di lavoro e capacità
personali, offrire orientamento ai lavoratori e consulenza alle
imprese, elaborare progetti di formazione. Quella di operatore dei
SPI e di funzionario delle politiche attive del lavoro è una vera e
propria professione sulla quale fino ad oggi in Italia, se non in rare
eccezioni, si è investito poco, sia in termini di riqualificazione degli
operatori trasferiti dagli ex uffici di collocamento, sia in termini di
formazione dei nuovi operatori, che in non pochi casi sono impiegati
con rapporti di lavoro a termine.
1.2
Come si cerca e si trova lavoro3
Sul versante dell’offerta dei servizi da parte dei CPI è evidente la
centralità assoluta delle attività dedicate al complesso processo di
incontro tra domanda e offerta di lavoro. Si tratta di uno degli aspetti
solitamente utilizzati per valutare l’efficacia dei servizi pubblici per
l’impiego, sui quali si fondano anche le maggiori critiche relative
alla presenza pubblica nel mercato del lavoro. In realtà è necessario
tener conto di alcuni aspetti: in primo luogo le caratteristiche del
mercato del lavoro italiano e le implicazioni sui processi di incontro
tra domanda e offerta di lavoro. “Eppur si muove” è uno dei più
autorevoli studi sul mercato del lavoro italiano (Contini e Trivellato,
2005), nel quale sulla scorta di dati sui flussi occupazionali (spesso
di origine amministrativa) si contesta il luogo comune dell’estrema
rigidità del mercato del lavoro italiano, sottolineandone al contrario
l’estrema mobilità: “sotto la calma dell’occupazione aggregata si cela
una continua turbolenza” notano a proposito Sestito e Pirrone (2006).
Molte delle transizioni occupazionali, dentro e fuori dal mercato
del lavoro, in realtà non richiedono alcun supporto specifico, perché
avvengono in maniera del tutto incidentale. Ciononostante non
sono prive di effetti economici, dal momento che la realizzazione
del giusto matching tra posto di lavoro e risorsa umana contribuisce
a innalzare la produttività e a massimizzare i benefici, reddituali e
non, associati al lavoro, con effetti positivi sul benessere del sistema
complessivo.
3
Le elaborazioni statistiche sono a cura di Valentina Patacchini.
13
Inoltre, anche in sistemi in cui gli intermediari specializzati (sia
pubblici che privati) sono da tempo attivi e organizzati solo parte
degli incontri transita attraverso tali soggetti, come ci insegna
Granovetter (1974). Nei paesi con sistemi più avanzati, con la sola
eccezione della Francia, la percentuale di matching realizzata dai
servizi pubblici non supera il 20%, mentre rimane molto elevata
l’autonomia nella ricerca/offerta da parte dei lavoratori e delle
imprese (Pirrone e Sestito, 2006; Reyneri, 2007).
Se guardiamo i dati toscani, così come accade a livello nazionale,
l’incontro tra domanda e offerta di lavoro continua a realizzarsi per lo
più spontaneamente, attraverso la mobilitazione dei network sociali.
La rilevazione ISTAT sulle forze di lavoro consente di esplorare i
canali utilizzati nella ricerca di un impiego dai disoccupati nelle
quattro settimane precedenti l’intervista. I dati mostrano come
in generale la ricerca del lavoro in Toscana, così come a livello
nazionale, rimanga prevalentemente affidata a canali informali.
Oltre l’80% delle persone in cerca di lavoro dichiara di rivolgersi a
conoscenti, parenti, amici, un dato questo solo in lieve diminuzione
rispetto al 2005, ma comunque superiore alla media italiana (75%). Il
ricorso ai canali informali non è una prerogativa italiana. Altri paesi
dell’area mediterranea presentano incidenze di questa modalità di
ricerca molto superiori alla media europea (58%).
I canali formali non professionali (offerte su stampa, curriculum
a privati), nei quali conta molto l’iniziativa del singolo, sono praticati
ciascuno da circa il 65% dei disoccupati.
Per quanto riguarda il CPI, il dato seppure in diminuzione
rispetto al 2005, si attesta al di sopra del 40% a fronte di una media
nazionale inferiore al 30%. Il ricorso alle agenzie per il lavoro è
inferiore a quello dei CPI: nel 2008, in diminuzione rispetto al 2005,
meno di ¼ dei disoccupati toscani ha fatto ricorso ai servizi offerti
dalle strutture di intermediazione privata.
Infine, in crescita è risultato l’uso di internet per cercare lavoro:
dal 31% a oltre il 37% nel 2008 (Graf. 1.3).
Come evidente dalla tabella 1.4, le caratteristiche socioanagrafiche
di chi cerca lavoro incidono sulla scelta dei metodi utilizzati, che
possono differire per grado di formalità e tradizionalismo. Le donne
si affidano in misura maggiore sia ai canali informali, attivando reti
amicali e parentali, sia a canali formali, come il concorso pubblico,
mentre in misura minore dei maschi ricorrono a modalità di ricerca
attive, come la domanda diretta ai possibili datori di lavoro, oppure
al CPI. Rispetto alle classi di età più mature, i giovani fanno ricorso
14
in misura maggiore ai giornali, alle iniziative personali con contatti
diretti ai datori di lavoro, a internet, ai concorsi pubblici, mentre
per quanto riguarda le strutture di intermediazione sia pubbliche che
private non sembrano mostrare differenze di rilievo.
Grafico 1.3 DISOCCUPATI PER TIPOLOGIA DI AZIONE DI RICERCA DEL LAVORO. TOSCANA. 2005 E 2008
Valori %
Amici, parenti, conoscenti
Offerte di lavoro su stampa
65,6
65,1
66,1
Curriculum a privati
44,9
41,4
43,0
Centro per l'impiego
Colloquio, selezione presso privati
33,4
30,8
37,3
27,9
24,3
Internet
Agenzia per il lavoro
Concorsi pubblici
1,7
1,5
Altro
0
82,3
80,6
75,6
9,1
8,0
2005
2008
10
20
30
40
50
60
70
80
90
Fonte: nostre elaborazioni su dati ISTAT - RCFL
Tabella 1.4 DISOCCUPATI PER TIPOLOGIA DI AZIONE DI RICERCA DEL LAVORO E PER CARATTERISTICHE. TOSCANA. MEDIA 2006-2008
Valori %
Amici parenti
conoscenti
Invio
curriculum
privati
Colloquio,
selezione
presso privati
Offerte di
lavoro su
stampa
Internet
CPI
Sesso
Maschi
Femmine
78,3
81,7
66,6
64,4
39,3
32,6
69,7
71,9
32,6
31,0
44,5
40,8
24,5
25,6
6,0
9,2
Classi di età
15-29
30-44
45 e +
77,7
81,0
78,1
72,3
69,2
50,7
37,5
36,6
29,5
72,9
72,7
65,3
39,8
35,1
18,8
43,2
41,9
43,3
24,0
25,5
24,1
6,4
5,1
5,0
Titolo studio
Basso
Medio
Alto
84,6
80,7
66,0
56,0
72,4
77,0
32,0
36,0
42,8
68,8
74,3
70,6
14,4
40,7
64,6
43,7
43,7
33,2
21,0
27,5
33,2
4,1
8,5
19,7
36,9
26,2
72,8
62,7
35,4
13,0
42,5
40,8
27,4
14,6
9,3
1,6
Cittadinanza
Italiani
78,7
68,4
Stranieri
88,8
49,6
Fonte: nostre elaborazioni su dati ISTAT - RCFL
15
Agenzie Concorso
per il lavoro pubblico
Altrettanto rilevante è il livello di istruzione: i soggetti con
titolo di studio elevato usano più spesso dei meno istruiti l’invio
di curriculum a datori di lavoro, internet, le agenzie per il lavoro,
i concorsi pubblici e per contro usano meno frequentemente le
relazioni personali, ma ancor meno al CPI.
Infine, nel caso dei cittadini stranieri si conferma il ruolo
nettamente prevalente dei canali informali: l’89% contro il 79%
degli italiani. Come vedremo nella seconda parte del Rapporto
(cfr. capitolo 6), le strategie di ricerca di lavoro messe in atto dagli
immigrati, e i canali attraverso i quali vengono assunti, non solo sono
coerenti con le modalità informali di incontro tra domanda e offerta,
ma la enfatizzano, con effetti non sempre positivi sia sulle condizioni
di inserimento nel mercato del lavoro, sia nelle rappresentazioni e
nell’uso dei servizi erogati dai CPI.
Il ricorso ai CPI non è una prerogativa dei soli disoccupati, ma
anche individui in altre condizioni professionali, usufruiscono dei
servizi forniti da tali strutture: sebbene si tratti in larga prevalenza di
persone in cerca di occupazione (42%), rilevante è anche la quota di
soggetti occupati (32%) e di inattivi (26%).
In particolare nel 2008 circa 100mila individui dichiarano di
essersi rivolti al CPI nel semestre precedente l’intervista, un dato
peraltro in crescita nel corso degli anni (poco più di 83mila nel
2005). Inferiore, invece, risulta il ricorso alle agenzie interinali e
alle altre strutture di intermediazione, che complessivamente hanno
coinvolto circa 64mila individui toscani nel 2008 (Graf. 1.5).
Grafico 1.5 PERSONE CHE HANNO AVUTO CONTATTI CON I CPI, AGENZIE INTERINALI E ALTRE STRUTTURE
DI INTERMEDIAZIONE NEL SEMESTRE PRECEDENTE L’INTERVISTA. TOSCANA. 2007-2008
Valori assoluti (sx) e % (dx)
120.000
2007
100.000
2008
Var. %
27
18
80.000
9
60.000
0
40.000
-9
20.000
-18
0
-27
CPI
Agenzia interinale
Fonte: nostre elaborazioni su dati ISTAT - RCFL
16
Altra struttura
Il forte rilievo delle reti sociali nell’incontro tra domanda e
offerta di lavoro trova conferma anche sul fronte delle imprese
in riferimento alle modalità di ricerca e selezione del personale.
I risultati dell’Indagine Excelsior evidenziano il ruolo di assoluta
preminenza del canale informale, sostanzialmente in linea con quanto
emerso a livello nazionale: circa il 37% degli imprenditori dichiara
di utilizzare come modalità principale per la ricerca e la selezione
del personale la conoscenza diretta, il 17% segnalazioni da parte
di conoscenti. Il dato relativo alle strutture per l’intermediazione è
abbastanza contenuto, anche se con interessanti differenze rispetto
alla media nazionale: quasi l’8% delle imprese toscane ha utilizzato
il CPI come canale di reclutamento del personale, una percentuale
quasi doppia rispetto al dato italiano (4%), mentre si attesta su
livelli decisamente inferiori il ricorso alle agenzie di lavoro (4%) e
alle società di selezione, associazioni di categoria (3%).
Per quanto concerne la dimensione aziendale, i dati sembrano
indicare una maggiore propensione da parte delle imprese più
piccole a ricorrere ai servizi pubblici, probabilmente da imputare
all’assenza di specifiche competenze legate alle risorse umane,
mentre il ricorso agli intermediari privati (nonché all’uso di
internet e di banche dati aziendali) cresce sistematicamente con la
dimensione aziendale (Tab. 1.6).
CPI
Altre modalità
Dipendenti
1-9
38,1
18,9
3,2
3,3
3
22,3
10-49
38,2
13,9
3,2
5,4
2,1
28,5
50-249
21,4
1,9
2,8
10,4
6,4
50,3
250 e oltre
9,5
1,3
3,9
8,3
10,5
51,5
TOSCANA
36,8
17,1
3,2
4
3,2
25
ITALIA
38,7
15,1
5
4,4
2,5
24,7
Fonte: Unioncamere, Ministero del Lavoro - Sistema Informativo Excelsior, 2009
Internet
Banche
dati interne
aziendali
Società di
selezione, ss.
categoria
Soc. di lavoro
interinale
Quotidiani e
stampa
Segnalazioni
IMPRESE SECONDO LA PRINCIPALE MODALITÀ UTILIZZATA PER LA RICERCA E SELEZIONE
DEL PERSONALE PER CLASSE DIMENSIONALE. TOSCANA E ITALIA. 2008
Valori %
Conoscenza
diretta
Tabella 1.6
0,4
0,4
1,3
5,1
0,6
1,4
8,4
6,3
3,3
1,5
7,7
4,4
2,4
2
2,2
6,1
2,5
3,9
Oltre ai canali attivati nella ricerca di un impiego, taluni pongono
particolare attenzione anche alla modalità effettiva di ottenimento
del lavoro, individuata come indicatore della “quota di mercato” di
ciascuno dei canali di incontro tra domanda e offerta. In Toscana si
17
stima che circa il 4% dei nuovi occupati (negli ultimi 24 mesi) abbia
trovato lavoro mediante il CPI, un dato peraltro in crescita rispetto
al 2005 quando si attestava al 2,5%, e superiore alla media nazionale
pari al 2,8%. In ogni caso si tratta ancora di valori molto contenuti.
In realtà, una semplice valutazione dell’azione dei CPI sulla base
della quota di mercato raggiunta è assai riduttiva, in primo luogo
perché non tiene conto di tutta l’attività che viene svolta nei confronti
dell’utenza, mettendo a disposizione informazioni sulle occasioni
di lavoro che poi i lavoratori stessi verificano, oppure orientando
e formando le persone sulle tecniche di ricerca di un impiego. In
secondo luogo di tratta un indicatore fuorviante, perché non evidenzia
il ruolo e le funzioni attribuite in questo campo all’intervento
pubblico. I servizi pubblici dovrebbero, infatti, favorire lo sviluppo
e la trasparenza complessivi del mercato, favorendo la circolazione
delle informazioni, favorire l’inclusione nel mercato dei soggetti
meno dotati in termini di capitale sociale e che per vari motivi sono
tagliati fuori dai canali informali, che risultano ancora fondamentali
per l’accesso al mondo del lavoro, aiutare particolari soggetti
identificati come destinatari specifici di politiche pubbliche.
E ancora più rilevante diventa il ruolo dei CPI nell’attuale fase
di profonda crisi economica e occupazionale, chiamati a intervenire
per il supporto dei lavoratori sospesi e per la ricollocazione dei
lavoratori espulsi dal mercato del lavoro.
1.3
Le tendenze più recenti del mercato del lavoro in Toscana
Il contesto di riferimento all’interno del quale si colloca questa
analisi del sistema regionale dei SPI è quello della crisi economica
e occupazionale che ormai da circa due anni ha investito anche la
nostra regione. Ad una fase di espansione occupazionale e di calo
della disoccupazione durata fino alla metà del 2008, ha fatto seguito
la rapida caduta della domanda di lavoro, soprattutto nel settore
industriale, portando all’espulsione delle componenti della forza
lavoro meno tutelate e all’incremento delle persone in cerca di
un’occupazione (IRPET-Regione Toscana, 2010a).
Se almeno fino al II trimestre del 2009 si è verificata una sostanziale
tenuta occupazionale (+0,2%)4, a partire dai mesi successivi si
L’impatto occupazionale ancora contenuto della crisi economica fino alla metà del 2009 deve tener
conto dell’azione congiunta di più fattori: il fisiologico ritardo con cui la dinamica occupazionale reagisce
alla diminuzione del PIL; la regolarizzazione degli immigrati, che da diversi anni influenza le statistiche
4
18
registra la prima seria battuta di arresto, che determina una perdita di
7,5mila occupati (-0,5%), determinando una diminuzione anche del
tasso di occupazione (dal 65,4% al 64,8%).
Il tasso di disoccupazione continua a crescere arrivando al
5,8% (rispetto al 5% del 2008): si parla di 96mila persone in
cerca di un impiego (+12mila rispetto all’anno precedente). Se
alla disoccupazione ufficiale, intesa come condizione di quanti
mantengono una ricerca attiva, così come definita in maniera
stringente dall’ISTAT, si aggiungono i cassaintegrati e soprattutto
i comportamenti di quanti (in larga maggioranza donne) non sono
classificati alla ricerca attiva di un impiego, perché non hanno
svolto azioni di ricerca nell’ultimo mese, il tasso di disoccupazione
salirebbe all’8,6%, quasi 3 punti percentuali in più del tasso ufficiale
(IRPET-Unioncamere, 2010).
Le dinamiche evidenziate non sono altro che la sintesi di aspetti
di criticità, che riguardano non in maniera uniforme la forza lavoro
toscana. Esiste, infatti, un problema distributivo rilevante, ossia vi
sono categorie di lavoratori che dalla crisi risultano essere fortemente
penalizzati:
-- i lavoratori dell’industria, dove le perdite occupazionali risultano
più accentuate (-6,7%) rispetto a quanto non avvenga nel terziario
(+1,8%);
-- la flessione è maggiore per le donne che per gli uomini
(rispettivamente -0,6% e 0,4%);
-- si conferma l’elevata vulnerabilità dei giovani con perdite
occupazionali pari a circa 11 punti percentuali in meno: minori
assunzioni e maggiori difficoltà di rinnovo dei contratti a termine
si sono riflesse sul tasso di disoccupazione giovanile in sensibile
crescita (dal 14,4% al 17,8%);
-- per quanto concerne i lavoratori stranieri, si registra un
peggioramento delle condizioni di inserimento nel mercato del
lavoro, nonostante in valori assoluti le forza lavoro straniere
continuino ad aumentare. Il peggioramento si riflette nella
sensibile riduzione del tasso di occupazione (dal 68% del 2008
al 66% del 2009), e parallelamente nella crescita del tasso di
disoccupazione più accentuata rispetto al dato degli autoctoni,
riportandolo abbondantemente al di sopra del 10%.
della RCFL dell’Istat; la funzione di contenimento esercitata dal ricorso crescente alla cassa integrazione,
che ha consentito di mantenere come occupati quote significative di forza lavoro, soprattutto del settore
industriale, altrimenti già licenziati e passati alla condizione di disoccupazione.
19
1.4
Alcune anticipazioni sui contenuti del Rapporto
La natura sostanzialmente spontanea dei meccanismi di incontro tra
domanda e offerta di lavoro indica come non vi sia alcuna ragione
a priori per contrastare tali processi, ma al contempo si rende
necessario porsi come obiettivo di policy il rafforzamento del ruolo
degli intermediari professionali. Il loro compito, pur limitato sul
piano quantitativo, rimane fondamentale per far funzionare in modo
efficace ed equo l’incontro tra domanda e offerta di lavoro.
In primo luogo la presenza di intermediari professionali può
favorire l’inclusione nel mercato di chi, per vari motivi, sia tagliato
fuori da quei canali informali. è noto che ciò che conta è il capitale
sociale, che è una risorsa distribuita in modo diseguale tra le
classi sociali e tende a riprodurre i vantaggi ascritti delle persone
in cerca di un impiego. Se questo è il meccanismo spontaneo e
prevalente di funzionamento dell’incontro tra domanda e offerta di
lavoro, all’intervento pubblico spetta di garantire una distribuzione
imparziale delle opportunità di lavoro e promuovere le persone
meno dotate di relazioni sociali. Tuttavia per riuscire a collocare i
soggetti meno occupabili, è necessario riuscire a svolgere almeno
in parte l’attività di collocamento anche per i soggetti più forti e
qualificati. Quindi, occorre stabilire rapporti frequenti e normali
con le imprese, interrompendo il processo di stigmatizzazione dei
servizi pubblici, percepiti dalle imprese come chi offre lavoro solo
ai soggetti più deboli.
In secondo luogo i servizi pubblici hanno il compito di aumentare
la trasparenza complessiva del mercato del lavoro, raccogliendo e
diffondendo senza costi le informazioni sui posti di lavoro vacanti
e sui lavoratori in cerca di un’occupazione. Ma per risolvere
l’incontro tra domanda e offerta del lavoro non è sufficiente che le
informazioni circolino meglio, occorre anche che le politiche attive
del lavoro riescano ad avvicinare le caratteristiche e le disponibilità
dell’offerta di lavoro ai requisiti della domanda, quindi che l’offerta
e in una certa misura la domanda modifichino la propria natura. A
tal fine risulta prioritaria l’integrazione delle diverse funzioni che
ricadono nell’ambito delle politiche attive del lavoro: informazione e
orientamento professionale, incontro domanda e offerta, promozione
dell’occupazione e sostegno ai soggetti deboli.
Alla luce di queste osservazioni abbiamo condotto un’indagine
ad hoc sul sistema dei SPI in Toscana, di cui riportiamo i principali
risultati in questo Rapporto.
20
L’obiettivo è stato quello di realizzare il monitoraggio del
sistema dei SPI in Toscana e verificarne lo stato di avanzamento,
coniugando l’analisi delle basi dati amministrative già esistenti lungo
le direzioni indicate dal Masterplan, con la realizzazione di indagini
sul campo e approfondimenti specifici, attraverso il coinvolgimento
e la partecipazione attiva di tutti i soggetti istituzionali coinvolti
nella rete dei servizi. I risultati di questa prima fase sono illustrati
nella parte I del Rapporto. Nella parte II è stato dato ampio spazio ai
risultati di due indagini sul campo relativi a due particolari categorie
di utenza, da un lato le imprese dall’altro i cittadini stranieri, che
rappresentano ambiti più recenti dell’intervento dei CPI. Infine nella
parte III è presentato un approfondimento relativo all’impatto della
CIG in deroga sull’attività dei CPI.
•• Il sistema toscano nel quadro nazionale dei SPI
Nel capitolo 2, sulla base di una batteria di indicatori derivanti
dal monitoraggio nazionale dei sistemi per l’impiego realizzato
dall’ISFOL, viene presentato il sistema toscano in un’ottica comparata
con il contesto nazionale e con alcune regioni simili alla nostra
per una serie di caratteristiche (dinamiche del mercato del lavoro,
omogeneità dei finanziamenti ricevuti, livelli di performances,
ecc.). L’analisi è stata condotta combinando due ordini di criteri: da
un lato la dimensione istituzionale, ossia la relazione tra la presenza
di comportamenti istituzionali e organizzativi a livello regionale
e provinciale e il livello dei servizi espressi dai CPI; dall’altro la
dimensione più operativa legata all’offerta dei servizi sia alla
persona che alle imprese.
Il sistema della Regione Toscana si posiziona nell’area dei sistemi
più strutturati del Paese e risulta caratterizzato dalla presenza di
elementi istituzionali, organizzativi e operativi ormai consolidati e
sedimentati. Nell’osservazione dei c.d. “fondamentali” di sistema,
alcuni elementi ancora largamente disattesi nel complesso del
sistema nazionale, appaiono come risultati ormai acquisiti nella
nostra regione.
Sul versante dei servizi alla persona, il profilo toscano risulta
essere attestato su livelli decisamente superiori rispetto a quanto
riscontrato nella media nazionale. Tutte le province toscane
soddisfano le condizioni relative alla presa in carico dei disoccupati
e alla stipula del patto di servizio (a fronte di una media nazionale
rispettivamente dell’88% e del 70%), la cui presenza è indicativa
dell’avvenuto recepimento delle norme nazionali. Altrettanto
21
efficace sembra essere la capacità di raccordo con la formazione
professionale (80%), anche attraverso la definizione di percorsi
individuali tramite l’erogazione di voucher (70%) o di pacchetti
formativi on demand (50%). Le ricadute in termini di operatività dei
CPI sono evidentemente positive, per cui se da un lato risulta ormai
acquisita una erogazione minimalista dei servizi di orientamento
e rinvio alla formazione in linea con quanto avviene a livello
nazionale e soprattutto rispetto al Centro Nord, la nostra regione
ottiene valori decisamente migliori per quanto concerne l’offerta di
servizi più specializzati: l’82% dei CPI toscani effettua il bilancio
di competenze, un valore addirittura doppio rispetto alla media
nazionale ma anche rispetto alle regioni del Centro Nord, il 67%
offre la possibilità di attivare voucher e/o pacchetti formativi ad hoc,
contro valori inferiori per la media nazionale (42%) e quella delle
regioni centro settentrionali (51%).
Così come accade a livello nazionale, un aspetto di maggiore
criticità (inteso anche come maggiore spazio di intervento futuro)
riguarda l’ambito dei servizi rivolti ai datori di lavoro, che in
generale sconta una sostanziale assenza di indicazioni di riferimento,
a differenza di quanto accade per la filiera dei servizi alla persona.
In questo ambito operativo, per quanto riguarda la Toscana
emergono aspetti contraddittori. Rispetto ad una serie di precondizioni
all’interno delle province individuate dall’ISFOL come propedeutiche
all’erogazione dei servizi alle imprese, la nostra regione mostra
un’ampia copertura in termini di analisi (anche non sistematica)
dei fabbisogni professionali (80%) e di realizzazione di attività di
marketing alle imprese (90%), mentre registra valori più contenuti
e inferiori alla media nazionale per quanto concerne l’adozione di
strumenti di trasparenza nella gestione del rapporto di servizio con le
imprese (il c.d. patto di servizio) (10%), ma anche per la possibilità
di utilizzare le banche dati relative alle imprese e ai lavoratori come
supporto per il processo di matching on line (30%).
Se osserviamo i sistemi di raccolta delle vacancies, si conferma
la prevalenza di modalità molto vicine alla tradizione collocativa
(presso lo sportello, tramite telefono, fax per il 93% dei CPI toscani)
affiancate da un intenso uso di internet (93% superiore al dato delle
regioni del Centro Nord), mentre il dato scende al 68% per quanto
concerne la sollecitazione diretta presso l’impresa (a fronte di oltre
il 70% registrato nel Centro Nord).
Un quadro sostanzialmente analogo risulta dai dati relativi alle
modalità di erogazione dei servizi di preselezione, dove il sistema
22
regionale senza dubbio mostra performances migliori rispetto alla
media nazionale e valori prossimi a quelle delle regioni centro
settentrionali, con una gestione che viene definita “a distanza” dei
servizi richiesti da parte delle imprese: circa il 93% realizza attività
di preselezione basate sull’invio di candidati disponibili e coerenti
con le richieste aziendali (96% la media delle regioni del Centro
Nord), mentre il ricorso a modalità più complesse basate su un
rapporto continuativo con le imprese si attesta al 65% (contro il 62%
del Centro Nord).
La consistente qualificazione e omogeneità organizzativa
riscontrata è ritenuta in buona parte correlata alla scelta istituzionale
di un forte investimento quali-quantitativo sul versante della
dotazione (e dell’organizzazione) delle risorse umane attive nei
sistemi locali. Ciò porta con se aspetti contraddittori:
-- seppure soggette ad una forte varianza, come in tutte le altre
regioni, i CPI della Toscana appaiono mediamente più dotati, più
omogenei nella distribuzione delle risorse (soprattutto in relazione
agli scarti tra strutture più dotate e meno dotate di personale)
rispetto al resto delle circoscrizioni territoriali considerate; sul
piano qualitativo, ciò si traduce in una potenziale capacità di
fronteggiare volumi di attività più elevati rispetto ad altre realtà
regionali, senza gravare proporzionalmente più che altrove sui
carichi medi individuali delle strutture e del personale;
-- l’altra faccia della medaglia è rappresentata dalla presenza di una
componente di personale non di ruolo più che doppia rispetto a
quella osservata in tutti gli altri quadranti (44% contro una media
di circa il 20%); conseguentemente, il sistema può risentire di
una maggiore esposizione alle variazioni di risorse economiche,
dovuta alla dipendenza per il mantenimento di una buona parte
delle risorse umane (e conseguentemente dei servizi), spesso
anche quelle più dotate da un punto di vista di competenze e
professionalità, da risorse comunitarie.
•• Un bilancio delle attività dei Centri per l’impiego nel biennio
2008-2009
II contesto economico, occupazionale e normativo ha senza dubbio
influito sulle condizioni di operatività dei CPI, come ben evidenziato
dai dati di monitoraggio del Masterplan Regionale. Nel corso del
2009, le “prese in carico” di individui agli sportelli sono state oltre
670 mila, con un trend espansivo rilevato già a partire dal secondo
trimestre del 2008 (+16%), ma che si accentua a partire dal 2009.
23
A fronte di oltre 670 mila contatti, gli individui che si sono
rivolti agli sportelli sono stati quasi 435mila, con tassi di variazione
anche in questo caso di segno positivo, che si attestano al 38% nei
due semestri del 2009. L’incremento della mole di lavoro per gli
operatori deve essere imputata da un lato all’incremento del numero
di utenti, dall’altro al fatto che aumenta la probabilità che gli utenti
si rivolgano più di una volta ai servizi.
Come nel precedente Rapporto (Regione Toscana, 2008), sono
stati confrontati i dati relativi all’utenza effettiva, costituita dalle
persone che quotidianamente si rivolgono ai servizi (e registrata
dal sistema IDOL) con quella potenziale, rappresentata da un
sottoinsieme delle persone appartenenti alle forze di lavoro, stimate
dalla Rilevazione Continua dell’Istat, in cui sono stati inclusi, oltre
ai soggetti disoccupati e in cerca di prima occupazione, gli occupati
a termine, gli occupati stabili (autonomi e dipendenti) che hanno
dichiarato di essere comunque alla ricerca di un altro lavoro, gli
occupati in cassa integrazione e gli studenti. Se nel corso del 2007,
gli utenti dei servizi rappresentavano poco più della metà del bacino
potenziale di utenti (54%), nel corso del 2008 (58%) e soprattutto nel
2009 la quota è cresciuta in maniera significativa sfiorando l’82%.
Si tratta in prevalenza di donne (53%), anche se negli ultimi tre anni
osserviamo una progressiva diminuzione (erano il 60% nel 2007). Il
dato è probabilmente da leggere alla luce delle dinamiche più recenti
del mercato del lavoro e al diverso impatto della crisi economica sulle
diverse componenti della forza lavoro (IRPET-Regione Toscana,
2010a). Sebbene la disoccupazione si confermi come un fenomeno
prevalentemente femminile (circa i 2/3 delle persone in cerca di
un’occupazione sono donne) gli ultimi dati evidenziano nel corso del
2009 un aumento degli uomini alla ricerca di un’occupazione, diretta
conseguenza della crisi in atto, che colpisce settori come l’industria
e le costruzioni, caratterizzati da una minore femminilizzazione
della forza lavoro. In secondo luogo, occorre tener conto anche dei
possibili effetti di scoraggiamento che tendono a colpire in misura più
rilevante proprio le donne in fasi congiunturali negative come quella
attuale, riducendo l’intensità delle azioni di ricerca di un impiego,
contribuendo all’aumento dei tassi di inattività e riducendo pertanto
le probabilità di rivolgersi ai CPI.
Infine, sulla composizione degli utenti in carico ai servizi
è probabile influiscano anche le recenti disposizioni anticrisi
predisposte dalla Regione Toscana, in particolare la CIG in deroga:
nelle richieste presentate, in effetti, la composizione risulta essere
24
sbilanciata a favore della componente maschile (56% contro il 44%
delle donne).
Per quanto concerne la distribuzione per età, si conferma la
concentrazione in corrispondenza delle fasce di età centrali e una
rarefazione in corrispondenza dei gruppi di età più giovani e più
adulti, una tendenza che si accentua nel corso dell’ultimo triennio.
Anche in questo caso il dato è presumibilmente da collegare al fatto
che non tutte le categorie di lavoratori risentono in egual misura
degli effetti della crisi e al contempo non tutti i lavoratori sono
soggetti in egual misura a procedure di messa in cassa integrazione,
che hanno contribuito nell’ultimo anno all’incremento degli accessi
presso i CPI.
Un’altra categoria di utenza in crescita è rappresentata dai
cittadini di origine straniera: quasi 88mila nel corso del 2009
(+70% rispetto al 2007), pari al 20% sul totale degli utenti. La
sovrarappresentazione della componente straniera sull’utenza dei
CPI, rispetto alla presenza complessiva nel mercato del lavoro
(9,4%) è probabilmente da imputare da un lato alle esigenze
burocratiche che spesso determinano la necessità di rivolgersi al
CPI (ad esempio la necessità di dimostrare formalmente il proprio
stato di disoccupazione per quanti sono in scadenza del permesso
di soggiorno); dall’altro alle specifiche modalità di inserimento
nel mercato del lavoro, caratterizzate da un maggior turnover
occupazionale e contrassegnate da un progressivo peggioramento a
seguito della fase recessiva attuale, che ha contribuito nel corso del
2009 ad un brusco calo del tasso di occupazione e ad un significativo
incremento della disoccupazione, più accentuato di quanto non sia
avvenuto per la componente autoctona. Inoltre, occorre tener conto
del fatto che quasi tutte le province negli ultimi anni si sono attrezzate
attraverso sportelli dedicati, servizi di mediazione linguisticoculturale, di consulenza legale, ecc., per affrontare le richieste di
questa componente della forza lavoro (cfr. capitolo 6).
Le “prese in carico” da parte dei CPI risultano in crescita anche
per quanto concerne gli utenti del collocamento mirato: nel 2009
sono state oltre 18mila (+34% rispetto al 2007). A fronte di tale trend,
si registra una sostanziale stabilità del numero di individui presi in
carico dai servizi nel biennio 2008-2009 (circa 7.500), tuttavia in
diminuzione rispetto al 2007, quando gli utenti risultavano 9.200.
Anche sul versante delle imprese, la crisi economica in atto ha
senza dubbio rappresentato un vincolo all’operatività dei CPI. Nel
corso del 2009, si sono registrati presso gli sportelli poco più di 16mila
25
contatti da parte di aziende (o consulenti del lavoro o soggetti abilitati
a rappresentarle) in netta diminuzione rispetto agli anni precedenti:
-72% rispetto al 2007 e -30% rispetto al 2008. Coerentemente con
quanto rilevato nell’analisi delle prese in carico, nel corso degli
ultimi due anni si registra una significativa contrazione delle attività
di servizio erogate da parte dei CPI alle imprese.
Una corretta lettura dei dati deve, tuttavia, tener conto della
progressiva messa a regime delle procedure di informatizzazione di
tutte le comunicazioni relative all’instaurazione, alla trasformazione,
alla proroga e alla cessazione di tutti i rapporti di lavoro, per tutte
le imprese, sia private che pubbliche, senza alcuna esclusione
settoriale. Dopo un regime transitorio da luglio 2007 a febbraio
2008 che consentiva l’invio delle comunicazioni anche in formato
cartaceo, dal 1° marzo 2008 è stato stabilito l’obbligo di trasmissione
on line delle comunicazioni relative ai rapporti di lavoro. Senza
dubbio questa modifica normativa ha influito sulle attività relative
agli adempimenti aziendali allo sportello da parte degli operatori
dei CPI, pur non esaurendone l’attività informativa che continua
a sussistere in modalità di back office. Nella stessa direzione può
aver influito anche la dinamica congiunturale negativa alla quale
le aziende toscane hanno risposto in prima battuta attraverso una
sensibile contrazione dei flussi di avviamento al lavoro, come
peraltro indica il dato negativo relativo alle richieste di personale.
In lieve crescita, invece, rispetto al 2008 è la consulenza alle
imprese, che include attività di marketing, sulle quali tutte le
province stanno investendo per estendere e rafforzare i rapporti con
il versante datoriale.
•• I risultati dell’indagine diretta presso le Province e i Centri per
l’impiego
Nel capitolo 4 sono presentati i risultati dell’indagine diretta che ha
coinvolto dirigenti provinciali del lavoro, responsabili e operatori
dei CPI.
Dall’analisi incrociata dei dati rilevati tramite i questionari e dei
risultati delle interviste rivolte ai responsabili dei servizi, emerge un
modello organizzativo e di intervento, quello del sistema regionale
dei CPI, che mostra di aver compiuto i passaggi fondamentali della
transizione verso l’affermazione di un modello agenziale e aver
definitivamente superato la concezione classica del collocamento, in
cui prevale la connotazione burocratica nell’approccio verso l’utenza.
è questo un sistema che nell’attuale periodo di programmazione dei
26
fondi europei, nonostante le difficoltà e le prospettive di riduzione
delle risorse, tende ad ampliare il proprio orizzonte di sviluppo,
mirando verso standard qualitativi sempre più elevati, fino a
prefigurare per i CPI un ruolo di veri e propri animatori territoriali.
Le leve su cui agire nel perseguimento di questi nuovi traguardi
appaiono due, sostanzialmente: da un lato una sempre maggiore
specializzazione dei servizi (per tema, settore, tipi di utenza) e
dall’altro, la capacità di attivare e mettere in rete le risorse e i soggetti
operanti sul territorio per connettere più efficacemente gli interventi
per l’occupazione alle politiche di sviluppo locale.
è in questa prospettiva, restituita in modo efficace dai dirigenti e
dagli operatori dei servizi coinvolti nella prima fase dell’indagine, che
può essere utile sintetizzare e ricondurre i principali punti di forza e le
criticità osservati. L’obiettivo è stato quello di ricavarne indicazioni
che possano contribuire alla definizione di nuove priorità e linee di
intervento di un possibile percorso di sviluppo e posizionamento
strategico della rete regionale dei SPI.
I temi toccati sono stati molteplici, gran parte di questi, per
complessità e rilevanza, meriterebbero di essere approfonditi tramite
ulteriori indagini, disegnate ad hoc. Tuttavia vi sono questioni che
più di altre ricorrono nelle risposte degli intervistati, connesse in
particolare a questi ambiti: problemi e necessità avvertiti con
maggior urgenza, punti di forza e vocazioni tramite i quali i sistemi
provinciali hanno costruito la propria identità di servizio, idee sullo
sviluppo dei servizi da qui al 2013.
Un primo elemento che ha spostato con forza il focus delle
riflessioni, vissuto per i suoi effetti come una sorta di spartiacque
nella storia recente di operatività dei servizi, è la crisi economica e
occupazionale. In particolare due sono gli aspetti di criticità segnalati
a questo proposito: da un lato la forte condizione di tensione in cui
viene a trovarsi la programmazione provinciale (e non solo) FSE, a
seguito del dirottamento in funzione anticrisi di cospicue quote di
risorse finanziarie (attinte dagli assi 1 Adattabilità e 2 Occupabilità
del POR OB 2); dall’altro è stato sottolineato come nella maggior
parte delle realtà, i servizi si siano trovati ad affrontare forti aumenti
nei flussi di utenza e nei carichi di lavoro pressochè con le stesse
condizioni strutturali e di organico della situazione “pre-crisi”.
I rischi avvertiti più diffusamente, dei quali è importante tenere
conto per mettere in campo adeguate misure correttive, sono legati
ai possibili effetti di spiazzamento che potrebbero essere registrati
a carico di quelle categorie di destinatari non interessate da crisi
27
o ristrutturazioni aziendali, ma che nonostante questo continuano
a rappresentare un target prioritario, sia per il FSE che per la
stessa strategia regionale per l’occupazione. Rispetto a queste
fasce di utenza potrebbe essere seriamente messa in discussione la
possibilità di offrire risposte adeguate e di raggiungere gli obiettivi
di copertura prefissati: giovani in entrata nel mercato del lavoro,
donne che intendono reinserirvisi dopo un periodo di maternità,
lavoratori anziani nel quadro di strategie di invecchiamento attivo,
ecc. Un altro timore è che, nel perdurare della situazione di crisi, i
CPI possano progressivamente perdere l’orientamento al servizio e
alla qualità, per connotarsi sempre più come strutture di assistenza.
Tuttavia si possono individuare anche esternalità positive
prodotte dalla necessità di affrontare questa difficile situazione
attraverso l’integrazione tra politiche attive e politiche passive.
Una conseguenza importante è rappresentata dal rafforzamento
dei legami di rete e del grado di cooperazione con soggetti diversi
(INPS, agenzie interinali, parti sociali, privato sociale), aspetto
questo che se consolidato e reso strutturale potrebbe costituire una
risorsa importante per lo sviluppo futuro dei servizi.
Un aspetto caratteristico della rete regionale dei CPI è costituito
dalla multiformità delle soluzioni adottate per l’organizzazione e per
la gestione delle attività, all’interno dei diversi contesti provinciali.
Tuttavia, nella varietà delle scelte operate dalle province, nel
tentativo di ovviare ai gap iniziali di competenze, tenendo conto dei
limiti e delle rigidità nella spesa posti dal patto di stabilità interna e
dai regolamenti comunitari, si possono individuare delle costanti nei
problemi osservati presso le diverse realtà. In particolare sono state
rilevate criticità associate al grado di decentramento dei servizi e al
ricorso a forme di esternalizzazione e reclutamento del personale che
non sempre hanno assicurato la continuità necessaria per tesaurizzare
le competenze e i saperi costruiti attraverso l’esperienza lavorativa
e gli investimenti in formazione della provincia. Il decentramento
delle strutture, che per molte realtà si è rivelato una risorsa, anche per
lo sviluppo dei legami di rete, quando viene spinto oltre l’effettiva
necessità, porta con sé una serie di problemi per la sostenibilità del
sistema e di frammentazione del servizio. In questi casi ciò che
generalmente costituisce un vantaggio in termini di prossimità al
cittadino potrebbe tradursi in disservizio e disparità territoriali nei
livelli di prestazione.
Un punto di forza importante della rete toscana dei CPI è dato
dalla presenza di realtà con vocazioni e culture locali positive
28
rispetto ad aree funzionali considerate “strategiche” (ad esempio
l’orientamento, i servizi alle imprese, l’accompagnamento al
lavoro di persone in condizioni di svantaggio, servizi specifici per
lavoratori stranieri, ecc.) che danno luogo a esperienze consolidate
che meritano di essere potenziate e diffuse.
In particolare, abbiamo avuto modo di constatare come tutti gli
intervistati concordino sul fatto che la promozione nei confronti delle
imprese rappresenti un ambito di intervento prioritario per accrescere
l’efficacia dei CPI e, in non pochi casi, molto si è investito in questa
area, conseguendo risultati interessanti. Rispetto a questo aspetto
però permangono alcuni elementi di criticità interni ed esterni alle
strutture, riferibili sostanzialmente a: scarso sviluppo di strategie
articolate di marketing, carenze anche in termini di competenze,
il persistere di barriere di natura culturale che rendono difficoltoso
l’approccio con le imprese.
Considerazioni analoghe possono essere fatte anche per
l’orientamento. All’interno della strategia regionale di lifelong
learning l’orientamento rappresenta un fattore essenziale per
l’integrazione dei sistemi oltre che per l’esercizio del diritto di
cittadinanza degli individui. Nell’attuazione degli indirizzi regionali
in merito allo sviluppo del sistema dell’orientamento i CPI possono
giocare un ruolo determinante ancora non pienamente valorizzato. In
particolare occorre investire maggiormente affinché si completi tutto
l’arco potenziale di operatività dei servizi. Anche in virtù del fatto
che i CPI costituiscono la sede naturalmente destinata all’erogazione
di questo tipo di attività, i segmenti dell’orientamento a supporto di
scelte e transizioni in campo professionale e formativo risultano
pienamente presidiati; per contro appare meno consolidato il modello
di raccordo con la scuola e l’università. Tanto in questo caso quanto
negli altri richiamati è possibile attingere dall’esperienza di realtà
in cui sono state osservate pratiche di successo ormai consolidate.
Queste realtà rappresentano infatti un patrimonio prezioso (da
valorizzare e mettere a sistema) da cui prendere le mosse per azioni
volte a generare processi apprendimento organizzativo anche
promuovendo le comunità di pratiche.
Complessivamente emerge come per alcuni settori di intervento
la genericità del quadro degli indirizzi e degli strumenti a sostegno
all’operatività del sistema abbia contribuito ad alimentare
condizioni di incertezza e variabilità nelle procedure e nei modelli
di prestazione. Ciò vale in modo particolare per le funzioni più
complesse che poi sono le stesse che più diffusamente hanno fatto
29
registrare ritardi e differenze nel grado di sviluppo, come nel caso
della promozione e dei servizi rivolti alle imprese nell’ambito
della funzione di matching tra domanda e offerta di lavoro. Più in
generale queste considerazioni valgono per tutti quegli interventi
che travalicano la mera funzione adempimentale, normata da leggi.
è importante infatti sottolineare che nel caso appena richiamato
le cause di questi ritardi devono essere ricercate all’interno di
una pluralità di fattori, anche correlati alle peculiarità del tessuto
produttivo regionale: forte prevalenza di imprese di piccole o
piccolissime dimensioni che generalmente utilizzano canali
informali per il reperimento di personale e che tendenzialmente
presentano una scarsa propensione all’innovazione e allo sviluppo di
strategie strutturate di valorizzazione del capitale umano; a questo si
associa il permanere di pregiudizi nei confronti dei servizi pubblici
per l’impiego, visti come canali inefficienti o come strumenti di
controllo. Ciò detto occorre però sottolineare come i referenti
provinciali reputino necessario per favorire il decollo di queste
attività, la possibilità di operare in modo coordinato, di disporre di
strumenti condivisi (linee guida, descrittori, indicatori e sistemi di
monitoraggio esaustivi, formazione congiunta degli operatori, con
particolare riguardo agli addetti all’aggiornamento delle banche
dati) sulla base dei quali sviluppare modelli di intervento che, pur
salvaguardando il dovuto grado di flessibilità nell’applicazione,
concorrano a rendere più omogenee le modalità di interpretazione
delle norme e di definizione dei processi. In particolare questo è
ritenuto essenziale per le linee di servizio più innovative, per le
aree grigie di intervento che vanno al di là di quanto richiesto o
esplicitato dalle norme. Alla base delle istanze che sono emerse
circa l’opportunità di un’azione di coordinamento regionale c’è la
necessità diffusa di potersi confrontare sui processi, sulle soluzioni
adottate e i risultati raggiunti.
Alcuni intravedono nell’interesse crescente nei confronti
degli strumenti a presidio della qualità dei servizi (certificazione
di qualità, carta dei servizi, rilevazioni di customer satisfaction),
un’opportunità da cogliere gestendo in modo coordinato per tutte
le province l’adozione o l’aggiornamento di questi dispositivi che
per la loro implementazione richiedono innanzitutto uno sforzo
definitorio dei processi, realizzazioni e risultati. Tutti questi passaggi
potrebbero essere proficuamente inseriti in un quadro di raccordo
e coerenza con il processo di definizione dei nuovi indirizzi del
Masterplan 2007-2013.
30
L’ultima considerazione riguarda il rapporto con il territorio. La
possibilità che i CPI evolvano il proprio ruolo verso una funzione
propulsiva di dinamiche positive per la competitività dei territori è
fortemente condizionata dalla loro capacità di agganciare saldamente
gli interventi per l’occupabilità alle politiche di sviluppo locale. In
questa prospettiva, i legami di rete e di cooperazione che i servizi sono
stati in grado di stabilire all’interno della propria area di intervento
rappresentano un fattore di radicamento determinante. Occorre
ricordare, infatti, come il peculiare modello di governance dei SPI in
Toscana, incentrato sulla sussidiarietà, abbia di fatto favorito l’avvio
di relazioni, anche formalizzate, di collaborazione con soggetti che
rivestono un ruolo rilevante nelle politiche di sviluppo e di sostegno
all’occupabilità. Tali reti sono state ampliate anche grazie a iniziative
progettuali che in molti casi hanno dato origine a forme di integrazione
divenute in seguito strutturali.
•• I servizi alle imprese
Come abbiamo già avuto modo di rilevare nel corso di questo
Rapporto, in Toscana la riforma del collocamento, sotto il profilo
del decentramento e del trasferimento delle funzioni, può ritenersi
pienamente compiuta; l’analisi condotta mostra, tuttavia, un sistema
di servizi pubblici per l’impiego ancora fortemente impegnato
nell’obiettivo di consolidare il proprio rapporto con il sistema
economico locale, a partire dalla progettazione dei contenuti e delle
modalità di erogazione di servizi innovativi specificamente rivolti
alle imprese. Se da una parte viene ormai riconosciuto il ruolo
dell’utenza “persona”, non sembra altrettanto maturo il modello di
interazione tra servizi pubblici per l’impiego con l’utenza “impresa”.
Come evidenziano gli studi ISFOL di monitoraggio nazionale dei
SPI, nei primi anni successivi alla riforma si è manifestata in tutte le
aree del paese la tendenza a privilegiare un’ottica orientata all’offerta
di lavoro, piuttosto che alle attività destinate specificatamente
alla domanda. Tale dato, tuttavia, deve tener conto del fatto che, a
differenza di quanto accade per le persone in cerca di un impiego,
non esiste alcun tipo di regolazione normativa che definisca il
rapporto di servizio tra CPI e azienda: le imprese sono infatti
vincolate soltanto in riferimento alle comunicazioni obbligatorie on
line e non esiste un protocollo standard simile a quello definito per i
disoccupati (ad esempio le procedure previste dal D.Lgs. 181/2000
e successive integrazioni) a cui sono collegate una serie di funzioni
e di azioni che i CPI devono erogare alle aziende, entro forme e
31
tempi definiti. Ciononostante è evidente come le attività di raccolta,
pubblicizzazione e diffusione della domanda di lavoro costituiscano
una precondizione funzionale per la “presa in carico” delle persone
(ISFOL 2009). Oltre ai condizionamenti di natura normativa, sulle
attività dei CPI rivolte al versante datoriale influiscono anche fattori
di altra natura, ad esempio culturale/valoriale (per cui prevale tra i
datori di lavoro l’immagine del servizio pubblico ancora condizionato
dalla tradizione del vecchio collocamento) oppure congiunturale
(come l’attuale crisi economica sta evidenziando in termini di forte
riduzione delle richieste di lavoro da parte delle imprese).
Nonostante, tali limiti e vincoli esogeni, il percorso che si è
delineato negli ultimi anni sembra essere quello di un ampliamento
dell’offerta di servizi al “sistema imprese”, tale cioè da contemplare,
oltre alla preselezione e all’incontro domanda-offerta, anche l’analisi
critica dei fabbisogni di professionalità, del territorio in funzione
delle potenzialità di sviluppo aziendali, la progettazione di azioni
formative e/o di riqualificazione-riconversione dei lavoratori in
contesti di crisi e di riorganizzazioni aziendali o settoriali, nella
consapevolezza che, affrontando le difficoltà di reperimento del
personale espresse dalle aziende e prendendo in esame l’evoluzione
dei fabbisogni del mercato nel contesto locale, aumentino
proporzionalmente le possibilità di successo anche dei candidati alla
ricerca di occupazione. Particolare attenzione è stata dedicata da
parte delle province e dei CPI anche alla promozione del servizio,
che viene considerata un’ulteriore leva per potenziare il rapporto con
le imprese, sia in termini “quantitativi”, di ampliamento delle fasce
raggiunte, sia in termini qualitativi, relativamente alla modalità della
percezione dei SPI da parte delle stesse.
Per approfondire la questione relativa alle relazioni tra CPI e
imprese è stata realizzata un’indagine diretta mediante tecnica CATI
ad un campione di 900 imprese estratto dalla banca dati regionale
di imprese che risultano avere usufruito dei servizi di ricerca del
personale e destinatarie di attività di marketing negli ultimi quattro
anni, in modo da indagarne: le caratteristiche aziendali, le motivazioni
del ricorso al CPI o ad altri canali per la ricerca del personale, la
conoscenza dei servizi offerti, il grado di soddisfazione, valutazioni
sul ruolo dei CPI, ecc..
Coerentemente con le caratteristiche della struttura produttiva
della nostra regione, si tratta prevalentemente di piccole e
piccolissime aziende (il 58% ha meno di 9 addetti) anche se non
trascurabile è la quota di imprese che ha dimensioni medio-grandi
32
(l’11% dichiara di avere più di 50 addetti), che presumibilmente
muovono un numero superiore di vacancies. Il dato settoriale
rispecchia sostanzialmente le caratteristiche dell’universo di
partenza, con un’ampia prevalenza di imprese dei servizi (circa due
su tre), seguono le aziende commerciali e del comparto alberghi e
ristoranti, mentre sono sottorappresentate quelle industriali (16%).
Naturalmente correlate con la classe dimensionale sono sia la
dimensione geografica del mercato di riferimento, ampiamente
ancorata al livello locale (51%) e a quello regionale (24%), sia la
scarsa propensione all’innovazione (due aziende su tre dichiarano di
non aver introdotto alcuna innovazione nell’ultimo triennio).
Negli ultimi tre anni si tratta di aziende che hanno effettuato
assunzioni (ben il 72%), concentrate soprattutto in profili mediobassi (commessi, camerieri venditori 34%, operai specializzati
o qualificati 27%, operai generici 16%). Sono anche questi gli
ambiti dove una quota non trascurabile di aziende dichiara di avere
in genere difficoltà di reperimento del personale (circa il 28%).
Ovviamente sulle dinamiche occupazionali future pesa l’attuale
fase congiunturale, come è confermato dal fatto che la quasi totalità
dichiara di non voler procedere ad assunzioni per i prossimi tre anni,
mantenendo stabile l’attuale livello occupazionale (83%) oppure di
ridurlo (8%).
Entrando nel merito dei rapporti tra imprese e CPI, il primo
dato rilevante emerso dall’indagine riguarda l’ampio ricorso ai CPI
come canale per la ricerca di personale: oltre la metà delle aziende
intervistate dichiara di aver utilizzato il CPI come strumento di
reclutamento del personale. Un dato questo che in parte risente delle
caratteristiche dell’universo di partenza, costituito da aziende che
negli ultimi tre anni appunto si erano rivolte ai CPI per attività di
recruiting, ma che a nostro avviso è anche indicativo del progressivo
costituirsi di un nucleo di imprese “fidelizzate” che trovano nei
servizi offerti dai CPI risposte adeguate alle proprie esigenze (come
vedremo in seguito anche in relazione ai buoni livelli di gradimento
dei servizi offerti).
Alle imprese che invece hanno dichiarato di non aver utilizzato
il CPI per la ricerca del personale (circa il 44%), è stato chiesto
di indicare il motivo principale: il 53% dichiara che gli altri canali
sono stati efficaci e dunque non c’è stato bisogno di modificare
strategia di ricerca; il 42% preferisce una conoscenza diretta dei
candidati, esprimendo così un atteggiamento di diffidenza rispetto
alla presenza di un soggetto terzo nel processo di selezione del
33
personale e confermando la centralità che ancora mantengono nel
nostro mercato del lavoro le reti informali.
Il numero e la tipologia di canali che le aziende attivano dipendono
dalle caratteristiche dell’azienda, in particolare la dimensione
aziendale, per cui si registra come al crescere del numero di addetti
aumenta il numero e il mix di canali attivati: il ricorso al canale
pubblico appare più diffuso tra le imprese di minore dimensioni e
tende a diminuire al crescere della dimensione aziendale.
Quali servizi risultano essere stati maggiormente utilizzati? Delle
900 imprese che si sono rivolte ai centri per l’impiego negli ultimi
tre anni, oltre la metà (51%) ha attivato il servizio di avviso di ricerca
del personale, ricorrendo al CPI come canale di pubblicizzazione
dell’offerta di lavoro e ben il 54% ha scelto di fruire di un servizio
a maggior valore aggiunto, cioè la preselezione del personale. Per
contro, ancora limitato risulta il ricorso al servizio di selezione (9%)
e alla consulenza su incentivi e assunzioni agevolate (7%).
Oltre la metà delle aziende che si rivolgono ai CPI, dunque,
utilizzano il servizio di preselezione rispetto al quale tanto le
indicazioni oggettive sul livello di efficacia, quanto le valutazioni
delineano un quadro decisamente positivo. Infatti, tra le imprese che
hanno attivato il servizio di preselezione, soltanto nel 13% dei casi gli
operatori predisposti ad erogare il servizio di preselezione non sono
stati in grado di individuare candidati con profili adeguati rispetto
alle esigenze delle aziende clienti. Tra quelle che hanno ricevuto
un elenco di nominativi oltre i 2/3 dichiara di aver assunto almeno
uno dei candidati scegliendo fra i profili presentati dai SPI; il 21,5%
delle aziende, per contro, dopo aver visionato i profili proposti dagli
operatori del servizio, non ne ha assunto nessuno.
Il dato oggettivo trova conferma nelle valutazioni qualitative
formulate dalle aziende intervistate: oltre un terzo delle aziende si
dichiara molto soddisfatto, il 57% abbastanza soddisfatto, soprattutto
per aspetti relativi alla tempestività del servizio (42%), alla
disponibilità e la competenza degli operatori (27%), all’adeguatezza
delle candidature ricevute rispetto alle richieste formulate (23%), al
numero elevato di curricula ricevuti fra cui poter scegliere (20%).
L’elevato livello di apprezzamento rispetto al servizio offerto
trova conferma anche nel fatto che, nonostante la domanda fosse
stata posta a tutti coloro che hanno utilizzato il servizio, a prescindere
dal giudizio espresso, oltre il 70% delle aziende-clienti non riscontra
alcun motivo di insoddisfazione. Per quanto riguarda le altre -che,
dunque, rappresentano una quota circoscritta della clientela dei CPI34
il principale motivo di insoddisfazione è da ricercare nella qualità
delle candidature individuate dagli operatori (troppo generiche e
inadeguate per oltre il 65% degli intervistati).
Allargando la prospettiva oltre i servizi di incontro domanda offerta
di lavoro, si registra una discreta conoscenza da parte delle aziende
intervistate dell’intera gamma di servizi: informazioni e consulenza
su opportunità formative e tirocini (54%); informazioni e consulenza
su assunzioni agevolate e incentivi alle imprese (52%); informazioni
e consulenza relative al collocamento mirato (49%); informazioni
relative alle comunicazioni previste per legge (46%). Il servizio
meno conosciuto dalle aziende intervistate è quello relativo alle crisi
aziendali (32%). Il grado di conoscenza delle attività svolte da parte
dei CPI a favore delle aziende ovviamente ne condiziona anche il
grado di utilizzo, con livelli di accesso decisamente più contenuti, ma
valutazioni sostanzialmente positive circa l’utilità di tali servizi.
La parte finale del questionario prevedeva una serie di quesiti
volti ad indagare le aspettative delle imprese nei confronti dei
CPI e le possibilità di miglioramento e/o integrazione dei servizi
esistenti. Oltre 1/3 del campione ritiene sia importante investire
sulla capacità dei CPI di offrire informazioni aggiornate sulla
presenza di incentivi alle imprese, così come altrettanto importante
è ritenuto l’informazione relativa alla legislazione in materia di
lavoro e di contratti (27%). Circa ¼ degli intervistati ritiene anche
sia necessario investire su una maggiore diffusione e pubblicità dei
servizi offerti dai CPI.
•• Immigrati e centri per l’impiego
Nel capitolo 6 sono presentati i risultati di un’indagine diretta
volta ad analizzare le peculiarità e le criticità rilevabili nei percorsi
attraverso i quali i CPI cercano di rispondere ai bisogni specifici
espressi dalla componente straniera dell’utenza.
Il primo obiettivo è stato quello di individuare quegli elementi
contestuali che, funzionando come vincoli esogeni rispetto alle
attività messe in campo dai CPI, necessariamente ne limitano
l’azione e, ancora prima, ipotecano per lo più in senso negativo la
qualità dei rapporti intrattenuti con gli iscritti di origine straniera.
Alcuni di questi fattori attengono alle conseguenze della crisi
economica, le quali costringono l’operatività dei CPI entro una
condizione “emergenziale” di fondo, che ne condiziona gran
parte delle scelte strategiche. Altri hanno invece a che fare con le
caratteristiche strutturali delle migrazioni in Italia, in particolare
35
l’accresciuta precarizzazione dei rapporti di lavoro e del sommerso
e l’esasperazione del ruolo già intensamente svolto dalle reti
comunitarie dei connazionali nel tentativo di arginare, appunto,
l’impatto della recessione. Sia il primo che il secondo fattore
accentuano il “tasso” di informalità che si rinviene nei meccanismi
di funzionamento del mercato del lavoro, e quindi determinano
sfavorevoli condizioni di “contorno” dei CPI. La sottolineatura
della natura strutturale di tali fattori è essenziale perché permette di
distinguere le variabili che non sono aggredibili dai SPI, da quelle
che sono invece suscettibili di modifiche ed adattamenti attraverso
misure appropriate.
Successivamente, attraverso la realizzazione di quaranta interviste
qualitative a utenti stranieri, si è cercato di comprendere come e
perché gli stranieri usano i diversi servizi a disposizione. I risultati
dell’indagine diretta hanno evidenziato l’esistenza di differenti
modalità di relazione tra utenza non italiana e CPI: percorsi di tipo
strumentale, cioè basati sulla percezione del passaggio al CPI come
mero adempimento formale, ad esempio nel caso delle richieste di
certificazioni; di tipo marginale, se l’utenza immigrata attua delle
prassi che si limitano all’uso sostanzialmente superficiale dei servizi
di primo livello, come accoglienza ed autoconsultazione delle
offerte di lavoro; mirato, quando accade che gli stranieri si accostino
ai servizi con un obiettivo prefissato, come ad esempio frequentare
un corso di formazione, oppure essere avviati a un’esperienza di
tirocinio, possibilità di cui a volte si è venuti a conoscenza grazie
al passa-parola diffuso nella propria comunità, e che ad ogni modo
denota una rappresentazione delle attività svolte dai CPI più avanzata;
infine, di tipo pienamente consapevole, nei casi in cui, nel tentativo
di sfuggire all’ineluttabilità dei destini lavorativi, solitamente dequalificanti, che si associano all’esperienza migratoria in Italia,
l’approccio ai servizi evoca la disponibilità a mettersi in gioco,
a ripensare la propria occupabilità, a recuperare titoli di studio e
competenze pregresse, riconoscendo nei CPI un soggetto utile per
il raggiungimento di questi propositi. In situazioni di questo genere,
che la ricerca ipotizza essere minoritarie, anche le azioni predisposte
dai Centri si posizionano meglio e hanno una più elevata probabilità
di successo.
L’indagine ha poi consentito di distinguere alcune variabili che
orientano gli utenti immigrati verso le varie tipologie di utilizzo
citate. Ad esempio, è stato riscontrato come -in particolare per le
donne straniere- la precondizione per un uso dei servizi di tipo
36
consapevole sia il poter contare su sufficienti risorse personali o
familiari: rispettivamente, un titolo di studio alto e la presenza di
almeno un altro percettore di reddito all’interno del nucleo.
Lasciando alla lettura del capitolo dedicato ulteriori
approfondimenti, pare comunque opportuno anticipare qui alcuni
“nodi”, cui corrispondono possibili linee di riforma. A partire da una
delle attività core dei CPI: l’intermediazione tra domanda e offerta,
la quale si fonda sulla capacità di intercettare le vacancies per
reindirizzarle ai propri iscritti. E invece, i CPI sono citati tra i canali
meno utilizzati dalle imprese, e peraltro anche dagli stessi lavoratori,
come canale di “successo” per l’incontro tra fabbisogni professionali
espressi dalle imprese, e candidature avanzate da chi è in cerca di
un lavoro. La questione della crescita delle capacità di dialogo e
relazione con le imprese è quindi un aspetto imprescindibile, anche
per assicurare la connessione tra i servizi di orientamento e quelli
di intermediazione, nell’ottica di far guadagnare ai Cpi un modello
operativo più incisivo. Se le due attività resteranno scarsamente
collegate, infatti, sarà difficile rendere traducibile sul piano concreto
il principio della personalizzazione dei servizi offerti, ed il passaggio
dalla comprensione dei percorsi individuali alla loro messa a frutto
sul mercato del lavoro.
La formazione, ovvero il principale strumento per l’aggiornamento
e la variazione delle competenze professionali, appare un’opzione
troppo poco conosciuta e utilizzata, anche per certe modalità
attuative che la caratterizzano e che si dimostrano incompatibili con
le concrete possibilità di frequentazione dichiarate dai lavoratori
stranieri. Nei loro racconti, gli intervistati lamentano il fatto che i
corsi hanno una durata talvolta eccessiva, almeno rispetto alle loro
disponibilità di tempo, o che sono condotti in orari di lavoro e quindi
difficilmente riescono a essere seguiti da chi ha un’occupazione. Non
a caso, le occasioni formative sono sfruttate maggiormente quando
ci si trova in disoccupazione (ma in tal modo, si limita fortemente
la possibilità di intraprendere percorsi professionalizzanti per chi
è già occupato), oppure quando queste sono percepite come un
investimento che darà i suoi frutti a breve, come nel caso dei corsi
per operatori socio-assistenziali o socio-sanitari, molto ricercati
dalle donne immigrate che vi vedono un’opportunità per passare dal
regime di co-residenzialità tipico dell’impiego presso le famiglie, al
lavoro in strutture pubbliche o private.
Il pre-requisito di ogni iniziativa volta ad estendere l’efficacia
delle attività rivolte ai migranti è però il rafforzamento degli
37
strumenti di comunicazione istituzionale, nei confronti di un target
di utenza che indubbiamente ne necessita fortemente, non solo ai
fini di una migliore rappresentazione dell’operato dei CPI e delle
possibilità da questi offerti, ma anche e soprattutto per consentire un
utilizzo appropriato dei servizi. Una più capillare rete di mediatori
culturali, per esempio, e in particolare il suo posizionamento nelle
fasi strategiche del primo colloquio e dell’accoglienza in genere,
aiuterebbe a far prevalere fin dal momento del primo contatto con i
Centri, un atteggiamento che abbiamo definito di tipo consapevole.
•• L’impatto della Cassa integrazione in deroga sull’organizzazione
dei servizi dei Centri per l’impiego
L’aspetto che forse più di altri ha segnato l’attività dei CPI nel corso
del 2009 è rappresentato dalla crisi economica, che ormai dalla
seconda metà del 2008 influisce sulle dinamiche del mercato del
lavoro regionale, da un lato con una forte riduzione della domanda
di lavoro, un incremento delle situazioni di crisi aziendali e delle
richieste di cassa integrazione, dall’altro con la crescita delle persone
in cerca di una nuova occupazione.
Su questo scenario economico e occupazionale si sono
innestate poi le novità normative che a partire dallo scorso anno
sono state introdotte a livello nazionale e regionale per far fronte
all’eccezionalità della crisi in atto. A partire dalla Finanziaria per il
2009 il governo nazionale è intervenuto con provvedimenti specifici
volti a contrastare gli effetti occupazionali derivanti dalla recessione
in atto. In particolare la Legge 2 del 28 gennaio 2009 (e le successive
integrazioni) è intervenuta sulla questione degli ammortizzatori
sociali (in particolare la cassa integrazione), ampliando la platea
dei destinatari e introducendo un collegamento diretto con la sfera
delle politiche attive. Ai sensi dell’Accordo tra Stato e Regioni del
12 febbraio 2009, che prevede l’utilizzo delle risorse regionali del
Fondo Sociale Europeo ad integrazione delle risorse statali, l’accesso
alla CIG in deroga è subordinato alla dichiarazione di immediata
disponibilità al lavoro o a un percorso di riqualificazione professionale
che il lavoratore ha l’obbligo di rilasciare presso i SPI.
L’Accordo quadro per l’erogazione della CIG in deroga del
30 aprile 2009, sottoscritto tra la Regione Toscana, sindacati e
associazioni di categoria (e successive modifiche), estende la
possibilità di usufruire del sostegno a tutti i settori produttivi. A
partire dal 4 maggio 2009, la Regione Toscana riceve e autorizza
le richieste di concessione della CIG in deroga. I lavoratori entro
38
48 ore dall’inizio effettivo della CIG in deroga devono presentarsi
al CPI e, a seconda della durata della sospensione, ricevere misure
ad hoc (stabilite in apposita tabella decretata dalla regione), pena la
decadenza del sostegno.
I CPI sono, dunque, titolari della gestione complessiva degli
interventi di politica attiva che, pur nel rispetto degli standard regionali,
realizzano percorsi personalizzati per ogni singolo cassaintegrato.
Per tutti i lavoratori posti in CIG in deroga, una volta formulata la
dichiarazione di disponibilità, è prevista la formalizzazione del piano
di azione individuale presso i CPI, in modo che sia coerente con il
bisogno effettivo della persona e compatibile con le caratteristiche
del suo stato, soprattutto in riferimento all’effettiva durata e
distribuzione temporale della CIG in deroga. Nell’intero periodo di
operatività di tali disposizioni (dal 1 luglio 2009 al 1 ottobre 2010),
gli sportelli dei CPI hanno ricevuto oltre 27mila lavoratori in CIG
in deroga, cui sono state complessivamente erogate 110.045 azioni
di politica attiva, in media 4 per ciascun lavoratore, con un’ampia
prevalenza delle attività di natura informativa e consulenziale
destinate a tutti i lavoratori indipendentemente dal periodo di cassa
integrazione previsto.
Con l’attivazione della CIG in deroga si è introdotta una policy
che ha complessivamente consentito la salvaguardia dei posti di
lavoro e il reddito di molti lavoratori toscani, oltre al fatto di poter
sperimentare un primo tentativo di avvicinamento delle politiche
passive a quelle attive. Questo ha senza dubbio avuto ripercussioni in
termini di flussi di utenza e di carichi di lavoro, affrontati dai Centri
pressoché con le stesse condizioni strutturali e di organico della
fase pre-crisi. Tuttavia, la rete regionale dei Spi ha mostrato grande
capacità di adattamento: per gli intervistati, in molti casi gli standard
delle prestazioni fornite agli utenti sono quasi paradossalmente
migliorati. Ciononostante, l’immagine restituita dalle interviste
con i funzionari provinciali e gli operatori dei CPI non è priva di
alcuni aspetti di criticità che nel futuro potrebbero essere oggetto di
riflessione e anche di intervento.
In primo luogo è emersa una frammentazione degli interventi di
politica attiva, nei casi in cui le aziende hanno avviato periodi di CIG
in deroga brevi e ripetuti a intervalli di tempo, oppure preventivati
per una certa durata, ma che poi hanno visto le imprese richiamare
al lavoro il personale. In queste situazioni, i CPI hanno avuto
difficoltà a organizzare dei piani di azione individuale coerenti. Si è
reagito cercando delle soluzioni nel contatto diretto -in una migliore
39
comunicazione- con le imprese, oppure approntando una gestione
dell’“agenda” delle azioni erogate, anche di tipo innovativo. Per il
futuro, questo resta comunque un punto su cui lavorare.
In secondo luogo, a fronte dell’ipotesi di rinnovare un importante
strumento come la CIG in deroga, si pone la questione di come
rendere maggiormente sostenibile per i CPI lo sforzo che ne deriva,
in termini di risorse umane e finanziarie impegnate -inadeguate,
secondo l’opinione dei responsabili- e quindi nell’ottica di garantire
gli utenti “ordinari” da un effetto-spiazzamento che l’afflusso dei
lavoratori in CIG in deroga ha determinato.
40
Parte I
Il sistema regionale dei Servizi per l’impiego
2.
Il sistema dei Servizi per l’impiego della Toscana
all’interno del quadro nazionale
2.1
Introduzione
Prima di delineare il posizionamento dei SPI toscani nel quadro
nazionale, è opportuno spendere alcune parole in merito alle
dimensioni geografiche e amministrative di riferimento e agli
indicatori utilizzati nelle pagine seguenti.
Una prima domanda da porsi potrebbe formularsi nel modo
seguente: “a quale «paradigma di riferimento» ricondurre una
osservazione ragionata, in grado cioè di fornire una risposta al
bisogno di autorappresentazione di un sistema regionale?”.
L’individuazione di un paradigma di riferimento dovrebbe,
anzitutto, tener conto di un elemento di natura generale, attinente al
percorso di sviluppo del sistema di erogazione delle politiche attive
del lavoro in Italia. Altresì esso dovrebbe tener conto di un secondo
elemento di natura congiunturale, relativo cioè alla pressione derivante
dal contesto economico (repentinamente deterioratosi) nel quale i
SPI operano. Un ulteriore elemento, derivante dalla combinazione
dei primi due, è costituito dalle “attese” recentemente sviluppatesi
sul piano normativo/operativo nei confronti dei SPI, in risposta alla
congiuntura mutata per effetto del loro organico coinvolgimento
nelle misure di intervento previste a livello nazionale.
La risposta ad una simile questione dovrebbe sostanzialmente
tener conto del fatto che:
-- i SPI sono al termine di un processo di sviluppo intrapreso 10 anni
or sono. Dopo una fase di natura “fondativa”, essi attraversano
una incerta e non molto dinamica fase di consolidamento generale,
solo recentemente richiamata ad un più sistematico ordine, per
effetto del deterioramento del quadro economico;
-- sono stati da ultimo chiamati a rappresentare la loro più o
meno sviluppata capacità di supportare l’attuazione di politiche
nazionale e locali, e questo dato costituisce un banco di prova del
cammino prodottosi nell’ultimo decennio.
43
È sotto gli occhi di tutti che il sistema nazionale dei SPI risenta
dell’assenza di un quadro nazionale di riferimento che aggiorni e
attualizzi il tenore del vecchio Masterplan del 2000, che risultava
orientato alla individuazione di parametri (e di relativi indicatori di
avanzamento e risultato) in grado di codificare per tappe successive
il processo di “fondazione” dei sistemi locali dei spi, ponendo
l’attenzione sugli elementi logistico-organizzativi, informatici,
nonché su quelli attinenti la qualificazione del capitale umano e
sulla fondazione ex novo di servizi innovativi (rispetto all’offerta
funzionale del vecchio collocamento).
Nel corso dell’ultimo decennio, il quadro è profondamente
mutato sulla scorta di una produzione normativa che ha definito
ed esplicitato i contorni del sistema SPI così come attualmente
conosciuto5. La progressiva attività di recepimento regionale e locale
delle norme nazionali, con la messa a regime dei sistemi decentrati e
la definizione di modelli di servizio e di intervento, rende necessario
adottare un’osservazione più aderente ad una realtà “maturata” o
comunque uscita dalla sua fase meramente fondativa. Appare dunque
opportuno rivolgersi ad aspetti salienti, relativi:
-- alla capacità dei CPI e dei sistemi locali di offrire combinazioni
di servizi coerenti con i modelli di “presa in carico dell’utenza”
previsti dai citati D.Lgs. 181 e 297;
-- alla capacità di intervenire in senso complementare e integrativo
nei confronti della normativa nazionale, adottando opportune
strumentazioni di trasparenza nel rapporto con l’utenza, in modo da
affinare la capacità di intervento e di incardinarne la realizzazione
in un quadro di mutua (ancorché asimmetrica) responsabilizzazione
delle parti (es. adozione di patti di servizio).
Conseguentemente, a queste considerazioni dovrà risultare
ispirata la scelta degli indicatori da utilizzare.
Nella logica di forte decentramento organizzativo che i sistemi
regionali hanno perseguito, altrettanto saliente appare il ricorso a
indicatori in grado di cogliere il dispiegarsi della dialettica istituzionale
decentrata, intercorsa negli anni tra Regioni, Province e CPI, ossia tra
5
Tra il 2000 e il 2002 si è, anzitutto, regolato il plesso delle procedure di accertamento della
disoccupazione, definendo accanto ad esse un corollario operativo costituito dai “tempi e modi di accesso
ai servizi di politica attiva offerta dai CPI” (D.Lgs. 181 e 297). Nello stesso tempo si è concluso il processo
di decentramento istituzionale, con la riforma del Titolo V della Costituzione e l’introduzione di una forte
componente d’azione di esclusiva competenza locale nella gestione di queste materie. Nel biennio 20032004, con il D.Lgs. 276/03 e s.m., si è conclusa la fase di liberalizzazione e regolazione del mercato misto
“pubblico-privato” dell’intermediazione, ancora largamente inapplicata al livello locale. Infine, negli ultimi
anni si è potuta osservare una fase, collocabile tra il 2007 ed il 2009, di revisione e profonda (nonché
motivata) attualizzazione del ruolo dei SPI in un quadro di stringente emergenza economica.
il livello programmatorio e attuativo degli indirizzi di funzionamento
dei SPI (appannaggio di Regioni e Province) e il livello di erogazione
effettiva dei servizi alle persone e ai datori di lavoro.
In sostanza il rapporto tra “precondizioni istituzionali
e
organizzative”
soddisfatte
al
livello
provinciale/
regionale (a seconda degli ambienti operativi, e dei contesti
istituzionali analizzati) e “livelli di servizio” espressi dai CPI,
consente di cogliere, al di là della mera offerta funzionale
-che costituisce il “prodotto finito” di un processo organizzativo
dai molteplici e articolati passaggi- alcuni elementi del disegno
istituzionale che presiede il funzionamento dei sistemi e la loro
funzionalità.
Fatto salvo il palinsesto operativo costruito attorno alla “presa
in carico” dell’utenza, il rapporto tra precondizioni istituzionali
e organizzazione dell’offerta funzionale permette di spingere
l’osservazione alle c.d. funzioni di raccordo6, in una duplice
declinazione. Per ciò che attiene ai servizi alla persona, ad esempio,
esso è rivolto al raccordo tra SPI e formazione professionale. Si
tratta di un punto di intersezione attinente allo sviluppo dell’offerta
di filiere personalizzate di politiche attive che richiama molteplici
aspetti relativi all’ingegneria istituzionale e finanziaria che
presiedono al funzionamento delle istituzioni del lavoro. Tra
questi, vale la pena di richiamare: l’integrazione degli interventi,
la razionalizzazione e ottimizzazione dell’uso di risorse finanziarie,
la pianificazione delle attività partendo dai “fabbisogni individuali
degli utenti” piuttosto che dalla “potestà dei singoli settori
dell’Amministrazione” su determinati segmenti di politiche.
La crescente attenzione alle filiere di servizio finalizzate
alla profilatura, diagnostica e miglioramento dell’occupabilità,
ovvero alla predisposizione di azioni per la riqualificazione e la
ricollocazione delle persone nel mercato del lavoro, richiama
una seconda “gamba” del funzionamento del sistema SPI nel
suo complesso. Si tratta dell’area costituita dalle filiere di servizi
propedeutici e funzionali alla intermediazione tra domanda e
offerta di lavoro, che, più in generale, costituiscono il versante
del c.d. raccordo con la domanda di lavoro. L’area dei servizi di
intermediazione costituisce il complemento alla realizzazione mirata
La centralità di tali funzioni è stata progressivamente richiamata negli anni successivi al 2007 (con
riferimento al “Protocollo sul welfare” e alla L. 247/2007) e almeno in parte, con un certo grado di rilievo,
nella più recente normativa nazionale (con riferimento alla L. 2/2009 che, per certi aspetti, può a ben vedere
costituire un quadro logico “maturo” del funzionamento e degli obiettivi dei SPI ancorché dettato da un
forte elemento di contingenza).
6
45
delle attività rivolte all’offerta di lavoro, attraverso l’acquisizione
di un bagaglio informativo proveniente direttamente dal segmento
di mercato datoriale che si rivolge ai SPI, nell’ambito delle proprie
strategie di reclutamento. Ma non solo. Basti pensare, in tal
senso, all’apporto informativo e conoscitivo delle caratteristiche
e degli andamenti dei mercati locali del lavoro che la normativa
sulle Comunicazioni Obbligatorie (D.M. 30 Ottobre 2007) ha
configurato, ampliando tali procedure anche a tipologie di lavoro
(parasubordinate, forme associate, ecc.) precedentemente escluse
dall’imputazione amministrativa.
La filiera di funzioni finalizzate alla costruzione di processi di
intermediazione richiama e combina differenti capacità di azione
politica e organizzativa dei sistemi locali:
-- funzioni di governance (ad es. attivazione e animazione di
reti territoriali finalizzate alla condivisione di basi informative
qualificate sul mercato del lavoro, ovvero all’intervento
combinato e integrato in caso di crisi aziendali o difficili
condizioni congiunturali);
-- funzioni di presidio informativo (intelligence) del mercato del
lavoro (ad es. sviluppo di prassi volte alla esplicitazione di
eventi informativi, nonché alla raccolta, stoccaggio e riutilizzo
di informazioni amministrative e non, relative al mercato del
lavoro).
Tali attività possono produrre ricadute sensibili per la trasparenza
del mercato del lavoro locale, sia in termini di circolazione delle
informazioni istituzionali, amministrative e statistiche, sia in termini
di possibilità di codificare percorsi individuali, accesso ai servizi e
tempi di erogazione degli stessi (orizzonte, quest’ultimo, ancora
futuribile su scala nazionale) da parte di datori di lavoro e persone.
Ciò sta a significare che esse possono considerarsi alla stregua di
eventi ai quali è possibile attribuire un elevato grado di significatività.
Come si potrà osservare, infatti, esse costituiscono il prodotto di
processi organizzativi e filiere di attività che si snodano lungo diversi
livelli amministrativi, ovvero coinvolgendo il lavoro di una vasta
rete di attori, oppure ancora presupponendo e/o richiamando azioni
organizzative e amministrative di una certa complessità, tenendo
presente l’ambiente organizzativo mediamente presente nei sistemi
amministrativi decentrati.
Gli ambiti di osservazione ora elencati possono costituire un
primo canovaccio di riferimento per un’analisi dei sistemi locali per
l’impiego in grado di tener conto, almeno in parte, della maturazione
46
da essi conosciuta in larga parte del territorio nazionale nel corso
dell’ultimo decennio. Essi costituiranno, pertanto, lo sfondo nel
quale si procederà all’esercizio di posizionamento del sistema
toscano dei SPI.
In merito alle dimensioni amministrative e geografiche utilizzate,
oltre al livello nazionale nel suo complesso, si farà ricorso a ulteriori
dimensioni di dettaglio, la cui scelta è ragionata sulla base di due
criteri: un primo è quello geografico-amministrativo, talché è
possibile rilevare che il quadrante Centro Nord del Paese costituisca
il milieu di più immediato e coerente riferimento per il sistema
toscano, per dinamiche del mercato del lavoro, omogeneità di
tipologia di finanziamenti ricevuti in ambito SPI, livelli complessivi
di performances e capacità di conduzione e finalizzazione
dell’azione amministrativa. Un secondo criterio è quello della
coerenza organizzativa e funzionale, oltreché istituzionale, per cui
un secondo livello di raffronto sarà garantito dalla costituzione
di un gruppo di confronto, costituito da un insieme di tre sistemi
regionali per l’impiego (Emilia-Romagna, Veneto e Piemonte) che,
per posizione geografica, numerosità dei CPI, popolosità dei bacini
di utenza e affinità di condizioni del mercato del lavoro, costituisce
il più immediato riferimento per il sistema SPI della Toscana.
L’osservazione, infine, combinerà tra di loro due ordini di criteri:
il primo è quello relativo alla relazione che intercorre tra la presenza
di comportamenti istituzionali dei livelli regionale e provinciale e
un dato disegno dell’offerta funzionale; il secondo è quello relativo
alla distinzione tra filiera dei servizi alla persona e filiera dei servizi
ai datori di lavoro.
2.2
Presentazione del sistema regionale
Sul piano del dimensionamento fisico e amministrativo, la Toscana
costituisce uno dei principali sistemi locali per l’impiego di dimensioni
medio-grandi, con i suoi 40 CPI, pari al 7,5% del totale nazionale
(539) e a ben il 44% del totale dei CPI dell’Italia centrale (91).
Il profilo della sua geografia amministrativa appare moderatamente
“multipolare”, caratterizzato cioè da una distribuzione dei CPI lungo
più poli provinciali, alcuni dei quali aventi una relativa consistenza,
anche per ciò che attiene il peso specifico del bacino di popolazione
residente servita.
47
Simili considerazioni possono essere tratte dalla tabella 2.1,
nella quale sono raggruppati i sistemi regionali che, per dimensioni
amministrative e fisiche7, costituiscono il più immediato riferimento al
sistema toscano e tra le quali sarà selezionato il gruppo di confronto.
Tabella 2.1 Sistemi regionali per l’impiego: distribuzione delle grandezze fisiche e
amministrative
N. CPI
Incidenza bacino
d’utenza della
provincia capoluogo
Val. ass.
Val. %
Toscana
40
Lazio
32
Emilia Romagna
38
Piemonte
29
Veneto
41
Fonte: ISFOL - Monitoraggio SPI, 2008
Incidenza bacino
d’utenza: media
altre province
Val. %
N. cpi provincia
capoluogo
% su tot. CPI
Val. ass.
Val. %
8,2
6,8
9,6
7,2
13,7
9
16
7
13
6
22,5
50,0
18,4
44,8
14,6
26,6
73,9
22,9
49,9
18,0
La tabella, infatti, propone un’osservazione combinata della
distribuzione del bacino d’utenza e delle strutture lungo la coppia
dicotomica “sistema provinciale capoluogo/sistemi provinciali
non capoluogo” per ciascuna regione. Sono assunti quali indicatori
specifici l’incidenza della provincia capoluogo tanto in termini di
popolosità di bacino, quanto in termini di popolosità delle strutture
ad essa afferenti, e l’incidenza media delle province non capoluogo di
ogni regione in termini di bacino d’utenza. è evidente il configurarsi
di due tipologie: una prima con caratteristiche “distribuite”, sebbene
secondo modalità differenti, che accomuna Toscana, Emilia
Romagna e Veneto; una seconda tipologia con una fisionomia più
marcatamente “polarizzata”, che accomuna Lazio e Piemonte.
Il raffronto del sistema provinciale capoluogo e di quelli non
capoluogo consente di dettagliare i profili emersi: nel caso della
prima tipologia si segnalano modesti valori di incidenza assoluta
del bacino d’utenza del sistema provinciale capoluogo, compresi tra
18% e 26,6% a fronte di valori medi espressi dalle restanti province
senz’altro inferiori (tra 8,2% e 13,7%). È il profilo della Toscana a
risultare moderato, con il più alto valore di incidenza della provincia
capoluogo ed il più basso valore medio delle province non capoluogo.
All’opposto, il profilo distributivo più “accentuato” è quello del
Veneto, dietro ai cui valori (18% di incidenza della provincia
Si tratta di sistemi regionali SPI che, come quello toscano, risultano compresi in una classe di numerosità
di bacino d’utenza compresa tra 2,3 e 3,4 mln di abitanti in età attiva (15-64 anni) e in una classe di
numerosità di CPI compresa tra 29 e 41 strutture per regione.
7
48
capoluogo e 13,7% di incidenza media delle restanti) si cela una
realtà territoriale avente ben cinque poli provinciali (capoluogo
compreso) di consistenza amministrativa equivalente (con valori
compresi tra il 17,5% e il 18,8% del bacino d’utenza complessiva).
Nel caso della seconda tipologia, si osservano proporzioni
nettamente invertite, con i sistemi provinciali capoluogo in grado di
costituire dei veri e propri poli maggioritari (è il caso del Piemonte)
o prevalenti (è il caso del Lazio, con tre quarti della massa
amministrativa orbitante nel sistema romano).
Conseguentemente diversificata appare l’incidenza dei sistemi
capoluogo in termini di consistenza “fisica” (è calcolata la percentuale
del numero di CPI afferenti alla provincia capoluogo sul totale dei
CPI regionali in ciascun caso), prevedibilmente dimensionata sul
profilo amministrativo e distributivo emerso.
Una simile analisi costituisce un complemento puramente
indicativo e compilativo delle caratteristiche fisiche di un sistema
locale. Ben altro spessore informativo è possibile ricavare
dall’osservazione della interazione dei sistemi locali per l’impiego
-con la propria struttura e dotazione organizzativa- con i mercati del
lavoro di immediato riferimento, in particolare con la domanda di
servizi da essa espressa.
Anche in questo caso sono state individuate due dimensioni fisiche
una, per così dire, “endogena” al sistema, ed un’altra “esogena”.
La prima è costituita dalla numerosità del personale attivo presso
i CPI8, così come dichiarato dalle stesse strutture per l’impiego nel
corso della rilevazione ISFOL, articolata per composizione della
dotazione organica in ciascun sistema (totale degli addetti e dettaglio
dei consulenti/collaboratori) e per distribuzione media della stessa
per ciascun CPI. È innegabile che il riferimento alla consistenza del
personale di natura consulenziale costituisca un primo indicatore
(tutto sommato ancora valido) della esposizione a fonti finanziarie
non istituzionali, e dunque a possibili incognite legate alla variabilità
e disponibilità di esse in una prospettiva di consolidamento dei livelli
organizzativi e di performance.
La seconda è costituita dal valore medio del numero di contatti
avuti nell’ultimo mese da ciascun sistema considerato, tratto dalla
Rilevazione Continua delle Forze di Lavoro dell’Istat. Per “contatto”
si intende un’ampia gamma di modalità di interazione del singolo
con la struttura per l’impiego che, pur non essendo comparabile per
Il dato rilevato è relativo ai CPI e alle sedi ad essi collegati (es. sportelli comunali, ove presenti, sedi
distaccate, recapiti periodici, ecc.).
8
49
ampiezza e consistenza con i dati di flusso amministrativi presenti
negli archivi dei SPI, tuttavia, ha il pregio di essere costruito in modo
omogeneo per tutto il territorio nazionale.
Il sistema toscano (Tab. 2.2) risultava composto da 720 addetti
operanti nei 40 CPI attivi, con una media di 18 addetti per CPI,
superiore sia a quella delle regioni del Centro Nord, sia a quelle che
compongono il gruppo di confronto (in entrambi i casi pari a 15,4, a
fronte di un dato medio nazionale di 18,6 addetti per struttura).
Tabella 2.2 CPI: composizione del personale, media per CPI, stima dei volumi di attività
Valori assoluti e %
Addetti
Val. ass.
Di cui collaboratori o
consulenti
Val. ass.
Val. %
Toscana
720
320
44,4
Centro Nord
4.874
1.004
20,6
Gruppo di confronto
1.677
347
20,7
Italia
9.989
2.014
20,2
Fonte: ISFOL - Monitoraggio SPI, 2008; Istat - RCFL, 2008
N. CPI
Val. ass.
Media
addetti
per CPI 40
317
109
537
18,0
15,4
15,4
18,6
Contatti nelle 4 sett.ne
precedenti
Per CPI
Per addetto
797,3
734,5
658,1
812,7
44,3
47,8
42,8
43,7
Tale dato propone una dicotomia rovesciata, tipica del sistema
nazionale dei SPI, in cui i sistemi locali del Mezzogiorno -caratterizzati
da un profilo funzionale più minimalista e adempimentale ancorché
operanti in mercati del lavoro tradizionalmente meno competitivicontano una maggiore numerosità media di addetti per struttura
(23,4), sebbene caratterizzati da una quota di personale consulenziale
leggermente inferiore (19,7%).
In termini di composizione delle risorse umane attive presso i
CPI, il sistema toscano si differenzia fortemente rispetto sia al dato
nazionale che ai dati del Centro Nord e del gruppo di confronto: ben 4
addetti su 10 in Toscana sono fuori organico, a fronte di appena 2 nel
resto del Paese.
Se, come si potrà osservare, questo insieme di evidenze consente
al sistema regionale toscano di sopportare, almeno sulla carta, carichi
specifici di lavoro più consistenti di quelli dei quadranti di immediato
riferimento, esso mette in evidenza un dato che, nell’ultimo decennio
di storia dei SPI riformati, ha caratterizzato -diventandone pressoché
un tratto organico- il profilo di funzionamento del sistema pubblico
italiano per l’impiego: si tratta della forte dipendenza dalle fonti di
finanziamento non a carattere istituzionale, qui colta solo sul versante
della composizione delle risorse umane, ma ancor più evidente laddove
si sposti l’attenzione al tema del finanziamento degli interventi e dei
progetti di politica attiva del lavoro.
50
La seconda dimensione di analisi attiene alla “pressione ambientale”
generata dal contesto di riferimento nel quale i sistemi regionali
operano. Sono considerati i valori medi annuali dei contatti, quali
che siano, avuti dagli intervistati nelle quattro settimane antecedenti
l’indagine. L’interazione tra questa stima della domanda di servizi e
il plesso organizzativo dei CPI è osservata attraverso due chiavi di
lettura: quella della numerosità del personale e quella della numerosità
degli uffici territoriali che compongono i sistemi regionali. Si ribadisce
il valore esclusivamente indicativo di tali dimensioni: in particolare,
è doveroso sottolineare come il dato della numerosità delle risorse
umane, singolarmente considerato, poco può dire dell’effettivo impatto
organizzativo che il quotidiano carico di lavoro esercita sulle strutture.
Oltre alla notevole variabilità della consistenza organizzativa dei CPI9,
occorre considerare, peraltro, che essi insistono su bacini di utenza
diversificati, dispongono di una struttura organizzativa e funzionale
della quale, in queste pagine, ci si limita ad una osservazione, per così
dire, “orientativa”, cioè basata su valori medi. Tanto più che, vista la
pluralità di servizi e il loro diverso grado di complessità, è possibile
assumere che il peso specifico del volume d’utenza risulti differente a
seconda che si tratti di servizi immediati (es. informazione) o altamente
personalizzati (orientamento, counselling)10.
Le ultime due colonne della tabella 2.2 stimano in 797,3 contatti
avvenuti nelle quattro settimane precedenti la rilevazione, il carico di
lavoro che mediamente nel 2008 ha caratterizzato il sistema regionale
toscano dei SPI. Si tratta di un valore complessivamente più elevato
rispetto al dato del Centro Nord (734,5) e a quello del gruppo di
confronto (658,1), ma inferiore al dato complessivo nazionale (812,7
contatti per CPI).
Se le strutture toscane appaiono dunque conoscere un maggior
grado di sollecitazione dal proprio territorio, è pur vero che il
sovradimensionamento relativo riscontrato in termini di numerosità
e articolazione delle risorse umane, rispetto a quelle del Centro Nord
Se dall’osservazione dei valori medi si sposta l’attenzione agli estremi delle singole distribuzioni (cioè
al n. massimo e al n. minimo di risorse umane presenti nei CPI in ciascuna ripartizione) si osserverà la
giustapposizione di realtà fortemente differenziate tra loro: in Italia e nel Centro Nord, infatti, il numero di
addetti presenti nei CPI oscilla da un minimo di 2 ad un massimo di 85; nel gruppo di confronto si oscilla
da 3 a 85 unità. In Toscana, tale dato oscilla da un minimo di 6 ad un massimo di 62 addetti, il che attesta
una distribuzione eterogenea, ma relativamente meno polarizzata del personale.
10
Il carico su ciascun addetto, prendendo come riferimento la media, costituisce un riferimento indicativo:
sovrastimato nel caso di operatori che presiedono la gestione di servizi specialistici (cioè relativi ad una
domanda di secondo livello, posteriore al primo contatto dell’utente con il CPI); sottostimato nel caso di
quegli operatori che gestiscono i servizi di primo contatto (e che fungono da filtro con l’utenza, indirizzandola
de visu, ma anche telefonicamente, verso gli altri servizi). Tale dato, tuttavia, risulterà immediatamente
riconducibile alle considerazioni effettuate pocanzi in merito alla composizione e consistenza del plesso
di risorse umane.
9
51
e del gruppo di confronto, agisce prevedibilmente nel senso di un
riequilibrio dei carichi individuali stimati: si oscilla da un minimo di
42,8 ad un massimo di 47,8 contatti/addetto, con i SPI toscani che si
attestano ad un valore intermedio di 44,3.
Pur con tutti i caveat considerati, è possibile dunque osservare che la
maggiore sopportabilità, da parte del sistema regionale, di un carico di
lavoro più elevato è ottenuta alla condizione di una proporzionalmente
maggiore dotazione di risorse umane disponibile, dovuta ad una
elevata componente di figure professionali fuori organico.
Le esperienze di analisi del sistema nazionale dei SPI realizzate
nell’ultimo decennio dall’ISFOL hanno permesso di poter associare,
con un buon grado di approssimazione, la componente di personale
costituita da consulenti/collaboratori ad un plesso di risorse umane più
qualificate, spesso dedicate all’espletamento di servizi consulenziali o
altamente specializzate. Quanto questa descrizione possa attagliarsi
anche al caso qui considerato è questione che potrà solo in parte essere
affrontata nell’osservazione dell’offerta funzionale dei CPI regionali,
soprattutto nel caso delle filiere funzionali più complesse (ad esempio
relative alla domanda di lavoro).
2.3
Servizi alla persona
Un primo livello di osservazione è rappresentato dalla presenza di una
serie di parametri e condizioni istituzionali che consentono ai CPI di
attenersi al disegno operativo ed istituzionale previsto dalla normativa,
ossia alla possibilità di offrire all’utenza, che abbia manifestato
la propria disponibilità alla ricerca attiva, interventi finalizzati
all’accompagnamento nel mercato del lavoro, al miglioramento delle
competenze, all’inserimento lavorativo e alla riduzione dei tempi di
permanenza nella disoccupazione.
Le tabella 2.3 propone un’analisi di alcuni dei principali parametri
attraverso i quali delineare il grado di diffusione delle condizioni
istituzionali per l’operatività dei CPI.
Tra questi figura l’avvio delle procedure di “presa in carico dei
disoccupati” regolate dal D.Lgs. 181/2000 e s.m., la cui presenza è
indice dell’avvenuto recepimento a livello locale della norma nazionale
e dell’avvio di processi di adeguamento organizzativo, informatico
e funzionale delle strutture locali alle modalità di funzionamento
previste dalla norma.
52
Tabella 2.3 Sistemi per l’impiego provinciali: condizioni istituzionali per l’erogazione di
politiche attive integrate
Valori assoluti e %
Avvio procedure di Stipula del
presa in carico dei patto di servizio
disoccupati (art. 3 con l’utenza
D.Lgs. 297/02)
N. % riga
N. % riga
Iniziative di Erogazione Attivazione Raccolta dei dati
raccordo con
voucher
pacchetti on amministrativi
la formazione
demand
dei CPI
professionale
N. % riga
N. % riga
N. % riga
N. % riga
Toscana
10
100,0
10 100,0
8 80,0
Centro Nord
64
97,0
57 86,4
54 81,8
Gruppo di confronto
24
100,0
23 95,8
22 91,7
Italia
90
88,2
71 69,6
61 59,8
Fonte: ISFOL - Monitoraggio SPI, 2008
7
31
10
35
70,0
47,0
41,7
34,3
5
35
17
36
50,0
53,0
70,8
35,3
10 100,0
65 98,5
24 100,0
93 92,1
La previsione della stipula del patto di servizio con l’utenza,
per contro, attiene alla presenza di normative regionali -ulteriori
e complementari a quella nazionale- che hanno, nel corso degli
anni, agito in forme surrogatorie e di completamento ad un disegno
nazionale (quello del D.Lgs. 181/2000 e poi del successivo 297/2002)
sul quale, peraltro, solo recentemente si è soffermata l’attenzione del
legislatore (con interventi di razionalizzazione e armonizzazione con
la normativa relativa alla condizionalità nel godimento di trattamenti
di indennità).
Infine, un grande dettaglio è stato dato al raccordo tra SPI e
formazione professionale e alle sue modalità di applicazione11, che
costituiscono il perno attorno al quale si realizzano forme di sinergia
e integrazione tra sistemi in grado di offrire politiche complementari
(orientamento, consulenza e inserimento lavorativo i SPI, formazione
e aggiornamento il sistema della formazione professionale), la
cui effettività può rendere più competitiva l’offerta del sistema di
politiche attive non solo nei confronti dell’utenza individuale, ma
anche delle imprese.
La disamina delle condizioni di attuazione di questo raccordo
prende in considerazione la possibilità di un’allocazione efficiente
di risorse provenienti da settori diversi (SPI e FP), attraverso uno
sforzo progettuale ed una vera e propria sinergia istituzionale che si
manifesta nella possibilità di erogare voucher formativi attraverso
i CPI.
Vale la pena di osservare come la Legge n. 2/2009 sembra conferire -pur nel quadro di interventi
fortemente dettati dall’attuale congiuntura economica- un rilievo precedentemente sconosciuto a questo
snodo. Significativa, in tal senso, è la previsione, anche per i percettori di sussidi, di un protocollo speculare
a quello già previsto dal D.Lgs. 181/2000 per le persone in cerca di lavoro, mediante resa ai CPI di una
dichiarazione di disponibilità “al lavoro o a un processo di riqualificazione professionale”, armonizzandolo
chiaramente con il dettato della normativa vigente in queste materie; (art. 19 Co 1-bis); ne deriva il conseguente
ampliamento delle fattispecie di revoca della DID al rifiuto di un’offerta congrua di riqualificazione (con
conseguente decadenza dalla percezione di un sussidio economico); (art. 19, Co. 1-bis e Co 10).
11
53
Inoltre essa prende in considerazione la possibilità di rendere
più tempestiva l’offerta formativa al manifestarsi dei fabbisogni
dell’utenza, osservando la messa in opera di pacchetti formativi
attivabili direttamente dai SPI sulla base della diagnosi e della
relativa pianificazione dei percorsi individuali.
In generale, è possibile osservare (cfr. Tab. 2.3) come il grado
di soddisfacimento delle “condizioni istituzionali” ora presentate
conosca al livello nazionale un andamento assai altalenante e
decrescente man mano che dall’esplicito dettato normativo nazionale
(“avvio delle procedure di presa in carico dei disoccupati”) si passa
ad ambienti istituzionali forse meno espliciti (come il raccordo con
la formazione professionale), benché indirettamente richiamati da
esso. Se 90 province su 102 (88,2%) hanno avviato le procedure di
richiamo e scrematura dell’utenza da avviare a percorsi di politica
attiva, soltanto 61 hanno realizzato una qualsiasi iniziativa di raccordo
con la formazione (59,8%). Tale valore si riduce a poco più di un terzo
del totale tra quelle che hanno predisposto specifiche strumentazioni
(voucher formativi o pacchetti formativi attivabili dai CPI) in grado
di rendere più fluida ed incisiva l’azione dei CPI. L’intervento della
legislazione regionale a favore di strumenti di trasparenza e di
maggiore condizionalità nel rapporto con l’utenza (patto di servizio,
PAI) risulta circoscritto a poco più dei due terzi delle province italiane,
per la maggior parte concentrate nelle aree obiettivo 2.
In questo quadro il profilo toscano si presenta senz’altro
sovraordinato, laddove si possono considerare acquisiti gli elementi
relativi alle principali direttrici di funzionamento “maturo” dei
sistemi per l’impiego: se totalitaria è la soddisfazione delle condizioni
relative alla “presa in carico” dell’utenza e alla stipula del patto di
servizio, su valori significativi si attesta la realizzazione di iniziative
istituzionali di raccordo con la formazione (8 province su 10),
poggiante su una relativamente diffusa propensione alla previsione,
in fase di progettazione integrata o programmazione di risorse, di
specifiche strumentazioni di supporto.
In particolare, all’epoca della rilevazione risultavano predisporre
misure per la gestione dell’erogazione di voucher formativi da parte
dei CPI, 7 province su 10, mentre in 5 si realizzava la possibilità
di attivare pacchetti formativi on demand: comunque, in 5
province su 10 (sono circa il 71% di quelle che erogano voucher
formativi) si riscontra l’adozione di entrambe le strumentazioni,
dunque il doppio ricorso ad una leva finanziaria e strumentale
funzionale alla possibilità per i CPI di poter svolgere una funzione
54
attiva nell’accompagnamento degli utenti nella transizione tra
le politiche del lavoro e quelle formative. Si tratta di un dato più
alto rispetto alle altre circoscrizioni geografiche considerate, nelle
quali la combinazione delle due leve programmatorie (finanziaria
e strumentale) è riscontrabile in una quota oscillante tra il 24,5%
(Italia) e il 37,5% (Centro Nord) dei sistemi provinciali, con il
gruppo di confronto attestato appena al di sopra dei livelli medi
(36,4%). In questo senso, non si ritiene certo che il numero faccia
necessariamente sostanza, ma si intende sottolineare come vada
affermandosi la tendenza ad una diversificazione di strumenti, dettata
dalla possibile combinazione di fonti di finanziamento comunitario
(comunque prevalente in questo ambito) afferenti a specifici target
(vecchia programmazione) o a dettagliati ambiti di intervento (nuova
programmazione), eletti a priorità nell’azione locale.
Un ulteriore aspetto è quello relativo al trattamento delle
informazioni e allo sviluppo di specifiche attività, e relative capacità
organizzative e operative, anche in prospettiva di riutilizzo in chiave
di programmazione e pianificazione. La progressiva e faticosa
messa a regime di sistemi informativi del lavoro -che tanto su scala
locale quanto a livello nazionale, ha accompagnato il percorso
di sviluppo dei SPI nell’ultimo decennio- ha reso opportuno
prendere in considerazione un indicatore assai minimalista. Esso è
individuato nella presenza, presso i sistemi provinciali, di attività
di mera raccolta dei dati amministrativi provenienti dai CPI. Il dato
riportato nell’ultima colonna della tabella 2.3 evidenzia una certa
diffusione delle attività di raccolta delle informazioni amministrative
relative agli ingressi e alle uscite dalla disoccupazione, nonché alla
movimentazione connessa alle comunicazioni obbligatorie che
i datori di lavoro sono tenuti per legge a presentare ai CPI. Nel
complesso, più di nove province su dieci dichiarano di attivare
-quale che ne sia la forma- una simile attività12.
La presenza di un dato totalitario per il sistema toscano -che risulta
ulteriormente corroborato dalla presenza, come si vedrà a breve, di
regolari attività finalizzate all’analisi dei fabbisogni delle impresepuò far ritenere una simile attività come “assodata” tra i fondamentali
di funzionamento del sistema. Tanto più che, come risulta dall’ultimo
monitoraggio nazionale, la capacità di elaborazione e restituzione
delle informazioni relative alle principali linee di movimentazione
Ciò, chiaramente, nulla dice sulla effettiva capacità di utilizzo, normalizzazione e gestione delle stesse.
Tuttavia, nel quadro piuttosto arretrato che il nostro Paese esprime in materia di sistemi informativi del
lavoro, esso rappresenta un dato di un certo interesse che, ove confermato negli anni e nei risultati effettivi,
costituirebbe un primo passo verso una gestione più “oggettiva” di questo sistema amministrativo.
12
55
(ingressi nella disoccupazione, disponibili al lavoro, uscite dalla
disoccupazione, sospensioni) tracciate dai SIL e dal sistema delle
comunicazioni obbligatorie, nonché di quelle relative all’accesso dei
disponibili alle principali linee di politica attiva previste dal D.Lgs.
181/2000 e s.m. (colloqui di orientamento; avviamento a tirocini) è
apparsa completa e rappresentativa di tutte le realtà provinciali. Ciò
va notato in quanto, al di là dei valori comunque ottimali riscontrati
nelle principali circoscrizioni geografiche di riferimento in merito
alla raccolta tout court, nel dettaglio della restituzione informativa
alcune realtà centro settentrionali e appartenenti anche al gruppo
di confronto presentano delle difficoltà di reperimento e fornitura
informativa: tanto per ciò che attiene ai dati amministrativi, quanto
(e soprattutto) per ciò che attiene ai dati relativi alle politiche.
L’analisi del grado di soddisfazione delle “condizioni
istituzionali” all’erogazione di politiche attive integrate nei SPI della
Toscana, restituisce un profilo sostanzialmente strutturato, nel quale
è possibile rinvenire una sostanziale organicità di esse e dei loro
livelli di implementazione al disegno organizzativo che presiede i
sistemi locali regionali.
Ciò permette di osservare, altresì, come -sia pure sostanzialmente
in linea con i risultati del Centro Nord e dai sistemi confluiti nel
gruppo di confronto- un simile giudizio possa essere esteso anche
ad ambienti istituzionali e operativi (raccordo con la formazione
professionale e supporto ad essa con strumentazioni integrate;
raccolta e restituzione dei dati amministrativi) che ancora ad oggi
costituiscono, per il sistema italiano (talvolta anche nelle sue realtà più
qualificate) degli approdi di sviluppo purtroppo ancora futuribili.
In linea generale, a livello nazionale le ricadute di un milieu
istituzionale così articolato si manifestano nelle forme di una generale
ed abbastanza diffusa messa in opera del sistema dei CPI in base ai
modelli di azione minimalisti stabiliti dalla normativa nazionale. Per
contro, va registrata una minoritaria e diseguale capacità di associare
a tale disegno minimalista una effettiva capacità di intervento
progettuale e proattivo nei confronti degli utenti e della domanda di
servizi proveniente dai territori. È infatti, soprattutto in questo secondo
ambito -attinente ai servizi consulenziali alla persona, al rinvio alla
formazione, piuttosto che ai servizi proattivi ai datori di lavoro- che
si conoscono i differenziali territoriali più marcati: tradizionalmente
appannaggio dell’autonomia organizzativa regionale, essi sono
dunque più esposti alle differenti capacità di tradurre gli indirizzi in
standard operativi e comportamenti organizzativi presso i CPI.
56
Proprio in questi ambiti, peraltro, è possibile osservare con
una certa nettezza gli elementi caratteristici di un processo di
decentramento istituzionale, di durata più che decennale, nel quale
il rapporto dialettico tra “centro e periferia” del sistema (cioè tra
Amministrazione Centrale e Regioni/Province) è per lungo tempo
risultato asimmetrico. Esso è risultato assai sbilanciato verso i
livelli periferici (province, regioni), chiamati a sobbarcarsi del
peso effettivo dell’implementazione del sistema, del rapporto con
la domanda di servizi dell’utenza, del “riposizionamento” nei
confronti delle imprese, della fondazione e messa a regime di linee di
servizio sconosciute al vecchio collocamento, oltre che a supportare
la gestione e riorganizzazione del plesso amministrativo ereditato
dalla tradizione collocativa. Per contro è risultato per lungo tempo
assai defilato il ruolo dell’Amministrazione centrale, soprattutto in
termini di regia (non solo normativa, ma anche amministrativa: si
pensi all’annosa questione del SIL), di capacità di individuazione di
modelli e di disseminazione di pratiche, di fare rete tra i sistemi locali
e sintesi tra le prassi emergenti. Talché la geografia funzionale del
sistema nazionale dei SPI, specie se osservata nelle forme più avanzate
e complesse di organizzazione di servizi e supporto alle politiche
locali, è risultata punteggiata da molte buone prassi locali ed è stata al
contempo caratterizzata da una bassa capacità di fare sistema.
Questo quadro di contesto è delineato nelle tabelle relative alla
messa in opera, da parte dei CPI, dei dispositivi nazionali relativi alla
presa in carico delle persone (Tab. 2.4) e all’erogazione di servizi
alla persona con riferimento particolare nell’area della diagnostica,
del miglioramento dell’occupabilità e della riqualificazione degli
utenti (vedi in seguito Tab. 2.5).
Tabella 2.4 CPI: attuazione del D.Lgs. 181/2000 e s.m. e “presa in carico” dell’utenza
Valori assoluti e %
Offerta di mix di politiche
Strutture che
attive previste dal D.Lgs. garantiscono l’accesso
181/2000 (a)
alle politiche entro 90
gg. dalla DID (b)
N.
% riga
N.
CPI che stipulano il
patto o il PAI (c)
% riga
N.
Toscana
35
87,5
35
87,5
Centro Nord
295
93,1
224
70,7
Gruppo di confronto
107
98,2
95
87,2
Italia
448
83,4
310
57,7
Fonte: ISFOL - Monitoraggio SPI, 2008
36
236
99
298
57
% riga
CPI che soddisfano
a+b+c
N.
% riga
90,0
33
74,4
192
90,8
89
55,5
230
82,5
60,6
81,7
42,8
Nella tabella 2.4 sono presentati gli indicatori in grado di
raffigurare la capacità dei CPI di soddisfare le condizioni operative
previste dalla normativa nazionale (in termini di tempi e modi di
accesso dei disoccupati ai servizi erogati), con l’addentellato della
possibile loro integrazione con ulteriori condizioni previste dalla
normativa regionale in materia di patto di servizio.
Nel dettaglio è considerato:
-- l’offerta da parte dei CPI, agli utenti effettivamente disponibili,
di un mix di politiche attive che, secondo la normativa italiana,
non è soggetta a nessuna particolare indicazione in merito alla
complessità dei servizi che ne sono alla base. Ciò nel rispetto
dell’autonomia regionale nel definire i propri assetti organizzativi
e operativi. Si tratta, ovunque, di un mix piuttosto minimalista
di orientamento, informazione più o meno qualificata sulle
possibilità di lavoro, tirocinio o formazione professionale;
-- la capacità di garantire ai disoccupati l’accesso all’offerta di
politiche attive entro un intervallo temporale codificato (il
colloquio di orientamento dovrebbe essere fornito entro 90 giorni
dalla dichiarazione di disponibilità, come previsto dalla legge):
in questo caso è stato chiesto agli intervistati una stima della
quantità di tempo necessario, nelle prassi di funzionamento dei
rispettivi CPI;
-- il ricorso a strumenti in grado di dettagliare il percorso individuale
pattuito tra CPI e utente, vincolando al rispetto di esso l’azione del
CPI (seppur non sanzionabile in alcun modo) e quella dell’utente
(che può perdere lo stato di disoccupato).
Infine è riportato il dato ricostruito dei CPI in grado di soddisfare
contemporaneamente l’intero set di indicatori osservato13.
I dati restituiti dalla tabella 2.4 evidenziano sul piano nazionale e
-seppure con diverse proporzioni- nel quadrante di Centro Nord una
tendenza alla progressiva riduzione della quota di strutture in grado
di soddisfare le condizioni poste, man mano che da quelle meramente
adempimentali e minimaliste, si passa a quelle che presuppongono un
maggiore consolidamento organizzativo (codifica dei tempi di accesso
alle politiche) e più raffinate scelte istituzionali (adozione di strumenti
Questa prospettiva di analisi consente di adottare una chiave di lettura più “matura”: in primo luogo,
in termini di analisi e valutazione dei processi istituzionali, proponendo un modello che tenga conto della
pluralità di variabili che agiscono contemporaneamente nella realizzazione di un processo istituzionale e
di servizio. In secondo luogo in termini di contributo alla definizione di un modello di osservazione più
realistico e rispondente all’effettivo ruolo assunto dai SPI nell’ambito delle politiche del lavoro. Quest’ultima
notazione può essere estesa anche all’attuale quadro congiunturale, essendo la filiera di azioni presa in
considerazione assai sovrapponibile al disegno operativo definito nella recente legislazione (L. 2/2009) per
ciò che attiene il contributo dei SPI alle politiche di contrasto alla crisi economica.
13
58
di trasparenza). Su scala nazionale, se poco più di 8 CPI su 10
garantisce l’offerta minima di politiche previste dal D.Lgs. 181/2000
e s.m., la quota di quelle che stimano di realizzare l’accesso a queste
ultime entro i 90 giorni previsti non supera il 57,7%, per contrarsi ad
un 55,5% in corrispondenza dell’adozione di strumenti di trasparenza
nel rapporto tra CPI e disoccupato. Appare evidente come il sistema
nazionale sconti il peso delle strutture che, nel Mezzogiorno, operano
in mercati del lavoro tradizionalmente meno competitivi, peraltro
non disponendo di una struttura istituzionale in grado di supportare
un’adeguata (sul piano quantitativo) e tempestiva (sul piano qualitativo)
offerta di politiche di intervento, con relativa difficoltà nel codificare
e pianificare gli interventi individuali. Si riduce infatti ad appena il
42,8% (230 strutture su 537) la quota di CPI in grado di soddisfare
contemporaneamente l’intera filiera di condizioni osservate, delle quali
ben 8 su 10 (192 su 230) si collocano nei quadranti di Centro Nord.
In questo quadro, il sistema toscano -pur esprimendo valori
inizialmente meno elevati di quelli dei quadranti di immediato
riferimento- si presenta complessivamente più omogeneo nei suoi
valori: che taluni elementi siano ormai acquisiti è evidente nel fatto
che il numero di strutture che soddisfa le singole condizioni oscilli tra
le 35 e le 36 unità (87,5-90% del totale), delle quali ben 33 (oltre 9 su
10) sono in condizione di soddisfarle contemporaneamente.
Tale caratteristica risulta ancor più avvalorata in rapporto ai
valori del gruppo di confronto, talché dei 107 CPI che soddisfano la
condizione più minimalista (98,2% dei casi) “solo” 89 (81,7%) realizza
l’intera filiera, con una oscillazione percentuale tra l’87 e il 90% (9599 CPI) per ciò che attiene le restanti condizioni.
Il quadro fin qui tratteggiato può essere completato da un breve
cenno alla presenza dei pre-requisiti operativi e funzionali in grado
di determinare, almeno in parte, la possibilità per i CPI di offrire
almeno il “mix di politiche attive” previste dal D.Lgs. 181/2000 e
di configurare un’offerta potenziale di servizi che, per complessità e
diffusione territoriale, si collochi al di sopra del profilo organizzativo
“di minima” previsto per tutti.
In questo senso la tabella 2.5 apporta ulteriori elementi che
sembrano rafforzare le evidenze complessivamente emerse fin qui,
almeno sotto due punti di vista:
-- in termini di erogazione “assoluta” di singoli servizi (osservati
tanto in modalità minimalista, quanto in modalità complessa),
laddove si riscontra un andamento regionale coerente con quello
dei quadranti di immediato riferimento;
59
-- in corrispondenza di alcune tra le filiere di azione più complesse
(bilancio di competenze, gestione di voucher o pacchetti
formativi on demand), il sistema regionale risulta in grado di far
prevalere la presenza delle già citate caratteristiche istituzionali e
strutturali: da un lato la presenza di una dotazione di personale più
congrua e con una maggior componente di figure specialistiche,
rispetto ai sistemi simili a quello toscano; dall’altro la presenza
di condizioni di sistema che ampliano la filiera di strumenti di
governo dei percorsi individuali integrati, a quote maggioritarie
di CPI nella regione.
Tabella 2.5 CPI: servizi alla persona
Valori assoluti e %
Toscana
N. % riga
Colloqui individuali di orientamento/compilazione CV
Rinvio alla FP - autoconsultazione, informazione assistita
Ricognizione delle competenze trasversali dei disoccupati
Bilancio di competenze
Gestione/erog.ne voucher formativi (α)
Attivazione pacchetti formativi on demand (β)
Gestione/attivazione di voucher o di pacchetti (α o β)
Fonte: ISFOL - Monitoraggio SPI, 2008
37
36
35
33
21
19
27
92,5
90,0
87,5
82,5
52,5
47,5
67,5
Centro
Gruppo di
Nord
confronto
N. % riga
N. % riga
304
301
229
133
133
100
161
95,9
95,0
72,2
42,0
42,0
31,5
50,8
107
107
81
34
59
44
67
98,2
98,2
74,3
31,2
54,1
40,4
61,5
Italia
N. % riga
513
487
381
234
193
121
225
95,5
90,7
70,9
43,6
35,9
22,5
41,9
L’osservazione complessiva dei dati restituisce un’immagine
del sistema nazionale dei SPI in cui risulta ormai acquisita una
erogazione minimalista dei servizi di orientamento e rinvio alla
formazione professionale, secondo una chiave prevalentemente
“info-orientativa”, basata sull’offerta assistita di informazioni e
sull’assistenza di personale specializzato (realizzazione di colloqui,
assistenza nella compilazione dei CV o nell’autoconsultazione del
catalogo dell’offerta formativa). Ciò avviene in almeno il 90%
delle strutture italiane, con valori superiori nei restanti quadranti
considerati (anche fino al 98% del totale).
Questa offerta risulta, inoltre, accompagnata abbastanza spesso
(almeno nel 70,9% dei casi nazionali, ma con punte più elevate
negli altri quadranti) da una ricognizione delle competenze e
capacità trasversali dei disoccupati, al fine di affinare il patrimonio
informativo del CPI sulle candidature e armonizzarlo con le richieste
delle aziende.
Complessivamente minoritaria è la realizzazione di percorsi
strutturati e complessi di orientamento finalizzati alla redazione
60
del bilancio di competenze: in tutte le circoscrizioni territoriali di
riferimento, salvo quella regionale, si registrano valori compresi tra
il 31,2% del gruppo di confronto e il 43,6% nazionale.
Egualmente minoritaria risulta la consistenza dei più avanzati
sistemi di gestione del rinvio alla formazione professionale a
livello nazionale, come al Centro Nord: l’effetto “rifrattivo”
della presenza piuttosto eterogenea a livello provinciale delle
“premesse istituzionali” ad un raccordo istituzionale tra i settori ai
quali afferiscono i due sistemi (lavoro e formazione), si manifesta
sottoforma di valori complessivamente attenuati per ciò che attiene
i CPI in grado di attivare pacchetti formativi on demand, ovvero
di gestire o concorrere alla gestione di voucher formativi. Nel
complesso, le strutture che sono messe in condizione di far leva su
almeno una delle due strumentazioni considerate non superano la
quota del 41,9%, con punte più elevate nel Centro Nord (50,8%)
e complessivamente significative presso il gruppo di confronto
(61,5%).
Il profilo toscano risulta in linea a quello osservato solo per ciò che
attiene la prima generale offerta di servizi info-orientativi (colloqui
individuali, compilazione CV) o di assistenza all’informazione sui
corsi di formazione disponibili. A partire dalle filiere di servizio
successive esso assume valori superiori rispetto al dato nazionale
e a quello delle regioni centrosettentrionali. In particolare, in
ambito orientativo-consulenziale non si registra alcuna contrazione
repentina delle quote di CPI in grado di offrire servizi più
approfonditi (ricognizione delle competenze trasversali) ovvero più
strutturati (bilancio di competenza): ferma restando una maggiore
diffusione della tipologia di azioni info-orientative (tra il 90 e il 92%
del totale dei CPI toscani), la quota di quelle ascrivibili alla filiera
consulenziale si attesta tra l’82,5 e l’87,5% delle strutture, con valori
quasi doppi rispetto a quelli altrove osservati in corrispondenza del
bilancio di competenze.
Vale la pena di richiamare quanto emerso nelle pagine iniziali
relativamente alla dotazione di risorse umane attive presso i CPI
toscani. Tale caratteristica avvalora la suggestione in base alla
quale una composizione delle risorse umane più sbilanciata a
favore della componente consulenziale (più che doppia rispetto agli
altri quadranti) permette di supportare l’erogazione di un’offerta
funzionale più complessa presso una quota molto ampia di CPI,
attenuando eventuali disparità territoriali, specie tra CPI capoluogo
di provincia e CPI non capoluogo.
61
Appare del tutto evidente che ad una simile ed auspicabile
opzione (quella della qualificazione e integrazione degli organici)
corrispondano anche nodi organizzativi di fondo, legati alla capacità
di istituzionalizzare e consolidare “a regime” il modello di servizio
raggiunto, nonché alla necessità di mantenere (quando non di
accrescere) il grado di omogeneità di servizio che, almeno sulla base
degli indicatori utilizzati, il sistema regionale sembra esprimere.
Volgendo lo sguardo al rinvio alla formazione professionale
dell’utenza dei CPI, il sistema toscano segue la traiettoria già
osservata di una relativa mitigazione dei valori, rispetto all’ambito
orientativo, sebbene con proporzioni più contenute. Come osservato,
incidono in queste evidenze, le ricadute di un quadro istituzionale
nel quale il raccordo tra i settori del lavoro e della formazione appare
quanto meno più organico che in altre realtà italiane.
Conseguentemente, il profilo funzionale si presenta sovraordinato
rispetto ai quadranti di immediato riferimento ed appare a tratti più
strutturato (pur nel quadro di valori solo parzialmente maggioritari)
di quello del gruppo di confronto. La “copertura effettiva” delle
strutture in condizione di disporre di voucher o di poter concorrere
alla gestione di pacchetti on demand è in Toscana pari al 67,5% del
totale, a fronte di un 61,5% del gruppo di confronto (50,8% Centro
Nord, 41,9% Italia) ed in entrambi i casi, almeno un terzo dei CPI
di ciascuna circoscrizione territoriale è in condizione di disporre di
entrambi gli strumenti (22,7% Centro Nord, 16,6% Italia).
2.4
Servizi alla domanda
A differenza di quanto emerso per i servizi alla persona, nel caso
della filiera di attività rivolte al miglioramento dei processi di
intermediazione della domanda e dell’offerta, nonché al supporto e
all’assistenza tecnica e giuridica alle imprese, è possibile riscontrare
una sostanziale assenza di indicazioni di riferimento.
In primo luogo per la specificità dell’utenza di riferimento:
le imprese esprimono una minore “dipendenza” dai servizi della
P.A., per capacità di organizzazione dei propri interessi strategici,
economici ed operativi, per modalità di azione (associazioni di
categoria, associazioni di servizio, ad esempio nel reclutamento) e di
condizionamento dei territori di elezione. L’unica eccezione si ravvisa
ovviamente negli adempimenti obbligatori previsti dalla legge.
62
Un altro aspetto attiene alla notevole polverizzazione del tessuto
imprenditoriale e dell’impatto che tutte le caratteristiche di esso (tasso
di natalità/mortalità molto elevato; molteplicità di comportamenti in
funzione dell’ampiezza e del settore di appartenenza; ecc.) hanno
nella gestione di un rapporto tra esse e SPI. Rapporto che, peraltro,
risulta condizionato da due fattori: l’uno costituito dalla cultura
organizzativa e l’altro dall’immaginario istituzionale delle parti:
-- sul versante datoriale, appare evidente che le imprese siano
portatrici di proprie strategie di “segmentazione” del mercato dei
canali di intermediazione e scontino una radicata visione dei CPI
come canali di intermediazione dell’offerta di lavoro portatrice
di vantaggi fiscali, oppure genericamente qualificata;
-- sul versante SPI, il sistema eredita un impianto logico e funzionale
asimmetrico, cioè sbilanciato più verso l’offerta di lavoro
(con un’organizzazione territoriale da servizio di prossimità al
cittadino) che verso la domanda, nei confronti della quale esso è
debitore di un’organizzazione non coerente con le caratteristiche
specifiche del target imprese.
In secondo luogo nel rapporto di servizio tra CPI e azienda,
influisce l’assenza di alcun tipo di regolazione normativa essendo le
imprese vincolate unicamente agli adempimenti di natura obbligatoria
(comunicazioni obbligatorie on line). Non esiste, cioè, un protocollo
standard simile e/o speculare a quello definito dal D.Lgs. 181/2000
e s.m. per i disoccupati, in grado di individuare un plesso di funzioni
o una combinazione di azioni che i SPI sono chiamati ad erogare alle
aziende, entro forme e tempi codificati. È tuttavia possibile assumere
che le attività legate alla raccolta, pubblicizzazione e diffusione della
domanda di lavoro costituiscano una precondizione funzionale alla
possibile messa in opera del dispositivo di “presa in carico” delle
persone.
Questa premessa è necessaria per introdurre all’osservazione
della filiera di servizi rivolti al versante datoriale, che -ancor più
di quanto non osservabile per i servizi alla persona- ha conosciuto
uno sviluppo variegato e diversificato nelle forme e nella tempistica,
risultando condizionato dagli elementi di natura istituzionale e
operativa sopra citati, nonché ancor più esposto alle dinamiche dei
mercati del lavoro. Uno sviluppo che, inoltre, risulta particolarmente
esposto alla combinazione di diversi fattori, tra i quali: la diversa
capacità di ingegneria istituzionale espressa ai livelli locali; la
capacità di organizzazione e animazione delle reti di dialogo
territoriale con l’addentellato della individuazione, raccolta,
63
codifica e somministrazione dei contenuti di servizio veicolati dai
CPI (onde evitare il più possibile l’ingenerare attese che non si è
in grado di mantenere nei confronti dell’utenza). Non ultima, del
resto, è da considerare anche la componente legata alla possibilità
organizzativa -assai diversificata su scala locale- di poter disporre
di risorse, mezzi e modalità di azione sganciate dai protocolli di
interazione tradizionali con le persone ed espressamente dedicate
e ritagliate sulle modalità di azione e comportamento nel mercato
della ricerca di lavoro, da parte delle aziende.
Pur in assenza di un paradigma generale, e scontando la
diversificazione di scelte e prassi a livello locale, nell’osservazione
dell’area dei servizi alla domanda di lavoro, si tenterà di mutuare
l’impianto già adottato per i servizi alla persona. Si rivolgerà pertanto
l’attenzione:
-- ad alcune aree di azione in grado di ricostruire l’attività di
coordinamento e indirizzo operata dagli uffici provinciali
dei SPI;
-- all’erogazione di servizi finalizzati all’intermediazione e al
supporto alle imprese, tentando di rappresentare come esse
costituiscano il punto di intersezione di diverse attività (raccolta,
diffusione della domanda di lavoro, preselezione, ma anche
analisi e utilizzo delle informazioni), ciascuna con le proprie
inferenze organizzative e le sue dinamiche.
In particolare sono stati presi in considerazione quattro ambiti
operativi e/o istituzionali, per ciascuno dei quali sono state
individuate le condizioni minime di soddisfazione:
1. analisi dei fabbisogni: realizzazione di almeno un’attività di
analisi dei fabbisogni professionali o formativi delle aziende;
2. attività promozionali: realizzazione di almeno due (una relativa
alla mera diffusione informativa a prescindere dal canale, l’altra
relativa al contatto più diretto con il destinatario della promozione)
modalità o realizzazione di un piano di marketing;
3. patto di servizio: adozione del patto con le imprese (patto di
servizio, piano di azione aziendale, ecc.);
4. supporti informatici: possibilità di utilizzare entrambe le banche
dati, eventualmente prodotte dalla presenza di sistemi di gestione
on line delle rispettive filiere della domanda e dell’offerta di
lavoro, al fine di supportare i processi di matching on line.
Com’è osservabile per tre delle quattro condizioni istituzionali
è stata posta una soglia minima di ingresso corrispondente alla
manifestazione di un fenomeno, quale che sia, ascrivibile all’ambito
64
di azione osservato, con la sola eccezione relativa all’adozione di
strumenti di trasparenza nella gestione del rapporto di servizio con
le imprese, dove la condizione è univoca, non essendovi alternative
operative da considerare. Per ciò che attiene la prima e la seconda
condizione, trovandosi in presenza di più modalità di azione o di una
varietà di attività in grado di corrispondere al disegno condizionale, si
è optato per la scelta di una soglia qualificata: nel primo caso ponendo
che sia sufficiente la realizzazione di una qualsiasi attività di analisi
dei fabbisogni delle imprese, indipendentemente dalla periodicità od
occasionalità delle stesse. Nel secondo caso si è optato per un doppio
ordine di soglie di soddisfabilità: una prima, in assenza di una strategia
di comunicazione strutturata, è costituita dall’utilizzo combinato di
più modalità di marketing verso le aziende a patto che vi sia almeno
una modalità dell’area dell’informazione tout court (invio materiale
per posta o via web) e, al contempo, almeno una modalità dell’area
del contatto diretto, mediato o immediato, con i datori di lavoro (visite
dirette, incontri istituzionali, telemarketing). La seconda soglia, in
alternativa alla prima, è costituita dalla adozione di una strategia
strutturata di promozione nei confronti dei datori di lavoro.
Per quanto concerne la quarta condizione, in luogo di legare la
soglia di soddisfabilità alla mera presenza di applicativi informatizzati,
si è optato per un indicatore più robusto, e coerente rispetto ai tempi
e all’evoluzione dei canali e delle strategie di ricerca di personale
da parte delle imprese: quello legato alla possibilità di utilizzare
entrambe le banche dati (relative alla domanda e all’offerta) per
gestire il matching on line.
La tabella 2.6 restituisce i risultati. A livello nazionale si evidenzia
una maggiore copertura in corrispondenza delle prime due condizioni,
legate alla realizzazione di attività di analisi dei fabbisogni e al
dispiegamento di un comportamento promozionale dei SPI avente
un minimo di articolazione o strutturazione. Tali caratteristiche sono
estese ad una quota di uffici provinciali compresa tra il 70,6% e il
72,5% del totale.
Complessivamente più contenuta è la copertura della terza14 e
quarta condizione15 (18,8% e 46,1% delle province), sulle quali
In particolare, sulla condizione n. 3 a pesare è lo storicamente tortuoso e faticoso processo di codifica
dell’ampiezza dei servizi alla domanda e della loro tempistica, del quale la predisposizione di un patto di
servizio si pone a valle o, se si vuole, a compimento.
15
Dal canto suo la condizione n. 4 può costituire una cartina di tornasole dei processi di implementazione
della informatizzazione e gestione delle informazioni. Essi sono stati largamente dispiegati in assenza di
chiare e strutturate direttive nazionali (da ultimo introdotte sullo scorcio del 2007, con alcuni interessanti
risultati) e in presenza di una forte autonomia dell’iniziativa locale (provinciale) nella definizione degli
apparati e delle infrastrutture.
14
65
pesano i condizionamenti derivanti dalla lentezza o farraginosità con
le quali, nella nostra pubblica amministrazione, si sono storicamente
realizzati alcuni processi istituzionali (es. informatizzazione, codifica
di servizi a carattere “proattivo”).
Tabella 2.6 sistemi provinciali per l’impiego: presenza di condizioni propedeutiche
all’erogazione dei servizi alle imprese
Valori assoluti e %
Analisi fabbisogni occupazionali
e/o qualifiche richieste
Marketing alle imprese
Stipula del patto di servizio con le imprese
Possibilità per i CPI di utilizzare entrambe
le banche dati (domanda e offerta) per il
matching on line
Totale
Fonte: ISFOL - Monitoraggio SPI, 2008
Toscana
Centro Nord
Gruppo di
Italia
confronto
Val. ass. Val. % Val. ass. Val. % Val. ass. Val. % Val. ass. Val. %
8
80,0
54
81,8
20
83,3
72
70,6
9
1
90,0
10,0
55
13
83,3
19,7
20
6
83,3
25,0
74
19
72,5
18,8
3
30,0
36
54,5
16
66,7
47
46,1
10
100,0
66
100,0
24
100,0
102
100,0
Il sistema toscano segue una traiettoria originale e parzialmente
non sovrapponibile con quello dei quadranti di immediato riferimento.
Per ciò che attiene le prime due condizioni, appare evidente come in
Toscana -non diversamente che nel gruppo di confronto e nel Centro
Nord- le attività di analisi dei fabbisogni delle aziende e quelle
di marketing strutturato, risultino organiche ai comportamenti e
agli indirizzi istituzionali che presiedono l’attenzione al versante
datoriale. Per ciò che attiene le seconde due condizioni, quelle grosso
modo più “futuribili” rispetto al percorso di sviluppo conosciuto dai
nostri SPI, il sistema regionale presenta nel caso dell’attivazione di
strumenti di trasparenza e codifica del rapporto con l’utenza, un dato
di marginalità che è inscrivibile nello scenario generale anzidetto.
Nel caso della disponibilità di banche dati in grado di supportare,
contemporaneamente sul versante della domanda e dell’offerta, il
matching on line, si denota un profilo minimalista, con appena 3
sistemi provinciali su 10 in grado di soddisfare la condizione posta.
Il tessuto operativo sul quale poggiano i servizi di raccolta delle
vacancies (Tab. 2.7) risulta costituito da una forte componente
operativa basata su protocolli tradizionali, in base ai quali i CPI
attendono che l’utenza si manifesti presso i propri uffici. Essi sono
attuati secondo modalità molto prossime alla vecchia tradizione
collocativa (sportello, telefono, fax in almeno il 90% degli uffici)
ovvero ricorrendo agli strumenti più moderni, come il web (almeno
66
l’81% dei CPI), ma comunque coerenti con il disegno organizzativo
dei CPI basato largamente su protocolli di interazione passivi
con l’utenza. In effetti si attesta su valori modesti il ricorso alla
sollecitazione delle vacancies mediante contatto diretto presso
l’impresa (poco più della metà dei CPI). Abbastanza impermeabili
al territorio, inoltre, risultano i CPI in tutti i quadranti, per ciò che
attiene la possibilità di raccordo con altri soggetti, pubblici e privati
per realizzare tali attività. Queste ultime, a ben vedere, costituiscono
una prima cartina di tornasole della capacità di rete e nella propensione
all’investimento in essa da parte dei SPI, avendo come core
dell’interlocuzione una tipologia di informazioni che, per la natura
e lo scopo di tali attori, si potrebbe definire “qualificata”, risultando
essenziale per la realizzazione di processi di intermediazione.
Tabella 2.7 CPI, modalità di raccolta della domanda di lavoro delle imprese
Valori assoluti e %
Sportello, telefono,
Internet
Sollecitazione
Attraverso altri
Attraverso
fax
(e-mail)
presso l’impresa soggetti pubblici agenzie private
Val. ass. Val. % Val. ass. Val. % Val. ass. Val. % Val. ass. Val. % Val. ass. Val. %
Toscana
37
92,5
Gruppo di confronto
106
97,2
Centro Nord
305
96,2
Italia
484
90,1
Fonte: ISFOL - Monitoraggio SPI, 2008
37
102
275
437
92,5
93,6
86,8
81,4
27
90
223
289
67,5
82,6
70,3
53,8
12
28
86
172
30,0
25,7
27,1
32,0
9
11
77
168
22,5
10,1
24,3
31,3
I profili riconducibili agli altri quadranti geografici e al sistema
toscano dei SPI possono considerarsi almeno parzialmente
sovrapponibili con quello appena tratteggiato, laddove si riscontra la
diffusa contaminazione di modelli e protocolli di servizio mutuati dal
vecchio collocamento (servizi a sportello, raccolta informativa per
telefono o fax, con quote largamente superiori al 90%, con un 92,5%
nei CPI della Toscana) o comunque coerenti con questo modello
operativo che ancora informa i CPI (ricorso ad Internet, con il sistema
regionale e il gruppo di confronto esprimenti quote superiori non solo
al dato nazionale, ma anche a quello del Centro Nord).
La sovrapponibilità dei profili si dissolve in corrispondenza
delle modalità di contatto più proattive. Un indicatore di questo
fenomeno è dato dal valore dei CPI che nel Centro Nord e nel
gruppo di confronto dichiarano di realizzare forme di sollecitazione
diretta delle vacancies presso le imprese, pari rispettivamente al
70,8% e all’82,6% del totale. Il dato del sistema toscano si attesta
leggermente al di sotto di tali valori, talché circa i due terzi dei CPI
risultano adottare, tra le altre, anche simili modalità.
67
In via generale, quel profilo mediamente sovraordinato,
espresso dai CPI toscani in corrispondenza della filiera dei servizi
alla persona, risulta ora attenuato, soprattutto in relazione alle
funzioni più proattive, benché largamente attestate su valori che
ne confermano il relativamente alto grado di strutturazione e
organizzazione.
Un quadro sostanzialmente analogo si delinea nell’osservazione
della filiera dei servizi di preselezione (Tab. 2.8). In questo ambiente
si riscontra la presenza di un impianto basato su una gestione “a
distanza” dei servizi richiesti sul quale si innesta “pro quota” il
ricorso a modalità basate sull’interazione e la negoziazione del
prodotto finale direttamente con l’impresa: circa l’87% dei CPI
realizza, infatti, attività di preselezione basate sull’invio di rose di
disponibili coerenti con i profili segnalati dalle aziende, con punte
fino al 95% negli altri quadranti e del 92,5% in Toscana. Poco meno
di 6 CPI su 10, invece, fa ricorso a modalità più complesse, basate
su un rapporto continuativo con l’impresa, di “preselezione con o
per conto dell’impresa”, anche in questo caso con punte del 66% nel
Centro Nord e del 65% in Toscana.
Tabella 2.8 CPI: modalità di erogazione dei servizi di preselezione del personale
Valori assoluti e %
Invio di una rosa di candidature rispondenti
al profilo richiesto ed effettivamente
disponibili all’impiego
Preselezione con o per conto delle imprese
Invio di una rosa di candidature: definizione
di un termine temporale
Verifica dell’esito della preselezione
Preselezione per conto di Agenzie di
somministrazione
Fonte: ISFOL - Monitoraggio SPI, 2008
Toscana Gruppo di confronto Centro Nord
Italia
Val. ass. Val. % Val. ass. Val. % Val. ass. Val. % Val. ass. Val. %
37
92,5
105
96,3
303
95,6
467
87,0
26
65,0
72
66,1
197
62,1
319
59,4
33
82,5
94
86,2
246
77,6
360
67,0
36
90,0
103
94,5
291
91,8
422
78,6
8
20,0
27
24,8
79
24,9
114
21,2
Dove il sistema regionale, coerentemente con gli altri due quadranti
ad esso più prossimi, segna i valori di maggior differenza rispetto
al quadro nazionale, è in corrispondenza degli eventi di servizio,
o delle soluzioni organizzative che presuppongono una migliore
capacità di gestione del carico di lavoro, una migliore conoscenza
dei propri archivi, ovvero un loro grado di attualizzazione maggiore
ed una coerente necessità di reperire informazioni relative agli esiti
del servizio realizzato.
68
In questo senso, i valori relativi ai CPI che fissano un termine
temporale entro il quale fornire la rosa di nominativi alle imprese,
ovvero adotta una procedura di feedback sull’esito dell’invio di
essi, risulta ampiamente al di sopra dei valori medi nazionali: oltre
8 CPI toscani su 10 fissano un termine temporale per l’espletamento
delle procedure preselettive, mentre 9 su 10 predispongono per un
ritorno informativo su esse. Valori allineati a questi si osservano nei
quadranti del Centro Nord e del gruppo di confronto.
Analizzati in “controluce” i dati relativi all’area funzionale
dell’intermediazione evidenziano senz’altro l’appartenenza dei
CPI toscani agli estremi più elevati e consolidati di un sistema per
l’impiego nazionale caratterizzato, in questo ambito, da elementi
contraddittori e da inframmettenze legate al vecchio collocamento
che, nel tempo, ne hanno accompagnato lo sviluppo. Ciò viene a
spiegare la maggiore “sovrapponibilità” del profilo regionale con
quello nazionale e di quadrante geografico in corrispondenza di
quelle modalità e impostazioni di servizio più immediatamente
riconducibili a quella “eredità”.
D’altro canto, il sistema regionale riflette, con proporzioni
talvolta allineate (utilizzo del web, preselezione con o per le
imprese, verifica degli esiti), talvolta leggermente sottodimensionate
(sollecitazione diretta delle vacancies), i tratti caratteristici dell’area
proporzionalmente più strutturata del sistema dei SPI italiano. Alla
luce del complesso delle caratteristiche fin qui emerse, si avvalora
la considerazione in merito ad un posizionamento complessivo nel
quadro nazionale, poggiante su una solidità operativa e istituzionale
ed una omogeneità dei livelli operativi e di servizio, forse più
esplicita sul versante dei servizi di diagnostica e di “presa in carico”
delle persone, che non su quello dei servizi alla domanda di lavoro.
L’osservazione della filiera dei servizi dedicati ai datori di
lavoro si conclude con un ultimo affondo relativo ai servizi di
carattere consulenziale (Tab. 2.9), intesi nella doppia declinazione
dell’offerta più o meno strutturata e ampia di informazioni, e in
quella del coinvolgimento dei CPI in servizi più complessi. Tra
questi ultimi si individuano quelli in grado di disegnare una certa
capacità consulenziale e progettuale, basata sull’utilizzo delle
informazioni a propria disposizione, nonché delle relazioni di rete
intessute direttamente o grazie alla mediazione istituzionale delle
rispettive province, o ancora sulla capacità di prestare supporto
operativo alle azioni di politica attiva promosse su scala provinciale
o regionale.
69
Tabella 2.9 CPI, servizi consulenziali alle imprese
Valori assoluti e %
Informazioni su tipologie contrattuali e altre
agevolazioni
Informazioni su adempimenti amministrativi
Informazioni sul mercato del lavoro locale
Informazioni su formazione professionale
Consulenza per adempimenti legali e
amministrativi
Servizi di analisi, progett., accompagnam.
e A.T. alle imprese
Coinvolgimento in azioni di riqualificazione/
ricollocazione dei lavoratori in mobilità
Fonte: ISFOL - Monitoraggio SPI, 2008
Toscana
Centro Nord
Gruppo di confronto
Val. ass. Val. % Val. ass. Val. % Val. ass.
Italia
Val. % Val. ass. Val. %
35
87,5
293
92,4
105
96,3
454
84,5
33
28
30
82,5
70,0
75,0
290
227
225
91,5
71,6
71,0
105
81
90
96,3
74,3
82,6
450
359
347
83,8
66,9
64,6
26
65,0
234
73,8
87
79,8
352
65,5
29
72,5
200
63,1
73
67,0
276
51,4
23
57,5
182
57,4
69
63,3
243
45,3
In generale, si osserva un progressivo decremento dell’ampiezza
dell’offerta di servizi man mano che si abbandona il versante
meramente informativo di carattere strettamente amministrativo e
legale (83-84% dei CPI), per abbracciare un orizzonte informativo
più ampio (mercato del lavoro, offerta di politiche, ecc.), o più
qualificato (consulenza tout court) -non più dei due terzi dei CPIovvero uno strettamente attinente all’utilizzo e/o organizzazione
delle informazioni e delle conoscenze locali, e/o alla valorizzazione
del “mestiere” dei propri operatori (tra il 45 e il 51% dei Centri).
Il medesimo andamento, sebbene attestato su livelli superiori, è
riscontrabile presso il quadrante centro-settentrionale, il gruppo di
confronto e in quello toscano. Quest’ultimo si colloca in posizione
intermedia tra il dato nazionale nel suo complesso e quello degli
altri due quadranti geografici. Se si osserva (Graf. 2.10), invece la
compresenza effettiva e l’ampiezza di tipologie di informazioni
offerte da ciascun CPI si nota un certo riallineamento tra il dato
regionale toscano e quello dei quadranti di immediato riferimento:
in tutti e tre i casi, l’intera filiera informativa (tipologie contrattuali,
adempimenti, mercato del lavoro e formazione professionale) è
offerta nel 60% dei CPI considerati (59,7% nel Centro Nord, 68%
nel gruppo di confronto), a fronte di un 54,7% nazionale.
Analogo ordine di considerazioni e di proporzioni emerge in
relazione alla quota di CPI che, nei vari quadranti, risulta in grado
di offrire l’intera gamma di servizi osservati. Coerentemente
con quanto osservato in via generale (contrazione dell’offerta in
70
corrispondenza dei servizi più complessi) i valori risultano più
contenuti e mai superiori alla metà delle strutture appartenenti a
ciascuna circoscrizione territoriale, con un generale incremento del
differenziale rispetto al dato nazionale (circoscritto a non più di una
struttura su tre).
Grafico 2.10 CPI: offerta combinata di servizi consulenziali alle imprese. Quota di CPI che
offre la filiera più estesa
Valori %
80%
70%
Filiera consulenziale/progettuale
60,0
60%
50%
42,5
Filiera informativa
67,9
59,6
54,7
49,5
41,3
40%
32,8
30%
20%
10%
0%
TOSCANA
Centro Nord
Gruppo di Confronto
ITALIA
Fonte: ISFOL - Monitoraggio SPI, 2008
In termini di posizionamento relativo, questa visione d’insieme
consente di osservare come, per entità “assoluta” dell’offerta di
servizi consulenziali ai datori di lavoro, la Toscana si attesti su livelli
intermedi tra il dato nazionale e quelli di quadrante geografico,
ancorché distanziata, talvolta significativamente, dal gruppo di
confronto. Quando da un’ottica meramente compilativa si passa ad
una chiave di lettura più “realistica”, che prende in considerazione
l’effettiva ampiezza dello spettro di funzioni contestualmente
erogabili dalle singole strutture, lo scenario presenta un profilo
differente. In questo secondo caso, infatti, è osservabile un
posizionamento regionale nel quadro delle dinamiche funzionali dei
sistemi regionali del Centro Nord, in particolare presso gli estremi
superiori di esso. Tutto ciò al netto delle consolidate distanze
dal gruppo di confronto la cui offerta funzionale, per ampiezza
assoluta e dimensione della filiera osservata, risulta senz’altro
maggiormente strutturata.
71
2.5
Alcune riflessioni sul posizionamento territoriale dei Servizi per l’impiego
Sulla base dei dati relativi all’ultimo monitoraggio ISFOL, è possibile
evidenziare alcuni elementi in grado di delineare il posizionamento
territoriale dei SPI, in particolare la capacità di porsi al centro di reti
di relazione, interazione, cooperazione, con altri soggetti pubblici
e privati, istituzionali e non, del proprio territorio. Si propone
un’osservazione indiretta o “a posteriori” isolando, presso Uffici
provinciali e CPI, le fattispecie in grado di configurare un ambiente
di dialogo, di relazione, di interlocuzione qualificata e/o finalizzata
con altri attori:
-- per ciò che attiene il livello provinciale, infatti, si prenderà a
riferimento l’attività di cooperazione con i soggetti pubblici e
privati diversi dai SPI, ma autorizzati al livello nazionale ad
erogare servizi per il lavoro. Per cooperazione si intende la
realizzazione con tali soggetti di almeno una delle modalità di
rapporto comprese tra “scambio di informazioni”, “ampliamento
della rete di sportelli”, fino ad arrivare alla vera e propria
sinergia operativa della “integrazione delle rispettive attività”.
In secondo luogo sarà osservata la realizzazione di relazioni
formalizzate (convenzioni, protocolli d’intesa, ecc.) con Comuni
e organismi del terzo settore finalizzate all’ulteriore integrazione
e ampliamento della filiera di servizi e politiche nel territorio,
nonché con altri soggetti istituzionali per la realizzazione di
iniziative locali, PIT, programmazione negoziata;
-- per ciò che attiene ai CPI, la scelta risulterà circoscritta all’ambito
dell’intermediazione, in particolare alla filiera della raccolta
delle vacancies e a quella della diffusione e condivisione di
informazioni sulla domanda di lavoro delle aziende. Si tratta di
un ambito informativo qualificato, trattandosi di informazioni
essenziali e propedeutiche per la realizzazione delle attività che
costituiscono il core business dei SPI.
Sul versante provinciale si osserva un profilo assai originale
del sistema toscano di relazioni, se confrontato tanto con la media
nazionale e nelle sue declinazioni più (Centro Nord) o meno (gruppo
di confronto) differenziate.
In tal senso, la tabella 2.11 evidenzia come a livello nazionale
la fattispecie della cooperazione con gli altri soggetti autorizzati
ad erogare servizi per il lavoro conosca un profilo accidentato
e differenziato a seconda della tipologia dei soggetti (privata vs
72
istituzionale) con un sistema complessivamente più ampio di
relazioni cooperative a favore dei c.d. “intermediari speciali”
(università, sindacati, consulenti del lavoro, ecc.) che con i soggetti
“privati” tout court. Con i primi, infatti, hanno relazioni di tale
tipologia tra il 58,8% e il 63,7% delle province, quota che si contrae
in corrispondenza dei secondi a valori compresi tra il 41,2% e il
50%. Sul versante della presenza di accordi formalizzati con altri
enti e attori per l’integrazione delle politiche e l’ampliamento delle
filiere di offerta di servizi (specie sul versante del welfare e dello
sviluppo locale) si registrano forme di interlocuzione di una certa
ampiezza con i Comuni (60,8% delle province) e finalizzate ad
iniziative di sviluppo locale (61,8%), piuttosto che con organismi
del terzo settore (42,2%).
Tabella 2.11 Sistemi provinciali: presenza di rapporti di rete con soggetti pubblici e privati
nel territorio
Valori assoluti e %
Cooperazione con Apl
Agenzie di somministrazione
Agenzie di intermediazione
Società di ricerca & selezione
Agenzie di outplacement
Università
Sindacati
Fondazione dei consulenti del lavoro
Organizzazioni datoriali
Enti bilaterali
Accordi formalizzati con altri enti/attori
Comuni
Organismi del terzo settore
Per iniziative di sviluppo locale, PIT,
programmazione negoziata
Fonte: ISFOL - Monitoraggio SPI 2008
Toscana
Centro Nord Gruppo di confronto
Italia
Val. ass. Val. % Val. ass. Val. % Val. ass. Val. % Val. ass. Val. %
2
2
2
2
10
10
8
10
6
20,0
20,0
20,0
20,0
100,0
100,0
80,0
100,0
60,0
33
28
27
30
45
49
48
47
44
50,0
42,4
40,9
45,5
68,2
74,2
72,7
71,2
66,7
14
12
12
12
15
16
16
16
17
58,3
50,0
50,0
50,0
62,5
66,7
66,7
66,7
70,8
51
43
42
46
61
64
65
64
60
50,0
42,2
41,2
45,1
59,8
62,7
63,7
62,7
58,8
9
6
90,0
60,0
45
31
68,2
47,0
16
10
66,7
41,7
62
43
60,8
42,2
7
70,0
44
66,7
16
66,7
63
61,8
I quadranti di immediato riferimento del sistema toscano -il
Centro Nord e il gruppo di confronto- rispecchiano, pur con alcune
differenze il profilo complessivo ora disegnato. Nel Centro Nord
appare più accentuato della media il sistema di relazioni cooperative
con gli “intermediari speciali” (tra il 66,7% e il 74,2%), mentre nel
gruppo di confronto, oltre ad un più costante ed omogeneo profilo di
interlocuzione cooperativa con gli “intermediari speciali” si riscontra
una frequentazione più strutturata con i soggetti privati in genere.
73
Il profilo toscano appare decisamente orientato ad una omogenea
e diffusa cooperazione locale con gli “intermediari speciali” (tra
l’80 e il 100% delle province con la sola eccezione degli enti
bilaterali, 60%), con quote specifiche pressoché sconosciute
presso gli altri quadranti (non omogenei per numerosità specifica
dei casi, beninteso). Per contro, molto meno strutturata appare
l’interlocuzione in forme cooperative con i soggetti privati in senso
stretto (20% in tutti i casi).
A conferma di un profilo di networking regionale a “forte
connotazione istituzionale”, è possibile osservare anche le
relativamente elevate percentuali di sistemi provinciali che
realizzano accordi formalizzati con Comuni e terzo settore, ovvero
finalizzati all’integrazione della linea di servizi in direzione del
supporto a processi di sviluppo locale: la quota inferiore (60%) di
essi è grosso modo comparabile alla quota più elevata espressa,
nei confronti delle medesime fattispecie, nei quadranti del Centro
Nord, del gruppo di confronto e nazionale in genere.
A livello territoriale (Tab. 2.12), limitatamente ai processi
propedeutici all’intermediazione di manodopera, il profilo
complessivo dell’interlocuzione con altri soggetti del territorio
appare senz’altro omogeneo in tutti i quadranti, compreso quello
regionale. A questo livello, infatti, la possibilità di “azione” concessa
dall’organizzazione degli uffici -alla cui “rigidità” si è già fatto cenno
nelle precedenti pagine- non sembra conferire ai rapporti di rete,
sia pur basati sullo scambio e la condivisione di flussi informativi
qualificati, un andamento particolarmente consistente. Esso appare
orientato in via maggioritaria, e solo per la diffusione informativa,
verso il livello comunale (Informagiovani, con quote tra il 51,8 e il
66,1% e il dato toscano attestato al 55%), presso il quale il sistema
dei SPI spesso si “complementa” e capillarizza rispecchiando la
logica di “servizio di prossimità alle persone” che ne caratterizza
il funzionamento. Modesto è il ricorso effettivo al supporto di altri
soggetti pubblici -sempre nel quadro della diffusione della domanda
di lavoro- quali centri formativi (27,9% complessivo, 27,5% il
dato regionale) o università (14,5% la media nazionale, 15% il
dato nazionale). La “sponda” presso organizzazioni di categoria
sindacali o datoriali, pur a fronte di un discreto e maggioritario
ricorso a forme di interlocuzione diretta con il versante datoriale
riscontrate nella sollecitazione delle vacancies, appare comunque
limitata (19,9%), con il dato regionale superiore a quanto espresso
altrove (27,5%).
74
Tabella 2.12 CPI: rapporti di rete con altri soggetti pubblici e privati nell’ambito della
raccolta e diffusione delle informazioni sulla domanda di lavoro
Valori assoluti e %
Toscana
Centro Nord Gruppo di confronto
Italia
Val. ass. Val. % Val. ass. Val. % Val. ass. Val. % Val. ass. Val. %
Raccolta delle vacancies
Attraverso altri soggetti pubblici
Attraverso agenzie private
Diffusione informazioni sulla domanda di
lavoro delle imprese
Comunicazione a Centri di formazione prof.le
Comunicazione a Comuni/Informagiovani
Comunicazione a Università
Comunicazione ad agenzie di lavoro private (Apl)
Comunicazione ad organizz. datoriali o sindacali
Comunicazione a CCIAA
Fonte: ISFOL - Monitoraggio SPI 2008
12 30,0
9 22,5
11
22
6
4
11
3
27,5
55,0
15,0
10,0
27,5
7,5
86 27,1
77 24,3
106
181
61
42
79
40
33,4
57,1
19,2
13,2
24,9
12,6
28
11
25,7
10,1
172 32,0
168 31,3
37
72
21
11
27
11
33,9
66,1
19,3
10,1
24,8
10,1
150
278
78
66
107
53
27,9
51,8
14,5
12,3
19,9
9,9
2.6
Considerazioni conclusive
Alla luce dell’analisi fin qui svolta, il sistema della Regione Toscana
sembra posizionarsi nell’area dei sistemi più strutturati del Paese
e risulta caratterizzato dalla presenza di elementi istituzionali,
organizzativi e operativi ormai consolidati e sedimentati. Si
rammenta, infatti, come nell’osservazione dei c.d. “fondamentali”
di sistema, alcuni aspetti ancora largamente futuribili nel complesso
del sistema nazionale appaiono come acquisiti nel quadro regionale
(raccordo con la formazione professionale, patto di servizio, ecc.).
Omogeneità e solidità organizzativa e funzionale emergono
soprattutto nella filiera dei servizi alla persona, con l’addentellato
dell’implementazione delle procedure di presa in carico dell’utenza,
a loro volta integrate e completate dal ricorso a strumenti di
scrematura, selezione e trasparenza delle platee di utenze e del
rapporto ad esse relativo.
In questo quadro assai consolidato, tuttavia, il sistema regionale
presenta alcuni aspetti di criticità (intesi anche come maggiori spazi
di interventi futuri) in corrispondenza dei servizi rivolti ai datori di
lavoro. In questo ambiente istituzionale e operativo, infatti, se da un
lato è possibile ricostruire un profilo che per consistenza può essere
sovrapponibile a quello già osservato per i servizi alla persona, da un
altro lato esso appare caratterizzato da una minore intensità, venato
75
da una minore omogeneità operativa e dalla presenza di una quota
minoritaria di situazioni interlocutorie.
La consistente qualificazione e omogeneità organizzativa
riscontrata appare in buona parte correlata alla scelta istituzionale di
un forte investimento quali-quantitativo sul versante della dotazione
(e dell’organizzazione) delle risorse umane attive nei sistemi locali.
Ciò, storicamente, porta con se aspetti contraddittori:
-- seppure soggette ad una forte varianza, come in tutte le altre
regioni, le strutture CPI della Toscana appaiono mediamente più
dotate, più omogenee nella distribuzione delle risorse (soprattutto
in relazione agli scarti tra strutture più dotate e meno dotate
di personale) rispetto al resto delle circoscrizioni territoriali
considerate;
-- sul piano qualitativo, ciò si traduce in una potenziale capacità
di fronteggiare volumi di attività più elevati rispetto ad altri
quadranti, senza gravare proporzionalmente più che altrove sui
carichi medi individuali delle strutture e del personale;
-- il “prezzo da pagare” per un simile quadro organizzativo è quello
della presenza di una componente di personale non di ruolo più
che doppia rispetto a quella osservata in tutti gli altri quadranti
(44% contro una media di circa il 20%);
-- conseguentemente, il sistema risente di una maggiore esposizione
alle variazioni di risorse economiche, dovuta alla dipendenza
della porzione più qualificata del plesso organizzativo (personale
e, di conseguenza anche servizi) da risorse comunitarie.
Il sistema regionale, in sostanza, appare informato a scelte di fondo
nette, non soltanto sul piano organizzativo e di servizio, ma anche in
termini di posizionamento territoriale, laddove risulta -molto più che
altrove in Italia- marcata la scelta di investire su reti di cooperazione
a forte connotazione istituzionale che coinvolgono soggetti come
università, comuni, associazioni datoriali e sindacali in un reticolato
che si snoda tanto sul supporto ai processi di intermediazione
e riqualificazione, quanto sull’orientamento dell’utenza e il
miglioramento della trasparenza del mercato del lavoro.
76
3.
Il Masterplan regionale dei Servizi per l’impiego.
Il bilancio del biennio 2008-2009
3.1
Introduzione
Il Masterplan regionale dei SPI, approvato dalla Giunta Regionale
con DGR 348/2004, rappresenta lo strumento di cui si è dotata la
Regione Toscana per la valutazione annuale del funzionamento e
dell’efficacia dei SPI.
Sulla base dei dati estratti dal sistema informativo regionale
IDOL, è possibile compiere l’analisi delle attività svolte dai SPI
rivolti ad una duplice tipologia di utenza: gli individui da un lato
e le aziende dall’altro16. L’analisi della composizione dell’utenza
potenziale, rappresenta uno degli aspetti centrali per comprendere
la portata delle attività svolte dai SPI.
In secondo luogo è possibile analizzare la diversa tipologia di
servizi offerti, seppure limitatamente alle attività di sportello, che
ovviamente non esauriscono l’intera gamma di attività erogate e che
rappresentano ambiti di intervento altrettanto cruciali (ad esempio
i servizi di II livello, che presuppongono l’attivazione di servizi
specialistici).
Il volume di lavoro svolto dagli operatori dei servizi può essere
approssimato, in prima battuta, dal numero delle “prese in carico”,
che costituisce un indicatore particolarmente rappresentativo della
mole di utenza che quotidianamente si presenta agli sportelli. Ogni
volta che un individuo o un’azienda si rivolgono allo sportello -per
chiedere informazioni o accedere a servizi- viene aperto un contatto,
che viene chiuso soltanto nel momento in cui l’utente, individuo o
azienda, lascia il servizio. Tutti i movimenti, così come le principali
caratteristiche degli utenti, siano essi aziende o individui, sono
registrati dal sistema IDOL e archiviati in un database. L’insieme di
tali dati costituisce la fonte informativa utilizzata per ricostruire il
quadro presentato nelle pagine che seguono.
In realtà i SPI svolgono attività di servizio anche per una serie di organismi pubblici (ad esempio,
l’INPS, le Aziende Sanitarie, ecc.), producendo dati e informazioni funzionali alla programmazione e al
controllo delle politiche e dei servizi erogati.
16
77
3.2
Gli sportelli dei Servizi per l’impiego
•• Gli utenti: dinamiche e caratteristiche
Nel corso del 2009, le “prese in carico” di individui agli sportelli dei
SPI sono state oltre 670 mila, con una distribuzione sostanzialmente
omogenea fra il primo e il secondo semestre dell’anno (Tab. 3.1).
Tabella 3.1 NUMERO “prese in carico” DI UTENTI PER PROVINCIA. 2008-2009
Valori assoluti
I sem. 2008
II sem. 2008
2008
I sem 2009
II sem. 2009
Arezzo
17.589
16.506
34.095
20.434
Circondario Empolese V.E.
14.020
13.026
27.046
16.982
Firenze
40.130
38.090
78.220
47.752
Grosseto
14.091
16.319
30.410
17.421
Livorno
15.872
17.866
33.738
25.194
Lucca
29.645
44.831
74.476
59.611
Massa Carrara
13.626
18.807
32.433
27.435
Pisa
24.007
28.426
52.433
35.785
Pistoia
15.252
15.212
30.464
22.197
Prato
9.179
12.139
21.318
24.591
Siena
17.282
18.189
35.471
21.401
TOSCANA
210.693
239.411 450.104
318.803
Fonte: elaborazioni su dati SIL - Regione Toscana
25.544
20.704
53.959
17.833
25.655
59.228
28.219
40.787
27.461
27.072
25.470
351.932
2009
45.978
37.686
101.711
35.254
50.849
118.839
55.654
76.572
49.658
51.663
46.871
670.735
Il trend rilevato evidenzia un incremento delle pratiche relative
agli utenti lavoratori gestite da parte dei servizi, già a partire dal
secondo trimestre del 2008 (+16%), ma che si accentua a partire
dal 2009: la mole di utenza quotidianamente trattata dagli operatori,
infatti, è aumentata del 51% nel primo semestre 2009 e del 47% nel
secondo semestre del 2009 (Graf. 3.2).
Grafico 3.2 NUMERO DI “PRESE IN CARICO” DI UTENTI. TOSCANA. 2007-2009
Valori assoluti
400.000
320.000
240.000
160.000
80.000
0
I semestre
2007
II semestre
2007
I semestre
2008
Fonte: elaborazioni su dati SIL - Regione Toscana
78
II semestre
2008
I semestre
2009
II semestre
2009
A fronte di oltre 670 mila contatti, gli individui che si sono rivolti
agli sportelli sono stati quasi 435mila (Tab. 3.3). Così come per le
prese in carico, la dinamica è nettamente espansiva nel corso del
biennio osservato, con tassi di variazione che tendono ad accentuarsi
a partire dalla seconda metà del 2008 e attestarsi al 38% nei due
semestri del 2009 (Graf. 3.4).
Tabella 3.3 NUMERO DI UTENTI PRESI IN CARICO PER PROVINCIA. 2008-2009
Valori assoluti
I sem. 2008
II sem. 2008
2008
I sem. 2009
II sem. 2009
2009
Arezzo
12.705
12.989
Circondario Empolese V.E.
9.211
8.888
Firenze
28.967
28.500
Grosseto
10.694
12.409
Livorno
12.618
14.863
Lucca
16.035
23.052
Massa Carrara
7.320
9.595
Pisa
17.678
21.504
Pistoia
12.309
12.763
Prato
7.392
9.656
Siena
12.135
13.384
TOSCANA
147.064
167.603
Fonte: elaborazioni su dati SIL - Regione Toscana
25.694
18.099
57.467
23.103
27.481
39.087
16.915
39.182
25.072
17.048
25.519
314.667
15.476
11.267
33.726
12.542
19.512
27.337
10.827
23.697
17.379
17.621
14.127
203.511
19.053
14.246
38.062
13.069
20.025
29.623
11.334
28.231
20.758
19.280
17.374
231.055
34.529
25.513
71.788
25.611
39.537
56.960
22.161
51.928
38.137
36.901
31.501
434.566
Grafico 3.4 NUMERO DI UTENTI PRESI IN CARICO. TOSCANA. 2007-2009
Valori assoluti
250.000
200.000
150.000
100.000
50.000
0
I semestre
2007
II semestre
2007
I semestre
2008
II semestre
2008
I semestre
2009
II semestre
2009
Fonte: elaborazioni su dati SIL - Regione Toscana
Il confronto fra il numero di contatti e il numero di utenti evidenzia
che ogni lavoratore, così come ogni azienda, si reca mediamente più
di una volta presso gli sportelli dei SPI. Nel biennio 2008-2009 il
rapporto si attesta tra l’1,4 e l’1,5, ad indicare che mediamente ogni
utente-lavoratore si è recato quasi una volta e mezzo allo sportello, con
una lieve tendenza alla crescita nel corso dell’ultimo anno (Tab. 3.5).
79
Tabella 3.5 CONFRONTO FRA IL NUMERO DI “PRESE IN CARICO” E IL NUMERO DI UTENTI PER PROVINCIA.
2008-2009
Valori %
I sem. 2008
II sem. 2008
Arezzo
1,38
Circondario Empolese V.E.
1,52
Firenze
1,39
Grosseto
1,32
Livorno
1,26
Lucca
1,85
Massa Carrara
1,86
Pisa
1,36
Pistoia
1,24
Prato
1,24
Siena
1,42
TOSCANA
1,43
Fonte: elaborazioni su dati SIL - Regione Toscana
1,27
1,47
1,34
1,32
1,20
1,94
1,96
1,32
1,19
1,26
1,36
1,43
2008
I sem. 2009
II sem. 2009
2009
1,33
1,49
1,36
1,32
1,23
1,91
1,92
1,34
1,22
1,25
1,39
1,43
1,32
1,51
1,42
1,39
1,29
2,18
2,53
1,51
1,28
1,40
1,51
1,57
1,34
1,45
1,42
1,36
1,28
2,00
2,49
1,44
1,32
1,40
1,47
1,52
1,33
1,48
1,42
1,38
1,29
2,09
2,51
1,47
1,30
1,40
1,49
1,54
Si può osservare, dunque, che l’incremento della mole di lavoro
per gli operatori deve essere imputata da un lato all’incremento del
numero di utenti, dall’altro al fatto che aumenta la probabilità che gli
utenti si rivolgano più di una volta ai servizi.
La probabilità di rivolgersi più volte nel corso dello stesso anno
ai SPI mostra un’interessante variabilità nel dettaglio territoriale. Il
rapporto fra “prese in carico” e lavoratori assume i valori più elevati
nelle province di Massa Carrara (2,51) e Lucca (2,09). I valori più
contenuti, per contro, si registrano a Livorno (1,29), Pistoia (1,30),
Arezzo (1,33) e Grosseto (1,38).
Così come nel precedente Rapporto (Regione Toscana, 2008),
sono stati confrontati i dati relativi all’utenza effettiva, costituita
dalle persone che quotidianamente si rivolgono ai servizi (e
registrata dal sistema IDOL) e a quella potenziale, rappresentata
da un sottoinsieme delle persone appartenenti alle forze di lavoro,
stimate dalla Rilevazione Continua dell’Istat, in cui sono stati
inclusi, oltre ai soggetti disoccupati e in cerca di prima occupazione,
gli occupati a termine, gli occupati stabili (autonomi e dipendenti)
che hanno dichiarato di essere comunque alla ricerca di un altro
lavoro, gli occupati in cassa integrazione e gli studenti.
Se nel corso del 2007, gli utenti dei servizi rappresentavano poco
più della metà del bacino potenziale di utenti (54%), nel corso del
2008 (58%) e soprattutto nel 2009 la quota è cresciuta in maniera
significativa, sfiorando l’82%.
Nella procedura di presa in carico degli utenti è prevista anche
la rilevazione di una serie di informazioni socio-anagrafiche degli
80
individui (in particolare il genere, l’età, il titolo di studio e la
nazionalità) che consentono di delineare una sorta di identikit dei
soggetti che fruiscono dei servizi offerti dai CPI.
Nel corso del 2009 le donne continuano a rappresentare la quota
maggioritaria degli utenti dei CPI (53%), anche se nel corso degli
ultimi tre anni osserviamo una progressiva diminuzione (Graf. 3.6),
che seppure con intensità diverse riguarda tutte le province toscane
(Tab. 3.7).
Grafico 3.6 COMPOSIZIONE PER GENERE DEGLI UTENTI PRESI IN CARICO. TOSCANA. 2007-2009
Valori %
2009
47,0
53,0
2008
40,1
59,9
2007
0%
20%
F
M
42,5
57,5
40%
60%
80%
100%
Fonte: elaborazioni su dati SIL - Regione Toscana
Tabella 3.7 UTENTI presi in carico per PROVINCIA E genere. 2008-2009
Valori assoluti
F
M
2008
Totale % donne su tot.
Arezzo
15.617 10.077 25.694
Circ. Empolese V.E. 10.833
7.266 18.099
Firenze
32.369 25.098 57.467
Grosseto
13.862
9.241 23.103
Livorno
16.075 11.406 27.481
Lucca
22.333 16.754 39.087
Massa Carrara
9.021
7.894 16.915
Pisa
21.727 17.455 39.182
Pistoia
14.759 10.313 25.072
Prato
9.580
7.468 17.048
Siena
14.655 10.864 25.519
TOSCANA
180.831 133.836 314.667
Fonte: elaborazioni su dati SIL - Regione Toscana
F
M
2009
Totale % donne su tot.
60,8 19.176 15.353 34.529
59,9 13.786 11.727 25.513
56,3 37.783 34.005 71.788
60,0 14.999 10.612 25.611
58,5 20.812 18.725 39.537
57,1 30.180 26.780 56.960
53,3 10.314 11.847 22.161
55,5 26.766 25.162 51.928
58,9 21.102 17.035 38.137
56,2 18.806 18.095 36.901
57,4 16.672 14.829 31.501
57,5 230.396 204.170 434.566
55,5
54,0
52,6
58,6
52,6
53,0
46,5
51,5
55,3
51,0
52,9
53,0
Il dato è probabilmente da leggere alla luce delle dinamiche
più recenti del mercato del lavoro e al diverso impatto della crisi
economica sulle diverse componenti della forza lavoro (IRPETRegione Toscana, 2010). Sebbene la disoccupazione si confermi
come un fenomeno prevalentemente femminile (circa i 2/3 delle
persone in cerca di un’occupazione sono donne) gli ultimi dati
81
evidenziano nel corso del 2009 un aumento anche degli uomini alla
ricerca di un’occupazione, diretta conseguenza della crisi in atto,
che colpisce settori come l’industria e le costruzioni, caratterizzati
da una minore femminilizzazione della forza lavoro.
In secondo luogo, occorre tener conto anche dei possibili effetti
di scoraggiamento che tendono a colpire in misura più rilevante
proprio le donne in fasi congiunturali negative come quella
attuale, riducendo l’intensità delle azioni di ricerca di un impiego,
contribuendo all’aumento dei tassi di inattività e riducendo pertanto
le probabilità di rivolgersi ai CPI.
Infine, sulla composizione degli utenti in carico ai servizi è
probabile influiscano anche le disposizioni anticrisi emanate a livello
nazionale e regionale in merito agli ammortizzatori sociali. In base
a una serie di provvedimenti a livello nazionale (in particolare l’art.
19 della Legge 2 del 28 gennaio 2009 e le integrazioni previste dalla
Legge 33 del 9 aprile 2009; l’Accordo tra Stato e Regioni del 12
febbraio 2009), e all’Accordo quadro per l’erogazione della CIGS
in deroga del 30 aprile 2009, sottoscritto tra la Regione Toscana,
sindacati e associazioni di categoria (e successive modifiche), la
possibilità di fruire di misure di integrazione al reddito è stata estesa
a tutti i settori produttivi e a tutte le tipologie di lavoro subordinato,
ampliando così il numero di aziende e di lavoratori interessati. In
generale l’accesso alle diverse tipologie di indennità è subordinato
alla dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro o a un percorso
di riqualificazione professionale; in Toscana tale dichiarazione deve
essere allegata alla domanda di autorizzazione alla CIG in deroga
che le aziende inviano alla Regione. A seguito della sottoscrizione
della DID (dichiarazione di immediata disponibilità) il lavoratore
ha l’obbligo di presentarsi agli sportelli del CPI, entro 48 ore, pena
decadenza del diritto a percepire il sostegno richiesto.
Se si osservano i dati relativi alle richieste di CIG in deroga,
in effetti, la composizione risulta essere sbilanciata a favore della
componente maschile (56% contro il 44% delle donne).
Per quanto concerne la distribuzione per età, si conferma la
concentrazione in corrispondenza delle fasce di età centrali e una
rarefazione in corrispondenza dei gruppi di età più giovani e più
maturi, con differenze territoriali non particolarmente marcate
(Tab. 3.8). Nel triennio si nota una progressiva riduzione della quota
di giovani e giovani adulti sul totale e al contempo un incremento
per gli over 45 anni (Tab. 3.9). Anche in questo caso il dato è
presumibilmente da collegare al fatto che non tutte le categorie
82
di lavoratori risentono in egual misura degli effetti della crisi e
al contempo non tutti i lavoratori sono soggetti in egual misura a
procedure di messa in cassa integrazione che hanno contribuito
nell’ultimo anno all’incremento degli accessi presso i CPI.
Tabella 3.8 UTENTI PRESI IN CARICO PER PROVINCIA E CLASSI DI ETÀ. 2009
Valori assoluti
<18anni 19-25 anni 26-34 anni 35-44 anni 45-54 anni
Arezzo
978
6.174
9.493
10.149
Circondario Empolese V.E.
1.254
4.718
6.104
6.973
Firenze
1.985
11.654
18.656
20.701
Grosseto
898
4.960
6.810
6.918
Livorno
1.149
7.029
10.726
11.446
Lucca
2.057
11.852
15.179
14.754
Massa Carrara
340
4.791
6.028
5.748
Pisa
843
10.203
15.027
13.834
Pistoia
1.053
7.369
9.975
10.232
Prato
763
5.830
9.086
10.860
Siena
716
5.431
8.835
8.844
TOSCANA
12.036
80.011
115.919
120.459
Fonte: elaborazioni su dati SIL - Regione Toscana
5.968
4.850
14.123
4.530
6.922
9.670
3.936
9.064
7.226
7.742
5.756
79.787
>54 anni
TOTALE
1.767
1.614
4.669
1.495
2.265
3.448
1.318
2.957
2.282
2.620
1.919
26.354
34.529
25.513
71.788
25.611
39.537
56.960
22.161
51.928
38.137
36.901
31.501
434.566
Tabella 3.9 COMPOSIZIONE PER CLASSI DI ETÀ DEGLI UTENTI PRESI IN CARICO. TOSCANA. 2009
Valori %
<18 anni
19-25 anni
26-34 anni
35-44 anni
45-54 anni
>54 anni
2007
3,6
18,2
2008
3,5
18,9
2009
2,8
18,4
Fonte: elaborazioni su dati SIL - Regione Toscana
28,2
27,4
26,7
28,1
27,5
27,7
16,7
17,2
18,4
5,3
5,4
6,1
Per concludere, soffermiamo l’attenzione sulla classe di
iscrizione degli utenti che si sono rivolti ai servizi nel corso del
2009 (Tab. 3.10). Oltre il 54% degli utenti che si sono recati
presso gli sportelli è iscritto come “disoccupato” o “inoccupato”
(vale a dire in cerca di prima occupazione). Gli altri -occupati,
cessati dall’impiego, decaduti dallo stato di disoccupazione, ecc.rappresentano il 46% dell’utenza complessiva, in crescita rispetto al
dato relativo al 2008 (41%). Fra i disoccupati, si conferma la netta
prevalenza dei disoccupati di lunga durata (da più di 12 mesi), che
rappresentano oltre il 60% del totale; in crescita rispetto all’anno
precedente quando rappresentavano il 58%.
Tale dinamica è sostanzialmente simile in tutte le province
toscane, con la sola eccezione di Siena, seppure continuino a
sussistere profonde differenze territoriali. Nel corso del 2009, la
percentuale più elevata di disoccupati di lunga durata si conferma
83
nelle province di Grosseto e Livorno, con valori attorno al 70%, a
fronte di valori minimi per il Circondario Empolese Valdelsa e la
provincia di Pisa (circa il 55%) (Graf. 3.11).
Tabella 3.10 UTENTI presi in carico per provincia, classI di ISCRIZIONE e anzianità di
disoccupazione. 2009
Valori assoluti e %
Occupati/
altra condizione
Arezzo
16.815
Circondario Empolese V.E.
12.154
Firenze
35.698
Grosseto
10.086
Livorno
15.943
Lucca
24.735
Massa Carrara
10.267
Pisa
22.254
Pistoia
18.238
Prato
17.333
Siena
15.131
TOSCANA
198.654
% per classe
45,7
% per anzianità di disoccupazione
Fonte: elaborazioni su dati SIL - Regione Toscana
Disoccupati/Inoccupati
0-3 mesi 4-6 mesi 7-12 mesi > 12 mesi TOTALE
3.256
3.851
7.389
2.354
3.205
5.555
2.802
8.135
5.402
4.832
4.001
50.782
986
810
2.118
793
1.215
1.695
584
1.829
1.151
1.150
1.068
13.399
2.422
1.413
4.702
1.702
2.454
4.052
1.189
3.156
2.113
2.317
1.932
27.452
21,5
5,7
11,6
11.050 17.714
7.285 13.359
21.881 36.090
10.676 15.525
16.720 23.594
20.923 32.225
7.319 11.894
16.554 29.674
11.233 19.899
11.269 19.568
9.369 16.370
144.279 235.912
54,3
61,2
100,0
TOTALE
34.529
25.513
71.788
25.611
39.537
56.960
22.161
51.928
38.137
36.901
31.501
434.566
100,0
Grafico 3.11 INCIDENZA DEI DISOCCUPATI DA OLTRE 12 MESI FRA GLI UTENTI DEI SERVIZI PER PROVINCIA.
2008-2009
Valori %
Livorno
Grosseto
Lucca
Arezzo
Massa Carrara
TOSCANA
Firenze
Prato
Siena
Pistoia
2008
2009
Pisa
Circondario Empolese V.E.
0
10
20
30
Fonte: elaborazioni su dati SIL - Regione Toscana
84
40
50
60
70
80
•• L’utenza straniera17
La progressiva crescita della forza lavoro straniera nel mercato del
lavoro toscano trova conferma anche nei dati di accesso al sistema
regionale dei SPI. I cittadini stranieri che si sono rivolti ai servizi
risultano quasi 88mila nel corso del 2009, pari al 20% sul totale degli
utenti, ampiamente sovrarappresentati rispetto allo loro incidenza
sul totale delle forze di lavoro (9,4%). Il dato è in sensibile crescita
rispetto al 2007 (+79%), quando gli utenti stranieri erano 49mila
(pari al 17,6% sul totale degli utenti) (Tab. 3.12).
Tabella 3.12 UTENTI STRANIERI18 PRESI IN CARICO PER PROVINCIA. 2007-2009
Valori assoluti e %
2007
% sul totale
utenti
presi in carico
Arezzo
3.309
Circondario Empolese V.E.
2.832
Firenze
11.061
Grosseto
4.258
Livorno
3.875
Lucca
6.900
Massa Carrara
1.738
Pisa
4.195
Pistoia
3.738
Prato
2.317
Siena
4.809
TOSCANA
49.032
Fonte: elaborazioni su dati SIL - Regione Toscana
13,7
16,6
21,4
18,4
14,6
20,8
12,7
14,4
15,8
17
20,6
17,6
2008
% sul totale
utenti
presi in carico
2009
% sul totale
utenti
presi in carico
4.944
3.692
14.189
4.812
4.380
8.332
2.636
6.988
4.741
3.205
6.332
64.251
19,2
20,4
24,7
20,8
15,9
21,3
15,6
17,8%
18,9
18,8
24,8
20,4
7.010
4.801
17.830
5.544
6.374
11.551
3.820
9.767
6.963
6.005
8.161
87.826
20,3
18,8
24,8
21,6
16,1
20,3
17,2
18,8
18,3
16,3
25,9
20,2
La sovrarappresentazione della componente straniera sull’utenza
dei SPI rispetto alla presenza complessiva nel mercato del lavoro è
probabilmente da imputare da un lato alle esigenze burocratiche, che
spesso determinano la necessità di rivolgersi al CPI (ad esempio la
necessità di dimostrare formalmente il proprio stato di disoccupazione
per quanti sono in scadenza del permesso di soggiorno); dall’altro
alle specifiche modalità di inserimento nel mercato del lavoro,
caratterizzate da un maggior turnover occupazionale e contrassegnate
17
Per lavoratori stranieri si fa riferimento ai cittadini provenienti dai Paesi a Forte Pressione Migratoria,
che includono tra gli altri anche gli Stati neocomunitari (ad esempio Romania, Polonia ecc.), mentre non
sono inclusi quanti provengono dai Paesi dell’UE a 15 stati membri, il Canada, gli Stati Uniti, l’Australia, il
Giappone e Israele. Quest’ultimi sono invece definiti come Paesi a Sviluppo Avanzato (PSA) e nelle tabelle
sono stati aggregati agli italiani.
18
Per lavoratori stranieri si fa riferimento ai cittadini provenienti dai Paesi a Forte Pressione Migratoria,
che includono tra gli altri anche gli Stati neocomunitari (ad esempio Romania, Polonia ecc.), mentre non
sono inclusi quanti provengono dai Paesi dell’UE a 15 stati membri, il Canada, gli Stati Uniti, l’Australia, il
Giappone e Israele. Quest’ultimi sono invece definiti come Paesi a Sviluppo Avanzato (PSA) e nelle tabelle
sono stati aggregati agli italiani.
85
da un progressivo peggioramento a seguito della fase recessiva attuale,
che ha contribuito nel corso del 2009 ad un brusco calo del tasso di
occupazione e ad un significativo incremento della disoccupazione,
più accentuato di quanto non sia avvenuto per la componente
autoctona. Inoltre, occorre tener conto del fatto che quasi tutte le
province negli ultimi anni si sono attrezzate attraverso sportelli
dedicati, servizi di mediazione linguistico-culturale, di consulenza
legale, ecc., per affrontare le richieste di questa componente della
forza lavoro (cfr. capitolo 6).
•• Gli utenti del collocamento mirato
Come di consueto, una parte dell’analisi dei dati viene concentrata
sulle specificità degli utenti del collocamento mirato, la cui
importanza deriva dal fatto che si tratta di lavoratori in genere con
maggiori difficoltà di inserimento lavorativo rispetto alla forza
lavoro complessiva, e rispetto alla quale i SPI hanno una specifica
responsabilità nella gestione degli interventi relativi al collocamento
mirato ai sensi della L.68/99.
Nel 2009 le “prese in carico” relative a questa fascia di utenti
sono state oltre 18mila, concentrate soprattutto nella prima parte
dell’anno: 10.243 nel primo semestre; 8.168 nel secondo semestre.
In termini dinamici si registra un incremento sia rispetto al 2008
(+8%), che al 2007 (+34%) (Tab. 3.13).
Tabella 3.13 NUMERO DI “PRESE IN CARICO” DI UTENTI L. 68/99 PER PROVINCIA. 2008-2009
Valori assoluti
I sem 2008
II sem. 2008
Arezzo
1.197
Circondario Empolese V.E.
360
Firenze
1.999
Grosseto
546
Livorno
715
Lucca
672
Massa Carrara
621
Pisa
900
Pistoia
745
Prato
286
Siena
476
TOSCANA
8.517
Fonte: elaborazioni su dati SIL - Regione Toscana
496
213
2.093
580
505
1.348
762
1.282
570
280
447
8.576
2008
I sem 2009
II sem. 2009
2009
1.693
573
4.092
1.126
1.220
2.020
1.383
2.182
1.315
566
923
17.093
376
303
2.170
505
840
1.993
782
1.069
1.010
722
473
10.243
584
346
1.978
396
658
1.535
521
856
627
414
253
8.168
960
649
4.148
901
1.498
3.528
1.303
1.925
1.637
1.136
726
18.411
A fronte di tale trend, si registra una sostanziale stabilità del
numero di individui presi in carico dai servizi nel biennio 2008 e
2009 (circa 7.500), tuttavia in diminuzione rispetto al 2007 quando
gli utenti risultavano 9.200 (Tab. 3.14).
86
Tabella 3.14 NUMERO DI UTENTI L. 68/99 PRESI IN CARICO PER PROVINCIA. 2008-2009
Valori assoluti
I sem 2008
II sem. 2008
2008
I sem 2009
II sem. 2009
2009
Arezzo
493
252
Circondario Empolese V.E.
121
89
Firenze
781
743
Grosseto
253
273
Livorno
380
286
Lucca
359
543
Massa Carrara
209
260
Pisa
454
474
Pistoia
390
341
Prato
192
177
Siena
236
233
TOSCANA
3.868
3.671
Fonte: elaborazioni su dati SIL - Regione Toscana
745
210
1.524
526
666
902
469
928
731
369
469
7.539
202
126
704
254
363
634
257
398
442
311
240
3.931
367
124
703
210
346
584
194
323
346
217
156
3.570
569
250
1.407
464
709
1.218
451
721
788
528
396
7.501
Il risultato di tali dinamiche si esprime nel rapporto crescente tra
numero di prese in carico e individui, ad indicare che aumentino le
probabilità che il soggetto si rivolga più volte allo sportello: dal 1,49
volte nel 2007 al 2,5 nel 2009 (Tab. 3.15).
Tabella 3.15 CONFRONTO FRA IL NUMERO DI “PRESE IN CARICO” E IL NUMERO DI UTENTI. 2007-2009
Valori %
Arezzo
Circondario Empolese V.E.
Firenze
Grosseto
Livorno
Lucca
Massa Carrara
Pisa
Pistoia
Prato
Siena
TOSCANA
Fonte: elaborazioni su dati SIL - Regione Toscana
2007
2008
2009
1,46
1,71
1,62
1,39
1,39
1,42
1,98
1,42
1,27
1,29
1,49
1,49
2,27
2,73
2,69
2,14
1,83
2,24
2,95
2,35
1,80
1,53
1,97
2,27
1,69
2,60
2,95
1,94
2,11
2,90
2,89
2,67
2,08
2,15
1,83
2,45
Dopo una flessione registra nel 2008, nel corso del 2009 il
numero di soggetti beneficiari della L.68/99 che si sono iscritti al
collocamento mirato, usufruendo di uno dei servizi disponibili, è
risultato di nuovo in crescita attestandosi comunque su un livello
inferiore a quello del 2007 (Tab. 3.16).
87
Tabella 3.16 NUMERO DI LAVORATORI L. 68/99 ISCRITTI AL COLLOCAMENTO MIRATO PER PROVINCIA.
2007-2009
Valori assoluti
Arezzo
Circondario Empolese V.E.
Firenze
Grosseto
Livorno
Lucca
Massa Carrara
Pisa
Pistoia
Prato
Siena
TOSCANA
Fonte: elaborazioni su dati SIL - Regione Toscana
2007
2008
2009
567
330
894
373
610
617
397
652
628
368
405
5.841
430
208
661
284
429
453
214
447
381
290
292
4.089
436
217
780
275
437
614
280
558
453
387
345
4.782
•• Le aziende utenti dei Servizi per l’impiego
Nel corso del 2009, si sono registrati presso gli sportelli poco più di
16mila contatti da parte di aziende (o consulenti del lavoro o soggetti
abilitati a rappresentarle19) (Tab. 3.17).
Tabella 3.17 NUMERO “PRESE IN CARICO” DI AZIENDE PER PROVINCIA. 2008-2009
Valori assoluti
I sem 2008
II sem. 2008 Anno 2008
Arezzo
1.458
Circondario Empolese V.E.
490
Firenze
1.588
Grosseto
522
Livorno
2.429
Lucca
1.116
Massa Carrara
789
Pisa
1.202
Pistoia
480
Prato
74
Siena
1.036
TOSCANA
11.184
Fonte: elaborazioni su dati SIL - Regione Toscana
3.377
176
1.201
722
1.605
886
450
2.239
208
251
765
11.880
4.835
666
2.789
1.244
4.034
2.002
1.239
3.441
688
325
1.801
23.064
I sem 2009
668
128
429
807
1.611
1.113
312
1.753
606
1.728
229
9.384
II sem. 2009 Anno 2009
803
171
182
556
1.414
884
382
1.008
320
989
142
6.851
1.471
299
611
1.363
3.025
1.997
694
2.761
926
2.717
371
16.235
Il trend dell’ultimo triennio è caratterizzato da una marcata
contrazione del numero di pratiche trattate dagli operatori e relative
alle aziende (-72% rispetto al 2007 e -30% rispetto al 2008)
(Graf. 3.18).
19
L’interazione tra SPI e datori di lavoro è spesso mediata da realtà di servizio terze a cui le aziende
delegano alcune attività (ad esempio quelle in relazione agli obblighi di comunicazione).
88
Grafico 3.18 NUMERO DI “PRESE IN CARICO” DI AZIENDE. TOSCANA. 2007-2009
Valori assoluti
40.000
30.000
20.000
10.000
0
I semestre
2007
II semestre
2007
I semestre
2008
II semestre
2008
I semestre
2009
II semestre
2009
Fonte: elaborazioni su dati SIL - Regione Toscana
La flessione rispetto al 2007 è in parte da imputare al processo
di informatizzazione delle comunicazioni obbligatorie, dovute dalle
aziende ai SPI, che hanno portato ad una significativa flessione della
loro presenza fisica agli sportelli. La riduzione rispetto al 2008 è
probabilmente da imputare alle difficoltà determinate dall’attuale
fase recessiva che le imprese hanno affrontato attraverso una forte
riduzione della domanda di lavoro, per cui nel 2009 si è registrata
una diminuzione dei flussi di avviamento pari a circa -73mila
(-9,5%). Evidentemente tali dinamiche riducono anche le probabilità
che le aziende si rivolgano ai CPI per poter usufruire non solo dei
servizi relativi all’intermediazione ma anche quelli di natura più
propriamente informativa e/o consulenziale.
Anche le aziende -così come i lavoratori- possono presentarsi
più volte presso gli sportelli dei SPI. In questo senso, i dati rilevati
evidenziano che nel corso del 2009 le aziende che si sono rivolte
agli sportelli sono state poco più di 14mila (-27% rispetto al 2008)
(Tab. 3.19).
Tabella 3.19 NUMERO DI AZIENDE “PRESE IN CARICO” PER PROVINCIA. 2008-2009
Valori assoluti
I sem 2008
II sem. 2008
2008
I sem 2009
II sem. 2009
2009
Arezzo
1.293
2.738
Circondario Empolese V.E.
370
173
Firenze
1.354
1.128
Grosseto
493
654
Livorno
1.837
1.196
Lucca
959
762
Massa Carrara
669
398
Pisa
1.098
2.010
Pistoia
460
193
Prato
69
208
Siena
925
728
TOSCANA
9.527
10.188
Fonte: elaborazioni su dati SIL - Regione Toscana
4.031
543
2.482
1.147
3.033
1.721
1.067
3.108
653
277
1.653
19.715
619
125
404
716
1.226
971
309
1.595
531
1.537
219
8.252
701
139
164
468
1.157
785
376
957
311
901
141
6.100
1.320
264
568
1.184
2.383
1.756
685
2.552
842
2.438
360
14.352
89
Anche per questa tipologia di utenza, il confronto fra il numero
di contatti e il numero di utenti evidenzia che ogni azienda si reca
mediamente più di una volta presso gli sportelli dei SPI20. Nel corso
del 2007 il rapporto si attesta a 1,13, un dato, questo, in diminuzione
crescita rispetto al 2007 quando il corrispondente rapporto era di
circa due “servizi erogati” per azienda. (Tab. 3.20).
Tabella 3.20 CONFRONTO FRA IL NUMERO DI “SERVIZI ALLE IMPRESE” E IL NUMERO DI AZIENDE PER
PROVINCIA. 2008-2009
Valori %
Arezzo
Circondario Empolese V.E.
Firenze
Grosseto
Livorno
Lucca
Massa Carrara
Pisa
Pistoia
Prato
Siena
TOSCANA
Fonte: elaborazioni su dati SIL - Regione Toscana
2008
2009
1,20
1,23
1,12
1,08
1,33
1,16
1,16
1,11
1,05
1,17
1,09
1,17
1,11
1,13
1,08
1,15
1,27
1,14
1,01
1,08
1,10
1,11
1,03
1,13
Nel corso del biennio 2008-2009, la percentuale di aziende che si
sono rivolte ai SPI rappresenta tra il 4% e il 5% delle imprese attive
che risultano dagli Archivi di Movimprese (Tab. 3.21). Il dato in
realtà risente del fatto che in non pochi casi, soprattutto per quanto
riguarda le aziende individuali e comunque di piccole dimensioni,
spesso il contatto con i SPI viene delegato a soggetti terzi (consulenti,
associazioni di categoria o altri soggetti abilitati a rappresentarli).
In secondo luogo, come osservato in precedenza, mentre il dato
relativo all’utenza potenziale è rimasto sostanzialmente inalterato
nei due anni considerati (circa 365mila imprese attive nella nostra
regione), è decisamente diminuita la quota di utenza effettiva.
La distribuzione degli utenti dei servizi riflette il profilo produttivo
regionale. Le aziende che si sono rivolte agli sportelli dei CPI nel
corso del 2009, infatti, sono prevalentemente aziende dei servizi
(66%). Le aziende manifatturiere rappresentano 1/4 dell’utenza
complessiva, in misura minoritaria si tratta di imprese edili (5%) e
agricole (2%).
D’altro canto, è tutt’altro che infrequente il caso di consulenti che si recano presso gli sportelli dei SPI
in rappresentanza di più di un’azienda.
20
90
Tabella 3.21RAPPORTO FRA UTENTI EFFETTIVI E POTENZIALI PER PROVINCIA. 2008-2009
Valori assoluti e %
Aziende prese
in carico
2008
Imprese
attive
% utenti su Aziende prese
imprese attive
in carico
Arezzo
4.031
34.633
11,6
Firenze
3.025
94.237
3,2
Grosseto
1.147
27.126
4,2
Livorno
3.033
28.825
10,5
Lucca
1.721
39.645
4,3
Massa Carrara
1.067
18.630
5,7
Pisa
3.108
37.323
8,3
Pistoia
653
29.863
2,2
Prato
277
28.831
1,0
Siena
1.653
26.870
6,2
TOSCANA
19.715
365.983
5,4
Fonte: elaborazioni su dati SIL - Regione Toscana, Movimprese
1.320
832
1.184
2.383
1.756
685
2.552
842
2.438
360
14.352
2009
Imprese
% utenti su
attive imprese attive
34.501
93.795
27.118
28.705
39.560
18.780
37.418
29.586
29.184
26.726
365.373
3,8
0,9
4,4
8,3
4,4
3,6
6,8
2,8
8,4
1,3
3,9
In termini di dinamica, è evidente la sensibile contrazione rilevata
per le imprese manifatturiere e delle costruzioni più accentuata di
quanto non accada per le aziende terziarie, che invece incrementano
complessivamente la propria incidenza sul totale delle aziende
clienti dei SPI toscani (Tab. 3.22).
Tabella 3.22 NUMERO DI AZIENDE “PRESE IN CARICO” PER SETTORE DI ATTIVITÀ ECONOMICA. 2007-2009
Valori assoluti e %
2007
Val. ass.
Val. %
2008
Val. ass.
Val. %
Agricoltura
2.022
5,3
Industria
8.650
22,8
Costruzioni
2.894
7,6
Servizi
23.887
62,9
Non indicato
544
1,4
TOTALE
37.997
100,0%
Fonte: elaborazioni su dati SIL - Regione Toscana
632
5.336
1.038
12.108
601
19.715
3,2
27,1
5,3
61,4
3,0
100,0
2009
Val. ass.
219
3.568
661
9.410
494
14.352
Val. %
1,5
24,9
4,6
65,6
3,4
100,0
3.3
I servizi di front office erogati
L’analisi contenuta in questo paragrafo relativa alle diverse tipologie
di servizi offerti dai CPI sia per i lavoratori che per le aziende si
concentra su tutti quei servizi erogati dagli operatori in modalità
di front office (che in realtà costituiscono solo uno degli ambiti di
intervento dei CPI), per i quali è necessario recarsi direttamente allo
sportello. Per contro non sono prese in esame tutte quelle attività che
91
gli operatori erogano in modalità di back office, telefonicamente o
via internet.
•• I servizi agli utenti
Per quanto concerne i lavoratori, l’offerta di informazioni di carattere
generale rappresenta una delle attività più significative fra quelle
svolte. Si tratta, peraltro, di un’attività in progressiva crescita (+44%
rispetto al 2007, +35% rispetto al 2008), che riguarda tutte le diverse
componenti dell’offerta: rispetto al 2007 +51% per le informazioni
generali e/o su servizi specifici, +30% per la consegna del materiale
informativo, +28% per le informazioni su autoconsultazione.
Tale dinamiche confermano sostanzialmente la composizione
del servizio erogato, accentuando semmai la prevalenza dei casi
in cui sono stati gli operatori di sportello ad offrire informazioni
generali o su servizi specifici (71%), rispetto alle altre attività
(Tabb. 3.23 e 3.24).
Tabella 3.23 Numero di azioni di “Informazioni Generali”.TOSCANA. 2007-2009
Valori assoluti e %
2007
Val. ass. Val. %
Informazioni su autoconsultazione
21.955
17,3
Informazioni generali e altri servizi
85.559
67,3
Consegna materiale Informativo
19.626
15,4
TOTALE
127.140
100,0
Fonte: elaborazioni su dati SIL - Regione Toscana
2008
Val. ass. Val. %
2009
Val. ass. Val. %
22.407
93.586
19.219
135.212
28.156
129.435
25.495
183.086
16,6
69,2
14,2
100,0
15,4
70,7
13,9
100,0
Tabella 3.24 Numero di azioni di “Informazioni Generali” per provincia. 2009
Valori assoluti e %
Informazioni su
autoconsultazione
Informazioni generali
e altri servizi
Consegna materiale
Informativo
TOTALE
Arezzo
1.358
Circondario Empolese V.E.
5.622
Firenze
7.308
Grosseto
2.487
Livorno
294
Lucca
6.720
Massa Carrara
1.685
Pisa
182
Pistoia
1.164
Prato
255
Siena
1.081
TOSCANA
28.156
Valori %
15,4
Fonte: elaborazioni su dati SIL - Regione Toscana
13.229
8.344
37.130
4.834
6.531
26.211
9.857
9.205
2.529
4.712
6.853
129.435
70,7
2.176
1.679
5.680
2.298
214
10.715
477
464
428
267
1.097
25.495
13,9
16.763
15.645
50.118
9.619
7.039
43.646
12.019
9.851
4.121
5.234
9.031
183.086
100,0
92
Oltre ai servizi di natura informativa, un’altra attività rilevante
fra quelle erogate in modalità front office agli utenti lavoratori è
rappresentata dal rilascio di certificazioni: nel 2009 oltre 295 mila
con un incremento significativo sia rispetto al 2007 (+77%) sia
rispetto al 2008 (+44%).
Tra le richieste, la quota più consistente è rappresentata dalla
dichiarazione di stato di disoccupazione (il 53% del totale); le
schede anagrafiche, che contengono sia informazioni sull’utente
sia lo stato occupazionale (occupato, disoccupato, non iscritto) che
l’eventuale appartenenenza a categorie protette (20%); i curricula e
le schede professionali, che rappresentano il rimanente delle richieste
(rispettivamente il 15% e il 12%) (Tabb. 3.25 e 3.26).
Tabella 3.25 Numero di certificazioni rilasciate di dichiarazioni di piena disponibilità, schede
anagrafiche, schede professionali, curricula. 2007-2009
Valori assoluti e %
2007
Val. ass.
Val. %
Dichiarazione stato di disoccupazione
89.710
Scheda anagrafica
37.937
Scheda professionale
19.849
Curriculum
18.960
TOTALE
166.456
Fonte: elaborazioni su dati SIL - Regione Toscana
53,9
22,8
11,9
11,4
100,0
2008
Val. ass.
Val. %
2009
Val. ass.
Val. %
112.679
41.867
22.048
29.007
205.601
155.142
60.340
34.276
45.391
295.149
54,8
20,4
10,7
14,1
100,0
52,6
20,4
11,6
15,4
100,0
Tabella 3.26 Numero di certificazioni rilasciate di dichiarazioni di piena disponibilità, schede
anagrafiche, schede professionali, curricula per provincia. 2009
Valori assoluti e %
Dichiarazione stato
di disoccupazione
Arezzo
11.267
Circondario Empolese V.E.
8.109
Firenze
34.376
Grosseto
9.771
Livorno
12.048
Lucca
21.264
Massa Carrara
6.844
Pisa
15.934
Pistoia
12.807
Prato
12.089
Siena
10.633
TOSCANA
155.142
Valori %
52,6
Fonte: elaborazioni su dati SIL - Regione Toscana
Scheda
anagrafica
Scheda
professionale
Curriculum
TOTALE
14.386
1.354
5.508
614
8.731
6.117
1.690
11.804
3.328
2.070
4.738
60.340
20,4
2.333
989
3.036
2.674
5.158
7.864
1.819
2.344
1.957
3.043
3.059
34.276
11,6
2.897
1.233
4.929
1.956
4.262
11.612
667
12.467
405
1.140
3.823
45.391
15,4
30.883
11.685
47.849
15.015
30.199
46.857
11.020
42.549
18.497
18.342
22.253
295.149
100,0
93
Nel corso del 2007 sono stati fatti oltre 105 mila colloqui di
primo orientamento (successivo all’iscrizione ex D.Lgs 181/00), in
sensibile crescita rispetto al biennio precedente: +26% rispetto al
2007, +45% rispetto al 2008 (Tab. 3.27).
Tabella 3.27 NUMERO COLLOQUI D.LGS 181/00 DI ORIENTAMENTO EFFETTUATI DAI SPI PER PROVINCIA.
2007-2009
Valori assoluti
2007
2008
2009
Arezzo
6.302
Circondario Empolese V.E.
4.096
Firenze
21.260
Grosseto
7.403
Livorno
5.319
Lucca
11.037
Massa Carrara
3.202
Pisa
8.989
Pistoia
5.609
Prato
4.256
Siena
5.803
TOSCANA
83.276
Fonte: elaborazioni su dati SIL - Regione Toscana
6.126
2.984
16.880
5.441
4.429
11.515
3.331
6.857
3.836
4.545
6.476
72.420
7.417
4.461
22.635
7.629
8.237
14.439
7.694
11.028
6.391
7.497
7.757
105.185
Con l’iscrizione allo stato di disoccupazione e il colloquio, si
“formalizza” l’avvio di un percorso che, attraverso il Patto di
Servizio tra CPI e utente, fissa degli obiettivi e specifica le azioni
(di orientamento, di formazione, ecc.) per il raggiungimento di
quest’ultimi. Nel 2009, i Patti stipulati sfiorano i 127mila, circa il
doppio di quanti sono stati rilevati nel 2007 e in sensibile crescita
anche rispetto al 2008 (+61%) (Tab. 3.28).
Tabella 3.28 PATTI DI SERVIZIO INTEGRATI. 2007- 2009
Valori assoluti
2007
2008
2009
Arezzo
6.536
Circondario Empolese V.E.
3.326
Firenze
19.352
Grosseto
4.255
Livorno
792
Lucca
8.464
Massa Carrara
3.053
Pisa
4.940
Pistoia
3.712
Prato
3.687
Siena
5.232
TOSCANA
63.349
Fonte: elaborazioni su dati SIL - Regione Toscana
7.852
3.801
18.823
3.660
3.224
14.014
3.887
8.959
2.820
4.202
7.484
78.726
11.356
4.725
24.978
4.787
7.165
22.384
9.922
14.686
6.651
9.869
10.410
126.933
94
Nella fase successiva al colloquio 181 è prevista la possibilità
di offrire agli utenti azioni di consulenza orientativa (che possono
includere bilanci di competenze dell’utente, partecipazioni a
seminari, azioni mirate, ecc.). Complessivamente nel 2009 sono
state erogate più di 47mila consulenze di questo tipo, un dato in
netta crescita rispetto agli anni precedenti (Tab. 3.29).
Tabella 3.29 NUMERO DI “CONSULENZE ORIENTATIVE” PER PROVINCIA. 2007-2009
Valori assoluti
2007
2008
2009
Arezzo
2.508
Circondario Empolese V.E.
3.186
Firenze
8.332
Grosseto
6.783
Livorno
1.748
Lucca
7.075
Massa Carrara
3.169
Pisa
1.081
Pistoia
5.132
Prato
2.979
Siena
1.868
TOSCANA
43.861
Fonte: elaborazioni su dati SIL - Regione Toscana
3.508
845
3.614
2.513
1.049
11.420
2.845
1.353
1.574
2.391
1.570
32.682
3.611
908
3.916
2.756
1.952
15.602
7.006
2.915
1.820
3.748
3.172
47.406
Infine, si registra una significativa crescita del numero di lavoratori
che si sono recati allo sportello per iscriversi alle liste di mobilità: si
passa dai circa 15mila nel 2007, ai 18mila del 2008 fino a superare i
26mila nel corso del 2009, con un picco massimo rilevato nel primo
semestre dell’anno (Tab. 3.30 e Graf. 3.31).
Tabella 3.30 NUMERO DI ISCRIZIONI ALLE LISTE DI MOBILITÀ PER PROVINCIA. 2007-2009
Valori assoluti
Arezzo
Firenze
Circondario Empolese V.E
Grosseto
Livorno
Lucca
Massa Carrara
Pisa
Pistoia
Prato
Siena
TOSCANA
Fonte: elaborazioni su dati SIL - Regione Toscana
2007
2008
2009
1.615
3.385
723
662
1.075
1.168
926
1.337
1.320
1.639
665
14.515
1.814
3.218
969
976
1.413
1.721
1.083
1.841
1.615
2.046
823
17.519
2.307
5.723
1.865
1.204
2.266
2.243
1.945
2.816
2.025
2.569
1.335
26.298
95
Grafico 3.31 ISCRIZIONI ALLE LISTE DI MOBILITÀ PER SEMESTRE. TOSCANA. 2007-2009
Valori assoluti
15.000
12.000
9.000
6.000
3.000
0
I semestre
2007
II semestre
2007
I semestre
2008
II semestre
2008
I semestre
2009
II semestre
2009
Fonte: elaborazioni su dati SIL - Regione Toscana
•• I servizi alle aziende
Coerentemente con quanto rilevato nell’analisi delle prese incarico
nel corso degli ultimi due anni si registra una significativa contrazione
delle attività di servizio erogate da parte dei CPI alle imprese. Una
corretta lettura del dato deve, tuttavia, tener conto della progressiva
messa a regime delle procedure di informatizzazione di tutte le
comunicazioni relative all’instaurazione, alla trasformazione, alla
proroga e alla cessazione di tutti i rapporti di lavoro, per tutte le
imprese, sia private che pubbliche, senza alcuna esclusione settoriale.
Dopo un regime transitorio da luglio 2007 a febbraio 2009 che
consentiva l’invio delle comunicazioni anche in formato cartaceo,
dal 1° marzo 2008 è stato stabilito l’obbligo di trasmissione on line
delle comunicazioni relative ai rapporti di lavoro. Senza dubbio
questa modifica normativa ha influito sulle attività relative agli
adempimenti aziendali allo sportello da parte degli operatori dei CPI,
pur non esaurendone l’attività informativa che continua a sussistere
in modalità di back office (Tabb. 3.32 e 3.33).
Nella stessa direzione può aver influito anche la dinamica
congiunturale negativa alla quale le aziende toscane hanno risposto
in prima battuta attraverso una sensibile contrazione dei flussi di
avviamento al lavoro, come peraltro indica il dato negativo relativo
alle richieste di personale.
Tabella 3.32 NUMERO DI SERVIZI EROGATI ALLE AZIENDE DAGLI OPERATORI DEGLI SPORTELLI. 2007-2009
Valori assoluti
2007
2008
2009
Adempimenti aziendali
48.850
Consulenza alle imprese
7.450
Richieste di personale
5.895
TOTALE
62.195
Fonte: elaborazioni su dati SIL - Regione Toscana
13.827
4.660
6.118
24.605
6.926
5.840
5.999
18.765
96
Tabella 3.33 NUMERO DI SERVIZI EROGATI ALLE AZIENDE DAGLI OPERATORI DEGLI SPORTELLI PER
PROVINCIA. 2009
Valori assoluti e %
Adempimenti
aziendali
Consulenza alle
imprese
Richieste di
personale
TOTALE
Arezzo
217
Circondario Empolese V.E.
217
Firenze
279
Grosseto
270
Livorno
1.493
Lucca
308
Massa Carrara
497
Pisa
1.674
Pistoia
373
Prato
1.497
Siena
101
TOTALE
6.926
Valori %
36,9
Fonte: elaborazioni su dati SIL - Regione Toscana
976
8
246
597
1.863
282
120
317
64
1.268
99
5.840
31,1
349
59
194
593
728
1.396
171
740
454
1.115
200
5.999
32,0
1.542
284
719
1.460
4.084
1.986
788
2.731
891
3.880
400
18.765
100,0
In lieve crescita invece rispetto al 2008 è la consulenza alle
imprese, che include peraltro attività di marketing, sulle quali tutte
le province stanno investendo per stringere i rapporti con il versante
datoriale (cfr. capitolo 5).
•• I servizi di incontro tra domanda e offerta di lavoro21
Le imprese che si rivolgono ai CPI con la necessità di reperire e
assumere personale hanno la possibilità di accedere a modalità
differenti di fruizione del servizio di incontro tra domanda e offerta
di lavoro:
-- la pubblicazione da parte dei CPI delle offerte “in chiaro”
richieste dalle aziende, ossia vengono riportati il nominativo
dell’azienda e i riferimenti presso i quali i candidati possono
inviare direttamente i loro curricula;
-- la preselezione dei candidati che si sono prenotati per una
determinata proposta di lavoro, in modo da verificare il possesso
dei requisiti professionali e la disponibilità e inviarne un numero
ridotto all’azienda;
-- tipologie specifiche di servizi previsti per il collocamento
mirato sia presso enti pubblici che presso imprese private, e le
assunzioni nel settore pubblico previste ex. art. 31 L.R. 7 del
2004 con avviamento a selezione per le qualifiche più basse, che
richiedono il possesso del solo titolo dell’obbligo.
Per quanto concerne questa area di intervento, l’analisi è stata condotta sulla base dei dati forniti dalle
Province in riferimento alla richieste di lavoro presentate dalle aziende da un lato, e le attività svolte dai
CPI dall’altro.
21
97
Le imprese che si sono rivolte ai CPI nel 2009 per avvalersi dei
servizi di ricerca del personale sono state 13.619, per un totale di
circa 22mila lavoratori richiesti. Il confronto con l’anno precedente
evidenzia come il sistema produttivo toscano abbia subito gli effetti
della crisi economica in maniera significativa, per cui si rileva una
netta contrazione sia delle aziende che hanno effettuato richieste
di personale attraverso i servizi di incontro e domanda di lavoro,
sia del numero di lavoratori richiesti, con una dinamica negativa
sostanzialmente simile in tutte le province toscane (Tab. 3.34).
Tabella 3.34 Aziende che si sono rivolte ai CPI per richieste di personale e numero di
lavoratori richiesti per provincia. Toscana. 2008 e 2009
Valori assoluti
N° aziende
2008
N° lavoratori richiesti
Arezzo
874
Firenze
4.555
Circondario Empolese V.E.
1.019
Grosseto
2.038
Livorno
1.447
Lucca
3.574
Massa Carrara
629
Pisa
1.437
Pistoia
1.186
Prato
1.684
Siena
2.199
TOSCANA
20.642
Fonte: elaborazioni su dati Amministrazioni Provinciali
1.304
5.870
1.234
3.327
3.551
5.763
1.104
1.786
2.953
1.862
2.810
31.564
N° aziende
2009
N° lavoratori richiesti
602
2.910
571
1.538
1.152
1.919
508
797
790
1.167
1.665
13.619
1.388
3.687
679
2.385
2.869
3.465
917
1.169
1.783
1.350
2.060
21.752
Per quanto concerne le diverse tipologie, si conferma anche
in questo biennio la prevalenza nell’uso della preselezione come
modalità di incontro tra le richieste delle aziende e le candidature
da parte dei lavoratori: oltre la metà delle richieste viene trattata in
preselezione, in riferimento sia al numero di aziende che di lavoratori
(Tabb. 3.35 e 3.36).
Tabella 3.35 Aziende che si sono rivolte ai CPI per richieste di personale e numero di
lavoratori richiesti per tipologia di servizio. Toscana. 2008-2009
N°
aziende
2008
% N° lavoratori
richiesti
%
Offerte in chiaro
7.239 35,1
14.322 45,4
Preselezione
11.625 56,3
15.620 49,5
Collocamento mirato (aziende private)
1.577
7,6
1.239
3,9
Enti pubblici art. 31
139
0,7
260
0,8
Enti pubblici mirato
62
0,3
123
0,4
Totale*
20.642 100,0
31.564 100,0
* Pisa e Prato non rilevano il dato relativo alle offerte in chiaro
Fonte: elaborazioni su dati Amministrazioni Provinciali
98
N°
aziende
2009
% N° lavoratori
richiesti
4.428 32,5
7.775 57,1
1.274
9,4
92
0,7
50
0,4
13.619 100,0
%
9.526 43,8
10.938 50,3
952
4,4
238
1,1
98
0,5
21.752 100,0
99
2009
Enti
Offerte
Pre- Collocamento
Enti Totale
Enti
in Chiaro selezione mirato (aziende pubblici
pubblici pubblici
art.31
private)
art.31 mirato
Enti
pubblici
mirato
Totale
N° aziende
485
350
18
14
6
874
311
263
22
4
2
602
N° lavoratori richiesti
814
435
18
18
18
1.304
936
414
24
9
5
1.388
N° aziende
1.417
2.579
529
21
9
4.555
699
1.858
330
14
9
2.910
Firenze
N° lavoratori richiesti
2.260
3.001
529
63
17
5.870
1.094
2.208
335
35
15
3.687
N° aziende
315
701
*
3
*
1.019
149
420
*
2
*
571
Circondario
Empolese V.E.* N° lavoratori richiesti
510
721
*
3
*
1.234
246
431
*
2
*
679
N° aziende
1.288
687
37
25
1
2.038
977
505
41
13
2
1.538
Grosseto
N° lavoratori richiesti
2.359
894
45
27
2
3.327
1.752
564
44
21
4
2.385
N° aziende
752
578
94
15
8
1.447
498
557
79
13
5
1.152
Livorno
N° lavoratori richiesti
1.743
1.640
125
27
16
3.551
1.346
1.396
94
20
13
2.869
N° aziende
2.015
1.464
83
9
3
3.574
1.214
638
59
3
5
1.919
Lucca
N° lavoratori richiesti
3.740
1.900
91
21
11
5.763
2.562
827
65
3
8
3.465
N° aziende
133
450
41
3
2
629
113
342
49
2
2
508
Massa Carrara
N° lavoratori richiesti
342
709
44
6
3
1.104
258
590
49
6
14
917
N° aziende
n.d
1.154
244
31
8
1.437
n.d.
588
179
21
9
797
Pisa
N° lavoratori richiesti
n.d
1.585
149
44
8
1.786
n.d.
925
157
78
9
1.169
N° aziende
480
640
64
2
1.186
224
465
99
2
790
Pistoia
N° lavoratori richiesti
2.084
755
108
6
2.953
932
746
101
4
1.783
N° aziende
n.d
1.283
397
1
3
1.684
n.d.
781
374
6
6
1.167
Prato
N° lavoratori richiesti
n.d
1.772
62
20
8
1.862
n.d.
1.252
38
46
14
1.350
N° aziende
353
1.739
70
17
20
2.199
243
1.358
42
14
8
1.665
Siena
N° lavoratori richiesti
470
2.207
68
31
34
2.810
400
1.585
45
18
12
2.060
N° aziende
7.239
11.625
1.577
139
62 20.642
4.428
7.775
1.274
92
50
13.619
TOSCANA
N° lavoratori richiesti 14.322
15.620
1.239
260
123 31.564
9.526
10.938
952
238
98
21.752
* I dati relativi al collocamento mirato, sia per gli enti pubblici che per le aziende private, riferiti al Circondario Empolese Valdelsa, sono conteggiati nella Provincia di Firenze
Fonte: elaborazioni su dati Amministrazioni Provinciali
Arezzo
2008
Offerte
Pre- Collocamento
in chiaro selezione mirato (aziende
private)
Tabella 3.36 Aziende che si sono rivolte ai CPI per richieste di personale e numero di lavoratori richiesti per tipologia di servizio e provincia.
Toscana. 2008-2009
Per quanto concerne le attività di preselezione, i dati forniti dalle
Province consentono di evidenziare oltre al numero di lavoratori
richiesti anche quello dei lavoratori inviati e la quota di casi in cui
il matching tra domanda e offerta di lavoro ha avuto esito positivo
con l’assunzione di un lavoratore. A fronte di quasi 11mila lavoratori
richiesti e trattati in preselezione, i candidati inviati sono stati quasi
129mila, pari mediatamente a 8 ogni posto vacante. I lavoratori
assunti sono stati 4.494, pari a oltre il 40% sul totale dei lavoratori
richiesti dalle imprese attraverso la preselezione.
Nell’interpretazione di tale percentuale bisogna tener conto del
fatto che si tratta di un dato, in realtà, sottostimato a causa delle
difficoltà che i CPI hanno nel reperire informazioni di ritorno da
parte delle aziende; in secondo luogo, può accadere che le aziende
nel momento della comunicazione dei candidati possano aver già
deciso di interrompere la procedura di selezione e assunzione per
motivi diversi (ad esempio in funzione della congiuntura economica),
oppure abbiano assunto lavoratori individuati mediante altri canali
diversi dai CPI.
100
4.
I risultati delle indagini dirette presso le Province
e i Centri per l’impiego22
4.1
La riforma
Il processo di riforma delle politiche del lavoro alla fine degli anni
‘90 ha determinato il superamento del vecchio sistema centralizzato
del collocamento, sostituito da un nuovo sistema di SPI con
il decentramento delle competenze. Questo passaggio è stato
contraddistinto in Italia23 da alcuni elementi di criticità che hanno
riguardato il modello legislativo (ambiguità di ordine istituzionale,
incertezza nell’allocazione delle funzioni e rischi di disuguaglianze
territoriali nell’erogazione dei servizi), gli obiettivi (dubbi
sull’espletamento del decentramento, sulle conseguenze della fine
del monopolio pubblico e sulla definizione della nuova mission dei
CPI), il mercato del lavoro (l’assenza di un quadro interpretativo
aggiornato sui cambiamenti del lavoro, sulle nuove tipologie
contrattuali, ecc.) e l’attuazione operativa (complessità del processo
di costruzione dei nuovi servizi accompagnato da una carenza di
risorse trasferite da parte dello Stato agli enti locali) (Gorli, 2005).
In questo contesto problematico si sono mosse le Regioni e poi le
In questo capitolo si riportano i risultati dell’indagine svolta presso le province e i CPI della Toscana.
In particolare le interviste qualitative alle Province sono state svolte nella primavera del 2009 con: per la
Provincia di Arezzo Romina Nanni (responsabile dei Centri Territoriali per l’Impiego), Stefania Pampaloni
e Francesca Tosti (Osservatorio provinciale Mercato del Lavoro); per il Circondario Empolese Valdelsa
Silvia Meoli (responsabile Politiche del lavoro del Circondario) e Laura Fulceri (responsabile dei CPI del
Circondario); per la Provincia di Firenze Maria Carmen Toscano (P.O. servizi giuridici della Direzione
Lavoro); per la Provincia di Grosseto Roberta Giulietti (dirigente dei CPI, delle politiche sociali e delle
pari opportunità) e Massimo Caramelli (responsabile del Servizio Lavoro dei CPI territoriali di Grosseto,
Follonica, Orbetello, Manciano, Arcidosso); per la Provincia di Livorno Paolo Borghi (responsabile CPI
di Livorno e Piombino e coordinatore dei CPI della Provincia di Livorno); per la Provincia di Lucca
Fiorella Baldelli (dirigente del Servizio Lavoro) e Lorenzo Maraviglia (funzionario); per la Provincia
di Massa Carrara Paola Marini (dirigente Servizio Lavoro) e Giovanni Manfredi (funzionario); per la
Provincia di Pisa Anna Maria Rossi (dirigente) e Patrizia Nannetti (responsabile del Centro Direzionale
per l’Impiego della Provincia di Pisa e del CPI di Pisa); per la Provincia di Pistoia Mauro Gori (dirigente
servizio lavoro); per la Provincia di Prato Franca Ferrara (dirigenzte istruzione, formazione, lavoro);
per la Provincia di Siena Monica Becattelli (responsabile CPI Poggibonsi e coordinatrice dei CPI della
Provincia di Siena). Le interviste ai CPI e servizi territoriali sono state realizzate tramite questionario
strutturato inviato ai responsabili nell’estate del 2009. Pur nell’ambito di un lavoro comune le parti di
questo capitolo vanno così attribuite: a Simona Baldanzi i paragrafi 4.1, 4.2, 4.3 e 4.4; a Germana Berni
il paragrafo 4.6 e a Teresa Savino il paragrafo 4.5.
23
Per un confronto europeo si rimanda a Di Domenico (2006).
22
101
Province italiane, che hanno reagito alla riforma con interpretazioni
diversificate circa i ruoli, i compiti e le funzioni loro assegnate.
La Regione Toscana già con la Legge 52/98 ed il Piano Regionale
per le politiche dell’impiego e per le politiche attive del lavoro
1998-2000, recependo le disposizioni della normativa nazionale, ha
definito nel dettaglio funzioni e competenze dei CPI individuando,
seppure a livello embrionale, degli standard minimi di servizio.
In seguito alle novità legislative nazionali, è stata approvata la
L.R. 32/2002 (“Testo unico della normativa della Regione Toscana
in materia di educazione, istruzione, orientamento, formazione
professionale e lavoro”)24, e quindi il corrispondente regolamento
attuativo. A questi provvedimenti sono seguiti ulteriori atti che
hanno recepito i dettami della Legge 30/03 e del D.Lgs 276/2003.
In seguito, tracciamo brevemente il dettaglio delle misure previste,
sarà utile anche per orientarsi nella lettura dei risultati dell’indagine
presentata in questo capitolo e di quelle commentati nella parte
seconda del volume.
Per quanto riguarda la disciplina per le Agenzie per il lavoro25, vale
a dire uno degli elementi su cui più si diversificano le varie esperienze
regionali, la Toscana ha optato per il modello dell’accreditamento:
sono autorizzati i soggetti che presentano requisiti fissati dalla legge,
mentre le attività che possono essere svolte sono l’intermediazione,
la ricerca e selezione, il supporto alla ricollocazione.
I CPI devono invece assicurare i seguenti servizi, suddivisi in aree:
1. Accoglienza: prima informazione; prima iscrizione e certificazioni;
autoconsultazione;
2. Consulenza e servizi per l’occupabilità: consulenza orientativa
di primo e secondo livello; bilancio di competenze e consulenza
orientativa; informazione strutturata e formazione orientativa di
gruppo; azioni di accompagnamento al lavoro e di tutoraggio
individuale;
3. Servizi alle imprese ed alla pubblica amministrazione: informazione
strutturata e servizi amministrativi di primo livello; consulenza e
procedure amministrative di secondo livello;
24
Questa legge disciplina gli interventi che la Regione Toscana promuove per lo sviluppo dell’educazione,
dell’istruzione, dell’orientamento, della formazione professionale e dell’occupazione, al fine di costruire un
sistema regionale integrato che garantisca, in coerenza con le strategie dell’Unione europea per lo sviluppo
delle risorse umane, la piena realizzazione della libertà individuale e dell’integrazione sociale, nonché il
diritto all’apprendimento lungo tutto l’arco della vita quale fondamento necessario per il diritto allo studio
e il diritto al lavoro.
25
I soggetti che possono essere autorizzati sono: le agenzie di intermediazione, di ricerca e selezione del
personale, di supporto alla ricollocazione, le associazioni territoriali dei datori di lavoro e dei lavoratori anche
attraverso i propri servizi costituiti in forma societaria; gli Enti Bilaterali, i Comuni, le Camere di Commercio,
gli istituti di scuola secondaria di secondo grado, e infine le Università sia pubbliche che private.
102
4. Servizi amministrativi per l’occupabilità: attività amministrative
consulenziali; attività amministrative; avviamenti al lavoro con
procedure predeterminate;
5. Gestione del sistema informativo;
6. Incontro domanda e offerta di lavoro: preselezione e selezione
del personale;
7. Gestione della struttura: gestione organizzativa delle strutture
e delle procedure; promozione dei servizi offerti dalla struttura;
direzione e gestione organizzativa delle risorse umane; ricerche
ed attività di monitoraggio.
Infine, la Regione ha approvato il Masterplan nell’aprile 2004,
che garantisce la ricognizione e la valutazione del funzionamento
e dell’efficacia dei SPI. Come si vedrà, si tratta di uno strumento
di particolare importanza dati gli ampi margini di autonomia
riconosciuti alle Province, che in effetti hanno operato attraverso
modelli organizzativi anche molto diversi gli uni dagli altri, così come
parzialmente differenziati risultano alcuni specifici servizi attivati.
Ponendo la domanda sui momenti cruciali di passaggio dall’ufficio
di collocamento statale al CPI provinciale ai dirigenti delle province
della Toscana, abbiamo rilevato caratteristiche comuni e peculiarità
che aiutano a riflettere sui modelli delineati, sulle situazioni attuali
e sugli sviluppi futuri.
Uno dei primi aspetti emersi riguarda il passaggio di consegna
del servizio lavoro dal Ministero alla Provincia, con conseguente
trasferimento di tutto o parte del personale26. Quasi tutte le province,
con la sola eccezione di Prato, hanno avuto la cessione del personale
ministeriale, vissuto sì come risorsa per il patrimonio di conoscenze
relative a normative e pratiche del collocamento, ma anche come
problematica, poiché si trattava in molti casi di operatori in possesso
di profili professionali relativamente bassi (in prevalenza fascia
B) e con competenze quasi esclusivamente amministrative, non
soddisfacenti per le nuove esigenze dettate dalla riforma, che mirava
proprio al superamento della tradizionale concezione amministrativa
del collocamento a favore di un modello organizzativo improntato
allo sviluppo di politiche attive del lavoro.
Inoltre, la compresenza di due culture professionali diverse,
quella del personale con radici nella vecchia connotazione degli
uffici di collocamento e quella dei nuovi assunti (in non pochi casi
con contratto a termine), che si identificano maggiormente nel loro
Per la Toscana il personale transitato dal Ministero del Lavoro alla Regione è stato di 343 unità, la
maggioranza di VI (117) e V (150) livello, quindi livelli medio-bassi. Cfr. tabelle pp. 66-68 di Marocco
e Incagli (2000).
26
103
ruolo e nella loro qualifica piuttosto che nella realtà complessiva
del centro (Ripamonti, 2005) determina e plasma il modello
organizzativo di ogni provincia. A questa prospettiva di convivenza
di diversi approcci, le istituzioni locali hanno cercato di prepararsi
attraverso la formazione, una fase di approfondimento della tematica
e l’incontro anticipato col personale che poi sarebbe passato
alla provincia27. Con la modernizzazione dei servizi pubblici per
l’impiego, alcune Province hanno avuto modo di mettere a regime
approcci meno burocratici già sperimentati28 e/o esperienze maturate
nel campo delle politiche attive per il lavoro29.
In linea generale si riconosce un ruolo importante alla funzione di
indirizzo e coordinamento della Regione nella gestione del passaggio:
alcuni intervistati sono soddisfatti dell’autonomia decisionale che
hanno avuto, del lavoro di collaborazione fra le province che è stato
fatto per costruire un modello regionale30, mentre altri lamentano una
carenza di linee guida vere e proprie che sapessero indicare con più
precisione la strada da seguire fin dall’applicazione della riforma.
Dalla riforma ci si sarebbero aspettati la diminuzione della
burocrazia collegata alle procedure di collocamento e l’abbattimento
del numero degli iscritti. Come già evidenziato in indagini a livello
nazionale (Landi, 2008), anche nel quadro toscano, ricostruito tramite
le interviste ai dirigenti e ai funzionari provinciali, emerge come siano
stati disattesi entrambi gli obiettivi; in alcuni casi si pone l’accento su
Si è cercato di fare un cammino comune con quelli del ministero che avevano la pratica e noi che
avevamo la nuova teoria, abbiamo fatto corsi di formazione (Massa Carrara).
Abbiamo iniziato a lavorare in maniera anticipata con quelle persone che dalle direzioni provinciali
sarebbero venute a lavorare con noi. Credo sia una peculiarità grossetana e per noi è stato un punto di forza
(…) Abbiamo cominciato a fare corsi di aggiornamento e formazione su cosa era la riforma, cosa sarebbe
diventato ecc. Quando poi il sistema si è messo a regime, a gennaio 2000, quando le persone erano fisicamente
con noi, tutta questa parte era già stata fatta. C’è stato un po’ una sorta di anticipazione, di prevenzione del
trauma del cambiamento e questo ci ha dato la possibilità di pensare a lavorare in comune (Grosseto).
28
In una prima fase i CPI sono stati formati come UO collegate al servizio formazione, poi è stato istituito
come servizio a parte. Sicuramente è stata colta l’opportunità della riforma per mettere a regime certe
sperimentazioni fatte in questa provincia, perché prima vi era un tentativo di approccio meno burocratico
al problema e la riforma è stato un momento di congiunzione in questa realtà (Lucca).
29
La provincia aveva già un suo staff di orientatori (...) Questa esperienza, capii subito che era il centro
del cambiamento e la prima cosa che feci fu di mettere come responsabili dei CPI tutte persone che avevano
svolto l’orientamento. Questo mi dava la garanzia che ci sarebbe stato subito un cambio di mentalità
proprio a partire da chi imposta il lavoro (Pistoia).
30
Al momento della riforma la Regione Toscana emanò la Legge “Norme in materia di politiche del
lavoro e di SPI”. 6 agosto 1998, n. 52. Allora in Toscana, così come in Basilicata, Emilia Romagna,
Liguria, Marche, Molise, Puglia e Umbria, si è, espressamente e senza ‘riservè, delegata alle province
anche la gestione delle politiche attive, in ottemperanza al principio dell’integrazione dei servizi -principio
funzionale cardine fatto proprio dal Decreto. In base a tali disposizioni la Regione esercita funzioni di
programmazione, indirizzo, coordinamento e verifica nei confronti del sistema regionale per l’impiego
e nelle materie relative alle politiche attive. Le Province, nel quadro della loro autonomia organizzativa,
esercitano tutte le funzioni amministrative, di programmazione di livello provinciale e di gestione, nelle
materie del collocamento e delle politiche attive. Dalla data di costituzione dei CPI sono soppressi i CILO
comunali. Al fine di garantire una più efficace diffusione territoriale dei SPI, le Province possono stipulare
specifiche convenzioni con i Comuni, singoli o associati. Si delineò un quadro per cui le Province avevano
molta autonomia (Marocco e Incagli, 2000).
27
104
alcuni elementi distorsivi nel ricorso ai CPI, generalmente correlati ad
iter di accesso ad altri servizi e misure di sostegno dello stato sociale,
per i quali è richiesto lo stato di disoccupazione, sottolineando,
a questo proposito, come non sempre all’iscrizione corrisponda
un’effettiva disponibilità all’avvio di un percorso di inserimento
lavorativo31.
Inoltre, sotto il profilo di come è stato percepito il cambiamento
che la riforma ha portato, soprattutto per quanto riguarda i servizi di
politiche attive, alcune province lamentano che, a distanza di anni,
i servizi non sono del tutto conosciuti, soprattutto per le imprese,
e che ciò comporta un impegno più gravoso per gli interventi di
comunicazione e marketing32.
Nel 1997, con il Trattato di Amsterdam prima e, in seguito, con il
Consiglio “straordinario” di Lussemburgo, si è avviato e perfezionato
il processo di integrazione europea nel campo delle politiche più
direttamente rivolte all’occupazione, decidendo di adottare “la
Strategia europea per l’occupazione” basata su quattro pilastri
ritenuti fondamentali per il perseguimento degli obiettivi di coesione:
migliorare l’occupabilità, sviluppare l’imprenditorialità, incoraggiare
l’adattabilità delle imprese e dei loro lavoratori e, infine, rafforzare
le politiche in materia di pari opportunità. Si sono così delineate le
direttrici lungo le quali si dovevano muovere le specifiche politiche
occupazionali degli Stati membri e su cui sono state convogliate le
risorse finanziarie messe a disposizione dal Fondo sociale europeo.
Al crescente impegno europeo per migliorare i fondamentali del
mercato del lavoro e rilanciare il ruolo dei “fondi strutturali” come
strumento primario di “coesione sociale”, ha corrisposto in Italia un
31
Vi è un aggravamento delle procedure (...) il quadro burocratico è aumentato e le norme di legge aumentate.
(…) Tutte le riforme non hanno abbattuto gli iscritti, gli iscritti sono stati abbattuti dalla demografia. (...)
L’afflusso d’iscrizione è dovuto ad altri benefits, optional che lo stato sociale riconosce in alcune situazioni.
Il disoccupato ha diritto all’abbattimento dei ticket socio-sanitari. Le case popolari? Deve fare domanda
al CPI. Vuoi la pensione di invalidità? Devi essere iscritto. Non si entra all’INPS senza essere iscritto. A
Rosignano un giorno un sacco di donne si sono presentate al CPI, perché -si è scoperto- per le liste dell’asilo
nido era premiata chi era iscritta al CPI, in quanto ricercatrice attiva di lavoro e non casalinga. (Livorno)
Se si vuol parlare di riforma, forse bisognerebbe rendere netta la distinzione tra la dichiarazione di
immediata disponibilità (DID) e lo stato di disoccupazione, documentarlo con l’ISEE o con altre procedure,
altrimenti rischiamo, in un momento in cui lo stato sociale è molto importante e le prestazioni di sostegno
al reddito di servizi per le famiglie fondamentali, di arrivare a un’eccessiva proliferazione di iscritti ai CPI
e quindi di ripristinare le vecchie liste ordinarie (Firenze).
32
Abbiamo fatto un incontro con gli imprenditori del settore navale. Si raccontavano le cose, le
opportunità, le risorse su questo settore. Un imprenditore giovane alzò la mano e disse -mi sono trasferito
da poco, sono un impiantista elettrico, sono andato dalla mia associazione di categoria, loro non mi hanno
detto di questa opportunità-. L’associazione è una delle più importanti sul territorio, abbiamo una grande
collaborazione, però nessuno gli aveva detto dei nostri servizi. Abbiamo capito che esiste uno scostamento
fra quello che c’è e quello che si sa. Anche dopo dieci anni, è difficile scardinarne 50 (Pisa).
La gente ha assorbito bene il cambiamento, sono piaciuti i nuovi servizi, parlo più che altro degli utenti,
perché la realtà delle aziende ci ha messo di più a conoscere i nostri servizi, anche forse per una carenza
nostra, anche perché noi per le aziende siamo stati sempre l’interlocutore istituzionale, quindi colui che
controlla (Circondario Empolese).
105
altrettanto intenso processo di riforma dei sistemi della formazione,
dell’istruzione, del mercato del lavoro e della pubblica amministrazione
(per approfondimenti cfr. Di Domenico, 2002). Lo strumento chiave
nella riforma, riconosciuto da tutte le province è il Fondo Sociale
Europeo. Attraverso gli interventi congiunti del FSE e del FESR
(Fondo europeo di sviluppo regionale) nella programmazione 20002006, si sono finanziati interventi logistici, infrastrutturali, tecnologici
e organizzativi, ristrutturazioni e acquisti di nuove sedi33.
L’FSE rappresenta la voce di entrata più corposa per l’erogazione
dei servizi dei CPI; le Province contribuiscono con parte del
personale, ma senza i fondi europei i servizi al lavoro -si ritienenon potrebbero esistere. L’FSE non è quindi solo un’opportunità, ma
anche uno strumento indispensabile per la sopravvivenza; per contro
ha dei vincoli di spesa e delle rigidità burocratiche34.
4.2
Decentramento e modalità di gestione
Il decreto 469 del ‘97, riguardante il conferimento alle Regioni
e agli Enti locali di funzioni e compiti in materia di mercato del
lavoro, segnava i criteri per l’organizzazione del sistema regionale
per l’impiego e fra questi la distribuzione territoriale dei CPI sulla
base di bacini provinciali con utenza non inferiore a 100.000
abitanti, fatte salve motivate esigenze socio-geografiche. Guardando
Il Fondo Sociale Europeo è stata la nascita e la sopravvivenza dei CPI (...) L’FSE è stato il motore,
le braccia, il cervello del CPI, tutto. Con il vecchio ob.2 abbiamo costruito il CPI di Grosseto e il centro
direzionale. Poi abbiamo le altre strutture, con l’ob. 2 abbiamo rifatto la sede nuova a Manciano, in
collaborazione con il comune, tutte le altre sono state comunque risistemate, modernizzate ecc. Anche
tutta l’attrezzatura informatica, tutto è grazie ai fondi. Dal bilancio della provincia mai niente (Grosseto).
Si è potuto acquisire le sedi attraverso la misura A1 dell’ob.3 del POR 2000-2006, specificatamente rivolta
al reperimento, ristrutturazione e potenziamento per i CPI. Una sede nuovissima è a Monsummano, poi due
sedi, una a Pistoia e una a Pescia, che sono state ricavate da due vecchi centri di formazione professionale
che non avevano più corsi interni. Un’altra sede è stata acquisita a Campo Tizzoro nel comune di San
Marcello, che anche quella è nuova e poi una sede a Quarrata che è stata ricavata da una vecchia scuola
elementare dismessa. Quindi tutte sedi nuovissime con tecnologie moderne, rinnovate (Pistoia).
34
I vincoli del FSE sono le tipologie di spesa per target, per azioni, però soprattutto è un’opportunità
perché se le province non avessero avuto il FSE i CPI non avrebbero avuto quello sviluppo che hanno avuto
in questi dieci anni (Pistoia).
È una spesa soggetta a un sistema di rigidità, legata al fatto che è pensata per finanziare una formazione
professionale di tipo tradizionale (...) Siamo dal punto di vista gestionale costretti a tradurre una quantità di
norme pensate per un altro strumento. Promuovere i CPI è uno degli obiettivi fondamentali dei regolamenti
europei, però c’è la criticità di come viene gestito. Si continua a far finta che i CPI non siano finanziati dal
FSE, cosa che invece accade (Lucca).
Con il Fondo Sociale è un po’ un rapporto di amore odio, nel senso che il Fondo Sociale ha rappresentato
una notevole fonte di opportunità e di risorse; per il Circondario, che non ha risorse proprie, ancor di
più, è diventato quasi l’unico canale. (…) amore perché ha permesso agli operatori di dare risposte, odio
perché sono vincolate sia nelle tipologie di interventi sia perché finché ci sono le risorse le risposte ci sono,
poi nel momento che ci sono cambiamenti nella programmazione o minori risorse subito metti in crisi gli
interventi (Circondario Empolese).
33
106
la tabella 4.1, possiamo vedere che in Toscana, al 2008 risultano
attivi 35 CPI e 13 servizi territoriali35 a fronte di una popolazione
residente di circa 3.700.000 unità e di un’utenza potenziale di circa
2.300.00036. Prendendo in considerazione le singole province e
i dati della popolazione residente, ma soprattutto quella di bacino
potenziale di utenti dei servizi, è chiaro che in alcuni casi si è tenuto
maggiormente conto delle connotazioni socio geografiche, delle
distinzioni economiche politiche e territoriali già presenti, piuttosto
che del numero di abitanti37.
Per quanto riguarda il livello di decentramento dei servizi,
la rete regionale risulta strutturata in 12 servizi territoriali e 66
sportelli territoriali. All’interno di questa articolazione si osservano
differenti situazioni provinciali: le amministrazioni di Pisa, Livorno
e di Grosseto hanno optato per un accentramento delle funzioni
all’interno dei CPI, senza dotarsi di servizi o sportelli territoriali.
Le province di Arezzo, Lucca, Pistoia e il Circondario Empolese si
sono dotate sia di servizi territoriali che di sportelli territoriali, la
provincia di Massa Carrara solo di servizi territoriali, le province di
Firenze e di Siena unicamente di sportelli territoriali (Tab. 4.1).
Per quanto riguarda la diffusione di sportelli territoriali nelle
province si riscontrano pareri positivi che tengono conto dei seguenti
vantaggi: la vicinanza ai cittadini, per cui il livello comunale appare
utile soprattutto per la prima accoglienza, il disbrigo di pratiche e
per territori particolarmente lontani dai CPI centrali; la vicinanza
e la possibilità di specializzazione per target specifici (ad esempio
gli Informagiovani, Novolab o lo sportello per il turismo a Firenze);
l’ampliamento della rete di cooperazione con altri soggetti, per
cui alcuni sportelli sono gestiti da altri enti o soggetti (sindacati e
associazioni categoriali), individuati tra chi si considera esperto e
adatto per quella determinata funzione38.
35
Alcuni servizi territoriali, come nel caso dei servizi della provincia di Arezzo, svolgono le stesse funzioni
dei CPI, ma si preferisce, per organizzazione interna, definirli tali. I CPI devono svolgere tutte le funzioni
previste dal Masterplan regionale. Per gli standard minimi di funzionamento dei servizi che distinguono i CPI
dai Servizi Territoriali e dagli Sportelli Territoriali v. art. 118 e art. 119 del DPGR 8 agosto 2003, n. 47/R.
36
Abbiamo considerato la classe di età 16-64 come popolazione attiva, con la soglia dei 16 anni anziché 15,
in quanto è l’età prevista dall’obbligo formativo e quindi di più probabile accesso ai SPI.
37
La legge diceva che ci doveva essere un CPI su un bacino di 100.000 abitanti. La nostra provincia ne ha il
doppio, quindi a norma ci sarebbero stati due centri, Grosseto e Follonica con conseguenti problemi sotto il
profilo politico e dei territori. La legge diceva anche che ogni CPI avrebbe dovuto erogare tutti i servizi e non
una parte. Per questo si disse si fa un CPI a Grosseto con 5 servizi territoriali. Poi invece siamo stati bravi,
i nostri servizi territoriali sono stati dotati di tutti i servizi e quindi sono CPI a tutti gli effetti (Grosseto). Ci
sono tre CPI. Sulla base del decreto attuativo in realtà ce ne dovrebbero essere due. Il terzo è in deroga, è
nella Valle del Serchio che ha solo 70.000 abitanti, ma una realtà geografica peculiare (Lucca).
38
Abbiamo uno sportello presso l’università di Firenze, Novolab, che rappresenta l’innovazione, il target è
molto diverso da quello normale degli altri CPI e lì si dovrebbe concretamente realizzare l’integrazione tra
istruzione, formazione e lavoro prevista dalla legge 32. (…) A breve sarà aperto lo sportello per il turismo, che
avrà il compito di fornire informazioni, ma anche effettuare completamente la preselezione per le aziende del
107
0
7
Firenze, Scandicci, Sesto
813.077 505.352 1 Fi.no, S. Casciano,
Borgo S. Lorenzo,
Pontassieve, Figline
Circ. Empolese 171.586 108.738 1
2
V.E.
Empoli e Castelfiorentino
5
Arcidosso,
Grosseto
225.861 141.486 1 Grosseto,
Follonica, Manciano,
Orbetello
4
Livorno,
Piombino,
Livorno
340.691 214.945 1 Portoferraio,
CecinaRosignano
3
Lucca
390.200 246.493 1 Lucca, Versilia, Valle del
Serchio
1
Massa Carrara 203.698 128.727 0
Massa Carrara
4
Pisa
410.278 261.471 1
Pisa, Pontedera,
Santacroce, Volterra
3
Pistoia
290.596 184.411 1 Pistoia, Monsummano,
Pescia
1
Prato
246.034 160.744 1
Prato
5
Siena, Sinalunga,
Siena
269.473 165.802 1 Abbadia San Salvatore,
Poggibonsi e
Montepulciano
TOSCANA
3.707.818
10
35
Fonte: elaborazioni su dati Amministrazioni Provinciali, luglio 2009
Firenze
(escl.C.e.)
Sportelli
territoriali
1
Servizi
territoriali
346.324 218.995
CPI
Arezzo
Centro
Provincia
Popolazione
residente al
1/01/2009
Pop.res.
16-64
al 1/01/2009
Tabella 4.1 Popolazione residente e Bacini di utenza, Centri direzionali, CPI, Servizi
territoriali e Sportelli territoriali
5
Arezzo, Montevarchi,
Bibbiena, Cortona e
Sansepolcro
16
1
Fucecchio
7
Palazzuolo, Firenzuola,
Marradi e Barberino di
Mugello, Dicmano, Greve
in Chianti, San Casciano
8
Comuni del Circondario
0
0
0
0
2
4
(3 in Valle del Serchio e 1
in Versilia)
0
2
Aulla e Carrara
0
0
0
2
Quarrata, San
Marcello
0
12
Comuni e parti sociali
0
8
(tra questi, i comuni di
San Casciano dei Bagni,
Chianciano, Montalcino,
Chiusi, San Gimignano)
66
12
11
settore turistico, ristorazione e alberghiero. La presenza sul territorio è abbastanza precisa e capillare, quindi
l’idea della provincia è stata quella di presidiare il territorio con questi sportelli (Firenze).
Sul decentramento è stato fatto un accordo con i comuni della provincia e quindi all’interno di ogni comune
c’è un servizio di prima accoglienza, sono tutti gli sportelli territoriali. Uno per ogni comune e Prato ne ha
uno per ogni quartiere quindi in totale sono 11. La cosa non finisce lì perché abbiamo ampliato la parte del
decentramento con un bando aperto con tutte le parti sociali che vogliono aprire degli sportelli specifici, con
servizio di accoglienza e di orientamento, ma anche con possibilità di incrocio di domanda e offerta (Prato).
Si è individuato nei comuni, nei sindacati, nelle associazioni di categoria tre soggetti che potevano coadiuvare
i CPI per alcune funzioni, non tutti che facevano tutto (...) L’obiettivo era di incrementare la nostra possibilità
di azione e di farlo in maniera più vicina al cittadino. Oltre agli sportelli di Monsummano, Pistoia, Pescia,
San Marcello, Quarrata, abbiamo 22 punti, i tre sindacati storici CGIL CISL UIL, e le associazioni di
categoria, con procedure codificate per tutti. (…) Ai comuni si è dato la funzione di accoglienza, prima
informazione e pratiche amministrative. Al sindacato queste funzioni qui, perché sono funzioni che rispettano
le caratteristiche dei soggetti, mentre alle associazioni di categoria, abbiamo lasciato facoltà di fare l’incrocio
fra domanda e offerta. Proprio per il contatto con le aziende, nel loro ambito di settore, potevano agevolare
l’incrocio fra domanda e offerta (Pistoia).
108
Confrontando i dati del Masterplan del 2007 (Regione Toscana,
2008), dal quale risultavano 158 sportelli territoriali dislocati sul
territorio regionale, con quanto emerso da questa indagine, notiamo
che 92 sportelli non sono più attivi. Questa drastica riduzione
sembra derivare da alcune particolarità del modello toscano, che
qua cerchiamo di comprendere. Alcune regioni come l’Abruzzo, la
Basilicata, la Campania, l’Emilia Romagna, il Veneto e la Toscana
prevedono altri soggetti ad implementare le funzioni dei Centri, in
regime convenzionale. Così privati qualificati, parti sociali e loro enti
bilaterali, camere di commercio, ma anche altre strutture pubbliche,
possono essere “coinvolti”, al fine di assicurare la copertura dei
servizi, ovvero di migliorarne la qualità.
La legge toscana ha una sua peculiarità: l’erogazione dei
servizi, “tramite raccordi funzionali con i servizi di informazione
e orientamento degli Enti locali, delle organizzazioni sindacali
e imprenditoriali, delle Camere di commercio e di altri soggetti
pubblici e privati”, pare assumere la veste di modalità di esercizio
delle funzioni, non solo eventualmente sperimentabile -nelle altre
leggi ci si esprime in termini di “possibilità”- ma di ordinario sistema
di gestione dei compiti affidati ai CPI. Proprio a tal fine, si prevede
che gli stessi possano offrire detti servizi anche a titolo oneroso
(Marocco e Incagli, 2000).
Questa specificità si rende evidente soprattutto nella gestione
degli sportelli territoriali, spesso affidati a comuni, parti sociali, ecc.,
che però non sempre riescono a garantirne la continuità. Inoltre,
poiché la moltiplicazione delle strutture di servizio può talvolta
non tanto ascriversi ad una corretta ed efficiente interpretazione
della sussidiarietà, quanto riferirsi ad una persistenza di modelli
del passato (quali i Centri di Iniziativa Locale per l’Occupazione)
e quindi può sminuire il rilievo dei CPI, la riduzione degli sportelli
territoriali può essere un indicatore positivo.
Alcuni aspetti negativi del decentramento sono stati confermati
anche dalle interviste ai dirigenti provinciali: il dispendio di energie
in termini di personale, controllo, strutture, ma anche da parte
dell’utente che trova nello sportello solo alcuni servizi e quindi per
altre esigenze o servizi deve comunque rivolgersi al CPI39; il rischio
di differenze gestionali e disparità di intervento fra territori40; la
Credo che un proliferare di piccoli sportelli informativi sia una grande difficoltà. Siccome il primo passo
si può fare anche online, poi quando si arriva da noi, si deve sapere che all’interno di questa struttura si fa
tutto il percorso. Altrimenti diventa un dispendio di energie (Pisa).
40
Qualche comune ha aderito a livello spontaneo (…) Però direi che la maggior criticità che rimane e a
cui ho lavorato negli ultimi anni è la discontinuità fra i vari centri, ovvero ci sono punti di eccellenza o di
carenza e variabili (Lucca).
39
109
difficoltà dei comuni e di altri soggetti detentori a mantenere un tale
servizio, creando discontinuità nell’offerta dei servizi41.
Dopo aver visto le strutture presenti nella regione e il loro livello
di decentramento, un altro aspetto distintivo dei servizi è senz’altro
il loro modello di gestione. Abbiamo chiesto ad ogni provincia di
indicarci per ogni funzione del Masterplan la modalità di gestione.
Dal seguente schema possiamo vedere che a livello regionale, i
servizi amministrativi per l’occupabilità, la gestione del sistema
informativo e le attività ricomprese nella gestione della struttura
(ad eccezione della promozione dei servizi offerti e l’attività di
ricerca e monitoraggio) in linea generale sono funzioni affidate
quasi esclusivamente a personale dipendente della P.A.. La funzione
di accoglienza è gestita da personale prevalentemente interno, ma
una quota di province si avvale di società esterne (per la prima
informazione per l’autoconsultazione nei casi di Lucca, Circondario
Empolese e Livorno). La funzione di consulenza e dei servizi per
l’occupabilità è quella che vede le modalità prevalenti di gestione
esternalizzata: l’attività di informazione sulla struttura e la formazione
e l’orientamento di gruppo e le azioni di accompagnamento al
lavoro e tutoraggio sono gestite prevalentemente da società esterne,
le attività di orientamento di primo e secondo livello sono spesso
gestite da consulenti-collaboratori a contratto con la provincia
o da società in house. I servizi alle imprese e alla pubblica
amministrazione sono funzioni affidate prevalentemente a personale
dipendente della P.A.. La funzione di incontro domanda e offerta, di
preselezione e selezione del personale, pur essendo in maggioranza
gestita in prevalenza da personale della P.A. vede due province
(Grosseto e Massa Carrara) che la svolgono con l’utilizzo prevalente
di consulenti o collaboratori, la provincia di Prato che l’ha affidata
a una società in house e quella di Lucca che ricorre a una società
esterna (Schema 4.2).
Di Domenico (2004b) fa notare che un’esternalizzazione eccessiva
dei servizi al privato espone al rischio di svilire le competenze
nel tempo acquisite e, al contempo, di marginalizzare il soggetto
pubblico, con un ruolo relativo di regolatore e referente chiave sul
mercato locale del lavoro. Per questo suggerisce di investire sulle
risorse interne. Dalle interviste emerge chiaramente come le scelte
organizzative siano state fortemente condizionate dai vincoli di
Nel tempo abbiamo visto che queste strutture territoriali in parte funzionavano e in parte no. Alcuni
comuni avevano preso l’impegno, ma non avevano esposto neanche il cartello, altri non avevano personale,
allora abbiamo rivisitato questa rete e abbiamo mantenuto la convenzione solo con le strutture che in
questi anni hanno dimostrato un’effettiva attività (Pistoia).
41
110
spesa estesi agli enti locali in attuazione del patto di stabilità interna,
o più semplicemente dai criteri di ammissibilità definiti dal FSE o,
ancora, dall’evoluzione degli orientamenti regionali in materia di
appalti piuttosto che da una pianificazione gestionale predeterminata
supportata da valutazioni generali, dalla condivisione di obiettivi e
misure atte a perseguirli42.
Schema 4.2 Modalità di gestione prevalente delle attività previste dal Masterplan
Area Funzionale
Tipologia di servizio
AR FI CE GR LI LU MS PI PT PO SI
Prima informazione
1. Accoglienza
Prima iscriz. e certif.
Autoconsultaz.
Cons. orient.I liv.
2. Cons. e servizi per Cons. orient. II liv.
l’occupabilità
Info strut. e formaz. orient.gruppo
Az.accomp.al lavoro e tutor. Indiv.le
Info strut e servizi amm. I liv.
3. Servizi imprese e
alla P.A.
Cons.e procedure amm. di II liv.
4. Servizi amministr. per Attività amm. cons.
l’occupabilità
Avviamenti al lav. con proc. predet.
5. Gestione del sistema Servizi info ed informatici int/est
informativo
Gestione reti int/est - flussi info con il territorio
6. Incontro Dom. e Off. Preselez. e selez. del personale
Gestione organiz. strutture e procedure
Promozione servizi offerti
7. Gestione della
struttura
Gestione ris. umane e direzione
Ricerche e monitoraggio
Legenda: = Solo con personale dipendente della P.A./con prevalenza di personale della P.A .
= Affidata a società in house
= Con prevalenza di consulenti o collaboratori a contratto con la provincia
= Affidata a società esterne
Fonte: elaborazioni su dati Amministrazioni Provinciali, luglio 2009
Sono state individuate essenzialmente cinque categorie cui
ricondurre le modalità di gestione adottate presso le varie realtà
della regione: gestione con prevalenza di personale dipendente;
con personale reperito tramite incarichi e consulenze; affidamento
diretto dei servizi a società a maggioranza pubbliche; affidamento a
società private tramite gare d’appalto. Per ognuna di esse riportiamo
di seguito le principali considerazioni emerse nel corso dell’intervista.
La scelta è altamente condizionata dai vincoli del FSE, e quindi diventa una non scelta. (…) Fino ad
adesso non era mai stato chiaro se si potesse assumere personale a tempo determinato, adesso col nuovo
POR è consentito e quindi è un’opportunità che si apre dal 2008. Poi c’era la difficoltà per la parte di
normativa nazionale di dare incarichi consulenziali, sempre più difficoltà (Lucca).
È una problematica sempre in divenire, spesso condizionata dalle Finanziarie, la possibilità di assumere o
meno, dare incarichi o meno, oppure da opportunità. Noi abbiamo un bando di gara di 2 milioni e mezzo
di euro, ci hanno fatto ricorso, quindi siamo rimasti senza servizi (Grosseto).
Hanno pesato anche i vincoli di spesa agli Enti Locali (Siena).
42
111
Anche se spesso prevale l’utilizzo di personale dipendente associato
ad un’altra forma, vi è una discreta variabilità nelle soluzioni adottate;
ai due estremi troviamo le due province di Pistoia e Prato, con la
prima che utilizza quasi tutto personale dipendente, e la seconda che
ha “esternalizzato” la gestione del CPI interamente ad una società in
house, mantenendo, come vedremo, solo alcune specifiche funzioni.
1) Personale dipendente della Provincia. In realtà un modello con
la presenza esclusiva di operatori interni non esiste43. Pistoia è il
caso di maggior presenza di personale dipendente che ha teso alla
“stabilizzazione”, utilizzando le risorse del FSE per l’attivazione di
contratti settennali (soltanto tre orientatori impiegati nelle attività di
secondo livello sono a collaborazione). Risulta aver esternalizzato un
unico servizio, quello rivolto ai disabili, affidato a un’Associazione
Temporanea d’Impresa (ATI) costituita da cooperative. Inoltre è
stata delegata la funzione di supporto all’autoimprenditorialità
alle associazioni di categoria44. Anche il Circondario Empolese,
dopo aver gestito l’orientamento con un’ATI di agenzie formative
fino al 2007, ha optato successivamente per l’assunzione a tempo
determinato grazie al FSE. Rimane un’ATI per la realizzazione di
servizi, come la consulenza per l’autoimprenditorialità45. Inoltre
la provincia di Firenze ad oggi si avvale di una graduatoria di
operatori da cui attingere per le assunzioni46. Anche la provincia di
Lucca sta valutando l’ipotesi di ricorrere alle assunzioni a termine
tramite il FSE47.
Spesso una difficoltà segnalata è dovuta al limite dei concorsi che richiedono istruttori amministrativi
e non professionalità specifiche: per varie ragioni non è stato poi possibile richiedere, al momento della
selezione del personale che poi si sarebbe occupato di questo servizio, un profilo professionale preciso.
La qualifica era generica: “istruttore amministrativo contabile”. In questa situazione, abbiamo formulato
l’ipotesi dell’esternalizzazione, proprio per individuare le specifiche professionalità che ci servivano e che
noi non potevamo selezionare (Siena).
44
La volontà dell’ente è di trattenere al proprio interno le funzioni strategiche, una è sicuramente
l’orientamento. L’altra funzione fondamentale è l’incontro domanda e offerta, che noi intendiamo presidiare
dentro i CPI (…) L’esternalizzazione che abbiamo è sui disabili, ma non sull’orientamento, l’accoglienza
e la lista, ma sui servizi di politica attiva del lavoro, la formazione specifica, l’inserimento lavorativo. Fa
capo a un bando che noi emettiamo (…) riguarda i servizi integrati sui disabili, è un’ATI di più cooperative
sociali (…) Su alcune funzioni specifiche come l’autoimpiego, l’autoimprenditorialità, lo abbiamo delegato
alle associazioni di categorie perché si ritiene che su questo abbiano maggiori competenze (Pistoia).
45
C’è stata un’operazione di internalizzazione di alcuni servizi perché fino al 2007 la maggior parte dei
servizi di orientamento erano svolti da personale esterno, individuato tramite un’ATI, un insieme di agenzie
formative che svolgevano questi servizi. La decisione è stata quella di rafforzare la dotazione organica
dipendente dal Circondario e dalla Provincia, (...) quindi abbiamo fatto 11 assunzioni a tempo determinato,
dopo aver fatto un concorso, e dal 2008 i servizi del diritto-dovere istruzione e formazione e i colloqui 181 di
primo livello vengono fatti da personale dipendente a tempo determinato (Circondario Empolese).
46
Abbiamo fatto di recente un avviso per la redazione di una graduatoria dalla quale si attingerà per
operatori con la qualifica professionale C1, operatori che presteranno la loro attività di servizio presso i
CPI (Firenze).
47
Per la modalità di gestione siamo in alto mare. C’è stata una scelta (di gestione) in base al dirigente
contingente. (…) L’anno scorso si è usato la modalità della gara di appalto, quindi dipendenti di società
esterne e l’amministrazione sta valutando di procedere ad assunzione a tempo determinato fino al 2013
tramite l’FSE (Lucca).
43
112
2) Incarico a consulenti o collaboratori esterni. Questa è una modalità
che è stata scelta da diverse province soprattutto al momento
dell’avvio della riforma per sopperire all’iniziale gap di competenze
o alle carenze di personale interno, specialmente per quelle funzioni
legate alle politiche attive48. Negli anni poi è diminuito il ricorso
ai consulenti anche in seguito alle norme di legge che ne hanno
limitato l’utilizzo nella pubblica amministrazione, per cui in alcuni
casi vengono utilizzati in forma di co-gestione con gli operatori
interni per servizi specifici49.
3) Appalto a società esterne. Gran parte delle province ricorre per
servizi specifici a questa modalità di gestione. È il caso della
provincia di Grosseto che sta mettendo a gara pacchetti di servizi
(per l’area del disagio, per le donne, ecc.); della provincia di Siena
che ha il servizio del Numero verde e di risposta via mail, il servizio
di consulenza di secondo livello esternalizzato con appalto, il
servizio di consulenza di primo livello con interni e esterni insieme;
della provincia di Pisa con la gara di assistenza tecnica vinta da un
soggetto accreditato dalla Regione per svolgere gli stessi compiti
dei CPI che affianca personale interno alla provincia. La Provincia
di Livorno sta predisponendo l’avvio di procedure di gara per
l’appalto di alcuni servizi, quella di Massa Carrara si avvale di
un’ATI per la gestione dei servizi di accoglienza e informazione.
Anche la Provincia di Firenze ricorre alla gara di appalto, ma in
questo caso per la gestione di servizi specialistici (che, come emerge
dal questionario, consistono in: consulenza orientativa e servizi
all’occupabilità, attività di ricerca e monitoraggio). La Provincia
di Lucca si è avvalsa dell’appalto lo scorso anno (come risulta dal
questionario, per la gestione delle seguenti attività: accoglienza,
consulenza orientativa, servizi all’occupabilità, sistema informativo,
promozione dei servizi); sta, tuttavia, valutando l’opportunità di
I primi anni abbiamo avuto delle collaborazioni esterne con esperti selezionati pubblicamente; si
trattava di orientatori di primo livello a cui era affidata la fase dell’accoglienza, i servizi di primo livello e
la stipula del Patto di Servizio. Avevamo anche altri consulenti esterni per i servizi di secondo livello, per il
counseling, il bilancio delle competenze e le attività rivolte ai soggetti appartenenti alle categorie protette.
Così è andata fino a qualche anno fa (Arezzo).
Noi abbiamo iniziato con un anno di gestione diretta con delle collaborazioni coordinate e continuative,
poi abbiamo fatto dei bandi di gara e ci siamo trovati benissimo con delle società che erogavano, più che
gestire, i servizi. Erano ovviamente coordinati e controllati da noi. Poi invece per una serie di traversie,
siamo dovuti passare alla long list, al rapporto diretto con i consulenti, fino ad oggi (Grosseto).
49
L’orientamento, l’accompagnamento al lavoro e l’incontro domanda-offerta, sono servizi parzialmente
esternalizzati; vi lavorano operatori interni, ma affiancati da consulenti esterni, in un’ottica di co-gestione
e con il coordinamento che rimane comunque in capo al Centro. (…) Nello specifico i consulenti esterni
coprono l’orientamento di primo livello insieme agli operatori interni, mentre al secondo livello disponiamo
di psicologi del lavoro, di orientatori per la gestione della carta ILA, ma sono tutti “esterni”. Per l’incontro
domanda-offerta abbiamo invece il lavoro degli operatori interni integrato da esterni, con una leggera
prevalenza dei primi sui secondi (Siena).
48
113
ricondurre al proprio interno tali funzioni attraverso l’assunzione
di personale a tempo determinato50.
4) Società in house51. È il caso del Centro per l’Innovazione nella
Pubblica Amministrazione della provincia di Arezzo52; della
Florence Multimedia, la società della provincia di Firenze per
il servizio di prima accoglienza e di orientamento53; Sviluppo
società della Provincia di Livorno, che gestiva il servizio fino
a poco tempo fa. All’interno di questa modalità vi è anche il
caso di Prato con la FIL, società partecipata al 51% pubblica
con la provincia, i comuni di Prato, Montemurlo e Vaiano e le
associazioni di categoria e sindacali. Le attività del CPI sono
completamente esternalizzate e alla provincia rimangono compiti
di controllo, monitoraggio e valutazione e gestione delle crisi
aziendali. Infine, molti osservatori provinciali del mercato del
lavoro sono gestiti da società in house54.
50
Dalle assunzioni dirette con partite iva e co.co.co di psicologi, orientatori e operatori di domandaofferta, per vari vincoli e difficoltà, siamo passati a esternalizzare alcuni servizi e tutti i progetti di base,
per stranieri, per donne, per disoccupati di lungo periodo, vengono affiancati da una società in house,
si chiama Provincia Livorno Sviluppo di proprietà al 100% dalla provincia (...) Il 22 dicembre (2008)
dopo un concorso abbiamo il ritorno di una trentina di precari alla provincia (…) Si sta programmando
di esternalizzare una parte di sportellisti che non abbiamo più perché poi vanno in pensione, si darà un
appalto per l’accoglienza. Si è fatto un appalto per i tirocini, per il tutoraggio ordinario per le categorie
deboli (Livorno).
La scelta effettuata nella nostra zona è stata quella di avvalersi di professionalità specifiche nello
svolgimento di attività come l’orientamento, l’accompagnamento al lavoro, l’incontro domanda-offerta e
il servizio di numero verde, all’inizio per i primi due anni (2001-2002) con modalità come la chiamata a
progetto rivolte ad agenzie accreditate individuate con bandi ad hoc, in seguito a partire dal 2003 con la
modalità dell’appalto (...) Il servizio che è totalmente esternalizzato è quello del numero verde, un’attività
che nel tempo è cresciuta moltissimo (Siena).
La nostra è un’esternalizzazione di servizi abbastanza normale. Abbiamo fatto una gara per l’erogazione
dei servizi di primo livello, accoglienza e informazione, però utilizzando le strutture del CPI (...) ad oggi
abbiamo fatto bandi per consulenti (Massa Carrara).
51
Col termine affidamento in house (o in house providing) viene indicata l’ipotesi in cui il committente
pubblico, derogando al principio di carattere generale dell’evidenza pubblica, in luogo di procedere
all’affidamento all’esterno di determinate prestazioni, provvede in proprio, e cioè all’interno, all’esecuzione
delle stesse attribuendo l’appalto o il servizio di cui trattatasi ad altra entità giuridica di diritto pubblico
mediante il sistema dell’affidamento diretto c.d. in house providing, ossia senza gara. Negli affidamenti in
house non vi è, quindi, il coinvolgimento degli operatori economici nell’esercizio dell’attività della Pubblica
Amministrazione, per cui le regole sulla concorrenza, applicabili agli appalti pubblici e agli affidamenti dei
pubblici servizi a terzi, non vengono in rilievo. Si tratta di un modello organizzativo in cui la P.A. provvede
da sé al perseguimento degli scopi pubblici quale manifestazione del potere di auto-organizzazione e del
più generale principio comunitario di autonomia istituzionale.
52
È stata fatta la scelta di creare una società in house che si chiama “CINPA” (Centro per l’Innovazione
nella Pubblica Amministrazione), con la quale la Provincia ha stipulato un Contratto di Servizio (…). I
settori interessati sono appunto l’orientamento di primo e secondo livello, le pari opportunità, la disabilità,
la comunicazione, l’Osservatorio sul mercato del lavoro, il marketing alle imprese e l’assistenza tecnica
per il FSE; per queste aree ci sono state delle selezioni pubbliche che hanno originato dei contratti a tempo
determinato con scadenza a fine 2010 (Arezzo).
53
Fino qualche tempo fa avevamo creato degli sportelli decentrati, cioè un’altra rete di servizi
soprattutto sulla città di Firenze in collaborazione con le organizzazioni sindacali che collaboravano
per l’espletamento dei primi colloqui di orientamento. Oggi grazie all’affidamento in house a Florence
Multimedia che è una società della provincia di Firenze il servizio di prima accoglienza, l’orientamento
sono svolti dentro i CPI (Firenze).
54
La provincia si tiene il grosso del lavoro: la programmazione territoriale, il controllo, il monitoraggio,
oltre a crisi aziendali, cassa integrazione e mobilità, che rimangono funzioni centralizzate. Poi abbiamo
114
Dai commenti degli intervistati sulle modalità di gestione emergono
alcune interessanti considerazioni. I servizi esternalizzati per target e
per progetti possono creare problemi di gestione e di controllo, così
come può essere difficile riuscire a far lavorare insieme operatori
interni ed esterni, anche per problemi relativi alla distinzione chiara e
netta di posizioni, ruoli e compiti di personale che dipende da soggetti
diversi, ma lavora spesso all’interno della stessa struttura.
L’obbligo formativo viene affidato ad un’agenzia formativa
specializzata, viene fatto un progetto per extracomunitari, uno per le
donne, tutti affidati ad agenzie separate. Il problema è l’integrazione
e il rimando dell’utente. (…) Quando poi avremo tutta una serie di
progetti esternalizzati avremmo il problema di guidarli. (Livorno)
Le conseguenze sono un atteggiamento psicologico da dipendente,
del personale che non corrisponde alla realtà. (…) La verità è che o
lo esternalizzi o non lo esternalizzi. Se lo esternalizzi prendi come
l’esattoria, lo dai a una banca e fa tutto lui, è un’altra struttura. Se
invece è interna, è interna. (…) Se vuoi fare dentro uno zoccolo
duro, devono essere servizi definiti. (Lucca)
Il margine interno-esterno è molto labile perché si lavora con
gli esterni come se lavorassero all’interno (...) Dall’anno scorso
abbiamo sperimentato le riunioni di equipe, cioè mettere attorno a
un tavolo operatori che si occupano del medesimo caso da punti di
vista diversi. (Circondario Empolese)
Pur nella consapevolezza delle difficoltà e dei limiti dettati
dalle norme e dalle Finanziarie, l’auspicio che emerge da diverse
province è quello di poter disporre per questi servizi di personale a
tempo indeterminato utile alla programmazione e alla stabilità degli
interventi, nonché alla sedimentazione di competenze professionali
nei centri, poiché spesso, con la cessazione del rapporto di lavoro,
si disperde anche la conoscenza acquisita. Laddove ciò non dovesse
realizzarsi, si auspica comunque l’adozione di forme strutturate
almeno per una buona parte delle attività previste dal CPI, per quello
che viene definito lo “zoccolo duro” degli interventi.
Per il futuro, con il rinnovo del contratto di servizio, sarebbe
opportuna l’assunzione del personale a tempo indeterminati.
(Arezzo)
Undici operatori sono stati assunti a tempo determinato per la
durata della programmazione del Fondo sociale, quindi è un periodo
un CPI che è gestito da FIL, società partecipata provinciale (...) Il CPI fa tutti i servizi, sportelli specifici
di autoimprenditoria, tutta la parte dei disabili, ecc. quindi tutta la parte di politiche attive si trova nel
contenitore FIL (Prato).
115
lungo che ci da’ un po’ di respiro anche per la programmazione
degli interventi, però è comunque soggetto a cambiamenti perché
le persone se trovano un’occasione a tempo indeterminato se ne
vanno. (Circondario Empolese)
Continuo ad essere convinta che una parte di servizi devono essere
consulenziali, però è vero che un bel pacchetto potrebbe essere resa
strutturale, e quindi fare bandi di concorso e mettere nella struttura
quei servizi che adoperano gran parte del personale (Grosseto)
In ogni caso, il primo livello deve essere secondo la mia opinione
fortemente presidiato dal Centro. Dopo il primo livello, per i
servizi successivi di orientamento specialistico ritengo che non
sia conveniente internalizzare il personale dedicato. Bastano degli
incarichi professionali oppure, come nel nostro caso, degli appalti
ad agenzie specializzate. Ma anche qui c’è da precisare che, fatta
la consulenza specialistica, torna in gioco il primo livello -e quindi
l’operatore interno- per la gestione amministrativa di quello che
segue la “presa in carico”. (Siena)
4.3
Reti e relazioni sul territorio
Uno degli aspetti centrali negli orientamenti europei degli ultimi
anni sui SPI riguarda l’opportunità di creare sinergie e sistemi
di partenariato e di rete fra servizi che possano accompagnare
il cambiamento, promuovendo dinamiche di scambio e dialogo
sociale utile alla gestione delle risorse e dell’incontro tra domanda
e offerta di lavoro. L’innalzamento della qualità dei servizi
auspicata con la riforma, oltre che dalla capacità di specializzarsi
su particolari segmenti, dipende da condizioni di contesto che
plasmano il modello di servizio, ne caratterizzano i processi per
renderlo disponibile e le modalità di erogazione. Tra questi fattori
è compresa la qualità delle relazioni sociali che si instaurano non
solo all’interno dei centri, ma anche all’esterno, coinvolgendo
persone, gruppi, settori che solitamente la logica burocratica tende
a separare (Ripamonti, 2005). La rete è forse uno degli aspetti più
delicati e meno misurabili (non ci sono tanti elementi quantitativi
su cui si hanno informazioni da database), per cui confrontarsi con
le province su questo aspetto è stato molto interessante.
Nello schema 4.3 vengono riportate sinteticamente le modalità
di fare rete per ogni provincia e le caratteristiche peculiari segnalate
da ciascuna.
116
Schema 4.3 Modalità di fare rete e soggetti peculiari per ogni provincia
Provincia
Modalità di fare rete
Pisa
Marketing
Comunicazione
Grosseto
Progetti specifici
Lucca
Marketing
Prato
Pistoia
Livorno
Siena
Arezzo
Gestione co-gestita o esternalizzata degli sportelli
Gestione co-gestita o esternalizzata degli sportelli
Capitale sociale degli operatori (relazioni personali,
canali informali)
Gestione co-gestita o esternalizzata degli sportelli
Marketing
Comunicazione
Gestione co-gestita o esternalizzata degli sportelli
Marketing
Circondario
Empolese V.E.
Gestione co-gestita o esternalizzata degli sportelli
Massa Carrara
Progetti specifici
Marketing
Firenze
Gestione co-gestita o esternalizzata degli sportelli
Soggetti peculiari della rete
INPS
INAIL
Agenzia delle entrate
Scuole
Comuni
Scuole
Questura
Direzionale provinciale del lavoro
Referente area disagio
Tripartita
INPS
Consulenti del lavoro
n.d.
Università (sportello Montepulciano)
Camera di commercio (sportello network)
Comuni
Scuole
INPS
Scuole
Carcere
INPS
Università (sportello Novolab)
Alcune province investono in attività di promozione e di marketing
sia nei confronti delle imprese che degli utenti o di altri soggetti
che potrebbero essere interessati ad essere coinvolti sui SPI (Pisa,
Lucca), altre utilizzano anche canali meno formali facendo leva sul
capitale sociale degli operatori (Livorno), altre allargano o creano
la rete intorno a progetti specifici (Grosseto), altre identificano nelle
forme di co-gestione adottate o nell’esternalizzazione degli sportelli
una modalità di incontro con altri soggetti e dunque un canale di
rafforzamento della rete (Firenze, Siena, Arezzo, Circondario
Empolese, Prato).
Per quanto concerne le reti e le relazioni sul territorio dei CPI, la
fotografia toscana risulta molto variegata. I nodi forti delle reti sono
stati individuati nella tripartita (soprattutto per la provincia di Prato),
nelle associazioni di categoria, camere di commercio, consulenti del
lavoro (in particolare per Pistoia e Arezzo), nei comuni (Grosseto
e Circondario Empolese), nei soggetti che operano nell’area del
disagio (Massa Carrara col carcere, Lucca con l’istituzione del
referente unico del disagio), nelle scuole (Grosseto, Massa Carrara,
117
Pisa e Circondario Empolese), nei sindacati. Questi legami trovano
conferma nei risultati dell’indagine campionaria condotta dall’ISFOL
a livello nazionale (Gilli e Landi, 2007), secondo la quale i comuni,
le scuole e le associazioni sindacali e categoriali sembrano essere
considerati gli interlocutori “naturali” e storici dei CPI, perché
coinvolti, spesso e a vario titolo, in parti del processo di incontro
tra domanda e offerta di lavoro che costituisce, ancora, il core
business dei CPI. Nodi, invece, difficili o deboli della rete sembrano
risultare le Università (per le Province di Grosseto, Pistoia, Prato,
Massa Carrara, Livorno, che riferiscono solo di rapporti sporadici),
l’INPS-INAIL (Pisa, Pistoia, Circondario Empolese, Firenze stanno
collaborando con tali soggetti, ma le difficoltà sono ancora molte),
e altre istituzioni (ad esempio le direzioni provinciali del lavoro,
le agenzie delle entrate, la Questura, Prefettura), rispetto alle quali
viene segnalata da molte province la necessità di stabilire rapporti più
strutturati. Per quanto riguarda le agenzie interinali, anche se ci sono
tentativi nella direzione della cooperazione, in Toscana non risulta
ancora sviluppata una fattiva interazione tra pubblico e privato.
Vediamo gli aspetti specifici individuati dalle province per ogni
attore coinvolto nella rete.
• Tripartita. Il ruolo della Tripartita è riconosciuto da molte
Province, come elemento determinante, soprattutto per la
definizione degli indirizzi di programmazione, per le commissioni
apposite su disabili e parità, il cui peso sta crescendo, soprattutto
nella fase attuale relativa alla gestione della crisi economica55.
• Sindacati. Il sindacato oltre a essere coinvolto nella gestione di
sportelli, nella gestione delle crisi aziendali, nella formazione
attraverso le proprie agenzie formative, sottoscrive protocolli di
intesa per ambiti di intervento particolari, come è accaduto a
Grosseto per i lavoratori atipici.
• Associazioni di categoria, Camere di commercio, Consulenti
del lavoro. Altri soggetti, ritenuti molto importanti nella
composizione della rete con i quali i rapporti sono regolari e
costanti, sono con le associazioni di categoria e le camere
Alla tripartita è dato il compito di individuare quali sono gli indirizzi insieme alla provincia, di prendere
atto del programma che viene fatto. La programmazione del FSE è fatta a cadenza annuale, loro sanno i
passaggi e danno tante indicazioni, non sulle modalità del nostro lavoro, ma sugli obiettivi che dobbiamo
raggiungere (Pisa).
Abbiamo la tripartita, quella l’abbiamo tutti e devo dire che per anni è stata un po’ una cosa strana (...) Poi
in realtà si sta dimostrando uno strumento importante, sarà la crisi che ha dato una sbrigliata a tutti, però
per esempio ora abbiamo un interlocutore (Grosseto)
Prato è piccola, cioè ha un buon humus sociale in termini di partenariato, c’è una tripartita forte che
sviluppa un po’ tutte quante le tematiche di programmazione sia sulla formazione che sulle tematiche sul
lavoro. Devo dire che nonostante tutte le difficoltà, il dialogo e la concertazione è di un livello veramente
buono (Prato).
55
118
di commercio, che spesso gestiscono sportelli relativi alla
creazione di aziende (imprenditoria giovanile e femminile) e
si scambiano informazioni o studi sui fabbisogni territoriali in
termini di incontro domanda e offerta di lavoro. I consulenti
del lavoro sono in stretto contatto con i CPI, spesso diventano
canali d’informazione e marketing nei confronti delle aziende,
come ci hanno riferito le province di Lucca, Arezzo e Prato. La
provincia di Pistoia ha dato loro la possibilità di accedere al
sistema IDOL56.
• Comuni. Il decentramento degli sportelli dei CPI trova nei
Comuni gli attori principali: sono considerati soggetti che
permettono di rendere la rete dei servizi più capillare, con i quali
condividere progetti e veicolare informazioni ai cittadini, anche
se con qualche difficoltà determinate spesso dalla mancanza di
personale e di risorse, soprattutto per gli enti più piccoli. Spesso
gli sportelli comunali si trovano all’interno delle anagrafi, degli
URP o presso gli Informagiovani57.
• Soggetti che operano nell’area del disagio (servizi sociali e del
sostegno delle fasce deboli, ASL, Società della salute, carcere,
cooperative sociali, ecc.). È un’area di grosso interesse da parte
delle province, visto il ruolo dei CPI nell’aiuto e sostegno
all’inserimento lavorativo soprattutto delle persone svantaggiate.
Non sempre con tutti questi soggetti vi sono rapporti continuativi,
ma spesso si costituiscono intorno a progetti di durata temporanea.
L’esigenza di strutturare maggiormente questi rapporti è sentita
Abbiamo rapporti con COAP (Centro di Orientamento ed Aggiornamento Professionale) della camera
di commercio, con l’autoimpresa per l’imprenditoria femminile, poi abbiamo rapporti consistenti con tutte
le associazioni di categoria, ce l’abbiamo costantemente, regolarmente (Grosseto).
L’informazione con le aziende è stata fatta attraverso i consulenti, che da quando le comunicazioni sono
online, il consulente è un punto di riferimento, entrano in contatto col centro e diventano veicolo della
rete (Lucca).
Abbiamo un accordo con la Camera di Commercio per il cosiddetto “Sportello Network”, per la
consulenza per l’apertura di attività imprenditoriali. In questo caso alcuni giorni della settimana c’è un
nostro operatore da loro e in altri giorni una figura della Camera di Commercio viene da noi, a rotazione
in tutti i Centri Territoriali (Arezzo).
Collegati a IDOL ci sono anche centinaia di consulenti del lavoro attraverso la password possono
comunicarci, non modificarlo, ma leggerlo e ci sono rimasti anche dopo le comunicazioni online. (Pistoia)
57
Abbiamo lavorato su una rete che riguardava i comuni, abbiamo fatto delle convenzioni, abbiamo
fornito i computer, ad alcuni abbiamo organizzato il punto, fatto formazione al personale, affinché fossero
in grado di informare e fare la prima accoglienza. Sul fronte dei comuni abbiamo la rete sul web learning
point e sono sette (Grosseto).
In ogni comune del Circondario abbiamo lo sportello di prima accoglienza al lavoro (...) Si tratta di un
modo di avvicinare il cittadino al servizio almeno come prima informazione, ma anche coinvolgere il
comune, perché comunque a quel punto hai il servizio all’interno del comune e per forza la relazione la
intessi. L’operazione è stata facile perché il Circondario è sì un ente decentrato della provincia di Firenze,
ma è anche un ente sovracomunale, quindi è stato facile andare a cercare i comuni e trovare in loro un
approccio positivo (Circondario Empolese).
L’Informagiovani è una convenzione con tre enti, il comune di Pisa, il diritto allo studio e il servizio lavoro
(...) è vicino alla sede centrale della provincia, vicino alla stazione, quindi gli studenti vanno lì. È un
braccio lungo nostro e diventa un modo per veicolare al CPI i giovani lavoratori (Pisa).
56
119
da tutte le province. Lucca si è organizzata ponendo un referente
unico sul disagio all’interno del CPI, mentre il Circondario
Empolese evidenzia alcune difficoltà nella gestione dei rapporti
con servizi sociali e la ASL a causa delle competenze che in
alcuni ambiti rimangono provinciali. Per quanto riguarda il
carcere spesso si segnala la mancanza di strutture idonee a far
lavorare chi ancora deve sostenere delle pene, a parte Massa
Carrara che ha uno sportello di orientamento dentro il carcere
per accompagnare i progetti di inserimento lavorativo58.
• Scuole e Università. Sull’importanza della rete scolastica
e la necessità di stabilire con le scuole rapporti duraturi e
continui si sono soffermate molto le province di Grosseto e il
Circondario Empolese. Le province di Pisa, Massa Carrara e
Siena hanno rapporti strutturati soprattutto per progetti specifici
sull’orientamento o di formazione a distanza all’interno delle
strutture scolastiche. La provincia di Lucca si dichiara debole
sotto questo aspetto e auspica lo sviluppo di rapporti con tali
soggetti e la continuità progettuale59. Dalle interviste l’università
Con l’Asl e il carcere ci sono dei progetti specifici (...) Con il carcere in virtù di progetti, ci si ferma poi
si riprende. Non abbiamo una struttura fissa con sportello specifico. (Prato)
C’è stato chiesto da più voci, da associazioni anche di volontariato ma anche l’Ufficio Esecuzione Penale
Esterna di costituire un referente unico per il disagio. In questo modo crearsi un rapporto starà al referente
unico, smistare le richieste fra i colleghi; è una facilitazione sia per chi ha problemi e sa dove andare, sia
per l’associazione (Lucca).
Dal punto di vista operativo i rapporti sono buoni, perché gli operatori collaborano e ci sono anche esempi
di progettazione condivisa degli interventi sui singoli casi. Stiamo cercando di costruire un rapporto più
istituzionale, un protocollo di intesa o simili, è lunga la cosa, c’è voluto molto tempo a capirsi, solo a cercare
di condividere il linguaggio, l’approccio alle persone e soprattutto anche conoscerci reciprocamente (…)
abbiamo dei problemi perché la parte vera e propria sui disabili la gestisce la provincia di Firenze, noi
abbiamo gli utenti, ma non abbiamo il collocamento mirato. Quindi noi abbiamo cercato con il privato
sociale di avere la possibilità di fare qualcosa per queste persone e per le fasce deboli che non sono
riconosciute come legge 68 (Circondario Empolese).
Abbiamo attivato delle azioni per gli iscritti alla 68, dai tirocini nelle scuole. Con il carcere facciamo tante
cose. Abbiamo uno sportello di orientamento dentro il carcere, facciamo inserimenti lavorativi, all’interno,
perché ci sono strutture private, una falegnameria per esempio. Con l’Asl, lavoriamo a stretto contatto
(Massa Carrara).
59
Abbiamo rapporti con tutte le scuole, c’è un gruppo di lavoro dove c’è dentro una scuola professionale
particolare per inserimento di studenti disabili. Tutte queste cose hanno dei gruppi di lavoro integrati. Poi
c’è il sistema integrato di orientamento per tutte le scuole, obbligo formativo e orientamento che coinvolge
le insegnanti (Grosseto).
Ormai da 5 anni progettiamo seminari di orientamento per le classi quinte. Quindi tutte le classi quinte
di tutte le scuole del circondario vengono tutti gli anni ai CPI a fare i seminari di orientamento alla
scelta postdiploma (...) Tra l’altro i seminari sono co-progettati, con i referenti delle scuole e si decide
insieme come organizzarli. Poi anche sulle prime classi dall’anno scorso stiamo condividendo il progetto
integrazione tra istruzione e formazione all’interno di tutti gli istituti professionali nel biennio, abbiamo
messo a disposizione le tutor del diritto-dovere che andranno nelle scuole e a loro volta le scuole verranno
a visitare il centro (Circondario Empolese).
Le persone che hanno abbandonato la scuola entrano in carico al CPI, dove il CPI è responsabile a tutti
gli effetti dei minori e realizza un percorso ad hoc. C’è un progetto sull’orientamento integrato all’interno
del nostro territorio (...) Pontedera e S. Croce hanno costruito un modello che verrà esteso anche a Volterra
e Pisa. Quindi rapporti diretti fra le scuole e i CPI, l’abbiamo chiamato “la scuola va a lavoro e il lavoro
va a scuola” (Pisa).
Abbiamo ospitato ragazzi delle scuole, abbiamo convenzioni con scuole professionali per l’ospitalità,
per il periodo alternanza scuola-lavoro. Il progetto TRIO che ora è passato alle province, chiaramente
58
120
emerge come un nodo debole della rete: le province di Grosseto,
di Pistoia e di Prato non hanno particolari rapporti se non intorno
a sporadici progetti, mentre quelle di Massa Carrara e Livorno
solamente per la presenza di alcuni tirocinanti laureandi o
neolaureati all’interno delle loro strutture. La provincia di Pisa ha
rapporti -seppure ancora di natura informale- per l’orientamento
con l’Università di Pisa, con la Normale, con l’Istituto Sant’Anna
e per la promozione di percorsi di laurea in materie scientifiche;
la provincia di Lucca collabora per l’orientamento con una
società lucchese per la formazione e gli studi universitari, ma
sostiene che il rapporto andrebbe consolidato perché il servizio
convenzionato non viene molto utilizzato. Siena ha rapporti con
l’università per la co-gestione di uno sportello a Montepulciano,
così come Firenze con lo sportello Novolab all’interno del Polo
di Scienze Sociali di Novoli60.
• INPS-INAIL. Per quanto concerne il collegamento degli
ammortizzatori alle politiche attive, lo scambio di pratiche,
l’accesso a banche dati, interventi comuni sul sommerso, ecc., il
rapporto con l’INPS è un nodo cruciale nella rete dei servizi, ma
che per certi aspetti rimane irrisolto61. La necessità di rendere
non tutti sapranno che al CPI ci sarà anche la possibilità di fare formazione a distanza gratuitamente.
Per questo noi abbiamo fatto delle convenzioni con le scuole, per cui avremo dei punti sparsi anche nel
territorio, presso le scuole per svolgere attività non solo per studenti, insegnanti e genitori, ma per tutta la
popolazione (Massa Carrara).
In parte per carenze nostre, in parte per problemi specifici del sistema scolastico, con le scuole il rapporto
non è strutturato, è discontinuo, mancano progetti di fondo. Ora è in corso di miglioramento grazie al servizio
istruzione con un progetto pilota sulle prime classi delle superiori e terza media, che è andato bene (Lucca).
60
Con l’università non abbiamo grossi rapporti (…) l’università mi sembra affaccendata in tutt’altre
cose. Noi come CPI, i nostri rapporti non sono mai forzati, forse non abbiamo avuto progetti in cui
coinvolgerli (…) Abbiamo avuto collaborazioni con bravi docenti universitari, ma poi hanno fatto dei
lavori che li abbiamo messi in un cassetto e non sono serviti a niente. (…) Non ci serve una ricerca, ci
serve implementare un servizio. Non è voglio sminuire l’università, però abbiamo bisogno di capire quale
intervento potrebbe essere utile (Grosseto).
All’università interessa il passaggio tra scuola superiore e università. Èun soggetto col quale ci
relazioniamo regolarmente con dei progetti specifici. È un attore importante, è presente, ma non è l’attore
dello sportello, del servizio (Prato).
Con l’università andiamo a fare l’orientamento e servizi al lavoro nei vari dipartimenti che richiedono
l’outplacement, con la Normale, con il Sant’Anna (...) La nostra esperta del marketing è andata a fare degli
incontri con il dipartimento di Lettere che ha delle difficoltà grandissime, quando si laureano. Poi abbiamo
avuto un rapporto con le facoltà scientifiche, ingegneria, chimica, cercando di indirizzare la popolazione
verso lauree di carattere scientifico (Pisa).
Abbiamo recentemente creato una collaborazione con l’Università di Pisa che ha un ufficio a Lucca, con la
società Celsius (società lucchese per la formazione e gli studi universitari), per andare a fare l’orientamento
nelle loro sedi. (...) Potrebbe essere interessante fare una preselezione di livello alto in forma decentrata
in altre strutture. In generale il CPI fa preselezione per profili molto bassi, se vuoi innalzare questo livello
secondo me devi farlo con qualcun altro, altrimenti dovresti farne due di centri (Lucca).
61
L’Istituto previdenziale, rilevando che “in diverse regioni sono già state attivate collaborazioni tra
Inps e CPI”, ha dettato, mediante la circolare n. 136 del 28/11/2006, le modalità operative per definire ed
“omogeneizzare” i rapporti tra questi soggetti, “con l’obiettivo di creare valore per cittadini ed imprese,
oltre che razionalizzare e semplificare l’attività della pubblica amministrazione, ottimizzare l’utilizzo delle
risorse e contenere i costi”. Nello specifico si afferma che: “Il protocollo (…) ha quindi ad oggetto la
creazione di strutture integrate mediante ospitalità da parte dei CPI verso l’Inps o, anche, in condizione di
reciprocità, dell’Inps verso i CPI al fine di attuare servizi di welfare locale e sviluppare politiche attive del
121
operativa la connessione telematica ed informativa con questi
soggetti si inquadra peraltro all’interno dell’obiettivo più generale
della riforma volto a ridurre o quantomeno contenere i “fallimenti
del mercato” conseguenti alle asimmetrie informative, attraverso
una più efficiente catalogazione e divulgazione a livello nazionale
delle informazioni (Di Domenico e Marocco, 2005) I contatti
spesso si arenano di fronte alle disparità di livello di governo:
provinciale per i CPI e nazionale per gli altri due enti. In generale
si segnalano le difficoltà e l’auspicio di un intervento regionale
che possa regolamentare tali rapporti62. Alcune province, pur
nelle difficoltà, hanno rapporti relativamente più strutturati
soprattutto con l’INPS: ad esempio, la provincia di Pisa ha uno
sportello con personale dell’INPS che opera all’interno del CPI
per attività inerenti le domande di disoccupazione, di mobilità,
ma anche la raccolta di documenti oltre a un protocollo d’intesa
sui disabili; la provincia di Pistoia svolge la raccolta di pratiche,
che poi inoltra all’INPS; nel Circondario Empolese esiste
una convenzione con l’INPS per l’apertura di uno sportello
all’interno del CPI di Castelfiorentino.
• Agenzie per il lavoro. Il processo di rinnovamento, iniziato
con la chiusura degli uffici periferici del Ministero del Lavoro
alla fine degli anni ‘90, è stato completato con le legge 30
del 200363, che ha sancito la fine del monopolio pubblico del
collocamento e ha introdotto il tema delle relazioni fra pubblico
e privato anche in questo settore strategico. Con la riforma,
le agenzie per il lavoro (interinali, di somministrazione ecc.)
hanno cominciato a diffondersi anche in Toscana, ponendo il
problema dei rapporti con i CPI. Poiché il titolare del rapporto
di lavoro è l’agenzia di somministrazione e non l’azienda dove
il lavoratore presta in concreto la sua attività, in tutti i CPI della
lavoro”. Dagli studi sulle prime rilevazioni in Italia, emerge che sono ancora scarse e che la gestione delle
rispettive banche dati è, in tutti i casi, rimasta sostanzialmente separata (Baronio e Marocco, 2008).
L’INPS è un ente con cui sarebbe importante interagire, di quello se ne sente la mancanza. (…) Sarebbe
bello che la Regione ci instaurasse un rapporto, che riuscisse a farlo aprire alle province. Per noi sarebbe
davvero importante, sia a livello di conoscenza del territorio, con i dati che spesso ci mancano e non
riusciamo ad avere, che per le competenze di lavoro (Grosseto).
La Regione Toscana ha fatto una convenzione con INPS e INAIL per cui loro hanno accesso ai nostri
dati, ma noi non abbiamo accesso ai loro. (...) Bisognerebbe investire in questa rete, aiuterebbe tutti a
risparmiare tempo e avere delle informazioni (Massa Carrara).
L’INPS dipende da Roma, ognuno ha poca autonomia. (…) C’è qualcosa nel circuito informatico che non
funziona, non per colpa dell’INPS lucchese, non hanno poteri decisionali, è un altro livello amministrativo.
O l’accordo si trova a Roma o nulla (Lucca).
Con l’INPS effettivamente c’è una criticità, non riusciamo molto a dialogare. Stiamo conducendo adesso un
progetto grosso e con l’INPS non riusciamo a reperire dei dati. Credo sia uno dei soggetti difficili. (Prato)
63
Il D.Lgs. 276/2003 di attuazione della L. 30/2003 ha proseguito e accelerato il processo di apertura del
mercato del lavoro già avviato con il cosiddetto “pacchetto Treu” del 1997.
62
122
Toscana vengono pubblicate le offerte provenienti dalle agenzie
per il lavoro presenti sul territorio, ma quasi sempre la relazione
si limita a questa modalità di pubblicizzazione. La valutazione
complessiva che emerge dalle testimonianze raccolte presso i
dirigenti e funzionari provinciali è che le agenzie interinali non
sono percepite dai CPI come concorrenti64. Chiedendo ai dirigenti
provinciali se imprese e persone si rivolgono maggiormente alle
agenzie per il lavoro rispetto ai CPI per il servizio di incontro
tra domanda e offerta, la percezione diffusa è che non sia così
e che anzi i dati relativi agli avviati interinali risultino in calo65.
Le agenzie hanno avuto successo inizialmente, poi però sono
emersi i limiti dei loro compiti: somministrano lavoratori, ma
escludono una buona parte di utenti, soprattutto coloro che
hanno maggiori difficoltà di inserimento, non supportandoli
adeguatamente nella ricerca del lavoro e nel rafforzamento delle
loro competenze. Inoltre, nell’opinione degli intervistati, se in
una prima fase le agenzie interinali sembravano semplificare
l’iter di assunzione e quindi risultavano appetibili per chi offre
lavoro, più recentemente le imprese hanno compreso che certi
servizi e opportunità possono offrirli solo i CPI66.
Noi le trattiamo come imprese normali, perché loro assumono e poi somministrano il lavoratore, come
se fossero proprio delle imprese (…) C’è posto per tutti, ma sono lavori diversi (Pisa).
Credo che noi dobbiamo mantenere con questi soggetti una grande apertura, disponibilità e collaborazione;
non credo che siano nostri concorrenti perché la persona che si rivolge al CPI per cercare un’occupazione,
se trova lavoro grazie alla preselezione oppure grazie all’interinale, va bene in entrambi i casi (Siena).
Loro dovrebbero offrire anche formazione, indirizziamo verso di loro anche per questo, perché in teoria la
formazione la dovrebbero fare le agenzie interinali perché fa parte dei compiti che lo Stato gli ha attribuito
per poter svolgere il loro lavoro, quindi noi diciamo sempre agli utenti di informarsi anche sulle loro
opportunità formative. Sul nostro territorio ce ne sono diverse, gli utenti si rivolgono anche a loro, siamo
noi stessi che li indirizziamo anche a loro. Non c’è competizione (Circondario Empolese).
Non seguono la persona in un progetto individuale, non fanno il bilancio delle competenze. Loro nascono
con un obiettivo e noi con un altro. Non ho mai considerato le agenzie interinali come concorrenti
(Grosseto).
65
Il dato delle agenzie interinali è irrisorio rispetto a quanti si rivolgono a noi. Noi si parla di migliaia
di persone, loro in centinaia. (...)In tutto il 2008 i lavoratori interinali in tutta la provincia sono stati
1.689 su circa 60.000 avviamenti l’anno. (Grosseto) -Non abbiamo dati, ma sappiamo che gli avviamenti
per interinali sono calati drasticamente un anno fa e non so per quali motivi. Nel febbraio 2008 da 500
avviamenti mensili, sono passati a 90. (Lucca)- Registrando gli avviamenti vediamo che quelli da interinale
sono circa il 6% e anche se ormai il 70% di tutto è a tempo determinato anche ai CPI, non sono fatte
attraverso agenzie interinali, magari sono apprendistato o stagionali (Pistoia).
66
L’agenzia interinale quando è nata ha avuto un grande boom, però poi meno, anche per quanto riportato
spontaneamente dai lavoratori. Noi abbiamo fatto in modo che il lavoratore, fosse preso in carico e aiutato
a colmare i propri deficit attraverso varie forme, dal tirocinio alla formazione, dai percorsi di gruppo alla
coscienza di se stessi (…) Noi aiutiamo la persona, la supportiamo, la seguiamo: come ci si presenta ad un
colloquio, come si fa il curriculum, a chi si deve presentare (Pisa).
Hanno anche una fascia diversa di utenti perché loro scelgono, cosa che noi non possiamo fare. Ora la
cosa si sta invertendo perché con la crisi che hanno loro, l’utenza migliore sta arrivando anche da noi, ci
sono stati dei momenti in cui la nostra utenza migliore andava da loro, perché magari in quel momento non
avevamo offerte appetibili. In questo momento vengono da noi persone con grandi curriculum rispetto al
passato (Circondario Empolese).
Ho la vaga sensazione che si stia indebolendo molto. Da parte dell’imprenditore forse c’era l’idea che le
agenzie interinali semplificassero le modalità di assunzione, che se ne occupano loro e via. Ma non è così.
Tramite noi possono fare molte cose, c’è un ritorno al pubblico (Massa Carrara).
64
123
Alla luce di quanto evidenziato dai nostri intervistati, nelle
province toscane non risulta ancora sviluppata un’interazione tra
pubblico e privato nella messa a regime di una rete mista di servizi
al lavoro, come auspicato dal riformatore67. Nonostante questo,
emerge una consapevolezza generale della direzione da seguire
verso la cooperazione (come abbiamo visto parlando dei soggetti e
delle reti da ampliare), per cui alcuni tentativi di relazioni un po’ più
strutturate fra le due realtà si stanno delineando68. La collaborazione
viene ricercata anche nell’ottica di migliorare alcuni aspetti che nel
servizio pubblico risultano critici, come, ad esempio, secondo quanto
riferito da alcuni intervistati, i tempi impiegati per la programmazione
e realizzazione dell’offerta formativa, soprattutto per quella di
breve durata, ritenuta essenziale per offrire risposte tempestive alle
richieste di competenze che vengono dal territorio69.
4.4
I servizi e le specificità
Il regolamento attuativo della L.R. 32/02 ha definito il sistema
regionale e provinciale per l’impiego, le tipologie dei SPI, gli standard
minimi dei servizi, la qualità e l’omogeneità delle prestazioni su tutto
il territorio regionale. Per l’individuazione e il raggiungimento degli
standard minimi ha definito e approvato il Masterplan regionale, in
attuazione delle linee e indicazioni previste dal Masterplan nazionale
Da una ricerca dell’ISFOL (Di Domenico e Marocco, 2005) è emerso che sotto il profilo della
cooperazione con il sistema pubblico di SPI, solo una quota di appena il 4% di Agenzie dichiarano di
essersi attivate in questa direzione. Delle 20 Agenzie generaliste rispondenti, solo una risulta coinvolta
nelle sperimentazioni delle misure di raccordo “pubblico-privato”.
68
Con le agenzie del lavoro o interinali in questo momento non abbiamo rapporti “formalizzati” (...)
Basandosi sull’esperienza anche di altre realtà locali extra-regionali stiamo valutando la possibilità di
proporre un accordo con questi soggetti. Dopodiché i contenuti di questo accordo andrebbero pubblicizzati,
comunicati, spiegati anche agli utenti. È necessario che un utente sappia, per esempio, che il suo nominativo
potrebbe essere trasmesso anche ad un’agenzia (Arezzo).
Ci sono alcune iniziative, la Regione Toscana si è mossa ultimamente con un progetto che si chiama
Itinera, per introdurre la cultura del lavoro nella scuola. E ci sono sia le province che le agenzie di
lavoro temporaneo. Sta partendo ora, in modo che si instauri una collaborazione sul territorio, per creare
informazione, testimonianze legate alle scuole superiori della provincia sui contenuti della cultura del
lavoro. Un’altra cosa che la Regione ha messo in ponte è sulla sicurezza per chi ha personale atipico, un
primo esempio di collaborazione (Pistoia).
Come Provincia di Siena abbiamo avuto una collaborazione più diretta con Adecco in una vicenda di outplacement di un’azienda con oltre 500 dipendenti, di cui 40 circa erano stati messi in cassa integrazione.
Per questi lavoratori l’agenzia in questione ha effettuato il reinserimento lavorativo (Siena).
69
Il Corso HCCP, obbligatorio per i ristoranti e il settore turistico, se avessi possibilità lo farei fare a tutti
quelli che vogliono lavorare in questo settore, prima che vengano selezionati, perché dopo si perde tempo
e opportunità (...) Le agenzie private con il fondo FormaTemp hanno la possibilità di attivare nell’arco di
un mese, massimo un mese e mezzo, un corso di formazione adeguato. Noi non possiamo, si sa bene che la
programmazione dell’offerta formativa a livello provinciale ha tempi molto più lunghi (Siena).
67
124
del 200070. Il Masterplan regionale individua e definisce le attività
per ogni area funzionale in cui si articolano i servizi, gli indicatori di
accessibilità, di risorse, di prodotto, di risultato minimi che devono
essere garantiti nell’erogazione dei servizi stessi, il monitoraggio e
la valutazione della qualità ed omogeneità delle prestazioni. Come si
può vedere dallo schema 4.4, le province hanno attivato tutte le aree
funzionali previste dal Masterplan regionale.
Schema 4.4 Aree funzionali del Masterplan, carta dei servizi e certificazione di qualità
Provincia
Aree Masterplan
attivate
Carta dei servizi
Certificazione di Qualità
Pisa
Grosseto
Lucca
Prato
Pistoia
Livorno
Siena
Arezzo
Circondario
Empolese V.E.
Massa Carrara
Sì
Sì
Sì
Sì
Sì
Sì
Sì
Sì
No
No
La stanno predisponendo
No
Sì
No
No
Sì
Firenze
Sì
Sì
Sì
In fase di elaborazione
In fase di elaborazione
In fase di elaborazione
No
Sì
Sì (tradotta in sei lingue)
No (viene segnalata una scarsa condivisione
politica col timore che diventi solo depliant)
No
Sì (carta dei servizi unica per la provincia,
escluso il Circondario Empolese)
Sì
Sì
No
No
No
Variegato risulta, invece, il quadro relativo alla dotazione di due
importanti strumenti: carta dei servizi e certificazione di qualità. La
Carta dei servizi è un documento che ha lo scopo di descrivere finalità,
modi, criteri e strutture attraverso i quali i servizi al lavoro vengono
attuati, ma anche modalità e tempi di accesso e partecipazione,
procedure di controllo che l’utente ha a sua disposizione. La Carta
è lo strumento fondamentale con il quale si attuano i principi di
uguaglianza, trasparenza, imparzialità, pari opportunità, libera scelta
attraverso la esplicita dichiarazione dei diritti e dei doveri sia del
personale, sia degli utenti. Risulta evidente che elaborare e mettere
a disposizione la carta dei servizi rafforza la mission dei servizi al
lavoro e può rappresentare un supporto alla gestione della qualità
attraverso il sistema strutturato ed organizzato di garanzie che il
CPI assicura all’utenza (Pavoncello, 2007; Raviglia, 2005). Nella
nostra regione, cinque sono le province dotate della carta dei servizi
(Pisa, Grosseto, Arezzo, Firenze, Siena), mentre altre tre la stanno
predisponendo (Lucca, Prato, Pistoia).
Cfr. Masterplan dei SPI: linee di organizzazione, Ministero del lavoro e della previdenza sociale,
Direzione Generale per l’Impiego. Comitato di Sorveglianza del Q.C.S. del 20 dicembre 2000.
70
125
Come la carta dei servizi, anche la certificazione di qualità71
dovrebbe implementare il concetto di qualità, inteso come capacità
di soddisfazione dei bisogni degli utenti, coinvolgendo dirigenti e
operatori. Si tratta di uno strumento che investe l’organizzazione
al suo interno, che prende in esame ogni procedura del servizio,
verifica se sono rispettati gli standard minimi e interviene nella
revisione laddove si presentano delle disfunzioni riducendo lentezze
e sprechi. Certificarsi in qualità significa, dunque, anche mettere in
discussione tutta l’organizzazione del servizio al lavoro e l’impianto
culturale che lo sostiene (Raviglia, 2005). Le province di Pistoia e di
Arezzo sono certificate in qualità72 e quella di Lucca si sta attivando
per ottenerla.
Nel corso dei colloqui in profondità svolti con i dirigenti
provinciali e responsabili dei CPI è stata chiesta anche una loro
valutazione circa i punti di forza e di debolezza relativi a specifiche
caratteristiche delle aree funzionali, dell’organizzazione e delle
attività, degli strumenti utilizzati per i servizi al lavoro nei vari territori.
Prima di vedere per ogni aspetto, quale provincia lo ha identificato
come elemento critico o positivo, possiamo dire che gli argomenti
che hanno sollevato più dibattito hanno riguardato la promozione
alle imprese, la comunicazione, i servizi a supporto dell’area del
disagio, l’orientamento, i servizi agli immigrati, il capitale umano
degli operatori, gli strumenti di intervento individualizzato e la crisi
economica (Schema 4.5).
Schema 4.5 PUNTI DI FORZA E DI DEBOLEZZA
Provincia
Pisa
Grosseto
Punti di forza/aspetti su cui hanno investito
maggiormente
Promozione imprese
Comunicazione
Obbligo formativo
Servizio a supporto dell’area del disagio
Punti di debolezza/aspetti da potenziare
Servizio a supporto dell’area del disagio
Servizio immigrati
Incontro domanda e offerta (preselezione)
Nel 1987 viene pubblicata, da parte della International Standard Organization, la prima versione della
norma ISO 9000 che definisce i requisiti internazionali per i sistemi di gestione della qualità. Le norme ISO
9000, applicabili a qualsiasi ente o società, definiscono uno standard di riferimento univoco, riconosciuto in
tutto il mondo. Le norme ISO 9000 sono state oggetto di revisione negli anni successivi. L’ultima revisione
è la ISO 9001:2008. Il nome completo della norma recepita in Italia è UNI EN ISO 9001:2008 in quanto la
norma ISO è armonizzata, pubblicata e diffusa dall’Ente Nazionale Italiano di Unificazione e dal Comitato
Europeo di Normazione in Europa.
72
Dall’intervista: Le volevo anche dire che siamo certificati in qualità ed è l’unico servizio in Toscana,
tanto è che quest’anno dobbiamo rinnovare perché ogni tre anni scade. Non è un bollino, abbiamo dovuto
all’inizio rimettere tutte le procedure e rivisitarle una per una, quindi che fossero progettate, descritte,
codificate, approvate dal dirigente, approvate dai responsabili e condivise dai dipendenti con riunioni,
assemblee, e verificate periodicamente, se quello non funziona, va rivisto con azioni di miglioramenti. Se
i locali hanno barriere architettoniche e bisogna eliminarle. Se ci sono delle proteste, o delle segnalazioni
dagli operatori, questa cosa, IDOL non consente di registrare l’apprendistato. Se non dimostriamo che si è
messo in atto una procedura di miglioramento la qualità non ti viene data (Pistoia).
71
126
Schema 4.5 segue
Provincia
Punti di forza/aspetti su cui hanno investito
maggiormente
Lucca
Servizio a supporto dell’area del disagio
Prato
Imprenditoria
Strumento intervento individualizzato
Sportello anticrisi
Pistoia
Orientamento
Strumento intervento individualizzato
Livorno
Siena
Arezzo
Circondario
Empolese V.E.
Massa Carrara
Firenze
Servizio a supporto dell’area del disagio
Servizio immigrati (Accoglienza)
Capitale umano operatori
Sportelli per target:
Servizi donne
Servizi giovani
Servizi immigrati
Promozione imprese
Servizio immigrati
Servizio immigrati (Accoglienza)
Strumento intervento individualizzato
Capitale umano operatori
Obbligo formativo
Servizio a supporto dell’area del disagio
Apprendistato
Sportello anticrisi (decentrato su tutti i CPI)
Strumento intervento individualizzato
Punti di debolezza/aspetti da potenziare
Obbligo formativo
Disomogeneità performance fra i CPI
Servizio immigrati (Apprendistato)
Crisi aziendali
Servizio a supporto dell’area del disagio
Promozione imprese
Crisi aziendali
Servizi di conciliazione
Crisi aziendali
Promozione imprese
n.d.
Crisi aziendali
Promozione imprese
Conformazione del Circondario
Autoconsultazione
Comunicazione
Promozione imprese
Uno degli aspetti più segnalati riguarda la promozione presso
le imprese: molte realtà (Firenze, Circondario Empolese, Siena,
Pistoia) sostengono che questo servizio, importantissimo, vada
rafforzato. Per la provincia di Arezzo, ma soprattutto per la provincia
di Pisa è un punto di forza sul quale hanno investito molto, anche
attraverso un Piano di comunicazione strategico e servizi televisivi
esplicativi delle funzioni dei CPI. Per la provincia di Massa Carrara
la comunicazione è un punto di debolezza in quanto il sito web e
altri strumenti comunicativi sono da migliorare.
è importante sapere comunicare all’imprenditore la convenienza
che potrebbe avere nel rivolgersi ai CPI, a partire dalla selezione di
candidati che si portano dietro una “dote” formativa, un incentivo,
un bonus occupazionale e così via. Sono questioni tutt’altro
che indifferenti all’imprenditore che guarda anche al criterio
dell’abbassamento dei costi del lavoro. (Siena)
Una cosa che bisogna migliorare è il rapporto con le aziende.
Credo sia un problema di approccio, bisogna uscire dalle nostre
stanze e chi è preposto alla domanda e offerta deve andare nel
127
territorio. Fare in modo che i nostri operatori battano il territorio
e che ricerchino un approccio con le aziende che facciano anche
un lavoro di prevenzione, poiché molte aziende hanno un concetto
del vecchio collocamento come se dieci anni non fossero neanche
passati (Pistoia)
Abbiamo un piano di comunicazione, settoriale, primo in tutta
Italia, almeno così ci dice l’università. Un piano di comunicazione
strategico della provincia per i cittadini, non tanto sul cartaceo,
che non si legge più, ma un piano con un network di televisioni
che sono qua nel territorio. C’era l’esperto del lavoro che spiegava
in maniera semplice. Diceva quali erano le agevolazioni, cosa
erano i contratti, le offerte del lavoro, come accedervi. Questo era
all’interno di una grande cornice che spiegava cosa abbiamo fatto,
come e dove. Parlavano i tirocinanti, le imprese, per far conoscere i
servizi e le attività. Abbiamo avuto grandi successi con le imprese,
ci hanno telefonato gli imprenditori e ci hanno chiesto di poter fare
le stesse cose. Poi abbiamo fatto spot televisivi sui CPI, sugli orari
e sui servizi. (Pisa)
I servizi a supporto dell’area del disagio sono stati segnalati
come punto di forza da più province: dalla provincia di Lucca che
ha istituito un referente unico per tutti i soggetti (istituzionali e non)
che a diverso titolo operano in questo ambito di intervento; dalla
provincia di Livorno, che segnala i buoni risultati della collaborazione
fra gli psicologi del lavoro e il SERT; dalla provincia di Grosseto che
segnala risultati importanti per l’intera area dello svantaggio e dalla
provincia di Massa Carrara per il rapporto proficuo con il carcere.
La provincia di Pisa lo considera un servizio ancora debole e dunque
da perfezionare, come Pistoia che sta potenziando il servizio sul
disagio psichico attraverso l’inserimento di un operatore dei servizi
al lavoro all’interno delle commissioni mediche che giudicano la
situazione dell’utente in disagio.
L’accompagnamento individuale è un nostro punto di forza. Il
referente unico per il disagio, il servizio stage adeguato, si riesce
a dare delle risposte pertinenti rispetto alla domanda. Siamo al
top nell’inserimento dei disabili, pochi posti, se vuoi tutti coperti.
Lavoriamo con le ditte con interventi mirati, incentivi, anche per
i disabili fuori obbligo. Le persone che richiedono uno stage sono
soddisfatte, il livello è buono. (Lucca)
Una cosa che vogliamo perfezionare è sul disagio psichico perché
vediamo che sta crescendo (...) Spesso nei percorsi intrapresi
tornano indietro. Su questo abbiamo fatto un’intesa con l’ASL.
(…) Quindi abbiamo inserito una persona che si intende di lavoro
128
dentro le commissioni mediche che veda il disabile non nell’ottica
di ciò che non può fare, ma nell’ottica positiva di quello che può
fare. (Pistoia)
I servizi per immigrati vengono segnalati come punto di
debolezza da Grosseto che indica la difficoltà di reperire personale
specializzato in mediazione culturale e conoscenza del mercato del
lavoro. Arezzo invece lo ritiene un punto di forza: oltre ad avere
la carta dei servizi tradotta in sei lingue, si è dotata, attraverso una
gara di appalto, di mediatori, figure professionali da destinare a
tutti i centri del proprio territorio. La provincia di Livorno svolge
un’attività informativa rivolta agli stranieri sul funzionamento degli
enti previdenziali, dove il servizio italiano è messo a confronto con
quello di provenienza dell’utente per facilitare la comprensione
delle procedure. Il Circondario Empolese, aggregando i destinatari
per nazionalità, organizza incontri seminariali per spiegare le
funzioni dei CPI, spesso differenti dai servizi per il lavoro del
paese di origine.
La difficoltà è nel trovare il personale giusto e preparato per
quest’attività (...) Abbiamo avuto una persona così. Intanto è
straniera, conosce più lingue, e proprio perché ha vissuto sulla sua
pelle capisce tutti gli aspetti, sa gestire i rapporti con la questura e
con il mondo delle imprese e che abbia una laurea non mi importa.
Invece poi sarei costretta a prendere la laureata o il laureato, giovani
italiani che magari hanno fatto queste belle lauree di mediazione
interculturale, magari parlano bene l’inglese, non sanno il francese,
non sanno l’arabo e soprattutto non conoscono il mercato, il mondo
dell’impresa. Questo può essere risolto con i bandi di gara, chiedendo
il pacchetto di servizi. (Grosseto)
Abbiamo in essere un progetto di mediazione linguistico-culturale
che è affidato ad un soggetto, UCODEP, selezionato con una gara di
appalto, il quale mette a disposizione i mediatori, tutti madrelingua.
Con loro possiamo contare sulla presenza dei mediatori presso tutti i
Centri Territoriali, i Centri socio-Sanitari e quelli per l’integrazione.
Il personale è formato non solo sulla normativa per il soggiorno, ma
anche sulla materia del lavoro, insomma a tutto tondo. Sono presenti
fin dalla fase dell’accoglienza, del front-office, cioè nel momento di
manifestazione da parte dell’utente del proprio bisogno. Però c’è
la mediazione anche nelle fasi successive per esempio nel caso dei
servizi specialistici, l’orientamento, il bilancio delle competenze, il
counseling ecc.. (Arezzo)
Poi c’è l’interpretariato per stranieri. Una cosa è spiegare a un
rumeno cosa è l’INPS, una cosa è spiegare culturalmente cosa
129
è l’INPS rispetto alla loro realtà (...) evidenziando analogie e
differenze. (Livorno)
Abbiamo pensato di riunire le etnie in un seminario per spiegare
la funzionalità dei CPI in Italia e come si fa, perché con il singolo
quando hai troppa affluenza non ce la fai. Specialmente gli immigrati
dall’est vengono qua con l’idea del loro servizio che gli trova il
lavoro, quindi hanno grosse difficoltà. Lo stesso vale per i seminari
per il curriculum, per l’inserimento del curriculum sul nostro sistema
informatizzato di incrocio domanda e offerta di lavoro. (Circondario
Empolese)
L’orientamento viene segnalato come punto di forza dalla
provincia di Pistoia, che ha una lunga storia avviata negli anni ‘80.
Ho partecipato al gruppo regionale negli anni ’80 che ha elaborato
il primo progetto pubblico di orientamento in Toscana (...) A quel
tempo l’orientamento era poca cosa, era una parola da costruire, era
il primo progetto pubblico elaborato da funzionari interni anziché
da esperti esterni, e si arrivò al piano di orientamento delle province.
Quindi pensi a che epoca risale la nostra specificità. I responsabili
sono orientatori (...) Abbiamo fatto un progetto Equal, progetto
Leonardo Da Vinci, a livello europeo, insieme a strutture importanti
come l’IFOA (Istituto di Formazione, operatori aziendali) di Reggio
Emilia per sperimentare i modelli di orientamento su quattro target
femminili in Europa (...) vedere come veniva svolto l’orientamento,
quali tecniche, quali target, quali problemi, quali risposte, l’efficacia
(...) Con la mia collega siamo impegnati con l’ISFOL su questo a
livello nazionale, quindi ci siamo sempre impegnati su questo (...)
Ci sono sia professionalità che tecniche di orientamento non dico i
migliori, ma molto perfezionati. (Pistoia)
Un altro aspetto segnalato riguarda il capitale umano degli
operatori: per la provincia di Livorno l’integrazione fra operatori è
un punto di forza. Per il Circondario Empolese è un punto di forza la
certificazione e validazione delle competenze, le riunioni di equipe
e il coordinamento mensile del personale. Può diventare anche un
punto di debolezza nel momento in cui manca una figura specifica
che curi gli aspetti informatici collegati al database.
Conosco tanti colleghi di lavoro, il punto di forza del modello
livornese è l’alto livello d’integrazione fra le persone. (Livorno)
L’anno scorso abbiamo fatto un processo di certificazione e
validazione delle competenze, alla fine del quale 5 o 6 operatori
hanno acquisito la qualifica regionale di operatore di agenzia del
lavoro, cioè la qualifica che abbiamo sempre chiesto all’esterno
130
per fare i colloqui 181. È stato un processo fatto di validazione
delle competenze acquisite (per esperienza professionale e anche
raccogliendo tutti i pezzetti formativi degli anni passati) e un
percorso di formazione di 60-80 ore incentrato soprattutto sulla
metodologia di svolgimento di un colloquio di orientamento, la cura
della relazione con le persone, insomma la cosa che ci sembrava
mancasse di più agli operatori. Un’altra peculiarità è questa cosa
delle riunioni di equipe e il coordinamento mensile (…) Poi se IDOL
si ferma, non si fanno le iscrizioni, non si fa niente. Quindi abbiamo
avuto momenti di difficoltà nel non avere una persona dedicata che
possa intervenire. (Circondario Empolese)
Alcune province segnalano come aspetti positivi il potenziamento
e quindi l’investimento mirato per alcuni strumenti di intervento
individualizzato. Pistoia segnala il forte investimento sulla carta
ILA (Individual Learning Account73 o carta prepagata di credito
formativo individuale) e ne esplica i risultati positivi conseguiti.
Firenze potenzia, attraverso la carta prepagata e i voucher, l’utilizzo
degli strumenti di finanziamento individuale per fronteggiare la crisi.
Viene segnalato anche l’incremento dei tirocini di orientamento e di
inserimento lavorativo per la provincia di Prato e del Circondario
Empolese, che però sembrano presentare sia effetti positivi (un’alta
percentuale delle borse lavoro erogate hanno buon fine), che
distorsioni nell’uso (le imprese vi ricorrono in maniera massiccia per
la convenienza economica senza trasformarli in rapporti di lavoro).
Sarà fatta una presentazione a tutti gli operatori dei CPI della carta
ILA e per un numero sperimentale di carta ILA avranno proprio
come destinatari lavoratori iscritti in mobilità e cassaintegrati,
quindi un’attenzione particolare in questo momento. (Firenze)
Con la carta ILA l’utente può fare dei percorsi formativi
personalizzati molto flessibili (…) Non si può rispondere all’utente
che forse fra due anni si attiva il corso. Se noi investiamo come
quest’anno 3 milioni di euro, circa 1.300 carte, comincia ad avere
un certo impatto, per arricchire le proprie competenze, orientare il
73
Con le risorse FSE Ob. 3, POR 2000-2006 (Misura A2) la Regione Toscana ha avviato in alcune province
(Arezzo, Grosseto, Pistoia, Livorno) la sperimentazione della carta ILA, per poi, successivamente diffonderla
alle altre. La carta ILA rappresenta una modalità di erogazione a tranches di finanziamenti individualizzati
per lo svolgimento di percorsi formativi. L’importo massimo delle singole tranches con cui sarà erogato il
finanziamento non potrà superare i 500 euro. L’ammontare complessivo del finanziamento erogabile ad ogni
beneficiario non potrà invece superare i 2.500 euro (al lordo delle spese bancarie). L’attivazione della Carta
ILA e le successive ricariche periodiche della stessa sono subordinate alla valutazione da parte degli orientatori
circa la validità del progetto formativo e la sua effettiva e corretta attuazione (a tal fine sarà obbligatorio
presentarsi presso i CPI per le verifiche periodiche). L’elemento di maggiore innovazione della Carta ILA
consiste nel fatto che con le carte prepagate (da ritirare presso i CPI), i finanziamenti sono prelevabili dai
beneficiari presso qualsiasi sportello bancomat e spendibili mediante sistemi di pagamento POS.
131
sistema formativo che deve adattarsi a una domanda di formazione
diversa, più individuale, più orientata al mercato (...) Anche l’offerta
formativa se vuole intercettare questa massa finanziaria, deve
orientarsi verso queste caratteristiche nuove. Infatti molte agenzie
si stanno mettendo insieme per cercare di avere più possibilità di
risposte. Quindi ha un duplice effetto. (Pistoia)
Il servizio dei tirocini è cresciuto molto grazie alla spinta della
borsa lavoro. Il punto di forza è che per noi è stato uno strumento da
offrire e si è rivelato fino ad oggi un buon approccio con il mercato
del lavoro e le persone dopo hanno trovato lavoro. Noi facciamo
il monitoraggio sulle borse lavoro erogate: l’80% hanno poi avuto
buon fine. Si suddividono in tirocini di orientamento e tirocini di
inserimento lavorativo, chi ha fatto il tirocinio di inserimento ha
poi trovato lavoro o nella stessa azienda o comunque in un’altra
azienda. Il punto di debolezza è che la borsa lavoro ha incrementato
molto la richiesta di tirocini, sia da parte delle aziende che dei
lavoratori e quindi il servizio è cresciuto molto e ha problemi di
spesa. (Circondario Empolese)
Infine, per quanto riguarda i punti di forza si segnalano gli
sportelli specifici per target (donne, giovani e immigrati) per la
provincia di Siena e l’apprendistato per quella di Massa Carrara. Per
i punti di debolezza si segnalano: il servizio di incontro domanda e
offerta, nello specifico la preselezione ritenuta da migliorare per la
provincia di Grosseto; la disomogeneità di performance fra i CPI,
ovvero le differenze territoriali nei livelli di prestazione all’interno
della provincia di Lucca, che sta cercando di uniformare le risposte
dei servizi, anche attraverso le procedure unificate richieste dalla
certificazione di qualità; le difficoltà di alcuni interventi del
Circondario Empolese dovuti alla sua struttura particolare e non del
tutto autonoma dalla provincia di Firenze; i servizi di conciliazione
per le donne per la provincia di Livorno; l’autoconsultazione per la
provincia di Massa Carrara.
Il servizio fondamentale di cui non sono molto contenta è la
preselezione, il servizio di incontro domanda e offerta. Nel servizio
di preselezione ci sono da conciliare molte esigenze, quelle delle
imprese di avere risposte veloci e di qualità e quelle degli utenti
che devono avere informazioni, essere chiamati. E già sono due
cose difficili da tenerle insieme. Mi piacerebbe che la preselezione
fosse quasi sempre un colloquio, che fossero fatti in maniera stabile.
Non è sempre semplice assicurare questa qualità. (…) Bisogna
contemplare tutta una serie di cose, compresa la trasparenza,
l’imparzialità. (…) Non è un punto di crisi, però è il servizio più
132
importante che fa il CPI. Quindi va sempre costantemente tenuto
sotto controllo. (Grosseto)
I servizi amministrativi hanno una loro criticità che stiamo cercando
di rimuovere con la qualità. Ognuno ha sviluppato un’interpretazione
di applicazione delle leggi e dei processi autonomi, diversa fra
i centri.. Ci stiamo lavorando molto, con la qualità, avendo le
procedure scritte, si spera che si unifichi. La preselezione è ottima
a Lucca, in Valle del Serchio un po’ più artigianale, anche perché è
una realtà più piccola, una metodologia familiare, mentre la Versilia
avrebbe le potenzialità, ma ha dei numeri molto più bassi. (Lucca)
4.5
Il personale
Uno degli aspetti salienti del processo di riforma del vecchio
collocamento centralizzato verso l’attuale sistema decentrato
dei SPI ha riguardato la “metamorfosi” delle funzioni svolte:
se l’intervento pubblico non mira più ad applicare norme, ma a
fornire servizi alle imprese e ai lavoratori, diventa prioritaria la
questione del rinnovamento delle competenze professionali e dei
codici di comportamento non più ispirati ad una filosofia giuridicoamministrativa, bensì ad una cultura dei servizi. Gli operatori dei
CPI non devono applicare (solo) norme e procedure amministrative,
ma devono essere soprattutto in grado di valutare fabbisogni
professionali e posti di lavoro da un lato, capacità personali,
competenze professionali e aspirazioni dall’altro, offrire orientamento
e formazione ai lavoratori e consulenza alle imprese. La qualità dei
servizi offerti dai CPI è fortemente influenzata dalla quantità e dalle
capacità del personale ad essi dedicato, ma anche da una cultura
professionale non chiusa nel burocratismo o nel tecnicismo. Per
ottenere servizi di elevata qualità è necessaria soprattutto la presenza
di operatori disponibili, motivati, professionalmente qualificati e
che si identifichino nella cultura completa e complessa dei servizi
al lavoro (Ripamonti, 2005). Seppure il Masterplan e le linee guida
per la qualità dei servizi (Pavoncello, 2007) indichino la necessità
di definire il piano delle competenze e delle professionalità degli
operatori, in realtà, nota Reyneri (2007), fino ad oggi poco si è
investito in Italia, se non in poche eccezioni, sulla professione di
operatore dei SPI e di funzionario delle politiche attive del lavoro.
Per rispondere alle esigenze dettate dalla riforma, l’evoluzione
dei servizi ha determinato in questi anni l’inserimento di nuovo
133
personale all’interno delle strutture provinciali e locali, ricorrendo
in gran parte all’utilizzo di operatori con contratti a termine ed
anche, più di recente, attraverso una vera e propria esternalizzazione
di alcune attività. Un simile rinnovamento delle risorse umane dei
CPI nasce soprattutto dalla necessità di disporre di professionalità
e competenze nuove (orientatori, job promoter, mediatori culturali,
preselezionatori, ecc.), quasi mai presenti all’interno del personale
transitato dal Ministero del lavoro.
Attraverso la somministrazione di un questionario strutturato,
abbiamo chiesto alle province di indicare il numero di addetti,
impiegati presso gli uffici centrali e presso le strutture decentrate,
suddivisi per tipologia contrattuale e per modalità oraria della
prestazione (tempo pieno/part-time).
Complessivamente all’interno delle strutture operative dei SPI e
dei servizi provinciali centralizzati sono impiegati 1.082 persone, di
cui 626 impiegati nei CPI, 203 nei centri direzionali, 166 nei servizi
territoriali e 87 negli sportelli territoriali. La categoria dei dipendenti
delle Province risulta la più numerosa (45%), seguono i consulenti e
operatori di società esterne (27%) e nettamente distanziati i consulenti
e collaboratori a contratto con la provincia (7%) e i dipendenti a
tempo determinato (4%) (Tab. 4.6).
Tabella 4.6 Addetti per tipologia contrattuale. toscana. 2008
Centro
di cui CPI
di cui Servizi
di cui Sportelli
di cui Totale di cui
direzionale part-time
part-time territoriali part-time territoriali part-time
part-time
Dipendente a tempo
102
11 311
29
65
indeterminato
della Provincia
Dipendente a tempo
determinato della
6
2 37
5
Provincia
Collaboratore
coordinato e
1
1
8
1
continuativo a contratto
con Provincia
Consulente a contratto
9
2 53
11
7
con Provincia
Consulenti/operatori
esterni acquisiti
72
10 178
129
36
mediante appalti di
servizi a società private
Altro
13
- 39
12
53
Totale
203
26 626
182
166
Fonte: elaborazioni su dati Amministrazioni provinciali, luglio 2009
134
8
11
4
489
-
3
-
51
2
-
-
-
9
2
6
-
-
69
19
30
9
-
295
169
10
54
64
87
4
169
1.082
22
266
52
Su 1.082 addetti, 266 sono part-time (25%), con una quota
decisamente più elevata nel caso degli operatori esterni, dove
si supera abbondantemente il 50%. Per ogni addetto part-time è
stato chiesto di indicare le ore lavorate a settimana, in modo tale
da ricavare il numero di unità di lavoro, ossia i lavoratori full
time equivalenti74. Ne deriva che i 1.082 addetti dichiarati per lo
svolgimento delle attività corrispondono a 968 addetti equivalenti
full time, per cui su una presenza di 100 addetti dichiarati la presenza
di personale full time corrisponde a 89. Mentre tra i dipendenti
provinciali il rapporto tra le due categorie (dichiarati e equivalenti)
è sostanzialmente paritario, nel caso delle categorie con contratti a
termine oppure degli operatori esterni, dove la quota di prestazioni
a tempo parziale è, come abbiamo visto, più elevata, la differenza
si amplia riducendo il valore del rapporto (rispettivamente circa
l’85% e il 79%) (Tab. 4.7).
Tabella 4.7 addetti e lavoratori equivalenti per tipologia contrattuale. tOSCANA. 2008
Dipendente a tempo
102 99,3
311 301,2
65
indeterminato della Provincia
Dipendente a tempo
6 5,3
37 37,0
5
determinato della Provincia
Collaboratore coordinato e
continuativo a contratto con
1 0,5
8 7,2
0
Provincia
Consulente a contratto con
9 7,3
53 47,1
7
Provincia
Consulenti/operatori esterni
acquisiti mediante appalti di
72 68,5 178 129,1
36
servizi a società private
Altro
13 13,0
39 27,8
53
Totale
203 194,0 626 549,4 166
Fonte: elaborazioni su dati Amministrazioni provinciali, luglio 2009
Lav.
equivalenti
Rapporto
tra lavoratori
equivalenti e
addetti dichiarati
TOTALE
Addetti
Lav.
equivalenti
Sportelli
territoriali
Addetti
Lav.
equivalenti
Servizi
territoriali
Addetti
Lav.
equivalenti
Addetti
Lav.
equivalenti
Centro
Centri
direzionale per l’impiego
Addetti
60,0
11
8,4
490 469,8
95,9
5,0
3
3,0
51 50,3
98,7
0,0
0
0,0
4,4
0
26,8
9
43,7
139,9
9
7,7
85,2
0,0
69 58,9
85,3
9,0
295 233,4
79,1
64 64,0 169 148,5
87 84,4 1.082 967,7
87,9
89,4
Le unità lavorative dei servizi al lavoro della Toscana vengono
impiegate per la maggior parte nelle strutture che svolgono
funzioni più operative e di servizio diretto al cittadino (assorbite
nella misura dell’80% dai CPI, dai servizi territoriali e dagli
Numero di ore complessivamente lavorate diviso per 36 ore, equivalente al tempo pieno per la Pubblica
Amministrazione.
74
135
sportelli territoriali), mentre per le funzioni di controllo, dirigenza
e organizzazione in percentuale inferiore (20% presso i centri
direzionali) (Graf. 4.8).
Grafico 4.8 lavoratori equivalenti PER STRUTTURE SERVIZI AL LAVORO. TOSCANA 2008
Servizi territoriali
14%
Sportelli territoriali
9%
Centro direzionale
20%
Centri per l’impiego
57%
Fonte: elaborazioni su dati Amministrazioni provinciali, luglio 2009
Considerando il dettaglio provinciale, la situazione appare
abbastanza diversificata, in termini sia di rapporti contrattuali con
la provincia (Tab. 4.9), sia in riferimento ai bacini di popolazione
servita (Tab. 4.10).
Tabella 4.9 ADDETTI (DIPENDENTI E COLLABORATORI/CONSULENTI) per provincia. 2008
136
Dipendenti
Collaboratori/
consulenti
Dipendenti
Collaboratori/
consulenti
TOTALE
Collaboratori/
consulenti
Arezzo
5
0
0
0
Firenze
29
70
69
73
Circondario Emppòese V.E.
4
0
20
12
Grosseto
9
1
34
36
Livorno
13
9
40
29
Lucca
7
5
44
14
Massa Carrara
0
0
9
8
Pisa
6
7
44
52
Pistoia
15
2
51
25
Prato
10
1
0
27
Siena
10
0
37
2
Toscana
108
95
348
278
Fonte: elaborazioni su dati Amministrazioni provinciali, luglio 2009
Sportelli
territoriali
Dipendenti
Servizi territoriali
Collaboratori/
consulenti
CPI
Dipendenti
Collaboratori/
consulenti
Centro
direzionale
Dipendenti
45
0
1
0
0
2
12
0
10
0
0
70
40
0
8
0
0
2
29
0
17
0
0
96
0
10
0
0
0
0
0
0
0
0
4
14
28
0
8
0
0
4
0
0
33
0
0
73
50
108
25
43
53
53
21
50
76
10
51
540
68
143
28
37
38
25
37
59
77
28
2
542
Tabella 4.10 lavoratori equivalenti, utenti effettivi e popolazione residente in età
lavorativa per provincia. 2008
Unità
lavorative
Utenti
effettivi
Unità lavorative
per utenti effettivi
(1.000)
Arezzo
105,4
34.095
Firenze
213,0
78.220
Circondario Empolese V.E.
43,1
27.046
Grosseto
77,0
30.410
Livorno
87,1
33.738
Lucca
76,2
74.476
Massa Carrara
43,5
32.433
Pisa
97,8
52.433
Pistoia
151,6
30.464
Prato
26,3
21.318
Siena
46,7
35.471
Toscana
967,7
450.104
Fonte: elaborazioni su dati Amministrazioni provinciali, luglio 2009
3,1
2,7
1,6
2,5
2,6
1,0
1,3
1,9
5,0
1,2
1,3
2,1
Pop. residente
Unità lavorative su
in età lavorativa pop. in età lavorativa
(10.000)
221.436
508.443
108.738
142.562
215.564
248.056
129.441
263.335
186.041
160.014
168.218
2.351.848
4,8
4,2
4,0
5,4
4,0
3,1
3,4
3,7
8,1
1,6
2,8
4,1
La maggioranza dei CPI e servizi territoriali in Toscana (67%),
ad esclusione dei servizi della provincia di Firenze, di Grosseto e
di Prato, non ritiene adeguata l’attuale dotazione organica. Per
la maggior parte delle province infatti, risulta chiaro che se nel
computo dell’organico si tenesse conto esclusivamente del personale
dipendente, le competenze non sarebbero tali da coprire le funzioni
richieste ai SPI e la capacità della struttura di servire il territorio
sarebbe seriamente compromessa (Graf. 4.11).
Grafico 4.11 ritiene sufficiente la dotazione organica?
No. Sufficiente di numero,
ma inadeguata qualifica
professionale
18%
Si, sia per numero che per
qualifica professionale
33%
No. Adeguata rispetto alla
qualificazione professionale,
ma insufficiente di numero
38%
No, sia da un punto di vista
numerico che di qualifica
professionale
11%
137
Per la maggioranza dei servizi del Circondario Empolese e delle
province di Livorno, di Lucca, di Pistoia (38% del totale) il personale
è adeguato rispetto alle qualifiche professionali, ma insufficiente di
numero. Per i servizi della provincia di Pisa e per due dei cinque della
provincia di Siena (18% del totale), la dotazione organica è sufficiente
di numero, ma inadeguata rispetto alle qualifiche professionali. Per
la totalità dei servizi di Massa Carrara, per un servizio di Arezzo e
uno di Livorno (11%), il personale è insufficiente sia per numero che
per qualifica (Tab. 4.12).
Tabella 4.12 Ritiene adeguata, numericamente e qualitativamente, l’attuale dotazione di
personale?
Arezzo
Circondario Empolese V.E.
Firenze
Grosseto
Livorno
Lucca
Massa Carrara
Pisa
Prato
Pistoia
Siena
ToSCANA
Sì, sia da un
No, è sufficiente
No, è adeguata
punto di vista
di numero, ma rispetto alle qualifiche
numerico che inadeguata rispetto
professionali,
di qualifica
alle qualifiche
ma insufficiente di
professionale
professionali
numero
2
6
5
1
1
15
1
4
1
2
8
1
3
1
3
3
4
2
17
No, sia da un
punto di vista
numerico che
di qualifica
professionale
Totale
1
1
3
5
5
3
7
5
4
3
3
4
1
5
5
45
Anche secondo quanto riferito dai dirigenti e funzionari
provinciali intervistati, la dotazione organica dei CPI toscani
non risulta essere sufficiente, in particolare per quelle figure
maggiormente impegnate nell’erogazione si servizi più attinenti
all’ambito delle politiche attive. Alcuni fanno rilevare come la
dotazione organica risulti notevolmente inferiore se confrontata
con gli altri paesi europei75. Anche da studi condotti dall’ISFOL, a
livello nazionale (Gilli e Landi, 2006), i fabbisogni appaiono legati
soprattutto a figure con elevata professionalità, in grado di assistere
75
Il rapporto europeo è totalmente diverso: 1 a 4 rispetto alla Svezia, 1 a 3 rispetto alla Germania, 1 a
2 rispetto alla Francia, cioè abbiamo la metà di ciò che ha la Francia, che è un sistema meno sviluppato
della Germania (Lucca).
Occorre guardare il tasso degli operatori, che per l’UE sarebbe di 150 ore a disoccupato. In Danimarca
entri nel CPI, vai otto ore e stai fisso lì. Tutto ti vincola all’iscrizione, tutto il welfare è collegato a questo,
il collocatore che ti firma i fogli.(…) Lo sa qual è il parametro qua? Di 18 ore di cui 2 per burocrazia.
L’assessore dice bisogna abbattere gli iscritti, dimezziamoli, ma si va a 36 ore e per arrivare a 150 ce ne
vuole. Poche risorse per mettere le bandierine (Livorno).
138
le strutture nelle attività di programmazione, progettazione, analisi
del mercato del lavoro e promozione dei servizi. In generale la parte
amministrativa, procedurale e di gestione delle politiche passive
è svolta dai dipendenti delle province76, mentre in prevalenza
orientatori, mediatori, job promoter, psicologi del lavoro ed esperti
del mercato del lavoro sono personale esterno (fornito dalle società
in house, reperito tramite bandi di gara o con contratti di consulenza
individuali), la cui presenza è finanziata attraverso l’FSE, per cui c’è
il timore che con la riduzione dei fondi a disposizione e l’aumento
del carico sui servizi a causa della crisi, la dotazione organica
diminuisca ancora rispetto alle esigenze ordinarie77.
Sostanzialmente i linea con quanto emerso a livello nazionale
(Gilli e Landi, 2007), nel caso della Toscana i dati emersi dalla
rilevazione presso i CPI evidenzia in prevalenza la carenza di
figure professionali specifiche con competenze trasversali che
uniscono comunicazione, sensibilità e attenzione alle problematiche
dell’utenza, in particolare di quella svantaggiata: l’operatore per le
fasce deboli (19: segnalato da Circondario, Livorno, Lucca, Massa
Carrara, Pisa, Pistoia, Siena), seguito dal mediatore culturale (17:
segnalato da Livorno, Lucca, Pisa, Pistoia, Siena) e dall’orientatore
76
Dalle interviste: Sulla carta sono livelli bassi, ma sono qualificati e professionali. Gli ex-ministeriali
hanno tutti livelli bassissimi, il livello più alto è il C. Nel servizio lavoro ci siamo solo due D, io e la Marta.
Che poi questi con B facciano cose in autonomia, questo sì, però il livello è rimasto quello. Tranne uno
che ha fatto un concorso interno per passare da B a C (Massa) -Dal punto di vista della qualità, se sono
una quarantina, aggiungo che 21 sono di profilo B, che profilo B è un usciere. Se non ci fossero le risorse
esterne noi si chiude, da tutti i punti di vista. La professionalità elevata è tutta esterna. Ma noi abbiamo
problemi anche a inserire i dati. Nome e cognome lo fa anche un B, ma già l’obiettivo professionale.
Rapportato alle mansioni è una qualità normale, ma se sono B. i B sono tutti dei geni, fanno tutti molto di
più, ci mancherebbe altro (Lucca)- I B che ho io sanno delle cose che credo neanche i dirigenti. (Livorno)
- In un’azienda privata, se cambiano le cose, se domani mattina cambia la situazione, perché ci sono
cassaintegrati, più soggetti, loro si organizzano immediatamente nel giro di due giorni sono pronti. Noi
per fare una cosa del genere si parte, con tutta la buona volontà dopo un anno. Allora cosa siamo costretti
a fare? Quello che noi si chiama il fai da te. Ci sono da fare le stampe? Tanto c’è sempre quello più
creativo, o che sa usare il computer, pur non avendo riconosciuta la professionalità. Si fanno da noi. Noi
siamo partiti con le aziende preparando tutto il pacchetto da portare in aziende, da noi. Non andando in
tipografia. Perché? Per il semplice fatto, trova i soldi, fai la gara… (Pisa).
77
La dotazione organica non è sufficiente. Per i servizi siamo sotto quasi del 50%. Con le collaborazioni
allora riusciamo un po’ a tamponare (Massa Carrara).
All’interno degli assi e degli obiettivi specifici del FSE c’è l’implementazione dei CPI, la parte
dell’orientamento. Noi prendiamo le risorse da questo e facciamo le gare d’appalto. Quando nel 2010
ci scadrà questa gara e noi cominceremo a farne un’altra, bene, altrimenti si chiude. Con le persone che
abbiamo di ruolo, si chiude, ma non per capacità, per quantità. (Pisa).
Che è carente è chiaro. Viaggiamo con gli esterni. Abbiamo una quarantina di dipendenti. A essere
economici andrebbero raddoppiati. I CPI sono in queste condizioni. (…) La dotazione strutturale della
provincia ha una specializzazione di tipo amministrativo, manca la dimensione psicologica, l’addetto alle
scienze sociali, ma anche l’esperto del mercato del lavoro. (Lucca).
Con la scelta della società esterna abbiamo risolto il problema annoso del personale; era l’unico
modo per garantire servizi di una certa qualità. I dipendenti della provincia svolgono gli adempimenti
amministrativi, innanzitutto, gli sportelli di accoglienza e il front-office salvo quelli specialistici -che fanno
anche assistenza on line e telefonica (abbiamo anche un numero verde)- e ancora altre attività di livello
successivo che appunto svolgiamo in collaborazione con il CINPA, dividendoci il lavoro. (…) Abbiamo
operatori versatili, in grado anche -se vi è bisogno- di passare da una mansione all’altra. Il problema è
che ci aspettiamo una crescita dell’affluenza.(Arezzo).
139
(15: segnalato da Firenze, Livorno, Lucca, Pisa, Siena). L’operatore
d’accoglienza è carente per Arezzo, Livorno, Lucca e Siena,
l’operatore di back office per Lucca e Massa Carrara, l’operatore
per la preselezione soprattutto per Livorno e Lucca. La dotazione
di consulenti alle imprese è segnalata come insufficiente da Arezzo,
Livorno, Lucca e Siena (Graf. 4.13).
Grafico 4.13 FIGURA PROFESSIONALE DI CUI SI SENTE LA CARENZA
Numero CPI/ST su 45 totali risposte
19
20
15
10
12
15
11
11
17
11
10
5
0
Operatore Operatore di Orientatore Operatore Operatore
delle fasce
d'accoglienza back office
per la
preselezione deboli
Mediatore Consulente
culturale alle imprese
Altro
Alla trasformazione istituzionale dei SPI, in generale, si è
accompagnata un’azione di formazione e sensibilizzazione culturale
e di alfabetizzazione sui temi della riforma. Successivamente, con
il consolidarsi delle nuove prassi operative e di un più consolidato
approccio delle amministrazioni verso i nuovi servizi, si è cercato
di legare gli interventi formativi a competenze specialistiche, alla
creazione di reti istituzionali, all’adozione ed all’affinamento delle
capacità organizzativo-gestionali (Bonanni, Ferretti e Palomba,
2004). Questa evoluzione degli interventi formativi, però, non risulta
del tutto matura.
La formazione e l’aggiornamento del personale, previste dal
Masterplan e requisiti essenziali per la certificazione di qualità,
nel complesso non appaiono attività molto strutturate e continue
nel tempo, anche per alcuni limiti dovuti alla bassa qualifica del
personale interno oppure determinate dal fatto che si tratta di
personale a tempo determinato, per cui investire in formazione
non è incentivante. Inoltre, la formazione ancora viene vista come
istanza di adeguamento delle competenze e delle conoscenze degli
operatori, non tanto come laboratorio nel quale realizzare i primi
approcci delle strategie di gestione e organizzazione delle risorse
140
disponibili finalizzate al conseguimento di obiettivi più chiari e
trasparenti78.
La formazione richiesta è spesso funzionale ai compiti che
l’operatore deve svolgere ed è legata agli standard di qualità dei
servizi che si vogliono raggiungere. Dalle interviste si evince che
gli operatori chiedono di essere informati sul sistema informatico
IDOL e altri database regionali, sul settore delle politiche attive,
sull’accoglienza degli utenti, soprattutto sulla comunicazione e sulla
gestione del burnout, ovvero lo stress e il carico emotivo connessi
alle professioni d’aiuto. Gli operatori chiedono anche di essere
informati sulle politiche e le azioni che i centri intendono perseguire
per essere maggiormente preparati a svolgere il loro ruolo79.
4.6
Considerazioni conclusive
Dall’analisi incrociata dei dati rilevati tramite i questionari e dei
risultati delle interviste rivolte ai responsabili dei servizi, emerge un
modello organizzativo e di intervento, quello del sistema regionale
dei SPI, che mostra di aver compiuto i passaggi fondamentali della
transizione verso l’affermazione di un modello agenziale e aver
Corsi di formazione sono stati fatti in passato e vengono rifatti. Ma quando ho 21 B cosa posso fare?
Cosa formo se poi c’è un limite di qualifica? Come esterni siamo intorno alla quarantina, al 90% sono
laureati e nei contratti in appalto è prevista a loro favore una formazione permanente che l’appaltatore
deve fare (Lucca).
La particolarità del Circondario sta nel fatto che non può avere dipendenti a tempo indeterminato, ma
solo a tempo determinato, perché non ha autonomia giuridica, perché è un ente decentrato della provincia,
quindi tutte le persone che sono di ruolo sono dipendenti della provincia comandate al Circondario. La
dotazione organica è fatta da dipendenti a tempo indeterminato della Provincia e dipendenti a tempo
determinato del Circondario. Sul personale come circondario ci abbiamo investito tanto anche in termini
di formazione per le nostre possibilità. Però investi in una persona che cresce, cresce a tal punto che è
brava e se ne va in un’altra amministrazione (Circondario Empolese).
79
Per il POR 2007-2013 i soldi sono arrivati solo a marzo 2008, quindi il percorso di aggiornamento
ancora non è stato fatto. Noi ora abbiamo bisogno di operatori che sappiano organizzarsi, relazionarsi
con gli altri. Facciamo degli incontri, dei piccoli nuclei e li aggiorniamo continuamente. Ora dobbiamo
fare quello sul sistema regionale del database, che è un inferno, non solamente su IDOL, quello sul FSE,
quello della rendicontazione (Pisa).
Qualunque servizio che noi diamo diventa contenuto di formazione e aggiornamento. Per esempio,
i consulenti stanno facendo una parte di affiancamento ai dipendenti per le imprese, per l’obbligo
formativo con i tutor, poi sull’orientamento. Ci stanno chiedendo i dipendenti di imparare meglio a fare
i colloqui di prima accoglienza. Sentono tutti questa esigenza di approfondire il rapporto con gli utenti,
di capire i bisogni delle persone, affinare le tecniche. Poi ci stanno chiedendo aggiornamento su IDOL,
sistematicamente sul funzionamento, sugli aggiornamenti, questo è molto sentito (Grosseto).
Il sistema di qualità impone che ogni anno ci sia un piano di formazione per gli operatori e quindi abbiamo
predisposto un programma anche con temi come il burnout perché questi operatori sono a contatto con
problemi esistenziali, ma anche aggiornamenti sulle riunioni che servono, sulle tecniche di comunicazione,
sul piano organizzativo. Per esempio, ora vorremmo fare un incontro sulle iniziative che si stanno
programmando col POR nuovo, quindi farne oggetto di formazione specifica. Poi abbiamo una newsletter
dove sono elencate le cose fatte dal servizio in quel mese o bimestre, per gli operatori che lamentavano una
scarsa informazione, che si sentivano estranei (Pistoia).
78
141
definitivamente superato la concezione classica del collocamento, in
cui prevale la connotazione burocratica nell’approccio verso l’utenza.
è questo un sistema che nell’attuale periodo di programmazione dei
fondi europei, nonostante le difficoltà e le prospettive di riduzione
delle risorse, tende ad ampliare il proprio orizzonte di sviluppo,
mirando verso standard qualitativi sempre più elevati, fino a
prefigurare per i CPI un ruolo di veri e propri animatori territoriali.
Le leve su cui agire nel perseguimento di questi nuovi traguardi
appaiono due, sostanzialmente: da un lato una sempre maggiore
specializzazione dei servizi (per tema, settore, tipi di utenza) e
dall’altro, la capacità di attivare e mettere in rete le risorse e i soggetti
operanti sul territorio per connettere più efficacemente gli interventi
per l’occupazione alle politiche di sviluppo locale.
È in questa prospettiva, restituita in modo efficace dai dirigenti
e operatori dei servizi coinvolti nell’indagine, che può essere utile
sintetizzare e ricondurre i principali punti di forza e le criticità
osservati. L’obiettivo è quello di ricavarne indicazioni che possano
contribuire alla definizione di nuove priorità e linee di intervento
di un possibile percorso di sviluppo e posizionamento strategico
della rete regionale dei SPI. I temi toccati sono stati molteplici,
gran parte di questi, per complessità e rilevanza, meriterebbero di
essere approfonditi tramite ulteriori indagini ad hoc. Tuttavia vi sono
questioni che più di altre ricorrono nelle risposte degli intervistati,
connesse in particolare a questi ambiti: problemi e necessità avvertiti
con maggior urgenza, punti di forza e vocazioni tramite i quali i
sistemi provinciali hanno costruito la propria identità di servizio,
idee sullo sviluppo dei servizi da qui al 2013.
Un primo elemento che ha spostato con forza il focus delle
riflessioni, vissuto per i suoi effetti come una sorta di spartiacque
nella storia recente di operatività dei servizi, è la crisi economica e
occupazionale. Sono due in particolare gli aspetti di criticità segnalati
a questo proposito: da un lato la forte condizione di tensione in cui
viene a trovarsi la programmazione provinciale (e non solo) FSE, a
seguito del dirottamento in funzione anticrisi di cospicue quote di
risorse finanziarie (attinte dagli assi 1 Adattabilità e 2 Occupabilità del
POR OB 2); dall’altro è stato sottolineato come nella maggior parte
delle realtà, i servizi si siano trovati ad affrontare forti aumenti nei flussi
di utenza e nei carichi di lavoro pressochè con le stesse condizioni
strutturali e di organico della situazione “pre-crisi”. I rischi avvertiti
più diffusamente, dei quali è importante tenere conto per mettere in
campo adeguate misure correttive, sono legati ai possibili effetti di
142
spiazzamento che potranno essere registrati a carico di quelle categorie
di destinatari non interessate da crisi o ristrutturazioni aziendali, ma
che nonostante questo continuano a rappresentare un target prioritario,
sia per il FSE che per la stessa strategia regionale per l’occupazione.
Rispetto a queste fasce di utenza sembra essere seriamente messa in
discussione la possibilità di offrire risposte adeguate e di raggiungere
gli obiettivi di copertura prefissati: giovani in entrata nel mercato del
lavoro, donne che intendono reinserirvisi dopo un periodo di maternità,
lavoratori anziani nel quadro di strategie di invecchiamento attivo,
ecc. Un altro timore è che, nel perdurare della situazione di crisi, i CPI
possano progressivamente perdere l’orientamento al servizio e alla
qualità, per connotarsi sempre più come strutture di assistenza.
Tuttavia si possono individuare anche esternalità positive
prodotte dalla necessità di affrontare questa difficile situazione
attraverso l’integrazione tra politiche attive e politiche passive.
Una conseguenza importante è rappresentata dal rafforzamento
dei legami di rete e del grado di cooperazione con soggetti diversi
(INPS, agenzie interinali, sindacati, privato sociale), aspetto questo
che se consolidato e reso strutturale potrebbe costituire una risorsa
importante per lo sviluppo futuro dei servizi. Riguardo a questo
aspetto potrebbe essere utile prevedere, ad esempio a distanza di
un anno, un approfondimento teso a far emergere buone pratiche da
diffondere e consolidare anche al di là della specifica contingenza e
del sistema locale che le hanno originate.
Come già abbiamo avuto modo di evidenziare, un aspetto
caratteristico della rete regionale dei SPI è costituito dalla multiformità
delle soluzioni adottate per l’organizzazione e per la gestione delle
attività, all’interno dei diversi contesti provinciali. Tuttavia nella
varietà delle scelte operate dalle province, nel tentativo di ovviare ai
gap iniziali di competenze, tenendo conto dei limiti e delle rigidità
nella spesa posti dal patto di stabilità interna e dai regolamenti
comunitari, si possono individuare delle costanti nei problemi
osservati presso le diverse realtà. In particolare, sono state rilevate
criticità associate al grado di decentramento dei servizi e al ricorso
a forme di esternalizzazione e reclutamento del personale che non
sempre hanno assicurato la continuità necessaria per tesaurizzare le
competenze e i saperi costruiti attraverso l’esperienza lavorativa e
gli investimenti in formazione della provincia. Come abbiamo visto,
il decentramento delle strutture, che per molte realtà si è rivelato una
risorsa, anche per lo sviluppo dei legami di rete, quando viene spinto
oltre l’effettiva necessità, porta con sé una serie di problemi per la
143
sostenibilità del sistema e di frammentazione del servizio. In questi
casi ciò che generalmente costituisce un vantaggio in termini di
prossimità al cittadino si traduce in disservizio e disparità territoriali
nei livelli di prestazione. Queste considerazioni sembrano trovare
conferma anche nelle oscillazioni del dato relativo agli sportelli
attivi sul territorio, che come abbiamo visto, rispetto alla precedente
rilevazione, ha fatto registrare una flessione di 92 unità.
A questo punto del percorso, sulla base dell’esperienza maturata,
potrebbe essere opportuno avviare una riflessione per individuare
soluzioni che consentano di ottimizzare gli aspetti organizzativi
e gestionali e di superare l’eterogeneità e i limiti dell’assetto
complessivo del sistema. Una prima questione da affrontare
potrebbe essere, ad esempio, la revisione -all’interno di una cornice
di coordinamento regionale- dei criteri sulla base dei quali decidere
il grado di decentramento delle strutture nei vari territori, dei criteri
per stabilire quali servizi esternalizzare e quali invece mantenere
all’interno come core service, la definizione di criteri e procedure
condivise per selezionare e reclutare il personale necessario, tanto
nella gestione diretta che in quella esternalizzata. Rispetto a questo
ultimo punto giova ricordare come un’opportunità ci venga offerta
dalle nuove previsioni regolamentari, che fanno sì che si possa
ricorrere al FSE per rafforzare la dotazione di personale, stabilizzando
(almeno fino al 2013) le risorse esterne dedicate al presidio di
funzioni strategiche per il servizio, cui si associa la possibilità di
estendere anche ai SPI la modalità dell’appalto per l’affidamento di
parti delle attività dei centri.
Un punto di forza importante della rete toscana degli SPI è dato dalla
presenza di realtà con vocazioni e culture locali positive rispetto ad
aree funzionali considerate “strategiche” (ad esempio l’orientamento,
i servizi alle imprese, l’accompagnamento al lavoro di persone in
condizioni di svantaggio, servizi specifici per lavoratori stranieri,
ecc.) che danno luogo a esperienze consolidate che meritano di essere
potenziate e diffuse. A questo riguardo ci sembra importante soffermarsi
ancora su due ambiti di specificità particolarmente rilevanti.
Abbiamo avuto modo di constatare come tutti i referenti degli SPI
concordino sul fatto che la promozione nei confronti delle imprese
rappresenta un ambito di intervento prioritario per accrescere l’efficacia
dei CPI. Rispetto a questo aspetto però permangono alcuni elementi
di criticità interni ed esterni alle strutture, riferibili sostanzialmente a:
scarso sviluppo di strategie articolate di marketing, carenze anche in
termini di competenze, il persistere di barriere di natura culturale che
144
rendono difficoltoso l’approccio con le imprese. A fronte di ciò vi sono
province che hanno investito maggiormente su questa area, conseguendo
risultati interessanti (cfr. capitolo 5). Considerazioni analoghe possono
essere fatte anche per l’orientamento. All’interno della strategia
regionale di lifelong learning l’orientamento rappresenta un fattore
essenziale per l’integrazione dei sistemi, oltre che per l’esercizio del
diritto di cittadinanza degli individui80. Nell’attuazione degli indirizzi
regionali in merito allo sviluppo del sistema dell’orientamento i CPI
possono giocare un ruolo determinante ancora non pienamente del
valorizzato. In particolare occorre investire maggiormente affinché
si completi tutto l’arco potenziale di operatività dei servizi. Anche
in virtù del fatto che i CPI costituiscono la sede naturalmente vocata
all’erogazione di questo tipo di attività, i segmenti dell’orientamento
a supporto di scelte e transizioni in campo professionale e formativo
risultano pienamente presidiati; per contro appare meno consolidato
il modello di raccordo con la scuola e l’università. Tanto in questo
caso quanto negli altri richiamati è possibile attingere dall’esperienza
di realtà in cui sono state osservate pratiche di successo ormai
consolidate. Queste realtà rappresentano infatti un patrimonio
prezioso (da valorizzare e mettere a sistema) da cui prendere le mosse
per azioni volte a generare processi di apprendimento organizzativo
anche promuovendo le comunità di pratiche.
Complessivamente emerge come per alcuni settori di intervento
la genericità del quadro degli indirizzi e degli strumenti a sostegno
all’operatività del sistema abbia contribuito ad alimentare condizioni
di incertezza e variabilità nelle procedure e nei modelli di prestazione.
Ciò vale in modo particolare per le funzioni più complesse che poi
sono le stesse che più diffusamente hanno fatto registrare ritardi e
differenze nel grado di sviluppo, come nel caso della promozione e
dei servizi rivolti alle imprese nell’ambito della funzione di matching
tra domanda e offerta di lavoro. Più in generale queste considerazioni
valgono per tutti quegli interventi che travalicano la mera funzione
adempimentale, normata da leggi. È importante infatti sottolineare
che nel caso appena richiamato le cause di questi ritardi devono
essere ricercate all’interno di una pluralità di fattori, anche correlati
alle peculiarità del tessuto produttivo regionale: forte prevalenza
di imprese di piccole o piccolissime dimensioni che generalmente
Uno dei sei obiettivi globali del Piano di Indirizzo Generale Integrato della Regione Toscana per il 20062010, è esclusivamente dedicato all’orientamento, in questo ambito la Regione si propone di: Perseguire la
crescita della qualità e dei servizi offerti mediante la costruzione di un sistema regionale delle competenze
e dell’orientamento, come condizione per l’esercizio del diritto all’apprendimento durante tutto l’arco
della vita.
80
145
utilizzano canali informali per il reperimento di personale e che
tendenzialmente presentano una scarsa propensione all’innovazione
e allo sviluppo di strategie strutturate di valorizzazione del capitale
umano; a questo si associa il permanere di pregiudizi nei confronti
dei servizi pubblici per l’impiego, visti come canali inefficienti o
come strumenti di controllo. Ciò detto occorre, però, sottolineare
come i referenti provinciali reputino necessario per favorire il decollo
di queste attività, la possibilità di operare in modo coordinato, di
disporre di strumenti condivisi (linee guida, descrittori, indicatori
e sistemi di monitoraggio esaustivi, formazione congiunta degli
operatori, con particolare riguardo agli addetti all’aggiornamento
delle banche dati) sulla base dei quali sviluppare modelli di intervento
che, pur salvaguardando il dovuto grado di flessibilità e autonomia
nell’applicazione, concorrano a rendere più omogenee le modalità di
interpretazione delle norme e di definizione dei processi. In particolare
questo è ritenuto essenziale per le linee di servizio più innovative, per
le aree grigie di intervento che vanno al di là di quanto richiesto o
esplicitato dalle norme. Alla base delle istanze che sono emerse circa
l’opportunità di un’azione di coordinamento regionale, c’è la necessità
diffusa di potersi confrontare sui processi, sulle soluzioni adottate e i
risultati raggiunti, evitando il più possibile le distorsioni determinate
da strumenti di monitoraggio non adeguati o da errori nella gestione
dei flussi informativi. Alcuni intravedono nell’interesse crescente
nei confronti degli strumenti a presidio della qualità dei servizi
(certificazione di qualità, carta dei servizi, rilevazioni di customer
satisfaction), un’opportunità da cogliere gestendo in modo coordinato
per tutte le province l’adozione o l’aggiornamento di questi dispositivi
che per la loro implementazione richiedono innanzitutto uno sforzo
definitorio dei processi, realizzazioni e risultati. Tutti questi passaggi
potrebbero essere proficuamente inseriti in un quadro di raccordo
e coerenza con il processo di definizione dei nuovi indirizzi del
Masterplan 2007-2013.
L’ultima considerazione riguarda il rapporto con il territorio. La
possibilità che i CPI evolvano il proprio ruolo verso una funzione
propulsiva di dinamiche positive per la competitività dei territori è
fortemente condizionata dalla loro capacità di agganciare saldamente
gli interventi per l’occupabilità alle politiche di sviluppo locale. In
questa prospettiva, i legami di rete e di cooperazione che i servizi sono
stati in grado di stabilire all’interno della propria area di intervento
rappresentano un fattore di radicamento determinante. Occorre
ricordare infatti come il peculiare modello di governance dei SPI in
146
Toscana, incentrato sulla sussidiarietà, abbia di fatto favorito l’avvio
di relazioni, anche formalizzate, di collaborazione con soggetti che
rivestono un ruolo rilevante nelle politiche di sviluppo e di sostegno
all’occupabilità. Tali reti sono state ampliate anche grazie iniziative
progettuali che in molti casi hanno dato origine a forme di integrazione
divenute in seguito strutturali. Anche la conoscenza approfondita
delle peculiarità dei contesti socio economici di riferimento diviene
essenziale per costruire risposte efficaci e coerenti con le strategie
locali di sviluppo.
Box 4.1
Punti di forza e punti di debolezza del sistema regionale dei SPI
Punti di forza
Affermazione di un modello di governance del mercato del lavoro
fortemente improntato alla sussidiarietà, aspetto questo che ha
consentito di canalizzare all’interno della rete degli SPI soggetti
e competenze importanti per la specializzazione dei servizi
Presenza di realtà locali con culture ed esperienze consolidate
in segmenti di attività e aree funzionali “strategiche” come
l’orientamento e i servizi alle imprese
Crescente interesse da parte di amministrazioni, operatori e
responsabili dei CPI verso l’adozione di strumenti a presidio della
qualità (carta dei servizi, rilevazioni di customer satisfaction,
certificazione)
Presenza al livello regionale di una cornice normativa e
di programmazione che sostiene l’efficacia delle politiche
tramite l’integrazione tra i sistemi dell’istruzione, formazione,
orientamento e del lavoro (L.R. 32/2002 e PIGI 2006-2010)
La necessità di fare fronte alle emergenze occupazionali
connesse alla crisi economica, anche attraverso l’integrazione
più stretta tra politiche attive e passive, ha prodotto un
rafforzamento dei legami di rete e del grado di cooperazione con
soggetti diversi (INPS, Agenzie interinali, sindacati), aspetto che
potrebbe costituire una risorsa importante per lo sviluppo futuro
dei servizi se consolidato e reso strutturale
L’estensione dello strumento dell’appalto ai servizi al lavoro,
(prevista dal PIGI e dal POR Ob. 2) unitamente alla possibilità di
utilizzare il FSE per rafforzare la dotazione di personale (anche
se limitatamente al 2007-2013) può consentire di rivedere alcune
scelte gestionali e superarne alcuni elementi di debolezza emersi
nel passato periodo di programmazione
La diffusione degli strumenti ICT può costituire un’opportunità nel
quadro più generale di definizione di strategie di ottimizzazione
volte ad assicurare la sostenibilità del sistema regionale. In
particolare si richiama l’attenzione sulle potenzialità in termini di
diversificazione delle modalità di erogazione delle informazioni e
dei servizi di prima accoglienza
147
Punti di debolezza
Problemi di discontinuità e frammentazione dei
processi e dei servizi erogati associati alle soluzioni
organizzative e gestionali adottate
Scarsa attrattività dei servizi pubblici per l’impiego nei
confronti delle imprese determinata dal permanere di
pregiudizi e stereotipi e in alcuni casi dalla mancata
definizione di strategie di promozione mirate
Scarsa sistematicità delle attività degli osservatori;
inoltre tranne alcune eccezioni, le analisi sui
fabbisogni di competenze si limitano a rilevare la
domanda delle imprese, con rischi di distorsioni nelle
valutazioni e una ridotta capacità di anticipazione e
dei fenomeni se non adeguatamente sostenute
da un inquadramento strategico e da diagnosi
socioeconomiche di più ampio respiro
Il perdurare della crisi e la conseguente necessità
di concentrare le risorse e servizi per fronteggiare
l’emergenza occupazionale, può determinare
ricadute negative sulla capacità di raggiungere
gli obiettivi posti dal POR Ob. 2 FSE in termini di
sviluppo, qualificazione ed efficacia del sistema
regionale dei SPI
Parte II
Le indagini sugli utenti
5.
I servizi alle imprese81
5.1
Introduzione
Uno degli obiettivi del processo di riforma del sistema pubblico dei
SPI è il miglioramento complessivo del meccanismo allocativo, in
termini di una più ampia e trasparente diffusione delle informazioni
sulle opportunità lavorative, sulle loro caratteristiche oltre che sui
fabbisogni professionali espressi dai mercati locali del lavoro, in
modo da contrastare il problema cruciale delle asimmetrie informative
(l’opacità del mercato del lavoro) e abbandonare la logica collocativa
a favore di un approccio di servizio all’utente-cliente.
In tal senso, il servizio pubblico per l’impiego si configura
quale istituzione dedicata non solo alle esigenze dell’offerta di
lavoro, ovvero di quanti sono alla ricerca di un lavoro (in primo
luogo disoccupati ma anche occupati in cerca di un nuovo impiego),
ma anche necessariamente all’erogazione di servizi a favore della
domanda di lavoro, ossia le imprese che esprimono richieste di
personale (le vacancies).
Come abbiamo già avuto modo di rilevare, in Toscana la
riforma del collocamento, sotto il profilo del decentramento e del
trasferimento delle funzioni, può ritenersi pienamente compiuta;
l’analisi condotta mostra, tuttavia, un sistema di servizi pubblici
per l’impiego ancora fortemente impegnato nell’obiettivo di
consolidare il proprio rapporto con il sistema economico locale,
a partire dalla progettazione dei contenuti e delle modalità di
erogazione di servizi innovativi specificamente rivolti alle imprese.
Se da una parte viene ormai riconosciuto il ruolo dell’utenza
“persona”, del cittadino, che si impegna attivamente “durante tutto
l’arco della vita” e col sostegno del servizio pubblico, a orientarsi
per costruire percorsi di sviluppo educativo e professionale, non
sembra altrettanto maturo il modello di interazione tra servizi
Pur nell’ambito di un lavoro comune a Simona Baldanzi e Germana Berni vanno attribuiti i paragrafi
5.1, 5.2, 5.3, a Francesca Ricci i paragrafi 5.4, 5.5, 5.6, 5.7, 5.8 e a Teresa Savino il paragrafo 5.9.
81
151
pubblici per l’impiego con l’utenza “impresa”. Come evidenziano
gli studi ISFOL di monitoraggio nazionale dei SPI, nei primi anni
successivi alla riforma si è manifestata in tutte le aree del paese
la tendenza a privilegiare un’ottica orientata all’offerta di lavoro,
piuttosto che alle attività destinate specificatamente alla domanda.
Il percorso che si è delineato invece negli ultimi anni82, sembra
essere quello di un ampliamento dell’offerta di servizi al “sistema
imprese”, tale cioè da contemplare, oltre alla preselezione e
all’incontro domanda-offerta, anche l’analisi critica dei fabbisogni
di professionalità, del territorio in funzione delle potenzialità di
sviluppo aziendali, la progettazione di azioni formative e/o di
riqualificazione-riconversione dei lavoratori in contesti di crisi e
di riorganizzazioni aziendali o settoriali (Di Domenico G., 2003).
Nel caso toscano, che peraltro si distingue in ambito nazionale
anche per il grado di maturazione dei servizi rivolti alle imprese,
continua a registrarsi una prevalenza dell’utenza lavoratore rispetto
a quanto avvenga per il versante imprenditoriale (circa delle prese
in carico totali realizzate riguardano aziende); confermando come,
nonostante gli sforzi compiuti, risulti ancora problematica la fase
propositiva, di attivazione di relazioni dirette con i sistemi locali
delle imprese, per rilevarne i fabbisogni professionali, orientando
in maniera più efficace l’attività di incontro tra domanda e
offerta di lavoro. Diventa, dunque, interessante sondare come
il sistema pubblico in alcune realtà toscane ha organizzato e
sta gestendo i servizi alle imprese, come si attiva per far fronte
alle mutate esigenze del mercato del lavoro e risponde ai nuovi
fabbisogni del territorio. Per indagare i fattori di criticità e le
risorse attivabili nella prospettiva di sviluppo e rafforzamento di
questa importante funzione del sistema regionale dei SPI, abbiamo
realizzato un’indagine diretta che si è articolata in tre fasi. Nella
prima si è cercato di indagare direttamente presso i CPI toscani
alcuni aspetti dei servizi rivolti alle aziende, dalle modalità di
raccolta e pubblicizzazione delle offerte di lavoro, alle modalità
di realizzazione dell’incontro tra domanda e offerta di lavoro, alle
attività di promozione dei servizi rivolte alle aziende. La seconda
fase ha rappresentato un approfondimento della prima attraverso
Un’indagine condotta dall’ISFOL nel 2004 mostra che in Lombardia, Piemonte, Veneto, Lazio e Toscana,
le percentuali di attivazione del servizio di marketing per le imprese si attesta oltre il 90%. Con riferimento
all’attivazione di strategie di comunicazione (con piani di azione e relative fonti di finanziamento), l’Emilia
Romagna, la Lombardia, il Veneto, la Toscana e il Molise, registrano le percentuali più elevate, con una
forbice che va dall’85% del Veneto al 100% del Molise. Gilli D. e Landi R., a cura di, Verso il lavoro,
Organizzazione e funzionamento dei servizi pubblici per cittadini e imprese nel mercato del lavoro,
Monitoraggio 2004,“Monografie sul Mercato del lavoro e le politiche per l’impiego”, n. 1/2006, ISFOL .
82
152
la ricostruzione di tre studi di caso relativi a tre province che nel
corso delle fasi precedenti di indagine hanno evidenziato una
maggiore sedimentazione delle esperienze maturate in questo
settore di attività o che hanno fatto intravedere alcune peculiarità
per modalità di gestione, funzionamento e procedure, personale
impiegato e che costituiscono, pertanto, rispetto agli scopi di
questa fase di indagine, una preziosa fonte di informazioni.
Infine, abbiamo ritenuto potesse rappresentare un interessante
obiettivo conoscitivo quello di approfondire la questione relative
alle relazioni tra CPI e imprese attraverso una rilevazione ad hoc ad
un campione estratto dalla banca dati regionali di aziende che negli
ultimi quattro anni si sono rivolte ai CPI, in modo da indagarne: le
caratteristiche, le motivazioni del ricorso al CPI o ad altri canali per
la ricerca del personale, la conoscenza dei servizi offerti dai CPI, il
grado di soddisfazione, valutazioni sul ruolo dei cpi, ecc..
Nei paragrafi successivi vengono presentati i risultati dell’intero
percorso di ricerca.
5.2
I servizi alle imprese: il quadro delle province toscane
Alcuni quesiti del questionario posto alle Province e ai CPI hanno
permesso di ricostruire alcune dimensioni che riguardano più da
vicino i servizi offerti alle imprese. In particolare ci siamo soffermati
da un lato sull’individuazione di quelli che sono i principali servizi
richiesti, con una particolare attenzione alle modalità di svolgimento
dell’attività di preselezione; dall’altro sulle attività di promozione
che i CPI hanno attivato.
In primo luogo abbiamo cercato di capire dove si indirizzasse
maggiormente la richiesta da parte delle imprese che si rivolgono
alle strutture della rete regionale dei SPI. Dalle risposte fornite dai
CPI emerge che tra i servizi richiesti la consulenza e gestione delle
comunicazioni obbligatorie ricorre più frequentemente (per 36
strutture su 45), così come la preselezione (27 su 45). Risulta essere
molto richiesto anche il servizio tirocini (24 su 45).
Vi sono poi attività informative e di tipo consulenziale erogate
relativamente ad alcune aree di interesse delle imprese che
contribuiscono ad accrescere il ricorso ai SPI da parte delle stesse:
il servizio di informazioni e consulenza per sgravi contributivi
e agevolazioni per assunzioni; informazione e consulenza sul
153
reperimento di fondi pubblici per la formazione, dove le richieste
arrivano soprattutto per le strutture di Pisa, Massa Carrara, Lucca
e Circondario Empolese, a fronte di uno scarso interesse rilevato
dai servizi delle province di Firenze, Grosseto, Prato e Pistoia. In
generale l’analisi dei fabbisogni professionali è un servizio poco
richiesto dalle aziende (Graf. 5.1).
Grafico 5.1 Quali dei seguenti servizi le imprese richiedono al CPI/servizio territoriale?
Numero CPI/ST su 45 risposte totali
40
32
24
16
8
Consulenza e Preselezione di
gestione comunic.
personale
obbligatorie
Servizio tirocini
Reperimento
fondi pubb.
formazione
Sgravi contrib.
e agevolazioni
assunzioni
Poco
Per niente
Molto
Abbastanza
Poco
Per niente
Molto
Abbastanza
Poco
Per niente
Molto
Abbastanza
Poco
Per niente
Molto
Abbastanza
Poco
Per niente
Molto
Abbastanza
Poco
Per niente
Molto
Abbastanza
0
Analisi dei
fabbisogni
professionali
Nell’ambito delle servizi rivolti alle imprese un’area di particolare
interesse è costituita dall’attività di preselezione e dalle modalità
con cui questa viene realizzata. In generale l’attività di segnalazione
dei candidati alle imprese evidenzia una larga prevalenza di prassi
connesse all’invio dell’elenco dei candidati (selezionando i nominativi
tra quelli presenti nell‘archivio e tra le autocandidature) con verifica
della rispondenza del curriculum vitae al profilo richiesto (38 su 45)
e con controllo della disponibilità del candidato tramite colloquio
motivazionale/preselezione (29 su 45). Assai più contenuto è invece
il ricorso ad attività di selezione, maggiormente concordate con le
imprese: i colloqui di selezione svolti per conto delle imprese o tenuti
insieme alle imprese sono più rari; fanno eccezione alcune strutture di
Pistoia e Lucca che dichiarano di svolgerli abitualmente (Graf. 5.2).
Un secondo aspetto indagato ha riguardato la realizzazione
o meno di attività di promozione dei servizi offerti da parte dei
CPI. Si tratta di un’attività ampiamente diffusa che ha riguardato
maggiormente l’incontro domanda e offerta di lavoro (presente
in 41 CPI/ST su 45), la consulenza alle imprese (svolta da 41),
l’obbligo formativo (38 casi) e l’orientamento (36).
Grafico 5.2 Come viene svolta l’attività di preselezione?
Numero CPI/ST su 45 risposte totali
40
32
24
16
Invio elenco candidati
con verifica rispondenza
cv-profilo
Controllo della disp.
del candidato tramite
colloquio
Colloqui di selez.
per conto delle imprese
Mai
Raramente
Q.V.
Abitualmente
Mai
Raramente
Q.V.
Abitualmente
Mai
Raramente
Q.V.
Abitualmente
Mai
Raramente
Q.V.
0
Abitualmente
8
Colloqui di selezione
tenuti insieme
alle imprese
I canali maggiormente utilizzati per le attività di promozione
svolte dai centri e dai servizi territoriali sono il sito web (38), il
consulente alle imprese (33), la pubblicazione periodica (30). Il
numero verde, al quale rivolgersi per informazioni sui servizi e
le attività dei servizi al lavoro, è attivo solo per Arezzo, Firenze e
Siena (Graf. 5.3).
Grafico 5.3 Canali utilizzati per le attività di promozione dei servizi
40
30
20
38
33
30
23
22
16
10
12
11
12
0
Sito web Consulente Pubblicazione Spot su Operatore Mediatore
alle imprese periodica radio o tv fasce deboli culturalre
Numero Iniziative di
Altro
verde sensibilizzazione
Già questo primo elemento mette in evidenza come il sistema
regionale si stia dotando di strumenti non routinari e tradizionali
nel rapporto con l’utenza ed in particolare con i datori i lavoro,
utilizzando in molti casi il consulente alle imprese quale figura
dedicata alla promozione delle attività svolte.
La promozione del servizio costituisce un’ulteriore leva a
disposizione della rete regionale degli SPI per potenziare il rapporto
155
con le imprese, sia in termini quantitativi, di ampliamento delle fasce
raggiunte, sia in termini qualitativi, relativamente alla modalità della
percezione dei SPI da parte delle stesse (aspetto che come abbiamo
visto non ha fatto registrare i cambiamenti che ci si attendeva a
seguito della riforma). Come è possibile osservare nel grafico 5.4,
su 45 strutture totali, sono 38 quelle che svolgono, con modalità più
o meno strutturate, attività di promozione presso le imprese. Le due
più diffuse sono anche quelle più distanti tra loro sotto il profilo della
complessità: la prima è rappresentata dalla tipologia più semplice,
che prevede essenzialmente l’utilizzo di materiale cartaceo come
volantini, manifesti e brochure (in 26 strutture è utilizzata molto,
in 10 abbastanza); la seconda invece prevede il ricorso ad una
figura professionale specificamente dedicata, il job promoter (molto
utilizzata in 26 centri, abbastanza utilizzata in 9).
Grafico 5.4 MODALITà SVOLGIMENTO PROMOZIONE PRESSO LE IMPRESE
Numero CPI/ST su 38 risposte totali
30
24
18
12
6
Stampa, radio,
televisione
Internet
Per niente
Poco
Molto
Abbastanza
Poco
Per niente
Molto
Abbastanza
Per niente
Poco
Abbastanza
Molto
Poco
Per niente
Molto
Materiale cartaceo
Abbastanza
Per niente
Poco
Abbastanza
Molto
0
Stipulando accordi Attraverso la figura
con le aziende
del job promoter
5.3
Tre casi di studio
I tre casi di studio presi in esame hanno riguardato i servizi delle
Province di Lucca, Arezzo e Pisa. Le realtà selezionate sono quelle
che nel corso delle fasi precedenti di indagine hanno evidenziato
una maggiore sedimentazione delle esperienze maturate in questo
settore di attività o che hanno fatto intravedere alcune peculiarità
per modalità di gestione, funzionamento e procedure, personale
impiegato e che costituiscono, pertanto, rispetto agli scopi di questa
fase di indagine, una preziosa fonte di informazioni.
156
Per ognuna delle tre Province sono stati intervistati alcuni tra gli
operatori che lavorano a diretto contatto con le imprese e abbiamo
visionato alcuni strumenti utilizzati dal servizio (brochure, carta dei
servizi, customer satisfaction, schede di rilevazione delle imprese,
patto di servizio o particolari studi di analisi dei fabbisogni), che
illustreremo nei prossimi paragrafi prendendo in esame ogni singolo
caso di studio83.
Il primo aspetto che emerge dalle interviste agli operatori è che i
CPI stanno lavorando in maniera sistematica per rafforzare i servizi
rivolti ai datori di lavoro, nella consapevolezza che, affrontando le
difficoltà di assunzione e reperimento del personale e prendendo
in esame l’evoluzione dei fabbisogni del mercato locale, possono
aumentano proporzionalmente le possibilità di successo anche
dei candidati alla ricerca di occupazione. Si comprende pertanto
che, attraverso questi servizi, è possibile non solo coadiuvare le
aziende nel reperimento della forza lavoro, ma anche offrire servizi
al territorio in senso più ampio, un sostegno attivo e partecipato
ai soggetti del tessuto produttivo locale e degli utenti in cerca di
occupazione.
I CPI forniscono i servizi alle aziende e agli utenti. Per gli utenti
facciamo molto, ci diamo un gran da fare. Ma agli utenti dobbiamo
dare informazioni e opportunità che devono arrivare dalle aziende e
se noi non andiamo dalle imprese, non possiamo rispondere neanche
agli utenti. Quello che serve agli utenti sta dentro le aziende.
(operatrice Versilia)
Io sono contentissimo che lei sia qua stamattina, perché vuol dire
che un certo interesse sta nascendo (...) Se le istituzioni riescono
a capire che lavoratori e imprenditori sono tutti sulla stessa barca,
allora avremo dei risultati. Io ho sempre fatto il tifo per i lavoratori,
però bisogna essere razionali, bisogna capire che se noi istituzioni
abbiamo bisogno di mandare a lavorare i nostri disoccupati e
capiamo che li mandiamo a lavorare nelle aziende, bisognerà far
capire a queste aziende che non sono i nostri nemici, ma sono i
nostri collaboratori. Bisogna lavorare ancora visto che ci chiedono
ancora quanto costa la preselezione. Bisogna incidere su questo.
(operatore della Valdichiana)
Per la provincia di Lucca abbiamo intervistato 3 operatrici: due operatrici del gruppo marketing e consulenza
alle imprese (una di Lucca che è anche coordinatrice e responsabile del servizio e una della Versilia) e
un’operatrice del CPI di Lucca. Per la provincia di Arezzo abbiamo intervistato 5 operatori: 4 del gruppo
marketing (la responsabile e coordinatrice del servizio di Arezzo, altri tre operatori di Arezzo, Vadichiana e
Casentino) e una del CPI di Arezzo. Per la provincia di Pisa abbiamo intervistato una responsabile del centro
direzionale, la coordinatrice responsabile del servizio marketing e l’assessore al lavoro.
83
157
Una delle prime difficoltà che gli operatori incontrano nella
comunicazione con le imprese è sicuramente un ostacolo di tipo
conoscitivo e culturale: le aziende non hanno percepito il cambiamento
del servizio pubblico avvenuto con la riforma, vedono ancora i CPI
come autorità di controllo e non come agenzie erogatrici di servizi.
Le aziende, infatti, pur essendo sicuramente sensibili ai benefici legati
all’utilizzo degli strumenti per il sostegno all’inserimento lavorativo
(tirocini, workexperience, ecc.), non hanno mostrato, all’inizio, di
essere disponibili al riconoscimento del CPI come struttura di “servizi
avanzati di qualità” (Gilli e Landi, 2006). Piuttosto, la rappresentazione
più diffusa è quella che identifica i CPI come strutture sostanzialmente
deputate al supporto di utenti riconducibili alle fasce deboli, come le
figure a basso profilo professionale, gli immigrati, lavoratori anziani
o in mobilità, i disabili. Come vedremo più avanti, questa distorta e
parziale conoscenza dei servizi pubblici al lavoro ha spinto le province
ad impegnarsi ancor più attivamente sul marketing per le imprese.
L’insieme dei servizi alle imprese, potenzialmente erogabili dai
singoli centri del sistema pubblico dell’impiego, include sia i servizi di
informazione (di tipo legislativo, su assunzioni, tipologie contrattuali,
mercato del lavoro, formazione professionale), sia quelli di natura più
propriamente consulenziale (ricerca di soluzioni a problemi specifici
e percorsi “personalizzati” di utilizzo di forme di incentivazione). A
questi si devono aggiungere le attività di preselezione dei candidati,
svolte in funzione dell’incontro tra domanda e offerta di lavoro.
Come si è rilevato dalle interviste, uno dei percorsi di avvicinamento
dei CPI alle imprese è quello che prende avvio dall’utilizzo dello
strumento del tirocinio, uno dei servizi più frequentemente attivati
su espressa richiesta delle imprese. Inizialmente, tutte e tre le realtà
considerate hanno fortemente incentivato questo servizio, vista la
facilità di accoglienza che trovava presso le imprese; adesso tuttavia
si avverte la necessità di correggere tale strategia per riportare lo
strumento di tirocinio alle finalità proprie di ingresso e di esperienza
in azienda, al fine di ridurre le possibili distorsioni correlate a
comportamenti opportunistici da parte delle imprese, nell’utilizzo di
questo dispositivo in sostituzione delle assunzioni.
Il servizio tirocinio è andato benissimo, ma è un servizio lanciato,
troppo. Come servizio stiamo cercando di rilanciarlo come intende
il legislatore. Io mi faccio amica dell’impresa, dire no diventa dura.
Ma cerco di aggiustare il tiro, è fondamentale la comunicazione e
far capire loro come si usa questo strumento. (operatrice Pisa)
158
Per promuovere i servizi alle imprese, anche se con tempi e modalità
diverse, le tre Province toscane hanno attivato il servizio di marketing,
prevedendo di uscire dalle proprie strutture ed andare incontro
alle imprese attraverso la visita aziendale84. Questo nuovo modo di
entrare in contatto con le aziende del territorio ha spinto le province a
dotarsi di operatori qualificati, con competenze in comunicazione, in
marketing, conoscenza del mercato del lavoro, dell’organizzazione e
fabbisogni aziendali. La creazione di gruppi di personale qualificato
da dedicare alle imprese ha permesso di rafforzare tutti i servizi dei
centri e soprattutto di incidere sui pregiudizi della maggior parte delle
aziende circa l’adeguatezza delle professionalità da questi possedute.
Gli operatori intervistati riferiscono che spesso le imprese rimangono
colpite delle competenze professionali dei consulenti dei CPI, come
ad esempio: la capacità comunicativa, la capacità di rielaborare
le informazioni raccolte per giungere alla definizione del profilo
professionale richiesto, tenendo conto, al contempo, dei dati complessivi
sul clima organizzativo, delle tipologie contrattuali ed di altri aspetti
di rilievo per la preselezione dei candidati più interessanti. Dalla voce
degli operatori si possono ricavare informazioni interessanti circa
le caratteristiche ritenute necessarie nello svolgimento di funzioni
che, all’interno delle diverse aree di intervento dei CPI, prevedono il
contatto diretto con le imprese:
Una buona capacità di comunicazione, di comprendere i problemi,
i contesti con i quali ci mettiamo in contatto. L’azienda ha una
sua logica, ha i suoi tempi, le sue esigenze e questo deve essere
chiaro. Poi sul piano della formazione, direi umanistica, o anche
economica. Certo conoscere l’organizzazione aziendale, tutti gli
aspetti delle figure aziendali, dei profili e poi i servizi, tutto il mondo
della formazione professionale, come le aziende possono accedere
ai contributi. Poi è chiaro un po’ di esperienza, che può essere sul
campo nelle imprese, sulla selezione del personale, sui processi
formativi. (operatrice Versilia)
Il consulente alle imprese, lo dice un po’ anche la parola, deve avere un
approccio rivolto alle imprese. Chi lavora al CPI ce l’ha, a meno che ci
siano persone in difficoltà a sostenere un approccio più commerciale,
a sostenere una visita aziendale. Tutti gli operatori dei centri sono
consulenti, perché anche all’utente danno consulenze. Alcune
persone sentono questo ruolo tagliato addosso, altri preferiscono di
più rapportarsi solo all’utente. (operatore Arezzo)
Vedremo nei paragrafi successivi, per ogni caso di studio, avvio, sviluppo e modalità di gestione del
servizio.
84
159
Le capacità comunicative sono fondamentali per creare un
buon rapporto con l’impresa, ma anche per strutturare la rete di
collaborazione con i colleghi dei servizi. Inoltre è centrale la funzione
di coordinamento. La figura che coordina il gruppo di marketing e
consulenza alle imprese deve riuscire a integrare funzioni e operatori,
deve consentire la condivisione delle informazioni, deve infine
rafforzare il contenuto dell’intervento, quel pacchetto di servizi che
promuove presso le imprese. Secondo la responsabile di Pisa deve
avere le caratteristiche di un leader soft:
Una buona capacità comunicativa, persone che riadattano il loro
modo di parlare rispetto a chi hanno di fronte. Persone che dal
punto di vista commerciale puro, hanno caratteristiche di spicco.
Poi sui contenuti ci si lavora tranquillamente. Non importa fare dei
corsi di anni, anche perché cambiano così rapidamente le cose in
questo ambito per cui chi era formato prima, poi non lo è più. Buona
capacità di comunicazione, anche con gli operatori interni. Nel career
counseling si chiamano leader soft. Perché questo mestiere tende a
darti un po’ di ego, averne troppo diventa distruttivo. Quindi un leader
soft è che magari non lo faccia notare, ma che faccia venire fuori
delle cose (...). Ci vogliono persone che hanno la capacità di mettersi
in discussione. Bisogna vedersi allo specchio, persone capaci di
auto-orientarsi. Per una buona comunicazione esterna bisogna essere
in grado di fare bene all’interno. Se non riesci in questo fallisci
dopo tre giorni. Un buon commerciale fa un lifting garbato, ecco
o soft o garbato. Garbato perché occorre non fare finta, perché poi
promuovere cose che non ho è deleterio. (operatrice Pisa)
Gli operatori delle tre province analizzate dichiarano di riscontrare
non tanto carenze di personale in termini di livello e qualità di
competenze, semmai dal punto di vista numerico con ricadute sui
servizi in generale. Le pressioni determinate dall’aumento del carico
di lavoro in concomitanza dell’attuale fase di crisi occupazionale
rischiano infatti di limitare la capacità di intervento anche sul versante
dei servizi alle imprese. Gli operatori che svolgono le visite aziendali
per promuovere i servizi si sono trovati a dover ridurre l’attività, perché
altrimenti non si sarebbero potuti soddisfare in modo adeguato i bisogni
delle imprese. Se non si è in grado di assicurare continuità nei servizi e
tempestività nelle risposte, il rischio è quello di distruggere il capitale
di fiducia costruito faticosamente attraverso il lavoro degli operatori
alla base della rete. Inoltre, anche in questo momento di forte difficoltà
per le aziende, si continua a considerare fondamentale lo sviluppo dei
contatti e degli interventi per il sistema produttivo locale.
160
Si rientra nelle carenze generali di personale, se in un centro sono
andate in pensione una o due persone senza essere sostituite è chiaro
che il carico per chi rimane è aumentato. Questo poi ricade sul
lavoro del gruppo imprese che riescono a ritagliarsi meno tempo.
Noi non avremmo problemi di personale qualificato: lo abbiamo
in casa fortunatamente, persone formate con il tempo. Risentiamo
in generale della pianta organica. Eravamo intorno a 25.000
disoccupati, ora siamo intorno a 32.000. (operatrice Arezzo)
La carenza numerica c’è. Io mi devo arrestare perché non sono in
grado (...) mi chiedo tutti i giorni cosa vogliono fare di questi servizi.
Hanno verificato che i servizi danno dei risultati, ora non basta più
monitorare, ora bisogna intervenire. (operatrice Pisa)
Io credo che sia utile il nostro lavoro anche in questa fase di crisi
perché tanti strumenti le aziende non li conoscono, anche la CIG in
deroga stessa. Quindi qualcuno che va lì a fare consulenza è utile. Io
non vedo l’attività di marketing come attività finalizzata a lasciare
la brochure e arrivederci, ma a creare un rapporto con l’azienda, da
sviluppare e poi mantenere. Però è vero che ora andare in azienda è
difficile perché l’impresa ti chiede cosa fa la Provincia o cosa fa la
Regione e risposte non ce ne sono. (operatrice Lucca)
Alla Regione Toscana, oltre le carenze segnalate, non si
pone una particolare richiesta di regia o di coordinamento sul
personale impiegato nei centri dell’impiego, poiché si rivendica
l’autonomia decisionale e gestionale del livello provinciale. Si
richiede invece, pur tenendo conto delle differenze e peculiarità dei
territori, un supporto allo sviluppo di strumenti e attività ritenuti
essenziali per l’operatività e per rafforzare l’integrazione degli
SPI: la formazione degli operatori, il perfezionamento del sistema
informativo, elaborazione e condivisione di sistemi di descrizione
delle competenze che facilitino l’interazione con le imprese nella
definizione dei loro fabbisogni professionali.
Poi ci vorrebbe qualcuno che si occupasse di IDOL, degli strumenti
utili a questo. La Regione stessa ci chiede dati che non ci mette in
grado di estrapolare, mettendoci in difficoltà. È inutile che mi si
chieda su una tipologia di utenti quante volte fa una cosa, se non ho
gli strumenti per farlo. In queste condizioni poi, un esperto statistico
diventa un optional e quindi è un problema. (operatrice Lucca)
Credo che su come fare le attività debba essere lasciata autonomia.
Quello su cui la Regione Toscana può venirci incontro è lo strumento
161
da utilizzare, gli strumenti informatici. Noi su IDOL abbiamo
un’interfaccia che non ci consente appieno, di registrare. Spesso
inseriamo i dati, ma non riusciamo a estrarli, non riusciamo ad
avere la chiave di lettura di cui abbiamo bisogno. Ma sono necessari
anche strumenti che ci aiutino a parlare con le aziende lo stesso
linguaggio, quindi la mappatura delle figure professionali. Il lavoro
che stavamo facendo, lo studio analitico delle competenze specifiche
del processo produttivo (…) si potrebbe trasferire a livello regionale,
(…) per avere una decina di figure professionali, magari facendosi
aiutare dall’osservatorio per indagare quelle aziende che sono più
aggiornate, che hanno più innovazione tecnologica, per individuare
quelle figure (operatrice Arezzo)
Per quanto riguarda lo strumento della customer satisfaction per
le imprese, gli operatori delle tre province ritengono che la Regione
Toscana dovrebbe dare indicazioni sulle questioni comuni a tutti,
lasciando poi la necessaria flessibilità per indagare aspetti inerenti a
specifiche caratteristiche dei contesti locali.
La Regione potrebbe dare delle indicazioni, ma poi dovrebbero essere
consentite domande ad hoc sui vari territori, il che comporterebbe
fare dei questionari lunghissimi e complessi che l’azienda poi non
vuole compilare. (operatrice Lucca)
Le customer sono strumenti che abbiamo raffinato con l’osservatorio
del mercato del lavoro. Credo che su questo non abbiamo grosso
bisogno di aiuto dalla Regione. Chiediamo un aiuto esterno quando
abbiamo bisogno di rilevazioni CATI su cose specifiche, su utenti
che hanno ricevuto un’attività formativa, ecc., ma è proprio una
cosa operativa che sennò ci porta via tempo. (operatrice Arezzo)
Un’altra questione prioritaria, comune ai tre casi di studio,
che costituisce un potenziale ambito di intervento per l’azione di
coodinamento regionale, riguarda il rafforzamento dei legami fra
attività dell’osservatorio del mercato del lavoro e i servizi erogati
alle imprese. Se gli osservatori funzionano in modo soddisfacente nel
supportare l’operatività dei servizi tramite ad esempio le rilevazioni
dei fabbisogni professionali o, come nel caso delle customer
satisfaction, nel sostenerne il monitoraggio della qualità, molto più
sfumato appare l’apporto da questi fornito ai processi di innovazione
dei servizi e al potenziamento delle capacità di diagnosi del contesto
e di anticipazione dei cambiamenti. Vengono inoltre evidenziati
alcuni limiti che gli intervistati riconducono essenzialmente al
162
mancato coinvolgimento degli operatori dei servizi alle imprese
nel processo di definizione degli obiettivi e priorità di intervento, a
partire dalle risultanze delle analisi degli osservatori.
L’osservatorio del mercato del lavoro dovrebbe avere due obiettivi,
uno è il monitoraggio e uno è precorrere i tempi, deve essere avanti
al servizio lavoro e al gruppo imprese. L’osservatorio è nato intorno
al 1984-85. Devo dire, per quanto so io, senza troppi risultati. In
questo settore forse delle linee guida servirebbero, pur mantenendo
l’autonomia. La partita si gioca su questi tre anelli: osservatorioformazione-servizi. (operatore della Valdichiana)
L’organo politico e dirigenziale fa la programmazione, dopo
ci vengono passate le direttive. Non entriamo in rapporto con
l’osservatorio, dobbiamo recepire gli obiettivi. Siamo le braccia e
non le menti. (operatrice Lucca)
Per il funzionamento e il potenziamento dei servizi alle imprese
per tutte e tre le province viene data centralità alla capacità di
fare rete nel territorio di riferimento. La rete stabilita con le
associazioni di categoria, sindacati, consulenti del lavoro, agenzie
internali, ecc. appare ben strutturata in tutte e tre le province. Le
relazioni con questi soggetti sono importanti perché consentono
di diffondere maggiormente le informazioni, di costruire sinergie
e ampliare il raggio di intervento. Tuttavia è fondamentale che la
gestione del rapporto tra CPI e imprenditoria locale non sia lasciata
esclusivamente agli intermediari. La rete infatti può contenere al suo
interno nodi non informati in merito ad alcuni aspetti, determinando
asimmetrie e distorsioni nella comunicazione.
Se la rete funzionasse, come quella dei consulenti del lavoro, delle
associazioni datoriali, io sarei la donna più fortunata. Il consulente
ti guarda con sospetto e ti chiede, perché siete andati dal mio
cliente? In realtà gli potresti chiedere: perché non lo stai facendo tu?
L’informazione ancora non passa. I loro multiservice hanno grandi
limiti. Negli studi più grandi dovrei trovare un consulente del lavoro,
un commercialista, un avvocato. Quando l’impresa entra in un polo
del genere ne deve uscire con l’informazione a tutto tondo. Se invece
va dal primo, poi dal secondo, poi viene mandata da un altro, diventa
una cosa difficile. Perché l’impresa non può sapere tutto. Dentro a
un cerchio con tutte queste figure ci starebbe una figura tipo la mia,
in un sistema strutturato (...), pur con i limiti del pubblico impiego.
I rapporti sono costanti, sono anche persone disponibilissime, ma ti
dicono: non ce la faccio a comunicare tutto. (operatrice Pisa)
163
Si cerca dunque di allargare la cerchia delle collaborazioni e
interazioni sul territorio, privilegiando il canale diretto con le imprese o
la rete fra imprese e, laddove esistono difficoltà legate ai fraintendimenti
sul ruolo di ciascun soggetto, investendo sulla comunicazione poiché,
come riconoscono tutti gli operatori intervistati, in questo settore c’è
spazio, opportunità e lavoro per tutti.
Fra impresa e impresa il passaparola avviene con molta più rapidità
e sicuramente quando l’ente offre finanziamenti. Se l’ente organizza
il convegno e ci sono i soldi, le imprese vengono e fanno rete fra di
loro. (operatrice Pisa)
Sarei più per la direzione di lavorare sul campo, perché talvolta
le altre strutture di riferimento possono essere dei filtri. Ci sono
delle aziende, poi, che non gradiscono presentarsi col cappello
dell’associazione. Forse sono utili come canale di approccio, ma poi
meglio sganciarsi. Anche perché l’associazione di categoria ha i suoi
obiettivi da perseguire con i propri associati.(operatrice Lucca)
Penso che la collaborazione di tutti sia la condizione ideale (...).
In questo settore c’è spazio per tutti (...) anche perché noi siamo i
consulenti dei consulenti. Anche qui bisognerebbe investire un po’
di più sulla comunicazione interattiva sul territorio. (operatore della
Valdichiana)
Infine, relativamente alle prospettive future, tutti gli intervistati
ritengono plausibile uno scenario in cui il ruolo dei servizi alle
imprese possa estendersi progressivamente verso funzioni di
animazione dello sviluppo locale, a condizione però che si investa
per potenziare molteplici aspetti: la formazione, la capacità di
comprendere le esigenze delle aziende e del mercato, la diffusione
della cultura del servizio pubblico, la capacità dei sistemi informativi
di supportare i processi decisionali.
In un’ottica di ottimismo, sperando che cambi la situazione,
sicuramente da migliorare è la formazione degli operatori, devi essere
sempre aggiornato. E poi, ma qui deve decidere la Regione, se la
funzione delle visite aziendali è considerata utile e come svilupparla. I
Servizi si possono anche modificare, promuovere l’offerta formativa,
rilevare i profili professionali richiesti, con le schede noi lo facciamo,
ma se poi non ci sono fondi per fare formazione e dare risposte rimane
fine a se stessa. Potrebbe sì essere un agente di sviluppo sui vari aspetti
del territorio, ma occorre investirci. (operatrice Lucca)
164
Il nostro gruppo è un punto di forza, come il fatto di essere dentro
il territorio, di non farcelo raccontare. C’è il contatto diretto e si
mettono in relazione i servizi e la comunicazione interna, con
quella esterna di contatto e di rapporto con le imprese. Per il futuro
ci vogliono servizi aggiornati con la realtà, con le reali esigenze
aziendali. (operatrice Arezzo)
Tutti i dati in nostro possesso, la banca dati, le informazioni
aggiornate sul momento, secondo me non sono sfruttati al meglio
per la programmazione. Anche perché a volte si fanno delle cose
che sono in controtendenza. Se i dati li si sa leggere bene si aggiusta
meglio la programmazione. Leggendo i programmi dei comuni, della
comunità montana, degli enti, ti rendi conto che quello che abbiamo
noi fra le mani non viene letto a modo. Va promosso culturalmente
il valore della banca dati. (operatore della Valdichiana)
Il ruolo del pubblico ci dovrà essere. Se gli si toglie questo ruolo,
ci si addentra nella giungla. Lo si è visto anche con l’interinale
cosa è successo, che ci sia rete e tutto quanto siamo d’accordo, ma
ognuno col proprio ruolo, che è fondamentale. Il pubblico impiego
ha almeno la caratteristica di volontà di trasparenza, con tutti i suoi
difetti, ma almeno con le imprese ti dico questi sono i finanziamenti
con queste regole, c’è un’evidenza pubblica (...). Per veicolare la
cultura e fare agente di sviluppo è necessaria una certa capacità, una
certa struttura. (operatore Pisa)
•• Il caso della Provincia di Lucca
Storia del servizio e caratteristiche della gestione
I primi passi del servizio alle imprese si muovono intorno al 2003,
su impulso del responsabile del CPI di Lucca il quale, anche grazie
al bagaglio di esperienze maturate nel settore privato dell’incontro
domanda e offerta di lavoro, aveva manifestato sin dall’inizio un
forte orientamento allo sviluppo dell’offerta di servizi alle imprese.
Contestualmente l’amministrazione provinciale inizia a dare indicazioni
per avviare un percorso di costruzione di rapporti di collaborazione
al fine di attivare possibili sinergie fra servizi pubblici e imprese.
Man mano che l’esperienza comincia a maturare -inizialmente in
un singolo centro e in forma sporadica, poi con modalità sempre più
strutturate- ci si rende conto che la cooperazione tra imprese e SPI può
rappresentare un fattore strategico per incidere con maggior efficacia
sulle dinamiche tra domanda e offerta di lavoro.
Una delle esigenze prioritarie è stata quella di assicurare una
gestione unitaria e servizi omogenei in tutti i centri, obiettivo che,
165
come vedremo più avanti questa realtà continua tuttora a presidiare
attraverso la certificazione di qualità.
All’inizio molto stava nell’organizzazione del CPI. Magari
una persona andava a promuovere il servizio solo per l’obbligo
formativo, oppure solo per il tirocinio, oppure solo per l’incontro
domanda e offerta e invece dopo è stato gestito in modo unitario.
(operatrice di Lucca)
(…) tutti noi che ci lavoravamo, ci rendevamo conto che
avvicinando le imprese ai CPI riuscivamo a incidere. (…) L’idea è
stata: facciamo un passo noi, veniamo nelle aziende, vi veniamo a
dire come funziona e iniziamo a collaborare insieme.
Il servizio alle imprese viene formalmente istituito quando nel
primo semestre del 2008, con la gara di appalto della gestione dei
servizi del lavoro della Provincia di Lucca, vengono espressamente
richieste anche figure professionali con competenze di marketing
aziendale. Nelle more dell’aggiudicazione del servizio, la gestione
viene affidata, per un periodo di sei mesi, ad una cooperativa;
poi, dal luglio 2008, all’ATI vincitrice (composta, tra gli altri,
dall’Associazione degli industriali di Lucca) cui si affida la gestione
del servizio incontro domanda offerta, ivi inclusi la promozione
e i servizi rivolti alle imprese. Va poi rilevato che, al momento
dell’intervista, la provincia stava introducendo ulteriori modifiche
all’assetto del servizio, prevedendo di sostituire la modalità
dell’appalto (in scadenza a dicembre 2009) con una gestione
internalizzata. A questo scopo è stato pubblicato un avviso per la
formazione di una graduatoria da cui attingere per l’assunzione
di personale qualificato, tramite contratto a tempo determinato.
Quest’ultima evoluzione sembra peraltro confermare una tendenza
nazionale che vede le province affidare tale attività a personale
esperto interno85.
La provincia ha affidato ad un gruppo di quattro persone la
gestione dei servizi alle imprese dei tre centri di Lucca, Viareggio e
Valle del Serchio. Mediamente, per lo svolgimento di questa attività,
sono impiegate otto ore settimanali, rispettivamente per il centro di
Lucca e per quello di Viareggio, quattro invece per il centro della
Valle del Serchio.
85
Sono soltanto 10, su 529 censiti, i CPI che affidano tale attività a strutture esterne al Centro stesso, con
una percentuale bassissima che non arriva neanche al 2%. Si tratta di un dato sostanzialmente positivo, in
considerazione del fatto di come, in questi anni, siano sempre più numerose le Province che dispongono
di personale esperto dedicato a tali compiti (Gilli e Landi, 2006).
166
Le due operatrici intervistate provenienti, l’una dal centro
di Lucca e l’altra da quello di Viareggio, possiedono un’elevata
specializzazione, in parte derivante da precedenti esperienze
lavorative che le hanno portate a stretto contatto con il mondo
delle imprese:
Per diversi anni ho lavorato per una società di ricerca e selezione
del personale che faceva capo ad Adecco. Noi ci occupavamo solo
di profili professionali di un certo tipo, che si chiamano “middle
management” (…). Quindi conosco le logiche della selezione
e del lavoro interinale. Ho lasciato questa società dopo diversi
anni perché ho avuto questa possibilità di lavorare con il CPI di
Lucca e di continuare a fare consulenza alle imprese nell’ambito
della selezione, promozione, valutazione delle competenze ecc.
(operatrice Lucca e coordinamento del servizio)
Con le aziende ho sempre avuto a che fare perché mi sono sempre
occupata di organizzazione di tirocini aziendali per diverse
categorie di soggetti, soggetti svantaggiati, in obbligo formativo,
ai laureati. Lavoro da 11 anni in questo ambito, quindi ho sempre
avuto rapporti con le aziende e, conoscendo i responsabili aziendali,
il discorso poi sempre si sviluppava in altri ambiti oltre al tirocinio.
La mia esperienza dentro i CPI nasce in questo modo. Prima ancora
lavoravo in azienda nell’ambito del commerciale o nell’ambito
della comunicazione in un’azienda a Milano, quindi il mondo delle
imprese lo conosco da molti anni, lo conosco anche dal dentro, dai
problemi, alle aspettative, alla cultura. (operatrice Viareggio)
Gli altri due operatori del gruppo, come ci riferiscono le stesse
intervistate, hanno maturato un’esperienza di natura complementare,
nell’ambito del sociale o all’interno di altri segmenti di attività dei
CPI: obbligo formativo, inserimenti socio-lavorativi, sostegno ai
soggetti svantaggiati. Va anche detto che gli operatori di questo
gruppo non si occupano esclusivamente del servizio imprese, ma
sono impiegati anche nelle altre aree funzionali dei CPI. Nonostante
i rischi di sovraccarico per gli operatori, questo doppio ruolo
comporta una ricchezza di informazioni e la conoscenza completa
dei servizi, fattori questi che costituiscono una risorsa preziosa nello
svolgimento delle attività di promozione.
Strategie di comunicazione e contenuto dei servizi
Per l’attività di promozione il primo contatto avviene telefonicamente.
Durante il colloquio telefonico gli operatori cercano di far capire
167
alle imprese il motivo per cui il servizio pubblico le sta contattando
e i vantaggi che possono trarre da un incontro con gli operatori.
La strategia comunicativa cambia in base alle caratteristiche delle
imprese: dimensione, settori prevalenti, ecc.. Anche in questo caso il
successo di queste azioni è fortemente condizionato dalla possibilità
di disporre di figure professionali capaci di coniugare competenze
relazionali e di comunicazione con le conoscenze contestuali.
La prima cosa è il contatto telefonico. L’azienda disponibile non
la troviamo sempre e comunque. Si cercano le disponibilità,
bisogna fare capire perché le cerchiamo, quali opportunità, quali
sono i servizi, perché darci un appuntamento. E poi, ovviamente,
facciamo una distinzione per aziende, per territori (…) in Versilia
abbiamo diversi settori, ma non andiamo oltre i 250 dipendenti
per quelle più grandi. I settori prevalenti sono la cantieristica da
diporto, il lapideo, poi tutto l’indotto dell’elettrotecnica, elettronica,
falegnameria, carpenteria, poi c’è qualcosa dell’industria alimentare
e il floro-vivaismo e poi, l’ho lasciato per ultimo, ma è il primo, il
turismo, che assorbe la maggior parte degli addetti in tutti gli ambiti,
alberghi, ristorazione… (operatrice Versilia)
Lucca ha poche aziende medio-grandi, multinazionali, poi ci sono le
aziende medio-piccole. Sono aziende che operano nel settore cartiario,
industriale, e qualcuna nel settore dei servizi. Poi c’è tutto l’indotto
della meccanica, degli artigiani. C’è qualcosa anche nell’ambito
calzaturiero, ma sono anni che è in declino e con quest’ultima crisi…
(operatrice Lucca e coordinamento del servizio)
Spesso le imprese più grandi hanno al loro interno uffici del
personale che conoscono già i servizi; in questi casi l’approccio
è diretto ed è più facile ottenere un appuntamento. Una strategia
adottata con successo dagli operatori per comunicare con imprese
di grandi dimensioni è quella di svolgere la visita insieme al
responsabile del CPI.
Di contro, le imprese piccole raramente conoscono i servizi
e si affidano ai consulenti del lavoro. In questi casi si cerca il
contatto con queste figure intermediarie, modulando diversamente
il registro comunicativo.
Se contattiamo aziende strutturate, con un ufficio del personale sono
contatti più agevoli, perché sanno chi siamo, magari conoscono
proprio gli operatori, quindi occorre solo fissare l’appuntamento.
Per le aziende piccole è il consulente del lavoro che svolge tutta la
168
parte amministrativa e che ha i contatti con il CPI e lì ci dobbiamo
lavorare un po’. (…) Poi facciamo visite anche presso i consulenti
del lavoro e quindi è diverso, c’è la comprensione del problema, la
conoscenza più ampia delle cose. (operatrice Versilia)
Poi dal punto di vista di chi va a fare le visite, su Lucca spesso
viene anche il responsabile del CPI, che dà un supporto formale,
perché un direttore del personale apprezza il fatto che portiamo un
pari responsabile del CPI. (operatrice Lucca e coordinamento del
servizio)
Il primo contatto telefonico è decisivo anche per strutturare
l’eventuale visita aziendale fissata e condiziona la strategia di
intervento da adottare. In funzione dei temi emersi durante la
telefonata, delle esigenze avvertite da parte delle imprese, gli
operatori promuoveranno maggiormente quei servizi ritenuti idonei
a soddisfare i bisogni rilevati. Gli operatori, inoltre, provvedono
ad illustrare le opportunità offerte da progetti di specifico interesse
per l’impresa eventualmente attivati sul territorio. In altri casi
invece è proprio dalle esigenze stesse delle imprese che nascono
progetti specifici che vanno ad ampliare il ventaglio dei servizi
offerti, come nel caso di Pro-attivamente, un servizio sostenuto
dalla provincia e realizzato dai CPI, cui le imprese ricorrono per
il ricollocamento dei lavoratori posti in mobilità.
Quando ci sono progetti specifici, come “PARI”, li promuoviamo; a
Lucca c’è stato ci sono stati incentivi all’assunzione per apprendisti
e li abbiamo promossi. Abbiamo le work-experience per particolari
categorie: disabili, svantaggiati, ecc.. Poi avevamo pensato di
portare avanti un progetto per collocare soggetti in mobilità, una
sorta di outplacement realizzato dai CPI. La provincia ha recepito e
si chiama Pro-attivamente. A volte le aziende dicono: come faccio
con i miei dipendenti in mobilità? O in cassaintegrazione? Voi come
mi potete aiutare? Da qui l’idea di proporre questo servizio per
ricollocare le persone in fuoriuscita dalle imprese. (operatrice Lucca
e coordinamento del servizio)
La certificazione di qualità ha rappresentato per questa realtà
un’occasione importante per rendere più omogenei i processi,
attraverso la descrizione e formalizzazione delle procedure e
delle attività svolte all’interno dei servizi della rete provinciale.
Più sfumati invece appaiono i riscontri ottenuti sul versante delle
imprese anche in ragione del permanere di una scarsa conoscenza
169
e sensibilità da parte di quest’ultime relativamente al tema della
qualità dei servizi pubblici.
Per il momento abbiamo proceduralizzato e quindi cercato di
uniformare l’intervento nei CPI. Poi, per alcune aziende dire che
ci stiamo certificando in qualità ha un senso perché sanno cosa
vuol dire, le implicazioni e quindi dà prestigio, ma per altre no.
Quindi direi che non ha inciso più di tanto. (operatrice Lucca e
coordinamento del servizio)
Il segmento di attività costituito dalle visite aziendali viene
descritto attraverso una scheda identificativa di processo, da cui si
evincono finalità e strumenti utilizzati, e da un diagramma di flusso
che illustra le tappe della visita aziendale. Entrambi i dispositivi
sono riportati nel box 5.1 e nello schema 5.5.
Box 5.1
Scheda identificativa di processo del servizio visite aziendali
Il servizio visite aziendali è stato introdotto dall’Amministrazione Provinciale come servizio
sperimentale ed innovativo che persegue un obiettivo: da un lato promuovere i servizi
offerti dai CPI alle aziende del territorio e dall’altro aumentare il pacchetto di opportunità
professionali o di formazione da offrire agli utenti dei CPI. In particolare, quindi, la visita può
essere finalizzata a:
- presentare i Servizi dei CPI (ad es. presentare un progetto/bando specifico);
- raccogliere una richiesta di personale/stage;
- fornire consulenza (ad es. in materia amministrativa) e/o supportare il Responsabile
Risorse Umane/Imprenditore nell’attività di reclutamento e screening dei Curricula e/o
affiancarlo nella conduzione di colloqui di selezione.
I fabbisogni emersi nel corso della visita vengono riportati dall’Operatore del Servizio su un
apposito modello denominato “M 1.2.1 Questionario di rilevazione fabbisogni di personale”
e condiviso con gli operatori dei servizi interessati.
Qualora emergano dei fabbisogni di personale/stage il Consulente provvede a compilare
con il referente il modello di richiesta personale/stage che poi condividerà con gli operatori
dei servizi interessati.
Gli strumenti a supporto di tale attività sono:
- Informativa alle aziende.
- Questionario rilevazione fabbisogni di personale.
- Modello disponibilità azienda (per tirocini).
- Circolare per inserimenti in IDOL.
- Brochure del CPI e materiale informativo.
170
Schema 5.5 Diagramma di flusso delle visite aziendali
Fasi/Azioni
Programmazione attività
Azienda
Consulente CPI
input
input
Note:
L’Operatore del Servizio, in accordo
con il responsabile del CPI, effettua
una programmazione sistematica
utilizzando la banca dati azienda,
integrandola con i contatti diretti
derivanti dalle aziende
Contatto telefonico per fissare
un appuntamento
Visita aziendale. Utilizzo Questionario
di rilevazione fabbisogni, informativa
alle aziende, brochure e materiale
informativo
Visita aziendale
Eventuale richiesta di
personale/stage
Compilazione Modulo di richiesta
personale
Conclusione visita con
consegna materiale informativo
Presa in carico. Registrazione visita
aziendale su IDOL. Rilascio. Contatto
con altri processi (SAL, incontro
domanda offerta di lavoro, stage, ecc.)
a seconda degli esiti della visita
Registrazione attività
Data la tradizione di contatti con le imprese, che ha caratterizzato
sin dall’inizio il rapporto dei CPI con il territorio, gli operatori non
hanno incontrato grosse difficoltà ad incrementare il numero delle
aziende raggiunte dal servizio. In Versilia, inizialmente, la strategia
adottata è stata quella di entrare in contatto con grandi aziende nei
settori decisivi del territorio, poi è stato scelto di dare priorità alle
aziende collocate in territori marginali a nord dell’area di riferimento
come Serravezza, Pietrasanta e Querceta, distanti dai CPI e quindi
con minor conoscenza dei servizi offerti.
A detta degli intervistati, le imprese, una volta superato lo scoglio
del primo contatto, sono gratificate dall’interesse manifestato nei
loro confronti dal servizio pubblico e sono piacevolmente sorprese
di constatare la gratuità della consulenza e dei servizi.
In generale trovo che alle aziende piace l’idea di vedere una struttura
pubblica con questa apertura, questa disponibilità ad andare sul
territorio, a dialogare con loro. Questa è la prima cosa che piace,
magari ci vuole un po’ per entrarci, ma poi piace, interessa.
(operatrice Viareggio)
La soddisfazione più grande nelle visite è che alla domanda “quanto
costa?” tu rispondi “nulla” e loro rimangono piacevolmente sorpresi.
171
Poi è chiaro che a quello che dici deve corrispondere un servizio che
in termini di efficacia ed efficienza risponde, altrimenti i discorsi
lasciano il tempo che trovano. Complessivamente su Lucca e provincia
lavoriamo bene sulle imprese, abbiamo risultati incoraggianti.
(operatrice Lucca e coordinamento del servizio)
Relativamente alle attività e ai servizi che si collocano a valle
della fase di promozione e di primo contatto con le aziende, uno
degli aspetti di criticità è rappresentato dalle difficoltà incontrate
dagli operatori nel soddisfare la richiesta di alti profili professionali e
di qualifiche ad elevata specializzazione proveniente, in particolare,
dalle imprese di grandi dimensioni. Questo tipo di utenza nella
ricerca di un’occupazione, raramente transita nei CPI, optando
evidentemente per canali maggiormente specializzati rispetto a
quelli offerti dal servizio pubblico.
Negli ultimi anni abbiamo lavorato per alzare il livello dei profili,
perché è vero che l’utente che abbiamo è il disoccupato, ma possiamo
avere anche l’occupato che vuole cambiare lavoro. Un’azienda
grande ti mette alla prova, ti valuta anche su questo (…) questi
utenti non si rivolgono a noi per il proprio lavoro e a volte queste
persone vengono contattate tramite strumenti che non sono tipici di
un CPI. Così come siamo in difficoltà per figure molto specializzate,
il manutentore elettromeccanico ad esempio nonostante la crisi è una
figura richiesta. Nella nostra banca dati candidature di questo tipo
non ne abbiamo tantissime, quindi va fatto anche un investimento
sulla formazione professionale. (operatrice Lucca e coordinamento
del servizio)
Un’altra questione importante è costituita dall’esigenza di
responsabilizzare le imprese nella costruzione di un rapporto virtuoso
di impegno reciproco e nella restituzione di feedback informativi,
circa gli esiti dei servizi forniti, in un’ottica di partecipazione attiva
al miglioramento dell’efficacia e della qualità dei servizi presenti in
un territorio.
Poi bisognerebbe monitorare i risultati delle selezioni che svolgono
le aziende, tornare e chiedere -chi ti abbiamo mandato come è
andato? Chi avete preso?- ad oggi risulta ancora difficile da fare (…)
dovremmo riuscirci perché è un cambiamento culturale sulle imprese,
perché se si rivolgono alle agenzie interinali lo devono comunicare il
nome, sennò non parte neanche il contratto. Quindi sensibilizzarle su
questo. (operatrice Lucca e coordinamento del servizio)
172
Il tema della fiducia e della collaborazione con le aziende rimane
dunque centrale per gli operatori. Una rete solida di relazioni con le
imprese è considerato una risorsa strategica per l’efficacia dei servizi
a sostegno dell’occupabilità, in particolare nell’ambito di percorsi di
inserimento lavorativo rivolti alle categorie di utenza più deboli. In
questa prospettiva l’impegno del servizio pubblico deve mirare alla
fidelizzazione al servizio, investendo per assicurare le condizioni
necessarie (in termini di personale, servizi, risorse e strumenti) alla
continuità dei contatti stabiliti con le imprese.
Il problema è che siamo andati dalle imprese a dire come siamo
diventati bravi, ma se devi fidelizzare un’impresa, per creare una rete
non puoi interrompere perché ti sono stati tolti gli strumenti, anche
perché perdi opportunità. Faccio un esempio. Avevamo un’impresa
fidelizzata, per la quale avevamo gestito una preselezione. Quando
abbiamo proposto una persona che rientrava nelle categorie
svantaggiate, non abbiamo avuto problemi. Ma questo rapporto va
mantenuto, va coltivato (…). Abbiamo l’azienda che non vuole una
lista di 50 curriculum, vogliono curriculum con persone già in linea. In
alcuni casi abbiamo fatto colloqui in affiancamento o ai CPI o presso
le imprese. Se ci fossero risorse questo servizio andrebbe ampliato.
(operatrice Lucca e coordinamento del servizio)
•• Il caso della Provincia di Arezzo
Storia del servizio e caratteristiche della gestione
Fin dal 2001 erano presenti nei servizi della Provincia di Arezzo
operatori addetti all’accoglienza delle imprese (1-2 per ogni centro)
e alla realizzazione dei servizi connessi alla ricerca del personale:
offerte dirette, preselezioni, offerte in chiaro. Dal 2004 il servizio
si struttura maggiormente attraverso la costituzione di un gruppo
di lavoro appositamente dedicato. Il primo segno di discontinuità
rispetto all’approccio precedente è che il servizio esce dalle sedi dei
CPI, per aprirsi al territorio, andando direttamente nelle imprese per
promuovere le opportunità offerte. A differenza del caso di Lucca, in
questa provincia il servizio ha preso avvio pressoché contestualmente
su tutta la rete territoriale, sulla spinta di un incontro promosso
dagli stessi operatori. Anche in questo caso l’interesse e il tipo di
approccio culturale che muove i soggetti promotori, trae origine
da esperienze pregresse di lavoro a stretto contatto con le imprese,
nel caso specifico, svolte all’interno del settore della formazione.
Nonostante le perplessità iniziali, il gruppo imprese viene costituito,
utilizzando personale dipendente della provincia e riuscendo ad
173
assicurare la copertura delle rete provinciale con la presenza di 2-3
operatori per ciascun servizio territoriale.
La riunione iniziale fu fatta per iniziativa degli operatori. Ci furono
delle resistenze prima di avviare questo processo. Mi ricordo la
domanda: come facciamo ad arrivare a 40.000 imprese sul territorio
di Arezzo? Nel 2004 la Provincia era ancora vista come organo di
vigilanza, di sanzioni. Noi invece che venivamo dalla formazione
avevamo avuto il contatto con le aziende. Per cambiare la mentalità
da organo di vigilanza a struttura che va incontro all’impresa, ci
rendemmo conto che era opportuno attivare questo servizio. Anche
perché il lavoro viene dalle imprese, quindi è importante stabilire
un contatto con loro. Nonostante le resistenze siamo partiti con
questo gruppo ricavato all’interno del personale della provincia.
(responsabile Valdichiana)
Il servizio di promozione alle imprese subisce una battuta
di arresto per carenza di personale nel 2006, in seguito al
pensionamento dei due dei promotori (uno dei quali era coordinatore
del servizio). Nel 2008 il gruppo si riorganizza e viene riattivato,
dotandolo di una nuova coordinatrice, proveniente dal settore
delle agenzie di somministrazione. Tutto il personale attualmente
impegnato in questo ambito (undici persone in totale) è dipendente
della provincia, ad esclusione della coordinatrice che è fornita dalla
società in house. Alla base di questo assetto organizzativo vi è un
esplicito orientamento dell’amministrazione a mantenere al proprio
interno la gestione del servizio per garantirne la continuità.
Abbiamo visto che in altre province è abbastanza fallimentare
l’utilizzo di soggetti esterni ai CPI. Lo scollamento è deleterio
e difatti stanno tornando tutti indietro su questa decisione (…)
Nei centri gravita personale a collaborazione, a consulenza, ma
il personale dipendente è quello che ci interessa come punto di
riferimento che rimane e sul quale abbiamo investito e costruito il
servizio. (responsabile CPI di Arezzo)
Gli operatori del servizio imprese seguono anche altre linee
di attività all’interno dei centri e, pur sottolineando le difficoltà
legate alla molteplicità delle funzioni da svolgere, riconoscono
i vantaggi che questo tipo di organizzazione produce sul piano
dell’integrazione e della qualità dei servizi. Va sottolineato poi che
la coordinatrice del servizio imprese riveste unicamente questa
funzione e che gli operatori intervistati concordano nel ritenere
174
la sua presenza fondamentale, migliorativa del servizio sia per
l’attività di coordinamento, sia per aver sollevato gli altri operatori
dallo svolgimento di alcune attività tese al mantenimento dei
rapporti con le imprese.
Ogni operatore del servizio territoriale normalmente dedica
4-5 ore settimanali per le visite aziendali, mentre la responsabile
dedica a questa attività tre giornate su cinque, a rotazione, un giorno
per ogni centro. Le restanti due giornate di lavoro le impiega per
gestire i rapporti con le imprese, per l’elaborazione dei dati per le
risposte da dare alle imprese e per il coordinamento degli operatori
sui servizi, che spesso avviene tramite riunioni di equipe.
Io faccio un po’ di tutto, dallo sportello a tutto ciò che riguarda il
servizio territoriale di Arezzo. La giornata di chiusura è dedicata
alle visite aziendali e alle attività di back office. Il mio collega
del gruppo si occupa anche di tirocini e io di domanda e offerta.
Tutta la settimana sono coinvolto nel servizio alle imprese.
(viceresponsabile Area aretina)
Ci sono io e un’altra operatrice di sportello, consulente con
conoscenza delle imprese; e poi c’è la responsabile. Ci occupiamo
di imprese, come di tirocini, incontro domanda e offerta e
accompagniamo la coordinatrice nelle visite. (responsabile
Valdichiana)
A Bibbiena ci sono io, che sono responsabile del centro, la viceresponsabile, che si occupa di tirocini formativi, e l’operatore
incontro domanda e offerta. (responsabile Casentino)
Naturalmente è difficile mantenere più funzioni, questo per il carico
del lavoro. Abbiamo fatto questa scelta. Perché l’azienda una volta
che si rivolgerà al servizio non avrà a che fare con il coordinatore,
ma con l’operatore con cui ci si rapporterà tutti i giorni. (…) È
una scelta precisa perché mentre il personale a contratto se ne va,
quello della provincia conosce bene il territorio, i servizi, non se ne
vanno e contribuiscono a far crescere il servizio e la professionalità
dei nostri operatori. (responsabile CPI Arezzo)
Per quanto riguarda il percorso professionale degli operatori,
tutti, tranne la coordinatrice, provengono dall’esperienza del
servizio pubblico sia nel settore lavoro che della formazione. Al
momento della costituzione del gruppo fu organizzato un corso di
formazione specifico che prevedeva anche la visita presso centri in
Italia che già svolgevano questa funzione. Da allora, formazione
175
e coordinamento degli operatori hanno costituito per questa realtà
due ambiti strettamente connessi e costantemente presidiati.
Facciamo molta autoformazione. Veniamo da una riunione a Arezzo
con tutti gli operatori e con la coordinatrice, per far capire a tutti
che il servizio è concatenato, così come è stato fatto negli altri
centri. Una riunione al mese come gruppo imprese la facciamo.
(viceresponsabile Area aretina)
La responsabile del servizio imprese ha alle spalle un
percorso completamente diverso. L’esperienza con l’agenzia di
somministrazione le ha permesso di conoscere il territorio e le
sue imprese, di sviluppare competenze nei servizi e nel marketing
rivolti alle imprese. In virtù di questa formazione la coordinatrice
rappresenta l’anima “commerciale” di questo gruppo di lavoro che,
nell’interazione con gli operatori, viene sostanziata da un approccio
orientato ai contenuti del servizio.
Cerchiamo di andare sempre in due. Perché ci sono le due anime.
La visita serve a promuovere il servizio, poi deve esserci dietro il
contenuto. (responsabile e coordinatrice del servizio imprese)
Le visite in due è perché la coordinatrice ha più il taglio della
venditrice e l’operatore rappresenta il centro, i servizi e il punto di
riferimento del servizio, l’operatore che poi l’azienda cercherà nella
struttura. (Responsabile CPI di Arezzo)
Strategie di comunicazione e contenuto dei servizi
Per il primo contatto con le imprese non esiste una prassi codificata
di interazione ma, come abbiamo osservato per la Provincia di
Lucca, il modello viene adattato ad ogni singolo caso, secondo un
criterio distintivo che tiene conto essenzialmente delle seguenti
dimensioni:
-- grado di conoscenza del servizio;
-- dimensioni;
-- fase attraversata dall’impresa (avvio86, espansione, difficoltà
economico-gestionale, declino, ecc.).
Per la creazione d’impresa gli operatori rinviano al servizio creato attraverso un progetto ad hoc, gestito
in collaborazione con alla Camera di Commercio di Arezzo: Abbiamo una consulente che svolge questo
progetto che abbiamo insieme alla camera di commercio di Arezzo destinato alla nascita di imprese,
inizialmente femminili, poi è stato esteso a tutti (…) Diamo informazioni sui contributi e finanziamenti
a tutti i livelli e le nozioni della cultura di base come stilare un business plan, costi, cosa può essere la
struttura ecc. Abbiamo quindi un presidio sia presso la Camera di Commercio, sia presso i nostri centri.
(responsabile CPI Arezzo)
86
176
Le imprese con oltre 15 dipendenti rappresentano un obiettivo
privilegiato, in quanto potenziali agganci con altre unità produttive
del territorio ad esse collegate. Inoltre, alle aziende di questa
dimensione è possibile proporre l’intero ventaglio di servizi, aspetto
questo che, oltre a costituire il vantaggio di ampliare le risposte che
il CPI è in grado di offrire alle persone, consente alla rete provinciale
di ottenere dati di ritorno assai utili per monitorare e migliorare la
qualità degli interventi.
Nel caso delle imprese di piccole dimensioni invece si preferisce
passare attraverso il consulente che diviene pertanto l’interlocutore
del servizio.
Per le aziende piccole c’è la tendenza a delegare al consulente,
quindi il nostro interlocutore diventa lui. Il referente aziendale in
quel caso è spiazzato, non sa dare risposte quindi il consulente è il
nostro contatto. Le aziende superiori a 15 dipendenti sono molto
interessanti per noi perché puoi offrirgli tutto il pacchetto, compreso
il collocamento mirato (…). E poi in quel caso lì hai un responsabile
all’interno dell’azienda e riesci a portare a casa dei dati utili per
la programmazione e per gli altri servizi. Senza contare l’effetto a
catena per cui con un’azienda ne raggiungi tre perché magari una ha
delle aziende controllate. L’obiettivo principale è quello di riuscire
a coinvolgere il territorio con più effetti possibili e il minor sforzo,
è quello di implementare la capacità di assunzioni. (Responsabile e
coordinatrice del servizio imprese)
Di frequente le imprese sono restie a fissare un incontro per
timore di perdere tempo. In questi casi per vincere le resistenze è
utile chiarire che la durata del colloquio dipende dalla loro volontà
e dall’interesse suscitato dai servizi. La scelta delle tipologie di
servizio da promuovere prioritariamente avviene attraverso l’ascolto
e una prima analisi dei bisogni delle imprese, nella fase del primo
contatto. Solitamente però gli operatori iniziano con la presentazione
del servizio di ricerca del personale, per poi introdurre tutti gli altri:
tirocini, sgravi contributivi, l’apprendistato, il collocamento mirato.
Cerchiamo di non farci rubare la scena, nel senso che faccio la
panoramica generale e poi porto l’interesse sul servizio in base
all’operatore che mi accompagna, al bisogno espresso dall’azienda
al momento del contatto. La prima domanda che ti fa l’azienda è
“quanto dura una visita?” La mia risposta è “dipende da lei e dal
suo interesse, noi siamo qua a sua disposizione, sta a lei decidere
quanto tempo vuole dedicarci”. Però in media ci vuole un’ora.
(Responsabile e coordinatrice del servizio imprese)
177
Dai dati in possesso della provincia risulta che nel corso del
200987 sono state contattate 175 imprese, di cui: il 68% tramite visita
aziendale; il 29% con telefonata e il 3% attraverso e-mail.
Le imprese vengono scelte a campione all’interno di un bacino
potenziale di utenza costituito prevalentemente da piccole imprese:
il 68% delle aziende contattate non supera i 5 dipendenti. I comparti
maggiormente coinvolti sono quelli della distribuzione commerciale,
le produzioni metalmeccaniche, il tessile (abbigliamento calzature e
pelli) e il settore informatico.
Vengono contattate sia le imprese che non conoscono il servizio
sia quelle che lo hanno già utilizzato. Particolare attenzione viene
riservata alle aziende in difficoltà o con problemi di esubero di
personale; per rispondere più efficacemente a questo tipo di situazioni,
sempre più frequenti in questo momento di crisi economica, si sta
provvedendo a potenziare il servizio di outplacement.
(...) Stiamo lavorando per migliorare il servizio placement, stiamo
cercando di accompagnare le persone che fuoriescono dalle imprese,
prenderle in carico per poi ricollocarle presso le aziende che abbiamo
visitato, visto che conosciamo sia il personale in esubero, sia i soggetti
presso i quali proponiamo di collocarli. Anche perché queste persone
che fuoriescono dal mercato, sono persone che lavoravano da tanto
tempo e che si trovano in un contesto completamente cambiato.
(responsabile e coordinatrice del servizio imprese)
Le linee di attività che successivamente al primo contatto
hanno registrato maggiori richieste di approfondimento sono
riconducibili essenzialmente a tre aree: incentivi, formazione
professionale e tirocini, mentre i servizi effettivamente attivati sono
stati prevalentemente gli incentivi e la ricerca del personale. Negli
ultimi anni i servizi hanno rilevato una contrazione della domanda di
formazione, intercettata progressivamente dalle agenzie formative
che si sono fatte carico degli oneri, non irrilevanti per le imprese,
connessi agli obblighi di rendicontazione delle attività finanziate
con i fondi europei.
Vi sono ancora aziende meno avvertite, che si sorprendono della
gratuità delle prestazioni offerte. Tuttavia, proporzionalmente agli
sforzi fatti per migliorare e diffondere i servizi, sembra crescere la
sintonia con le imprese e la loro consapevolezza nel rapporto con
gli SPI.
Al momento dell’intervista il 2009 non è ancora concluso. I dati si riferiscono ad un periodo che va da
gennaio ad ottobre 2009.
87
178
Riusciamo a essere abbastanza in linea con ciò che l’azienda
vuole. Le potenzialità sono molte perché l’azienda che si rivolge
ai servizi ha la possibilità di avere un servizio chiavi in mano.
Ha la possibilità di rivolgersi a noi per i tirocini, ma anche per i
contributi, per certificare l’iscrizione di mobilità del lavoratore e
allo stesso tempo può avvalersi di locali dove svolgere colloqui,
quindi ha un servizio a 360 gradi sul fabbisogno del personale (…)
I risultati sono buoni: da gennaio-febbraio siamo intorno alle 180
aziende. Abbiamo affinato gli strumenti, fissato degli obiettivi. In
maniera primitiva abbiamo cercato di delineare delle linee guida su
come raggiungere il maggior numero di imprese. Abbiamo curato
lo start up di due aziende nel settore del commercio che hanno dato
risposta occupazionale a circa 60 utenti in cerca di lavoro. L’azienda
sta percependo sempre più le nostre funzioni. (responsabile e
coordinatrice del servizio imprese)
Per promuovere la consapevolezza nelle imprese e
responsabilizzarle maggiormente nei percorsi intrapresi con
gli operatori, riducendo taluni comportamenti opportunistici,
la provincia sta pensando di introdurre il Patto di servizio con le
imprese, uno strumento per la definizione delle condizioni generali
di erogazione dei servizi da parte dei CPI e, contestualmente, di
accesso ai medesimi da parte delle aziende.
Stiamo cercando di raffinare il servizio anche prevedendo accordi
con le aziende, cioè ancora ci stiamo pensando come strutturarli.
L’azienda spesso si rivolge a più canali per avere personale e non
rispetta i nostri tempi. Noi offriamo un servizio gratuito e l’azienda
assume senza aspettare i nostri tempi, scegliendo un altro canale.
Stiamo cercando di portare le aziende verso una sorta di patto, così
come facciamo con gli utenti. Noi lavoriamo per un servizio gratuito,
ma dietro c’è tutto un investimento di personale, di aspettative da
parte dei candidati e quant’altro. (responsabile CPI Arezzo)
Può succedere che l’azienda prenda il primo che vede e poi gli altri
cinque non vengono interpellati. E questo si ritorce contro di noi
poiché gli utenti ci chiedono, perché non siamo stati interpellati?
Allora il servizio non funziona. E noi ci rimettiamo la faccia.
(responsabile Valdichiana)
Un altro problema molto sentito dagli operatori, prevalentemente
di natura metodologica, riguarda l’inadeguatezza degli strumenti
statistici e di descrizione disponibili (classificazione ISTAT, repertorio
delle figure professionali della Regione, ecc. ) a rappresentare
179
e operazionalizzare la complessità e mutevolezza dei processi
produttivi e dei fabbisogni delle imprese. Questo limite sembra
produrre un divario tra linguaggio delle imprese e linguaggio dei
servizi, il cui superamento è ritenuto una priorità da affrontare per
innalzare la capacità di sintonizzare la domanda e l’offerta di lavoro.
Un primo passo in questa direzione dovrebbe tendere a colmare le
carenze conoscitive circa i processi produttivi delle aziende. Definire
con più precisione i processi produttivi aiuta a capire esattamente
di cosa hanno bisogno le aziende, il sistema economico locale, e
dunque a migliorare la capacità di risposta dei servizi.
Abbiamo bisogno di conoscere i processi produttivi per migliorare la
selezione. Questa è una cosa molto importante, ma servirebbe anche
come indice di programmazione alla formazione. Perché uno dei
problemi sul territorio, ma anche nella regione e nell’intero paese è
la non conformità, la non corrispondenza. I cambiamenti produttivi
sono talmente veloci che certe classificazioni non rappresentano
più la realtà. Quello che noi abbiamo nella nostra banca dati non è
più adatto, andrebbe aggiornato questo. La cosa migliore dovrebbe
essere secondo me inserire nel gruppo imprese una figura che segua
i processi produttivi, magari per settori prioritari della provincia,
come l’oro, la moda, il turismo. (responsabile Casentino)
questo scollamento fra il linguaggio dell’azienda, del personale di cui
ha bisogno e il linguaggio che utilizza il nostro sistema informatico
e le statistiche in generale. Se tu chiedi alle aziende, cosa intendono
per magazziniere, da ognuna otterrai delle definizioni diverse. È un
mercato in profonda trasformazione. Ci sono aziende che si sono
convertite dall’orafo all’elettronica o metalmeccanica. È fondamentale
capire i processi produttivi, ma devo dire che le aziende sono molto
disponibili nel coinvolgerci, proprio nel farci vedere il loro assetto
produttivo attuale. Normalmente noi raccogliamo i dati, che vengono
elaborati dall’osservatorio del mercato del lavoro e vengono condivisi
con il nostro ufficio di programmazione e formazione e cerchiamo
di ridurre questo scollamento, cercando di utilizzare i nostri
strumenti, convertendoli nel linguaggio delle aziende. (responsabile
e coordinatrice del servizio imprese)
Sempre in quest’ottica la provincia di Arezzo ha effettuato uno
studio sui fabbisogni professionali delle aziende, attraverso il quale
sono state testate (nel settore orafo) alcune figure del Repertorio
regionale, aggiornandole per adeguarle alla specificità del territorio.
Questo ha consentito di migliorare la comprensione della domanda
delle imprese di questo settore. L’indicazione che se ne trae è che
180
questa esperienza potrebbe costituire una possibile buona pratica da
trasferire in tutti i settori, o almeno per quelli ritenuti prioritari, per
potenziare il sistema regionale di classificazione.
Le qualifiche ISTAT purtroppo sono quello che sono, e utilizzarle
è l’unico modo per parlare la stessa lingua fra soggetti diversi. La
Regione Toscana ha lavorato sul repertorio delle competenze. Il
primo problema che abbiamo è quello di aggiornare questi profili.
Una volta redatte queste figure c’è da sperimentare sul campo la loro
rispondenza alla realtà. Noi abbiamo sperimentato sul settore orafo,
vista la nostra specificità territoriale. Abbiamo visto che le figure
erano da modificare, le abbiamo riviste, aggiornate e ora abbiamo una
figura che corrisponde, in cui le aziende si ritrovano. Ed è solo una, ce
ne sono 210-230. Poi vanno aggiornate periodicamente, quindi non
so come la Regione Toscana vuole continuare a lavorare su questo
aspetto, per il momento si è fermata. È un lavoro che ci permette di
ragionare con le aziende allo stesso modo. Per fare questo occorre un
sistema informatico poi che ci sostiene. (responsabile CPI Arezzo)
•• Il caso della Provincia di Pisa
Storia del servizio e caratteristiche della gestione
Sin dall’avvio della riforma, nell’organizzare i nuovi SPI,
l’amministrazione provinciale riconosce la portata innovativa del
ruolo di intermediazione tra domanda e offerta di lavoro e, all’interno
di questo, l’importanza di sviluppare un servizio specificamente
rivolto alle imprese. Con l’attuazione del decreto 181/2000 si è colta
l’opportunità per strutturare all’interno del CPI di Pisa uno sportello
per l’accoglienza delle aziende e dei consulenti. Questo sportello,
considerato “l’antenato” dell’attuale servizio di marketing, era
adibito a consulenze e informazioni sulle nuove funzioni degli SPI
e alla promozione del servizio di preselezione. Dopo un periodo di
sperimentazione di circa un anno, valutando positivamente i risultati
del progetto, si è proceduto ad estenderlo anche agli altri centri della
provincia. A questo scopo è stata organizzata una sessione di 20
ore di formazione-informazione sul servizio e i risultati raggiunti;
le procedure adottate e le attività da svolte sono state descritte,
formalizzate e infine trasferite agli altri centri tramite l’affiancamento
di tre operatori del centro direzionale di Pisa. Le maggiori difficoltà
sono state di natura culturale, nella comprensione dei cambiamenti
e condivisione dei concetti. Nel corso degli anni tuttavia il servizio
si è consolidato, conquistando nuovi spazi all’interno della stessa
struttura e organizzazione dei CPI.
181
Poi negli anni ci siamo sempre più raffinati, abbiamo messo a
disposizione delle aziende una stanza organizzata, per avere la
possibilità di incontrare le persone da selezionare (…) dove facciamo
trovare le persone con le caratteristiche richieste, esaminate prima
da noi (…). L’operatore presenta le persone, senza interferire, ma
indicando le caratteristiche dell’uno o dell’altro, così (l’azienda) ha un
quadro di chi ha davanti, senza dover leggere fogli asettici. Questo nel
tempo ebbe subito successo. (responsabile centro direzionale Pisa)
In questa fase iniziale il servizio è stato gestito interamente
da personale interno, reperito selezionando quegli operatori che
presentavano le caratteristiche più idonee per svolgere questo tipo di
incarico. Successivamente si è passati ad una gestione mista, ricorrendo
ad una società cooperativa, nata al termine di un corso di formazione
che la provincia aveva organizzato nel 1998, proprio in previsione
della necessità di reperire nuove figure professionali per gestire la
transizione verso un nuovo modello di servizi per il lavoro88.
è a partire dal 2005 che il servizio prende forma nell’assetto
attuale, prevedendo l’attività di marketing e le visite aziendali. Il
gruppo marketing è formato da quattro persone, una per ogni CPI
della provincia. Due operatori sono dipendenti dell’amministrazione
provinciale, gli altri due sono forniti dalla società cooperativa. Tra
questi vi è l’operatrice del centro di Pisa, coordinatrice e responsabile
del servizio, che possiede una formazione umanistica, arricchita
da un percorso post laurea in comunicazione e da un’esperienza
professionale e formativa che comprende l’orientamento, la
consulenza alle imprese e il monitoraggio. Tutti gli operatori del
gruppo marketing, come alcuni addetti ai servizi di preselezione,
hanno svolto un corso di career counseling nel 2007, sia per acquisire
le competenze necessarie al sostegno dei percorsi di sviluppo di
carriera sia per prepararsi alla gestione di situazioni di crisi e precrisi. Autoformazione e comunicazione avvengono attraverso
riunioni periodiche, scambio di informazioni con mailing-list, sia
fra la responsabile marketing e gli operatori addetti agli altri servizi,
che tra gli operatori del gruppo marketing.
Una dotazione complessiva di quattro operatori, per un servizio
che è cresciuto negli anni, e che si rivolge a tutto il territorio della
provincia, se da una parte rende problematica la gestione del servizio,
88
Nel ’98 sapendo che avremmo avuto questo cambiamento, la Provincia organizzò un corso per 15
orientatori. Successivamente si misero in cooperativa e con loro iniziammo la parte innovativa, i colloqui
di orientamento. Poi questa società si è ingrandita. Hanno sempre fatto delle gare a livello nazionale ed
hanno vinto. All’inizio non c’erano tante società in grado di far questo. Quindi noi non è che abbiamo
esternalizzato niente, è una società che opera in affiancamento al servizio pubblico. è sì una società a se,
ma strettamente collegata con l’operato della Provincia. (responsabile centro direzionale Pisa)
182
dall’altra spinge a rafforzare l’integrazione e a sistematizzare le
modalità di collaborazione tra i colleghi.
Ufficialmente siamo quattro: uno per CPI, con tutti i limiti. Da una
parte pericoloso, perché in quattro non riusciamo a gestire una banca
dati così grande; dall’altra vincente perché ha forzato il contatto con
tutti gli altri operatori, l’integrazione. (…) Parlare con i colleghi,
incontrarsi periodicamente, pianificare l’attività, concordo con loro
ciò che devo comunicare alle imprese. Questo ha creato un team vero.
(responsabile marketing-servizio di consulenza alle imprese Pisa)
Gli operatori di questo gruppo non si occupano solamente di
marketing aziendale e consulenza alle imprese, ma anche di altre
linee di attività dei CPI. Gli operatori di S. Croce e di Volterra
seguono un po’ tutti i servizi. Le due operatrici di Pisa e di Pontedera
spesso continuano il percorso avviato con le imprese contattate,
presidiando anche la fase di preselezione.
Spesso per le aziende siamo l’ultimo passaggio in fase pre-selettiva.
Avendo parlato noi con le imprese, anche le colleghe preferiscono
se diamo un’occhiata finale. L’operatrice di Pontedera si occupa di
quello, poi di preselezione per i tirocini e poi dell’obbligo formativo.
Io invece mi occupo del programma PARI. Parlo di noi due perché
gli altri due operatori dentro la provincia fanno tutto. Volterra è un
fiore all’occhiello perché fanno tutto tutti, danno una mano su tutto.
La collega di S. Croce si occupa molto di obbligo formativo, ma fa
anche altro. Diciamo che la maggior parte del tempo si fa questo, poi
vuoi per la mancanza di organico, vuoi per l’integrazione dei servizi,
facciamo altro. (responsabile marketing-servizio di consulenza alle
imprese Pisa)
All’interno del centro direzionale è stato istituito un servizio di
incentivi alle imprese con due operatori che sono diventati punto di
riferimento del gruppo del servizio imprese. Inoltre gli operatori del
CPI di Pisa, compresa la responsabile del marketing, sono a stretto
contatto con quelli del settore della formazione, poiché si trovano nello
stesso edificio e sotto un unico assessorato89. Anche questo fattore di
Qua abbiamo anche la fortuna che l’assessore è unico e non è da poco. Noi con gli operatori della
formazione abbiamo rapporti costanti, sono qua sopra al terzo piano. (la struttura vede al piano terra il
CPI, poi su c’è il centro direzionale e la dirigenza, poi al terzo la formazione) Noi abbiamo tutti i punti di
riferimento qua e questo consente di fare un lavoro di qualità rispetto ad altri CPI. So di altre situazioni in
cui la formazione non si sa neanche quale è. (responsabile marketing-servizio di consulenza alle imprese
Pisa). Il mio assessorato funziona tenendo insieme tutti i segmenti, oltre al lavoro e alla formazione, ho il
welfare, le pari opportunità, volontariato, associazionismo e terzo settore e mi rendo conto che mettendo
insieme le cose interagiscono. è un assessorato di contaminazione (Assessore)
89
183
prossimità sembra aver contribuito in modo rilevante all’integrazione
tra servizi e alla qualità delle risposte fornite alle imprese.
Sempre con l’obiettivo di integrare funzioni diverse tra operatori
e di rafforzare la comprensione delle reciproche responsabilità, si
stanno programmando visite aziendali cui, a turno, parteciperanno
tutti gli operatori.
In questa fase stiamo programmando di uscire con tutti gli operatori
a turno, a venire ad ascoltare. Abbiamo fatto molte simulazioni,
ora vogliamo far vedere cosa succede quando uno va in trincea. Se
uno sta dietro le quinte, puoi comunicare, ma comunque abbiamo
due modi di vedere diversi. (responsabile marketing-servizio di
consulenza alle imprese Pisa)
Strategie di comunicazione e contenuto dei servizi
Il primo tentativo di contatto con le imprese è avvenuto attraverso
l’invio di una lettera, una modalità di comunicazione di tipo
istituzionale che rispetto agli scopi prefissati si è rilevata inadeguata,
con un tasso di risposta pressoché nullo. La nuova strategia adottata
è stata quella di iniziare a sondare il territorio, valorizzando il ruolo
dei diversi soggetti per avviare una rete di relazioni.
Appena arrivata, ho mandato 500-600 di lettere alle quali hanno
risposto in tre. Un flop grandioso. Se fai il porta a porta non vai da
nessuna parte, lo bruci il territorio. Mi sono appoggiata a quello
che c’era già qui. Il consulente che arrivava gli dicevo, senta viene
con me a prendere un caffè, vengo a trovarla. Che ne dice se vado a
raccontare a tre o quattro aziende che conosce i servizi? Un modo di
creare una rete. Si parte da chi si conosce. (responsabile marketingservizio di consulenza alle imprese Pisa)
Nel 2005 all’avvio del servizio di visite aziendali, gli operatori si
recavano dalle imprese in due: il consulente del marketing insieme al
consulente del servizio preselezione. Questo ha consentito di integrare
competenze e conoscenze su aspetti diversi dei servizi, elevando la
qualità dell’intervento. Ciononostante la modalità dell’affiancamento
è stata interrotta a causa della mancanza di personale.
Si opera in affiancamento al servizio preselezione per mescolare
i linguaggi, anche perché se l’informazione circola all’interno,
circola anche all’esterno (…) Quando si andava in due si lavorava
meglio, andare in due vuole dire non dare l’idea di fare i tuttologi,
184
andare in due vuol dire confrontarsi, creare una banca dati di qualità
condivisa, concertata: andare in due significa un’integrazione
vera. Andare sola vuol dire fare del proprio meglio. (responsabile
marketing-servizio di consulenza alle imprese Pisa)
Per ovviare a questo limite si è deciso di ridurre le visite dirette,
valorizzando le associazioni di categoria e i consulenti e, per
assicurare l’integrazione e la qualità degli interventi, di investire
maggiormente sulla comunicazione interna fra operatori.
È cambiata la strategia perché non abbiamo più potuto agire in questo
modo. (…) Abbiamo cominciato a informare anche i consulenti e
le associazioni categoriali. A quel punto, la quantità di lavoro era
enorme e non si gestiva più. (…) Quindi il cambiamento è stato che
ho iniziato a collaborare con tutti i consulenti, con quelli dei tirocini,
con la formazione, da un paio di anni promuoviamo anche quella.
(responsabile marketing-servizio di consulenza alle imprese Pisa)
La responsabile del marketing dedica almeno due giornate la
settimana alle visite aziendali. Anche gli altri tre operatori del gruppo
si recano dalle imprese, dividendosi per area di competenza, cercando
di non creare sovrapposizioni. La comunicazione fra operatori è
importantissima anche per gestire i contatti con le imprese.
Ci sono casi in cui il consulente è di Pisa -e dunque l’ho contattato
io- ma l’impresa è di Pontedera e dico alla mia collega che ci vado
io per non interrompere il legame. Lei fa altrettanto. (…) poi è
talmente vasta ora la mole di lavoro, e siamo così pochi. Infatti
stiamo pensando di allargare l’organico su questo servizio, perché
così non si va avanti. Abbiamo la banca dati IDOL e verifichiamo lì
che nessuno ci sia andato in quell’impresa. (responsabile marketingservizio di consulenza alle imprese Pisa)
La promozione dei servizi, coerentemente con le indicazioni
del Piano di comunicazione adottato dall’amministrazione90 viene
gestita attraverso tre livelli distinti:
-- il piano istituzionale, attraverso l’utilizzo di canali come la
trasmissione televisiva, gli spot radiofonici, il periodico Informa
Lavoro e la comunicazione interna;
-- il piano semi-istituzionale, prevalentemente attraverso
l’organizzazione di eventi;
90
Cfr. il dettaglio riportato in appendice relativo agli strumenti di comunicazione utilizzati dalla
Provincia di Pisa.
185
-- il piano diretto di contatto con le imprese attraverso strumenti
come la brochure o la mailing-list.
La formazione in comunicazione della responsabile del servizio
e gli orientamenti del piano di comunicazione, permeano anche le
strategie di interazione diretta con le imprese. L’operatrice stabilisce
con le imprese una relazione di reciprocità e trasparenza, collocando
CPI e imprese sullo stesso piano in una cornice di collaborazione e
illustrando tanto i punti di forza quanto i limiti dei servizi.
Un buon commerciale non dice mai le bugie, se vuoi presentare bene
i servizi, in quei servizi devi crederci, ma devi dire anche i limiti.
Dico sempre: noi ci diamo da fare per far cambiare una cultura, ci
dovete aiutare su questo aspetto. Se utilizzate i fondi, i fondi ce li
continueranno a dare, altrimenti no. Si fa insieme, si cresce insieme
e i limiti dell’uno o dell’altro devono essere superati insieme. Ci
monitoriamo, non ci controlliamo. (responsabile marketing-servizio
di consulenza alle imprese Pisa)
Un’altra strategia di gestione del rapporto con le imprese è quello
di raccogliere le istanze emerse nel corso della visita e riuscire a
dirottarle sui vari servizi specifici. Se sul momento c’è una carenza
informativa, si assicura l’impresa che sarà ricontattata dall’operatore
in grado di rispondere alle sue esigenze.
Dico sempre alle imprese: lei mi faccia questa domanda, se non
la so, le do informazioni su tutti i referenti dei vari servizi. (…)
Io rilevo il fabbisogno dell’azienda poi lo invio ai servizi specifici.
(responsabile marketing-servizio di consulenza alle imprese Pisa)
L’illustrazione dei servizi offerti dai CPI viene svolta in maniera
rapida in modo tale da suscitare curiosità senza essere prolissi. Inoltre
si cerca di sollecitare il passaparola fra imprese, anche attraverso lo
scambio dei biglietti da visita.
Dico all’impresa -senta, il favore più grande che mi può fare è farmi
chiamare da un’impresa e dire che le ha dato il mio nome. Questo
per me vuol dire che ho fatto un buon lavoro- Ai convegni, illustro
velocemente i servizi anche perché sennò diventa noioso, perché
deve essere come un curriculum, devo incuriosire e non raccontare
tutto, se ti sei raccontata troppo neanche ti leggo. Quando chiudo
dico: mi farebbe piacere venire da lei e capire meglio di cosa ha
bisogno. Quando si andò a Peccioli, c’erano 60 aziende e dissi -se
ho fatto bene il mio lavoro stasera mi date 60 biglietti da visita, se
186
non l’ho fatto bene ne ottengo pochi- e io ho visto 60 imprese. Poi è
il primo punto perché se ne vedo 60 e dietro ho delle difficoltà, è un
problema. Spesso invece che uscire alle due esci alle sei perché lo
sai che se l’imprenditore lo vedi tra un mese, fallisci. (responsabile
marketing-servizio di consulenza alle imprese Pisa)
Soprattutto nella fase iniziale, nella scelta delle imprese da contattare,
gli operatori hanno utilizzato il criterio della corrispondenza ai profili
degli iscritti presenti in banca dati, cercando di intercettare quelle
aziende potenzialmente interessate. Con la diffusione del servizio e la
crescita del numero dei contatti, questo tipo di approccio è diventato
molto meno sostenibile. Inoltre, poiché l’attività di promozione e
consulenza si è andata estendendo anche ad altri aspetti oltre alla
preselezione (come ad esempio la formazione), questo criterio non
sempre è rilevante.
Le imprese richiedono ogni tipo di servizio, ma soprattutto in
questo momento di crisi, anziché investire in formazione o ripensare
all’organizzazione del lavoro o alla struttura aziendale, ricorrono ai
CPI per ottenere aiuti e sostegni.
In questo momento di crisi per esempio ti chiedono aiuti di ogni tipo.
Secondo me le imprese non hanno capito che questo può essere un
momento per investire in formazione, anche per uscire più solidi.
Ma in parte non l’ha capito neanche il pubblico. Le crisi dovrebbero
servire come stop produttivo e pensare ciò che non va. (responsabile
marketing-servizio di consulenza alle imprese Pisa)
Dai dati forniti dal monitoraggio realizzato dal centro direzionale
della provincia risulta che le imprese raggiunte nel 2008 sono state
152, per complessivi 161 utilizzi dei servizi. Di questi, 40 hanno
riguardato il progetto PARI, 92 il servizio preselezione, 29 i tirocini. Il
settore prevalente è quello dei servizi (76), seguito dall’industria (24)
e dal commercio (16).
A una serie di imprese fidelizzate sono stati forniti servizi
innovativi, come l’analisi del clima organizzativo o la consulenza su
problematiche legate al turnover del personale.
Avevamo iniziato a fare un lavoro insieme agli orientatori, consulenza
alle imprese sul clima aziendale. Meno male ce lo chiedono in pochi
e comunque lo proponi a quelle fidelizzate, non lo puoi proporre a
tutti. Quando vedevamo un alto turn over del personale dicevamo
-vi siete chiesti il motivo?- Un turnover in un’azienda strutturata
del 6-5% va bene, ma quando arriva a raggiungere il 20-30% non
187
vanno bene le cose. Lo zoccolo duro rimane, ma lo zoccolo giovane
va fuori di testa. Vengono fuori cose drammatiche dalle imprese, non
conoscono nemmeno le figure professionali, dove poter far lavorare le
persone una volta viste le loro caratteristiche. Gente che al personale
ha il ragioniere di 50 anni fa, senza togliere niente a lui, però con
quella cultura lì. Poi magari ti rispondono -ma io ho dato 300 euro di
incentivo alla fine dell’anno- non è quello il problema. è questione
di ascoltare il tuo personale. Il tuo personale ti sta urlando qualcosa
e tu ti giri dall’altra parte. Non passa la comunicazione. Chiaro che
poi le persone sono frustrate e vengono fuori i problemi. Tra l’altro
perdi pezzi di mercato. Questo avviene tantissimo nel turismo, è
pericolosissimo questo turnover. (responsabile marketing-servizio di
consulenza alle imprese Pisa)
L’operatrice intervistata pone l’attenzione su un problema
generale delle aziende italiane, non solo pisane, cioè sulla mancanza
di una cultura imprenditoriale, di comprensione del potenziale degli
investimenti in ricerca e innovazione e in formazione, di capacità
di valutare l’organizzazione aziendale e gestire al meglio le figure
professionali. L’operatore può trovarsi a svolgere anche questo
compito di “aggiustamento culturale” teso allo sviluppo del capitale
umano, non senza incontrare difficoltà.
Se metti il lavapiatti dalle 16 alle 3 di notte, e gli fai apparecchiare,
poi aiuta un po’ in cucina, poi lava i piatti e dici, lui non può reggere.
L’imprenditore non ha capito nulla, ci sono tre figure in una:
aiuto cuoco, cameriere e lavapiatti. In questo per me la mentalità
imprenditoriale in Italia non c’è (…). Cambiare questa cultura è dura!
Devi fidelizzare e poi dire all’impresa -ho notato che la gente qua è
sempre diversa, fatti delle domande- (responsabile marketing-servizio
di consulenza alle imprese Pisa)
Laddove l’operatore è riuscito a stabilire un rapporto con
un’impresa, ha fornito risposte adeguate alle sue esigenze e il CPI
ha dato servizi soddisfacenti, può essere richiamato anche come
consulente per problemi connessi all’organizzazione dell’impresa.
Poi hai anche delle belle sorprese. Abbiamo curato lo start up iniziale
di un albergo, abbiamo inserito 19 persone quindi per noi è stato un
buon risultato. Tutto questo è nato da una consulenza con me, suo
fratello che ha un ristorante mi ha detto -ti mando da mio fratello che
sta aprendo un albergo (…) In un albergo la comunicazione interna
è fondamentale. Il cliente passa dalla reception, va in camera, va in
bagno, va in ristorante, quanta gente vede? Se non c’è una visione
188
della struttura? E questo si è talmente fidelizzato che quando ha
avuto problemi col personale mi ha chiamato. Queste per me sono
grandissime soddisfazioni. (responsabile marketing-servizio di
consulenza alle imprese Pisa)
Poiché si sta parlando di servizi innovativi offerti dai CPI della
provincia di Pisa, anche se in momenti occasionali, come le consulenze
sul clima aziendale e sull’organizzazione del lavoro all’interno delle
imprese, chiediamo all’operatrice cosa ne pensa della possibilità di
dotare i SPI di queste nuove funzioni. La responsabile del servizio
marketing sostiene che al momento riuscire a garantire i servizi esistenti
e integrare le varie possibilità pubbliche di sostegno alle imprese,
anche per quelle che stanno nascendo, significa già incrementare le
possibilità di successo e incidere sul cambiamento culturale generale
del tessuto imprenditoriale.
In questo momento secondo me non siamo così avanti per offrire nuovi
servizi. Se noi riuscissimo a offrire in modo efficace ed efficiente
quello che abbiamo offriremmo un grande servizio alle imprese (…)
Con lo sviluppo economico siamo in contatto diretto. Io chiamo,
guarda l’impresa mi ha chiesto un finanziamento per un furgone. Poi
lei mi fa sapere come è andata e io mi segno se l’impresa ha avuto
una risposta adeguata. Già fare da veicolo fra i servizi è incrementare
i servizi. Poi ho costanti rapporti con il servizio di sviluppo di imprese
e faccio formazione alle nuove imprese che nascono sui servizi dei
centri. Nascono già con un’idea di cosa offre il pubblico, se avete
bisogno di personale. Se avete la vostra moglie vi conviene metterla
come aiuto familiare, le pagate i contributi, non importa che le diate
lo stipendio, ma dal 5% al 70% degli introiti e decurti dalla tasse tot
soldi. Quindi ciò che togli dalle tasse lo do a mia moglie. Queste
informazioni sono fondamentali. (responsabile marketing-servizio di
consulenza alle imprese Pisa)
Talvolta i servizi di consulenza di alto livello alle imprese sono
frutto, come abbiamo visto, di iniziative spontanee e di operatori
competenti che, intravedendo delle opportunità, riescono a potenziare
un servizio. L’operatrice intervistata racconta delle ricadute positive
che le consulenze prestate hanno prodotto sulla capacità delle imprese
pisane di accedere alle opportunità di finanziamento offerte dalla
provincia o dalla regione.
Il fatto di informarmi, non solo sui finanziamenti provinciali, ma
anche regionali e fare da scia alle comunicazioni che la Regione fa
189
sul suo sito, è importante. Facciamo da tramite fra le nostre imprese e
la Regione Toscana. Abbiamo visto che le richieste di finanziamento
fatte alla Regione Toscana sono imprese che hanno avuto a che fare
col nostro servizio, questo è un risultato che abbiamo ottenuto noi.
Ogni volta che vedo le graduatorie dei finanziamenti della Regione
Toscana ci trovo le mie aziende. E come faccio a sapere, ad avere
indietro queste informazioni dalle aziende? Proprio con la mailing-list.
(responsabile marketing-servizio di consulenza alle imprese Pisa)
5.4
I risultati dell’indagine diretta: le caratteristiche delle imprese intervistate
L’indagine realizzata ha coinvolto un campione di imprese che si
sono rivolte ai Servizi Pubblici per l’impiego nel periodo 20062008 per servizi di ricerca del personale e consulenza91. L’universo
di partenza, dunque, non è rappresentato dall’insieme delle imprese
della nostra regione, ma da un sottoinsieme particolare, che si
caratterizza per una sovrarappresentazione -e, specularmente,
per una sottorappresentazione- di alcune tipologie di aziende. Più
precisamente, possiamo osservare come la probabilità che le imprese
della nostra regione si rivolgano ai CPI per attività diverse dalle
comunicazioni obbligatorie relative alla movimentazione di personale
(assunzioni, cessazioni, trasformazioni dei rapporti di lavoro) varia
in relazione al settore di attività economica e alla dimensione.
Come appare evidente dai due grafici (Graf. 5.6), il tasso di
utilizzo dei servizi pubblici per la ricerca di personale e per altre
attività di natura consulenziale aumenta al crescere delle dimensione
aziendale e risulta decisamente più accentuato per le imprese che
operano nell’area dei servizi alla persona e dei servizi alle imprese.
Dopo questa necessaria premessa, che consente di leggere in
maniera corretta i risultati dell’indagine, possiamo entrare nel merito
dell’analisi descrivendo le principali caratteristiche ‘strutturali’ delle
imprese intervistate. Le informazioni rilevate attraverso il questionario,
infatti, rappresentano un’occasione preziosa per delineare l’identikit
di quelle imprese che nella nostra regione ricorrono ai SPI per la
ricerca del personale e per altre attività di natura consulenziale.
L’indagine si è svolta nel periodo novembre-dicembre 2009. Durante la rilevazione che ha utilizzato
il metodo C.A.T.I. (Computer Assisted Telephone Interview), sono state realizzate complessivamente 901
interviste. L’archivio regionale conteneva 6.325 imprese toscane, dalle quali sono state eliminate 508
aziende non eleggibili (aziende pubbliche e/o agenzie interinali e di somministrazione del lavoro). Da un
universo di riferimento di 5817 contatti, sono state estratte dall’archivio le aziende secondo un criterio di
stratificazione settoriale e provinciale.
91
190
Grafico 5.6 Incidenza delle imprese coinvolte nell’indagine sul totale delle imprese
toscane per classe dimensionale e macrosettore di attività economica
50 addetti e più
Fino 3 addetti
0,07
0,06
0,05
0,04
0,03
0,02
0,01
0
20-49 addetti
Servizi alle persone
e alle imprese
4-9 addetti
10-19 addetti
Costruzioni
0,008
0,007
0,006
0,005
0,004
0,003
0,002
0,001
0
Attività manifatturiere
Ristorazione/commercio all'ingrosso
e al dettaglio
Fonte: Indagine Irpet, Istat - Asia
Un aspetto su cui soffermare l’attenzione è certamente quello
dimensionale che, in prima battuta, può essere misurato dal numero
di addetti92. La maggior parte (il 57,9%) delle imprese intervistate ha
meno di 10 addetti: in dettaglio il 22,9% appartiene alla classe 1-3
addetti e il 35% alla classe 4-9 addetti. All’interno del campione,
tuttavia, risulta tutt’altro che trascurabile la quota di imprese di
dimensioni medio-grandi. Come si rileva dal prospetto, infatti, il
17,2% delle imprese intervistate ha da 10 a 19 addetti, l’11,3% da
20 a 49 e l’11,4%, infine, conta su un numero di addetti superiore a
50 (Tab. 5.7).
Le imprese sono state intervistate durante il mese di novembre. Al fine di ricostruire un quadro il più
possibile aggiornato e considerando l’emergenza occupazionale che ha caratterizzato, anche nella nostra
regione, il 2009, le informazioni sul livello e sulla composizione degli addetti sono state rilevate al
31/10/2009.
92
191
Tabella 5.7 Distribuzione delle aziende intervistate per classe dimensionale
%
Fino a 3 addetti
4-9 addetti
10-19 addetti
20-49 addetti
50 addetti e più
Non sa/non risponde
Totale
N. casi
22,9
35,0
17,2
11,3
11,4
2,2
100,0
901
Delle imprese che hanno utilizzato i servizi offerti dai SPI, circa
un terzo si sono costituite nell’ultimo decennio, dal 2000 ad oggi.
Per quanto concerne la forma giuridica, le aziende coinvolte
nell’indagine si polarizzano su due tipologie prevalenti: il 34,2%
sono società a responsabilità limitata; il 31,2% ditte individuali.
Seguono le società di persone -che rappresentano il 13% del
campione- le cooperative (il 9,9%), le società per azioni (il 6,4%) e,
infine, le società in accomandita (il 4,6%) (Tab. 5.8).
Tabella 5.8 Distribuzione delle aziende intervistate per forma giuridica
%
Impresa individuale
Società in nome collettivo
Società a responsabilità limitata
Società per azioni
Società in accomandita
Società cooperativa
Non sa/non risponde
Totale
N. casi
31,2
13,0
34,2
6,4
4,6
9,9
0,8
100,0
901
Un altro aspetto interessante su cui focalizzare l’attenzione
è rappresentato dalla composizione del campione per settore
di attività economica: i dati evidenziano una netta prevalenza
di imprese che operano nell’area dei servizi (l’82,7%), rispetto
alle attività manifatturiere (il 10,8%), alle costruzioni (4,8%) e
all’agricoltura (1,8%).
Nell’ambito delle attività terziarie, il 33,7% delle aziende
intervistate operano nell’area dei servizi alle imprese, il 30,1%
nell’ambito dei servizi alle persone e il 18,9% nella ristorazione e
nel commercio, sia all’ingrosso che al dettaglio (Tab. 5.9).
192
Tabella 5.9 Distribuzione delle aziende intervistate per settore di attività economica
%
Agricoltura
Costruzioni
Attività manifatturiere
Ristorazione e commercio
Servizi alle persone
Servizi alle imprese
Totale
N. casi
1,8
4,8
10,8
18,9
30,1
33,7
100,0
901
Il 75% delle imprese che compongono il campione hanno un
ambito di operatività che non va oltre la dimensione regionale. In
dettaglio, la metà (il 50,6%) opera prevalentemente su scala locale,
con un mercato di riferimento di dimensione comunale o provinciale e
il 23,6% si muove in una dimensione prevalentemente regionale. Per
quanto riguarda le altre, il 20,9% opera su scala nazionale e soltanto il
4,9% ha una dimensione operativa che va oltre i confini nazionali.
La dimensione geografica del mercato di riferimento,
naturalmente, risulta correlata con la classe dimensionale. La quota
di imprese che operano prevalentemente a livello locale, infatti,
rappresenta il 67,5% fra le imprese fino a 3 addetti, ma scende al 33%
fra quelle con più di 50 addetti. Così come la dimensione, anche il
settore di attività economica condiziona l’ambito di operatività delle
imprese. Se, infatti, la dimensione locale del mercato di riferimento
è particolarmente accentuata fra le imprese della ristorazione e del
commercio (57,1%) e nei servizi alla persona (59,0%), le imprese
manifatturiere si caratterizzano per ambiti di operatività ben più
ampi: di queste, infatti, il 34% opera a livello nazionale e il 12,4%
su mercati esteri (Graf. 510).
Grafico 5.10 Distribuzione delle aziende intervistate per dimensione geografica del mercato
di riferimento
N. casi 901
50,6
Locale (comunale, provinciale)
23,6
Regionale
20,9
Nazionale
4,9
Estero
0
10
20
193
30
40
50
60
La dimensione e l’ambito operativo di riferimento
-prevalentemente locale- risultano coerenti con l’articolazione delle
imprese intervistate in unità locali. L’80%, infatti, ha una sola unità
locale e fra le altre si registra una netta prevalenza di quelle che
dispongono di più unità locali operanti in ambito regionale.
Un ultimo elemento utile a completare l’identikit delle imprese,
che si sono rapportate con i SPI, riguarda la loro propensione e la
loro capacità di innovazione. Per indagare tale aspetto, alle aziende
coinvolte nell’indagine CATI è stato chiesto se e quali innovazioni
avessero introdotto negli ultimi tre anni.
Come si rileva dal grafico, all’interno del campione prevalgono
le imprese che non hanno apportato alcuna innovazione (pari al
64,6% del totale); tuttavia, risulta tutt’altro che marginale (il 35,4%)
la quota di imprese “innovatrici”.
Ma di quali innovazioni si tratta? In dettaglio, un quarto delle
imprese ha introdotto, nel corso dell’ultimo triennio, innovazioni
organizzative, gestionali e commerciali; il 13,9% ha innovato il
proprio prodotto; l’11,9% ha apportato innovazioni al processo
produttivo (Graf. 5.11).
Grafico 5.11 Distribuzione delle aziende intervistate per innovazioni apportate nell’ultimo
triennio
N. casi 901
25,6
Innovazione organizzativa, gestionale, commerciale
13,9
Innovazione di prodotto
11,9
Innovazione di processo
64,6
Nessuna innovazione
0
10
20
30
40
50
60
70
Le imprese innovatrici, in larga parte, si sono concentrate su
una sola tipologia di innovazione (quasi il 70% di coloro che hanno
innovato negli ultimi tre anni). Per contro, le imprese che sono
intervenute su più di una dimensione si attestano su valori ben più
contenuti: rispettivamente il 16,9% e il 14,1%.
Un ultimo aspetto utile a completare l’identikit delle imprese che
nel corso degli ultimi tre anni si sono rapportate con i SPI della
Toscana riguarda le loro dinamiche di fatturato, sia passate che,
soprattutto, future.
194
In un contesto come quello attuale -caratterizzato da una
congiuntura economica particolarmente negativa a cui si accompagna,
ovviamente, un rallentamento delle dinamiche occupazionali sul
territorio regionale- il quadro che emerge relativamente alle aziende
intervistate risulta nel complesso positivo.
In dettaglio, nel corso degli ultimi tre anni circa un quarto delle
imprese (il 24,1%) ha visto crescere il proprio fatturato, che è rimasto
stabile per il 42,1% ed è diminuito per il 23%.
Ad essere penalizzate sono state soprattutto le imprese più
piccole, quelle fino a 3 addetti, il 24,3% delle quali ha visto contrarsi
il proprio fatturato, rispetto al 19,4% delle imprese con 50 addetti
e più, e, naturalmente, le imprese che operano nelle costruzioni
(27,9%) e nel comparto manifatturiero, il 35,1% delle quali ha
registrato una contrazione di fatturato negli ultimi tre anni.
Così come per le dinamiche passate, anche le previsioni formulate
per i prossimi tre anni risultano, nel complesso, positive: il 26,7%
delle imprese intervistate, infatti, prevede di espandere il proprio
fatturato; il 52,6% di mantenerlo stabile e soltanto il 9,8% si attende
una diminuzione. La situazione più critica, coerentemente con quanto
rilevato per i tre anni appena trascorsi, dovrebbe caratterizzare le
imprese dell’edilizia, il 18,6% delle quali prevede una contrazione
del proprio fatturato (Graf. 5.12).
Grafico 5.12 distribuzione delle aziende intervistate per andamento del fatturato negli
ultimi tre anni e per previsione per i prossimi tre anni
Valori %
Nei prossimi tre anni
In diminuzione
Stabile
In aumento
Negli ultimi tre anni
0%
10%
20%
30%
40%
50%
60%
5.5
Le dinamiche occupazionali presenti e future
Un altro aspetto utile a delineare l’identikit delle imprese clienti
dei SPI riguarda il loro profilo occupazionale, la propensione ad
assumere nuovo personale, le difficoltà incontrate nel processo di
195
recruiting e, naturalmente, la natura quantitativa e qualitativa dei
loro fabbisogni professionali.
L’analisi dell’articolazione occupazionale all’interno delle
aziende al momento dell’intervista evidenzia come oltre un terzo
degli addetti (il 34,6%) sia rappresentato da lavoratori indipendenti.
Per quanto riguarda gli altri, circa la metà (il 49,7%) ha un rapporto
di lavoro a tempo indeterminato; i dipendenti con contratto a termine
rappresentano il 12,8% del totale, mentre il peso delle altre forme di
lavoro flessibili risulta più contenuto: gli apprendisti costituiscono
l’1,6% del totale degli addetti; i collaboratori a progetto l’1%; i
lavoratori interinali, infine, lo 0,4%. Il 15,4% degli addetti ha un
rapporto di lavoro part-time e il 3,8% della forza lavoro è costituita
da lavoratori immigrati (Tab. 5.13).
Tabella 5.13 Composizione % degli addetti impiegati nelle aziende intervistate per tipologia
%
Indipendenti
Dipendenti con contratto a tempo indeterminato
Dipendenti con contratto a termine
Apprendisti
Lavoratori interinali
Collaboratori a progetto
Totale
Lavoratori part-time
Lavoratori immigrati
N. casi
34,6
49,7
12,8
1,6
0,4
1,0
100,0
15,4
3,8
901
La composizione occupazionale si modifica in relazione al
diverso settore di attività economica cui appartengono le imprese.
In particolare, le forme di lavoro a termine risultano particolarmente
diffuse fra le aziende agricole, dove oltre la metà degli addetti è
impiegata con tale modalità contrattuale. Seguono la ristorazione e
il commercio (13,3%) e i servizi alle imprese (10,6%).
Il peso percentuale dei contratti di apprendistato risulta
decisamente più elevato rispetto al totale del campione nell’edilizia
(8,1%) e nelle aziende manifatturiere (4,1%).
Le collaborazioni a progetto, infine, sono più frequenti
nell’ambito dei servizi alla persona: in questo settore, infatti,
si attestano all’1,8%, dato questo quasi doppio rispetto all’1%
relativo all’intero campione.
Il peso percentuale dei lavoratori immigrati si attesta su
livelli sensibilmente superiori al valore relativo all’intero
campione nell’agricoltura -dove raggiunge il 15,7%- nelle attività
196
manifatturiere (il 5,8%), nelle costruzioni (4,1%) e nei servizi alla
persona (4%).
La presenza di lavoratori part-time, infine, caratterizza le aziende
che operano nel settore terziario: la ristorazione e il commercio; i
servizi alla persona e, soprattutto, i servizi alle imprese (15,2%).
Nel corso dell’ultimo triennio il 72,4% delle imprese intervistate
ha effettuato assunzioni. Il dato, naturalmente, è da ricondurre alle
caratteristiche del campione e dell’universo di partenza che, come si
ricorda, è rappresentato da tutte quelle che imprese che nel corso del
triennio 2006-2008 si sono rivolte ai SPI per la ricerca di personale
o per l’attivazione di altre consulenze.
Come emerge dai dati riportati nel grafico 5.14, la probabilità
di assumere nuovo personale risulta in primo luogo correlata alle
dimensioni dell’azienda. Se, infatti, ha assunto la metà delle imprese
di più piccole dimensioni (quelle fino a 3 addetti), la percentuale
sale all’89,2% per le imprese da 20 a 49 addetti e all’86,4%per le
imprese con 50 addetti e più.
Grafico 5.14 distribuzione delle aziende intervistate che hanno effettuato assunzioni negli
ultimi tre anni per dimensione
100%
80%
60%
40%
20%
0%
Fino a 3 addetti
4-9 addetti
10-19 addetti
20-49 addetti
Oltre 50 addetti
La propensione ad assumere nuovo personale varia anche in
relazione al settore di attività economica a cui appartiene l’impresa.
Sono le costruzioni il settore dove si registra la percentuale più
elevata di imprese che hanno inserito nuovo personale nel triennio
appena trascorso (81,4%), seguite da ristorazione e commercio
(78,2%), attività manifatturiere e servizi alle persone (74,2%);
chiudono la graduatoria le aziende che operano nell’ambito dei
servizi alle imprese (64,8%).
Verso quali profili professionali si sono indirizzate le richieste
delle imprese che nel corso dell’ultimo triennio hanno effettuato
nuove assunzioni? La distribuzione riportata nella tabella 5.15
197
evidenzia come oltre un terzo (il 34,3%) delle richieste si sia
indirizzato verso commessi, camerieri e venditori; seguono gli
operai comuni (16,2%), gli operai specializzati (14,1%) e gli operai
qualificati (13,1%). Si attestano, per contro, su valori decisamente
contenuti le richieste relative a dirigenti e direttori (0,4%) e alle
professioni intellettuali (2,1%).
Tabella 5.15 Composizione per profili professionali delle assunzioni effettuate dalle
aziende negli ultimi tre anni
%
Dirigenti, direttori
Professioni intellettuali
Impiegati di concetto, tecnici
Commessi, camerieri, venditori
Impiegati esecutivi, di ufficio, segretari
Operai comuni, manovali, lavori manuali non qualificati
Operai qualificati, conduttori di macchine
Capo-operaio, operai specializzati
Totale
N. casi
0,4
2,1
10,1
34,3
9,7
16,2
13,1
14,1
100,0
901
L’indagine evidenzia come una quota non trascurabile di imprese
intervistate abbia delle difficoltà a soddisfare i propri fabbisogni
professionali. Il 27,9%, infatti, dichiara di avere difficoltà in genere
a reperire il personale.
Le difficoltà di reclutamento interessano più le aziende
manifatturiere, fra le quali la percentuale sale al 34%, che le
imprese che operano nell’ambito servizi alle persone, per le quali
la percentuale si ferma al 25,8%. Anche la variabile dimensionale
rappresenta una discriminante significativa: sono infatti le imprese
di piccole e medie dimensioni a denunciare più spesso delle grandi la
presenza di difficoltà nel soddisfare i loro fabbisogni professionali.
Quali sono i profili professionali per i quali si registrano le
maggiori difficoltà? In prima posizione, le aziende segnalano gli
operai specializzati, difficili da reperire per il 19,5%; seguono gli
operai qualificati (19,1%), gli operai comuni (18,3%) e gli impiegati
esecutivi (18,3%).
Dal lato opposto della graduatoria si collocano le professioni
intellettuali (4,4%) e i dirigenti e direttori (1,2%). Il dato,
probabilmente, è in parte da ricondurre anche alla bassa richiesta
che il sistema delle imprese toscane esprime rispetto a tali figure
professionali (Graf. 5.16).
198
Grafico 5.16 Quali sono le professionalità più difficili da reperire per la sua impresa?
Capo-operaio, operai specializzati
19,5
Operai qualificati, conduttori di macchine
19,1
18,3
Operai comuni, manovali, lavori manuali non qualificati
18,3
Impiegati esecutivi, di ufficio, segretari
Commessi, camerieri, venditori
17,1
Impiegati di concetto, tecnici
7,2
4,4
Professioni intellettuali
Dirigenti, direttori
1,2
0
4
8
12
16
20
Come abbiamo osservato, anche per effetto dell’universo
di partenza, le imprese intervistate sono state estremamente
dinamiche nel corso degli anni passati. E per il futuro? Quali sono
le previsioni occupazionali formulate dalle imprese intervistate per
i prossimi tre anni?
Il quadro delineato si presenta decisamente meno dinamico.
L’82,5% delle imprese prevede che nei prossimi tre anni il livello
occupazionale all’interno dell’azienda si manterrà stabile; soltanto il
9,9% ha in mente di espandere il proprio personale; il 7,7%, infine,
prevede che il numero di addetti all’interno dell’azienda subirà
una diminuzione. Nel dettaglio delle diverse tipologie contrattuali,
è interessante osservare come la maggiore mobilità prevista dalle
aziende intervistate -tanto in entrata quanto in uscita- riguarderà
soprattutto i dipendenti a tempo indeterminato e i dipendenti con
contratto a termine. I lavoratori interinali e i collaboratori a progetto,
per contro, si caratterizzano per una situazione di maggiore stabilità
(Graf. 5.17).
Grafico 5.17 % di aziende intervistate per previsioni di stabilità delle diverse tipologie
contrattuali
Lavoratori interinali
87,2
Collaboratori a progetto
83,8
Apprendisti
77,9
Dipendenti a termine
70,4
Dipendenti a tempo indeterminato
68,8
0%
20%
40%
199
60%
80%
100%
5.6
Le modalità di ricerca del personale
Il numero e la tipologia di canali che le aziende attivano per il
processo di recruiting dipendono da una molteplicità di fattori
che, in linea generale, possono essere ricondotti da un lato alle
caratteristiche dell’azienda (dimensioni, localizzazione geografica,
settore di attività economica), dall’altro alla natura del profilo per il
quale si sta effettuando la ricerca.
La scelta di ricorrere ai SPI, pertanto, si colloca nell’ambito
delle strategie di reclutamento -più o meno consapevoli, più o meno
complesse, più o meno standardizzate- che ogni azienda definisce
per soddisfare i propri fabbisogni professionali.
Proprio per questo motivo, prima di entrare nel merito dell’analisi
della tipologia e della qualità delle relazioni fra imprese e SPI, è
utile ricostruire il profilo delle aziende intervistate, per comprendere
quali canali vengono attivati nel processo di recruiting.
Nel grafico 5.18 sono indicati da un lato i canali di ricerca che
le aziende utilizzano generalmente, dall’altro quelli che sono stati
attivati nel corso dell’ultimo triennio.
Grafico 5.18 Aziende intervistate per canali di ricerca attivati in genere e nell’ultimo triennio
Valori %
Centri per l’impiego
Conoscenze dirette di potenziali dipendenti
Curricula pervenuti/database aziendali
Segnalazioni conoscenti, amici, parenti
Ultimo triennio
Agenzie per il lavoro
In genere
Internet
Quotidiani e stampa specializzata
Associazioni di categoria/enti bilaterali, ecc.
Segnalazione centri di formazione, scuole, università
0%
10%
20%
30% 40%
50%
60%
Il canale di ricerca più utilizzato è rappresentato dai CPI, a cui in
genere fa ricorso il 59,3% delle imprese intervistate. Un dato questo
che in parte risente delle caratteristiche dell’universo di partenza,
costituito da aziende che negli ultimi tre anni appunto si sono rivolte
ai CPI per ricerca e selezione del personale, ma che a nostro avviso è
200
anche indicativo del progressivo costituirsi di un nucleo di imprese
“fidelizzate”, che trovano nei servizi offerti risposte adeguate alle
proprie esigenze (come vedremo in seguito anche in relazione ai
buoni livelli di gradimento dei servizi offerti).
Per quanto riguarda le altre modalità di recruiting, il 46,9% segnala
conoscenze dirette di potenziali dipendenti, il 31,1% ha utilizzato i
curricula pervenuti e archiviati nei data base aziendali, il 26,2% ha
fatto ricorso alle segnalazioni di parenti, conoscenti e amici.
L’utilizzo degli altri canali risulta, per contro, assai marginale:
soltanto il 7,1% delle aziende si è rivolto ad Agenzie per il lavoro;
il 6,7% ha utilizzato Internet; il 5,5% ha pubblicato inserzioni
sui quotidiani e sulla stampa specializzata; il 2,6% è passato da
Associazioni di categoria; il 2,3% ha attivato contatti con centri di
formazione, scuole e università.
Il quadro descritto non si modifica nella sua composizione se
focalizziamo l’attenzione sui canali di reclutamento attivati dalle
aziende intervistate nel corso degli ultimi tre anni, confermando la
graduatoria di preferenza.
La distribuzione di frequenza relativa ai canali attivati nell’ultimo
triennio, tuttavia, indica un’attività di ricerca meno intensa. Quali
le possibili cause? Non disponiamo, in questa sede, di elementi che
ci consentano di spiegare con certezza il fenomeno descritto, ma
possiamo comunque provare a formulare alcune ipotesi.
Il minore ricorso a tutti i canali di ricerca -rispetto al loro
uso abituale- potrebbe essere da imputare al fatto che le aziende
hanno cercato meno personale; ciò potrebbe aver determinato
l’implementazione di strategie di recruiting più blande. Le aziende,
inoltre, nel corso del tempo potrebbero aver affinato le loro strategie
con la conseguenza che, dopo aver provato diversi canali, tendano
a concentrarsi su quelli che, in base alla loro esperienza, risultano
più efficaci.
L’indagine conferma le note relazioni fra caratteristiche delle
imprese e tipologia di canali attivati per la ricerca di personale. Vi
è in primo luogo da osservare come siano le imprese di maggiori
dimensioni a predisporre le strategie di ricerca più complesse. In
altre parole, al crescere della dimensione aziendale -misurata dal
numero di addetti- aumenta il numero e il mix di canali attivati per
realizzare il processo di recruiting.
Anche nella scelta di alcuni strumenti di ricerca si osserva una
chiara correlazione con la dimensione delle aziende. è il caso, ad
esempio, dei curricula pervenuti e dei database aziendali, a cui
201
ricorre il 19,4% delle imprese fino a 3 addetti, contro il 61,2% delle
imprese con 50 addetti e più. Le imprese più grandi, in genere,
dispongono di una funzione aziendale dedicata alle “risorse umane”,
che raccoglie, gestisce e organizza le candidature. È altrettanto
vero che più grandi sono le imprese -e, dunque, la loro notorietàmaggiori sono le probabilità che siano destinatarie di candidature
inviate spontaneamente da persone in cerca di lavoro.
Anche il ricorso alle agenzie di lavoro -del tutto marginale fra le
imprese più piccole (1,9%)- è più frequente fra le imprese medie e
grandi: vi ricorre, rispettivamente il 12,7% delle imprese da 20 a 49
addetti e il 17,5% delle imprese con 50 addetti e più.
Così come la dimensione, anche il settore economico di
appartenenza condiziona le strategie di ricerca e selezione del
personale. In merito, è interessante osservare come i meccanismi di
ricerca informali -basati cioè sulla conoscenza diretta dei potenziali
dipendenti e sulla segnalazione di conoscenti, amici e parenticaratterizzino le imprese manifatturiere, dove le percentuali si
attestano rispettivamente al 56,7% e al 34,0% (come si ricorderà, i
valori per l’intero campione risultano pari al 46,9% e al 26,2%).
Il ricorso ai meccanismi di ricerca informale si riduce invece fra
le imprese che operano nel comparto dei servizi e raggiunge il livello
più basso nell’area della ristorazione e del commercio (44,1%).
Anche la propensione all’innovazione, in qualche modo, sembra
agire sulle strategie e sugli strumenti di ricerca, seppure il fenomeno
richiederebbe un approfondimento ad hoc. L’indagine realizzata,
in ogni modo, evidenzia che le imprese che hanno introdotto
almeno una forma di innovazione ricorrono più frequentemente
delle altre ai database aziendali (il 35,4% rispetto al 28,7%), all’erecruitment (il 9,1% contro il 5,3%) e alle Agenzie per il lavoro
(l’11,9% rispetto al 4,5%).
Molte delle aziende intervistate adottano, dal punto di vista delle
strategie di ricerca del personale, comportamenti piuttosto semplici:
poco meno della metà delle imprese (il 47%), infatti, ha attivato
un solo canale e il 37,8% ha utilizzato due canali. La percentuale
di imprese che implementano strategie più complesse, per contro,
risulta minoritaria: soltanto il 15,2%, infatti, ha attivato tre o più
canali (Graf. 5.19).
Il ricorso ad un solo canale nel processo di recruiting è frequente
soprattutto fra le imprese di piccole dimensione (il totale delle aziende
fino a 3 addetti; il 63,4% delle aziende da 4 a 9 addetti); le imprese
più grandi, per contro, si contraddistinguono per strategie di ricerca
202
più complesse. In merito, si può osservare come quasi tutte le imprese
con più di 50 addetti abbiano attivato almeno tre canali di ricerca.
Grafico 5.19 Composizione % delle aziende intervistate per numero di canali attivati per la
ricerca di personale nell’ultimo triennio
3 canali e più
15%
1 canale
47%
2 canali
38%
Fonte: Indagine Irpet
A differenza della dimensione, la variabile settoriale presenta,
in relazione al fenomeno indagato, una valenza esplicativa ben
più contenuta. In altre parole, nella numerosità di canali attivati,
le differenze fra aziende che appartengono a settori di attività
economica diversi sono in genere poco marcate. Se, ad esempio,
consideriamo le imprese che hanno attivato tre o più canali di ricerca,
la percentuale più elevata si registra fra le aziende manifatturiere (il
18,6%) e quella più contenuta nell’ambito delle costruzioni (11,6%),
con un differenziale che non va oltre i sette punti percentuali.
Come abbiamo osservato, nel corso degli ultimi tre anni il 56,2%
delle imprese intervistate ha utilizzato il canale dei CPI. Il ricorso
al canale pubblico appare più diffuso fra le imprese di minore
dimensione e tende a diminuire al crescere della dimensione
aziendale. L’indagine evidenzia alcune differenze anche in relazione
al settore economico di appartenenza, così come emerge dal grafico.
La percentuale di imprese che hanno attivato il canale dei CPI
raggiunge il valore più elevato fra le imprese delle costruzioni
(65,1%); seguono le imprese della ristorazione e del commercio
(60,6%), le attività manifatturiere (57,7%), i servizi alle imprese
(56,3%) e, infine, i servizi alle persone (51,7%) (Graf. 5.20).
Se la relazione fra dimensione aziendale e uso dei servizi risulta
piuttosto intuitiva, il rapporto con il settore di attività economica
appare più difficile da spiegare. Si può osservare, tuttavia, come sia
il settore delle costruzioni (soprattutto le attività legate alle grandi
opere) che il commercio e la ristorazione si caratterizzino per un
andamento ciclico e stagionale dell’attività, che richiede in alcuni
203
periodi un incremento della forza lavoro impegnata all’interno delle
aziende (che in genere si traduce in una domanda di lavoratori a
termine), muovendo un più elevato numero di vacancies. è probabile
che tale esigenza abbia contribuito in qualche misura a rafforzare i
rapporti con i SPI nei processi di ricerca e selezione del personale.
Grafico 5.20 % di imprese che nell’ultimo triennio si sono rivolte ai CPI per settore di attività
economica e classe dimensionale
Costruzioni
65,1
Ristorazione e commercio
60,6
Manifattura
57,7
Servizi alle imprese
56,3
Servizi alle persone
51,7
Agricoltura
50,0
Fino a 3 addetti
56,8
4-9 addetti
57,1
10-19 addetti
58,1
20-49 addetti
52,0
50 addetti e più
49,5
0%
10%
20%
30%
40%
50%
60%
70%
L’indagine realizzata evidenzia, dunque, che negli ultimi tre anni
il 43,8% delle imprese intervistate non ha fatto ricorso ai CPI per la
ricerca di personale. Le loro principali caratteristiche, naturalmente,
risultano speculari a quelle precedentemente descritte.
In termini dimensionali, sono le aziende di media e grande
dimensione che, più spesso delle altre, scelgono di non utilizzare i
SPI nei processi di recruiting, con percentuali che si attestano intorno
al 50% (in dettaglio, non ricorre ai CPI il 48% delle imprese da 20 a
40 addetti e il 50,5% delle imprese con 50 addetti e più). Così come
la variabile dimensionale, anche quella settoriale delinea differenze
interessanti. In particolare, la probabilità di non utilizzare i SPI
appare più elevata fra le imprese dei servizi alla persona (48,3%)
e dei servizi alle imprese (43,7%) rispetto alle imprese degli altri
settori di attività economica.
Alle imprese che non hanno utilizzato i servizi, è stato chiesto
di indicare il motivo principale. Le risposte si polarizzano
essenzialmente su due degli items proposti in sede di intervista. In
dettaglio, il 53,3% dichiara che gli altri canali fino ad ora utilizzati
204
sono stati efficaci e, dunque, non c’è stato bisogno di modificare
le strategie di ricerca. Il 42,4% preferisce invece una conoscenza
diretta dei candidati, esprimendo così un atteggiamento di diffidenza
rispetto alla presenza di un soggetto terzo nel processo di ricerca e
selezione del personale.
Le altre due motivazioni proposte nel questionario risultano del
tutto residuali: il 2,6% degli intervistati preferisce rivolgersi alle
agenzie private e appena l’1,7% dichiara di non conoscere il servizio
offerto dai CPI (Tab. 5.21).
Tabella 5.21 Aziende che non utilizzano i SPI nella ricerca di personale per motivi di non
utilizzo
%
Gli altri canali finora utilizzati sono stati soddisfacenti
è preferibile una conoscenza diretta dei candidati
Sono preferibili le agenzie private
Non sapevo che i CPI offrissero questo servizio
Totale
N. casi
53,3
42,4
2,6
1,7
100,0
395
5.7
L’accesso ai servizi di ricerca e selezione del personale offerti dai
Centri per l’impiego
Come abbiamo osservato, quasi il 60% delle imprese coinvolte
nell’indagine si sono rivolte ai CPI della Toscana nella ricerca di
personale.
La motivazione prevalente, come si rileva dai dati riportati nella
tabella, è da ricondurre al fatto che per quasi la metà delle aziende
intervistate (il 47,8%) i SPI consentono di ricercare personale con
profili professionali specializzati. Le altre aziende si ripartiscono,
in maniera abbastanza omogenea, fra due degli altri tre items
proposti: il 22,9% ha scelto di rivolgersi al servizio offerto dal
CPI per ricercare personale, di qualsiasi livello, in tempo brevi; il
21,4% utilizza i servizi per ricercare personale con profili generici.
Soltanto il 7,9%, infine, dichiara di aver fatto ricorso al canale
pubblico per contenere i costi del processo di recruiting (Tab.
5.22). La dimensione aziendale non sembra incidere in maniera
significativa sui motivi di utilizzo. Per quanto concerne il settore
di attività economica, due appaiono gli elementi su cui soffermare
l’attenzione. Da un lato, la percentuale più elevata di imprese
205
che ricorrono ai CPI per ricercare personale con profili elevati/
specializzati si registra nell’ambito dei servizi alle persone (il
53,5% rispetto al 47,8% rilevato per l’intero campione). Dall’altro,
la percentuale più elevata di imprese che hanno dichiarato di
ricorrere ai CPI per ricercare personale in tempi brevi si registra
nell’area della ristorazione e del commercio (il 28,8% rispetto al
22,9% dell’intero campione).
Tabella 5.22 Aziende che utilizzano i SPI nella ricerca di personale per motivi di utilizzo
%
Ricercare personale con profili professionali specializzati
Ricercare in tempi brevi personale di qualsiasi livello
Ricercare personale con profili professionali generici
Ricercare gratuitamente personale di qualsiasi livello
Totale
N. casi
47,8
22,9
21,4
7,9
100,0
533
Il 53,7% delle aziende che si sono rivolte ai CPI per la ricerca
di personale si è avvalso del servizio di preselezione; il 51,4% ha
attivato il servizio di avviso di ricerca del personale. La distribuzione
di frequenza relativa alla tipologia di servizi utilizzati appare
particolarmente interessante. Se, infatti, oltre la metà (il 51,4%)
delle imprese intervistate ricorrono ai SPI come semplice canale di
pubblicizzazione delle job vacancies, una quota più elevata, seppure
non di molto (il 53,7%), ha scelto di fruire di un servizio a maggiore
valore aggiunto, quello cioè di preselezione del personale.
Risulta, per contro, ancora limitato il ricorso alle altre tipologie
di servizi, la cui offerta, peraltro, sembra ancora non essere diffusa
in maniera omogenea sul territorio regionale. In dettaglio, come si
rileva dal grafico, il 9,2% delle aziende ha usufruito del servizio di
selezione e il 6,8% ha ricevuto informazioni e consulenza su incentivi
e assunzioni agevolate (Graf. 5.23).
Oltre la metà delle aziende che si rivolgono ai SPI, dunque,
utilizzano il servizio di preselezione rispetto al quale tanto le
indicazioni oggettive sul livello di efficacia, quanto le valutazioni
delineano un quadro decisamente positivo.
Cominciamo con il primo aspetto. Come appare evidente dallo
schema 5.24 -che sintetizza il processo di relazione con i SPI- soltanto
nel 13,1% dei casi gli operatori predisposti ad erogare il servizio di
preselezione non sono stati in grado di individuare candidati con
profili adeguati rispetto alle esigenze delle aziende clienti.
206
Grafico 5.23 Aziende che utilizzano i SPI nella ricerca di personale per tipologia di servizi
utilizzati
Valori %
Preselezione del personale
53,7
Avviso di ricerca del personale
51,4
Selezione del personale
9,2
Informazione/consulenza su incentivi e
assunzioni agevolate
6,8
0%
10%
20%
30%
40%
50%
60%
Schema 5.24Ricostruzione del servizio di preselezione e del suo livello di efficacia per le
aziende che hanno attivato il servizio
AZIENDE CHE HANNO ATTIVATO IL SERVIZIO DI PRESELEZIONE
86,9%
13,1%
IL CPI NON HA INDIVIDUATO CANDIDATI
CON PROFILI ADEGUATI
AZIENDE CHE HANNO RICEVUTO
NOMINATIVI/CURRICULA
65,4%
21,5%
AZIENDE CHE HANNO ASSUNTO
ALCUNI DEI CANDIDATI PROPOSTI
AZIENDE CHE NON HANNO ASSUNTO
NESSUNO DEI CANDIDATI PROPOSTI
Il livello di efficacia del servizio risulta decisamente elevato: il
65,4% delle aziende che hanno attivato la preselezione, infatti, ha
assunto almeno uno dei candidati scegliendo fra i profili presentati
dai SPI; il 21,5% delle aziende, per contro, dopo aver visionato
i profili proposti dagli operatori del servizio, non ne ha assunto
nessuno.
Il dato oggettivo trova conferma nelle valutazioni formulate
dalle aziende intervistate. Chi ha attivato il servizio di preselezione,
infatti, esprime un giudizio nel complesso positivo: oltre un terzo
delle aziende (il 33,2%) si dichiara molto soddisfatto e il 57%
abbastanza soddisfatto. L’area dell’insoddisfazione, per contro, si
attesta su valori inferiori al 10% (il 7,7% poco soddisfatto; il 2% per
niente soddisfatto).
207
Il principale motivo di soddisfazione per il servizio di preselezione
è indubbiamente rappresentato dalla tempestività: il 42,3% delle
imprese, infatti, rileva come gli operatori dei SPI abbiano inviato
tempestivamente l’elenco dei candidati. Fra gli altri motivi che
concorrono a determinare l’elevato livello di apprezzamento
complessivo da parte delle aziende clienti, si rilevano la disponibilità
e la competenza degli operatori che si occupano di gestire il servizio
(26,5%), l’adeguatezza delle candidature ricevute rispetto alle
richieste formulate (21,8%), il numero elevato di curricula ricevuti
fra cui poter scegliere (20,1%).
E per quanto riguarda i motivi di insoddisfazione? L’elevato
livello di apprezzamento rispetto al servizio offerto trova conferma
anche nel fatto che, nonostante la domanda fosse stata posta a tutti
coloro che hanno utilizzato il servizio, a prescindere dal giudizio
espresso, oltre il 70% delle aziende clienti non riscontra alcun
motivo di insoddisfazione (Graf. 5.25).
Grafico 5.25 Quali sono stati i principali motivi di soddisfazione?
Valori %
L’elenco dei candidati è stato inviato tempestivamente
42,3
L’operatore si è mostrato disponibile e competente
26,5
I profili dei candidati erano specifici e
adeguati alle esigenze dell’impresa
L’elenco conteneva molti nominativi
tra cui poter scegliere
L’elenco conteneva pochi nominativi
ma scelti con precisione
21,8
20,1
14,8
12,1
Servizio gratuito
Sono state proposte altre soluzioni e/o informazioni
(ad es. tirocini, assunzioni agevolate, ecc.)
2,7
0%
9%
18%
27%
36%
45%
Per quanto riguarda le altre -che, dunque, rappresentano una
quota circoscritta della clientela dei CPI- il principale motivo
di insoddisfazione è da ricercare nella qualità delle candidature
individuate dagli operatori: oltre il 65% degli intervistati, infatti,
sostiene che i profili erano troppo generici e inadeguati rispetto alle
esigenze dell’impresa. Contestualmente, l’indagine evidenzia come
i motivi di insoddisfazione riconducibili da un lato alle modalità
di funzionamento del servizio e dall’altro alle competenze degli
operatori preposti siano assai poco rilevanti (Graf. 5.26).
208
Grafico 5.26 Quali sono stati i principali motivi di insoddisfazione?
Valori %
I profili dei candidati erano troppo generici
e inadeguati alle esigenze dell’impresa
Non sono state proposte
altre soluzioni e/o informazioni
L’elenco conteneva troppi nominativi
58,1
16,3
12,8
L’elenco conteneva un numero esiguo di nominativi
11,6
L’elenco non è stato inviato tempestivamente
11,6
L’operatore non si è mostrato
disponibile e competente
5,8
Non è stato fornito alcun elenco
4,7
0%
10%
20%
30%
40%
50%
60%
Come abbiamo osservato, il ricorso da parte delle aziende al
servizio di selezione risulta contenuto (poco più del 9%). Il fenomeno
è da ricondurre a due ordini di motivi: da un lato l’offerta del
servizio sembra essere ancora poco diffusa sul territorio; dall’altro
pesa certamente la resistenza, soprattutto culturale, di molte aziende
a farsi affiancare da consulenti (sia pubblici che privati) nelle fasi
finali del processo di recruiting.
Il numero relativamente contenuto di casi osservati, dunque,
permette di fare alcune osservazioni più di natura qualitativa che
quantitativa, dalle quali, in ogni modo, emerge un quadro positivo.
Il livello di efficacia e il grado di apprezzamento fra le -ancora
poche- aziende clienti risulta coerente con quanto emerso in merito
al servizio di preselezione. Oltre la metà delle aziende che hanno
utilizzato il servizio di selezione del personale si dichiara soddisfatto.
L’elevato livello di apprezzamento deve essere ricondotto da un lato
alla elevata capacità del servizio di rispondere ai suoi obiettivi (“il
candidato aveva un profilo specifico e adeguato alle competenze”) e
dall’altro alla professionalità degli operatori dei SPI (“l’operatore si
è mostrato disponibile e competente”).
5.8
Conoscenza, utilizzo e valutazione dei servizi offerti dai Centri per
l’impiego
Nel corso del precedente paragrafo abbiamo esplorato il rapporto
fra imprese e CPI relativamente ai processi di ricerca e selezione
del personale. In particolare, ci siamo soffermati a descrivere, per
209
quelle aziende che ricorrono al canale dei SPI per soddisfare i loro
fabbisogni professionali, la tipologia di servizi attivati rispetto alla
gamma offerta dal canale pubblico, il livello di efficacia, i punti di
forza e di debolezza.
Allargando la prospettiva e il campo di osservazione, dedichiamo
questo paragrafo ad esplorare il rapporto fra imprese e CPI a tutto tondo,
indagando dunque il livello di conoscenza e di utilizzo relativamente
alla gamma completa di servizi offerti alle imprese: dagli adempimenti
amministrativi alle informazioni sulla L. 68/99; dalle informazioni
alla consulenza su assunzioni agevolate e crisi aziendali.
Prima di entrare nel merito dell’analisi dei risultati, ci preme
ricordare ancora una volta che l’indagine restituisce il punto di vista
di un segmento particolare di imprese, quelle cioè che nel corso del
triennio 2006-2008 si sono rivolte a CPI per la ricerca di personale
o per altri servizi di consulenza.
•• Canali e grado di notorietà fra le imprese dei principali servizi
offerti93
Attraverso quali canali le aziende intervistate sono venute a
conoscenza dei servizi offerti dai CPI della Toscana? Analizzando
le risposte, due sembrano essere i canali informativi a maggiore
efficacia: il contatto diretto da parte del CPI da un lato (segnalato
dal 37,3% delle aziende intervistate); i commercialisti/consulenti del
lavoro dall’altro (31,6%). Le aziende segnalano, seppure in maniera
minore, anche il meccanismo del passaparola (il 18,1% delle aziende
intervistate è venuta a conoscenza dei servizi tramite conoscenti e
colleghi) e Internet (il 17,5%).
Gli altri canali informativi -dalla stampa alle Associazioni di
categoria; dagli altri uffici pubblici alle Camere di commerciosono evidentemente meno efficaci, almeno nel caso del campione
oggetto di indagine (Graf. 5.27). Le caratteristiche dell’universo
di riferimento si riflettono in primo luogo sul grado di conoscenza
rispetto ai servizi offerti dai CPI presenti sul territorio regionale.
Il livello di conoscenza dei principali servizi si attesta intorno al
50%: informazioni e consulenza su assunzioni agevolate e tirocini
(53,8%); informazioni e consulenza su assunzioni agevolate e
incentivi alle imprese (52,1%); informazioni e consulenze relative
alle assunzioni previste dalla L.68/99 (48,6%); informazioni relative
alle comunicazioni previste per legge (46,1%).
Per quanto riguarda i servizi di preselezione e selezione del personale, si rimanda all’analisi proposta
nel paragrafo precedente.
93
210
Grafico 5.27 Imprese per canali di conoscenza dei servizi offerti dai CPI
Valori %
Contattata direttamente dal Centro per l’impiego
37,3
Commercialista/consulente del lavoro
Conoscenti/colleghi
18,1
Internet
17,5
31,6
Annunci su stampa, media
6,0
4,7
Associazioni di categoria/enti bilaterali
Altri uffici pubblici
2,2
Camere di commercio
1,3
0%
10%
20%
30%
40%
I servizi appena ricordati, dunque, sono noti a circa la metà delle
imprese intervistate. In merito, tuttavia, sono necessarie alcune
precisazioni, che in parte contribuiscono a spiegare le differenze
nel livello di conoscenza dei diversi servizi. In molti casi, i rapporti
fra aziende e CPI, soprattutto per quanto attiene alle attività
prettamente amministrative, sono mediati dai commercialisti e dai
consulenti del lavoro. In altri casi i servizi erogati dai CPI sono
destinati soltanto ad alcune categorie di aziende. Il servizio di
informazioni e consulenze relative alle assunzioni previste dalla
L.68/99, ad esempio, è rivolto soltanto alle aziende interessate
dall’obbligo di assunzione previsto dalla legge, quelle cioè con
almeno 15 dipendenti, fra le quali il livello di conoscenza supera
l’80% (rispetto al 48,6% del totale del campione).
I dati rilevati, infine, indicano come il servizio meno conosciuto
dalle aziende intervistate sia quello relativo alle informazioni e
alla consulenza su crisi aziendali: dichiara di conoscerlo meno di
un’azienda su tre (31,6%) (Graf. 5.28).
Grafico 5.28 Imprese per conoscenza dei principali servizi offerti dai CPI
Valori %
Informazioni e consulenza su opportunità formative
e tirocini
Informazioni e consulenza su assunzioni agevolate
e incentivi alle imprese
Informazioni e consulenza relative alle assunzioni previste
dalla L. 68/99 (norme per il diritto al lavoro dei disabili)
Informazioni relative alle comunicazioni previste per legge
(assunzioni, cessazioni, trasformazioni proroghe)
53,8
52,1
48,6
46,1
Informazioni e consulenza su crisi aziendali
31,6
0%
211
20%
40%
60%
•• Utilizzo, efficacia e grado di apprezzamento dei servizi offerti
alle imprese
Il grado di conoscenza dei servizi offerti, naturalmente, ne
condiziona anche il livello di utilizzo.
Il 20,4% delle imprese ha utilizzato il servizio di informazioni e
consulenze su opportunità formative e tirocini, il 19,3% il servizio di
informazioni relative alle comunicazioni previste per legge, il 18,4%
il servizio di informazioni e consulenze su assunzioni agevolate
e incentivi alle imprese e il 15,5% il servizio di informazioni e
consulenza relative alle assunzioni previste dalla L.68/99 (15,5%).
Coerentemente con quanto abbiamo osservato in merito al livello di
conoscenza, infine, soltanto il 6,9% delle aziende intervistate utilizza
il servizio di informazioni e consulenze su crisi aziendali.
Come appare evidente dal grafico 5.29, il giudizio sull’utilità dei
servizi offerti dai CPI riflette in larga parte il profilo relativo a livello
di conoscenza e di utilizzo. È, infatti, il servizio di informazioni
e consulenze su opportunità formative e tirocini (34%) ad essere
ritenuto più utile, seguono le informazioni e consulenza relative
alle assunzioni previste dalla L.68/99 (29,5%), le informazioni e
consulenze su assunzioni agevolate e incentivi alle imprese (29,4%),
le informazioni relative alle comunicazioni previste per legge
(25,4%) e, infine, il servizio di informazioni e consulenze su crisi
aziendali (17,9%).
Grafico 5.29 Imprese che hanno utilizzato i servizi e imprese che li ritengono utili (a
prescindere dall’utilizzo)
Valori %
Informazioni e consulenza su opportunità formative
e tirocini
Informazioni relative alle comunicazioni previste per legge
(assunzioni, cessazioni, trasformazioni proroghe)
Informazioni e consulenza su assunzioni agevolate e
incentivi alle imprese
Informazioni e consulenza relative alle assunzioni previste
dalla L. 68/99 (norme per il diritto al lavoro dei disabili)
Utilità
Informazioni e consulenza su crisi aziendali
Utilizzo
0%
9%
18%
27%
36%
Nel corso degli ultimi tre anni, il 60,5% degli intervistati si è
recato in uno dei CPI della nostra regione. Il giudizio relativo alle
strutture e agli operatori, che rappresenta uno degli aspetti indagati
212
attraverso il questionario, risulta decisamente positivo, come si rileva
dalle valutazione delle aziende, a cui è stato chiesto di assegnare un
voto da 1 (per niente soddisfatto) a 5 (molto soddisfatto) al personale,
alle strutture e ai processi di erogazione dei servizi.
Come si rileva dalla tabella 5.30 il punto di forza dei servizi sembra
essere rappresentato soprattutto dal personale, in termini di cortesia e
disponibilità (4,3), competenze professionali (4,2), tempestività della
risposta e chiarezza e completezza delle informazioni ricevute (4,0).
Seguono la semplicità della modulistica -cui è assegnato un voto medio
di 3,9- e gli orari di apertura (3,8) (Tab. 5.30).
Tabella 5.30 Giudizio delle imprese che nel corso degli ultimi tre anni si sono recate presso
i CPI su alcuni aspetti
Voto medio
Orari di apertura
Semplicità della modulistica
Chiarezza e completezza delle informazioni ricevute
Tempestività della risposta
Cortesia e disponibilità del personale
Competenze professionali del personale
N. casi
3,8
3,9
4,0
4,0
4,3
4,2
545
•• L’attività promozionale verso le imprese: punti di forza e di
debolezza
L’attività promozionale dei CPI ha interessato, nel complesso, una
quota piuttosto circoscritta di imprese: il 29,4% ha ricevuto materiale
informativo; il 13% ha ricevuto visite da parte degli operatori.
Il marketing presso le imprese, dunque, presenta ampi margini
di espansione: il 34,3% delle aziende intervistate, infatti, si dichiara
interessato a ricevere materiale informativo; il 31,3% desidererebbe
ricevere visite, presso la propria azienda, degli operatori dei CPI
(Graf. 5.31).
Grafico 5.31 Attività promozionale dei SPI: % di imprese che hanno ricevuto materiale
informativo e/o visite degli operatori, che sarebbero interessati, che non
desiderano
Valori %
Ricevuto
Visite degli operatori dei CPI
No, ma interessato
Non interessato
Materiale informativo
0%
20%
40%
213
60%
80%
100%
Rispetto a tale modalità promozionale, tuttavia, emergono alcuni
punti controversi, sui cui è opportuno soffermare l’attenzione. Il
primo aspetto da rilevare è dato dal fatto che oltre la metà delle
aziende (il 55,7%) non ha mai ricevuto visite da parte degli operatori
e si dichiara non interessata a riceverne, mostrando una certa
resistenza rispetto alle attività di marketing che molti SPI hanno
predisposto per rafforzare le relazioni con la domanda di lavoro. A
ciò si aggiunge che quasi un terzo degli intervistati, come vedremo
più avanti, ritiene addirittura inutile l’attività promozionale svolta
dagli operatori dei CPI presso le aziende. Gli imprenditori che hanno
ricevuto in azienda le visite degli operatori -che, come si ricorda,
rappresentano il 13,1% del campione- esprimono un giudizio
decisamente positivo rispetto a tale modalità promozionale.
In una scala da 1 (per nulla soddisfatto) a 5 (molto soddisfatto),
le aziende sembrano aver apprezzato soprattutto la cortesia e la
disponibilità degli operatori (4,1) e la chiarezza delle informazioni
sui servizi offerti (3,9) e un po’ meno il livello di conoscenza
del mercato del lavoro locale mostrato dagli operatori (3,8) e dei
fabbisogni professionali (3,8), seppure le differenze registrate, come
appare dai dati riportati nel prospetto, siano minime (Tab. 5.32).
Tabella 5.32 Giudizio delle imprese che hanno ricevuto visite di operatori dei CPI su alcuni
aspetti
Aspetti valutati
Voto medio
Chiarezza delle informazioni sui servizi offerti dai CPI
Cortesia e disponibilità degli operatori
Livello di conoscenza del mercato del lavoro locale degli operatori
Livello di conoscenza dei fabbisogni professionali
N. casi
3,9
4,1
3,8
3,8
117
Oltre la metà delle imprese intervistate, dunque, non desidera
ricevere visite promozionali in azienda, seppure, almeno in linea
teorica, l’attività venga considerata utile.
Come si rileva dalla tabella 5.33, infatti, il 50,5% delle aziende
ritiene utile l’attività di marketing svolta dagli operatori, perché
permette di conoscere i servizi offerti e perché consente di instaurare
rapporti con gli operatori (13,4%). Il 31,3% delle aziende intervistate,
per contro, la ritiene inutile, perché sono sufficienti gli strumenti
tradizionali.
214
Tabella 5.33 Ritiene utile l’attività promozionale svolta dagli operatori del CPI presso le
aziende?
%
Sì, perché permette di conoscere i servizi offerti
Sì, perché consente di instaurare rapporti con gli operatori
No, sono sufficienti gli strumenti informativi tradizionali
Non sa/non risponde
N. casi
50,5
13,4
31,3
4,8
901
•• Le aspettative delle imprese nei confronti delle attività dei Centri
per l’impiego
Un’ultima sezione del questionario sottoposto alle imprese prevedeva
una serie di quesiti volti ad indagare le aspettative delle imprese nei
confronti dei CPI e le possibilità di miglioramento e/o integrazione
dei servizi esistenti.
In primo luogo è stato chiesto alle aziende di indicare quali aspetti
i CPI dovrebbero curare e sviluppare di più per venire incontro alle
esigenze delle imprese.
Oltre 1/3 del campione ritiene sia importante investire sulla
capacità dei CPI di offrire informazioni aggiornate sulla presenza
di incentivi alle imprese, così come altrettanto importante è ritenuto
l’informazione relativa alla legislazione in materia di lavoro e di
contratti (27%). Circa ¼ degli intervistati ritiene anche sia necessario
investire su una maggiore diffusione e pubblicità dei servizi offerti
dai CPI (Graf. 5.34).
Grafico 5.34 Secondo lei i CPI quali aspetti dovrebbero curare e sviluppare di più per venire
incontro alle esigenze della sua impresa
Valori % (max tre risposte)
Informazione costante su incentivi alle imprese
Informazione costante sulle leggi e sui contratti
Maggiore diffusione e pubblicità dei servizi erogati
Consulenza personalizzata
Valutazione dei fabbisogni professionali delle imprese
Informazione costante sulle dinamiche del mercato del lavoro locale
Maggiore flessibilità e velocità nelle risposte
Non sa non risponde
35,8
27,4
23,6
18,8
16,6
15,2
9,0
17,8
0%
10%
20%
30%
40%
Oltre agli ambiti di miglioramento relativi all’offerta dei
servizi, abbiamo chiesto alle imprese anche di indicare le modalità
215
comunicative che a loro avviso i CPI dovrebbero implementare per
rispondere alle esigenze espresse dalle aziende.
In linea generale sembra emergere una preferenza per attività
di consulenza personalizzata, sfruttando modalità come la posta
elettronica (42%) o canali come il numero verde (20%), mentre meno
centrale nelle loro aspettative sembra essere la visita in azienda.
Dall’altro lato sembra essere necessario mantenere alto l’impregno
sul versante informativo attraverso strumenti come la newsletter
elettronica (30%) (Graf. 5.35).
Grafico 5.35 Secondo lei i CPI quali modalità comunicative dovrebbero sviluppare e/o
incrementare per venire incontro alle esigenze della sua impresa
Valori %
Consulenza personalizzata via e-mail
42,4
Newsletter elettronica
30,2
Consulenza personalizzata tramite numero verde
20,1
Visite aziendali
13,2
Forum, bacheca, FAQ
9,0
Servizio di informazione via SMS
4,3
Non sa/non risponde
14,1
0%
5%
10% 15% 20% 25% 30% 35% 40% 45%
•• Informatizzazione dei servizi e relazioni con le imprese clienti
Ci soffermiamo, per concludere, sul grado di informatizzazione
delle relazioni fra aziende e SPI che, soprattutto alla luce degli
obiettivi delle politiche locali degli ultimi anni, costituisce un aspetto
interessante da esplorare.
Come noto, a partire dagli anni Duemila la Pubblica
Amministrazione -dal livello centrale a quello locale- ha investito
una notevole quantità di risorse nei processi di informatizzazione,
mirando ad incentivare la competitività del tessuto produttivo e a
migliorare la qualità della vita dei cittadini (Regione Toscana, 2009).
In questo contesto le politiche locali implementate nella nostra
regione sono state particolarmente intense, tanto che gli enti locali
della Toscana si caratterizzano per livelli di dotazione tecnologica,
informatizzazione dei processi produttivi interni e grado di interattività
nelle relazioni con l’esterno sensibilmente superiori al valore
medio nazionale e fra i più elevati nel confronto con le altre regioni
italiane94.
In particolare, per quanto riguarda le Amministrazioni Provinciali della Toscana, l’indagine evidenzia la
diffusione pressoché totale della gestione in maniera informatizzata dei CPI.
94
216
In questo contesto, dunque, in cui tutti i CPI risultano
attrezzati a gestire in maniera virtuale le relazioni con gli utenti,
l’informatizzazione delle relazioni con i SPI interessa il 42% delle
aziende intervistate.
La gestione virtuale delle relazioni, naturalmente, si fa più diffusa
al crescere della dimensione aziendale. La percentuale di aziende
che si avvalgono dei servizi on line offerti dai CPI interessa il 38,3%
delle aziende fino a 3 addetti e il 55,3% di quelle che superano i 50.
Allo stesso modo, sono le aziende dei servizi, sia alla persona
che alle imprese, ad usufruire più delle altre della possibilità di
relazionarsi in maniera virtuale con i SPI, con differenze di oltre 12
punti percentuali nel confronto con le aziende manifatturiere e con
quelle del commercio e della ristorazione.
Le relazioni telematiche con i CPI avvengono con comunicazioni
via mail nel 25,4% dei casi, con servizi web interattivi nel 29,9% dei
casi e con entrambe le modalità nel 44,7% dei casi.
La possibilità di fruire dei servizi offerti in via telematica dai CPI ha
prodotto sulle imprese che li utilizzano effetti diversi. Per la maggior
parte delle aziende (il 39,4%), il processo di informatizzazione ha
determinato un vero e proprio effetto sostitutivo: la possibilità di
usare contatti on line ha modificato completamente i rapporti con i
CPI “perché non è più necessario avere contatti di persona”. Per il
36,0% l’effetto prodotto dalla digitalizzazione dei servizi è stato più
morbido: la sostituzione è stata parziale, “perché per alcuni servizi
è necessario un contatto di persona”. Il 24,6% delle aziende che
fruiscono dei servizi on line, infine, ritiene che l’informatizzazione
non abbia modificato il rapporto perché “i contatti con il CPI sono
rimasti gli stessi” (Graf. 5.36).
Grafico 5.36 La possibilità di usare contatti on line invece di contatti di persona ha modificato
i suoi rapporti con il CPI?
Valori %
Per niente, i miei contatti con
il CPI sono rimasti gli stessi
25%
Completamente perché
non è più necessario avere
contatti di persona
39%
In parte perché per alcuni
servizi è necessario un contatto
di persona
36%
217
5.9
Considerazioni conclusive
Come abbiamo già avuto modo di rilevare nel corso di questo
Rapporto, in Toscana la riforma del collocamento, sotto il profilo
del decentramento e del trasferimento delle funzioni, può ritenersi
pienamente compiuta; l’analisi condotta mostra, tuttavia, un sistema
di servizi pubblici per l’impiego ancora fortemente impegnato
nell’obiettivo di consolidare il proprio rapporto con il sistema
economico locale, a partire dalla progettazione dei contenuti e delle
modalità di erogazione di servizi innovativi specificamente rivolti
alle imprese.
Se da una parte viene ormai riconosciuto il ruolo dell’utenza
“persona”, del cittadino, che si impegna attivamente “durante tutto
l’arco della vita” e col sostegno del servizio pubblico, a orientarsi per
costruire percorsi di sviluppo educativo e professionale, non sembra
altrettanto maturo il modello di interazione tra servizi pubblici
per l’impiego con l’utenza “impresa”. Come evidenziano gli studi
ISFOL di monitoraggio nazionale dei SPI, nei primi anni successivi
alla riforma si è manifestata in tutte le aree del paese la tendenza
a privilegiare un’ottica orientata all’offerta di lavoro, piuttosto che
alle attività destinate specificatamente alla domanda.
Tale dato tuttavia deve tener conto del fatto che, a differenza di
quanto accade per le persone in cerca di un impiego, non esiste alcun
tipo di regolazione normativa che definisca il rapporto di servizio tra
CPI e azienda: le imprese sono infatti vincolate soltanto in riferimento
alle comunicazioni obbligatorie on line e non esiste un protocollo
standard simile a quello definito per i disoccupati (ad esempio le
procedure previste dal D.Lgs. 181/2000 e successive integrazioni) a
cui sono collegate una serie di funzioni e di azioni che i CPI devono
erogare alle aziende, entro forme e tempi definiti. Ciononostante è
evidente come le attività di raccolta, pubblicizzazione e diffusione
della domanda di lavoro costituiscano una precondizione funzionale
per la “presa in carico” delle persone. (ISFOL, 2009).
Oltre ai condizionamenti di natura normativa, sulle attività dei
CPI rivolte al versante datoriale influiscono anche fattori di altra
natura, ad esempio culturale/valoriale (per cui prevale tra i datori di
lavoro l’immagine del servizio pubblico ancora condizionato dalla
tradizione del vecchio collocamento) oppure congiunturale (come
l’attuale crisi economica sta evidenziato in termini di forte riduzione
delle richieste di lavoro da parte delle imprese).
218
Nonostante, tali limiti e vincoli esogeni, il percorso che si
è delineato negli ultimi anni sembra essere infatti quello di un
ampliamento dell’offerta di servizi al “sistema imprese”, tale cioè da
contemplare, oltre alla preselezione e all’incontro domanda-offerta,
anche l’analisi critica dei fabbisogni di professionalità, del territorio
in funzione delle potenzialità di sviluppo aziendali, la progettazione
di azioni formative e/o di riqualificazione-riconversione dei
lavoratori in contesti di crisi e di riorganizzazioni aziendali o
settoriali, nella consapevolezza che, affrontando le difficoltà di
reperimento del personale espresse dalle aziende e prendendo in
esame l’evoluzione dei fabbisogni del mercato nel contesto locale,
aumentano proporzionalmente le possibilità di successo anche dei
candidati alla ricerca di occupazione. Particolare attenzione è stata
dedicata da parte delle Province e dei CPI anche alla promozione
del servizio, che viene considerata un’ulteriore leva per potenziare il
rapporto con le imprese, sia in termini quantitativi, di ampliamento
delle fasce raggiunte, sia in termini qualitativi, relativamente alla
modalità della percezione dei SPI da parte delle stesse.
L’indagine diretta che è stata realizzata, intervistando un campione
di 900 imprese, estratto dalla banca dati regionale, che risultano
avere usufruito dei servizi di ricerca del personale e destinatarie di
attività di marketing negli ultimi quattro anni, ha evidenziato alcuni
aspetti interessanti.
Il primo dato rilevante emerso dall’indagine riguarda l’ampio
ricorso ai CPI come canale per la ricerca di personale: oltre la metà delle
aziende intervistate dichiara di aver utilizzato il CPI come strumento
di reclutamento del personale. Un dato questo che in parte risente
delle caratteristiche dell’universo di partenza, costituito da aziende
che negli ultimi tre anni appunto si erano rivolte ai CPI per attività di
recruiting, ma che a nostro avviso è anche indicativo del progressivo
costituirsi di un nucleo di imprese “fidelizzate” che trovano nei servizi
offerti dai CPI risposte adeguate alle proprie esigenze.
Alle imprese che invece hanno dichiarato di non aver utilizzato
il CPI per la ricerca del personale (circa il 44%), è stato chiesto
di indicare il motivo principale: il 53% dichiara che gli altri canali
sono stati efficaci e dunque non c’è stato bisogno di modificare
strategia di ricerca; il 42% preferisce una conoscenza diretta dei
candidati, esprimendo così un atteggiamento di diffidenza rispetto
alla presenza di un soggetto terzo nel processo di selezione del
personale e confermando la centralità che ancora mantengono nel
nostro mercato del lavoro le reti informali.
219
Il numero e la tipologia di canali che le aziende attivano dipendono
dalle caratteristiche dell’azienda, in particolare la dimensione
aziendale, per cui si registra come al crescere del numero di addetti
aumenta il numero e il mix di canali attivati: il ricorso al canale
pubblico appare più diffuso tra le imprese di minori dimensioni e
tende a diminuire al crescere della dimensione aziendale.
Quali servizi risultano essere stati maggiormente utilizzati? Delle
900 imprese intervistate oltre la metà (51%) ha attivato il servizio
di avviso di ricerca del personale, ricorrendo al CPI come canale
di pubblicizzazione dell’offerta di lavoro, e ben il 54% ha scelto di
fruire di un servizio a maggior valore aggiunto, cioè la preselezione
del personale. Oltre la metà delle aziende che si rivolgono ai CPI,
dunque, utilizzano il servizio di preselezione rispetto al quale tanto
le indicazioni oggettive sul livello di efficacia, quanto le valutazioni
delineano un quadro decisamente positivo. Infatti, tra le imprese che
hanno attivato il servizio di preselezione, soltanto nel 13% dei casi gli
operatori predisposti ad erogare il servizio di preselezione non sono
stati in grado di individuare candidati con profili adeguati rispetto
alle esigenze delle aziende clienti. Tra quelle che hanno ricevuto
un elenco di nominativi oltre i 2/3 dichiara di aver assunto almeno
uno dei candidati scegliendo fra i profili presentati dai SPI; il 21,5%
delle aziende, per contro, dopo aver visionato i profili proposti dagli
operatori del servizio, non ne ha assunto nessuno.
Il dato oggettivo trova conferma nelle valutazioni qualitative
formulate dalle aziende intervistate: oltre un terzo delle aziende si
dichiara molto soddisfatto, il 57% abbastanza soddisfatto, soprattutto
per aspetti relativi alla tempestività del servizio (42%), alla
disponibilità e la competenza degli operatori (27%), all’adeguatezza
delle candidature ricevute rispetto alle richieste formulate (23%), al
numero elevato di curricula ricevuti fra cui poter scegliere (20%).
L’elevato livello di apprezzamento rispetto al servizio offerto
trova conferma anche nel fatto che, nonostante la domanda fosse
stata posta a tutti coloro che hanno utilizzato il servizio, a prescindere
dal giudizio espresso, oltre il 70% delle aziende-clienti non riscontra
alcun motivo di insoddisfazione. Per quanto riguarda le altre -che,
dunque, rappresentano una quota circoscritta della clientela dei CPIil principale motivo di insoddisfazione è da ricercare nella qualità
delle candidature individuate dagli operatori (troppo generiche e
inadeguate per oltre il 65% degli intervistati).
Allargando la prospettiva oltre i servizi di incontro domanda
offerta di lavoro, si registra una discreta conoscenza da parte delle
220
aziende intervistate dell’intera gamma di servizi: informazioni e
consulenza su assunzioni agevolate e tirocini (54%); informazioni e
consulenza su assunzioni agevolate e incentivi alle imprese (52%);
informazioni e consulenza relative al collocamento mirato (49%);
informazioni relative alle comunicazioni previste per legge (46%).
Il servizio meno conosciuto dalle aziende intervistate è quello
relativo alle crisi aziendali (32%). Tali risultati risentono del fatto
che in molti casi, soprattutto per le questioni più amministrative, il
rapporto viene mediato dai commercialisti, consulenti del lavoro,
associazioni di categoria; del fatto che il collocamento mirato
riguarda solo le aziende con almeno 15 dipendenti (fra le quali il
livello di conoscenza supera l’80%).
Il grado di conoscenza delle attività svolte da parte dei CPI a
favore delle aziende ovviamente ne condiziona anche il livello
di utilizzo, con livelli di accesso decisamente più contenuti, ma
valutazioni sostanzialmente positive circa l’utilità di tali servizi.
La parte finale del questionario prevedeva una serie di quesiti
volti ad indagare le aspettative delle imprese nei confronti dei
CPI e le possibilità di miglioramento e/o integrazione dei servizi
esistenti. Oltre 1/3 del campione ritiene sia importante investire
sulla capacità dei CPI di offrire informazioni aggiornate sulla
presenza di incentivi alle imprese, così come altrettanto importante
è ritenuta l’informazione relativa alla legislazione in materia di
lavoro e di contratti (27%). Circa ¼ degli intervistati ritiene anche
sia necessario investire su una maggiore diffusione e pubblicità dei
servizi offerti dai CPI.
221
6.
Stranieri e Centri per l’impiego: rappresentazione
e uso dei servizi95
6.1
Introduzione
• Obiettivi e metodologia della ricerca diretta
“Il processo di ridefinizione dell’azione delle strutture pubbliche
per l’impiego ha dovuto e deve tuttora tenere conto dei differenti
comportamenti di ricerca di lavoro. Aprendo le strutture pubbliche
ad un rapporto continuativo e più approfondito con l’utenza, con le
motivazioni, le aspirazioni e i comportamenti di cui essa è portatrice,
tale processo ha di fatto esposto l’organizzazione dei CPI e dei suoi
servizi ad elementi di “variabilità” nell’interazione con le platee
di beneficiari. (...) Nella osservazione delle funzioni erogate, e del
matching in particolare, non appare possibile prescindere da questo
complesso di elementi, dinamiche e interazioni tra istituzioni e
utenti (cittadini e imprese) costituente il contesto dinamico nel quale
la ristrutturazione e la ridefinizione del ruolo dei CPI è avvenuta”
(Gilli e Landi, 2007, p. 12).
Nel lavoro che segue assumiamo questa efficace sintesi del
processo di trasformazione dei SPI come un punto di partenza. Il
rapporto con l’utenza straniera costituisce uno dei più significativi
banchi di prova della capacità dei CPI di realizzare gli obiettivi fissati
dalle riforme tracciate negli ultimi dieci anni. Per dimensioni dei
flussi, caratteristiche dell’insediamento e complessità della domanda
la componente non italiana rappresenta uno dei più importanti aspetti
di discontinuità nell’azione dei CPI rispetto al passato.
La presente indagine intende analizzare le peculiarità e le criticità
rilevabili nei percorsi attraverso i quali i CPI stanno cercando di
rispondere ai bisogni di questa componente. Gli obiettivi primari
della riforma dei SPI acquisiscono in questa luce un rilievo ancora
più marcato. Reyneri (2005) ricorda che le tre funzioni essenziali
Questo capitolo è un estratto del volume curato da Michele Beudò (2009), Il lavoro degli immigrati
in Toscana: scenari oltre la crisi. Regione Toscana - Rapporto 2009, IRPET, Firenze. Le parti di questo
capitolo vanno così attribuite: a Michele Beudò i paragrafi 6.1, 6.2, 6.3; a Fabio Bracci i paragrafi 6.7, 6.9
e 6.10; a Stella Milani i paragrafi 6.4, 6.5, 6.6 e 6.8.
95
223
dei SPI pubblici sono -adesso- quelle di: a) rendere più trasparente
il mercato del lavoro migliorando la disponibilità di informazioni, b)
dare particolare attenzione ai soggetti meno occupabili, supportando
chi non trova il lavoro a causa dell’esasperazione dei processi
competitivi, e c) implementare le politiche attive del lavoro a livello
locale attraverso la combinazione di orientamento, formazione e
riqualificazione. Tuttavia è proprio nell’osservazione delle relazioni
con una categoria di utenza intrinsecamente portatrice di domande
complesse, come è quella non italiana, che si possono analizzare
alcune delle più significative trasformazioni degli interventi in materia
di politiche del lavoro. Ci riferiamo, in particolare, al tentativo di far
transitare i servizi pubblici per l’impiego da una logica assistenziale
ad una promozionale, fondata su termini e strategie come occupabilità,
formazione continua, orientamento e ri-orientamento, attenzione ai
bisogni delle imprese.
Considerate le caratteristiche contestuali, vale a dire il peculiare
funzionamento del mercato del lavoro per quanto riguarda la
componente non autoctona, nonché la deflagrazione della crisi a
partire dall’ultimo trimestre 2008, le domande alle quali abbiamo
cercato di dare risposta con questa indagine sono fondamentalmente
due: quale spazio di intervento è ragionevolmente immaginabile
per i CPI in presenza di un modello di integrazione ambivalente
della componente migrante96 (Baronio, 2007, p. 150), spesso basato
sulle sole forze individuali e sullo spontaneismo del mercato, e nel
contesto di una situazione di emergenza del lavoro nel suo insieme?
E inoltre: in che modo i servizi erogati sono utilizzati e come se li
rappresentano i migranti?
L’indagine diretta ha concentrato l’attenzione sui CPI delle
due aree della regione -Firenze e Prato- nelle quali la presenza di
migranti risulta più elevata97. La ricerca si è articolata in tre fasi. Con
la prima si è effettuata una ricognizione sulle politiche e i progetti
messi in campo da tutte le province toscane (e il Circondario
Empolese-Valdelsa) per l’utenza straniera, e abbiamo analizzato,
sempre nell’ambito regionale, le modalità con cui si cerca lavoro da
un lato, e dall’altro quali canali utilizzano le imprese per selezionare
il personale.
La locuzione “integrazione ambivalente” è stata utilizzata dall’ISFOL nell’indagine sulle interazioni
tra utenti stranieri e CPI. Secondo ISFOL essa da un lato “segnala un progressivo e faticoso processo
di integrazione”, ma dall’altro “denuncia la difficoltà di emancipazione e crescita professionale di una
componente rilevante e in netta crescita della forza lavoro, alla quale il nostro sistema produttivo fa ormai
sistematicamente ricorso”.
97
Firenze e Prato sono le province toscane con la più alta incidenza percentuale di popolazione straniera,
rispettivamente con il 9,6% (94.038 stranieri su 984.663 residenti) e l’11,8% (28.971 su 246.034).
96
224
Con la seconda fase si è mirato a ricostruire il contesto entro
il quale l’azione dei centri si colloca, la mappatura dei servizi
offerti, il modello tecnico-organizzativo scelto da ciascun CPI in
particolare delle due aree campione individuate come ambito della
ricerca empirica, e la natura delle interazioni tra questi e i soggetti
(istituzionali, associativi o del terzo settore) presenti in ciascuna
zona. È inoltre disponibile una sintetica panoramica sulla situazione
nelle altre province. In particolare, in questa parte ci si è soffermati
sulle caratteristiche dell’inserimento della popolazione straniera nei
locali mercati del lavoro e sull’attuale fase evolutiva dei rispettivi
sistemi economico-produttivi, assumendo questi due aspetti come
altrettanti vincoli esterni di natura strutturale rispetto all’operatività
dei CPI. Come vedremo nei paragrafi che seguono, il rapporto tra
utenti migranti e CPI non può che essere collocato primariamente
sullo sfondo dell’attuale crisi economica.
Dal punto di vista metodologico, la prima e la seconda parte
dell’indagine empirica ha assunto come ambito di osservazione il
contesto istituzionale, attraverso la raccolta di dati dall’indagine
diretta sui CPI toscani presentata nella parte I del Rapporto, l’uso
di altre fonti statistiche indirette, e quindi mediante lo svolgimento
di quattordici interviste a testimoni privilegiati e di due focus group
nelle province di Prato e Firenze98.
Nella terza parte sono state raccolte quaranta interviste di tipo
qualitativo a utenti migranti99 che stanno usufruendo o hanno
A Firenze quest’ultima fase della ricerca è stata realizzata attraverso: la raccolta di tre interviste, a
Danilo Rocca De la Cruz (CGIL, ufficio immigrati), Erika Caparrini (Alai/Cisl, Associazione Lavoratori
Atipici e Interinali) e Vojo Kaliopi, mediatrice linguistico-culturale dello Sportello Immigrati del CPI del
Quartiere 4; la realizzazione dei due focus group, il primo organizzato presso il CPI del Quartiere 1, al
quale hanno partecipato la referente dello sportello e tre operatori, ed il secondo svoltosi presso il CPI del
Quartiere 4 (partecipanti, anche in questo caso, la referente dello sportello e tre operatori). Nell’area di
Prato sono state raccolte undici interviste. Gli intervistati sono stati: Brunella Mastrocesare (responsabile
del CPI di Prato); Michele Del Campo (direttore Fil s.p.a., società che gestisce il CPI sulla base di un
contratto di servizio con la Provincia); Simone Cappelli (responsabile del settore politiche del lavoro della
Provincia di Prato); Maria Lipone (responsabile dello sportello donna presso il CPI); Riccardo Cammelli
(coordinatore dei servizi immigrazione Cgil dell’area metropolitana Firenze-Prato-Pistoia); Simone Faggi
(referente dello sportello immigrazione del Comune di Prato); Leonardo Angeletti (direttore del patronato
Epasa e responsabile dell’area sociale della Cna); Qamil Zejnati (responsabile dell’ufficio immigrati Uil);
Marco Fabozzi (responsabile formazione-lavoro e progetti speciali di Confartigianato, membro del cda
Fil s.p.a.); Michele Minicucci (sportello inclusione del Comune di Prato); Idalia Venco (direttrice Caritas
Diocesana di Prato).
99
Il campione è stato selezionato a partire dalla definizione di una serie di criteri “ragionati”, il primo
dei quali è stato l’equilibrio numerico delle interviste nelle due aree. Si è inoltre optato per selezionare gli
intervistati in base alla nazionalità. La scelta di fissare l’attenzione sugli utenti albanesi, rumeni e marocchini
è dovuta al fatto che questi tre gruppi nazionali sono i più numerosi tra gli iscritti non italiani allo stato
di disoccupazione. Ulteriori criteri di selezione sono stati l’opzione a favore della parità tendenziale nel
numero di interviste tra uomini e donne e la scelta di contattare almeno 1/3 degli intervistati al di fuori
degli spazi fisici dei CPI. Sulla base di questi criteri sono state raccolte 19 interviste a Prato e 21 a Firenze;
diciassette intervistati sono rumeni (11 donne e 6 uomini), sedici albanesi (6 donne e 10 uomini), cinque
marocchini (1 donna e 4 uomini), uno algerino ed una polacca, per un totale di 19 donne e 21 uomini.
L’età media degli intervistati è risultata pari a circa 35 anni, mentre l’anzianità media di immigrazione
98
225
usufruito dei servizi erogati dai due CPI di Firenze e Prato,
ponendo sotto osservazione: le biografie personali, con specifico
riferimento alla evoluzione dei percorsi di studio e di carriera nella
transizione tra il luogo di origine ed il contesto migratorio; i percorsi
di accesso al CPI; i servizi utilizzati (accoglienza, iscrizione,
intermediazione, orientamento, formazione), nonché le criticità e le
specificità contestuali emergenti dal loro utilizzo; le percezioni e le
rappresentazioni da parte degli utenti migranti del ruolo dei CPI nel
quadro dei servizi di politica attiva del lavoro.
•• Gli utenti stranieri
In un mercato del lavoro complesso e segmentato, domanda e offerta
non sono necessariamente destinate a incontrarsi, perlomeno non nel
breve periodo che è, però, l’orizzonte temporale di interesse per le
imprese, e naturalmente anche dei lavoratori.
Il mis-match di tipo qualitativo spiega la compresenza tra
disoccupati e posti di lavoro vacanti con l’esistenza di una difformità
tra competenze possedute da chi è in cerca di un impiego, e profili
richiesti dalle imprese. Il fatto che la forza lavoro, in particolare nelle
coorti giovanili, si caratterizzi per un grado di scolarizzazione superiore
a quello desiderato dal sistema produttivo (overqualification), come
avviene in Toscana, e la difficile reperibilità di persone con elevata
preparazione tecnico-scientifica segnalata dalle aziende in tutte le
indagini sui fabbisogni occupazionali, sono due esempi noti, e per
così dire strutturali, di mancato incontro domanda-offerta.
Scendendo di livello, la stessa situazione si verifica ogniqualvolta
le aziende non siano in grado di effettuare uno screening esaustivo
dei candidati, e i lavoratori difettino di informazioni sulle possibilità
occupazionali esistenti ad un dato momento.
Da un punto di vista quantitativo, invece, si rileva uno stato di
tensione sul mercato del lavoro quando la popolazione in età attiva,
per ragioni demografiche o di mancata partecipazione al mercato
del lavoro, risulta numericamente insufficiente rispetto alle esigenze
dell’economia.
Da questa situazione derivano costi e disfunzioni per il sistema:
ricerca prolungata per i disoccupati (e anche per gli occupati che
è risultata di poco inferiore a otto anni. 26 interviste sono state raccolte negli spazi dei due CPI (12 nei
CPI di Firenze, 14 nel CPI di Prato) e 14 all’esterno (9 nell’area fiorentina e 5 in quella pratese). Per
quanto riguarda la condizione occupazionale, 33 intervistati su 40 hanno dichiarato di essere disoccupati,
ma almeno cinque tra questi ultimi hanno anche affermato di essere occupati “al nero”. Come vedremo,
l’insieme degli intervistati delinea percorsi di accesso e di utilizzo dei servizi dei CPI assai differenziati,
sia per quanto riguarda le motivazioni, sia per quanto attiene alle soluzioni attese (dagli stessi utenti) o
prospettate (dai servizi).
226
vogliano cambiare impiego), e mancata collocazione di quelle
imprese che non riescono a soddisfare la propria domanda di
lavoro, sulla frontiera delle potenzialità produttive ottimali.
Intervenire per modificare in positivo la qualità e la quantità
dell’offerta in modo da rispondere alla richiesta dei datori di
lavoro e incrementare l’occupabilità di chi cerca un impiego,
diminuire i tempi del match tra candidati e posti di lavoro, far
circolare le informazioni, di per sé scarse e non equidistribuite,
sono tra le principali funzioni cui assolvono i Servizi Pubblici
per l’Impiego (Reyneri, 2005). Che hanno anche il compito di
sostenere i soggetti più deboli di entrambi i versanti: imprese
di piccola dimensione prive delle capacità e delle risorse utili a
ricercare le figure professionali più idonee, lavoratori con minore
capitale sociale e più in generale in difficoltà sul mercato, come è
il caso di una parte dell’universo femminile, degli immigrati, dei
disoccupati di lunga durata.
Uno dei cardini della riforma dei SPI è rappresentato
dall’implementazione di un servizio personalizzato per l’utente
dei servizi, sia questo l’impresa o chi cerca lavoro. In luogo
della gestione “burocratica” propria del vecchio collocamento,
si propone una gestione individualizzata dei bisogni, una vera e
propria presa in carico dei “casi”.
è stato correttamente notato che da tutti questi punti di vista
l’immigrazione rappresenta un banco di prova per i SPI. Gli stranieri
che sono entrati in contatto con i Servizi, nell’ultimo decennio sono
aumentati, in parallelo alla loro crescita nella popolazione e tra la
forza lavoro, fino a costituire da un decimo a un terzo, secondo
le diverse aree prese in considerazione, dell’utenza complessiva.
Ciò ha comportato una sfida per i SPI, dal momento che il profilo
della domanda espressa da questo target esige per definizione una
capacità di intervento non burocratico e indifferenziato.
L’inserimento sul mercato del lavoro di questo gruppo presenta
sia svantaggi di ordine più generale (essere donna oltre che
immigrata, avere una bassa scolarizzazione, ecc.), sia difficoltà
specifiche. I migranti hanno spesso una scarsa conoscenza della
lingua italiana, poche possibilità di vedere riconosciuti titoli di
studio e competenze pregresse, problematicità aggiuntive che
derivano dalla normativa sul soggiorno, una minore socializzazione
ai meccanismi formali (consultazione di banche dati, invio di
curriculum) di job search, e sono infine gravati in diversi casi da
fenomeni di discriminazione anche se per lo più indiretti.
227
Non si tratta, peraltro, solo di svantaggi collegati alle caratteristiche
ascrittive, proprie della persona, ma più in generale di una posizione
di debolezza in un contesto, qual è quello italiano e toscano, in cui i
contatti personali, le conoscenze, il capitale sociale individuale, più
che i canali “formali”, fanno la differenza negli esiti della ricerca
del lavoro.
Le disparità informative sulle vacancies, tipiche del mercato del
lavoro italiano, nel caso degli stranieri si accentuano, sommandosi
alla segregazione occupazionale che connota l’inserimento
occupazionale dei cittadini di origine non italiana. Gli stranieri non
sono, in assoluto, “poveri” di capitale sociale -le reti etniche risultano
densissime di interscambi- ma la particolare configurazione di questi
network, autocentrati sulla comunità dei connazionali con poche
e frammentarie aperture verso la società ospitante, rendono più
probabile la riproduzione dell’attuale posizione lavorativa anziché
il suo cambiamento.
Gli SPI hanno dunque a che fare, in misura crescente, con un
segmento di popolazione che per più ragioni risulta sfavorito sul
mercato del lavoro -almeno se si considera il reperimento di
occupazioni più qualificate di quelle attualmente in essere.
La difficile congiuntura economica che oggi stiamo attraversando
pone infine nuove problematiche. Con la drastica caduta delle
opportunità occupazionali che consegue alla crisi, l’opera di
mediazione dei SPI ha margini più ristretti, mentre le azioni di
politica attiva volte ad accrescere l’occupabilità dei disoccupati,
anche se ben attuate, si scontrano con la diminuzione dei posti di
lavoro. Un quadro, questo, di cui gli stranieri fanno le spese più
degli autoctoni, per il combinato della sovrarappresentazione
di quest’ultimi nei settori che maggiormente risentono del ciclo
economico negativo (come nell’edilizia), della maggiore fragilità
dei profili professionali dei lavoratori stranieri, in ultimo per
l’emergere di segnali di un’accresciuta competizione tra italiani
e stranieri, per impieghi in settori e posizioni professionali in
precedenza poco attrattivi per gli autoctoni.
Rispetto alla “sfida” che i lavoratori stranieri rappresentano per i
SPI in ordine alla capacità di fornire un servizio personalizzato, che
gestisca le specificità della domanda posta da questo gruppo, i punti
di attenzione sono essenzialmente i seguenti: i) efficacia del sostegno
al reperimento di un lavoro, adattando i servizi di intermediazione a
questa fascia nell’intento di migliorarne le “tecniche di ricerca”; ii)
incremento delle informazioni e in generale della consapevolezza sui
228
meccanismi di funzionamento del mercato del lavoro, sulla normativa,
sui propri diritti; iii) prevenzione della dispersione scolastica delle
classi più giovani, le cui scelte sono talvolta effettuate “in solitudine”
per il ridotto aiuto -loro malgrado- dei genitori e, che come mostrano
tutte le statistiche disponibili, sono caratterizzate da minori tassi di
scolarizzazione e abbandoni precoci dei percorsi di istruzione; iv)
estensione dell’area della popolazione attiva, in special modo di
quella di genere femminile, di cui una parte numericamente non
irrilevante a oggi rientra nelle “forze lavoro potenziali” -persone che
desiderano svolgere un lavoro, ma essendo carenti nella conoscenza
delle modalità e dei canali di ricerca, non concretizzano questa
intenzionalità in comportamenti attivi; v) infine, forse il punto di
maggiore importanza è quello che attiene all’“occupabilità”. Con
questo concetto, che è anche uno dei concetti chiave delle nuove
politiche per il lavoro, si fa genericamente riferimento al “valore di
una persona sul mercato del lavoro”: quella presente, per così dire
di partenza, e quella possibile, che appunto i SPI possono aiutare
a perseguire mettendo in campo azioni formative e, ancora prima,
di orientamento. Vediamo meglio questo punto, così denso, come
si vedrà, di implicazioni per l’utenza immigrata, e di conseguenza
anche per i SPI.
Alcune delle componenti dell’occupabilità sono predeterminate,
e dunque non modificabili. Tra queste: la richiesta del mercato
(la stessa persona può avere un valore diverso a seconda della
“frequenza di richiesta” di quella che è la sua professionalità) e le
caratteristiche oggettive personali (come età, sesso, condizioni di
salute, condizione familiare, ecc.), mentre su altre, in particolare
le capacità professionali, è possibile intervenire, generalmente
con la formazione, al fine di rendere più spendibile la candidatura
dell’individuo rispetto alle offerte di lavoro. L’orientamento, invece,
aiuta nel passaggio immediatamente precedente, ossia l’acquisizione
della consapevolezza, da parte della persona, di avere la necessità
e l’aspirazione ad aggiornare, e se in caso a cambiare le proprie
competenze (Evangelista, 2005).
è ora possibile vedere più chiaramente la complessità e la
delicatezza delle questioni poste dall’utenza immigrata, in riferimento
a molte delle attività “core-business” dei SPI: la comunicazione del
ruolo e dei servizi svolti, intanto, in uno scenario di scarsa o non
corretta conoscenza dei CPI e delle opportunità offerte, diffuso
tra i migranti; in secondo luogo, l’importanza dell’“accoglienza”
al momento del primo contatto in front-office, quando il rischio
229
di incomprensioni da parte dell’utente è massimo e va in qualche
modo “disinnescato”; il peculiare significato che l’orientamento -un
servizio carico di implicazioni strettamente personali, non a caso
spesso svolto da figure esperte di psicologia del lavoro- assume
nel caso degli immigrati, in un confronto che è innanzitutto di tipo
“interculturale”; e quindi la formalizzazione dell’iscrizione alle
anagrafi del lavoro, che a norma di legge comporta l’accettazione
di “diritti e doveri”, mediante la sottoscrizione del Patto di Servizio
e del c.d. Piano di Azione Individuale (PAI), uno strumento che
appare debole e talvolta poco compreso, se non adeguatamente
reinterpretato in vista dell’utenza immigrata. Si tratta dunque di
passare da uno standard “oggettivo” di prestazioni erogate, a uno di
tipo “soggettivo”, che si riferisca in misura più marcata alla storia
lavorativa, alla biografia, ai portati culturali della persona.
Ma un’altra dimensione dell’offerta dei servizi da parte dei CPI
va attentamente considerata. La collocazione occupazionale della
forza lavoro straniera sul mercato del lavoro italiano è stata definita
come “subalterna” (Ambrosini, 2001), a indicarne i caratteri di
sostanziale dequalificazione degli impieghi svolti, qualunque sia la
preparazione e la professionalità posseduta dal soggetto. L’esigenza
di disporre di un’occupazione, ragione e scopo dell’esperienza
migratoria (oltre che in molti casi precondizione per il proseguo della
permanenza legale nel paese), per quanto indifferibile non annulla
del tutto l’ambizione a ricollocarsi in impieghi migliori. Tuttavia,
la stessa urgenza di disporre di un lavoro comprime i margini per
percorsi di maggiore respiro, che conducano il lavoratore verso
profili professionali più consoni e ambiti. Il caso della decisione di
frequentare un corso di formazione è emblematico. Talvolta la scelta
di effettuare un periodo di formazione è dettata da vincoli oggettivi;
constatata la propria scarsa “occupabilità”, non resta che tentare di
modificarla. In tal senso, i SPI sono di fatto l’unico soggetto che
affianchi il disoccupato e ne guidi la riqualificazione. Altre volte,
la formazione è invece percepita come la strada per una strategia di
miglioramento del lavoro coerentemente ad aspettative più elevate.
Frequentemente, però, si rende manifesto un trade-off tra immediata
accettazione delle offerte occupazionali, anche se di basso livello,
e investimento in formazione, ossia l’ambito per eccellenza del
cambiamento professionale. Gli SPI, pertanto, si muovono, o
dovrebbero muoversi, nel passaggio stretto tra riconoscimento della
priorità di avere un impiego, ed esplorazione della domanda, per
lo più latente, di una migliore collocazione. Se si operasse solo
230
ed esclusivamente per la ricerca di un lavoro senza considerare
anche le altre dimensioni del problema, si rinuncerebbe infatti a
una funzione che al contrario compete pienamente ai Servizi. Né
si potrebbero attuare strategie di mercato, che non fossero di mera
riproduzione dell’esistente e, quindi, dell’“integrazione subalterna”
degli immigrati nel mercato del lavoro.
6.2
Le politiche e i progetti in Toscana
Nel Piano di Indirizzo Generale Integrato 2006-2010 (PIGI) della
L.R. 32/2002 sono espressamente previsti, presso i SPI, servizi
specialistici per soggetti deboli, tra i quali si collocano anche gli
immigrati. Riconosciuta l’indispensabilità della forza lavoro straniera
per l’economia regionale, si elencano gli obiettivi: attivare idonee
politiche di accoglienza e per un positivo inserimento occupazionale;
favorire l’emersione dall’irregolarità e il lavoro sommerso; contrastare
la dispersione scolastica dei ragazzi stranieri. Altre disposizioni sono
contenute in atti successivi, e in particolare nella Legge Regionale
sull’Immigrazione di recente approvazione. In questa, le prescrizioni
di maggiore interesse riguardano tra gli altri punti: lo sviluppo delle
competenze interculturali nei servizi pubblici (e privati); l’accesso
dei cittadini stranieri a interventi di tirocinio e formazione, e la
valorizzazione delle competenze acquisite nel paese di origine, ai
fini di un loro inserimento lavorativo; la promozione di azioni volte
a facilitare l’incontro della domanda e dell’offerta di lavoro per i
cittadini immigrati, e più in generale la fruizione dei SPI.
L’indagine diretta alle Province e ai CPI ci ha permesso di
ricostruire nel dettaglio il quadro provinciale e locale dei servizi
esistenti, nonché delle risorse mobilitate per l’utenza migrante.
La mappatura degli interventi, per essere letta correttamente,
deve tenere conto di almeno due fattori. Il primo riguarda le prassi
nell’uso dei servizi da parte degli immigrati al di là di quelle previste
per legge o regolamento; queste, seppure di notevole interesse, non
potevano essere ricostruite dettagliatamente, se non per le due aree
campione già citate.
Il secondo concerne il fatto che le azioni dedicate all’utenza
straniera sono programmate in base ai diversi modelli organizzativi
prescelti dalle province. Di conseguenza, anche i servizi per
l’immigrazione appaiono fortemente differenziati: vengono
231
predisposti, di volta in volta, percorsi a parte, che si esplicano
in parallelo, ma entro canali separati, rispetto a quelli standard;
percorsi dove i servizi specialistici per gli stranieri si configurano
come aggiuntivi, al momento del contatto degli immigrati con i
diversi servizi, in un quadro che però è di indifferenziazione dei
caratteri di fondo dei servizi prestati (ad esempio, un “normale”
colloquio di orientamento svolto alla presenza di un mediatore);
diversi modelli intermedi, o ibridi, tra le due modalità di intervento
appena riportate.
Esamineremo prima le risposte fornite dall’insieme dei CPI
toscani al questionario che è stato loro chiesto di compilare; in
seguito, riprenderemo sinteticamente ciascun contesto provinciale
per un breve commento conclusivo.
All’insieme dei 45 CPI e servizi territoriali presenti in Toscana
è stato innanzitutto domandato se si ritenesse adeguata l’attuale
dotazione di personale e, se così non fosse, quali fossero le figure
professionali di cui si necessita. In 17 CPI su 45, pari al 38%, si è
segnalata l’opzione “mediatore culturale”, in particolare a Livorno
(3 CPI su 4), Lucca (3 su 3), Pisa (4 su 4), Pistoia (3 su 5), Siena (4
su 5). Tali risposte possono costituire un indicatore sia di un effettivo
bisogno, sia di una percezione del bisogno; in effetti, il CPI di Prato
non segnala la mancanza di questa figura, pur non disponendone. Ciò
riflette la scelta organizzativa della Provincia in questione orientata
alla standardizzazione dei servizi prestati, che non si ritiene di dover
mai adeguare ai diversi target di utenza con cui si ha a che fare.
Le altre domande del questionario consentono una lettura meno
ambigua delle risposte, limitandosi a rilevare l’assenza/presenza di
taluni servizi. È il caso, ad esempio, del quesito su quali canali i
diversi CPI hanno usato per la promozione dei servizi offerti. L’uso
attivo del mediatore culturale quale promoter delle possibili azioni dei
Servizi Pubblici per l’Impiego, risulta almeno in 16 CPI, distribuiti
in 5 zone: Arezzo, Empolese Valdelsa, Firenze, Massa Carrara, Pisa.
Queste esperienze sono importanti nell’ottica di avvicinamento dei
CPI alle comunità immigrate, poiché veicolano le informazioni
mediante il canale dei netwok etnici, in cui il mediatore culturale
-anch’esso un immigrato- è generalmente ben inserito.
Più in generale, esiste un servizio espressamente rivolto agli utenti
stranieri? La risposta è positiva per tre quarti dei Centri: in oltre la
metà questo è stato attivato presso il CPI o il Servizio Territoriale,
mentre in altri 5 casi esiste presso strutture esterne convenzionate,
o è collocato all’interno di altri uffici provinciali. Livorno, Prato e
232
Pistoia sono le aree in cui quest’azione non è presente. In tal caso è
stata chiesta la ragione: in 6 CPI su 11 si ritiene che il personale sia
comunque preparato a rispondere alle esigenze degli utenti stranieri
(in particolare a Pistoia), mentre nei restanti 5 si afferma che un
servizio specifico sarà istituito a breve, o che ce n’è comunque
l’intenzione (Prato e Livorno) (Tab. 6.1).
Tabella 6.1 “Esiste un servizio specificatamente rivolto agli utenti stranieri?”
Area
Arezzo
Circondario Empolese V.E.
Firenze
Grosseto
Livorno
Lucca
Massa Carrara
Pisa
Prato
Pistoia
Siena
Totale
Sì, è attivato
all’interno del CPI/
servizio territoriale
Sì, è attivato Sì, è attivato presso
all’interno di altri
strutture esterne
uffici provinciali
convenzionate
5
3
4
0
0
3
3
4
0
0
5
27
0
0
2
0
0
0
0
0
0
0
0
2
0
0
0
5
0
0
0
0
0
0
0
5
No
Totale
CPI/ST
0
0
1
0
4
0
0
0
1
5
0
11
5
3
7
5
4
3
3
4
1
5
5
45
Dove invece il servizio è stato attivato, quali sono i contenuti?
Si tratti di servizi informativi sul lavoro, ma anche su tematiche
attinenti alla normativa sul soggiorno.
La mediazione culturale è presente in 27 su 45 CPI, e assente o
scarsamente strutturata nelle province di Prato, Livorno, Lucca e
Pistoia.
Altrettanto variabile è l’organizzazione di sportelli “tematici”
come nel caso di quelli dedicati all’incontro domanda-offerta nel
lavoro domestico o di cura: nel complesso, risultano 26 CPI. Si fanno
scelte diverse ad Arezzo, Empoli, Livorno, Pisa, Prato e Pistoia.
Infine, vi sono altri tipi di servizi, più sporadici, come la
consulenza per l’autoimprenditorialità, i seminari di gruppo, i corsi
di lingua.
In conseguenza dello svolgimento di queste attività, vengono
usate delle figure professionali specifiche, che coincidono con il
mediatore (30 CPI) e anche con operatori specializzati e giuristi
sebbene in un numero di casi minore (14 CPI per entrambe le figure).
Operatori generici, infine, sono preposti ai servizi senza avere una
competenza specifica in 23 CPI.
233
Nel complesso, l’esigenza di predisporre una qualche forma di
servizio specialistico per gli immigrati è tutt’altro che disconosciuta,
ma come si è visto questa non è avvertita dappertutto. Non sembra
esserci, inoltre, un nesso chiaro tra incidenza degli stranieri sul
totale della forza lavoro, e attivazione di servizi corrispondenti;
sono lampanti a tal proposito i casi di Prato e Pistoia, ma anche di
Livorno dove la presenza di immigrati è cresciuta in misura notevole
nell’ultimissimo periodo.
La figura che come si è visto è quella maggiormente diffusa,
cioè il mediatore linguistico e culturale, è anch’essa usata in attività
differenti da contesto e contesto. Correttamente, è più frequente nella
fase dell’orientamento (22 CPI), e quindi negli Sportelli Immigrati,
tra cui vi sono anche quelli dedicati ai lavoro di cura e di assistenza
domestica (19). Fondamentale appare la presenza nei momenti
dell’accoglienza o quantomeno dell’iscrizione alle anagrafi del
lavoro e del colloquio di ingresso; si rileva, nel complesso, 17 CPI
per la prima, e 19 per la seconda fase.
L’informazione è di grande importanza, perché segnala che in meno
della metà dei CPI toscani, al momento del primo contatto, non si può
fruire di alcun servizio di facilitazione linguistica (Firenze100, Livorno,
Lucca, Prato, Pistoia e Siena), e ancor più significativamente, non se
ne dispone durante il colloquio di primo orientamento e sottoscrizione
del Patto di Servizio (si tratta delle stesse zone di cui al punto
precedente, fatta eccezione per due CPI a Siena e di 1 a Livorno).
Per quella parte dell’utenza straniera che non ha una sufficiente
padronanza della lingua italiana, appare arduo immaginare, durante
l’importante fase dell’accesso e in quelle successive, la completa e
corretta comprensione del funzionamento dei Servizi Pubblici per
l’Impiego, dell’atteggiamento che viene richiesto, e perfino delle
possibilità che sono offerte. Non a caso, in molti di questi colloqui,
così come all’accoglienza, viene segnalata la frequente presenza di
connazionali “accompagnatori” con una più elevata conoscenza
dell’italiano. Va anche detto, ad ogni modo, che per talune nazionalità
può giovare la conoscenza da parte di alcuni operatori di lingue
straniere come il francese, l’inglese, lo spagnolo. E, infine, che talvolta
la mediazione può essere attivata su singoli progetti, come è il caso di
Prato tra gli altri, e che in parte l’eventuale assenza è compensata dalla
distribuzione/diffusione di materiale in lingua.
Un esame maggiormente dettagliato delle attività in essere nelle
singole province è a questo punto opportuno.
Il modello “fiorentino” è però di complessa interpretazione; si veda il paragrafo a questo dedicato.
100
234
•• Le scelte delle Province
Ad Arezzo vi sono 5 Centri Territoriali per l’Impiego, e in tutti risulta
attivo un servizio di mediazione culturale, seppure differenziato
per nazionalità “coperte” e frequenza della disponibilità. Nel
capoluogo, ad esempio, è prevista la presenza giornaliera e almeno
uno tra mediatori di lingua araba, indiana, bengalese, rumena,
albanese e spagnola, mentre a Sansepolcro il servizio è attivato
solo su segnalazione dagli operatori.
Si tratta in effetti dell’unica figura specificatamente destinata a
lavorare con l’utenza straniera, ma che è però presente in tutte le fasi
(accoglienza, iscrizione, orientamento, promozione all’inserimento
lavorativo). Si rileva poi, oltre alla diffusione di materiale informativo
in lingua, anche l’esistenza della Carta dei Servizi tradotta e, per alcuni
Servizi Territoriali (Sansepolcro e Bibbiena), contatti diretti con le
principali comunità residenti o con centri di accoglienza (Tab. 6.2).
Sportelli
specialistici (a)
Promozione
all’inserimento
lavorativo
1
3
1
5
4
2
16
1
2
5
3
4
4
19
Totale CPI/ST
5
3
5
3
4
20
Altro
5
5
5
Arezzo
3
3
3
Circondario Empolese V.E.
1
1
Firenze
5
5
5
Grosseto
1
1
Livorno
Lucca
3
3
3
Massa Carrara
4
4
4
Pisa
Prato
Pistoia
2
4
Siena
21
23
26
Totale
(a) Sportello immigrati, Sos famiglia, autoimprenditorialità, ecc.
Incontro domanda
e offerta di lavoro
Orientamento
Iscrizione e
colloquio 181
Area
Accoglienza
Tabella 6.2 “Su quali servizi è garantita la figura del mediatore?”. Luglio 2009
1
1
5
3
7
5
4
3
3
4
1
5
5
45
Nella provincia di Grosseto è invece attivato, presso strutture
esterne convenzionate (Infoimmigrati del Coeso) in tutte le zone
socio-sanitarie, uno sportello informativo per l’orientamento, il
supporto all’incrocio domanda/offerta e la comunicazione delle
vacancies, e anche la raccolta e l’invio di Curriculum Vitae. Più in
generale, sia operatori generici che mediatori, e con meno frequenza
giuristi, svolgono attività per migranti. Anche in questo caso, inoltre,
risultano disponibili depliant informativi in lingua.
235
Nel Circondario Empolese Valdelsa, il Servizio Territoriale di
Fucecchio, il CPI di Empoli e quello di Castelfiorentino dispongono
di mediatori linguistico-culturali che lavorano in affiancamento
degli operatori; vengono inoltre attivati seminari di orientamento e
percorsi di sostegno all’inserimento lavorativo per gruppi di stranieri,
ed è tradotto del materiale in lingua (anche newsletter).
Firenze ha implementato uno sportello Immigrati, cui
generalmente si accede su indicazione degli operatori che effettuano
il primo colloquio; in tal caso, è possibile anche avere una consulenza
legale, e sono presenti dei mediatori. è inoltre attivato uno sportello
specifico per l’incontro domanda-offerta nel lavoro domestico e di
cura. In quelle zone dove lo sportello Immigrati non è attivato, c’è
la possibilità di raccordarsi con quei CPI che invece ne dispongono.
La mediazione non è presente in modo capillare, avendo selezionato
le aree a maggior necessità di questa figura, e non copre se non
sporadicamente la fase dell’accoglienza, benché garantisca una certa
efficacia ai servizi specialistici di II livello (orientamento, bilancio di
competenze, accompagnamento), e vi sia una specifica attenzione per
un gruppo che pone problematiche gravose come quello delle etnie
Rom e Sinti. Le altre azioni riguardano la distribuzione di materiale
in lingua, e anche della Carta dei Servizi tradotta. Come per Prato,
altra provincia dove è stata effettuata un’indagine in profondità, si
rimanda per una valutazione più dettagliata al paragrafo dedicato.
Prato presenta una situazione peculiare, per più ragioni: è il
contesto in cui gli stranieri pesano di più in Toscana, ma almeno
finora ha fatto la scelta di non avvalersi di alcun servizio di
mediazione. Il caso sarà ripreso più dettagliatamente, come già detto,
più avanti, e qui anticipiamo solo alcuni elementi. Fatta eccezione
per un progetto per ragazzi in obbligo formativo ed apprendisti di
origine straniera, per i quali si ha il supporto di mediatori culturali
anche di lingua cinese, e per la diffusione di strumenti informativi in
lingua, non vi è né un servizio dedicato all’utenza straniera, né figure
professionali per questo target. È invece da menzionare l’esistenza
di uno Sportello Inclusione per fasce deboli a cui possono venire
erogate delle borse lavoro, e che si rivolge anche a una parte degli
immigrati, riconoscendo la particolare condizione di svantaggio di
alcuni individui, nello specifico coloro che sono seguiti dai Servizi
Sociali o sono inviati dall’Ufficio Immigrazione -ed è questa la
ragione di interesse. È stato anche attivato uno sportello donna
(sempre senza mediatori), orientato all’inserimento nel settore
dell’assistenza domiciliare e familiare.
236
Livorno, come si è visto, non ha organizzato alcun servizio
specifico per migranti e non ha attive figure di mediatori, giuristi, o
operatori dedicati salvo che in un Centro dove si segnala l’esistenza
di un servizio di mediazione per l’orientamento e il colloquio 181. Si
dispone però di materiali in lingua
A Pistoia, a livello locale vi sono dei progetti specifici per
l’inserimento lavorativo per gli stranieri (progetto RAIL), e più in
generale è possibile fruire di una rete di Sportelli Informativi per
Migranti collocati presso i Comuni e i CPI.
A Lucca sono presenti operatori specializzati e, solo in talune
attività, dei mediatori. Viene distribuito materiale su stampa tradotto,
come anche la Carta dei Servizi. È stato inoltre attivato un progetto
ad hoc per attività di work experiences per questa fascia di utenza.
Nei CPI di Massa Carrara i mediatori sono presenti all’accoglienza,
l’orientamento, l’incontro domanda-offerta e negli sportelli
specialistici, che dunque fungono come servizio dedicato. Non vi
sono altre figure attive, ma anche in questo caso esiste materiale
informativo in lingua.
Uno “sportello immigrati” è stato attivato a Pisa e nelle altre parti
della provincia, con funzioni di informazione, primo orientamento,
consulenza legale, incontro domanda-offerta, servizi specialistici
per l’immigrazione, alla presenza di alcuni mediatori linguistici, di
giuristi e operatori dedicati.
Infine, nella provincia di Siena esiste un servizio per immigrati,
che si avvale anche di figure specializzate (mediatori, giuristi,
operatori, ma non in tutti i contesti territoriali e non in tutte le fasi,
in particolare non all’accoglienza). È inoltre presente uno sportello
per l’incontro domanda-offerta nel lavoro domestico e di cura,
viene distribuito materiale informativo e sono organizzate iniziative
seminariali per immigrati.
6.3
Meccanismi dell’incontro domanda e offerta di lavoro
Nel nostro paese si cerca (e si ottiene) un lavoro prevalentemente
rivolgendosi a familiari, parenti e amici e, specularmente, le imprese
assumono soprattutto mediante la conoscenza diretta (cfr. capitolo 1).
Le strategie di ricerca di lavoro agite dagli immigrati, e i canali
attraverso i quali essi vengono assunti, non solo sono coerenti con
questa modalità informale di incontro tra domanda e offerta, ma se
possibile la enfatizzano, come la già citata indagine Istat dimostra: la
237
percentuale di disoccupati stranieri che cercano un impiego facendo
leva sui propri contatti supera di qualche punto il dato corrispondente
degli autoctoni.
Sin dall’inizio delle migrazioni di massa dai Paesi in via
di sviluppo, gli immigrati sono riusciti a inserirsi nei circuiti
occupazionali sfruttando il “passa-parola”: i primi che hanno avuto
un’assunzione, generalmente in settori scarsamente qualificati e
dunque “a bassa soglia di accesso”, hanno veicolato informazioni sui
posti vacanti ai connazionali, e contemporaneamente “consigliato”
quest’ultimi ai propri datori di lavoro. Dal canto loro gli imprenditori
hanno per lo più seguito le indicazioni di chi era già alle dipendenze,
giudicandolo un meccanismo di selezione della nuova manodopera
sufficientemente soddisfacente. Ha inoltre pesato anche il processo
di “discriminazione statistica”, che consisteva nell’attribuzione di
“quasi-attitudini” a determinati gruppi etnici. È noto il caso dei filippini
“bravi domestici”; di loro, si era in effetti constatata l’affidabilità
in questo tipo di mansione, fino a considerarli “naturalmente”
predisposti al lavoro in casa. Questo fenomeno è prodotto dalla
convinzione, invalsa nei datori di lavoro, della probabilità che, se
alcune persone connotate da una certa provenienza forniscono buone
performance in determinati compiti loro affidati, presumibilmente
anche gli altri immigrati della medesima nazionalità lavoreranno
con la stessa qualità (Ambrosini, 2001).
Dal punto di vista dei migranti, è stato detto che le reti etniche, e
la stessa “discriminazione statistica”, hanno svolto un ruolo di risorsa
“rischiosa” (ib.): da un lato, hanno assicurato la disponibilità di
un’occupazione, e dall’altro hanno creato i presupposti per una forte
segregazione lavorativa in pochi settori, in genere di basso livello. A
questo esito ha contribuito anche l’azione di quelle organizzazioni,
come sindacati e soggetti solidaristici, che tanto hanno mediato,
come nell’area del lavoro di cura, tra le esigenze di chi -famiglie o
imprese- era alla ricerca di manodopera, e i bisogni degli immigrati
o, nel caso specifico, delle immigrate.
Questa tendenza all’autoregolazione spontanea e dal basso dei
processi di job matching ha quindi prodotto degli effetti perversi, che i
SPI sono chiamati a contrastare. Compito non facile, perché l’efficacia
degli interventi messi in campo è inversamente proporzionale al
grado di strutturazione e trasparenza del mercato del lavoro, e quello
italiano risulta al contrario percorso da fenomeni di opacità, oltre a
risultare, a seguito dei provvedimenti normativi in materia di lavoro
dell’ultimo decennio, sempre più deregolamentato.
238
Prima di osservare più nel dettaglio il ruolo dei SPI in Toscana, sia
in generale che in riferimento all’utenza immigrata, conviene allora
ripercorrere brevemente l’insieme dei benefici che i CPI potrebbero
apportare al sistema:
-- estendere, e socializzare alle modalità più corrette, la ricerca del
lavoro;
-- riequilibrare le asimmetrie informative che colpiscono gli
immigrati, i quali derivano il proprio capitale di segnalazioni
e opportunità soprattutto dall’ambito necessariamente
autoreferenziale anche se, come si è visto di grande efficacia, dei
network etnici;
-- reindirizzare l’offerta di lavoro, attraverso la leva della formazione
e altri strumenti, verso profili di competenze maggiormente
rispondenti alla domanda, aumentando l’occupabilità dei
soggetti. Anche durante congiunture negative quale l’attuale,
continuano le assunzioni e vi sono vacancies e figure “di difficile
reperibilità” le quali rappresentano un costo per le aziende, dato
che il periodo di tempo nel quale l’impresa può trovarsi sottoorganico può raggiungere anche i 6-7 mesi;
-- aumentare le chances di far corrispondere l’occupazione cercata
alle proprie aspirazioni e competenze;
-- portare l’area delle “forze lavoro potenziali”, vale a dire quella
parte di popolazione in età attiva che è portatrice di un’aspirazione
latente a partecipare al mercato del lavoro, a concretizzare tale
disponibilità in azioni di ricerca attiva;
-- contrastare comportamenti discriminatori (indiretti) a danno degli
stranieri, derivanti da una stereotipizzazione “al ribasso” delle
loro abilità che li allontana da impieghi a maggiore qualificazione,
promuovendone le candidature -se idonee- presso le imprese;
-- incrementare la consapevolezza dei diritti e doveri sul lavoro,
che nella manodopera straniera risulta talvolta assente.
•• Cercare lavoro con i Centri per l’impiego
Una sezione del questionario usato dall’Istat per la Rilevazione
Continua sulle Forze di Lavoro è dedicata alla frequentazione
dei CPI.
In riferimento alla Toscana, solo il 21% degli immigrati residenti
in regione è stato, nella sua carriera, in contatto con un CPI; una
percentuale che è prevedibilmente inferiore a quella degli italiani
(29%), e che peraltro è il risultato sintetico di comportamenti
differenti tra uomini e donne: rispettivamente il 15,5% e il 27%,
239
mentre per gli autoctoni siamo al 25% e per le donne italiane al 34%
(Tab. 6.3).
Tabella 6.3 Lei è mai stato in contatto con un Centro pubblico per l’impiego? TOSCANA. 2008
Valori %
Uomini
Italiani
Donne
Sì
24,9
33,7
No
74,2
65,9
Non sa
0,9
0,4
Totale
100,0
100,0
Fonte: nostre elaborazioni su dati Istat RCFL
Totale
Uomini
Immigrati
Donne
Totale
29,4
70,0
0,6
100,0
15,5
84,4
0,1
100,0
26,6
73,1
0,3
100,0
21,3
78,6
0,2
100,0
Le ragioni del contatto con i CPI coincidono in larga parte con
l’esigenza di cercare lavoro (al di là dell’intensità e delle corrette
modalità con cui tale ricerca venga realmente effettuata), ma per
gli stranieri si registra anche una maggiore quota di coloro che si
avvalgono di altri servizi, a dimostrazione dell’uso “strumentale/
burocratico” dei SPI, utile a ottenere documenti e certificati per il
permesso di soggiorno, le dichiarazioni fiscali, eccetra.
Ad ogni modo, il motivo decisamente prevalente dell’ultimo
contatto avuto con i CPI è, per l’utenza immigrata, la “verifica
dell’esistenza di opportunità di lavoro” (77%). Come si vedrà meglio
dalle interviste dirette raccolte sul campo, questa motivazione può
forse essere indizio di una concezione fuorviante e per certi versi
riduttiva dei servizi offerti dai CPI -i quali hanno compiti più vasti
della mera raccolta e trasmissione delle vacancies- ma d’altro canto
non può che essere al centro delle aspettative degli stranieri che
frequentano i Servizi Pubblici per l’Impiego.
La condizione dei migranti è, infatti, per sua stessa natura,
orientata al reperimento e allo svolgimento di un lavoro in
un’ottica di work first, e risulta perciò maggiormente difficile
-a detta degli operatori- comunicare l’importanza di svolgere,
in parallelo alla ricerca di un impiego, un percorso mirato
all’autovalutazione e all’aumento della propria occupabilità. Per
esempio, decidendo di svolgere colloqui di orientamento specialistico,
o di frequentare un corso di lingua italiana o di formazione.
•• Le agenzie per il lavoro: un canale alternativo?
È infine necessario sottolineare il ruolo delle Agenzie per il Lavoro,
incluse le agenzie interinali, che dal 2003 si affiancano ai CPI quali
soggetti autorizzati a svolgere attività di intermediazione. Dal punto
240
di vista quantitativo, queste gestiscono un numero di offerte di
lavoro e di candidature, in misura compresa tra il 40% e il 50%
del totale di quelle transitate presso i servizi pubblici e hanno tra i
propri “avviati” circa un quinto di lavoratori di origine non italiana
a Firenze (il 15% a Prato).
Per gli immigrati, le agenzie private sono un canale molto
conosciuto e usato; la sostanziale differenza rispetto ai SPI è che
però non esiste, nella filiera dei servizi messi a disposizione, un
qualcosa di simile alla “presa in carico” del lavoratore che invece
viene effettuata dai CPI (IRS, 2007).
Fare qualche cenno alle attività delle agenzie private, tuttavia,
è doveroso perché nel caso dell’immigrazione sono andate
strutturandosi delle “specializzazioni” di singole agenzie in
determinati settori, e anche nei contatti con alcune nazionalità di
provenienza. A Firenze, vi sono infatti almeno 7 agenzie delle 15
principali che nel I semestre 2009, hanno avuto almeno il 20% delle
missioni svolte da immigrati (in 4 di queste, si va ben oltre il 30%).
A Prato, le agenzie che superano il 20% sono 6, e in due casi siamo
oltre il 30%. Di contro, ben 5 organizzazioni tra le 15 principali
hanno bassissime % di avviati stranieri (Tab. 6.4).
Tabella 6.4 Agenzie interinali per avviamenti al lavoro di stranieri sul totale. I semestre
2009
Valori %
Identificativo Agenzie
1
2
3
4
5
6
Firenze
Incidenza stranieri su
19
9 28 36
1 17
totale
Prato
Incidenza stranieri su
22
3 24 38 12 13
totale
Fonte: nostre elaborazioni su dati SIL - Regione Toscana
7
8
9
10
11
12
13
14
15 Altre ag.
10
31
34
29
37
10
21
14
29
24
33
29
11
-
-
-
-
-
40
25
Queste elaborazioni definiscono uno scenario di vera e propria
segmentazione del mercato dei lavori interinali, con “nicchie” di
agenzie che, come si vede dalla tabella 6.5, hanno sviluppato non
poche specializzazioni etniche.
Si vanno disegnando in tal modo dei meccanismi di matching che
anche nel caso dei contratti interinali non possono che confermare
l’importanza dell’attivazione “dal basso”, mediante canali per
lo più informali e improntati al “passa-parola”, dell’incontro
domanda-offerta.
241
Tabella 6.5 Agenzie interinali per specializzazioni etniche negli avviamenti/missioni sul
totale
Provincia
Identificativo agenzie
Agenzia A
Agenzia B
Firenze
Agenzia C
Agenzia D
Agenzia E
Agenzia F
Agenzia G
Prato
Agenzia H
Agenzia I
Fonte: nostre elaborazioni su dati SIL - Regione Toscana
Specializzazioni “etniche” tra gli avviamenti/missioni
Albania/ristorazione e costruzioni
Somalia/ristorazione
Marocco/costruzioni
Romania/ristorazione
Albania/ristorazione
Senegal/magazzinaggio
Marocco/magazzinaggio
Albania/ristorazione
Romania/ristorazione
Senegal/pelletteria/metallurgia
Albania/ristorazione
Senegal/pelletteria
Romania/industrie alimentari
Pakistan/tessile
Romania/fabbricazione di prodotti chimici
6.4
I percorsi di accesso e il primo contatto
Nelle pagine che seguono si presenta un’analisi dei percorsi intrapresi
dagli utenti migranti che abbiamo intervistato. Si è ritenuto utile
distinguere tali percorsi in tre fasi: l’accesso e il primo contatto, la
fruizione dei servizi, la valutazione ex post dei servizi. In tal senso
ci si soffermerà dapprima sulla considerazione dei canali attraverso
i quali gli utenti sono venuti a sapere dell’esistenza dei CPI, sulle
motivazioni dell’accesso e le aspettative nei confronti del servizio,
oltre che sulle criticità o le valutazioni positive emergenti nel primo
contatto (in questo stesso paragrafo). In seguito, nell’analizzare le
diverse modalità di utilizzo dei servizi, si proporrà una tipologia di
utenza (cfr. paragrafo 6.5).
In conclusione si approfondiranno le percezioni dei CPI da parte
dei migranti dopo che essi hanno usufruito dei servizi, considerando
la ristrutturazione delle aspettative iniziali, in particolar modo
nei confronti del servizio di intermediazione domanda-offerta, e
analizzando nel dettaglio alcune delle criticità che sono emerse nelle
dinamiche relazionali con gli operatori (paragrafo 6.6).
In merito ai percorsi di accesso va evidenziato che la maggior
parte degli intervistati riferisce di essere venuta a conoscenza
dell’esistenza dei CPI mediante informazioni ottenute da conoscenti,
spesso connazionali. Il ‘passaparola’ sembra quindi configurarsi
242
come il principale canale di contatto dei CPI101. In altri casi la
conoscenza del CPI è avvenuta in occasione della cessazione di un
rapporto di lavoro al fine di certificare lo stato di disoccupazione
e procedere con l’eventuale iscrizione. In questi casi il rinvio dei
soggetti migranti ai CPI avviene sia su sollecitazione degli ex
datori di lavoro o dei consulenti, sia grazie all’intervento di soggetti
istituzionali, in primis i sindacati.
Tra gli intervistati la certificazione dello stato di disoccupazione
e la ricerca di un lavoro sono i fattori più frequentemente all’origine
del primo accesso. Come è noto, per i cittadini immigrati in possesso
di un permesso di soggiorno per lavoro, l’attestazione dello stato
di disoccupazione è direttamente collegata alla possibilità di
rinnovo del permesso102. Tra gli utenti stranieri che riferiscono di
essersi rivolti al CPI per effettuare la dichiarazione di immediata
disponibilità al lavoro e/o trovare un’occupazione, prevale però una
scarsa conoscenza dei servizi offerti.
Il servizio più noto all’utenza straniera è senza dubbio quello
dell’intermediazione domanda-offerta; a questo riguardo va tuttavia
evidenziato che, frequentemente, le aspettative degli utenti circa le
possibilità di reperimento di un posto di lavoro risultano molto elevate
rispetto alle reali possibilità di intermediazione offerte dal CPI 103.
Sono emblematiche in tal senso le affermazioni di alcuni intervistati
in cui si percepisce l’idea di un’immediatezza tra iscrizione al CPI e
ottenimento di un’occupazione: “sono venuta perché un italiano mi
ha detto che qui si porta il curriculum e si trova lavoro” (Int. n. 40);
“qualche concittadino mi ha detto che mi dovevo iscrivere al CPI
e poi si sarebbero occupati loro di trovarmi lavoro secondo i posti
disponibili” (Int. n. 18). Spesso la scarsa conoscenza del servizio
offerto e le aspettative elevate ed immediate circa i risultati sono,
inoltre, connesse con un atteggiamento di passività nella ricerca del
lavoro. Si tratta di aspetti più volte emersi nel corso dei colloqui con
gli operatori dei CPI che sono chiamati a confrontarsi direttamente
Si tratta di un aspetto che, come si avrà modo di evidenziare, non è privo di conseguenze soprattutto per
ciò che concerne la comprensione dei servizi offerti e la fruizione degli stessi (cfr. par. 6.2).
102
Secondo quanto disposto dal testo unico sull’immigrazione, D.Lgs 25/7/98 , n. 286 come modificato
dalla Legge n. 189 del 30/7/2002, una volta scaduto il termine previsto dal permesso di soggiorno, il
cittadino straniero disoccupato ha diritto a rimanere sul territorio dello Stato fino a sei mesi dalla data di
iscrizione alla disoccupazione avvenuta al momento della perdita del precedente lavoro.
103
L’incongruenza delle aspettative degli utenti migranti nei confronti dei CPI è evidenziata anche
nell’ambito del rapporto del CNEL in cui emerge che “la maggior parte dei lavoratori stranieri che si è
rivolta ad un CPI (ovvero il 61,7%) lo ha fatto espressamente per cercare lavoro; fatto che conferma come
gli utenti immigrati abbiano una visione parziale di questi strumenti e del loro funzionamento. Le aspettative
di ottenere un lavoro grazie ai CPI sembrano piuttosto diffuse tra gli immigrati che si sono rivolti a questi
centri, mostrando quindi di ignorare che i CPI di fatto mirano più ad una riqualificazione dell’offerta che ad
un reale incontro tra posti vacanti denunciati dalle imprese e disoccupati” (CNEL, 2008, p. 98).
101
243
con le aspettative degli utenti e ad operare una riconversione di
questo atteggiamento iniziale.
Questo è uno degli aspetti più difficoltosi: far loro capire la tipologia
del servizio, come si usa il servizio e le possibilità, perché non si può
dare lavoro subito a numeri che sono molto alti. In molti casi pensano
di venire qui e trovare lavoro, perché hanno questa aspettativa alta.
Pensano di venire qui, consultare le offerte e trovare lavoro senza
sapere che poi comunque ci sono le aziende con cui devi andare
a parlare per cui hai bisogno di un tuo curriculum, hai bisogno di
informazioni. (...) L’aspettativa è alta ed immediata, c’è la pretesa
di un risultato immediato. (...) Il problema dei tempi per il cittadino
extracomunitario è fondamentale; ha bisogno di un’occupazione
subito, ha bisogno di risposte subito, per cui creare un equilibrio
con quello che i servizi possono offrire è invece il nodo più delicato.
(Focus group CPI Firenze Q1)
Così come emerge nella testimonianza sopra citata, un recente
rapporto del CNEL (2008, p. IV) evidenzia l’esistenza di “molteplici
fattori scoraggianti” per l’utenza immigrata nella relazione con
i servizi pubblici per l’impiego, in primis “il fattore tempo che il
lavoratore immigrato non ha, per l’estrema urgenza, ovviamente
sociale ma anche giuridica collegata alla validità del permesso, di
un nuovo lavoro”.
Si tratta poi di orientare gli utenti verso un atteggiamento attivo
nella ricerca del lavoro, laddove l’idea della maggior parte degli
utenti (sia italiani che stranieri) è quella che “si recano al CPI per
lasciare il loro recapito e la disponibilità a lavorare confidando nel
fatto che saranno successivamente chiamati per un lavoro” (Focus
group CPI Firenze Q4). A questo proposito è però interessante notare
che dal complesso delle interviste considerate emerge un tendenziale
protagonismo dei soggetti immigrati nel configurare il proprio
inserimento (o reinserimento) lavorativo, e ciò appare in maniera
emblematica nel caso dell’attivazione delle risorse informali veicolate
dalle reti. In questo senso va sottolineato che l’atteggiamento di
passività dell’utenza straniera, spesso percepito dagli operatori dei
CPI, risulta specificamente correlato alle modalità di utilizzo dei
servizi pubblici per l’impiego piuttosto che ad un orientamento che
caratterizzerebbe toutcourt le prassi di ricerca del lavoro.
È opportuno evidenziare che in alcuni casi gli utenti immigrati
si trovano a confrontarsi con un servizio, quello dei CPI, impostato
secondo criteri differenti rispetto ad uffici analoghi presso i quali
possono essersi rivolti nei paesi di origine.
244
Ci sono problemi che possono uscire fuori proprio da fatti culturali.
Parlo ad esempio del caso dell’Albania: [in passato] una persona si
rivolgeva al CPI e trovava lavoro. Invece qui funziona diversamente,
devi venire a vedere sempre le offerte due volte la settimana, prenotarti,
devi venire spesso, devi andare anche nelle agenzie di lavoro e
contattare i conoscenti. In Albania anche se non andavi c’era una lista
e quindi prima o poi si trovava il lavoro. (Vojo Kaliopi - mediatrice
linguistico-culturale dello Sportello Immigrati CPI Firenze)
Ti dico come lo avevano fatto da noi in Romania che è stata l’unica
volta che avevo visto un CPI. Era molto grande, con tutti questi
tavoli, con tante persone che lavoravano. Andavi lì la mattina senza
prendere appuntamento e c’erano tabelloni interi con le offerte di
lavoro. Ogni persona -quando era il suo turno- andava dall’impiegato
che vedeva le sue esperienze e gli dicevano c’è questa, questa e
questa offerta. Ti facevano un foglio e tramite loro andavi a lavorare.
(Int. n. 15)
Gli utenti stranieri, in particolare quelli di recente immigrazione
e che non possono contare su una rete sociale di supporto, rischiano
di trovarsi in una condizione in cui gli strumenti per procedere in
una ricerca attiva del lavoro possono essere carenti.
L’impianto della riforma insiste tanto sulla motivazione ad essere
attivi nella ricerca di lavoro, però questo è anche un modello
culturale. Il problema riguarda anche gli italiani, molti dei quali
fanno fatica ad acquisire questo modello, però ci puoi lavorare. Io
mi sono sempre chiesta quanto arriva di questa motivazione centrata
sulla ricerca attiva del lavoro agli stranieri, in particolare a quelli
meno attrezzati, a quelli che sono qui da meno tempo. (…) Con gli
utenti stranieri che conoscono i servizi si lavora meglio, quelli che
sono qui da poco sono più fragili perché c’è un proprio un problema
culturale che rende difficile far loro capire quali sono le opportunità.
Certo non possiamo dare il lavoro a tutti, ma in questi casi è difficile
anche far capire la necessità di muoversi in un certo modo. (Brunella
Mastrocesare - Responsabile CPI Prato)
Per come è strutturato il servizio, è la persona che si deve attivare.
Tu gli fai vedere come funziona nei primi colloqui di orientamento,
poi si deve attivare da sola. In questo senso l’italiano ha una rete
sociale di riferimento più forte che lo supporta. (Focus group CPI
Firenze Q4)
Come si è già evidenziato, la ricerca di lavoro operata dai
soggetti migranti è indubbiamente caratterizzata da un attivismo
245
motivato anche dalla stringente correlazione tra condizione
occupazionale e possibilità di rinnovo del permesso di soggiorno;
il discrimine sembra piuttosto costituito dalla capacità di attivarsi
secondo modalità congruenti rispetto ai servizi offerti dal CPI, cui
molti stranieri risultano scarsamente socializzati. Infatti, usufruire
correttamente di un servizio impostato sulla ricerca attiva del lavoro
e che vede, pertanto, il soggetto come attore primo nella riuscita
di un tale percorso chiama in causa le risorse culturali e sociali
che l’utente è in grado di mobilitare. In questo senso un altro degli
ostacoli più rilevanti è senza dubbio quello della scarsità delle
competenze linguistiche. La mancata conoscenza della lingua italiana
costituisce spesso una barriera nel primo contatto fra utenti migranti
e CPI. I servizi di mediazione, quando predisposti, avvengono in
una fase successiva alla prima iscrizione (come nel caso del CPI di
Firenze). Si tratta di un aspetto che complica lo scambio delle prime
informazioni tra le parti (operatore/utente straniero), e che solleva
dubbi circa l’effettiva comprensione reciproca.
In assenza di un servizio di mediazione, come nel caso dei CPI di
Prato, e di una adeguata formazione linguistica, la fruizione dei
servizi da parte dell’utente è vincolata alla possibilità di trovare un
accompagnatore spesso connazionale, che svolge una funzione di
interpretariato, così come conferma la testimonianza di un uomo
marocchino: “ho sempre la difficoltà della lingua, quando devo
venire qui devo trovare qualcuno che mi accompagna, che abbia il
tempo per venire con me”. (Int. n. 4).
Tuttavia, si rileva più volte nel corso delle interviste che gli utenti
stranieri hanno dichiarato di aver incontrato un’estrema disponibilità
da parte degli operatori nel comprenderli nonostante le difficoltà di
comunicazione.
Anche qui sono stata capita, anche se non so parlare. [Gli operatori
hanno] molta pazienza, fanno tanto sforzo di capire tutti gli stranieri.
Noi rumeni come lingua siamo molto simili a voi. Ma ho visto là
che c’era una cinese e la signora si è sforzata molto di parlare, non
so come faceva a capire perché io non capivo niente di quello che
diceva. (Int. n. 21)
Non di rado gli operatori utilizzano la conoscenza di altre lingue
per ovviare a tali difficoltà di comprensione, sebbene persistano
delle problematicità evidenti. Nell’ambito dei focus group con gli
operatori del CPI è emersa, infatti, la necessità di verificare che nel
246
corso del primo colloquio non siano intervenuti dei fraintendimenti
tra operatore e utente. Si tratta di un aspetto che assume una rilevanza
centrale in relazione al Patto di Servizio, uno strumento mediante
il quale entrambe le parti, utente e CPI, formalizzano il proprio
impegno reciproco in vista di un percorso di collaborazione mirato
all’inserimento lavorativo104. La mancanza di competenze linguistiche
rischia, infatti, di vanificare l’efficacia di tale strumento in assenza
di una reale comprensione dei suoi contenuti. In tal senso, secondo
alcuni dei partecipanti ai focus group la possibilità di usufruire di
un servizio di interpretariato linguistico flessibile, strutturato anche
solamente per via telefonica, potrebbe rappresentare una strategia
per ovviare a tali criticità.
Nel complesso, il primo contatto tra utenza straniera e CPI
risulta spesso problematico e questo aspetto è testimoniato dal
numero di utenti stranieri che, non presentandosi al colloquio
fissato in occasione del primo incontro, subisce i provvedimenti di
cancellazione dalle liste di disoccupazione previsti dalla normativa
regionale toscana105.
Chi è già inserito, si parla dei soliti 3, 4, 5 anni di residenza [in
Italia, n.d.a.], è disponibile a tornare, molti degli altri subiscono
la cancellazione con malus prevista dalla Regione Toscana per chi
non si presenta al primo colloquio. Vuol dire che, nonostante tutti
i nostri sforzi, non si capisce l’importanza del primo colloquio,
che noi dobbiamo fare in differita perché abbiamo 1.300 persone
in otto turni di apertura, quindi dobbiamo farlo in differita con un
appuntamento dopo un mese. Non vengono non perché hanno trovato
lavoro ma perché non hanno capito l’importanza di quel colloquio.
Quindi vengono cancellati e per un anno non possono usufruire dei
servizi (…). Basta vedere uno dei decreti di cancellazione della
Provincia per chi non si presenta ai colloqui e il 70%-80% sono
extracomunitari; abbiamo già fallito al momento che su quelle liste
ci sono tutti quei nomi. (Focus group CPI Firenze Q1)
Come si legge nel DR n. 7/R del 4/02/2004, art. 14, “al fine di rendere maggiormente efficienti
i meccanismi di incontro tra domanda ed offerta di lavoro, il lavoratore e l’operatore del servizio per
l’impiego sottoscrivono, entro e non oltre sessanta giorni dal primo colloquio, un Patto di Servizio integrato
in cui sono riportate le risultanze del colloquio stesso. Mediante il Patto di Servizio integrato il lavoratore
si impegna a svolgere le azioni concordate nel piano di azione individuale che possono consistere in attività
di orientamento, formazione, riqualificazione professionale, tirocinio e in ogni altra iniziativa proposta
dal servizio per l’impiego volta a favorire l’integrazione professionale o a migliorare le possibilità di
inserimento lavorativo”.
105
Come si recita all’articolo 16 del DR n. 7/R del 4/02/2004, la mancata presentazione, senza
giustificato motivo, ai colloqui previsti comporta la cancellazione dalle liste di disoccupazione, mediante
provvedimento provinciale così che “il lavoratore che ha perso lo stato di disoccupazione, per effetto di
un provvedimento definitivo della provincia rimane iscritto nell’elenco anagrafico nella classe “altro” con
la specifica “decaduto dallo stato di disoccupazione” per un periodo di dodici mesi, durante il quale non
beneficia delle prestazioni fornite dal servizio per l’impiego”.
104
247
Tra i provvedimenti di cancellazione destinati a coloro che non
rispondono alle convocazioni molti riguardano stranieri, e questo per
varie ragioni: sia perché non capiscono bene la lingua, nonostante
firmino per ricevuta una informativa non sempre capiscono fino in
fondo quello che c’è scritto, sia perché c’è il problema del recapito,
sulla cassetta della posta spesso non c’è il nome del destinatario e
le lettere tornano indietro; oppure trovano un’altra attività e non
rispondono. E poi hanno anche un rapporto meno fidelizzato con il
servizio. Capiscono meno le nostre regole e quindi incappano più
facilmente negli incidenti di percorso. È la componente dell’utenza
con il più alto tasso di mancata risposta. (Simone Cappelli, Provincia
di Prato)
Si è parlato in precedenza delle aspettative elevate che la
maggioranza di intervistati dichiara di aver riposto nelle opportunità
di intermediazione domanda-offerta svolte dai CPI. Questi utenti,
prima di rivolgersi al servizio, ritenevano fosse sufficiente recarsi
presso il CPI e fare l’iscrizione per ottenere, in maniera “quasi
automatica”, un’offerta di lavoro appropriata alle proprie esigenze
e competenze. Vi sono tuttavia casi, anche se minoritari, in cui gli
intervistati hanno deciso di rivolgersi al Centro per ricevere un
orientamento nella ricerca del lavoro. Si tratta di un atteggiamento
che risulta in linea con l’impostazione del servizio offerto, il cui
compito è quello di agevolare l’integrazione professionale e di
ottimizzare le opportunità di inserimento lavorativo mediante
la strutturazione di un percorso che consenta la presa in carico
complessiva dell’utente.
Non è il problema di trovare lavoro, l’importante per me era di
essere un po’ orientata di sapere come potevo fare per essere un
po’ più chiara, perché io non ero chiara. (...) Non è che mi devono
trovare il lavoro, perché questo dipende anche dalla fortuna; però io
ora mi sono orientata e mi sono messa in gioco. (Int. n. 31)
Il motivo [per cui mi sono rivolta al CPI] era capire da dove potevo
cominciare per entrare nel mondo del lavoro. Era orientamento
(Int. n. 18)
Come si avrà modo di evidenziare in seguito, la richiesta di
orientamento alla ricerca di lavoro si coniuga spesso con una volontà
di emanciparsi rispetto a lavori scarsamente qualificati e di acquisire
nuovi strumenti per ripensare la propria collocazione professionale;
in tal senso il CPI è riconosciuto come soggetto istituzionale che
248
può fornire un’occasione di promozione sociale. Si tratta, tuttavia, di
casi minoritari in cui l’apertura degli intervistati verso le opportunità
di orientamento offerte dal CPI sembra fortemente correlata con
la possibilità di fare affidamento su una rete sociale di sostegno,
o sull’eventuale presenza di un membro del nucleo familiare che
percepisce un reddito in grado di provvedere alle esigenze primarie
della famiglia. Sembra, pertanto, che le modalità di approccio ai
servizi offerti dai CPI e, come si vedrà nel paragrafo seguente, la
fruizione degli stessi siano fortemente condizionate dallo status
sociale, economico e giuridico dell’utente migrante oltre che da
elementi propriamente culturali (tra cui in particolare, il titolo di
studio). In definitiva, gli elementi emersi dalle interviste, sollecitano
una riflessione sulla centralità degli strumenti di accoglienza. In
particolare, tenuto conto dell’incongruenza delle aspettative di gran
parte degli utenti stranieri rispetto al servizio offerto dai CPI e delle
criticità che la mancanza di un’adeguata competenza linguistica
può determinare per la comprensione degli stessi, emerge il ruolo
di primo piano svolto dalle attività di front-office che, soprattutto se
integrate con un servizio di mediazione linguistico-culturale, possono
promuovere una maggiore cognizione rispetto alla complessità dei
servizi offerti dal CPI, e agevolare una maggiore consapevolezza
dell’utente al momento della sottoscrizione del Patto di Servizio.
6.5
La fruizione dei servizi: una possibile tipologia dei profili di utilizzo
dell’utenza migrante
Per comprendere i percorsi intrapresi dagli utenti migranti intervistati
presso i CPI e tentare una tipologia di profili di utilizzo, risulta
opportuno collocare gli stessi percorsi nell’ambito della flow-chart
dei servizi offerti (Schema 6.6).
Intanto, prima di addentrarci nel commento dei risultati delle
interviste, può essere di una certa utilità guardare alla frequenza
complessiva d’uso dei singoli servizi da parte degli immigrati
iscritti (questi dati sono stati raccolti soltanto sul caso fiorentino)
(Graf. 6.7). La semplice elaborazione che confronta la presenza
di questi nelle diverse fasi, a confronto con la corrispondente
proporzione sul totale degli utenti, evidenzia significativamente
la loro sovrarappresentazione solo in due attività: il servizio ABC
Famiglia, dove si concentrano le candidature per il lavoro domestico,
249
a cui molte immigrate si indirizzano, sulla base di un’ambizione
esplicita di poter lavorare in quell’ambito, o su suggerimento degli
operatori; e lo Sportello Donna, che non è necessariamente collegato
al precedente, e che in parte riflette la maggiore numerosità delle
immigrate rispetto agli uomini. Negli altri casi, gli utenti migranti
accedono meno che degli italiani -rispetto al loro peso percentuale
sul totale degli iscritti- ai colloqui individuali, alla consulenza per
il tirocinio, allo sportello Mobilità e, inoltre, usano relativamente di
meno anche Pre-net106.
Schema 6.6 Flow-chart del CPI
Inizio
Accoglienza
I-PA
Informazione Guidata
Autoconsultazione
US
Utente Singolo (US)
Impresa/PA (I-PA)
Servizi Esterni
Consulenza Operativa
Procedure
Amministrative
Servizi
Opzionali
Preselezione
Selezione
Procedure
Amministrative
Informazione Guidata
Procedure
Amministrative
Progettazione
Accompagnamento
Lavoro?
NO
SI
Fine
Il servizio per candidature on line alle offerte di lavoro raccolte dai CPI.
106
250
Grafico 6.7 Percorsi nei servizi dei CPI di Firenze: italiani e stranieri a confronto. 2008
Differenze in punti % nell’uso degli specifici servizi rispetto alla proporzione del flusso degli iscritti
Tirocinio
Abc famiglia
Mobilità
Sportello donna
Colloqui individuali
Iscrizione Prenet
Cv inviati tramite prenet
Cancellazioni con Malus
-20%
-10%
0%
10%
20%
30%
40%
50%
60%
70%
Fonte: elaborazioni su dati della Provincia di Firenze
Un’altra considerazione di ordine generale che si deriva da queste
elaborazioni, è inoltre che tra gli stranieri sono di più anche coloro
che si limitano alla semplice iscrizione, e non “sfruttano” tutte le
restanti possibilità.
Di contro, la non perfetta socializzazione all’uso del servizio è
dimostrata dalla sovrarappresentazione tra i cancellati “con malus”.
Mediante l’analisi delle interviste, cercheremo adesso di
approfondire i perché di questo quadro di sfondo.
Circa la metà degli utenti intervistati, dopo aver effettuato
l’iscrizione presso il CPI, riferisce di aver usufruito unicamente del
servizio di auto-consultazione delle offerte di lavoro. La maggior
parte di questi utenti dichiara di recarsi almeno una volta a settimana
presso il CPI per consultare le offerte; una tale frequentazione non
sembra tuttavia agevolare la conoscenza e l’utilizzo degli altri servizi
disponibili: “ho fatto il colloquio all’inizio, cioè due [colloqui]
all’inizio e poi sono tornato quando sono rimasto senza lavoro. Poi
andavo sempre per vedere gli annunci ma non facevo i colloqui”
(Int. n. 17).
Per questi utenti sembra delinearsi un profilo di utilizzo che
potremmo definire marginale in quanto limitato alle prime fasi del
percorso delineato nella flow-chart; in questo caso il CPI sembra
considerato dagli utenti unicamente come “uno dei vari canali”
mediante i quali è possibile consultare le offerte di lavoro. Gli utenti
che mostrano questo profilo di utilizzo riferiscono frequentemente di
essersi rivolti al CPI per certificare il proprio stato di disoccupazione,
utile ai fini del rinnovo del permesso di soggiorno: “sono andato
per fare l’iscrizione, ma ancora di più per i documenti” (Int. n. 17).
In tal senso la componente strumentale della motivazione che ha
251
portato i soggetti a rivolgersi al CPI sembra mostrare una relazione
significativa con un utilizzo successivo dei servizi poco pervasivo ed
essenzialmente limitato all’autocandidatura per le offerte di lavoro.
Il carattere qualitativo dell’indagine condotta non consente delle
generalizzazioni in merito alla frequenza del suddetto profilo di
utilizzo dei servizi tra la popolazione migrante. Tuttavia, secondo
quanto riferito da vari testimoni qualificati intervistati, l’uso
strumentale da parte dei migranti sembrerebbe prevalente.
Il passaggio al CPI è un adempimento formale che non è sentito
come necessario, la sua utilità è riscoperta soltanto nel momento in
cui si capisce che senza l’iscrizione alla disoccupazione si potrebbero
avere dei problemi in fase di rinnovo del permesso. Il ruolo del CPI
è encomiabile ma non posso dire che in questa fase venga vissuto
dai migranti come un luogo fondamentale per l’orientamento e la
ricerca del lavoro.(...) Nell’ultimo anno non ho mai sentito un utente
dire che voleva andare al CPI per ragioni diverse da quelle che ho
descritto prima. (Simone Faggi, Comune di Prato)
Il CPI non è un posto in cui [gli stranieri] vanno a proporsi né un
luogo di richiamo per i lavoratori stranieri, se non che un modo per
rinnovare il permesso di soggiorno quando non sono occupati. Per
ora è così, se cambierà dipenderà da come si imposta il CPI. (Rocca
De La Cruz, CGIL Firenze)
L’accesso al CPI adesso è molto strumentale, lo usano soprattutto per
le certificazioni, nella ricerca di lavoro è considerata più efficiente e
più efficace la rete informale, perché dà una risposta più veloce ed
immediata. (Simone Cappelli, Provincia di Prato)
Sebbene le considerazioni appena citate facciano pensare che si
tratta di una componente minoritaria, tra gli utenti migranti intervistati
nel corso dell’indagine risulta che circa la metà ha usufruito dei
servizi di secondo livello, come i colloqui di orientamento, dei
servizi offerti dagli sportelli tematici (Sportello Immigrati, Sportello
Donna, Sportello Tirocini) o delle opportunità di formazione. In certi
casi il rinvio a tali servizi è avvenuto su sollecitazione dell’operatore
con il quale è stato effettuato il primo colloquio.
In particolare, la relazione che viene ad instaurarsi tra l’utente
e l’operatore riveste un peso significativo nel determinare un
approfondimento del percorso intrapreso nell’ambito dei servizi. In
questo senso sono frequenti le testimonianze di utenti migranti che
evidenziano la disponibilità mostrata dagli operatori: “sono bravi e
252
disponibili” (Int. n. 22), “tutti sono stati gentili e servizievoli. Sono
contento perché qui ho trovato gente che, tra gli altri da quando sono
in Italia, sono stati sempre disponibili” (Int. n. 27). Questi utenti
riconoscono agli operatori un ruolo centrale nel determinare la qualità
del servizio offerto cosicché, frequentemente, viene ad instaurarsi un
rapporto di fiducia con alcuni di essi che sono considerati “referenti
privilegiati” all’interno del CPI: “le persone [gli operatori del CPI,
n.d.a.] sono molto educate, soprattutto una ragazza che ormai conosco
perché mi rivolgo sempre a lei” (Int. n. 9)107.
Una componente minoritaria degli intervistati mostra, tuttavia, una
predisposizione iniziale verso la possibilità di intraprendere un percorso
di orientamento ed una maggiore consapevolezza circa la necessità di
“attivarsi” in prima persona, aspetti che sembrano agevolare il nascere
di una relazione proficua con gli operatori del CPI. Emblematica, in
tal senso, la testimonianza di una donna albanese che, nel raccontare
l’esperienza del suo primo colloquio con un’operatrice, evidenzia
chiaramente la volontà di acquisire gli strumenti per procedere poi in
maniera autonoma nella ricerca di lavoro.
Ma la cosa più carina che ha fatto l’operatrice è stata che mi ha
girato il monitor del computer e mi ha detto: “Guarda tu vai a
cliccare qui e qui trovi le informazioni”. Non ha avuto molto tempo
di spiegarmi ma in due minuti mi ha dato le informazioni, poi io
potevo cercare in autonomia. Per questo ti ho detto l’orientamento
perché non mi ha soltanto detto che c’era quel corso ma mi ha dato
anche le informazioni per poter fare da sola. (Int. n. 30)
La richiesta di orientamento, si è detto, risulta molto circoscritta
tra gli utenti intervistati e si riscontra soprattutto tra coloro che sono
in possesso di un titolo di studio elevato e che hanno una condizione
socio-economica relativamente stabile; si tratta, pertanto, di soggetti
che dispongono di un capitale sociale e culturale e che sono in
grado di mobilitarlo nella ricerca del lavoro. La predisposizione
e la possibilità di “attivarsi” dell’utente da un lato, e la relazione
significativa che viene ad instaurarsi con l’operatore dall’altro,
sembrano pertanto costituire aspetti essenziali di quello che
potremmo definire un profilo di utilizzo consapevole.
La relazione di fiducia che viene a instaurarsi tra operatori ed utenti è confermata anche da Mastrocesare
(responsabile del CPI di Prato): “porto l’esempio di una ragazza straniera che stava aspettando con un
modulo di candidatura in mano: le avevo spiegato che non era necessario aspettare, ma siccome -me lo
confermano gli operatori- molti utenti stranieri si fidano di operatori specifici ed hanno problemi di lingua,
lei aveva bisogno che il ‘suo operatore di riferimento’ gli ‘desse l’ok’, e non mollava nonostante avesse
moltissime persone davanti”.
107
253
In questi casi c’è una consapevolezza del ruolo svolto dai CPI e
una capacità, di intensità variabile a seconda dei casi, di muoversi
tra varie tipologie di servizio. Questi utenti mostrano, infatti, un uso
più pervasivo dei servizi. È il caso della donna albanese di cui sopra
che, oltre ad aver usufruito dei servizi specialistici di secondo livello,
effettuando i colloqui di orientamento, dichiara di aver utilizzato anche
i servizi offerti dagli sportelli tematici (in particolare lo Sportello
Donna e lo Sportello Immigrati) e delle possibilità di formazione.
Come anticipato, la predisposizione dell’utente a farsi orientare
agevola la creazione di una relazione significativa con gli operatori
dei CPI. Per contro, ci sono casi in cui un uso più approfondito dei
servizi avviene grazie al “passa-parola” interno alle reti etniche: per
questi utenti sembrerebbe delinearsi un profilo di utilizzo mirato. Si
tratta, infatti, di soggetti che si indirizzano verso determinati servizi
poiché la rete dei connazionali riesce a veicolare le informazioni
circa l’efficacia degli stessi. É il caso, ad esempio, dello Sportello
Tirocini a Prato, come si evidenzia nella testimonianza di Simone
Cappelli (Provincia di Prato), o di alcuni corsi di formazione.
Qui ritorna in rilievo la questione delle reti all’interno delle
comunità, e questo è vero soprattutto per i lavoratori provenienti
da Pakistan, Bangladesh e Sri Lanka. Laddove individuano una
certa categoria di servizi come effettivamente utili per avvicinarsi al
mercato del lavoro (…), ecco che lì c’è il passaparola, c’è un’utenza
che si rivolge in maniera costante a questo servizio.
Gli appartenenti alla comunità somala spesso vengono qui chiedendo
l’iscrizione al corso per saldatori, probabilmente gli è già stato
suggerito da altri connazionali. (Focus group CPI Firenze Q1)
Ai casi sopra citati si aggiunge quello della formazione nell’ambito
socio-assistenziale o socio-sanitario; come si avrà modo di vedere
in seguito le informazioni riguardo ai corsi di questo genere sono
fortemente veicolate dalle reti sociali delle donne provenienti
dall’Europa dell’Est e in particolare dalle donne rumene (cfr. par. 6.8).
Come si evince dalle testimoniate riportate, il profilo di utilizzo mirato
sembra quindi comportare una sorta di etnicizzazione di alcuni servizi.
In questo caso la rete etnica veicola informazioni mirate e circoscritte
ad un determinato servizio; ne consegue però una scarsa cognizione
del ruolo complessivamente svolto dai CPI da parte dell’utente ed una
limitata capacità di muoversi verso altre tipologie di servizio. Rispetto
all’uso consapevole, siamo quindi un passo indietro.
254
Nel complesso, a fronte di un’utenza in maggioranza marginale/
strumentale, sembrano delinearsi profili di utilizzo più articolati
(consapevole e mirato).
La discriminante rispetto ad un uso consapevole, in particolare,
è costituita dalla capacità di recepire la strutturazione di un servizio
impostato sulla ricerca attiva di lavoro e, conseguentemente, di
mobilitare le risorse di cui si è in possesso o di incrementarle aprendosi,
ad esempio, alle possibilità di formazione. In questo senso è però
opportuno evidenziare la debolezza strutturale di alcuni soggetti
migranti; si tratta in particolare di coloro che sono residenti da minor
tempo in Italia, che hanno scarse competenze linguistiche e una minore
cognizione dei servizi attivi sul territorio. Se a questi fattori si somma
una condizione economica precaria e l’assenza di una rete sociale che
possa svolgere un ruolo di supporto, è facilmente comprensibile il perché
di una rinuncia a priori a intraprendere un percorso maggiormente
approfondito all’interno dei servizi offerti dal CPI. Come è stato
efficacemente notato “la promozionalità deve condurre a tenere presente
l’opportunità di integrare le misure di politica attiva con altre forme
di intervento, poiché (…) vi è necessità di ridurre l’handicap iniziale,
dovuto alla carenza di risorse necessarie per essere attivi sul mercato
del lavoro. La richiesta di maggiore capacità di iniziativa ai soggetti in
situazione di disagio occupazionale rischia infatti di penalizzare chi è
meno capace di attivarsi” (Zucchetti, 2002, p. 62).
La tipologia proposta consente di differenziare l’utenza
straniera in tre macrocategorie che, a loro volta, sono suscettibili di
un’articolazione interna. In tal modo è stato possibile evidenziare la
variabilità delle esigenze che gli utenti stranieri pongono ai CPI e
riflettere, conseguentemente, sulle possibili azioni da intraprendere
in vista di un’agevolazione dei percorsi all’interno dei servizi.
Con riferimento all’utenza che mostra un profilo di utilizzo
marginale/strumentale si pone la necessità di agevolare una
maggiore conoscenza dei servizi e al contempo consentirne una
fruizione mediante la predisposizione di azioni volte a ridurre i
fattori di svantaggio (mancanza di competenze linguistiche, scarsa
conoscenza dei servizi attivi sul territorio, assenza di una rete sociale
di supporto). Tuttavia, si tratta di fattori complessi, che chiamano in
causa non soltanto il ruolo svolto dai CPI ma che richiedono, invece,
di essere affrontati mediante la predisposizione di azioni integrate
che coinvolgano, oltre ai CPI, i soggetti istituzionali e della società
civile che, sul territorio, sono attivi nell’ambito delle politiche per
l’accoglienza e l’integrazione degli stranieri.
255
Il profilo di utilizzo mirato ci presenta una categoria di utenti
che fruiscono dei servizi in maniera settoriale avendo pertanto una
scarsa consapevolezza delle opportunità complessivamente offerte
dai CPI. Per questa categoria si evidenzia quindi la necessità
di promuovere un uso maggiormente consapevole dei servizi
che potrebbe avvenire anche grazie alla maggiore diffusione
di strumenti informativi tradotti nelle lingue delle comunità più
presenti sul territorio. Si tratta di un’azione di cui, tra l’altro,
potrebbero beneficiare anche gli utenti che evidenziano un profilo
di utilizzo marginale/strumentale.
La categoria di utenti che evidenzia un uso più consapevole dei
servizi risulta nettamente minoritaria rispetto alle altre e, tuttavia,
pone in evidenza la necessità di una personalizzazione dei percorsi
che consenta di cogliere la specificità delle richieste che una tale
categoria può porre al CPI. Si tratta di utenti che prendono le
distanze da quell’immagine dello straniero “disposto a svolgere
qualsiasi lavoro” e che, invece, sono disponibili ad intraprendere
azioni volte ad un inserimento o reinserimento occupazionale
qualificato. A tale proposito risulta necessario porre particolare
attenzione alla predisposizione, ovviamente inintenzionale, di
percorsi standardizzati per l’utenza straniera che tenderebbero a
penalizzare coloro che pongono richieste “più complesse” ai CPI.
In conclusione sembra opportuno riflettere sui fattori che
possono determinare la collocazione dei soggetti migranti
all’interno delle varie categorie sopra citate. Come si è visto,
alcuni aspetti strettamente correlati con l’esperienza migratoria dei
soggetti intervistati (l’anzianità di immigrazione, la conoscenza
della lingua, le risorse culturali e materiali, la rete sociale di
supporto, ecc.) contribuiscono in maniera sostanziale a determinare
le modalità di utilizzo dei servizi offerti dai CPI. Si tratta quindi
di fattori esterni al CPI che, tuttavia, vanno ad inficiare l’efficacia
dei servizi proposti. In tal senso, la presa in carico dei fattori di
svantaggio non può essere pensata come una competenza esclusiva
dei CPI ma, al contrario, richiede la predisposizione di azioni
integrate che siano strutturate in collaborazione con altri soggetti.
Al contempo, sembra opportuno evidenziare che, in un contesto in
cui la popolazione migrante mostra una scarsa conoscenza rispetto
ai servizi offerti dal CPI, misure come la mediazione linguisticoculturale possono contribuire in maniera significativa ad un uso
più consapevole e, con buona probabilità, più pervasivo dei servizi
da parte dell’utenza straniera.
256
6.6
Percezioni dei Centri per l’impiego da parte dell’utenza migrante
Si è già avuto modo di constatare come, in una fase iniziale, gli utenti
stranieri tendano di frequente a riporre aspettative di un certo tipo nei
confronti del CPI; uno dei motivi essenziali che li porta a rivolgersi a
questo servizio è, oltre a quello puramente strumentale connesso agli
adempimenti di carattere burocratico, quello di ricercare, e ottenere
in breve tempo, un lavoro. La maggior parte degli utenti dichiara
di essere disposta a svolgere “qualsiasi lavoro, basta lavorare”, una
locuzione che emerge quasi costantemente nelle interviste agli utenti
che rientrano nel profilo di utilizzo marginale-strumentale.
Al di là delle aspettative inizialmente riposte nel servizio, gli
utenti stranieri intervistati riconoscono al CPI una scarsa capacità
di intermediazione tra domanda e offerta di lavoro e, per contro,
nella maggior parte dei casi evidenziano la maggiore efficacia delle
reti informali nello svolgere un tale compito108. Alcuni intervistati
ritengono che la scarsa capacità di intermediazione sia imputabile
alla ridotta strutturazione dei rapporti tra il CPI e i datori di lavoro,
un fattore che determinerebbe una carenza delle offerte di lavoro
veicolate dai CPI, e che in effetti è confermato dai dati presentati nel
paragrafo 6.3.
Per la ricerca del lavoro non so quanto funziona l’incontro domandaofferta, né quanto le ditte lo usano. Perché il CPI può lavorare
benissimo ma se le ditte che cercano personale non si affidano a
questo servizio non so quanto possa funzionare. Quindi da questo
punto di vista non so. Io l’ho sempre trovato per altre vie. (Int. n. 16)
Da tre quattro anni, non mi è mai capitato un lavoratore, una
lavoratrice [stranieri] che mi abbia detto di essere stato chiamato
[per un lavoro, n.d.a.] dal CPI. Questo è indicativo dell’uso che
può fare il lavoratore o di come è la risposta del CPI rispetto al
lavoratore straniero. (…) In una situazione in cui la gran parte dei
lavoratori la difficoltà la trova non nel sapere come comportarsi ma
nel sapere come trovare un lavoro, un nuovo lavoro, non c’è questo
rapporto stretto tra CPI, possibilità di lavoro e lavoratori. Penso
che il CPI dovrebbe essere il ponte; manca anche l’abitudine da
parte del datore di lavoro, sia persona fisica o giuridica, che si possa
fidare dei CPI, perché le poche possibilità che offre il CPI sono
L’indagine svolta da ISFOL sul rapporto tra utenza straniera e CPI conferma questo dato evidenziando
l’efficacia dei canali informali (amici/parenti) nella ricerca del lavoro e la bassa percentuale di utenti
stranieri che hanno ottenuto delle occasioni di lavoro mediante il CPI (De Sario, 2007).
108
257
la conseguenza dei pochi casi in cui si rivolge il datore di lavoro.
(Rocca De La Cruz, CIGL)
La consapevolezza rispetto all’attuale congiuntura critica in cui
verte il mercato del lavoro risulta piuttosto diffusa come evidenzia,
tra gli altri, un giovane di nazionalità rumena: “se non c’è lavoro,
non c’è lavoro. Loro [gli operatori del CPI, n.d.a.] non possono fare
niente” (Int. n. 26).
Nonostante ne riconoscano la scarsa capacità di intermediazione,
alcuni utenti ritengono però che il ricorso al CPI possa agevolare la
ricerca di un lavoro “diverso” da quello reperibile mediante i contatti
informali.
Si cerca lavoro fra amici, a me mai nessuno mi ha parlato del CPI
forse la gente non lo sa e spesso si trova lavoro tramite amici ma io
ora che so che c’è questa possibilità e potrei cambiare qualcosa...
anche per avere delle esperienze di lavoro diverso. (Int. n. 22)
Per trovare lavoro anche attraverso amici che avevo qui lo potevo
trovare, però volevo anche essere un po’ cambiata e non fare sempre
le pulizie. (Int. n. 31)
Tali affermazioni si ritrovano tra gli utenti che mostrano un
profilo di utilizzo consapevole dei servizi; pur riconoscendo i
limiti nell’intermediazione domanda/offerta questi intravedono
l’opportunità offerta dal CPI nel consentire una fuoriuscita dai
segmenti meno qualificati del mercato del lavoro o dal sommerso
agevolando una ricollocazione della propria occupazione
professionale109.
Come si è avuto modo di evidenziare il servizio di gran lunga
più utilizzato da parte dell’utenza migrante risulta quello dell’autoconsultazione delle offerte. Nell’ambito dell’utenza marginale,
quella che si è limitata ad usufruire di tale servizio, vi sono casi
di soggetti disoccupati da lungo periodo in cui la mancata efficacia
dell’auto-consultazione non porta a rivolgere una richiesta di
sostegno ed orientamento presso gli altri servizi disponibili ma sfocia
piuttosto in uno stato di frustrazione e di generale disaffezione verso
il CPI110.
Si tratta di un aspetto emerso anche nell’ambito dell’indagine svolta da ISFOL. La ricerca evidenzia,
tuttavia, che è soprattutto una parte degli utenti stranieri già occupati “che si rivolge ai SPI per migliorare
la propria condizione di lavoro e, indirettamente, mostra la pressione e la volontà soggettiva dei cittadini
stranieri (almeno di una parte significativa di quelli che si rivolgono ai CPI) ad uscire da una condizione di
lavoro nero e/o precario” (De Sario, 2007, p. 109).
110
Con riferimento ai disoccupati di lungo periodo si evidenzia, ancora una volta, la centralità
dell’accompagnamento attivo svolto dagli operatori. In linea teorica, poiché il prolungarsi dello stato di
109
258
Ho frequentato il CPI per un anno e almeno una volta al mese ci
andavo. Ma dopo un po’ che ci vai e vedi che non c’è mai niente, ti
scoraggi. (Int. n. 1)
Mi sono trovata bene ma sono stanca. Vengo sempre, sempre e non
trovo niente. Sono stanca che non trovo mai niente, perdo tempo e
poi faccio anche fatica per venire e andare via sempre senza nulla.
(Int. n. 28)
Sono soprattutto i soggetti in condizione di disagio a manifestare
delle perplessità circa la trasparenza nella gestione del servizio di
intermediazione che si traducono, talvolta, in esplicite accuse rivolte
agli operatori dei CPI. In particolare, la scarsa efficacia del servizio di
candidatura, congiunta ad una conoscenza sommaria delle procedure,
solleva frequentemente dei sospetti riguardo alla gestione del servizio.
Contestualizzando una tale dinamica nell’ambito delle interviste
realizzate si evidenzia che i sospetti emergono in particolare tra i soggetti
che mostrano un profilo di utilizzo marginale dei servizi: laddove
persiste una condizione di disoccupazione prolungata, l’atteggiamento
di tendenziale passività nella ricerca del lavoro operata all’interno
dei CPI si accompagna in questi utenti ad una “colpevolizzazione”
degli operatori. L’incapacità di divenire attori protagonisti del proprio
reinserimento lavorativo, infatti, sembra creare un terreno fertile per
un tale genere di rivendicazioni. Sembra opportuno considerare che, ai
fini della nostra indagine, ciò che assume particolare importanza non
è tanto la veridicità delle accuse sollevate da questi intervistati quanto
piuttosto la percezione che emerge, nell’ambito di tali racconti, dei
soggetti che operano all’interno dei CPI. In questo senso i dubbi sulla
“correttezza” degli operatori possono essere letti come un sintomo
tangibile della scarsa fiducia che alcuni utenti stranieri hanno nei
confronti dei CPI.
Non so dopo che io esco di qua come va la ricerca di lavoro, ci
sono tanti, anche io, che non ricevono risposta. Sono stato qui tre
settimane fa per presentare una candidatura, mi hanno detto che
venerdì mi avrebbero telefonato per fare un colloquio, ma sono
passate le settimane e non è successo niente. Ho chiesto spiegazioni
oggi, ma mi hanno detto che loro mandano i fogli a chi cerca le
disoccupazione è suscettibile di accrescere i fattori di marginalizzazione rispetto al mercato del lavoro,
sembrerebbe opportuna una progressiva intensificazione dell’intervento degli operatori in relazione al
protrarsi dello stato di inattività di questi soggetti, un approccio che si riscontra, tra gli altri, nel modello
anglosassone dei servizi pubblici per l’impiego. Va inoltre evidenziato che recenti ricerche condotte nel
contesto italiano rilevano la crescente diffusione del fenomeno della disoccupazione di lunga durata presso
la popolazione straniera. In merito cfr. Colasanto, 2002; Brambilla, 2006; Bertazzon e Fincati, 2007.
259
persone e a quel punto viene fatta la scelta. (...) Questa di oggi è la
terza [candidatura, n.d.a.] e non sono stato mai chiamato (Int. n. 7)
Ma loro come mandano i requisiti delle persone? Perché a me non
mi hanno mai chiamata non so come scelgono. Comunque non sono
l’unica perché ci sono delle mie amiche che sono tanti anni che
sono iscritte e non sono mai state chiamate, non so come scelgono
le persone. (Int. n. 19)
In alcuni casi, come in quello di una donna albanese, si profila
anche il sospetto che l’operatore non abbia provveduto ad inoltrare
la candidatura senza informarne l’utente che l’aveva proposta.
Io nel 2002 cercavo lavoro però ero da un’altra parte, ero in un’altro
Quartiere. Lì avevo perso la fiducia con il CPI, dico la verità, perché
sono stata diverse volte per trovare lavoro, chiaramente ognuno
cerca quello che si può fare, mi è capitato una volta che avevo fatto
una richiesta per un’offerta di lavoro, magari era adatta, magari no,
non lo so..però io ho visto questa signora che l’ha presa e l’ha buttata
nel cestino. Io sono rimasta molto male e sono andata via. Sicché
da quel momento in poi non sono andata più al CPI perché ho detto:
“finché ci rimango male non ci vado più”. (Int. n. 31)
In merito va comunque evidenziato che tra gli stranieri, così come
tra gli italiani, sembra diffusa la tendenza a candidarsi pur in assenza
dei requisiti richiesti dalle offerte. Tale meccanismo sembrerebbe
alimentato dalla dinamica che vede aumentare congiuntamente la
selettività del mercato del lavoro e l’offerta di lavoro.
La cosa che si sta notando e che ci preoccupa, non solo per gli
immigrati, è che mentre prima ci si candidava alle offerte alle quali
si era in grado di rispondere, quelle che avevano le caratteristiche
corrispondenti alle competenze possedute, adesso ci si candida a
tutto e noi siamo costretti a scartarne quasi il 30%. Questo comincia
ad essere preoccupante perché vuol dire che c’è un indebolimento
del mercato mentre il mercato è divenuto più selettivo. Mentre c’è
una maggiore offerta di lavoro la domanda è divenuta più selettiva,
non chiede più soltanto operai generici ma anche operai specializzati
o tecnici. (Michele Del Campo, direttore Fil S.p.A.)
In alcuni casi i sospetti tendono a concentrarsi sulla possibilità di
un legame privilegiato tra determinati utenti e gli operatori del CPI.
La relazione di fiducia che, come si è detto, taluni utenti riescono ad
instaurare con gli operatori viene interpretata da altri come una sorta
di “clientelismo”.
260
Ma il problema è questo: qui, come da noi in Marocco, il lavoro
lo danno a quelli che conoscono. (…) Se conosci qualcuno trovi
lavoro subito, se non conosci nessuno ti dicono: “lascia il numero
di telefono” e appena vai via poi lo buttano via. Questo è quello che
penso, poi non so se sono sbagliata io. (Int. n. 28)
Però lì se vai e se conosci qualcuno che ti aiuta potrai fare qualcosa
per trovare lavoro, chi non ti aiuta ti fa l’iscrizione e basta. Capito?
Nel senso che non è che ti danno tanta importanza se non c’è una
conoscenza un po’ più... come dire... una conoscenza di persona.
(Int. n. 17)
Come si è già detto, ciò che appare rilevante ai fini della
presente indagine non è tanto una considerazione dell’attendibilità
dei sospetti e delle recriminazioni che emergono dalle singole
esperienze (una valutazione che peraltro i dati emersi dall’indagine
non consentirebbero di effettuare), quanto piuttosto la centralità che
tali aspetti possono assumere nelle dinamiche di disaffezione nei
confronti del servizio offerto.
In vista del superamento delle criticità sopra evidenziate si
tratterebbe, pertanto, di promuovere delle azioni che consentano una
maggiore chiarezza delle procedure e, nello specifico, una più diffusa
consapevolezza del ruolo ricoperto dagli operatori dei CPI presso
quella parte di utenza che tende ad imputare a tali soggetti, che si
trovano “in prima linea” nel confronto con le molteplici esigenze
degli utenti, le responsabilità dell’inefficacia delle azioni intraprese
nella ricerca di lavoro.
Come emerso nell’ambito di un focus group, gli effetti della
crisi e la conseguente contrazione delle offerte di lavoro disponibili
contribuiscono ad alimentare le tensioni e la sospettosità di alcuni
utenti nei confronti degli operatori.
Qui arrivano tutti arrabbiati, italiani, stranieri comunitari e non
comunitari e noi dobbiamo cercare di stare tranquilli e di sedare
anche se abbiamo sempre meno risorse e strumenti. (…) C’è un
nervosismo dilagante; all’accoglienza un giorno sì, un giorno no
c’è una reazione intollerante. Anche noi siamo stanchi di essere
maltrattati perché ritenuti responsabili, perché i servizi pubblici sono
visti come i responsabili del perché non si trova lavoro, come coloro
che hanno occhi di riguardo solo per ‘i loro’. Siamo l’osservatorio
e la prima linea dove si riversano le rivendicazioni di ogni tipo.
(Focus group CPI Firenze Q1)
261
Emerge, in tal senso, la centralità degli strumenti di prima
accoglienza, ed in particolare del front-office, nella gestione di
un’utenza spesso poco consapevole riguardo alla strutturazione
dei servizi, un utenza che è portata ad attribuire agli operatori gli
oneri relativi all’efficienza di un servizio verso il quale si ripongono
aspettative spesso incongruenti rispetto alle reali possibilità di
intervento.
In conclusione, sembra opportuno effettuare alcune considerazioni
in merito alle rappresentazioni del CPI emerse nell’ambito delle
interviste realizzate. In questo senso si rileva che nella maggioranza
delle esperienze considerate il CPI costituisce una “risorsa estrema”
alla quale gli utenti stranieri fanno ricorso per procedere nella ricerca
di un lavoro, soltanto dopo aver sperimentato molte altre strategie,
principalmente di carattere informale111. È quanto emerge in maniera
emblematica dalla testimonianza di una donna rumena disoccupata:
“ora che sono venuta qui è la mia ultima speranza e speriamo di
avere fortuna” (Int. n. 10).
All’opposto di una tale rappresentazione vi è, invece, quella
del CPI come realtà istituzionale che può fornire opportunità di
fuoriuscire dal lavoro sommerso o da una condizione di precariato
e agevolare l’emancipazione rispetto alle nicchie etniche del
lavoro. Si è avuto modo di evidenziare testimonianze di una tale
rappresentazione del CPI nelle pagine precedenti (cfr. Int. n. 22 e
n. 31, p. 9). Significativa in questo senso anche la testimonianza di
una giovane donna albanese, in Italia da 5 anni, nella quale emerge
la fiducia nel CPI come realtà istituzionale, e per questo più “sicura”,
che può fornire numerose possibilità.
Io poi credo molto anche nei CPI, perché credo nelle istituzioni,
magari sono fuori moda ma ci credo. Il CPI secondo me dà più
sicurezza, perché intanto mi iscrivo, poi si vedrà. E poi serve
anche per la disoccupazione, o per aderire ai bandi per disoccupati,
lavoratori in mobilità, ecc. Nel frattempo puoi provare a fare una
formazione, o a richiedere i voucher. Secondo me quella del CPI è
un’occasione che è sempre bene non perdere. (Int. n. 32)
Non si può prescindere dal considerare che la percezione dei CPI
rivelata dagli utenti mostra una relazione significativa con la capacità
degli utenti stessi di relazionarsi con un tale soggetto istituzionale.
Questo aspetto è documentato anche dal rapporto CNEL su “Gli immigrati nel mercato del lavoro
italiano”; se infatti la percentuale di stranieri disoccupati che si rivolge ai CPI è assimilabile a quella degli
italiani, si riscontra invece una profonda divergenza tra il ricorso a tale servizio da parte degli occupati; 38%
circa nel caso degli italiani, 16,5% nel caso degli stranieri (CNEL, 2008, pp. 93-94).
111
262
Le criticità appaiono evidenti nel caso degli intervistati che mostrano
un profilo di utilizzo marginale dei servizi, per cui l’inefficacia delle
azioni di ricerca del lavoro intraprese all’interno dei CPI, azioni
che come si è visto si limitano spesso alle prime fasi della flow
chart dei servizi, tende ad alimentare una percezione negativa, o
quantomeno, dubbia degli operatori ed una disaffezione più generale
verso i servizi offerti dal CPI. Si tratta di un aspetto centrale poiché
rischia di innescarsi una dinamica circolare (scarsa conoscenza dei
servizi ed uso limitato + percezione negativa del CPI + disaffezione
verso il servizio), che può portare ad alimentare ulteriormente i
processi di marginalizzazione di quella parte di utenza che mostra
maggiori criticità nell’accesso al servizio. Si è già richiamata
l’importanza della predisposizione di strumenti di comunicazione
che promuovano un accompagnamento più consapevole delle fasce
di utenti marginali all’interno dei percorsi offerti dai CPI. Tuttavia,
oltre ad agire sulle criticità che possono rappresentare degli ostacoli
nell’accesso e nell’utilizzo dei servizi sembrerebbe utile predisporre
delle azioni che tendano a scardinare i perplessità di cui si è riferito.
Ad esempio, con specifico riferimento al servizio di autocandidatura
per le offerte di lavoro, quello che in assoluto sembra sollevare
maggiori sospetti, si potrebbe pensare a delle azioni che consentano
di informare gli utenti sui motivi del decadimento della propria
candidatura. L’introduzione di un tale feedback, oltre a fornire
all’utente una maggiore trasparenza delle procedure, consentirebbe,
inoltre, di agevolare un uso più circostanziato del servizio stesso
poiché l’utente potrebbe calibrare le candidature successive anche
in relazione alle informazioni emerse da una candidatura decaduta.
Quella proposta è solo una delle possibili misure integrabili nei
servizi che, tuttavia, potrebbe promuovere nell’utenza una maggiore
consapevolezza dei percorsi intrapresi e, al contempo, una più chiara
cognizione delle responsabilità e del ruolo dagli operatori nell’ottica
di agevolare una relazione più proficua.
6.7
Il ruolo della formazione
Secondo alcuni testimoni qualificati, le opportunità formative
a disposizione dei lavoratori stranieri sono ancora scarse. Per
Fabozzi (Confartigianato) “ci sono i corsi di lingua, ma le proposte
formative sono ancora minime, ancora ci si ferma prevalentemente
263
ai corsi di lingua e sulla sicurezza, mentre i corsi di qualificazione e
professionalizzazione sono ancora poco frequentati dagli stranieri”.
È tuttavia innegabile, secondo quanto emerge dalla nostra indagine,
che se fino ad ora “funzionava il passa-parola senza formazione”,
negli ultimi tempi si è cominciato “a notare un aumento degli
stranieri che frequentano i corsi” (Zejnati, UIL).
Sulla base delle interviste raccolte con gli utenti dei CPI, il
numero di persone straniere indirizzate verso attività formative
risulta rilevante. Ciò che emerge con grande evidenza è che però
i corsi frequentati sono prevalentemente quelli per assistenza di
base e per il conseguimento di qualifiche di non elevato livello
professionale. Per quanto riguarda i primi, il responsabile del settore
politiche del lavoro della provincia di Prato, Simone Cappelli, ha
ricordato come si tratti “di corsi che sfornano almeno un centinaio
se non di più di qualifiche all’anno, e lì la presenza di lavoratrici
straniere è massiccia”; con riferimento ai secondi, un operatore del
CPI del Quartiere 1 di Firenze ha sottolineato come ci sia “richiesta
per tutte quelle che sono qualifiche tecniche-manuali, come operatori
che possono lavorare nelle pelletterie, abbiamo il corso per saldatori
in cui la maggior parte sono stranieri”. Queste considerazioni
confermano a nostro avviso che nell’inserimento degli stranieri nel
mercato del lavoro continuano a prevalere percorsi di integrazione
subalterna. Il migrante trova lavoro in un segmento specifico del
mercato del lavoro, talora intraprende un percorso di qualificazione
all’interno di quello stesso segmento, ma difficilmente riesce ad
uscirne per operare in ambiti diversi e più qualificati.
Non sono pochi gli sforzi compiuti dai CPI per accompagnare
l’utenza straniera verso le offerte formative disponibili, e più in
generale per far comprendere l’importanza di queste opportunità in
termini di occupabilità e qualificazione delle competenze. Come ha
sottolineato la referente del CPI del Quartiere 4 di Firenze:
Dopo il primo contatto si cerca di creare un percorso per cui [gli utenti
stranieri] pervengono alla consapevolezza che se non acquisiscono
alcune conoscenze e alcune competenze che vengono richieste non
riescono ad inserirsi. La persona che in un primo momento nega la
possibilità di una formazione anche linguistica, cede, si arrende dopo
essersi scontrato più volte con l’impossibilità di collocarsi. Alcuni
si perdono e non si sa poi che cosa succede, altri se poi riescono a
fare la formazione è anche perché c’è un sostegno. Ma in un primo
momento la possibilità di fare formazione la vedono sempre come
se gli chiedessi di andare sulla luna.
264
I periodi di disoccupazione rappresentano da questo punto di vista
una leva importante per far comprendere l’importanza di determinati
percorsi di qualificazione, o quanto meno la possibilità di ricorrere
anche a questo strumento per migliorare le chances occupazionali.
Tuttavia, anche se non manca una giustificata soddisfazione per i
casi nei quali -come ha ricordato uno degli operatori del CPI del
Quartiere 4 di Firenze- “si vede che riusciamo a farglielo capire,
perché poi li vedi che guardano gli avvisi dei corsi”, l’orientamento
alla formazione svolto dai CPI nei confronti dell’utenza straniera
resta prevalentemente concentrato sui due ambiti indicati all’inizio
del paragrafo. Come è emerso nel corso del focus svolto presso il
CPI del Quartiere 1 di Firenze:
La richiesta di formazione è principalmente nel settore sociosanitario, le persone che si prestano per l’assistenza agli anziani,
sia come assistenza domiciliare, sia presso strutture attraverso
cooperative, sono più che altro cittadine e cittadini stranieri, quindi
c’è una richiesta continua. Se si va a vedere l’elenco dei corsi
finanziati ce ne sono 5 o 6 del genere.
Nel caso delle donne immigrate, le interviste agli utenti
confermano che è proprio il CPI, spesso, a indirizzare verso la
frequenza dei corsi per assistenza di base e affini. Su cinque
intervistate che stanno frequentando un corso di questo tipo (non a
caso tutte donne rumene), almeno tre sono quelle che hanno appreso
la notizia del corso o che vi si sono iscritte attraverso il CPI. Altri
quattro utenti hanno frequentato, stanno frequentando o si accingono
a farlo, corsi per aiuto cuoco, mulettista o di addetti alle vendite
suggeriti dai Centri.
Seppur non trascurabile dal punto di vista quantitativo,
l’incidenza della formazione sui percorsi lavorativi dell’utenza
straniera è ancora relativamente ridotta. Dalle interviste non emerge
un rapporto consolidato con il sistema formativo, che è ancora
percepito come una risorsa nel complesso poco importante. Se
analizziamo le motivazioni di quella che un operatore del CPI del
Quartiere 4 di Firenze ha definito esplicitamente come “resistenza
degli utenti stranieri ad accettare la possibilità di intraprendere un
percorso formativo”, ci imbattiamo nei nodi strutturali variamente
evidenziati dalla letteratura esistente. Per spiegare lo scarso richiamo
esercitato dalla formazione sui lavoratori stranieri uno studio del
Cnel ha elencato una serie di ragioni: la persistente concentrazione
della domanda di manodopera straniera in profili a basso contenuto
265
professionale, gli orientamenti e le strategie delle imprese nella
gestione delle risorse umane straniere occupate, le resistenze
culturali dei lavoratori autoctoni (restii -secondo questo studio- ad
abbracciare prospettive di pari opportunità).
Allo stesso tempo il Cnel ha sottolineato come poco meno
dell’80% della manodopera straniera che stava per entrare nel
mercato del lavoro italiano nel corso del 2008, avrebbe necessitato
“di ulteriore formazione”, ma che essa si sarebbe attuata “soprattutto
con periodi di affiancamento” e che ai corsi organizzati dall’impresa
avrebbero avuto accesso “prevalentemente quei lavoratori stranieri
che già possiedono livelli di competenza medio-alti” (Cnel, 2008,
pp. 95-99).
Ma oltre a queste motivazioni di carattere strutturale, legate
alle dinamiche complessive del mercato del lavoro, ve ne sono
altre nelle quali l’aspetto sistemico non può essere disgiunto da
quello soggettivo. Sotto quest’ultimo profilo il principale ostacolo
nell’accesso ai corsi di formazione da parte degli utenti stranieri
appare quasi ovvio: i corsi sono troppo lunghi per persone che hanno
quasi sempre la necessità primaria ed indifferibile di lavorare.
La referente del CPI del Quartiere 1 di Firenze ha affermato in
proposito:
Il problema nella formazione è che, siccome i corsi di formazione
sono molto lunghi, sono di 600-900 ore, c’è un abbandono molto
alto. Il cittadino extracomunitario che ha necessità di lavorare va
sì a fare formazione ma, se trova lavoro, lascia il corso. C’è un
abbandono altissimo nei primi 3-4 mesi di corso. (...) Per come
sono strutturati i corsi adesso sono proprio full-immersion per cui
le persone frequentano 3, 4 a volte anche 5 giorni alla settimana;
quindi pensare ad un impegno che vada dalle 9 alle 17 anche tre
giorni alla settimana impedisce qualsiasi attività lavorativa”.
Rocca De La Cruz (Cgil Firenze) è stato ancora più esplicito:
Sono sempre stato critico su come vengono impostati i corsi di
formazione per gli stranieri da parte dei CPI perché a volte non si
tiene di conto della particolarità di questi lavoratori. Il 99% degli
immigrati vengono per trovare un lavoro e poter sostenere in parte
o totalmente la famiglia nel paese di origine; non lavorare significa
non mandare nulla. E i corsi che danno diritto a una qualifica quasi
obbligano a non lavorare, perché c’è il vincolo della presenza,
il numero di ore e di tempo significa un investimento che va a
ripercuotersi sulle famiglie degli immigrati (…).
266
Nel caso delle cosiddette lavoratrici domestiche o badanti, il datore
di lavoro difficilmente dà l’autorizzazione ad andare a lezione tutti
i giorni o ad assentarsi per 2-3 ore al giorno; questo può creare
problemi al rapporto di lavoro, che può finire con il licenziamento.
Come conseguenza preferiscono non formarsi, non qualificarsi ma
mantenere quelli che erano stati gli obiettivi primari all’arrivo in
questo paese.
Sono stati molti gli utenti intervistati che hanno dichiarato di aver
preso in considerazione una qualche ipotesi di percorso formativo,
ma di averla scartata per ragioni di tempo e di articolazione degli
orari, condizione quest’ultima particolarmente condizionante per le
donne con carichi familiari. “Mi piacerebbe fare qualche corso per
imparare un’attività, ma prima devo trovare un lavoro”, ha detto un
ventisettenne rumeno.
Dal punto di vista degli utenti sono significativi anche altri
ostacoli di natura materiale, come accade a coloro i quali non hanno
i mezzi per pagarsi i corsi (“se sono corsi a pagamento non li posso
fare”, ha notato un intervistato che avrebbe desiderato iscriversi ad
un corso per fare il cameriere a Firenze), o nei quali la sede del corso
è lontana dall’abitazione e non si hanno mezzi per raggiungerla
agevolmente.
Appare comunque evidente che le resistenze più forti derivano
dalla percezione della scarsa utilità delle offerte formative di volta
in volta prospettate. I corsi sono spesso ritenuti distanti dalla realtà
lavorativa, e richiedono uno sforzo rispetto al quale -secondo
l’opinione di molti degli intervistati- i benefici attesi non sembrano
essere proporzionali.
Non mancano inoltre coloro che dichiarano di preferire le
esperienze acquisite sul campo (la “pratica”) alle credenziali
ottenibili attraverso corsi di qualificazione. “Io ho le referenze, senza
studio, senza niente”, ha risposto risentita una donna marocchina
alla domanda relativa alla valutazione dell’utilità dei percorsi di
qualificazione per assistente familiare o di base.
Le prove della presenza diffusa di percezioni di questa natura sono
desumibili dal tipo di attività formative effettivamente frequentate.
Risultano attraenti i percorsi formativi considerati immediatamente
spendibili nell’esperienza lavorativa. I corsi per O.s.a. o per assistente
di base ottengono una buona accoglienza non soltanto per il ruolo
di indirizzo verso di essi esercitato dai Centri, ma anche perché
sono considerati dai frequentanti stranieri sia come uno strumento
che migliora le opportunità a disposizione -il mercato del lavoro
267
di cura è in crescita- sia come strumenti professionalizzanti, che
possono consentire il passaggio dal lavoro di cura in ambito privato/
familiare al lavoro in struttura. A proposito di uno di questi corsi, da
lei frequentato, una donna rumena ne ha sottolineato l’importanza:
Perché tutti sappiamo mettere i pantaloni, sappiamo fare le pulizie a
una persona anziana, sappiamo crescere un bambino -io ho cresciuto
i miei- ma farlo così è diverso, da quando le cose le sai in maniera
approfondita, sei più sicura, sai che una cosa va fatta così perché
hai studiato.
Nel complesso l’uso consapevole e strategico della risorsa
formativa risulta ancora minoritario. Un intervistato albanese
ha elencato tutti i corsi frequentati a partire dal momento del suo
arrivo in Italia (programmazione di computer, tecniche di marketing
su internet, agente immobiliare), indicando come motivazione
fondamentale delle scelte compiute il desiderio di migliorare la
propria qualificazione professionale (“non l’ho fatto per lavorare
perché in quel momento lavoravo. Non avevo pensieri di rimanere
senza lavoro. L’ho fatto per mio interesse, per accrescere le mie
conoscenze”).
In altri casi è emerso l’esplicito riconoscimento della formazione
come mezzo utile a rafforzare la rete relazionale e quindi a farsi
conoscere (a proposito di un corso frequentato, una donna albanese
ha ricordato: “non è che mi è servito per il lavoro che ho fatto dopo,
ma ho fatto esperienza (...) insomma è servito a introdursi…”. Resta
tuttavia la sensazione che la formazione sia vista -come ha affermato
Leonardo Angeletti- “come uno spreco di tempo rispetto al lavoro”.
La conclusione dello stesso Angeletti è che:
Per il beneficio di tutti, ma in particolare dei migranti, questo è
un settore che va riformato. Purtroppo la formazione risente di un
approccio un po’ troppo scolastico, si devono organizzare corsi nei
quali le persone devono sì stare in aula, ma devono stare soprattutto
sul terreno. I migranti hanno anche approcci, culture e lingue
diverse, e quindi anche il modo di porsi dev’essere diverso, bisogna
considerare che molti stranieri non sono analfabeti, accettano lavori
umili per necessità ma si deve considerare che non abbiamo di
fronte persone senza competenze.
Nonostante i lodevoli sforzi dei CPI, dunque, forme e contenuti
di un’offerta formativa in grado di intercettare realmente l’interesse
dell’utenza non italiana devono ancora essere delineati.
268
6.8
Una prospettiva di genere
Riguardo all’inserimento delle donne migranti nel mondo del
lavoro è stato efficacemente evidenziato come una tale categoria sia
suscettibile di subire una “doppia discriminazione” (Simon e Brettel,
1986); infatti, la condizione di migranti e l’appartenenza di genere
possono determinare una duplicazione dei fattori di svantaggio.
In particolare, la letteratura ha evidenziato come gli effetti della
cosiddetta path dependency, vale a dire la “dipendenza dal percorso”
di primo inserimento nella società ospite112, mostrino una particolare
rilevanza nel caso delle donne alle quali “al di là dell’istruzione,
delle precedenti esperienze di lavoro, delle aspirazioni professionali,
i mercati del lavoro riceventi offrono quasi soltanto lavori domestici,
assistenziali, di pulizia, con pochissime opportunità di promozione”
(Gilli e Landi, 2007, p. 19).
Un’analisi tesa ad approfondire l’inserimento delle donne
migranti nel mercato del lavoro e, conseguentemente, le domande
che tali soggetti pongono ai servizi pubblici per l’impiego, non può
prescindere dal considerare le caratteristiche del progetto migratorio
intrapreso. In tal senso, pur nella variabilità delle singole esperienze,
si possono distinguere almeno due macrogruppi: coloro che hanno
intrapreso la migrazione individualmente e coloro che sono giunte in
Italia a seguito del ricongiungimento con il coniuge o altri familiari113.
Come è intuibile, tra i due sottogruppi esistono differenze sostanziali
nel modo in cui viene a declinarsi la conciliazione tra l’impegno
lavorativo e quello profuso nell’ambito della sfera familiare.
Nel caso delle donne che intraprendono individualmente la
migrazione risultano prioritari, sebbene non esclusivi, i fattori di
carattere economico. Si tratta di donne per cui spesso la scelta di migrare
è strettamente correlata alla necessità di provvedere al mantenimento
dei figli, di un eventuale coniuge o di altri familiari nel paese di origine.
È il caso, ad esempio, di una donna rumena divorziata che ha deciso di
immigrare in Italia per mantenere i tre figli rimasti in Romania.
Come è stato evidenziato, “la persistenza degli stereotipi sui lavori per cui gli immigrati sarebbero
‘portati’, la mancanza di agganci utili per inserirsi nelle occupazioni qualificate, la concorrenza dei
lavoratori nativi, l’insufficienza degli investimenti formativi nella fase iniziale di insediamento, le
difficoltà linguistiche, producono effetti di path dependency, per i quali gli sviluppi successivi dipendono
dai passi precedenti, e conducono quindi ad esiti sub-ottimali nella costruzione delle carriere professionali”
(Ambrosini, 2004, p. 54)
113
Per un di tentativo di classificazione maggiormente dettagliato della componente femminile
dell’immigrazione si rimanda, tra gli altri, a Lodigiani (1994, pp. 494-506) che distingue le donne che
migrano da sole in “protagoniste”, “apripista” e ”target-earners”, e le donne che intraprendono la migrazione
con il partner in “subalterne” e “co-protagoniste”.
112
269
Io ho tre bambini e sono divorziata. Mi trovavo là [in Romania]
nel bisogno. Ho visto tante donne sia più giovani che più mature di
me che hanno avuto il coraggio di andare in un altro paese e hanno
potuto aiutare la famiglia, quindi anch’io volevo fare qualcosa. Ho
preso il coraggio e mi sono detta: “devo fare qualche cosa per i miei
bambini”. (Int. n. 21)
Una tale connotazione del progetto migratorio ha ripercussioni
sostanziali sulle caratteristiche dell’inserimento lavorativo. Queste
donne, infatti, almeno in un primo momento, sono disposte a
svolgere lavori “totalizzanti”, in primis quello dell’assistenza
domiciliare, pur di massimizzare le rimesse che saranno inviate
in patria o di accumulare il capitale ritenuto necessario per poter
concludere il proprio progetto migratorio. In molti casi, seppur nella
difficile condizione di transnazionalità degli affetti114, la sospensione
del lavoro di cura profuso nell’ambito familiare di origine determina
una disponibilità incondizionata rispetto ai tempi di svolgimento
dell’attività lavorativa nel paese di arrivo.
In alcuni casi, sebbene in una fase iniziale il progetto migratorio
fosse improntato alla temporaneità, queste donne procedono poi nel
ricongiungimento dei figli o dei familiari rimasti in patria115. Come
emerge dalla testimonianza di una donna rumena, inizialmente
“badante” non regolarizzata presso una famiglia, raggiunta dal marito
un anno dopo il suo arrivo in Italia, i ritmi di vita impostati su una
totale dedizione rispetto all’attività lavorativa risultano difficilmente
conciliabili con la vita coniugale (Int. n. 6). Il ricongiungimento
dei familiari può essere, pertanto, uno dei motivi che, tra gli altri,
sollecita la volontà di ripensare la propria collocazione occupazionale
o, quantomeno, la disponibilità del tempo dedicato al lavoro116.
La necessità di inviare rimesse al paese di origine e, con essa,
la dedizione incondizionata nei confronti dell’attività lavorativa,
determinano una accentuata vulnerabilità di queste donne
frequentemente sfruttate dai datori di lavoro con richieste di orari
Su questo aspetto si veda, tra le altre, la riflessione sulle famiglie transnazionali proposta da Ambrosini
(2008).
Come è stato evidenziato “la forte concentrazione della domanda di lavoro immigrata femminile nel
lavoro domestico e di cura familiare (soprattutto nei grandi centri urbani), rende molto complesso il processo
di ricostruzione del nucleo familiare originario, data la frequente coabitazione con il datore di lavoro
e, comunque, la necessità di adeguare i propri ritmi di vita alle esigenze della famiglia datore di lavoro
(esigenze spesso poco compatibili con quelle della propria famiglia). Lo sviluppo di ricongiungimenti
familiari “atipici”, con l’ingresso del coniuge maschio, rientra per esempio in un processo tutt’altro che
semplice e che richiede alla donna immigrata tempi più lunghi di inserimento e di stabilizzazione all’interno
del paese ospitante. È proprio a tale complessità che occorre ricondurre, in linea di massima, il persistere
nel tempo di alti tassi di femminilizzazione per alcune comunità straniere”. (Gilli e Landi, 2007, p. 70).
116
Come si avrà modo di evidenziare in seguito, nel caso delle cosiddette ‘badanti’ si verifica di frequente
una ristrutturazione delle aspirazioni professionali rispetto al momento del primo arrivo.
114
115
270
massacranti e intrappolate nel circuito del lavoro sommerso. In tal
senso, si comprende perché al momento che queste donne si rivolgono
poi ai servizi pubblici per l’impiego l’aspettativa principale risulti
quella di “un contratto di lavoro, un lavoro sicuro” (Int. n. 6); “un
lavoro regolare” (Int. n. 21). In questo senso il CPI è percepito come
un soggetto che può agevolare la fuoriuscita dai percorsi informali
grazie a un’intermediazione “trasparente” con i datori di lavoro.
Per le donne che sono giunte in Italia grazie al ricongiungimento
familiare si profilano percorsi significativamente differenti. Tra
queste, in una fase iniziale di insediamento l’impegno profuso
nell’ambito della sfera familiare, e in particolare la dedizione alla
cura dei figli, risultano spesso difficilmente conciliabili con l’attività
lavorativa. È il caso, ad esempio, di una giovane donna rumena, in
Italia da cinque mesi grazie al ricongiungimento con il marito che
riferisce delle difficoltà di conciliazione della cura del figlio di 3
anni con un’attività lavorativa che, tuttavia, risulterebbe necessaria
nell’ambito dell’economia familiare.
Lui va all’asilo. Parla italiano meglio di me! Ha cominciato a
dicembre 2008, tutti i giorni dalle 8-9 della mattina fino alle 4 del
pomeriggio. Quando sono al corso [di italiano] mi danno una mano
mia sorella e un’amica moldava che ha il bambino all’asilo con
mio figlio. L’ho iscritto anche ai centri estivi perché ho bisogno di
cercare lavoro rapidamente. (Int. n. 24)
Come si evince dalla testimonianza sopra riportata, la possibilità
di poter fare affidamento su una rete di sostegno, consente una
maggiore libertà rispetto agli impegni familiari; nel caso della
donna rumena ciò comporta l’opportunità di frequentare un corso
di italiano. In assenza di un tale supporto la cura dei figli diviene
vincolante cosicché le possibilità di inserimento lavorativo emergono
soltanto al momento in cui i figli risultano sufficientemente cresciuti.
È quanto emerge dalla testimonianza di una donna albanese, in Italia
da tredici anni: “i primi anni che ero qui sono arrivate le bambine e
quindi mi sono occupata di loro. Non avevo la possibilità di lavorare
perché con le bambine, senza parenti è veramente difficile” (Int.
n. 31). Nel caso di quest’intervistata si evidenzia anche la particolare
connotazione assunta dall’attività lavorativa dopo un periodo
dedicato esclusivamente alla cura della propria famiglia: “quando
sono cresciuti [i figli, n.d.a.] io volevo anche un po’ esserci, un
po’ vivere, esserci per me stessa”. La sospensione della ricerca
di un impiego determinata dalle esigenze familiari e la valenza di
271
realizzazione personale attribuita alla stessa rendono l’esperienza
della donna albanese affine a quelle di molte donne italiane. Tuttavia,
se si considera che la donna in questione risulta in possesso di una
laurea in Economia, si conferma ancora una volta il processo di
dequalificazione subìto da una gran parte delle donne migranti. Il
mancato riconoscimento del titolo di studio, ha portato l’intervistata
a svolgere lavori scarsamente qualificati nei momenti di criticità
dell’economia familiare; soltanto dopo che il reddito del coniuge
ha consentito una relativa stabilità per il nucleo familiare, la donna
ha potuto investire in un percorso di reinserimento lavorativo più
qualificato, intraprendendo un corso di formazione che le permette,
tra l’altro, il recupero delle competenze possedute nell’ambito
dell’economia.
All’inizio non ho fatto niente perché stavo sempre con le bambine.
Poi crescendo loro ho iniziato a fare le pulizie, due ore qua, due
ore là. Una cosa che mi metteva un po’ giù di morale era che
c’avevo lo sfratto; quello mi ha fatto, non crollare, ma stare un po’
giù perché tornare indietro non si poteva, qui non c’avevo parenti
e con uno stipendio era difficile. Poi mi sono sistemata, anche mio
marito lavora un po’ di più, con lo stipendio stiamo un po’ più
tranquilli e allora ho detto: “è il momento giusto per fare un po’
per me”. (Int. n. 31)
In generale, l’anzianità di immigrazione, la presenza di un
coniuge che lavora e un titolo di studio elevato sembrano fattori
che favoriscono la volontà di un reinserimento a lungo meditato da
parte di alcune donne migranti. Si tratta di casi, seppur minoritari, di
donne che si rivolgono ai CPI con l’intento principale di ricevere un
servizio di orientamento che consenta di collocarsi valorizzando le
competenze possedute e che, in tal senso, si mostrano maggiormente
disponibili ad intraprendere anche dei percorsi di formazione (Int.
n. 31, Int. n. 18).
In alcuni casi, la volontà di reinserirsi nel mercato del lavoro, si
scontra, oltre che con le scarse possibilità di accesso ad un lavoro
‘più qualificato’117, con gli ostacoli determinati dall’inserimento
lavorativo in un’età avanzata. Una tale dinamica si evidenzia nella
testimonianza di una donna rumena di 42 anni, sposata con un
italiano, che, dopo aver proceduto al riconoscimento del titolo di
studio (una laurea di primo livello), e aver conseguito in Italia una
Infatti, come rileva una recente indagine ISFOL, nel caso delle donne immigrate il grado di istruzione
rappresenta un elemento premiante nell’inserimento lavorativo fino ai titoli di livello intermedio mentre
tale andamento si inverte nel caso delle laureate (Gilli e Landi, 2007, pp. 90-91).
117
272
laurea specialistica, racconta di aver tentato la strada del tirocinio
per reinserirsi nel mercato del lavoro dopo la nascita della figlia.
Ho cercato [lavoro] ma ho 40 anni e non ho esperienza lavorativa
a parte qualcosa come cameriera o barista che ho fatto anche qui
in Italia. (…) Neanche un tirocinio sono riuscita a trovare! Sono
andata al CPI a chiedere un colloquio per chiedere un tirocinio. Ma
non ho trovato niente. In primo luogo per l’età… poi siccome tutte
le volte per avere un colloquio passavano delle settimane… alla
fine ho cercato io un’azienda su Internet nel settore del turismo,
proprio per la mia laurea, e loro hanno fatto la richiesta al CPI per
il tirocinio. Nella richiesta hanno specificato che non avrebbero
pagato i contributi. (…) Per farmi un’esperienza lo avrei fatto a mie
spese, ho detto all’azienda che avrei pagato io i contributi, ma [al
CPI] mi hanno detto che non potevo. (Int. n. 18)
La testimonianza sopra riportata mostra anche come l’assenza di
una chiara cognizione dei servizi offerti dal CPI -la donna rumena
non ha realizzato nessun colloquio presso lo Sportello Donna che,
invece, probabilmente avrebbe potuto fornire un orientamento più
mirato rispetto alle sue richieste- determini un uso personale, e
quantomeno improprio, dei servizi stessi, nel caso specifico dello
strumento del tirocinio. Si tratta di un atteggiamento attivo nella
ricerca del lavoro, nello specifico un “attivismo” che travalica le
competenze dell’utente stesso, il quale in assenza di una capacità reale
di muoversi tra i diversi servizi determina una sostanziale inefficacia
delle azioni intraprese. Va detto che, nell’ambito di questa indagine, i
casi di donne altamente qualificate che tentano di ripensare la propria
collocazione nel mercato del lavoro riguardano essenzialmente
le migranti provenienti dal continente europeo. La provenienza
nazionale, e le specificità culturali che ad essa si accompagnano,
sembrano, infatti, rivestire un ruolo significativo nel determinare le
modalità in cui viene a declinarsi il rapporto tra donne migranti e
mondo del lavoro. È quanto evidenziato da Riccardo Cammelli che
sottolinea, in particolare, i diversi orientamenti rilevabili tra donne
provenienti da paesi musulmani e donne dell’Est Europa.
Con le donne provenienti da paesi musulmani ci sono problemi
non solo linguistici, ma proprio di contatti con il mondo esterno.
C’è molta differenza ovviamente con le donne est europee, che si
muovono da sole e si cercano l’occasione lavorativa, in particolare
nel lavoro domestico. (Riccardo Cammelli, coordinatore dei servizi
immigrazione CGIL dell’area metropolitana Firenze-Prato-Pistoia)
273
Pur riscontrando una tale tendenza è, tuttavia, necessario
evidenziare la variabilità delle singole esperienze. Dall’intervista a
una giovane donna marocchina emerge infatti un percorso singolare
caratterizzato, nei primi anni della migrazione, da un investimento
nella formazione, effettuata grazie al sostegno del marito.
Io sono fortunata perché mio marito mi ha sempre aiutato, ma è stata
dura per me, perché molti marocchini pensano che una donna debba
venire in Italia, fare bambini e questo è tutto. Fortunatamente mio
marito è diverso dagli altri. (…) A me non piace vedere marocchini,
albanesi, ecc. che pensano solo a lavorare, perché non pensano di
fare come inglesi o francesi, che studiano, cercano di migliorare
la loro condizione e non di lavorare e basta? Non sono interessata
solo a fare soldi, ma devo comunque cercare di lavorare perché è
chiaro che ho anche bisogno di soldi. Però non mi piace la gente,
come molti dei marocchini che sono qui, che pensa solo a lavorare,
lavorare, lavorare... Perché non cambiare mentalità, si lavora per
vivere, no? Perché non studiare? Perché non cercare di essere più
aperti? Io cerco un lavoro, sì, ma che mi consenta di organizzarmi
rispetto allo studio, che è la cosa più importante per me, è il mio
futuro. (Int. n. 8)
Nel caso della donna marocchina, così come in quelli sopra citati,
si evidenzia la volontà di ricercare un lavoro che consenta o, almeno,
non precluda le possibilità di realizzazione personale.
In conclusione, al contrario delle donne che giungono in Italia da
sole e che, almeno in una prima fase del percorso migratorio, sono
disposte a lavorare “a qualsiasi costo”, per le migranti ricongiunte,
sebbene la presenza del nucleo familiare comporti talvolta un periodo
di sospensione dell’attività lavorativa, si evidenzia una maggiore
possibilità di capitalizzare le competenze possedute e reinvestirle
in un percorso di ricerca del lavoro. Queste ultime mostrano più
frequentemente un profilo di utilizzo consapevole dei servizi offerti
dal CPI, sono disposte a farsi orientare e riconoscono il valore della
formazione ai fini di un inserimento lavorativo proficuo.
•• Le donne migranti e il lavoro di cura
Secondo i dati di una recente indagine condotta dal Censis (2009)
sul lavoro di collaborazione domestica e familiare in Italia, oltre
il 70% delle colf e delle assistenti domiciliari (queste ultime nel
gergo comune diffusamente definite ‘badanti’) risulta costituito
da donne straniere. In particolare, il 36% delle badanti straniere
vive stabilmente presso la famiglia per cui lavora, dove si occupa
274
di molteplici aspetti della vita quotidiana118. Dall’indagine emerge,
inoltre, che più di un terzo delle badanti straniere è costituito da
cittadine di un Paese membro dell’Unione Europea che hanno preso
la cittadinanza italiana o hanno ottenuto la Carta di Soggiorno,
mentre la restante parte deve confrontarsi con il periodico rinnovo
del permesso di soggiorno o si trova in condizione di irregolarità. Da
evidenziare che, sottolinea il Censis, in media le badanti immigrate
vivono ormai stabilmente in Italia da 7 anni e mezzo e svolgono tale
attività lavorativa da 6 anni e 5 mesi.
Come è noto, la ricorrente occupazione dei migranti, in particolare
delle donne, nel lavoro domiciliare di cura si collega strettamente al
sistema familistico del welfare119 caratteristico dei paesi dell’Europa
mediterranea e, in particolare, oltre che dell’Italia, della Spagna, della
Grecia e del Portogallo (Ambrosini, 2005). La presenza di donne
straniere, disponibili a un lavoro di cura a tempo pieno, consente la
domiciliarità del servizio ma pone anche problemi complessi legati
sia all’esigenza di fornire un servizio qualificato, sia alla tutela dei
diritti di tali lavoratrici (Quintavalla, 2005).
Nella presente sezione si intende focalizzare l’attenzione sulle
donne straniere che svolgono assistenza domiciliare, infatti, nell’ambito
delle interviste realizzate è emersa una quantità di esperienze di
questo genere tale da consentire alcune riflessioni sulle caratteristiche
dell’inserimento lavorativo e sugli spazi di intervento dei servizi
pubblici per l’impiego nei confronti di tale categoria di lavoratrici.
Come anticipato, l’assistenza domiciliare si configura come uno
dei principali settori in cui la domanda di lavoro immigrato risulta
particolarmente sostenuta e, in particolare, è alimentata dal fatto che
le donne straniere risultano maggiormente disponibili a svolgere un
tale lavoro a tempo pieno. Di contro, per le lavoratrici immigrate,
il lavoro di cura rappresenta spesso una delle poche opportunità
di impiego reperibile in tempi contenuti, spesso mediante le reti
di connazionali. Infatti, così come evidenzia Maria Lipone (CPI
Prato), “la maggior parte delle donne straniere danno disponibilità
a fare quel lavoro perche è l’unico che dà loro una prospettiva, per
quanto possano essere laureate o plurilaureate in Ucraina o in un
Tra le donne straniere che vivono presso le famiglie “la gran parte (l’83%) si dedica alla pulizia della
casa, il 54% prepara i pasti a pranzo e a cena, il 43% si occupa della spesa alimentare per la famiglia, il 50%
accudisce gli anziani, il 32% assiste una persona non autosufficiente, il 29% fornisce specifica assistenza
medica ad uno o più membri della famiglia. Più di un terzo (il 37%) inoltre dichiara che il proprio lavoro
consiste anche nel fare compagnia a un membro della famiglia” (Censis, 2009).
119
Con tale espressione ci si riferisce ad un sistema di welfare che determina una scarsa erogazione
di servizi alle famiglie, mentre prevede implicitamente la delega di compiti assistenziali e di cura alle
famiglie stesse, una delega corroborata saltuariamente dall’erogazione di trasferimenti monetari ai soggetti
in difficoltà che, frequentemente, sono utilizzati dagli stessi per l’acquisto di assistenza privata.
118
275
altro Paese”. Anche per questa categoria di lavoratrici straniere
emerge, pertanto, il diffuso fenomeno della dequalificazione che,
frequentemente, si accompagna al processo migratorio.
L’anzianità di immigrazione e la tipologia del progetto migratorio
(temporaneo/definitivo), sembrano contribuire a determinare
sensibili divergenze rispetto al “lavoro di cura” nell’ambito della
popolazione femminile migrante. Si tratta di un aspetto evidenziato
da Maria Lipone responsabile dello Sportello Donna presso il CPI
di Prato.
Noto una differenza tra le ultime generazioni e le precedenti. Le
badanti di 40/50 anni lavorano al massimo per dieci anni, poi
“scoppiano” e tornano al Paese di origine. Le nuove generazioni
arrivano per rimanere, questo avvalora l’ipotesi che cerchino di
uscire dal lavoro di cura e di assistenza, perché chi ha la prospettiva
di tornare a casa sopporta anche meglio, mentre le ragazze giovani
cercano già dall’inizio di emanciparsi da quella che considerano una
vera e propria condanna.
Alcune recenti ricerche evidenziano come le badanti giunte più
recentemente in Italia lavorino meno frequentemente in regime di
coresidenza con l’assistito rispetto alle migranti di lungo periodo
(Pasquinelli e Rusmini, 2008)120.
Sono soprattutto le donne più giovani a ricercare un’emancipazione
rispetto all’assistenza domiciliare effettuata in regime di coresidenza
con l’assistito.
Certo, chi ha una certa età è disponibile anche a fare uno sforzo
per concludere dopo qualche anno la sua carriera lavorativa, ma la
donna giovane, che all’inizio sa benissimo di poter fare solo questo
[la badante, n.d.a.], perché non ha il titolo di studio riconosciuto, e
magari è anche laureata in ingegneria, biochimica, ecc., dopo un po’
di tempo, anche per ragioni di salute mentale, vuole uscirne in ogni
modo. (Riccardo Cammelli, coordinatore dei servizi immigrazione
CGIL dell’area metropolitana Firenze-Prato-Pistoia).
In generale si registra una volontà di alcune donne immigrate
di uscire dal circuito del lavoro come badante a tempo pieno e
Come evidenziato in questa ricerca, “chi è giunto da più tempo dovrebbe teoricamente avere maggiori
risorse per emanciparsi, conseguire un eventuale ricongiungimento familiare e una propria autonomia
abitativa. Chi è arrivato da più tempo invece corisiede di più di chi è giunto più di recente, pur avendo
avuto più tempo per rendersi autonomo. Questa situazione sembrerebbe suggerire che la tendenza alla
diminuzione della coresidenza potrà rafforzarsi nei prossimi anni in virtù delle maggiori risorse che
sembrano disporre le donne insediatesi più di recente, e dei relativi network relazionali” (Pasquinelli e
Rusmini, 2008, p. 30).
120
276
di procedere nella riqualificazione della propria collocazione
professionale.
La persona che si rivolge a noi vuole uscire dal giro della cura alla
persona 24 ore su 24, perché è un lavoro pesante, stancante, o perché
magari ha delle qualifiche e vorrebbe riprendere in mano il percorso
formativo compiuto nel proprio Paese, per trovare qualcosa di più
vicino alla vocazione personale. Alcune donne aspirano anche ad
auto-organizzarsi in forma cooperativa, per attività come il catering
o simili. (Idalia Venco, Caritas Prato)
In continuità con quanto detto, la testimonianza di Maria Lipone (CPI
Prato) sintetizza in maniera efficace il percorso tipico di una cospicua
parte di lavoratrici straniere impiegate nell’assistenza familiare.
In soldoni il percorso femminile è questo. Arrivo in Italia, spesso
senza permesso di soggiorno, mi metto a fare la badante 24 ore su
24, riesco ad essere contrattualizzata e quindi -attraverso i flussi o
per altre vie-, ad avere permesso e contratto, lavoro per un altro paio
di anni, mi stufo perche non ce la faccio più, ed a quel punto cerco
a tutti i costi un contratto ad ore, anche perché nel frattempo sono
riuscita a trovare una casa in affitto con altre donne e quindi non
sono più disposta a lavorare 24 ore su 24. Questo è il primo salto di
qualità; appena arrivate il percorso formativo per assistente di base
non ha nessun successo, perché non hanno né tempo -lavorando
24 ore su 24- né soldi, non ne sanno niente, e non potrebbero
nemmeno frequentarlo perché spesso sono al nero. Quando passano
all’assistenza ad ore, allora hanno già esperienza e quindi non serve
il corso. Il corso per assistenza di base ha senso soltanto come primo
livello del percorso formativo che potrebbe portarle alla qualifica di
operatore socio-sanitario, che costituisce il terzo livello del successo
personale. Quando si constata che in famiglia il lavoro è precario
perché l’anziano sta male e muore, le badanti cercano di passare
dalle famiglie alle strutture: e quindi lì ci vuole prima il corso per
assistente di base, e poi la qualifica di operatore socio-sanitario.
Per alcune donne sembrerebbe configurarsi, pertanto, una possibilità
di progressiva emancipazione occupazionale; in alcuni casi, dal lavoro
in regime di coresidenza con l’assistito, passando attraverso periodi di
lavoro ad ore si giungerebbe, grazie alla formazione come operatore
socio-sanitario (O.S.S.) a lavorare presso le strutture.
Si comprende così l’attrattiva che i corsi di formazione come
operatore socio-assistenziale (O.S.A.) o socio-sanitario (O.S.S.)
rivestono per le donne migranti che hanno già avuto esperienze
277
di assistenza domiciliare e che sono intenzionate ad intraprendere
un percorso di mobilità occupazionale. Queste donne spesso si
rivolgono ai CPI proprio per poter usufruire dei corsi suddetti.
Va evidenziato che frequentemente le intervistate riferiscono di
aver ottenuto informazioni riguardo ai corsi di formazione mediante
conoscenti, più spesso connazionali. Emerge nuovamente il ruolo di
primo piano delle reti etniche nel veicolare le informazioni su alcune
tipologie di servizi promossi dal CPI121.
Nel caso dei corsi per O.S.S. si registrano delle difficoltà di
accesso rappresentate dal costo del corso stesso e dal fatto che, ai fini
dell’ottenimento della qualifica, risulta necessario lo svolgimento
di un tirocinio non retribuito. È quanto evidenziato da una giovane
donna rumena: “ho trovato un centro per assistere anziani, devi
pagare 1.400 euro per fare il corso e per quattro mesi devi fare la
pratica e lavorare senza guadagnare ma come faccio? Fare un corso
si, ma devi anche lavorare” (Int. n. 10).
L’esperienza della donna rumena introduce una delle criticità
che molti migranti incontrano nella fruizione dei percorsi formativi
e che risulta ancor più evidente nell’ambito del lavoro di cura,
vale a dire la conciliazione tra i tempi della formazione e quelli
dell’attività lavorativa.
Idalia Venco (Caritas Prato) suggerisce che per sostenere i percorsi
di qualificazione del lavoro di cura risulta indispensabile strutturare
le attività di tirocinio in continuità con l’attività lavorativa. In
particolare si tratterebbe di predisporre, anche mediante il contributo
di enti pubblici, una retribuzione per coloro che svolgono i tirocini
presso le strutture e di riconoscere l’assistenza domiciliare realizzata
presso le famiglie come attività di tirocinio.
[I corsi] potrebbero essere utili se fatti durante l’orario di lavoro,
magari con una compartecipazione da parte della Asl o del Comune,
perché è ovvio che se io investo nella qualificazione di queste
persone allo stesso tempo allevio il carico sulle strutture. Quindi
sono d’accordo con l’idea dei corsi di qualificazione, ma solo se
sono fatti durante l’orario di lavoro e con il contributo degli enti
pubblici, non solo quello delle famiglie. In alcune regioni questo già
accade, ci sono lezioni in aula e poi c’è il tirocinio che può essere
fatto nella famiglia in cui la donna lavora. (Idalia Venco).
121
Come si è visto, si tratta di una dinamica che spesso contribuisce a determinare un utilizzo mirato dei
servizi da parte dell’utenza straniera. Nel caso specifico delle assistenti domiciliari è tuttavia opportuno
evidenziare che, sebbene l’accesso ai servizi sia spesso motivato dalla volontà di effettuare un corso di
formazione, allo stesso tempo si rileva una tendenziale disponibilità ad usufruire dei percorsi di orientamento
e, quindi, dei servizi di secondo livello come ad esempio lo Sportello Donna.
278
Sembra opportuno dedicare alcune riflessioni conclusive
all’intermediazione tra domanda e l’offerta di lavoro nell’ambito
dell’assistenza domiciliare. In tal senso, se come si è già avuto modo
di osservare, il ruolo delle reti comunitarie appare determinante nel
veicolare le offerte di lavoro, questa dinamica tende ad assumere
una caratterizzazione ancor più marcata nell’ambito dell’assistenza
domiciliare. Tra le intervistate sono soprattutto le donne di nazionalità
rumena a riferire di aver trovato lavoro tramite una connazionale,
talvolta ancor prima di intraprendere il percorso migratorio: “sono
venuta sapendo che c’era un lavoro altrimenti non sarei venuta.
Appena sono arrivata sono andata là ad assistere questa signora”
(Int. n. 21) o, ancora, “sono partita (...) con l’aiuto di un’amica
rumena che stava già qua da sei mesi (...). Nel frattempo lei mi ha
trovato un lavoro da una donna come badante” (Int. n. 6).
Il ruolo di intermediazione svolto dalle reti transnazionali appare
quindi fondamentale nel determinare quantomeno il primo impiego;
non solo, infatti, considerata la frequente precarietà occupazionale
delle donne impiegate nell’ambito dell’assistenza familiare122, le reti
costituiscono un supporto efficace nella ricerca di un nuovo lavoro
in tempi contenuti.
Al di là del ruolo svolto dalle reti comunitarie, va rilevata la
molteplicità dei soggetti che offrono un servizio di intermediazione
nell’ambito dell’assistenza domiciliare. Sono in particolare le
organizzazioni del privato sociale ad acquisire una posizione
centrale; queste sono percepite, infatti, come soggetti più vicini sia
dalle donne migranti, soprattutto se irregolari, che dalle famiglie
in cerca di assistenza domiciliare, così come conferma Rocca De
La Cruz (CGIL Firenze): “è molto più facile nel caso del lavoro
domestico, che è la cosa più diffusa per gli stranieri e soprattutto per
le donne, che siano i Centri di Ascolto (...) che abbiano più relazioni
con i datori di lavoro rispetto al CPI”. Nel lavoro di cura domiciliare
l’intermediazione informale appare dunque prioritaria, infatti “il
cittadino si sente più garantito (...) dal fatto che la persona gli è stata
segnalata; se c’è quel legame debole allora ci si sente più sicuri”
(Riccardo Cammelli, CGIL).
In alcuni casi, anche in virtù di una tale pluralità dei soggetti
operanti nell’ambito dell’intermediazione, come evidenziato da
A tale riguardo va sottolineato che, soprattutto nel caso del lavoro di cura svolto in regime di coresidenza
con le famiglie, si richiede di assistere soggetti anziani o in precarie condizioni di salute, cosicché non
sono rare le situazioni in cui l’interruzione del rapporto di lavoro sopraggiunge per l’aggravarsi delle
condizioni dell’assistito o per il decesso di quest’ultimo. Si tratta di un aspetto che, oltre ad evidenziare
ancora una volta la gravosità emotiva del lavoro di assistenza domiciliare, pone in risalto la questione della
discontinuità dei percorsi occupazionali di tale categoria di lavoratrici.
122
279
Maria Lipone (CPI Prato), le donne che si rivolgono al CPI per
ricercare lavoro come assistente domiciliare sembrano non aver
cognizione della natura istituzionale di un tale soggetto.
Ci sono altri servizi che offrono queste attività e si identificano
con una determinata fascia di utenza.(...) Non c’è solo la Caritas
che lo fa, c’è anche la Cisl. (...) Molte donne si aspetterebbero di
non essere nemmeno registrate, ma semplicemente aiutate, magari
informalmente, a trovare un lavoro come badante. Non hanno la
percezione che il CPI è un soggetto istituzionale, spesso le telefonate
sono del tipo ‘ciao, mi hanno detto che tu ci aiuti a trovare lavoro’,
come se io fossi una di quelle mediatrici che fanno questo tipo di
servizi. In pratica trasferiscono altre esperienze a loro note nella
realtà del CPI. Mi sto battendo per strutturare questo servizio, anche
se altri soggetti già lo fanno, proprio perché si eviterebbero molti di
questi problemi.
La diffusione dei canali informali di intermediazione pone,
inoltre, degli interrogativi circa la diffusione delle già citate “agenzie
abusive” che sembrano trovare terreno fertile anche nel settore del
lavoro di assistenza domiciliare.
In conclusione, sembra opportuno effettuare alcune riflessioni
sugli spazi di intervento dei servizi pubblici per l’impiego rispetto alla
categoria delle donne straniere che svolgono attività nell’ambito del
lavoro di cura. Come si è detto, un primo aspetto centrale riguarda i
percorsi di qualificazione di tali lavoratrici. La formazione è ricercata
dalle donne straniere anche come opportunità di emancipazione
rispetto al lavoro di assistenza domiciliare.
Tuttavia permangono delle criticità nel fruire dei percorsi
formativi. Si tratta di aspetti che sollecitano una necessaria
riflessione sulle modalità di strutturazione dei corsi e delle
attività di tirocinio previste nell’ambito degli stessi. Se, come è
emerso, sono soprattutto le donne straniere a fruire di tali percorsi
formativi, si pone la questione di pensare, in collaborazione con
le agenzie formative che promuovono tali corsi, a delle modalità
di organizzazione che risultino maggiormente conciliabili con
la condizione socio-lavorativa di questa categoria di utenti. In tal
senso, l’attivazione di percorsi di qualificazione che prevedano il
riconoscimento dell’attività lavorativa già svolta presso le famiglie o
una retribuzione minima delle attività di tirocinio contribuirebbero,
in parte, a rimuovere alcune barriere nell’accesso alla formazione
incontrate dalle donne straniere.
280
Un altro aspetto fondamentale che emerge dall’indagine riguarda
la questione dell’intermediazione domanda/offerta; il lavoro di cura
costituisce una ‘nicchia’ del mercato del lavoro in cui l’informalità
dell’intermediazione appare in maniera emblematica. Infatti, come si
è avuto modo di rilevare, in questo settore numerosi soggetti svolgono
un servizio di incontro tra la domanda delle famiglie e l’offerta di
lavoro delle assistenti domiciliari. Se da un lato, l’intermediazione
operata dai soggetti del privato sociale si configura come una risposta
efficace alle esigenze delle lavoratrici in condizione di irregolarità,
dall’altro tale intervento può essere considerato come una risposta
emergenziale. In particolare, sarebbe auspicabile un maggiore
raccordo dei soggetti che svolgono l’intermediazione con i CPI. Si
tratta di un aspetto non secondario e che ha ripercussioni importanti
sulle possibilità di tutela dei diritti di tali lavoratrici, oltre che sulle
opportunità di strutturare dei percorsi di sostegno e qualificazione
della loro occupazione. Allo stato attuale sembra piuttosto di
intravedere che l’intermediazione è svolta in maniera autonoma dai
vari soggetti. In assenza di una rete strutturata che coinvolga, oltre ai
CPI, gli altri soggetti operanti sul territorio vi è, pertanto, il rischio
di una “competizione” tra i servizi offerti dai vari soggetti. Se la
questione del lavoro sommerso risulta paradigmatica nell’ambito
dell’assistenza domiciliare svolta dalle donne straniere, sono
proprio i soggetti del territorio, più vicini a queste lavoratrici e alle
famiglie che le assumono, che possono contribuire a strutturare dei
canali di contatto con i CPI nell’ottica di una collaborazione mirata
a contrastare le dinamiche di sfruttamento e marginalizzazione.
6.9
I modelli organizzativi: i casi di Firenze e di Prato
•• Il caso pratese
Per capire caratteristiche e criticità del CPI pratese nelle sue
interazioni con l’utenza migrante occorre innanzitutto collocare la
sua operatività nel quadro di una crisi senza precedenti, resa più
acuta a Prato dalla sua duplice natura, locale e globale. Ai fattori
perturbanti innescati dalla recessione mondiale si sovrappongono nel
contesto locale le ben più annose difficoltà del distretto tessile. Tra
il 2007 ed il 2008 nella provincia di Prato gli avviamenti al lavoro
sono diminuiti dell’11,8%, passando da 37.194 a 42.185 (-4.991),
con una parte significativa del calo concentrata nel settore tessile
281
(-1.118 avviamenti). Per i rapporti a tempo indeterminato (14.164
nel corso del 2008) la flessione è stata addirittura del 25,2%, tanto
da determinare la prevalenza degli avviamenti a tempo determinato
(15.187) (Langianni, 2009). Per Michele Del Campo (FIL S.p.A.):
Il mercato locale è scoppiato, ma la crisi di Prato non parte da
oggi, dalla crisi internazionale, quest’ultima è solo la goccia che
fa traboccare il vaso. Dal 2001 a oggi la crisi è stata un “declinare
calando”, dove appunto si cala piano piano e questo calare piano
piano non dà fastidio a nessuno, perché bene o male ci sono altre
risorse che si attivano. La grande crisi si è sentita nel 2008, e molto
grave è diventata da settembre 2008. Abbiamo avuto un enorme
calo delle offerte di lavoro, -50% rispetto a luglio, cominciano a
scomparire anche medie imprese, non soltanto quello artigiane. C’è
un cambio di dimensione quantitativa.
“Prima della crisi”, ha notato Fabozzi (Confartigianato),
“rilevavamo una significativa domanda da parte delle imprese
artigiane, senza distinzione di cittadinanza per quanto riguarda
i lavoratori richiesti. Adesso non ci sono più richieste, soltanto
una domanda congiunturale per picchi particolari”. Un dato
qualitativo estremamente significativo è che ormai tutti, e non solo
i migranti, “si candidano a tutto” (Del Campo); per Fabozzi si può
parlare esplicitamente di “degrado della qualità della domanda e
dell’offerta”.
Si è discusso e si discute molto sulle prospettive del distretto,
sulla sua capacità di reggere la competizione globale puntando
sulla qualità, sull’innovazione e sulla riverticalizzazione del ciclo
produttivo. Osservata dal punto di vista del CPI questa situazione
appare in tutta la sua drammaticità. Lo sportello emergenze, il
servizio di orientamento rivolto ai lavoratori in mobilità e Cig nato
nel 2004, “quando”, come sostiene la direttrice del CPI Brunella
Mastrocesare, “la Cig a Prato non era un’emergenza”, si è trasformato
in uno sportello ‘ordinario’, che dal 2008 non è più in grado “di fare
colloqui individuali dopo l’iscrizione alla mobilità. Convochiamo le
persone in gruppi perché non ce la facciamo”123.
Detto del quadro generale, sul piano dell’assetto il CPI di Prato
presenta una significativa peculiarità. Il CPI è infatti gestito da una
Data la crescita esponenziale dei lavoratori in mobilità e in CIG, il CPI convoca i lavoratori interessati
ed avvia un percorso di orientamento (talvolta il passaggio dal CPI è previsto dagli stessi accordi aziendali).
Gli incontri di gruppo sono strutturati in due fasi: la prima è informativa, ed è accompagnata dalla
predisposizione dei documenti che consentono all’operatore di compilare il Patto di Servizio in back-office;
la seconda prevede la firma del Patto ed una parte centrata sulle tecniche di ricerca attiva del lavoro.
123
282
società (Fil S.p.A.) operante sulla base di un contratto di servizio
annuale stipulato con la Provincia. Si tratta di un modello gestionale
sostanzialmente concertativo, giacché Fil è una società per azioni
pubblico-privata nel cui Consiglio di Amministrazione sono presenti
tutti i soggetti che sul territorio si occupano di politiche attive del lavoro
(Provincia, Comune, Camera di Commercio, associazioni di categoria).
Nel quadro di questo modello, già di per sé originale, siinserisce una
seconda specificità, certamente ancora più rilevante dal punto di vista
dell’utenza, che riguarda i servizi di natura amministrativa. Tutte le
attività amministrative riguardanti i servizi ai lavoratori (iscrizioni
alla 181, iscrizioni alla mobilità, informazioni di primo livello,
aggiornamento della scheda personale) sono infatti svolte presso gli
sportelli (le anagrafi) territoriali, che sono nel complesso 11: 5 su Prato
-una per ogni circoscrizione- e 6 negli altri comuni della provincia124.
Oltre al CPI, Fil gestisce dal 2006 l’anagrafe dei servizi per il lavoro
del Comune di Prato, dal 2008 l’anagrafe del Comune di Montemurlo,
e dal 2009 le anagrafi di Poggio a Caiano e Carmignano125.
Il decentramento degli sportelli è affiancato da una rete di servizi
interistituzionali sufficientemente interrelata, aspetto che secondo
Mastrocesare (CPI Prato) “permette di inviare le persone da un
servizio ad un altro, magari non sempre in modo efficiente, perché
ancora manca un’informazione corretta tra i vari punti della rete,
ma insomma la rete funziona”. Lo sportello Inclusione del Comune
di Prato, che opera per favorire percorsi di inserimento lavorativo
di persone svantaggiate attraverso l’erogazione di borse lavoro,
è il servizio che risulta integrato nel modo più efficace. L’aspetto
innovativo consiste nel fatto che si è fissata “la regola che chi vuole
usufruire di questo strumento di sostegno al reddito deve essere
utente dei SPI: si è trasformato il semplice sostegno al reddito in
uno strumento di sostegno all’inserimento lavorativo. Si tratta di
Le anagrafi territoriali forniscono anche informazioni di primo livello su bandi, corsi o voucher
eventualmente disponibili. Per quanto riguarda la parte amministrativa, esse continuano a occuparsi soltanto di
quella rivolta ai lavoratori, perché da quando effettuano le comunicazioni on-line le aziende non si rivolgono
più alle anagrafi. Queste ultime si limitano a validare in back-office le comunicazioni obbligatorie che le
aziende o i consulenti del lavoro inseriscono su Idol. Il CPI continua invece a gestire direttamente l’anagrafe
delle categorie protette. In questi casi le candidature possono essere sempre presentate alle anagrafi del lavoro,
ma l’inserimento viene effettuato centralmente dal CPI, che poi invia i dati alla Provincia per la formazione
della graduatoria.
125
Per gestire le anagrafi la Provincia di Prato aveva stipulato una convenzione con i comuni. Questa
convenzione è tuttora in vigore per i tre comuni (Vaiano, Vernio e Cantagallo) che amministrano l’anagrafe
del lavoro con dipendenti interni, anche se in questi casi ci sono difficoltà derivanti dai carichi di lavoro
elevati determinati dalla coincidenza del servizio di anagrafe del lavoro con l’anagrafe dei servizi
demografici. Gli altri comuni non avevano propri dipendenti da adibire a questa attività, e quindi la
gestiscono attraverso una convenzione con Fil. I quattro comuni privi di dipendenti interni utilizzavano dei
collaboratori a progetto (il Comune di Prato si appoggiava ad una cooperativa). Per gestire gli sportelli a
Fil è stato chiesto di assumere nove persone: sette ruotano su Prato, un operatore si occupa di Montemurlo,
uno si alterna tra Carmignano e Poggio a Caiano.
124
283
una presa in carico sociale” (Cappelli, Prov. di Prato). L’accesso
dell’utente si attiva su segnalazione dell’assistente sociale o del
servizio Immigrazione del Comune di Prato126. La segnalazione è
inviata sia allo sportello inclusione che allo sportello fasce deboli
del CPI, al fine di favorire una presa in carico condivisa. Secondo
il responsabile dello sportello Inclusione Michele Minicucci, nel
2008 “solo il Comune di Prato, con fondi propri, ha erogato borse
lavoro per 350.000 €”, e circa 1/3 delle borse erogate sono state
destinate ad utenti di nazionalità straniera. Minicucci sottolinea
che “l’importo della borsa (4/500 €) per una famiglia straniera è
comunque importante, mentre qualche volta questo è un fattore di
blocco per l’utenza italiana, in genere gli stranieri accettano sempre
i percorsi che proponiamo loro e si impegnano a seguirli”.
Resta comunque da verificare quale sarà l’effetto della crisi su
un sistema gestionale così fortemente concertativo. Qualche dubbio,
in merito, pare già diffondersi. Per Angeletti (Cna Prato), “a Prato
la situazione è abbastanza buona, però è chiaro che bisognerà
vedere quando arriverà la ‘crisi dura’ cosa succederà”. Fabozzi è
stato ancora più chiaro: la rete “funziona benino, (...) il mondo dei
migranti esercita una pressione su una rete di servizi e soggetti che
è collegata, però il problema è strutturale, c’è questa mancanza di
lavoro che avvelena risorse e possibilità...”. Se passiamo ad osservare l’azione del CPI con specifico
riferimento al rapporto con gli utenti non italiani, occorre
innanzitutto evidenziare che le interazioni con persone appartenenti
alla cospicua comunità cinese sono praticamente nulle127. È noto
che all’interno di questa comunità l’inserimento nel mercato del
lavoro, per quanto rilevante, si sviluppa secondo linee e modalità
peculiari128: ci limitiamo qui a riportare la constatazione che “come
utenti [i cinesi] non si sono quasi mai rivolti al servizio” (Cappelli,
Prov. di Prato), e che i pochi che lo fanno generalmente vi sono
Interessante appare anche la notazione di Minicucci sulle differenze nei percorsi di accesso allo sportello
degli utenti italiani e di quelli stranieri: “Chi è straniero ed arriva qui, posso dirlo, ha in linea di massima
consumato tutte le risorse messe a disposizione dalla comunità, oppure ha altri problemi che la comunità
non può risolvere, come la tossicodipendenza. (...) La crisi del tessile naturalmente si ripercuote dappertutto,
per cui cominciamo ad occuparci anche di persone che hanno finito tutti gli ammortizzatori, però questi
utenti sono soprattutto italiani, l’impressione è che lo straniero riesca a cavarsela anche grazie alla rete della
comunità, noi ad esempio non abbiamo mai visto pachistani, perché la loro rete si attiva prima”.
127
Prescindendo in questa sede dalla discussione sul significato e sulle ragioni di queste dinamiche -basterà
qui ricordare un’interessante affermazione di Fabozzi, secondo il quale “il cosiddetto ‘distretto parallelo
cinesè è oggi un distretto becattiniano più di quanto lo sia il distretto pratese nel suo insieme”.
128
“La stragrande maggioranza dei rapporti di lavoro sembra seguire un percorso preciso: ad un’assunzione
fondata su un contratto a tempo indeterminato corrisponde una cessazione avente come causale le dimissioni
volontarie del lavoratore. Gli avviamenti di lavoratori non a termine raggiungono il 95% del totale sia nel
2005 che nel 2006; più o meno la stessa percentuale è raggiunta dalle dimissioni tra le motivazioni di
cessazione”. Vedi Bracci (2007, p. 146).
126
284
indotti da ragioni strumentali (come l’iscrizione alla 181 finalizzata
al rinnovo del titolo di soggiorno). Nel corso del 2008 una prima,
parziale presa di contatto si è verificata con i corsi per apprendisti129.
A differenza di quanto accadeva in precedenza con il sistema dei
voucher, per il ciclo di corsi più recente il CPI ha raccolto da Idol130 i
nomi degli apprendisti, li ha convocati insieme al tutor aziendale ed
ha formato le classi. “Qui”, ha ammesso Mastrocesare (CPI Prato),
“si è verificato un problema con l’utenza straniera, in particolare
cinese, quello di arrivare alle aziende e di far capire che la frequenza
era una cosa obbligatoria”, tuttavia alla fine si è riusciti “a portare
anche questi lavoratori all’interno dei corsi” (Cappelli).
Detto del non-rapporto con i lavoratori cinesi, abbiamo rilevato
che esistono alcune attività specifiche con un significativo afflusso
di utenti migranti. Ci riferiamo innanzitutto allo sportello donna,
dedicato a donne italiane e straniere orientato all’inserimento nel
settore dell’assistenza domiciliare e familiare131. In questo caso
l’utenza è costituita in particolare da donne di nazionalità polacca,
che arrivano al servizio grazie al “passa-parola” ed “hanno grandi
difficoltà ad accedere alla burocrazia del CPI ed a comprenderne
le dinamiche amministrative, come il fatto che debbano iscriversi
alla 181” (Maria Lipone, referente dello sportello). Rilevante appare
la presenza di utenti non italiani anche nell’accesso ai tirocini ed
ai voucher per la formazione. Il primo è un servizio storicamente
molto utilizzato dagli stranieri, che apprezzano: l’aspetto
professionalizzante di questi percorsi. Nel caso dei voucher si ha
una conferma della rilevanza dei percorsi di accesso al servizio
mediati dalle reti comunitarie. Il servizio risulta assai frequentato
dai lavoratori del Bangladesh, che secondo Mastrocesare:
Presentano richieste di formazione in settori e per profili specifici,
ad esempio quello di saldatore... credo che tra loro funzioni molto
il passaparola (...) non passa settimana che non vengano a gruppetti
Il contratto di apprendistato è regolato dal Decreto Legislativo n. 276 del 10 settembre 2003, così
come modificato da numerose norme successive (in particolare, per l’apprendistato, la legge n. 133 del 12
agosto 2008). La normativa prevede tre diverse forme di apprendistato (artt. 47 e ss. Del Dlgs. 276/03):
professionalizzante (per il conseguimento di una qualificazione attraverso una formazione sul lavoro e un
apprendimento tecnico-professionale); per l’espletamento del diritto-dovere di istruzione e formazione;
per l’acquisizione di un diploma o per percorsi di alta formazione. Per quanto riguarda l’apprendistato
professionalizzante, disciplinato in Toscana dal Regolamento Regionale 22/2005 e da alcune delibere
successive, sono previste almeno 120 ore annue di formazione da realizzare al di fuori dell’azienda.
130
IDOL (Incontro Domanda Offerta di Lavoro) è il sistema informativo regionale dei SPI. Si tratta di un
insieme di basi dati e servizi telematici finalizzato a promuovere i servizi di incontro tra domanda ed offerta
ed a favorire il monitoraggio e lo scambio dei dati tra tutti gli attori del sistema (Regione, Province, CPI).
131
Lo sportello fa parte del servizio fasce deboli, che si occupa delle persone in stato di svantaggio non
certificato. Il servizio è suddiviso in fasce deboli ‘minori’, e fasce deboli ‘adulti’, a sua volta articolato in
fasce deboli tout court e sportello donna.
129
285
di 2/3. Si sono passati le informazioni e vogliono fare tutti il
saldatore, perché ormai dal tessile stanno venendo via anche loro.
Sanno cos’è il servizio voucher, cos’è il voucher, ma noi non glielo
abbiamo raccontato, sono venuti la prima volta, si sono passati
l’informazione, sanno che è possibile fare formazione su un profilo
che a loro interessa, finalizzandola all’inserimento lavorativo.
Una valutazione complessiva del “modello pratese” non può
non partire dalla constatazione che presso il CPI di Prato è assente
qualunque forma di servizio “dedicato” all’immigrazione. Lo
sportello per le fasce svantaggiate esistente non è specificamente
rivolto ai migranti: per questi ultimi non ci sono né azioni specifiche,
né percorsi di accesso tipici definiti dal servizio.
I profili di accesso dell’utenza non italiana sono di conseguenza
molto più condizionati da quanto accade all’esterno (attraverso
l’azione già più volte richiamata delle reti informali e comunitarie)
che da un indirizzo organizzativo determinato e pensato dal servizio.
Gli utenti sembrano supplire all’assenza di un servizio dedicato
attraverso la ricerca di operatori di riferimento all’interno dei singoli
servizi. Come è evidenziato dalla letteratura più generale sull’accesso
dei migranti al sistema dei servizi pubblici, anche nel caso esaminato
la relazione tra utenti e CPI è affidata in buona parte ai legami
interpersonali che si stabiliscono tra gli utenti e singoli operatori.
In secondo luogo le interviste mostrano, con un’unica eccezione
sulla quale torneremo tra breve, l’assenza di soglie o ostacoli
significativi all’accesso. Nessuno degli intervistati ha mostrato
rilievi particolari su orari di servizio, accessibilità degli sportelli,
comportamento degli operatori -la disponibilità di questi ultimi è
stata invece più volte sottolineata nel corso delle interviste come un
connotato positivo.
Ci sono tuttavia due punti critici sui quali vale la pena in conclusione
soffermare l’attenzione. Si tratta di due aspetti che, a differenza dei
fattori esogeni -ossia al di fuori dalla possibilità di intervento tecnicoorganizzativo del CPI (la crisi, la tendenziale autoregolazione del
mercato del lavoro)- sono riconducibili direttamente allo spazio di
intervento del CPI di Prato.
Il primo è identificabile nella problematicità delle attività di
orientamento riguardanti gli utenti non italiani. Se, come abbiamo
visto, le attività di intermediazione sono condizionate principalmente
dalla crisi della domanda di lavoro, quelle di orientamento mostrano
un duplice limite. Da un lato, come ha ammesso la stessa direttrice
del CPI, orientamento e intermediazione “sono servizi sganciati che
286
non lavorano in modo molto integrato. (...) vorremmo creare una
maggiore sinergia tra i due servizi, quasi fonderli (...) in modo tale
che l’orientatore possa segnalare il nome della persona al servizio
intermediazione via via che svolge i colloqui”. Dall’altro il servizio
risulta prevalentemente impegnato nei colloqui della 181 relativi alla
dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro (i colloqui orientativi
di primo livello), aspetto che determina, in particolare nei rapporti con
l’utenza non italiana, la penalizzazione dei percorsi di orientamento
di secondo livello. È sempre Brunella Mastrocesare a ricordare che
“seppure non mancano utenti che chiedono colloqui ulteriori o che
tornano per rivedere il percorso da svolgere, purtroppo siamo costretti
a occuparci prevalentemente dei colloqui obbligatori”.
La seconda criticità è rappresentata dall’assenza di un servizio
strutturato di mediazione linguistico culturale, che non è presente
né in fase di primo contatto (presso le anagrafi del lavoro), né nella
fase dei colloqui di orientamento. L’assenza di mediatori è surrogata
dalle conoscenze linguistiche di singoli operatori e dalla copertura
di determinate attività attraverso finanziamenti ad hoc (quindi
temporanei), messi a disposizione da particolari progetti. Tuttavia
l’indisponibilità della mediazione come servizio continuativo reca
due conseguenze non positive: da un lato finisce per costituire un
filtro in entrata, una sorta di selettore grossolano delle persone che
possono afferire al CPI; dall’altro rende più difficile la fruizione
dei servizi ad una parte degli utenti non italiani, complicando la
comprensione dei percorsi e delle opportunità meno intuitive (e
quindi più strettamente connesse con l’impianto della riforma),
raggiungibili attraverso il contatto con il CPI.
•• Il caso fiorentino
Nelle pagine che seguono si propone un approfondimento relativo
alle caratteristiche organizzative del CPI della provincia fiorentina
con particolare riferimento al servizio specialistico rivolto all’utenza
straniera (Sportello Immigrati), oltre che al servizio di incontro
domanda/offerta nel settore dell’assistenza domiciliare (ABC
famiglia).
Il CPI della Provincia di Firenze si avvale di 12 sedi di cui 6 collocate
nel comune (in particolare è previsto uno sportello per ogni quartiere
della città, oltre ad uno sportello, collocato presso il Parterre e che si
occupa, nello specifico, dei servizi alle imprese) mentre le restanti 6
sono distribuite nel territorio provinciale (Borgo San Lorenzo, Figline
Valdarno, Pontassieve, San Casciano Val di Pesa, Scandicci, Sesto
287
Fiorentino). Va evidenziato che la presenza di utenti stranieri tende a
concentrarsi prevalentemente in alcuni sportelli del contesto urbano
e riproduce sostanzialmente la distribuzione residenziale nei diversi
quartieri della città. In particolare le sedi che registrano un più alto
tasso di affluenza degli utenti stranieri sono quelle collocate presso
il Quartiere 1 (centro storico), il Quartiere 4 (Isolotto-San Bartolo a
Cintoia) e il Quartiere 5 (Novoli-Rifredi-Le Piagge).
Con specifico riferimento ai servizi rivolti all’utenza straniera,
i CPI della Provincia di Firenze mostrano una marcata peculiarità
riconducibile all’esperienza dello Sportello Immigrati. Si tratta di
un’iniziativa volta ad agevolare la fruizione dei servizi da parte dei
cittadini stranieri, che si è andata strutturando nel corso degli ultimi
6 anni a partire da una prima sperimentazione, attuata nel 2002,
sulla base di un accordo di partnership tra la Provincia di Firenze e
Italia Lavoro. La replica dell’iniziativa è stata resa possibile anche
grazie al ricorso ai fondi stanziati dal F.S.E. e, tuttavia, è opportuno
evidenziare che il finanziamento mediante progetti europei non è
andato a minare la continuità del servizio che, invece, risulta ormai
decisamente strutturato e operante in modo permanente nell’ambito
dei CPI della provincia fiorentina. In particolare, la gestione dello
Sportello è affidata annualmente attraverso un bando di gara,
a soggetti accreditati, secondo quanto previsto dal modello di
accreditamento regionale132.
Prima di analizzare nel dettaglio le attività previste dallo
Sportello può essere utile considerare le disposizioni contenute
nell’ultimo bando pubblicato dalla Provincia, nell’ambito del quale
si iscriveranno le attività relative all’anno 2009-2010 (“Interventi
di orientamento e accompagnamento al lavoro di immigrati”).
Mediante tale bando sono stati stanziati fondi pari a 150.000 euro
nell’obiettivo di “realizzare misure attive e preventive a sostegno
dei percorsi personali di inserimento lavorativo, con la finalità di
aumentare l’occupazione e i livelli di partecipazione al mercato
del lavoro” e “favorire l’inserimento lavorativo degli immigrati e
in particolare delle donne immigrate nel mercato del lavoro” (art.
1). In particolare, saranno finanziati: a) interventi che mirano ad
una integrazione occupazionale degli immigrati attraverso azioni
orientative e progetti individuali di accompagnamento al lavoro;
b) metodologie di accoglienza, informazione e orientamento
Con riferimento all’ultimo progetto realizzato (2008-2009), la gestione Sportello Immigrati è stata
affidata ad un gruppo di partners composto da due soggetti del terzo settore (Associazione Progetto
Arcobaleno e Caritas Diocesana di Firenze), tre agenzie formative (Smile ed Enfap, afferenti relativamente
alle associazioni sindacali Cgil e Uil, e Irecoop) e un’associazione di categoria (Co.gi.va).
132
288
per agevolare una corretta fruizione dei servizi per il lavoro; c)
promozione di interventi e metodologie innovative di politica attiva
del lavoro; d) sperimentazione di strumenti e pratiche orientative
che permettano una reale integrazione tra formazione professionale
e politiche del lavoro (art. 4).
Lo Sportello Immigrati si configura, pertanto, come un percorso
di sostegno per gli utenti immigrati che manifestano difficoltà
specifiche nella fruizione dei servizi offerti dal CPI. Nell’ottica di
agevolare l’inserimento lavorativo dei cittadini non comunitari,
mediante lo Sportello Immigrati sono previsti servizi gratuiti di
mediazione linguistico-culturale e di consulenza legale. Si tratta di
servizi attivi nei 3 sportelli del territorio cittadino che registrano una
maggiore affluenza di utenti stranieri (Q1, Q4, Q5) e, a rotazione, negli
sportelli del territorio provinciale. In particolare, il rinvio a tali servizi
specialistici avviene laddove l’operatore di prima accoglienza, una
volta raccolta la dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro (DL
181/2000) dell’utente straniero, rilevi delle difficoltà dell’utente che
sono riconducibili alla particolare condizione di cittadino immigrato.
In tal senso, l’operatore di primo livello, avvalendosi di un’agenda
elettronica, provvede alla prenotazione di un appuntamento presso lo
Sportello Immigrati. Come emerge dalla testimonianza di uno degli
operatori dei CPI il rinvio allo Sportello è attivato soprattutto nei casi
in cui vi siano delle difficoltà di carattere linguistico o delle specificità
culturali che richiedono l’intervento di un mediatore.
“Siamo noi che abbiamo la responsabilità di un eventuale rinvio allo
Sportello Immigrati. Generalmente il rinvio è necessario quando ci
sono difficoltà linguistiche, in altri casi quando ci sono differenze
culturali spiccate”. (Focus group CPI Q1)
I mediatori linguistico-culturali lavorano in maniera congiunta con
orientatori di secondo livello. In particolare, le informazioni sull’utente
(anagrafiche e professionali) raccolte dall’operatore di primo livello
sono inoltrate agli orientatori che, insieme ai mediatori, si occupano
di integrare il profilo dell’utente e di provvedere, in collaborazione
con esso, alla compilazione del curriculum vitae (CV). Il servizio di
mediazione linguistico-culturale, oltre ad offrire un supporto nella
compilazione del CV, fornisce informazioni dettagliate in lingua
sui servizi erogati dal CPI e su altri servizi esistenti sul territorio
che possono rispondere alle esigenze del cittadino straniero così da
facilitare l’integrazione nel tessuto lavorativo locale. Durante gli
incontri gli orientatori di secondo livello, con il supporto dei mediatori,
289
offrono indicazioni sulle opportunità occupazionali svolgendo anche
un ruolo di accompagnamento al servizio interno di preselezione per
l’inserimento nella banca dati Prenet per l’incontro domanda/offerta
di lavoro. Si tratta di un aspetto non secondario poiché, come rilevato
nei paragrafi precedenti, una cospicua parte dell’utenza straniera
usufruisce prevalentemente del servizio di auto-candidatura per le
offerte di lavoro pubblicate dal CPI. Tuttavia, come si è avuto modo
di evidenziare, la mancanza di adeguate competenze linguistiche
può determinare dei fraintendimenti degli annunci pubblicati sia
relativamente ai requisiti richiesti che ai contenuti del posto del lavoro
offerto. È quanto evidenziato anche dalla mediatrice linguisticoculturale albanese dello Sportello Immigrati del Q4: “prima [che
fosse attivato il servizio di mediazione] alcuni venivano a vedere le
offerte di lavoro ma non è che riuscivano a capire cosa chiedeva in
specifico l’offerta”. In alcuni casi la mediazione linguistica appare,
quindi, come uno strumento determinante per garantire l’efficacia
del servizio di autocandidatura.
Da evidenziare che, mediante il servizio di orientamento previsto
nell’ambito dello Sportello Immigrati, vengono fornite, inoltre,
informazioni sulle opportunità di formazione professionale, sulle
modalità di adesione ai corsi, sui contenuti degli stessi e sugli
eventuali sbocchi occupazionali.
Il servizio di consulenza legale, anch’esso gratuito, si occupa
invece di fornire una specifica assistenza su materie giuslavoristiche.
In occasione dell’apertura dei decreti flussi viene, inoltre, offerto
uno specifico sostegno in merito; in particolare, nel corso del 2008
è stata prevista un’implementazione delle ore di apertura dello
Sportello proprio per rispondere alle richieste di assistenza dei
cittadini immigrati riguardo alle pratiche da intraprendere.
Nell’ambito dell’ultimo progetto realizzato (2008/2009), lo
Sportello Immigrati si è avvalso della collaborazione di cinque
mediatori linguistico-culturali: due mediatori di lingua araba, un
mediatore rom, un mediatore cinese e uno albanese. Come riferito
da Carmen Toscano, responsabile dei CPI della Provincia di Firenze,
la figura del mediatore è quella che “fa da collante rispetto ai due
servizi” previsti nell’ambito dello Sportello Immigrati collaborando
con gli orientatori e con gli avvocati a seconda delle esigenze.
Da evidenziare che i mediatori linguistico-culturali proprio per
la funzione di “ponte” tra lingue e orientamenti culturali possono
arrivare a rappresentare delle figure di riferimento per le comunità
di appartenenza. È quanto evidenziato dalla mediatrice di origine
290
albanese che opera presso lo Sportello Immigrati del Q4 che nota
come la presenza del mediatore contribuisca ad alimentare l’affluenza
di stranieri della medesima lingua o nazionalità presso lo Sportello.
Io sono quasi due anni che lavoro in questo quartiere come
mediatrice culturale ed ho notato che da quando ho cominciato fino
ad ora gli stranieri ed in particolare gli albanesi i kosovari e i rom
che parlano anche l’albanese in dialetto frequentano il CPI molto
di più; questo anche perché vedono la figura del mediatore come
punto di riferimento. (Mediatrice linguistico-culturale-Sportello
Immigrati CPI Firenze Q4)
Pur riconoscendo la portata innovativa dello Sportello Immigrati
e il ruolo cruciale che le attività in esso previste rivestono nelle
pratiche di accompagnamento dell’utenza straniera alla fruizione dei
servizi offerti dal CPI, sembra opportuno evidenziare alcune criticità
che un tale servizio presenta, nell’ottica di proporre alcune azioni
che possano promuovere una maggiore efficacia dello stesso.
Come si è detto, il rinvio del cittadino straniero al servizio
specialistico avviene dopo il colloquio con gli operatori di primo
livello, vale a dire che il Patto di Servizio viene siglato prima del
rinvio allo Sportello Immigrati. Se una tale modalità procedurale
è stata strutturata in base all’esigenza di identificare nell’ambito
dell’utenza straniera coloro che necessitano di un sostegno mirato, è
vero che, al contempo, la sottoscrizione del Patto di Servizio rischia
di avvenire nel contesto di una scarsa consapevolezza da parte
dell’utente, a meno che -ed è l’opinione di alcuni- questo atto non
debba essere inteso come essenzialmente burocratico, il che però
non pare essere nelle disposizioni di legge.
Infatti, secondo quanto riferito dagli operatori dei CPI di Firenze,
i problemi di comprensione nel primo contatto con gli utenti stranieri
risultano molto diffusi; si tratta di un aspetto che gli operatori
affrontano facendo ricorso alle proprie conoscenze linguistiche.
Noi (operatori, n.d.a.) abbiamo dovuto resettare un po’ tutti i nostri
schemi, anche di formazione perché anche da un punto di vista
linguistico abbiamo bisogno di chi parla un po’ più inglese o di chi
parla un po’ più francese. (Focus group CPI Firenze Q1)
In particolare, nell’ambito del focus group realizzato con
gli operatori del Q4 è emerso che un servizio di interpretariato
linguistico, strutturato in maniera flessibile ed eventualmente anche
soltanto per via telefonica, potrebbe contribuire ad ovviare alle
291
difficoltà di comunicazione tra utente ed operatore nell’ambito del
primo colloquio133.
Una seconda criticità è rappresentata dal fatto che i meccanismi
di condivisione delle informazioni relative agli utenti che
usufruiscono dello Sportello risultano poco strutturati. Se
operatori di primo livello e orientatori dello Sportello Immigrati
inseriscono le informazioni in un medesimo database (IDOL), ciò
non avviene invece nel caso degli avvocati che svolgono il servizio
di consulenza legale. In tal senso, come riferisce un’operatrice del
CPI, “basterebbe una banca dati condivisa in cui tutti inseriscono
le informazioni; [per come è strutturata adesso] se ho necessità di
sapere se posso iscrivere una persona in base ai requisiti del suo
permesso di soggiorno a volte non ho il ritorno dell’informazione
dell’avvocato”. A tale proposito, da parte degli operatori di
primo livello è emersa la necessità di prevedere dei momenti di
confronto tra le varie figure che all’interno del CPI si relazionano
con l’utente straniero. Infatti, come evidenziato dalla referente del
CPI del Q4, “non sono previste per loro [le figure che operano
presso lo Sportello Immigrati] alcune ore da mettere in rete con
noi, le ricaviamo comunque ma andrebbe fatto in maniera più
sistematica”.
Come si è detto, nell’ambito dei CPI della Provincia di Firenze
è stato strutturato anche un servizio di intermediazione tra
domanda e offerta di lavoro nel settore dell’assistenza domiciliare
(S.o.s Famiglia, dal 2008 ABC per la famiglia). In particolare, tale
servizio prevede: la costituzione e l’aggiornamento di un database
che comprende tutti coloro che dopo essersi iscritti nell’elenco dei
“disoccupati disponibili” ai sensi del D.Lgs. 297/2002, esprimano
la volontà di svolgere il lavoro di assistente familiare; la ricezione
delle domande da parte delle famiglie o dei singoli con l’indicazione
delle modalità della richiesta di lavoro; un’attività di preselezione
(incontro domanda-offerta) per la ricerca della figura più adatta
alle esigenze della famiglia; il supporto alla corretta costituzione e
gestione dei rapporti di lavoro; la promozione di azioni formative
al fine di rendere disponibile una quota di lavoratori qualificati
che siano in grado di svolgere le attività di assistente familiare
grazie a un livello professionale riconosciuto. Come si è avuto
modo di rilevare nell’ambito dell’indagine condotta, questo è un
settore che necessita fortemente di servizi di questo tipo, perché gli
Da evidenziare che, per un periodo di tempo, su iniziativa personale gli operatori hanno fatto ricorso
al servizio di interpretariato telefonico reso disponibile dal progetto Parlamondo, promosso dalla Regione
Toscana.
133
292
altri canali di incontro domanda-offerta sono, in confronto, molto
meno strutturati di quelli afferenti ai CPI, ed eccessivamente volti
all’informalità dei processi.
Quanto detto relativamente al servizio ABC per la famiglia
introduce una necessaria riflessione sui rapporti intercorrenti tra il
CPI e i soggetti operanti sul territorio. La strutturazione di percorsi
di sostegno all’inserimento lavorativo dell’utenza straniera non può
prescindere dal considerare che l’adozione di una prospettiva di
rete costituisce un elemento essenziale rispetto all’efficacia di tali
percorsi. In particolare, “si tratta di costruire modelli di intervento
complessi e multisettoriali, che hanno nella capacita di relazionarsi
con soggetti esterni al sistema SPI, istituzionali e non, un elemento
fondamentale del loro successo”; infatti, “per caratteristiche e
complessità, il tema dell’immigrazione coinvolge tali e tanti piani
che solo un approccio congiunto e, appunto, complesso, permette
di costruire modelli di integrazione non subalterna (Baronio, 2007,
p. 152). Secondo gli operatori dei CPI di Firenze, sarebbe auspicabile
l’adozione di una prospettiva di rete che coinvolga, in special modo,
quei soggetti (sindacati e associazioni di categoria) che possono
contribuire a diffondere presso i lavoratori stranieri una maggiore
consapevolezza dei propri diritti.
C’è la necessità di avvicinare i sindacati a queste persone, ma
anche agli italiani, perché di situazioni non regolari se ne sentono
veramente tante. In vista dell’implementazione di un servizio
bisognerebbe pensare a come rendere maggiormente consapevoli
dei propri diritti. Ci è capitato molto spesso di persone che hanno
firmato senza sapere le proprie dimissioni, giocandosi in questo
modo la possibilità di essere indennizzato e il diritto di entrare
nella mobilità. Ti dicono “mi hanno licenziato” poi vedi che è una
dimissione ma una dimissione non consapevole (…). Non c’è un
contatto del lavoratore straniero con chi rappresenta la sua categoria
e che può difendere il suo diritto nello specifico; in molti casi non
c’è una presa in carico da parte del sindacato, spesso c’è una lettera
del lavoratore che dichiara come sono andate le cose. È cosa diversa
dall’avere una connessione nostra [del CPI] con il sindacato, sapere
se c’è una vertenza magari ci può permettere di inserire il lavoratore
nella mobilità perché segnaliamo che potrà averne diritto tra qualche
tempo. (Focus group CPI Firenze Q4).
Come già rilevato nell’ambito dell’indagine ISFOL sopra
citata, nell’ambito dei CPI della provincia fiorentina la gestione
dei servizi specificamente rivolti all’utenza straniera “è curata e
293
gestita prevalentemente dagli uffici provinciali di Firenze, senza
un sostanziale dialogo, se non informale, con altre strutture o enti
che possono intervenire a vario titolo sul tema dell’immigrazione e
dell’inserimento lavorativo di cittadini extracomunitari” (Baronio,
2007, p. 143).
In conclusione non si può prescindere dall’evidenziare che l’offerta
di servizi avanzati di orientamento e di sostegno all’inserimento
lavorativo promossa mediante lo Sportello Immigrati testimonia
un’indiscutibile volontà politica dell’amministrazione locale
nel facilitare l’accesso ai servizi pubblici per l’impiego da parte
dell’utenza straniera. Un tale orientamento è confermato anche dalla
capacità dell’amministrazione di dare continuità nel tempo al servizio
così che per una parte di utenti immigrati lo Sportello rappresenta
un riferimento significativo. Tuttavia, persistono alcune criticità
che, in vista di una possibile implementazione del servizio offerto,
sollecitano una riflessione sia su aspetti organizzativi interni, come
l’ipotesi di strutturare una mediazione linguistica in occasione anche
dei primi colloqui, o di prevedere la possibilità di un’integrazione
delle informazioni relative allo status giuridico dell’utente nella
banca dati IDOL, sia sulle opportunità di formalizzare dei canali di
contatto tra il CPI e i soggetti del territorio (sindacati, associazioni
di categoria e soggetti del privato sociale che operano nel settore
dell’accoglienza dei migranti).
6.10
Considerazioni conclusive
Nel paragrafo introduttivo abbiamo affermato che per comprendere
il modo attraverso il quale i migranti utilizzano i servizi offerti dai
CPI, nonché la percezione che le due parti (servizi e utenti) hanno
di questa relazione, ritenevamo necessario sviluppare la riflessione
tenendo conto delle più ampie dinamiche riguardanti sia l’azione
dei CPI sia i percorsi d’insediamento sul territorio delle popolazioni
migranti. La riflessione conclusiva che qui si presenta parte quindi
dagli aspetti di contesto, quegli aspetti che circoscrivendo lo spazio
sociale, economico ed antropologico entro il quale l’azione dei CPI
si colloca definiscono confini, limiti e vincoli esterni della relazione
tra gli stessi CPI e l’utenza non italiana.
Abbiamo più volte ricordato che il punto iniziale della riflessione
non può che consistere nella sottolineatura della dimensione
294
strutturale della crisi in corso. I dati su avviamenti e cessazioni nel
mercato del lavoro, quelli sull’andamento della cassa integrazione,
la ricostruzione dei percorsi lavorativi degli intervistati, tutti questi
elementi -di natura sia quantitativa che qualitativa- convergono nel
tratteggiare uno scenario assai difficile. Pertanto l’peratività dei CPI
risulta segnata da una condizione “emergenziale” di fondo, che ne
condiziona gran parte delle scelte strategiche e di quelle operative.
Dal punto di vista dei migranti risulta in crescita, come abbiamo
visto in particolare nel caso di Prato, la scelta di far tornare a casa
moglie e figli precedentemente ricongiunti, data l’insostenibilità
delle spese imposte dalla presenza di nuclei familiari allargati. Gli
intervistati hanno descritto inoltre numerosi casi di partenze di amici
o connazionali verso altre regioni italiane o verso altri Paesi.
Non si tratta però di tendenze e comportamenti che al momento
possono essere definiti come uniformi, dal momento che le
caratteristiche salienti dei percorsi d’insediamento sul territorio
emersi dalle interviste sembrano essere altre, ed in particolare
due. La prima è la diffusione della precarizzazione dei rapporti
di lavoro e del sommerso, fenomeni che per quanto riguarda la
componente non italiana trovano la loro massima espressione in
alcune dinamiche che le interviste evidenziano come peculiari:
l’accentuazione dell’occupazione al “nero” in settori tradizionali
(alberghi, ristorazione); la percepita crescita del fenomeno delle
partite Iva fittizie; l’utilizzo strumentale e marginale delle iscrizioni
in qualità di soci lavoratori presso cooperative di trasporti e di
facchinaggio. La seconda caratteristica è l’esasperazione del ruolo
già intensamente svolto dalle reti comunitarie e relazionali, da tutto
quell’insieme di rapporti informali che in moltissimi casi consente
ai lavoratori migranti di “saltare” la mediazione istituzionale
(in primis nell’intermediazione e nella ricerca di lavoro) e di
surrogare le carenze strutturali (il gap comunicativo, lo stigma e le
rappresentazioni negative).
È possibile a questo punto stabilire un primo punto fermo ed
affermare che, nel caso delle relazioni con l’utenza straniera, la
trasformazione strategica degli interventi in materia di politiche del
lavoro -il passaggio da una logica meramente assistenziale ad una
promozionale, esprimibile in termini di occupabilità, orientamento,
ri-orientamento e formazione continua- è ostacolata da fattori di
natura strutturale. È infatti la combinazione tra la crisi e l’azione
pervasiva delle reti informali a determinare il maggior ostacolo
che i CPI stanno incontrando nel loro tentativo di rendere i princìpi
295
della riforma dei SPI concreti ed attuabili anche nelle relazioni
con la componente non italiana. Si pensi a quanto incide la rigidità
dell’attuale modello di regolazione dei flussi d’ingresso per lavoro
sull’incontro tra domanda e offerta.
La sottolineatura della natura strutturale di tali fattori è essenziale
perché permette di distinguere le variabili che non sono aggredibili
dai CPI, in quanto esorbitanti dalla loro diretta capacità di intervento,
da quelle che sono invece suscettibili di correzioni, modifiche
ed adattamenti attraverso misure appropriate. L’interrogativo
fondamentale, quello al quale cercheremo di rispondere nelle pagine
che seguono dopo aver preso atto dell’esistenza dei fattori “non
aggredibili” appena richiamati, può essere a questo punto riformulato
come segue: in quale modo i CPI possono farsi carico dei fattori
di svantaggio dei lavoratori stranieri (l’accesso differenziato alle
informazioni e alle conoscenze; la difficoltà di certificare credenziali
formative, conoscenze e competenze; l’appartenenza etnica tout
court; la funzione segregante delle reti e delle specializzazioni
etniche), in un contesto di crisi nel quale le risorse informali
sembrano svolgere un ruolo preponderante?
L’analisi dei percorsi di utilizzo dei servizi offerti dai CPI ha
evidenziato l’esistenza di differenti modalità di relazione tra utenza
non italiana e CPI. Non va taciuto il fatto che si sono registrate
indicazioni significative della presenza di percorsi che abbiamo
definito come consapevoli e mirati. Una parte degli utenti stranieri
pare effettivamente riuscire a cogliere lo sforzo compiuto dai CPI
per sfuggire all’approccio passivizzante largamente prevalente nel
passato. La combinazione delle maggiori risorse personali con
quelle familiari e comunitarie, ove disponibili in misura adeguata,
sembra permettere ad una parte dell’utenza di individuare nei
servizi offerti dai CPI una leva utile non solo per la ricerca di lavoro,
ma anche per la valorizzazione e lo sviluppo delle competenze
pregresse. Occorre tuttavia ricordare che si tratta di un segmento di
utenza che per quanto riguarda la componente non italiana risulta
ancora largamente minoritario. Come abbiamo notato nel paragrafo
6.2, continuano a prevalere profili di utilizzo che nel testo abbiamo
definito come strumentali (basate sulla percezione del passaggio al
CPI come mero adempimento formale, come nel caso delle richieste
di certificazioni) e marginali (limitate ai servizi di primo livello, come
accoglienza ed autoconsultazione). Abbiamo inoltre rilevato che in
molte circostanze la scarsa comprensione della funzione dei CPI
non produce soltanto l’effetto -già negativo ex se- del sottoutilizzo
296
dei servizi disponibili, ma anche un’attribuzione di intenzionalità
opache e talora persecutorie ad operatori ed uffici, specie quando
le aspettative occupazionali risultano a lungo frustrate (cosa che in
questo periodo -come abbiamo più volte sottolineato- accade assai
spesso).
Anche sotto il profilo della valutazione dei servizi erogati
possiamo evidenziare la presenza di una pluralità di situazioni. Le
attività di intermediazione sono le prime a risentire della crisi e
della preferenza espressa chiaramente dall’utenza non italiana per
i canali informali. Tuttavia, coerentemente con quanto ricordavamo
poco fa circa la necessaria distinzione tra ciò che è e ciò che non è
nella disponibilità dei poteri d’intervento dei CPI, alcune criticità
potrebbero essere affrontate da subito. Ci riferiamo, in particolare,
alla scarsità di offerte disponibili ed alla tuttora insoddisfacente
capacità di attrazione che i CPI esercitano nei confronti delle
imprese. Lo scarso utilizzo dei CPI da parte dei datori di lavoro e il
numero non elevatissimo di offerte disponibili sono i primi nodi da
sciogliere per un attore istituzionale, la cui identità resta comunque
fortemente interrelata alla capacità di intermediare domanda ed
offerta di lavoro.
Per quanto riguarda la formazione abbiamo ricordato che,
nonostante tra le interviste si riscontrino testimonianze di efficaci
percorsi formali di sviluppo/consolidamento delle competenze,
non si può ancora parlare di una relazione consolidata da parte
dell’utenza straniera con il sistema formativo. I corsi continuano a
non esercitare un grande appeal sulla componente non italiana sia
per motivi logistici (orari di svolgimento, problemi di conciliazione,
in particolare per le donne), sia per ragioni strutturali. Tra queste
ultime la più importante è senza dubbio la chiara propensione
mostrata da molti intervistati a massimizzare i benefici monetari a
breve rispetto all’investimento in formazione, che richiede tempi
più lunghi e la disponibilità di risorse alternative. L’eccezione è
rappresentata dai corsi percepiti come professionalizzanti (quelli
per Osa, per esempio), rispetto ai quali si registra anche una discreta
quantità di invii da parte dei CPI. Il relativo successo di queste
esperienze rischia però di costituire l’indicatore più chiaro della
fragilità del rapporto degli stranieri con il sistema formativo. Al di
fuori di questi percorsi di consolidamento delle nicchie etniche e
delle specializzazioni professionali, non sembrano esserci grandi
possibilità di attivare percorsi realmente individualizzati e in grado
di valorizzare le competenze possedute (anche al di là del problema
297
-per certi versi drammatico- del riconoscimento dei titoli di studio).
Quest’ultima considerazione chiama in causa le modalità
attraverso le quali sono attualmente erogati i servizi di orientamento
destinati all’utenza non italiana. Se da un lato si può dire che per
l’utenza italiana la qualità dei servizi offerti, e soprattutto la mole
di riflessioni teorico-pratiche che ne hanno sorretto l’evoluzione,
è largamente soddisfacente, dall’altro si può affermare che sono
ancora molto rari i casi nei quali il colloquio di orientamento ha
permesso ad utenti non italiani di far emergere indicazioni davvero
utili per lo sviluppo delle loro competenze e l’attivazione di percorsi
individuali realmente orientati al miglioramento dell’occupabilità.
Da questo punto di vista, il Patto di Servizio può essere letto
come un’integrazione all’interno delle politiche attive del lavoro,
del criterio di condizionalità proprio delle riforme dei sistemi di
welfare, ma in sostanza appare scarsamente incisivo. Come abbiamo
ricordato nel testo, la richiesta e l’uso consapevole dei servizi di
orientamento sono circoscritti alla fascia di utenza straniera in
possesso di un titolo di studio elevato e con una condizione socioeconomica relativamente stabile.
Uno dei dati più importanti dell’indagine è quello che evidenzia
le ragioni del maggiore successo di alcuni servizi rispetto ad altri
-in termini di frequenza di utilizzo- da parte dell’utenza straniera.
Le relazioni risultano più strette laddove si costruiscono nel tempo
percorsi standardizzati di accesso orientati dall’azione delle reti e
dai legami informali. Il nesso tra informalità e standardizzazione
degli accessi, che in prima battuta può apparire una contraddizione
in termini, mostra quanto gli aspetti della larga diffusione del
“passa-parola” e delle reti fiduciarie siano in grado di pre-strutturare
e incanalare le relazioni tra migranti e CPI lungo percorsi che
consolidano modalità di accesso tendenti a protrarsi inalterate
nel tempo. È il caso, ad esempio, dell’accesso alle opportunità
formative e lavorative rappresentate dai tirocini, che se da un lato
rappresentano per le imprese uno strumento di reperimento della
manodopera a costo ridotto, dall’altro sono spesso considerati
dall’utenza non italiana e da alcuni gruppi nazionali in particolare
come il primo passo per l’inserimento stabile nel mondo del lavoro.
Il nesso informalità/accesso standardizzato diventa problematico
proprio nelle fasi nelle quali il CPI dovrebbe/potrebbe affermare i
princìpi della sua identità operativa rinnovata, vale a dire quando
dovrebbe rendere concretamente agibili i concetti di promozionalità
ed occupabilità. È in questo passaggio critico tra il primo accesso e
298
la standardizzazione dei servizi richiesti ed erogati che l’informalità
assume una funzione decisiva nell’indirizzare le relazioni tra
servizi ed utenti entro binari assai difficili da modificare. Per fare
altri esempi molto semplici, se l’accesso ai voucher per determinati
percorsi formativi, o quello allo sportello Donna sono resi possibili
dal “passa-parola”, risulta molto difficile valorizzare competenze e
risorse diverse rispetto a quelle che inducono la persona straniera
a rivolgersi ai CPI. Intese in questo modo le risorse informali non
cessano di avere una funzione promozionale, ma mostrano la loro
natura di ambigui fattori “depotenzianti”.
Sul piano dei modelli organizzativi, i due CPI considerati
presentano significative differenze. Il CPI di Firenze presenta due
peculiarità assenti nel caso di Prato: lo sportello immigrati e la
presenza strutturata di servizi di mediazione linguistico culturale. Il
CPI di Prato si caratterizza da parte sua per l’originalità dell’assetto
gestionale, unico anche rispetto alle altre realtà toscane. Si tratta
di un assetto basato da un lato sulla forte impronta concertativa
e dall’altro sul decentramento, principio in base al quale i servizi
amministrativi sono erogati direttamente dagli sportelli comunali.
Uno sguardo d’insieme ci consente di affermare che né l’uno né
l’altro modello sono al momento sufficientemente maturi per potersi
imporre come benchmark per le altre realtà territoriali. Al di là delle
specificità legate ai contesti ed a scelte organizzative profondamente
differenti, le interazioni con l’utenza migrante sono condizionate
dalle relazioni informali (e quindi da ciò che avviene all’esterno dei
CPI) molto più di quanto non siano orientate e guidate dai servizi
offerti. In un periodo di crisi come l’attuale, anche nel caso fiorentino,
nel quale esiste uno spazio specifico (lo sportello immigrati) pensato
in funzione dei bisogni della popolazione non italiana, il CPI non
esercita alcuna particolare influenza sulle dinamiche e sui percorsi
di accesso dell’utenza non italiana. E qui torniamo, per l’ennesima
volta, al punto-chiave: la difficoltà ad affermare modelli organizzativi
adeguati ai fini della presa in carico di questa categoria di utenza
rischia di rappresentare una patente contraddizione del modello
delineato dalla riforma e di far prevalere percorsi di accesso passivi
ed inerziali.
Quelli appena descritti sono gli aspetti critici emergenti
dall’indagine. Tuttavia l’analisi delle prospettive evolutive dei CPI
permette di scorgere anche segnali capaci di indicare piste di lavoro
potenzialmente proficue, sia sul piano generale che con riferimento
specifico alle interazioni dei Centri con l’utenza straniera. Anche se,
299
come abbiamo notato, alcune questioni rilevanti sono intrinsecamente
al di fuori dalla portata degli interventi dei CPI (si pensi, ad esempio,
alla riforma degli ammortizzatori sociali), possiamo ipotizzare che
nel medio periodo l’azione dei CPI si potrebbe sviluppare lungo
alcune direttrici particolari.
è innanzitutto verosimile che per qualche tempo -almeno fino
a quando la crisi occupazionale continuerà ad essere grave com’è
attualmente- l’attività più importante consisterà nel cercare di
agganciare le politiche passive (di sostegno) alle politiche attive,
cosa che già ora sta avvenendo (la formazione considerata come
un ammortizzatore sociale), ma che in prospettiva significherà
probabilmente affermare una primazia degli interventi orientati
alla riconversione (orientamento, formazione, occupabilità)
sull’intermediazione in senso stretto. Da questo punto di vista,
come emerge chiaramente dalle interviste ai responsabili dei
Centri, sarà importante (e lo sarà ancora di più, sotto certi aspetti,
nei rapporti con l’utenza straniera) cercare di raccordare più da
vicino i servizi di orientamento ed intermediazione. È in questo
segmento di attività che occorrerà lavorare per conquistare ai CPI
una funzione più attiva ed un modello operativo più incisivo. Se le
due attività resteranno scarsamente collegate, sarà difficile rendere
traducibile sul piano concreto il principio della personalizzazione
dei servizi offerti ed il passaggio dalla comprensione dei percorsi
individuali alla loro messa a frutto sul mercato del lavoro. D’altra
parte la difficoltà del processo che si prospetta risiede nella
necessità di intervenire sul versante dell’orientamento e della
formazione senza lasciare sguarnito (per esempio, per mancanza di
offerte) il servizio di incontro tra domanda ed offerta. Nel campo
della formazione, infine, visto l’attuale trade-off che si registra tra
la ricerca di percorsi mirati ed il gran numero di corsi offerti, che
rischiano per forza di cose di essere generalisti, si può pensare ad
una rimodulazione complessiva dello strumento dei voucher e ad
una maggiore valorizzazione delle competenze possedute e dei
percorsi di certificazione delle stesse.
Nello specifico dei rapporti con l’utenza migrante queste linee di
sviluppo si traducono in una serie di ipotesi operative, che decliniamo
qui di seguito per punti.
1. Se il ragionamento di prospettiva si basa sulla necessità di introdurre
interventi atti a rafforzare l’integrazione tra orientamento ed
intermediazione, ad agganciare le politiche passive a quelle attive,
ed in generale a far passare la concezione strategica della riforma
300
(occupabilità, formazione continua ecc.) anche nella componente
non italiana, il pre-requisito di ogni iniziativa volta ad estendere
ai migranti le strategie appena elencate consiste nel rafforzamento
degli strumenti di comunicazione istituzionale e di servizio. Si
deve in primo luogo porre particolare attenzione alle attività
volte a facilitare la comprensione dei servizi offerti (traduzione
della modulistica, comunicazioni in lingua, estensione -ma nel
caso di Prato sarebbe più corretto parlare di introduzione- dei
servizi di mediazione linguistico-culturale). L’uso continuato
della mediazione linguistico-culturale può inoltre essere
accompagnato dallo svolgimento sistematico di corsi di lingua
italiana, come prevede la recente legge della Regione Toscana
sull’immigrazione134, da realizzare presso i CPI, con il preciso
scopo di attrarre e fidelizzare l’utenza straniera (per quella in
obbligo formativo, si tratterebbe di un intervento di prevenzione
della dispersione scolastica). L’opportunità di collocare i corsi
di lingua presso i CPI non è consigliata soltanto dall’ovvia
constatazione che i colloqui di orientamento richiedono una
buona padronanza dell’italiano, o la presenza del mediatore (nei
casi nei quali mancano queste risorse il colloquio si limita ad
una compilazione passiva dei campi della scheda di raccolta
dati); l’opportunità di tale opzione deriva anche dalla necessità
di migliorare le competenze di base dell’utenza e la capacità di
accoglienza dei servizi di front-office, anche al di là degli sforzi
-spesso notevoli- che gli operatori compiono singolarmente
e volontaristicamente per favorire le interazioni con l’utenza
straniera.
2. Occorre migliorare la conoscenza dei percorsi di accesso riguardanti
le diverse componenti dell’utenza non italiana. Si è ripetutamente
ricordato quanto siano rilevanti le dinamiche informali rispetto ai
percorsi di accesso: per non continuare a subirne passivamente
gli effetti “depotenzianti” occorre non limitarsi a registrare
esteriormente i tratti salienti di tali percorsi, ma provare ad
intervenire direttamente su di essi e non soltanto in termini
comunicativi e di facilitazione linguistica. Attualmente i percorsi
dell’utenza non italiana presso i CPI effettivamente ricostruibili
ex post sono pochi. Verificare periodicamente i dati quantitativi e
qualitativi sull’accesso di questo segmento di utenza alle diverse
Recita l’art. 3, c. 26 della Legge Regionale Toscana n. 29 del 9 giugno 2009: “La Regione promuove lo
sviluppo della comunicazione interculturale con i cittadini stranieri presenti sul territorio muniti di regolare
titolo di soggiorno in particolare con i seguenti interventi: a) l’insegnamento della lingua italiana e delle
nozioni fondamentali di educazione civica ai fini della promozione di una cittadinanza attiva (…).
134
301
tipologie di servizi erogati potrebbe permettere di ricalibrare gli
interventi a partire da una migliore (non empirica) conoscenza
del funzionamento delle reti e dei percorsi di accesso. Un primo
passo essenziale in questa direzione è quello di comprendere in
modo chiaro, attraverso un monitoraggio adeguato, numero e
caratteristiche delle persone che interrompono la relazione con il
CPI tra il primo accesso e le fasi successive (prima del colloquio di
orientamento di secondo livello, oppure per mancata risposta alle
convocazioni), che sappiamo essere per la maggior parte stranieri.
3. Per quanto riguarda la formazione, al fine di ampliare il ventaglio
delle opportunità formative e sventare il rischio di proporre
troppi corsi percepiti come scarsamente professionalizzanti -la
principale ragione della scarsa frequentazione della formazione
da parte dei migranti- è opportuno pensare ad una ridefinizione
del sistema dei voucher, parte dei quali potrebbero essere messi
a disposizione tenendo conto di criteri di selezione (tipologia
dei corsi, aspetti organizzativi, orari), che forniscano ai migranti
maggiori possibilità di accesso e di conciliazione tra corsi e
attività lavorative.
4. Un’ultima riflessione riguarda la questione di genere. Abbiamo
più volte sottolineato nel testo che per la componente femminile
dell’utenza straniera sottrarsi dalla stretta connessione, già
evidenziata in generale per l’utenza non italiana, tra dinamiche
informali e nicchie di specializzazione etnica appare ancora più
difficile. Rafforzare i dispositivi d’intervento attualmente esistenti
presso i CPI di Firenze (Sportello Abc) e Prato (Sportello Donna)
risulta dunque indispensabile, ma questa operazione andrà
realizzata tenendo conto del più ampio contesto di trasformazione
dell’azione dei Centri. Ciò significa che il rafforzamento di
questi sportelli non dovrebbe tanto servire ad incrementare la
quota di avviamenti al lavoro domestico e di cura intermediati
efficacemente dai CPI; in questo campo la concorrenza dei
soggetti non autorizzati e del “passa-parola”, e l’articolazione
complessiva del sistema di welfare italiano, rischiano di porre
i CPI nella condizione di perenni inseguitori degli intermediari
informali. Un’operazione di questo tipo, specie se compiuta
nella prospettiva già ricordata di maggiori collegamenti tra le
attività di orientamento e quelle di intermediazione, potrebbe
essere orientata a promuovere -laddove le risorse personali lo
consentano- percorsi di affrancamento dal “badantato”. In questo
quadro vanno collocati anche gli interventi, di cui naturalmente
302
potrebbero fruire anche i lavoratori maschi, volti a rendere
più agevoli o chiari i percorsi di riconoscimento dei titoli e di
certificazione delle competenze.
Un complesso di interventi come quello appena descritto, pur se
collocato nel contesto delle macrotrasformazioni dell’operatività dei
CPI che abbiamo indicato, può porre problemi di “sostenibilità sociale”
in un momento nel quale le risorse e le opportunità sono percepite
entrambe come scarse. Per essere ancora più chiari, occorre chiedersi
perché i CPI dovrebbero investire in servizi più “mirati” all’utenza non
italiana, in un momento di crisi e di difficoltà generalizzate, e come
si potrebbero affrontare le possibili riserve di un’opinione pubblica
per la quale ogni parvenza di intervento “specifico” appare come una
sottrazione di risorse in un gioco a somma zero. La risposta, che ci
pare conseguente a quanto abbiamo sostenuto fino a qui, è che gli
interventi specifici per l’utenza migrante non vanno considerati come
“ghettizzanti”, ma come uno sforzo complessivo di estensione dei
princìpi di applicazione della riforma ad una componente che fino ad
ora ha fruito dei servizi dei CPI in modo prevalentemente strumentale
o passivo. Non si tratta di ricadere nella trappola del dibattito sterile
sui servizi separati, ma di applicare integralmente la trasformazione
strategica definita dai programmi di attuazione delle riforme dei
SPI. L’ottica, in fin dei conti, è quella fatta propria dal sistema di
governance indicato dalla Legge Regionale sull’Immigrazione:
secondo tale approccio i migranti non devono essere considerati come
meri destinatari di interventi settoriali, ma come uno degli indicatori,
in quanto soggetti portatori di diritti nuovi e di istanze inedite,
dell’efficacia di un sistema di governo della complessità sul quale si
misura la capacità di salvaguardia e tenuta dell’intero complesso dei
servizi pubblici e sociali.
303
Parte III
Approfondimenti
7.
L’impatto della CIG in deroga sui Servizi per
l’impiego della Toscana135
7.1
Introduzione
A partire dal 2007 l’economia mondiale è stata interessata da una
crisi che molti non hanno esitato a paragonare -per le caratteristiche
e, soprattutto, per la gravità- a quella verificatasi nel 1929. Seguendo
la disamina presentata in Caivano et al. (2010), la crisi si è avviata
nel 2007 nei mercati finanziari statunitensi, nei quali numerose
istituzioni bancarie (e non) hanno dovuto iniziare a ridurre la propria
esposizione ai cosiddetti titoli subprime. In seguito a ciò, già a partire
dal 2008, si sono avute le prime ripercussioni sulla domanda e sulla
produzione, che hanno determinato un significativo rallentamento
generale delle principali economie sviluppate. Con la fine del 2008
le tensioni sui mercati finanziari hanno teso ad affievolirsi, ma
contestualmente si è assistito al tracollo del commercio internazionale
(-16% tra il quarto trimestre ’08 ed il primo ‘09), che ha implicato
per il 2009 una caduta del prodotto mondiale stimata dal Fondo
Monetario Internazionale in -0,6%.
L’Italia naturalmente non è rimasta immune dalla crisi
internazionale. Sebbene le tensioni sui mercati finanziari e i default
di alcuni istituti di credito abbiano interessato il nostro Paese in
maniera assai più contenuta rispetto a quanto avvenuto in altre
aree, altrettanto non è accaduto per quanto riguarda le ripercussioni
sull’economia reale. Nel 2009 l’Italia ha registrato una caduta del
PIL di 5 punti percentuali, che, aggiungendosi alla diminuzione
dell’1,3% relativa al 2008, ha determinato una performance peggiore
rispetto alla media europea. A livello regionale, la Toscana ha
sperimentato nel periodo in questione una contrazione del prodotto
interno perfettamente in linea rispetto al trend nazionale (-0,8% nel
2008 e -5% nel 2009).
L’indagine, di cui riportiamo i principali risultati in questo capitolo, è stata curata da Michele Beudò.
L’attribuzione dei paragrafi è la seguente: paragrafo 7.1 a Filippo Tosi; paragrafo 7.2 a Teresa Savino
e Filippo Tosi, con le elaborazioni di Barbara Marchetiello; paragrafi 7.3, 7.4 e 7.5 a Francesca Ricci e
paragrafo 7.6 a Michele Beudò.
135
307
La crisi ha prodotto pesanti ripercussioni sul mercato del lavoro,
soprattutto a partire dalla metà del 2008. In Italia, secondo quanto
riportato in Caivano et al. (2010) tra aprile 2008, periodo di picco
occupazionale, ed febbraio 2010 si sarebbero persi addirittura
700.000 posti di lavoro. Altrettanto negativo si configura il
quadro occupazionale relativo alla nostra regione. Secondo IrpetUnioncamere Toscana (2010) tra il 2008 ed il 2009 la domanda di
lavoro espressa dal sistema economico regionale si sarebbe contratta
di circa 43mila unità, penalizzando soprattutto le giovani generazioni
e portando il tasso di disoccupazione al 5,8%.
Nonostante i dati testimonino in maniera eloquente la gravità
della situazione anche a livello regionale, il quadro avrebbe potuto
essere ben più negativo in assenza delle politiche del lavoro
implementate per fronteggiare la crisi. In particolare, in assenza
degli interventi effettuati, si stima che il tasso di disoccupazione
avrebbe potuto raggiungere già nel 2009 i 7 punti percentuali
(Irpet-Unioncamere, 2010).
Nell’ambito delle azioni predisposte a livello regionale, sono
stati soprattutto gli strumenti di politica passiva136 del lavoro -la
Cassa Integrazione Guadagni Ordinaria (CIG), Straordinaria (CIGS)
e in deroga (CIG in deroga)- a svolgere, almeno in prima battuta,
un ruolo fondamentale nel mitigare le ricadute sociali della crisi
economica137.
7.2
La CIG in deroga e l’attuazione delle politiche attive
Prima di analizzare nel dettaglio i risultati dell’indagine realizzata,
pare importante concentrare l’attenzione su quegli strumenti di
politica del lavoro che hanno consentito, almeno sino ad oggi, di
mitigare gli effetti della crisi e sulle principali novità normative
che li hanno interessati.
Procedendo con ordine, la Cassa Integrazione Guadagni (CIG)
è una prestazione che integra o sostituisce la retribuzione dei
lavoratori sospesi o che lavorano ad orario ridotto presso aziende
in momentanea difficoltà produttiva. Lo strumento permette alle
Come noto, le politiche passive del lavoro mirano ad alleviare la perdita di benessere connessa allo stato
di disoccupazione, ma non intervengono sulle cause di tale stato.
Soltanto nel primo trimestre 2010, le ore autorizzate di cassa integrazione, ordinaria e straordinaria,
hanno raggiunto in Toscana quasi gli 11 milioni, con un incremento rispetto al trimestre precedente del
13,7% (Regione Toscana, 2010b).
136
137
308
imprese, in attesa di riprendere la normale attività produttiva, di
essere sollevate dai costi della manodopera non utilizzata e di
evitare i licenziamenti.
La Cassa Integrazione Guadagni può essere ordinaria o
straordinaria. È ordinaria quando la crisi dell’azienda dipende da
eventi temporanei (quali, ad esempio, mancanza di commesse,
eventi meteorologici, ecc.) ed è certa la ripresa dell’attività
produttiva. È straordinaria quando l’azienda deve fronteggiare
processi di ristrutturazione (cambiamento di tecnologie),
riorganizzazione (cambiamento dell’organizzazione aziendale),
riconversione (cambiamento dell’attività) o in caso di crisi
aziendale. Inoltre, l’intervento straordinario può essere richiesto
anche a seguito di fallimento, concordato preventivo, liquidazione
coatta amministrativa e amministrazione straordinaria. La Cassa
Integrazione Straordinaria viene concessa per un periodo più lungo
rispetto a quella ordinaria, in virtù della gravità degli eventi che la
giustificano.
La Cassa Integrazione Guadagni è finanziata attraverso un
contributo fisso posto a carico del datore di lavoro, al quale si
aggiunge, nel caso degli interventi straordinari, anche l’intervento
dello Stato. Il pagamento dei sussidi è effettuato dall’impresa
richiedente o, nel caso questa sia impossibilitata, dall’Inps. Il
sussidio è pari all’80% dello stipendio che sarebbe spettato al
lavoratore, aumentato degli eventuali assegni familiari dovuti, ma
soggetto ad un limite mensile rivalutato annualmente in base alle
variazioni dell’indice dei prezzi al consumo accertate dall’Istat.
La CIG e la CIGS sono due istituti fondamentali di politica
passiva del lavoro previsti dal sistema di welfare italiano. Tuttavia,
nonostante la centralità di questi ammortizzatori sociali, non tutti
i lavoratori possono usufruirne. L’avvento della recente crisi ha
implicato problemi occupazionali assai rilevanti non solo per la
categoria di lavoratori che rientrano tra i possibili beneficiari di
CIG e CIGS, ma anche per le altre tipologie.
L’asimmetria di tutele fra lavoratori -e, in particolare, l’assenza
di ammortizzatori sociali per alcuni target- ha indotto il legislatore
nazionale e i legislatori regionali a introdurre nuovi programmi e
nuovi strumenti di sostegno. A partire dal Decreto Legge 185 del
2008 e poi con la Finanziaria per il 2009, il governo nazionale
è intervenuto con provvedimenti specifici volti a contrastare gli
effetti occupazionali derivanti dalla recessione in atto. In particolare
il D. L. 185/2008, convertito in Legge 2 del 28 gennaio 2009 (e
309
successive modifiche e integrazioni) è intervenuto sulla questione
degli ammortizzatori sociali in deroga, ampliando la platea dei
destinatari a tutte le tipologie di lavoro subordinato, compresi i
contratti di apprendistato e di somministrazione. Inoltre, è stato
introdotto un collegamento diretto tra politiche passive e attive: il
diritto a percepire qualsiasi trattamento di sostegno al reddito è infatti
subordinato alla dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro
o a un percorso di riqualificazione professionale che il lavoratore
ha l’obbligo di rilasciare presso i SPI. Ai sensi dell’Accordo tra
Stato e Regioni del 12 febbraio 2009 è stato previsto l’utilizzo
delle risorse regionali del Fondo Sociale Europeo ad integrazione
delle risorse statali.
L’Accordo quadro per l’erogazione della CIG in deroga del
30 aprile 2009, sottoscritto tra la Regione Toscana, sindacati e
associazioni di categoria, sostituito dagli Accordi del 23/11/2009
e del 28/01/2010, estende la possibilità di usufruire del sostegno a
tutti i settori produttivi.
A partire dal 4 maggio 2009, la Regione Toscana riceve e autorizza
le richieste di concessione della CIG in deroga. I lavoratori entro
48 ore dall’inizio effettivo della CIG in deroga devono presentarsi
al CPI e, a seconda della durata della sospensione, ricevere misure
ad hoc (stabilite in apposita tabella decretata dalla regione), pena
decadenza del sostegno. I CPI sono, dunque, titolari della gestione
complessiva degli interventi di politica attiva, che, pur nel rispetto
degli standard regionali, realizzano percorsi personalizzati per
ogni singolo cassaintegrato.
Nell’intero periodo di operatività di tali disposizioni (dal 1
luglio 2009 al 1 ottobre 2010), gli sportelli dei CPI hanno ricevuto
oltre 27mila lavoratori in CIG in deroga, con una maggiore
incidenza nelle province di Firenze (24%), Arezzo (17%), Prato
(15%), Pistoia (13%) (Tab. 7.1). Complessivamente sono state
erogate 110.045 azioni di politica attiva, in media 4 per ciascun
lavoratore.
In base alle Linee Guida predisposte dalla Regione Toscana (DGR
569/09), sono previste 4 aree di intervento, che si distinguono in
base alle finalità, alla durata del periodo di sospensione lavorativa e
al costo: ossia interventi formativi, interventi di accompagnamento,
interventi work based, interventi concertati (Tab. 7.2).
Complessivamente tra le azioni erogate dai CPI toscani, si
registra un’ampia prevalenza delle attività di natura informativa e
consulenziale destinate a tutti i lavoratori indipendentemente dal
310
periodo di cassa integrazione previsto: per quasi il 30% si tratta di
servizi di primo livello, il 18% azioni di informazione strutturata
e orientativa di gruppo di primo livello; seguono le azioni relative
alle tecniche di ricerca del lavoro (13%) e i percorsi di occupabilità
(9%) destinati in entrambi i casi a utenti con oltre 30 giorni di CIG
in deroga (Tabb. 7.3 e 7.4).
Tabella 7.1 NUMERO DI LAVORATORI IN CIG IN DEROGA CHE SI SONO PRESENTATI AGLI SPORTELLI DEI
CPI PER PROVINCIA DALL’1/07/2009 ALL’1/10/2010
F
Arezzo
2.254
Firenze
3.186
di cui Circ. Empolese v.e.
1.130
Grosseto
90
Livorno
626
Lucca
814
Massa
261
Pisa
1.546
Pistoia
1.757
Prato
1.760
Siena
457
TOSCANA
12.751
Fonte: elaborazioni su dati SIL - Regione Toscana
N° Lavoratori
M
2.275
3.378
979
159
862
1.332
513
1.380
1.681
2.292
727
14.599
TOTALE
4.529
6.564
2.109
249
1.488
2.146
774
2.926
3.438
4.052
1.184
27.350
%
16,6
24,0
7,7
0,9
5,4
7,8
2,8
10,7
12,6
14,8
4,3
100,0
Tabella 7.2 DESCRIZIONE DELLE TIPOLOGIE DI INTERVENTO DI POLITICA ATTIVA
INTERVENTI FORMATIVI
INTERVENTI DI SUPPORTO
INTERVENTI WORK BASED
INTERVENTI CONCERTATI
Percorsi in FAD
Percorsi di formazione su competenze di base (sicurezza, informatica, lingue,
cittadinanza)
Percorsi di formazione su competenze trasversali (comunicazione, problem solving,
time management, ecc.)
Percorsi di occupabilità e tecniche di ricerca del lavoro
Percorsi di formazione continua rivolti all’acquisizione di competenze professionali
BREVISSIMI (Dichiarazione degli apprendimenti)
Percorsi di formazione continua rivolti all’acquisizione di competenze professionali
BREVI (Certificato di competenze)
Percorsi di formazione continua rivolti all’acquisizione di competenze professionali
MEDIO-LUNGHI (Attestato di qualifica)
Prima informazione
Consulenza orientativa (di primo livello)
Consulenza orientativa (di secondo livello)
Informazione strutturata e formazione orientativa di gruppo
Azioni di accompagnamento e tutoraggio individuale
Preselezione e selezione
Tirocinio
Altra forma di intervento work based
Formazione aziendale mirata (voucher aziendali)
311
Tabella 7.3AZIONI EROGATE DAI cPI AI LAVORATORI IN CIG IN DEROGA DALL’1/07/2009 ALL’1/10/2010
Cod. Azione Azioni
Durata CIG
A11
A12
A21
A31
A32
A33
A34
A35
A36
A37
A41
A42
A43
A44
A51
Prima informazione e consulenza orientativa di primo livello
Informazione strutturata e informazione orientativa di gruppo
Consulenza orientativa di secondo livello
Azioni di accompagnamento e tutoraggio individuale
Percorsi in FAD
Percorsi di formazione su competenze di base (sicurezza,
informatica, lingue, cittadinanza)
Percorsi di formazione su competenze trasversali
(comunicazione, problem solving, time management, ecc.)
Percorsi di occupabilità
Tecniche di ricerca del lavoro
Percorsi di formazione continua rivolti all’acquisizione di
competenze professionali BREVISSIMI (Dichiarazione degli
apprendimenti)
Pre-selezione e selezione
Percorsi di formazione continua rivolti all’acquisizione di
competenze professionali BREVI (Certificato di competenze)
Tirocinio
Altra forma di intervento work based
Percorsi di formazione continua rivolti all’acquisizione di
competenze professionali MEDIO-LUNGHI (Attestato di
qualifica)
TOTALE
Fonte: elaborazioni su dati SIL - Regione Toscana
N. Azioni
%
Tutti
Tutti
Oltre 15 giorni
Oltre 30 giorni
Oltre 30 giorni
32.423
19.824
7.802
2.110
8.202
29,5
18,0
7,1
1,9
7,5
Oltre 30 giorni
926
0,8
Oltre 30 giorni
6.717
6,1
Oltre 30 giorni
Oltre 30 giorni
9.685
14.017
8,8
12,7
Oltre 30 giorni
2.570
2,3
Oltre 60 giorni
4.567
4,2
Oltre 60 giorni
772
0,7
Oltre 60 giorni
Oltre 60 giorni
33
285
0,0
0,3
Oltre 120 giorni
112
0,1
110.045
100,0
Il quadro descritto sin qui, dunque, lascia intuire come le novità
legislative introdotte abbiano determinato un forte impatto sui SPI,
chiamandoli a nuovi compiti e incrementandone i carichi di lavoro,
a pochi anni di distanza dalla riforma epocale che, attribuendo
centralità alle politiche attive per il lavoro, ne ha profondamente
mutato la mission e gli assetti organizzativi.
In questo contesto si è inserita la necessità di approfondire,
dal punto di vista delle Province e dei loro CPI, gli effetti
prodotti dall’introduzione dei servizi previsti dalla CIG in
deroga, focalizzando l’attenzione non solo sulle aree di criticità
e sulle difficoltà incontrate, ma anche sui possibili effetti positivi
determinati dalle novità introdotte, facendo attenzione a cogliere
il punto di vista degli operatori relativo all’impatto delle politiche
e ad eventuali margini di miglioramento rispetto agli strumenti
proposti.
312
313
Prima informazione e consulenza orientativa di primo livello
Informazione strutturata e informazione orientativa di gruppo
Consulenza orientativa di secondo livello
Azioni di accompagnamento e tutoraggio individuale
Percorsi in FAD
Percorsi di formazione su competenze di base (sicurezza, informatica,
lingue, cittadinanza)
Percorsi di formazione su competenze trasversali (comunicazione,
problem solving, time management, ecc.)
Percorsi di occupabilità
Tecniche di ricerca del lavoro
Percorsi di formazione continua rivolti all’acquisizione di competenze
professionali BREVISSIMI (Dichiarazione degli apprendimenti)
Pre-selezione e selezione
Percorsi di formazione continua rivolti all’acquisizione di competenze
professionali BREVI (Certificato di competenze)
Tirocinio
Altra forma di intervento work based
Percorsi di formazione continua rivolti all’acquisizione di competenze
professionali MEDIO-LUNGHI (Attestato di qualifica)
A11
A12
A21
A31
A32
TOTALE
Fonte: elaborazioni su dati SIL - Regione Toscana
A51
A43
A44
A42
A41
A37
A35
A36
A34
A33
Azioni
Cod. Azione
Oltre 120 giorni
Oltre 60 giorni
Oltre 60 giorni
Oltre 60 giorni
Oltre 60 giorni
Oltre 30 giorni
Oltre 30 giorni
Oltre 30 giorni
Oltre 30 giorni
Oltre 30 giorni
Tutti
Tutti
Oltre 15 giorni
Oltre 30 giorni
Oltre 30 giorni
Fascia
temporale
Arezzo
100
0
0
0
1
4
0
8
19
0
0
31
19
7
0
11
100
0
0
1
1
9
0
17
13
4
2
100
0
0
0
2
13
1
13
13
3
6
24
22
3
1
1
Firenze
di cui: Circondario
Empolese V.E.
26
21
3
3
0
Grosseto
100
0
0
0
0
0
1
11
13
0
3
29
10
26
4
3
Provincia
Livorno
100
0
0
0
0
0
0
31
0
0
0
35
23
2
0
9
100
0
0
0
0
1
0
0
25
0
0
20
10
16
2
27
Lucca
Tabella 7.4AZIONI EROGATE DAI cPI AI LAVORATORI IN CIG IN DEROGA PER PROVINCIA DALL’1/07/2009 ALL’1/10/2010
Valori %
Massa
100
0
0
0
0
3
0
5
11
0
0
32
43
5
0
0
Pisa
100
0
0
1
0
1
0
16
13
11
0
27
2
22
2
5
Pistoia
100
0
0
0
3
8
0
1
14
7
1
28
22
1
3
10
Prato
100
0
0
0
0
0
14
0
3
20
0
41
20
2
0
0
100
0
0
0
0
2
0
3
8
0
2
26
21
9
12
15
Siena
A questo scopo, è stato scelto di utilizzare una metodologia di
indagine qualitativa, svolgendo una serie di interviste in profondità
ai responsabili e ai coordinatori provinciali dei CPI e di alcuni Servizi
Territoriali della Toscana nella primavera del 2010138. In sede di
intervista, l’analisi degli effetti della CIG in deroga sulle attività dei CPI
è stata affrontata da tre diversi punti di vista: gli aspetti procedurali e la
conseguenze sulla riorganizzazione dei servizi; l’analisi dell’efficienza
e dell’efficacia delle prestazioni; le prospettive future.
7.3
L’introduzione della cig in deroga e l’inevitabile riorganizzazione dei
Servizi per l’impiego
L’introduzione dello strumento della CIG in deroga ha determinato,
a conferma dei dati di monitoraggio presentati precedentemente, un
incremento significativo del carico di lavoro per i CPI. L’incremento
degli utenti dei servizi, tuttavia, non ha interessato in maniera
omogenea il territorio regionale. In particolare, dalle interviste
realizzate emerge come la pressione esercitata dai lavoratori CIG in
deroga sia stata particolarmente sostenuta nelle Province di Firenze,
Prato, Pistoia e Arezzo e più lieve nella Toscana meridionale,
soprattutto a Siena e a Grosseto, dove il ricorso alla CIG in deroga
da parte delle aziende è stato piuttosto contenuto. In alcune aree,
è invece la Cassa Integrazione Straordinaria a destare ancora più
preoccupazione (come nel caso di Siena e di Livorno)139.
Il contatto con i soggetti coinvolti è stato preceduto dall’invio di una lettera di presentazione
dell’indagine e della traccia degli argomenti oggetto di discussione. Le interviste sono state svolte con: per
la Provincia di Arezzo Romina Nanni (responsabile dei Centri Territoriali per l’Impiego e Silvia Frondi
(funzionaria Servizio Imprese); per il Circondario Empolese Valdelsa Silvia Meoli (responsabile Politiche
del lavoro del Circondario) e Claudia Innocenti (funzionaria Ufficio del Lavoro); per la Provincia di Firenze
Maria Carmen Toscano (P.O. servizi giuridici della Direzione Lavoro), Sabrina Maioli (responsabile
CPI Firenze Quartiere 1) e Nicola Toscano (responsabile CPI Sesto F.no); per la Provincia di Grosseto
Massimo Caramelli (responsabile del Servizio Lavoro dei CPI territoriali di Grosseto, Follonica, Orbetello,
Manciano, Arcidosso); per la Provincia di Livorno Paolo Borghi (responsabile CPI di Livorno e Piombino
e coordinatore dei CPI della Provincia di Livorno), Monica Casarosa (funzionaria addetta accoglienza),
Stefania Papa e Alessandra Chiti (consulenti); per la Provincia di Lucca Fiorella Baldelli (dirigente del
Servizio Lavoro); per la Provincia di Massa Carrara Paola Marini (dirigente Servizio Lavoro), Giovanni
Manfredi (coordinatore CIG in deroga) e Claudio Bertoneri (responsabile servizio orientamento CPI
Massa); per la Provincia di Pisa Patrizia Nannetti (responsabile del Centro Direzionale per l’Impiego della
Provincia di Pisa e del CPI di Pisa) e Maria Luisa Mazzanti (operatrice e sostituto responsabile del CPI di
S. Croce sull’Arno); per la Provincia di Pistoia Marzia Vannucchi (P.O. coordinamento reti dei servizi e
delle azioni per l’occupabilità e le politiche attive del lavoro) e Cristina Innocenti (responsabile CPI Pistoia
Centro); per la Provincia di Prato Brunella Mastrocesare (coordinatrice CPI Prato); per la Provincia di
Siena Monica Becattelli (responsabile CPI Poggibonsi e coordinatrice dei CPI della Provincia di Siena).
139
“La Provincia di Siena per quanto l’impatto della CIG in deroga sia stato forte, è fra le province
toscane che, specialmente nel 2009, non ha avuto un numero così elevato di lavoratori in CIG in deroga,
mentre abbiamo avuto e abbiamo molti lavoratori in CIGS rispetto alle nostre dimensioni. (...) Questo per
altri versi ci ha facilitato e ci ha fatto trovare pronti quando è partita la CIG in deroga, perché c’era già
138
314
L’afflusso particolarmente consistente di questi nuovi utenti ha
impattato in maniera eterogenea sulle diverse aree funzionali dei
servizi (Tab. 7.5). In particolare, gli intervistati concordano nel
ritenere che gli ambiti di attività interessati dalla maggiore pressione
sono stati da un lato l’insieme dei servizi di accoglienza -prima
informazione, prima iscrizione e certificazione- e dall’altro l’area
della consulenza orientativa -sia di primo che di secondo livello. Per
quanto concerne la prima area di attività, si sono spesso registrati
momenti di vera e propria emergenza; nell’area della consulenza
orientativa, soprattutto di primo livello, si sono avute altrettante
difficoltà nel riorganizzare le risorse umane a disposizione, e
nel programmare tempi e modalità di erogazione dei servizi agli
utenti. In quest’ultimo ambito, si è necessariamente concretizzata
un’erogazione delle attività “per gruppi”140.
Tabella 7.5 “Rispetto alle principali aree funzionali previste dal Masterplan, con la CIG in
deroga quali attività sono risultate maggiormente sotto pressione?”
Area funzionale
1. Accoglienza
2. Consulenza e servizi per l’occupabilità
3. Servizi alle imprese e alla Pubb. Amm.ne
4. Servizi amministrativi per l’occupabilità
5. Gestione del sistema informativo
6. Incontro domanda e offerta
7. Gestione della struttura
1.1
1.2
1.3
2.1
2.2
2.3
2.4
3.1
3.2
4.1
4.2
5.1
5.2
6.1
7.1
7.2
7.3
7.4
Tipo di servizio
Prima informazione
Prima iscrizione e certificazione
Autoconsultazione
Consulenza orientativa di I livello
Consulenza orientativa di II livello
Informazione strutturata e formazione orientativa di gruppo
Azioni di accompagnamento al lavoro e tutoraggio individuale
Informazione strutturata e servizi amministrativi di I livello
Consulenza e procedure amministrative di II livello
Attività amministrative consulenziali
Avviamenti al lavoro con procedure predeterminate
Servizi informativi ed informatici interni ed esterni
Gestione reti interne ed esterne - flussi informativi con il territorio
Preselezione e selezione del personale
Gestione organizzativa delle strutture e delle procedure
Promozione dei servizi offerti dalla struttura
Gestione organizzativa delle risorse umane e direzione
Ricerche e attività di monitoraggio
Infine, molti intervistati hanno sottolineato una complessità insita
nel dover ripensare la gestione della struttura nella sua interezza,
nonché il carico di lavoro sulla gestione dei flussi informativi che è
derivato dagli adempimenti meramente burocratici dei cassaintegrati
in deroga. Lo schema che segue sintetizza in maniera più analitica le
opinioni raccolte dagli intervistati.
stato un tipo di riflessione su quale misure di politica attiva adottare per supportare i lavoratori” (Siena).
140
“Se prima con i disoccupati avevamo privilegiato il colloquio individuale, con l’arrivo della Cig in
deroga abbiamo avuto la necessità di organizzare per loro colloqui di gruppo, con in media 10-12 persone,
non di più. Per casi particolari abbiamo comunque fatto il colloquio individuale di primo o di secondo
livello” (Arezzo).
315
Nel complesso, il nuovo compito a cui sono stati chiamati i SPI
della regione ha rappresentato una vera e propria sfida, che si colloca
in una fase particolarmente critica, in cui alla carenza preesistente
di risorse umane e finanziarie, si accompagna l’impossibilità
-legata ai vincoli imposti agli enti pubblici- di incrementare, anche
se solo temporaneamente, le risorse umane in organico.
Come appare evidente dalle interviste realizzate, nella quasi
totalità dei SPI della Toscana, l’organizzazione dell’offerta rivolta
alla nuova utenza è infatti avvenuta mantenendo inalterato il livello
di risorse umane e finanziarie a disposizione. Le strategie adottate,
dunque, seppure diverse nei vari contesti territoriali, appaiono
quasi univocamente improntate ad un uso più efficiente e razionale
delle risorse a disposizione141. Il personale, per sua parte, secondo
i responsabili delle strutture ha mostrato grandi motivazioni
nell’affrontare una fase critica come quella attuale142.
In dettaglio, si è proceduto a realizzare una diversa allocazione
delle risorse umane fra le aree funzionali, cercando di potenziare
soprattutto quelle più critiche, e sono stati realizzati interventi
formativi e informativi per consentire al personale di poter svolgere
un più ampio numero di mansioni. Quando possibile, sono state
indirizzate alla gestione dei servizi per i lavoratori CIG in deroga
risorse umane e finanziarie legate ad altri progetti specifici, in origine
immaginati per altri scopi e destinati ad altre tipologie di soggetti.
Talvolta, infine, si è proceduto a incrementare il monte-ore di società
o consulenti che già collaboravano con i diversi CPI143.
Accanto ad una riorganizzazione volta ad utilizzare al meglio le
risorse a disposizione, come già accennato quasi ovunque i servizi
rivolti ai nuovi utenti sono stati progettati e implementati in una
“logica di gruppo”. In particolare, per poter offrire l’adeguata
accoglienza a tutti i beneficiari dell’intervento ed al contempo
evitare di sacrificare eccessivamente altri servizi, è stata “differita”
la logica dell’individualizzazione del servizio, per abbracciare
quella basata sull’informazione e sull’erogazione di gruppo; nel
“Abbiamo impiegato più persone in quei servizi maggiormente sotto pressione, abbiamo ampliato la
loro preparazione professionale, abbiamo incrementato le loro ore di lavoro, e creato degli sportelli che in
via prioritaria si occupavano dei cassaintegrati in deroga“ (Arezzo).
142
“Il personale che abbiamo utilizzato per rafforzare i servizi sotto pressione è il personale che noi
abbiamo, non c’è stato un impiego di personale nuovo. Devo ringraziare in ogni momento tutti i miei
colleghi per l’impegno e l’energia che ci hanno messo e continuano a metterci tutti i giorni. È stato
necessario rafforzare l’organizzazione interna, utilizzando le risorse che avevamo a disposizione. Ognuno
di noi ha dovuto fare di più e in tempi più ristretti” (Firenze).
143
“Tra la fine di dicembre e l’inizio di gennaio abbiamo continuato a veder crescere il numero di
cassaintegrati che si rivolgevano a noi. In base al contratto di servizio che avevamo con gli orientatori ci
siamo accorti che le risorse erano sufficienti per poter incrementare le loro ore di lavoro. Ciò ci ha permesso
di avere maggior copertura sui nostri servizi, anche se ci costa un po’ di più rispetto al previsto” (Arezzo).
141
316
dettaglio, una logica più individualizzata è stata riservata a coloro
che probabilmente, dopo il periodo di CIG in deroga, avrebbero
perso definitivamente il posto di lavoro144. Per questa ragione,
l’azione di orientamento di secondo livello è stata quantitativamente
limitata, così come le azioni per la preselezione.
Da notare poi l’assenza di pressione sui “servizi alle imprese”,
che sono essenzialmente servizi di match e di promozione delle
attività dei CPI. Questi sono chiaramente diminuiti in quanto
risultano attualmente poche le imprese in grado di assumere;
d’altro canto, proprio perché le vacancies sono ormai in numero
molto ridotto, è opinione di alcuni intervistati che tale servizio
debba essere oggetto di ulteriori investimenti145.
7.4
Priorità e nuovi servizi per sostenere i lavoratori
In alcune realtà territoriali, in conseguenza dell’entrata in vigore
della CIG in deroga sono stati attivati servizi specifici. Il più diffuso è
rappresentato dall’istituzione dei cosiddetti sportelli o unità anticrisi,
posti in essere in circa la metà dei casi analizzati (Lucca, Firenze,
Prato, Pistoia, Arezzo, Siena, Massa Carrara, Livorno, Pisa), e con
diverse politiche attivate anche su iniziativa degli enti locali146.
Più contenuta, per contro, risulta la diffusione dei servizi di
outplacement. In alcuni casi perché gli intervistati sostengono di
“Abbiamo cercato di distinguere tra i cassaintegrati che avrebbero conservato il posto di lavoro e
i cassaintegrati che sicuramente lo avrebbero perso. Così facendo abbiamo creato due percorsi: uno
improntato su come sostenere psicologicamente questo momento di pausa dal lavoro, l’altro su come
riattivarsi per una ricerca di lavoro a tutti gli effetti” (Circondario Empolese).
145
““i Servizi alle imprese hanno continuato a lavorare, ma non sono assolutamente stati sotto pressione
anche perché devo dire che purtroppo il servizio di incrocio domanda-offerta, che è il fiore all’occhiello
dei CPI, ha subìto una forte flessione della offerta di lavoro proprio a causa della crisi. Teniamo conto
che alcune società di somministrazione qui da noi hanno proprio chiuso. Negli ultimi due anni abbiamo
registrato una flessione del 25% di offerte di lavoro in meno. (...) Direi anzi che come erogazione del servizio
è migliorata, perché avendo da un lato meno richieste da gestire e dall’altro più professionalità da offrire,
se prima si viaggiava su 40%, 50% di successo, adesso è del 60%. Quindi il 25% di flessione di richiesta
delle aziende è attenuato dal miglioramento della efficacia del servizio. Prima succedeva che non trovavamo
certi profili professionali che le aziende ci richiedevano, noi intervenivamo con la formazione e dunque non
potevamo dare risposte subito, adesso sì” (Siena). “Con un servizio impresa che abbiamo ristrutturato
all’inizio del 2009 siamo oggi più presenti sul territorio, e così le minor offerte di lavoro dovute alla crisi
in realtà le compensiamo con la maggior presenza sul territorio. Facendo conoscere di più le attività del
CPI per l’impiego presso le aziende (più attività di marketing) e tenendo conto del periodo di forte crisi che
stiamo attraversando, riusciamo a portare a casa addirittura di più rispetto a prima” (Arezzo).
146
Si veda per esempio il caso di Pistoia, tra gli altri: “la Provincia, per la gestione della crisi, ha formato
una unità di crisi. Abbiamo destinato anche risorse finanziarie con l’introduzione delle Borse-lavoro per
tutti coloro che non avevano ammortizzatori sociali e che avevano perso il lavoro in un arco di tempo
definito. Abbiamo attivato 280 borse lavoro. Con le Banche abbiamo fatto un accordo insieme alla Camera
di Commercio, la FILA. L’accordo prevede l’anticipo della CIG in deroga con l’apertura di un conto
personale, la Provincia si è presa carico delle spese per la tenuta del conto mentre gli interessi sono coperti
da un fondo che le aziende aderenti alla FILA hanno messo a disposizione” (Pistoia).
144
317
non avere le risorse necessarie per gestire il servizio; in altri perché
la crisi generalizzata non sempre configurava nelle realtà locali di
appartenenza una domanda di lavoro positiva in altri settori verso
cui indirizzare i lavoratori147.
Per quanto concerne le altre tipologie di servizi attivati, si segnalano:
la carta ILA per la formazione (Firenze, Siena) cui possono essere
aggiunti i percorsi ad hoc programmati e/o implementati (Grosseto,
Circondario Empolese); i voucher formativi previsti a Prato, e ancora
il placement formativo per collaboratori a Grosseto. Più in generale,
sul versante della formazione, si registra il finanziamento di percorsi
formativi individuali e l’introduzione di programmi di riqualificazione
e reinserimento per alcune tipologie di lavoratori atipici.
Su altri versanti, possono invece essere citate: il progetto di
outplacement Workop a Pistoia, l’avvio del progetto Prometeo, svolto
in sinergia con le organizzazioni sindacali e rivolto ancora ai lavoratori
atipici, a Siena, Grosseto, Massa Carrara, Livorno e Pisa.
Talvolta, gli stessi servizi del Masterplan risultano essere attivati
di conseguenza alla CIG in deroga, come avvenuto nel caso di Arezzo
tra gli altri, con l’attività di orientamento di gruppo o di percorsi di
occupabilità, che in precedenza non esistevano.
Come noto, la Regione Toscana ha previsto l’erogazione di
diverse azioni per la CIG in deroga, connesse con la durata della
sospensione. Ne consegue, dunque, per i CPI l’obbligo di erogare un
certo quantitativo di servizi.
Di fatto, il percorso predisposto presenta forti elementi di
omogeneità in tutti i CPI della regione. Dopo una prima fase
di accoglienza si procede a fornire agli utenti un servizio di
informazione, orientamento e approfondimento sulla normativa, con
l’intento di dotare l’utente -sovente piuttosto disinformato- di una
serie di indicazioni in merito alla struttura della cassa integrazione e ai
servizi erogati da CPI. Il secondo passo è in genere la partecipazione
ad un seminario o ad un colloquio di gruppo, in cui si forniscono al
soggetto tutte le notizie relative ai propri diritti e ai propri doveri
rispetto alle principali misure “anticrisi”.
La fase successiva, cui si accede in base alla durata prevista della
CIG in deroga, è invece maggiormente personalizzata in relazione alle
esigenze specifiche del soggetto, ma viene definita anche in base alle
possibilità organizzative e alle scelte di policy dei SPI. Si alternano
“Abbiamo attivato servizi di out-placement solo per la presa in carico di quei lavoratori che risultavano
appartenere ad aziende che davano l’impressione di essere sicuramente sottoposte, alla fine della CIG, o a
chiusura o a riduzione del personale, ma la ricollocazione non è mai facile” (Pisa).
147
318
in tal modo azioni di accompagnamento e tutoraggio individuale, o
la formazione sulle tecniche di ricerche di lavoro e sui percorsi di
occupabilità, a interventi formativi più strutturati, erogati per la gran
parte mediante Formazione a Distanza (FAD) oppure con moduli
brevi (Tab. 7.6).
Tabella 7.6 Azioni previste dalle Linee Guida della regione toscana per l’erogazione ai
lavoratori CIG in deroga: priorità definite dai SPI zonali
Cod. Az. Azioni
Prima informazione e consulenza
A11
orientativa di primo livello
Informazione strutturata e
A12
informazione orientativa di gruppo
Consulenza orientativa di secondo
A21
livello
Azioni di accompagnamento e
A31
tutoraggio individuale
A32
Percorsi in FAD
Percorsi di formazione su
A33
competenze di base (sicurezza,
informatica, lingue, cittadinanza)
Percorsi di formazione su
competenze trasversali
A34
(comunicazione, problem solving,
time management, ecc.)
A35
Percorsi di occupabilità
A36
Tecniche di ricerca del lavoro
Percorsi di formazione continua
rivolti all’acquisizione di competenze
A37
professionali BREVISSIMI
(Dichiarazione degli apprendimenti)
A41
Pre-selezione e selezione
Percorsi di formazione continua
rivolti all’acquisizione di competenze
A42
professionali BREVI (Certificato di
competenze)
A43
Tirocinio
A44
Altra forma di intervento work based
Percorsi di formazione continua
rivolti all’acquisizione di competenze
A51
professionali MEDIO-LUNGHI
(Attestato di qualifica)
Durata CIG
AR FI Empoli GR LI LU MS PI PT PO SI
Tutti
Tutti
Oltre 15 giorni
Oltre 30 giorni
Oltre 30 giorni
Oltre 30 giorni
Oltre 30 giorni
Oltre 30 giorni
Oltre 30 giorni
Oltre 30 giorni
Oltre 60 giorni
Oltre 60 giorni
Oltre 60 giorni
Oltre 60 giorni
Oltre 120 giorni
Un’altra azione che viene spesso richiamata è quella
dell’accompagnamento alla preselezione. Si noti, infine, l’episodicità
degli interventi di tirocinio148 e altre forme di intervento work based,
“Da ottobre 2009 abbiamo attivato il tirocinio a pagamento (alcuni soggetti hanno la possibilità di
svolgere un tirocinio in azienda usufruendo di una borsa lavoro, finanziata dalla Provincia di Prato con
soldi provenienti dal Fondo Sociale Europeo). L’attuazione non è conseguente all’introduzione della CIG
in deroga, però volendo anche i lavoratori in CIG in deroga possono usufruire di questo nuovo servizio”
(Prato). Sulle difficoltà di proporre tirocini, si veda invece il commento seguente: “per quanto riguarda
il tirocinio, all’inizio non sapevamo bene se il cassaintegrato potesse seguirlo perché il cassaintegrato in
realtà è un lavoratore e non un disoccupato. Dopo c’è stata l’interpretazione del Ministero che ha accertato
148
319
e in particolare di percorsi medio-lunghi di formazione continua
volti all’acquisizione di competenze professionali (attestati di
qualifica), per allestire i quali i SPI hanno incontrato molte difficoltà:
per l’indeterminatezza dei destini occupazionali dei lavoratori, per
oggettive difficoltà organizzative o di scarsità di risorse, ma anche
per l’incertezza su come usare in maniera efficace la leva formativa,
in un’economia in sofferenza in quasi tutti i comparti149.
7.5
L’effetto “spiazzamento”, le conseguenze positive e la sostenibilità
futura dell’intervento
Le interviste realizzate evidenziano come, almeno fino ad oggi, il
rischio di un effetto “spiazzamento” prodotto dai servizi destinati ai
lavoratori CIG in deroga sugli utenti più “tradizionali” dei SPI (quali
donne, disoccupati, giovani, stranieri…) sia reale. Tuttavia, ciò si è
tradotto il più delle volte nello slittamento della tempistica dei servizi
da attivare, più che nella loro mancata erogazione. In altri casi, la
compressione di risorse umane e finanziarie ha determinato la riduzione
dei progetti destinati ad alcuni target, diversi dagli occupati CIG in
deroga; gli operatori che seguivano tali progetti, di conseguenza, sono
stati utilizzati per l’emergenza CIG150. Ad ogni modo, è convinzione
comune che la gestione operativa della CIG in deroga da parte dei CPI
-sic stantis rebus e, dunque, a parità di risorse- risulti per molti una
situazione non sostenibile nel medio-lungo periodo151.
che anche la CIG in deroga può avere rapporti di lavoro di questo tipo. Soltanto che il tirocinio richiede
la massima disponibilità da parte del soggetto. L’azienda che ospita il tirocinante deve poter contare su di
lui, ma il cassaintegrato è molto difficile che abbia la certezza della disponibilità. Infatti ne abbiamo attuati
pochissimi fino ad oggi” (Circondario Empolese Valdelsa).
149
“Le prospettive possono essere tante però, se ora ci si chiede o chiedete a me, quale formazione è
necessaria per l’economia territoriale… ecco, non sappiamo rispondere, soprattutto in questo periodo di
crisi economica” (Pistoia). “Continuiamo ad avere il problema di tutti quelli che sono in cassa integrazione
avendo superato il periodo di 6 mesi. Abbiamo fatto i corsi brevi, brevissimi etc., ma poi noi non siamo
riusciti ad avere una strategia per le fasi successive, perché il settore della formazione ha avuto una
decurtazione di risorse paurosa che ci penalizza. Il problema delicatissimo è la strategia: con quale diritto
noi possiamo dire a una persona “fai quel corso invece di quell’altro”?. E poi: la strategia dei voucher
per queste persone cassintegrati non può essere la strategia che noi usiamo normalmente per utenti come
i giovani. I giovani vogliono continuare a studiare, a formarsi, ma ricorrere ai voucher per persone adulte
in cassa integrazione, in CIG in deroga, richiederebbe di avere pronta una offerta formativa adeguata che
in realtà non abbiamo” (Livorno).
150
“Noi non abbiamo chiuso nessun servizio, tutti i servizi sono stati svolti, fermo restando che tutte le
attività sono state fatte in modo più episodico e meno sistemico, dedicandoci meno tempo rispetto a quello
che servirebbe. Abbiamo dovuto sacrificare la promozione territoriale, le azioni individuali, il tutoraggio,
ma anche il marketing territoriale” (Pistoia).
151
“Non solo non sono arrivate nuove risorse, ma ti posso dire che le risorse del FSE destinate a noi negli
ultimi tempi sono state addirittura dimezzate per far fronte ai pagamenti dell’indennità dei lavoratori in
cassa integrazione (accordo del 12 febbraio del 2009). Questo ci ha portati, ad esempio, a dover ridurre
l’offerta formativa finanziata con i voucher, nonostante da noi siano molto conosciuti e molto richiesti e che
320
Le difficoltà di tenuta, in effetti, già in alcune aree cominciano
ad essere evidenti. Sono molti gli intervistati che hanno dichiarato
che dover trattare la platea di lavoratori CIG in deroga, senza poter
disporre di nuove risorse, ha necessariamente sottratto energie
all’erogazione delle prestazioni ordinarie le quali, come noto, hanno
l’obiettivo di sostenere l’accesso al lavoro per quei gruppi che, anche
a livello regionale, presentano strutturali elementi di debolezza.
Quali, ad oggi, gli effetti più evidenti sulle altre tipologie di utenti?
Se, come sostengono gli intervistati, tutti i servizi “ordinari” sono stati
ovunque garantiti, l’impiego di risorse sul fronte degli utenti CIG in
deroga ha determinato per i clienti “ordinari” due conseguenze: da
un lato, come detto, una maggiore attesa per accedere ai servizi;
dall’altro una minore attenzione alle esigenze dei singoli individui
e, dunque, la difficoltà di offrire risposte personalizzate.
La gestione dei servizi connessi con l’introduzione della CIG in
deroga ha avuto tuttavia anche degli effetti positivi, che, secondo
quanto evidenziato dagli intervistati, possono essere ricondotti in
primo luogo alla creazione di nuove reti e/o nel rafforzamento di
quelle esistenti. In merito, occorre però osservare che le nuove reti
create sono in numero piuttosto esiguo, mentre il rafforzamento di
quelle esistenti si è in genere avuto solo se funzionali ad affrontare
l’afflusso di lavoratori in CIG in deroga. Ne è riprova la frequenza
del rafforzamento/attivazione ex novo della rete con l’INPS.
Nella tabella 7.7, si fornisce la situazione per come è stata resa
dagli intervistati. A titolo di commento, si evidenziano le esperienze
di contatto con diversi istituti bancari (per l’anticipo degli
ammortizzatori), e l’intensificarsi delle relazioni di progettazione
e gestione con gli enti locali e le parti sociali, anche per progetti
specifici come Prometeo e le iniziative anti-crisi.
Un secondo effetto positivo è dato dal fatto che la gestione della
CIG in deroga ha rappresentato una formidabile “vetrina” -per
quanto non esente da rischi- dei servizi del CPI, sia rispetto al bacino
degli utenti potenziali che rispetto alle aziende.
In particolare, secondo gli intervistati, la conoscenza del
nuovo modello dei CPI è senza dubbio aumentata; tuttavia, questa
dinamica, in sé positiva, rischia di essere vanificata dal fatto che
i servizi erogati in questa fase rispecchiano l’emergenzialità della
congiuntura in essere152.
sarebbero stati molto utili anche per i cassaintegrati. Lo stesso discorso vale per la carta Ila” (Arezzo).
152
“Il valore aggiunto del nuovo ruolo dei CPI risiedeva nell’attribuire valenza e significato alle persone
e non ai numeri; non vorrei che nel prossimo futuro si dovrà invece necessariamente tornare a parlare di
numeri e non di persone. Rischia infatti di essere annullato il lavoro compiuto in tanti anni di impegno,
321
Tabella 7.7 Modalità di fare rete, per provincia
Provincia
Arezzo
Firenze
Reti esistenti e rafforzate
INPS
Consulenti del lavoro
Parti sociali
INPS
Organizzazioni sindacali
Enti locali
Circondario Empolese V.E.
Comuni
Grosseto
Comuni
Scuole
Organizzazioni sindacali
Livorno
INPS
Organizzazioni sindacali
Lucca
-
Massa Carrara
-
Pisa
Pistoia
INPS
Parti sociali
Parti sociali
Enti locali
Enti Bilaterali
Istituti bancari
Camera di Commercio
Prato
Tripartita
Siena
Enti locali
Parti sociali
Reti di recente attivazione
Istituti bancari
Consulenti del lavoro
Agenzie formative
Parti sociali
INPS
Ente Bilaterale Turismo Toscana
INAIL
ASL
Terzo settore
Istituti bancari
Camera di Commercio
Organizzazioni sindacali
INPS
-
Consulenti del lavoro
Terze settore
Istituti bancari
Ma, in prospettiva, il modello è sostenibile? Se, almeno fino ad
oggi, attraverso le strategie descritte, i SPI della nostra Regione
sono riusciti a fronteggiare il significativo incremento di utenti
mantenendo uno standard di qualità accettabile rispetto alle loro
attività ordinarie, appare evidente, nella percezione degli intervistati
come in prospettiva il sistema toscano dei CPI non sia in grado
di sostenere a oltranza una mole di lavoro come quella attuale,
continuando ad erogare i servizi all’utenza “ordinaria”.
di aggiornamento e di ammodernamento dei servizi per i cittadini” (Massa Carrara). “La CIG in deroga
ha avuto un grosso impatto nel nostro CPI anche se avevamo cercato di programmare fin dall’inizio tutto
il lavoro. Abbiamo vissuto quel momento anche con la paura di “rovinare” l’immagine positiva del CPI
che negli ultimi anni avevamo costruito. Volevamo scongiurare un ritorno all’idea del CPI come luogo
esclusivamente di adempimenti amministrativi, soprattutto nei confronti dei cassintegrati che per noi
rappresentano un’utenza nuova, sono persone che lavoravano e che conoscevano poco il nostro Centro
e le attività che qui vengono svolte. Ci tenevamo a dare a queste persone una buona immagine del nostro
servizio. Non volevamo mandare un messaggio sbagliato del nostro lavoro a causa di un’emergenza”
(Circondario Empolese).
322
7.6
Efficacia, impatto e criticità
Agli intervistati, è stato chiesto anche di valutare, dal loro punto
di vista, l’efficacia delle misure predisposte per fronteggiare
l’emergenza occupazionale, e di segnalare, nel caso in cui la
CIG in deroga fosse reiterata, eventuali aspetti da potenziare per
migliorarne le performance.
L’elemento più controverso del modello utilizzato è la difficoltà
di comunicare il legame fra percezione del sussidio e uso dei servizi
a soggetti, come i lavoratori CIG in deroga, che stentano in larga
parte a percepirsi come a rischio di disoccupazione. Tale difficoltà
è accresciuta dal fatto che non può essere esclusa la diffusione -più
o meno estesa- di episodi di lavoro grigio e nero, anche presso le
aziende che richiedono la CIG153.
La variabile discriminante diviene così il giudizio sullo stato
dell’azienda per cui si è occupati: se la CIG in deroga non prelude
a un serio rischio di disoccupazione, il fatto di dover frequentare
delle azioni di politica attiva per poter ricevere il sussidio, è vissuto
con poca motivazione. Nel caso in cui, invece, il lavoratore, magari
con gradualità e spesso con l’aiuto degli stessi operatori dei CPI,
percepisca un rischio maggiore, le attività di politica attiva vengono
vissute come un’opportunità e un argine alla preoccupazione, e il
CPI viene assunto come punto di riferimento154.
Se quindi in prima battuta tutti gli intervistati concordano nel
ritenere come i lavoratori che si rivolgono ai servizi appaiono in
genere scarsamente motivati, analizzando il loro punto di vista con
maggiore attenzione emerge un quadro ben più complesso in cui
l’atteggiamento dei lavoratori è eterogeneo e in larga parte migliora
sensibilmente partecipando ai percorsi proposti da servizi155.
“Ora questa è una parentesi dolente. (...) Bisognerebbe che gli organi ispettivi girassero, prendessero
l’elenco delle aziende che chiedono la CIG in deroga e andassero a controllare, anche se è difficile scoprire
il sommerso perché le ore di CIG si vedono poi a consuntivo e quindi l’azienda può sempre dire che il
lavoratore in quel momento non è in CIG in deroga” (Siena).
154
“A seconda della percezione della stabilità o meno del posto di lavoro cambia la motivazione di
approccio alle politiche attive. Chi pensa di rientrare al lavoro segue la politica attiva più veloce e meno
impegnativa, organizzata per il giorno che fa più comodo; chi invece pensa che il proprio posto di lavoro
sia a rischio intraprende un percorso di accompagnamento, con una motivazione e un interesse più elevati”
(Circondario Empolese).
155
“I lavoratori in CIG in deroga in un primo momento fanno fatica perché percepiscono la CIG un poco
come un limbo, alcuni non riescono a valutare se e come l’azienda riprenderà. L’attesa rispetto alla ripresa
della azienda e del mercato, è una variabile importante anche nella percezione delle politiche attive: chi non
ha speranza cerca di sfruttare i servizi di più e di conoscere meglio cosa e come potrebbe fare per trovare un
altro lavoro. In generale il lavoratore arriva passivamente al CPI “stressato” dalla sua condizione lavorativa
e dalla situazione aziendale, l’essere senza lavoro per alcuni è vissuto come una colpa e l’aggressività per
la situazione è riversata spesso all’esterno o sulla azienda o sulle istituzioni. La mia impressione è che in un
153
323
Il tema delle motivazioni dei lavoratori rappresenta quindi un
aspetto su cui soffermare l’attenzione, da tenere a mente in analisi,
anche di tipo quantitativo, che abbiano come obiettivo quello di
misurare l’efficacia delle politiche.
Un altro ambito che abbiamo sottoposto a valutazione è quello
relativo agli standard di servizio; abbiamo chiesto in tal senso un
parere sintetico sull’eventualità che in alcune aree selezionate come
indicative in conseguenza della CIG in deroga le prestazioni siano
rimaste stabili, oppure migliorate o peggiorate. I risultati di questa
rilevazione sono riportati, nel dettaglio provinciale, nella tabella
7.8, mentre nel grafico 7.9 si è tentato di costruire un indicatore di
punteggio.
Tabella 7.8 Può fornirci una sua valutazione sul miglioramento/stabilità/peggioramento dei
seguenti standard di servizio in seguito all’introduzione della CIG in deroga?
Valutazione: A=Aumentata S=Stabile D=Diminuita
Area
Indicatore (e descrizione)
Logistica
Accessibilità (adeguatezza degli
spazi di accoglienza per gli utenti)
S
S
S
S
A
D
S
D
S
S
D
Professionalità
operatori
Aggiornamento professionale
(possibilità di aggiornamento
professionale degli operatori)
A
A
D
S
A
S
A
D
A
A
A
Promozione dei CPI (promozione del
A
servizio presso l’ “utenza potenziale”)
A
A
S
A
D
S
S
D
A
A
Stabilità dell’operatore di riferimento
(rispetto agli utenti)
D
S
S
S
S
S
S
S
S n.d. S
Appropriatezza degli operatori
ai servizi assegnati (in base alle
competenze possedute)
A
A
S
S
A
S
A
A
A
S
S
Tempestività (rispetto alla Carta dei
Servizi/Masterplan)
S
S
A
S
A
D
S
S
D
A
A
A
A
S
S
A
S
S
S
A
A
D
Erogazione
dei servizi
Capacità di monitoraggio interno
Capacità di fare ed esterno delle proprie attività
(efficienza ed efficacia; esempi:
monitoraggio
reportistica interna; customer
“interno”
satisfaction)
AR FI Empolese GR LI LU MS PI PT PO SI
primo momento al CPI difficilmente si riesca a comprendere dove si è e cosa si fa, sembra che al lavoratore
non interessi nulla perché l’unico interesse che ha, è tornare a tutti i costi al lavoro che già ha. La mancanza
o riduzione di lavoro è quindi relativamente tollerabile, mentre un differente approccio al lavoro non è ancora
pensabile. La motivazione va infatti un po’ costruita con il lavoratore affinchè emerga il senso delle politiche
attive. La mia impressione è che, in taluni casi, ci sia un lento cambiare della situazione motivazionale:
le azioni di politica che si susseguono mettono il lavoratore più in sintonia con la sua stessa situazione
personale e del contesto. Il CPI pare diventi una sorta di ancora di salvezza. Una differenza sostanziale nella
motivazione e nei tempi di reazione alla possibilità di comprendere, usare e sfruttare i servizi appare legata da
una parte al livello di istruzione ma in generale alla propria percezione di “gioventù” come se fosse indice
di una possibile nuova collocabilità” (Massa Carrara).
324
Grafico 7.9 Può fornirci una sua valutazione sul miglioramento/stabilità/peggioramento dei
seguenti standard di servizio in seguito all’introduzione della CIG in deroga?
Indicatore sintetico (aumentata = +1; stabile = 0; diminuita = -1)
4
Capacità di monitoraggio interno ed esterno
2
Tempestività
6
Appropriatezza degli operatori
-1
Stabilità dell’operatore di riferimento
4
Promozione dei CPI
5
Aggiornamento professionale
Accessibilità
-2
-3
-2
-1
0
1
2
3
4
5
6
7
Alcune osservazioni sono comunque d’obbligo:
-- in ordine all’accessibilità, la valutazione appare moderatamente
negativa; la logistica degli spazi di accoglienza dei CPI è risultata
spesso insufficiente all’afflusso di persone;
-- per quanto riguarda la possibilità di aggiornamento professionale
degli operatori, questa è tra le aree di cui è stata data una valutazione
più positiva, per la ragione che il personale ha dovuto acquisire
necessariamente nuove competenze, anche se lo spazio per una
formazione di tipo tradizionale è stato ridotto. L’aggiornamento è
stato dunque realizzato prevalentemente “sul campo”;
-- alla promozione dei CPI si è già accennato in precedenza; nel
complesso, questa sembra aumentata come numero di persone,
mentre dal punto di vista di una promozione di “servizi di
qualità” offerto dai Centri, il giudizio complessivo è più incerto
per le ragioni anzidette (più bassa capacità di individualizzare i
servizi, ecc.);
-- la stabilità dell’operatore, ovvero il fatto che singoli dipendenti
sono un riferimento certo agli occhi dell’utente, pare essere
sostanzialmente stabile rispetto al passato;
-- positivo, invece, è il giudizio dato dagli intervistati quanto
all’ “appropriatezza” degli operatori in base alle competenze
possedute. Ciò deriva dall’opera di riorganizzazione interna dei
servizi e dell’organigramma;
-- la “tempestività” risulta migliorata, ma solo perché per i CIG in
deroga la normativa fissava vincoli temporali precisi e stringenti,
che dovevano essere obbligatoriamente rispettati. Nel caso degli
325
altri utenti, in effetti, i tempi di erogazione dei servizi sono
peggiorati;
-- infine, la capacità di monitoraggio è migliorata soprattutto in
relazione all’esigenza di disporre di dati per il controllo delle
attività e del carico di lavoro per le strutture. Il monitoraggio è
dunque stato più curato che in passato, perché indispensabile alla
programmazione.
In conclusione, con l’attivazione della CIG in deroga si è introdotta
una policy che ha complessivamente consentito la salvaguardia del
reddito dei lavoratori, dei posti di lavoro, e allo stesso tempo il
tentativo di avvicinamento delle politiche passive a quelle attive.
I CPI sono stati coinvolti direttamente nella gestione -complessa e
delicata- di questa innovazione.
I contraccolpi in termini di carico di lavoro e di altro tipo sono
stati notevoli; tuttavia, la rete regionale dei Spi ha mostrato grande
capacità di adattamento; per gli intervistati, in molti casi gli standard
delle prestazioni fornite agli utenti sono quasi paradossalmente
migliorati.
Ciò detto, vale la pena, in chiusura, di ricordare almeno due aspetti
che sono scaturiti per effetto della CIG in deroga, e che nel futuro
potrebbero essere oggetto di riflessione e anche di intervento.
In primo luogo, in tutti quei casi in cui le aziende avevano
avviato periodi di CIG in deroga brevi e ripetuti a intervalli di
tempo, oppure avevano impostato dei periodi per una certa durata
ma li avevano interrotti per richiamare al lavoro il personale, i Cpi
non hanno potuto organizzare dei piani di azione individuale di
politiche attive, pienamente coerenti156. Si è reagito cercando delle
soluzioni nel contatto diretto -in una migliore comunicazione- con
“Il problema più grosso della Cig in deroga è che si lavora sul preventivo perché la persona viene da
noi con un certo periodo di sospensione, poi viene richiamato a lavoro, avendo usufruito in concreto della
cassa solo per qualche giorno. È chiaro che questo per noi è un problema perché l’operatore del Centro,
lavorando sul preventivo, deve preventivare le azioni in base al numero di giornate scritte sul foglio che
il lavoratore ci consegna quando si presenta ai nostri sportelli, ma molto spesso il lavoratore fa meno
giornate di sospensione rispetto a quelle preventivate. Bisognerebbe trovare un correttivo, per mettere gli
operatori in condizione di lavorare anche sull’effettivo, altrimenti sprechiamo delle risorse economiche
ed umane che potrebbero essere utilizzate in altro modo. (…) Magari l’operatore con molta difficoltà ha
organizzato un incontro in aula, mai inferiore a 15 presenze per non sprecare risorse, e la mattina arrivano
fax di lavoratori che sono stati richiamati al lavoro e quindi non potranno essere presenti all’incontro”
(Firenze). “si è verificato un problema che molto probabilmente è stato riscontrato in tutta la Regione,
cioè quello di dover andare a programmare degli interventi su delle sospensioni che sono delle sospensioni
“ballerine”, perchè le aziende possono richiamare i lavoratori in qualsiasi momento. Abbiamo dunque
dovuto cercare, insieme alle aziende, di aver un quadro più preciso possibile dei periodi di sospensione
e dei periodi invece di riattività lavorativa, per fare in modo che ci fosse una scansione temporale degli
interventi non così condizionata dalle scelte imprenditoriali di far rientrare i lavoratori. (…) Occorre
perciò subito avviare un rapporto diretto con l’azienda per capire se poi la sospensione si svilupperà
effettivamente, così come era stata programmata oppure no. Questo è stato fatto. Ogni azienda è stata
contattata, ha ricevuto l’informazione iniziale e poi è stata ricontattata per andare a verificare anche
eventuali bisogni formativi della azienda stessa” (Grosseto).
156
326
le imprese, oppure approntando una gestione dell’ “agenda” delle
azioni erogate, anche di tipo innovativo157. Per il futuro, questo resta
comunque un punto su cui lavorare.
In secondo luogo, a fronte dell’ipotesi di rinnovare un importante
strumento come la CIG in deroga, si pone la questione di come
rendere maggiormente sostenibile per i CPI lo sforzo che ne deriva,
in termini di risorse umane e finanziarie impegnate -inadeguate,
secondo l’opinione dei responsabili- e quindi nell’ottica di garantire
gli utenti “ordinari” da un effetto-spiazzamento che l’afflusso dei
lavoratori in CIG in deroga ha determinato.
“Per le azioni della CIG abbiamo costituito una agenda elettronica di respiro provinciale che veniva
condivisa dagli operatori di tutti i CPI di Pistoia. Tutti i CPI proponevano le stesse azioni in orari diversi e
così ogni lavoratore in CIG, spostandosi per esempio da Quarrata a Pistoia, poteva frequentare l’attività di
quella azione in un orario a lui più consono. Un lavoratore in CIG in deroga si rivolgeva per l’accoglienza
al suo CPI di riferimento, ma le azioni poteva svolgerle in tutti i CPI. Tutti gli operatori dei CPI vedevano
sulla agenda elettronica orari e appuntamenti degli altri colleghi e così fissavano l’appuntamento al
soggetto CIG in deroga che si rivolgeva a loro” (Pistoia).
157
327
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332
Appendice A
Indagine sulla Province e i Centri per l’impiego
1.
Traccia di intervista ai Responsabili provinciali
dei Servizi per l’Impiego
1. La riforma. Può indicarci nella messa a regime della riforma, dal vecchio
sistema centralizzato del collocamento ad un sistema decentrato di SPI,
quali sono stati i passaggi cruciali, le principali difficoltà e i risultati conseguiti
anche in relazione alle peculiarità di questa provincia? Può indicarci vincoli e
opportunità del FSE?
2. Il modello organizzativo. Quale modello organizzativo, in riferimento alla
distribuzione delle funzioni e delle competenze tra i diversi livelli territoriali
di governo, ha scelto questa Provincia per gestire i SPI? Quale il grado di
esternalizzazione (outsourcing o gestione diretta) o di internalizzazione
(assunzioni di collaboratori e con quale tipo di rapporto)? Quali sono i motivi e
le conseguenze di tali scelte? Quali strutture e infrastrutture sono state attivate
per la messa in rete dei servizi?
3. La rete e le relazioni sul territorio. Mi può descrivere la rete dei servizi e le
relazioni sul territorio? Quali soggetti entrano in contatto con voi e su quale
attività? Che sinergie avete attivato e quali sono mancate? A chi andrebbe
estesa la collaborazione e perché ci sono difficoltà? Quali sono le modalità di
contatto e le occasioni di nascita e sviluppo di un rapporto entro la rete? Le
attività di promozione hanno un peso sulla costruzione delle reti? In che modo?
Ci può segnalare buone pratiche?
4. Il rapporto con i concorrenti. Dai dati regionali del 2007 emerge che la
tipologia di servizi erogata più frequentemente alle aziende che si sono recate
personalmente agli sportelli è rappresentata dagli “adempimenti aziendali”, pari
a circa il 78,5% dei servizi rivolti alle aziende. Lei cosa pensa sia necessario
fare affinché la natura di queste attività sia sempre più orientata al servizio?
Le aziende si rivolgono maggiormente alle agenzie private per il servizio di
incontro tra domanda e offerta? Per quali motivi? Ci sono degli aspetti, delle
pratiche, delle attività delle agenzie private che lei ritiene possano essere
applicati al servizio pubblico per l’impiego? Come descriverebbe il modello dei
rapporti tra Provincia ed eventuali partner di ruolo o concorrenti?
333
5. Aree funzionali e servizi. Le aree funzionali del Masterplan sono tutte
attivate? Mi può dire come è organizzata la vostra Carta dei Servizi? Per
ogni area funzionale descritta dal Masterplan ci può indicare punti di forza e
debolezza? Vi sono attività realizzate che rimangono fuori dalle aree definite
dal Masterplan? Quali servizi pongono delle problematiche e perché? Vi è la
necessità di attivare servizi specializzati? Secondo lei con quale modalità?
6. Professionalità e competenze degli operatori. Quali sono le risorse umane
impiegate e quali funzioni svolgono? Per ogni funzione prevista dal Masterplan
ritiene soddisfacente la dotazione organica? Vengono maggiormente impiegati
dipendenti o collaborazioni parasubordinate? Secondo lei con quali ricadute?
Ritiene sufficientemente qualificato il personale impiegato? Sono stati svolti
corsi di formazione e di aggiornamento?
7. Monitoraggio e valutazione. Quale sistema di valutazione delle prestazioni
attuate? Quali i sistemi di monitoraggio? Come vengono organizzati e con
quali contenuti? Svolgete indagini di customer satisfaction? Quali aspetti
riuscite a tenere sotto controllo e su quali invece avete delle difficoltà? Come vi
raccordate al monitoraggio regionale?
8. Analisi fabbisogni del contesto locale. Svolgete attività di studio e ricerche
tese all’analisi dei fabbisogni del mercato del lavoro nel contesto locale? Tale
attività è supportata dall’Osservatorio provinciale del mercato del lavoro o vi
avvalete anche di altri enti o istituti di ricerca?
9. Prossimo periodo di programmazione. All’inizio le abbiamo chiesto un
parere sulla riforma e sul ruolo del FSE. Come dovrebbe evolvere il contributo
del FSE? Come se lo prefigura uno sviluppo dei servizi?
10.La crisi occupazionale e le politiche attive del lavoro: il ruolo dei CPI.
La legge 2/2009 recante “Misure urgenti per il sostegno a famiglie, lavoro,
occupazione interviene sulla questione degli ammortizzatori sociali, rimodulando
alcuni strumenti di sostegno, ampliando in alcuni casi la platea dei destinatari
e introducendo un collegamento diretto con la sfera delle politiche attive. In
generale infatti l’accesso alle diverse tipologie di indennità è subordinato
alla dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro o a un percorso di
riqualificazione professionale che il lavoratore ha l’obbligo di rilasciare presso i
servizi competenti (CpI e servizi privati accreditati). Rispetto a questo quadro,
quale è la vostra opinione? Come vi state organizzando per affrontare queste
nuove competenze? (organizzazione, personale, monitoraggio…)
11. Buone pratiche e suggerimenti. Ha buone pratiche da segnalare, di cui non
abbiamo parlato? Ha dei suggerimenti sugli aspetti che ritiene interessanti
poter approfondire in ogni CPI?
334
2.
QUESTIONARIO PROVINCE
1) Può indicare le strutture operative che fanno parte del sistema provinciale di
SPI?
N. strutture
1. Centro direzionale
2. Centri per l’impiego
3. Servizi territoriali
4. Sportelli territoriali
2) Può indicare il numero di addetti impiegati complessivamente al 31.12.2008,
specificando il numero di addetti complessivo, il numero di addetti con orario
part-time e il numero di ore settimanali complessive lavorate da questi ultimi?
Centro direzionale
1. Dipendente a tempo indeterminato della Provincia
2. Dipendente a tempo indeterminato di altra P.A. comandato o distaccato
3. Dipendente a tempo determinato della Provincia
4. Collaboratore coordinato e continuativo a contratto con Provincia
5. Consulente a contratto con Provincia
6. Consul./operatori esterni acquisiti mediante appalti di servizi a soc. private
7. Altro (specificare) ..................................................................................
Totale
Centri per l’impiego
1. Dipendente a tempo indeterminato della Provincia
2. Dipendente a tempo indeterminato di altra P.A. comandato o distaccato
3. Dipendente a tempo determinato della Provincia
4. Collaboratore coordinato e continuativo a contratto con Provincia
5. Consulente a contratto con Provincia
6. Consul./operatori esterni acquisiti mediante appalti di servizi a soc. private
7. Altro (specificare) ..................................................................................
Totale
Servizi territoriali
1. Dipendente a tempo indeterminato della Provincia
2. Dipendente a tempo indeterminato di altra P.A. comandato o distaccato
3. Dipendente a tempo determinato della Provincia
4. Collaboratore coordinato e continuativo a contratto con Provincia
5. Consulente a contratto con Provincia
6. Consul./operatori esterni acquisiti mediante appalti di servizi a soc. private
7. Altro (specificare) ..................................................................................
TOTALE
335
Numero ore settimanali
Totale di cui
complessive lavorate da
addetti part-time
addetti part-time
Numero ore settimanali
Totale di cui
complessive lavorate da
addetti part-time
addetti part-time
Numero ore settimanali
Totale di cui
complessive lavorate da
addetti part-time
addetti part-time
Sportelli territoriali
1. Dipendente a tempo indeterminato della Provincia
2. Dipendente a tempo indeterminato di altra P.A. comandato o distaccato
3. Dipendente a tempo determinato della Provincia
4. Collaboratore coordinato e continuativo a contratto con Provincia
5. Consulente a contratto con Provincia
6. Consul./operatori esterni acquisiti mediante appalti di servizi a soc. private
7. Altro (specificare) ..................................................................................
TOTALE
Numero ore settimanali
Totale di cui
complessive lavorate da
addetti part-time
addetti part-time
3) Con quale modalità prevalente (diretta o esternalizzata) avviene attualmente la
gestione delle attività previste dal Masterplan? Indicare con una crocetta per
ciascuna riga
1. Accoglienza
2. Consulenza
e servizi per
l'occupabilità
3. Servizi alle
imprese e
alla pubblica
amministrazione
4. Servizi
amministrativi per
l'occupabilità
5. Gestione
del sistema
informativo
1.1
1.2
1.3
2.1
2.2
2.3
2.4
3.1
3.2
4.1
4.2
5.1
5.2
6. Incontro
6.1
domanda e offerta
7.1
7. Gestione della 7.2
struttura
7.3
7.4
Prima informazione
Prima iscrizione e certificazione
Autoconsultazione
Consulenza orientativa di i livello
Consulenza orientativa di ii livello
Informazione strutturata e
formazione orientativa di gruppo
Azioni di accompagnamento al
lavoro e tutoraggio individuale
Informazione strutturata e servizi
amministrativi di i livello
Consulenza e procedure
amministrative di ii livello
Attività amministrative consulenziali
Avviamenti al lavoro con procedure
predeterminate
Servizi informativi ed informatici
interni ed esterni
Gestione reti interne ed esterne flussi informativi con il territorio
Preselezione e selezione del
personale
Gestione organizzativa delle
strutture e delle procedure
Promozione dei servizi offerti dalla
struttura
Gestione organizzativa delle risorse
umane e direzione
Ricerche e attività di monitoraggio
336
Affidata a società
esterne
Tipo di servizio
Esternalizzata
Affidata a società
in house
Area funzionale
Solo con
personale
dipendente della
p.a.
Con prevalenza
di personale
dipendente della
P.A.
Con prevalenza di
consul./collab. a
contratto con la
Provincia
Diretta
3.
QUESTIONARIO CENTRI PER L’IMPIEGO E SERVIZI TERRITORIALI
1) Dati del CPI/servizio territoriale
CPI / Servizio territoriale di
Indirizzo
Tel.
Fax
e-mail
Sito web
2) Può indicare il numero di addetti impiegati presso il CPI/servizio territoriale al
31/12/2008, specificando per ogni tipo di addetto il numero di addetti complessivo,
il numero di addetti con orario part-time e il numero di ore settimanali complessive
lavorate da questi ultimi?
Tipo di addetto
1. Dipendente a tempo indeterminato della Provincia
2. Dipendente a tempo indeterminato di altra P.A. comandato o distaccato
3. Dipendente a tempo determinato della Provincia
4. Collaboratore coordinato e continuativo a contratto con Provincia
5. Consulente a contratto con Provincia
6. Consul./operatori esterni acquisiti mediante appalti di servizi a soc. private
9. Altro (specificare) ..................................................................................
Totale
Numero ore settimanali
Totale di cui
complessive lavorate da
addetti part-time
addetti part-time
3) Ritiene adeguata, numericamente e qualitativamente, l’attuale dotazione di
personale?
(segni con una crocetta la risposta scelta)
1. Sì, sia da un punto di vista numerico che di qualifica professionale (vai alla domanda 5)
2. No, è sufficiente di numero, ma inadeguata rispetto alle qualifiche professionali
3. No, è adeguata rispetto alle qualifiche professionali, ma insufficiente di numero
4. No, sia da un punto di vista numerico che di qualifica professionale
4) Se ha risposto no alla domanda precedente, segni con una crocetta per quali
figure professionali rileva delle carenze:
1. Operatore d’accoglienza
2. Operatore di back office
3. Orientatore
4. Operatore per la preselezione
5. Operatore delle fasce deboli
6. Mediatore culturale
7. Consulente alle imprese
8. Altro (specificare) .................................................................................................................
337
5) Indichi con una crocetta quali servizi vengono svolti oppure no presso il CPI/
servizio territoriale:
Area funzionale
Tipo di servizio
Sì No
1.1 Prima informazione
1. Accoglienza
1.2 Prima iscrizione e certificazione
1.3 Autoconsultazione
2.1 Consulenza orientativa di I livello
2.2 Consulenza orientativa di II livello
2. Consulenza e servizi per l'occupabilità
2.3 Informazione strutturata e formazione orientativa di gruppo
2.4 Azioni di accompagnamento al lavoro e tutoraggio individuale
3.1 Informazione strutturata e servizi amministrativi di I livello
3. Servizi alle imprese e alla P.A.
3.2 Consulenza e procedure amministrative di II livello
4.1 Attività amministrative consulenziali
4. Servizi amministrativi per l'occupabilità
4.2 Avviamenti al lavoro con procedure predeterminate
5.1 Servizi informativi ed informatici interni ed esterni
5. Gestione del sistema informativo
5.2 Gestione reti interne ed esterne - flussi informativi con il territorio
6. Incontro domanda e offerta
6.1 Preselezione e selezione del personale
7.1 Gestione organizzativa delle strutture e delle procedure
7.2 Promozione dei servizi offerti dalla struttura
7. Gestione della struttura
7.3 Gestione organizzativa delle risorse umane e direzione
7.4 Ricerche e attività di monitoraggio
6) Nel corso dell’ultimo anno il CPI/servizio territoriale ha svolto attività di
promozione dei servizi offerti? (Per ogni servizio indichi la sua scelta con una
crocetta, se la risposta è sempre no, vada alla domanda 8)
1. Orientamento
2. Incontro domanda e offerta di lavoro
3. Promozione all’inserimento lavorativo
4. Consulenza delle imprese
5. Obbligo formativo
6. Collocamento obbligatorio disabili
7. Altro (specificare) ..............................................................................................................................
Sì
No
7) Se ha risposto sì una o più volte alla domanda precedente, quali canali sono stati
utilizzati per le attività di promozione svolte dal CPI/servizio territoriale nell’ultimo
anno?
(Per ogni canale indichi la sua scelta con una crocetta)
1. Sito web
2. Pubblicazione periodica
3. Numero verde
4. Spot su radio o tv
5. Operatore delle fasce deboli
6. Mediatore culturale
7. Consulente alle imprese
8. Altro (specificare) ..............................................................................................................................
338
Sì
No
I SERVIZI PER L’INCONTRO DI DOMANDA E OFFERTA DI LAVORO
8) Come vengono raccolte le offerte di lavoro provenienti dalle imprese?
(Per ogni modalità segni con una crocetta la frequenza scelta)
1. Presso lo sportello
2. Raccolta annunci su stampa
3. Da agenzie private (di somministrazione, di intermediazione)
4. Da associazioni di categoria, enti bilaterali
5. Sollecitazione diretta alle imprese tramite telefono/fax /mail
6. Invio telematico da parte delle imprese
7. Direttamente presso l’azienda
8. Altro (specificare) ...................................................................
Abitualmente Qualche volta Raramente
Mai
9) Come vengono pubblicizzate le offerte di lavoro?
(Per ogni modalità segni con una crocetta la frequenza scelta)
1. Affissione presso i locali del CPI
2. Inserzioni giornali, radio, tv locali
3. Inserimento su sito web
4. Comunicazione ad altri cpi
5. Comunicazione ad altri enti pubblici
6. Comunicazione a scuole, agenzie formative, università
7. Comunicazione a sindacati e/o associazioni di categoria
8. Comunicazione ad agenzie private
9. Altro (specificare) ...................................................................
Abitualmente Qualche volta Raramente
Mai
10) Come viene svolta l’attività di preselezione?
(Per ogni modalità segni con una crocetta la frequenza scelta)
1. Invio elenco candidati (da archivio o autocandidatura) con
verifica della rispondenza del cv al profilo richiesto
2. Controllo della disponibilità del candidato tramite colloquio
motivazionale/preselezione
3. Svolgimento di colloqui di selezione per conto delle imprese
4. Svolgimento di colloqui di selezione tenuti insieme alle imprese
Abitualmente Qualche volta Raramente
Mai
11) Per ciascuna tipologia di servizio indichi il numero di aziende che hanno usufruito
del servizio, il numero di lavoratori richiesti, il numero di lavoratori inviati dal cpi/
servizio territoriale e il numero di lavoratori assunti al 31/12/2008
1. Pubblicazione delle offerte in chiaro
2. Attività di preselezione
3. Collocamento mirato c/o aziende private
4. Collocamento mirato c/o enti pubblici
5. Le assunzioni c/o enti pubblici ex art. 31
6. Altro (specificare) ........................................
Numero di
Numero di
Numero di
Numero di
aziende lavoratori richiesti lavoratori inviati lavoratori assunti
339
SERVIZI ALLE IMPRESE
12) Quali dei seguenti servizi le imprese richiedono al CPI/servizio territoriale?
(Per ogni servizio segni con una crocetta la frequenza scelta)
1. Consulenza e gestione delle comunicazioni obbligatorie
2. Preselezione di personale
2. Servizio tirocini
3. Informazioni e consulenza sul reperimento di fondi pubblici per la formazione
4 Informazioni e consulenza per sgravi contributivi e agevolazioni per assunzioni
5. Analisi dei fabbisogni professionali
6. Altro (specificare) ................................................................................................
Molto Abbastanza Poco Per niente
13) Svolgete attività di rilevazione della customer satisfaction rivolta alle imprese?
(Segni con una crocetta la risposta scelta)
1. Sì
2. No
3. No, ma è prevista
14) Svolgete attività di promozione presso le imprese?
(Segni con una crocetta la risposta scelta)
1. Sì
2. No (vai alla domanda 17)
15) Se sì con quali modalità?
(Per ogni modalità segni con una crocetta la frequenza scelta)
1. Attraverso materiale cartaceo, (volantini, manifesti, brochure)
2. Ricorso a stampa, radio, televisione
3. Internet
4. Stipulando accordi con le aziende
5. Attraverso la figura del job promoter
6. Altro (specificare) .....................................................................
Abitualmente Qualche volta Raramente
Mai
16) Illustrare brevemente il funzionamento e l’organizzazione del servizio:
..........................................................................................................................................
..........................................................................................................................................
..........................................................................................................................................
..........................................................................................................................................
340
SERVIZI AGLI UTENTI IMMIGRATI
17) Esiste un servizio specificatamente rivolto agli utenti stranieri?
(Segni con una crocetta la risposta scelta)
1. Sì, è attivato all’interno del CPI/servizio territoriale (vai alla domanda 19)
2. Sì, è attivato all’interno di altri uffici provinciali (vai alla domanda 19)
3. Sì, è attivato presso strutture esterne convenzionate (vai alla domanda 19)
4. No
18) Se no, perché?
(Segni con una crocetta la risposta scelta)
1 Il personale è comunque preparato a rispondere alle esigenze degli utenti stranieri (vai alla domanda 21)
2. Esiguo numero di utenti stranieri (vai alla domanda 21)
3. Potrebbe essere necessario ma non è stato ancora istituito (vai alla domanda 21)
4. Sarà istituito a breve (vai alla domanda 21)
5. Altro (specificare) ................................................................................................ (vai alla domanda 21)
19) Se sì, descriva brevemente il funzionamento e l’organizzazione del servizio:
..........................................................................................................................................
..........................................................................................................................................
..........................................................................................................................................
..........................................................................................................................................
20) Che tipologia di personale opera nel servizio?
(Per ogni tipologia di personale segni con una crocetta la frequenza scelta)
1. Mediatore
2. Giurista
3. Operatore specializzato
4. Operatore generico
5. Altro (specificare) ........................................................................
Abitualmente Qualche volta Raramente
Mai
21) Quali dei seguenti servizi vengono offerti dal CPI/servizio territoriale all’utenza
straniera?
(Per ogni servizio segni la frequenza scelta)
1. Servizio informativo ad hoc
2. Mediazione culturale
3.Consulenza all’imprenditorialità
4. Informaz. e consul. su tematiche specifiche (legale, amm.va per permessi ecc.)
5. Sportelli per opportunità lavorative in specifici settori (ad esempio SOS famiglia)
6. Altro (specificare) ...............................................................................................
341
Molto Abbastanza Poco Per niente
22) Vengono svolte azioni specifiche di promozione dei servizi nei confronti
dell’utenza straniera?
(Segni con una crocetta la risposta scelta)
1. No
2. Non ancora, ma sono previste
3. Sì (specificare di che tipo, ad esempio materiale in lingua, come depliant informativi, carta di servizi,
contatto con le comunità, ecc.) ………………………………………………………………...………………………
……………………………..………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………….......………………………………….………….……
23) Su quali servizi è garantita la figura del mediatore?
(Per ogni servizio indichi la sua scelta con una crocetta)
1. Accoglienza
2. Iscrizione e colloquio 181
3. Orientamento
4. Incontro domanda e offerta di lavoro
5. Promozione all’inserimento lavorativo
6. Sportelli specialistici (sportello immigrati, Sos famiglia, autoimprenditorialità ecc.)
7. Altro (specificare) .........................................................................................................................
342
Sì
No
Appendice B
Indagine sulle imprese
1.
Traccia di intervista per gli Operatori dei Servizi per l’Impiego
che si occupano di servizi alle imprese
1) Nascita del servizio di promozione alle imprese. Mi può descrivere quando
e come è nato il servizio di promozione dei servizi alle imprese? Il suo sviluppo
è stato sostenuto da una strategia appositamente pianificata (se sì descriverne
i tratti principali e i bisogni problemi che l’hanno originata) oppure costituisce
il risultato di esperienze meno formalizzate, come ad esempio l’iniziativa
“spontanea” da parte degli operatori o responsabili dei centri?
Quali sono state le difficoltà incontrate? Sono stati apportati dei cambiamenti
nella gestione e nell’ organizzazione del servizio col passare del tempo? Se sì
per quali motivi?
2) Funzionamento del servizio di promozione alle imprese. Come avviene il
primo contatto con le imprese? Quali strategie comunicative? Consegnate del
materiale informativo? Cambiate strategia a seconda del territorio interessato
o della tipologia di azienda? Quando vi recate presso le imprese con quale
criterio le scegliete?
3) Personale. Ci può parlare della sua esperienza di operatore? Ci può illustrare
il percorso formativo e professionale che l’ha portata ad occuparsi di questa
specifica parte del servizio? Di cosa si occupa precisamente? Quale grado di
cooperazione e coordinamento ha con l’osservatorio del mercato del lavoro
provinciale? Quali caratteristiche deve avere il personale che si occupa di
servizi alle imprese? Nel corso della prima fase abbiamo rilevato alcune carenze
e divari nei livelli di servizio. In che modo, a suo avviso, la Regione potrebbe
supportare un processo di sviluppo, qualificazione e maggiore omogeneità dei
servizi in questo settore? (chiedere cosa ne pensa di due possibili soluzioni:
un soggetto individuato tramite un unico appalto da parte della Regione che
fornisca figure professionali, oppure una soluzione con un accentramento
più soft dove la Regione guida gli aspetti del reclutamento, formazione del
personale sulla base di una definizione di standard professionali e modello di
intervento comuni a tutti)
Quante persone e con quali qualifiche e competenze sono impiegate per i
servizi alle imprese? (farsi descrivere il modello di divisione dei compiti) Con
quale rapporto di lavoro? (Chiedere se è personale dipendente della provincia,
343
della società in house, della società privata o singoli consulenti) Trovate ci
siano delle carenze numeriche e/o formative relative al personale? Ci può fare
una stima complessiva delle ore lavorate complessivamente alla settimana in
tutta la provincia per il servizio di promozione alle imprese?
4) Servizi alle imprese. Quali servizi alle imprese offrite? Mi può descrivere i
servizi alle imprese che sono attivati nei CPI della vostra Provincia? (come
funzionano, da chi sono gestiti, personale impiegato, qualifiche e competenze.).
Su quali servizi avete investito maggiori risorse? Quali hanno avuto maggiore
successo? Quali servizi promuovete maggiormente? Ci sono interventi che non
rientrano nelle attività continuative come progetti specifici? (farsi raccontare
quali, come funzionano, soggetti coinvolti ecc.)
5) Le imprese e le loro richieste. Quali imprese si rivolgono maggiormente a
voi? Avete fatto una tipizzazione delle imprese? (Chiedere a tutti: numero,
caratteristiche, dimensioni, settori, aree di provenienza). Le imprese sono
consapevoli dei cambiamenti dopo la riforma del collocamento? Conoscono i
CPI e il loro ruolo? Quali servizi richiedono? Quali sono le esigenze che avete
avvertito? Ci sono servizi o richieste di interventi che non sapete soddisfare,
ma che secondo voi sarebbero da sviluppare all’interno dei CPI?
6) La rete dei soggetti intorno alle imprese. Come considera il ruolo dei
consulenti del lavoro per i servizi alle imprese? (Se considerati una risorsa,
un filtro, un ostacolo, un concorrente. Cambiamenti con le comunicazioni
obbligatorie online). E il ruolo delle organizzazioni di categoria? Quale rete
avete creato intorno alle imprese e ai servizi che le riguardano?
Gli interventi di promozione alle imprese con quale tipo di rete funzionano
maggiormente? Si ha più facilità di contatti e di relazioni proficue con le imprese
laddove sussistono reti con legami più forti con organizzazioni di categoria,
consulenti del lavoro, sindacati, altri soggetti coinvolti, dove ci sono interconnessioni
fra le imprese stesse o invece dove ci sono reti a maglie larghe?
7) Customer satisfaction. Come avete strutturato la customer satisfaction
per le imprese? Mi può consegnare la customer satisfaction per le imprese?
Svolgete rilevazioni periodiche? (mensile, semestrale, annuale) Da quanto
tempo? Le imprese, nell’ottica dell’attivazione dell’utente per la strutturazione
e il potenziamento dei servizi, quale contributo hanno fornito per riorientare
gli obiettivi e/o i servizi del CPI della vostra Provincia? Quali dimensioni sono
state indagate? Quali sono stati i principali risultati? Ritiene necessario una
rilevazione dell’indice di gradimento dei servizi da parte delle imprese unica per
tutta la Toscana?
8) Punti di forza e di debolezza e prospettive future. Quali sono i punti di forza
e i punti di debolezza della promozione nei confronti delle imprese e in generale
del sistema dei servizi alle imprese? In una prospettiva di crescita del ruolo
dei centri in direzione di “agenzie di sviluppo di un territorio” vede possibile
344
estendere l’area di intervento verso funzioni più complesse come: analisi delle
organizzazioni aziendali, aiutare le imprese a stilare i fabbisogni formativi e
occupazionali, farsi carico di iniziative di orientamento e sensibilizzazione tese
a incidere sulla scarsa propensione delle imprese a fare investimenti in ricerca
e sviluppo, influire sull’innalzamento della capacità di assumere qualifiche
professionali di alto livello e titolo di studio, collocarsi in un contesto più generale
di politiche volte a promuovere un cambiamento culturale favorevole allo
sviluppo del capitale umano? Con quali modalità? Potrebbe essere un settore
di sviluppo per il futuro dei CPI? (rilevare se c’è consapevolezza del duplice
ruolo: utenti potenziali e attori dello sviluppo e del mercato del lavoro) Quanto
ritiene importante investire la conoscenza delle dinamiche socioeconomiche
di un territorio per svolgere efficacemente questo tipo funzioni? (il ruolo degli
osservatori del mercato del lavoro)
Qual è, secondo lei, la prospettiva dello sviluppo dei servizi alle imprese dei CPI?
2.
Questionario imprese e centri per l’impiego in Toscana
SEZIONE 1 - CARATTERISTICHE DELLE IMPRESE
1) Ragione sociale ..............................................................................................................
2) Indirizzo............................................................................................................................
Comune ............................................................................................................................
Provincia . .........................................................................................................................
3) Natura giuridica
1. Impresa individuale
2. Società in nome collettivo
3. Società a responsabilità limitata
4. Società per azioni
5. Società in accomandita
6. Società cooperativa
7. Altro (specificare) . ........................................................................................................
8. Ente pubblico (chiudere l’intervista)
4) Anno di costituzione ......................................................................................................
5) La sua impresa ha una sola unità locale o più di una?
1. Una sola unità locale
2. Più unità locali di cui: operanti in regione n.  
operanti fuori regione n.  
345
6)
Codice attività ISTAT (attività primaria) ATECO 2007
1. Agricoltura, silvicoltura, pesca
2. Estrazione di minerali
3. Attività manifatturiere
4. Produzione e distribuzione di energia elettrica, gas e acqua
5. Costruzioni
6. Commercio all’ingrosso e al dettaglio; riparazioni di autoveicoli e motocicli
7. Trasporti, comunicazioni e magazzinaggio
8. Alberghi e ristoranti
9. Attività finanziarie e assicurative
10. Attività immobiliari, noleggio, agenzie di viaggi, servizi di supporto alle imprese
11. Attività professionali, scientifiche e tecniche
12.Istruzione
13.Sanità e assistenza sociale
14.Attività artistiche, sportive, di intrattenimento e divertimento
15.Altre attività di servizi
7) La sua impresa produce prevalentemente in conto proprio o conto terzi?
1. In conto proprio
2. In conto terzi
8)
Il mercato di riferimento della sua impresa è prevalentemente:
1. Locale (comunale, provinciale)
2. Regionale
3. Nazionale
4. Estero
9)Negli ultimi tre anni la sua azienda ha introdotto innovazioni nei seguenti ambiti?
(risposta multipla)
1. Processo
2. Prodotto
3. Organizzativa, gestionale, commerciale
4. Nessuna
10) Può indicare il numero di addetti impiegati nella sua impresa per le seguenti
tipologie al 31/10/2009?
Tipologia
Indipendenti (titolari, soci, amministratori, soci di cooperativa, familiari e affini, che lavorino
effettivamente nell’impresa e non siano iscritti nei libri paga)
Dipendenti con contratto a tempo indeterminato
Dipendenti con contratto a termine
Apprendisti
Lavoratori interinali
Collaboratori a progetto
Altro (specificare) …………………………………………………………………….......................….
Totale
11) In azienda ci sono lavoratori immigrati?
1. Sì, n.    
2. No
346
Numero
12) In azienda ci sono lavoratori part-time?
1. Sì, n.    
2. No
13) Quali sono le previsioni per l’occupazione nella sua azienda per i prossimi tre
anni?
Tipologia
Dipendenti con contratto a tempo indeterminato
Dipendenti con contratto a termine
Apprendisti
Lavoratori interinali
Collaboratori a progetto
Altro (specificare) ……………………….....…………………….
Totale
Crescita
Stabilità
Diminuzione
14) Nel corso dell’ultimo triennio, la sua azienda ha effettuato assunzioni?
1. Sì
2. No
15) Se sì, quante e per quali profili professionali?
Dirigenti, direttori
Professioni intellettuali (ingegneri, architetti, avvocati ecc.), impiegati direttivi
Impiegati di concetto, tecnici
Impiegati esecutivi, di ufficio, segretari
Commessi, camerieri, venditori
Capo-operaio /operai specializzati
Operai qualificati, conduttori di macchine
Operai comuni, manovali, lavori manuali non qualificati
Altro, specificare ………………………………………………….....…………………….
Numero
16) In genere la sua impresa ha difficoltà nel reperire personale?
1. Sì
2. No
17) Se sì, può indicarmi quali sono le professionalità più difficili da reperire per la
sua impresa? (risposta multipla)
Dirigenti, direttori
Professioni intellettuali (ingegneri, architetti, avvocati, ecc.), impiegati direttivi
Impiegati di concetto, tecnici
Impiegati esecutivi, di ufficio, segretari
Commessi, camerieri, venditori
Capo-operaio /operai specializzati
Operai qualificati, conduttori di macchine
Operai comuni, manovali, lavori manuali non qualificati
Altro, specificare……………………………………………………………………..
347
Sì
No
SEZIONE 2 - RICERCA E SELEZIONE DEL PERSONALE
18) Quali dei seguenti canali la sua azienda utilizza in genere per la ricerca e
selezione del personale? (risposta multipla)
Conoscenze dirette di potenziali dipendenti
Segnalazioni conoscenti, amici, parenti
Curricula pervenuti/database aziendali
Quotidiani e stampa specializzata
Internet
CPI
Agenzie per il lavoro (interinali/di somministrazione), società private di ricerca e selezione del personale
Segnalazione centri di formazione, scuole, università
Associazioni di categoria/enti bilaterali, ecc.
Altro, specificare ………………………………………………………………….....................…….…………….
Sì
No
19) Quali tra i precedenti canali di reclutamento del personale ha utilizzato di più
nell’ultimo triennio? (max tre risposte)
Conoscenze dirette di potenziali dipendenti
Segnalazioni conoscenti, amici, parenti
Curricula pervenuti/database aziendali
Quotidiani e stampa specializzata
Internet
CPI
Agenzie per il lavoro (interinali/di somministrazione), società private di ricerca e selezione del personale
Segnalazione centri di formazione, scuole, università
Associazioni di categoria/enti bilaterali, ecc.
Altro, specificare ……………………………………………………………………...................…………………
Sì
No
Se l’azienda non segnala i CPI né alla dom.18 né alla 19
20) Quale è il motivo principale per il quale l’azienda non ha utilizzato il CPI per il
reclutamento del personale?
1. Non sapevo che i CPI offrissero questo servizio
2. è preferibile una conoscenza diretta dei candidati
3. Sono preferibili le agenzie private
4. Gli altri canali finora utilizzati sono stati soddisfacenti
5. Altro (specificare) ......................................................................................................
Se l’azienda segnala di aver utilizzato i CPI alla dom.18 e/o alla 19
21)
Per quali motivi si è rivolto ai servizi pubblici per l’impiego? (max due risposte)
1. Ricercare personale con profili professionali elevati/ specializzati
2. Ricercare personale con profili professionali generici
3. Ricercare in tempi brevi personale di qualsiasi livello
4. Ricercare gratuitamente personale di qualsiasi livello
5. Altro (specificare) ......................................................................................................
348
22) Di quali servizi per la ricerca e selezione del personale offerti dal CPI ha
usufruito? (risposta multipla)
1. Avviso di ricerca del personale (bacheca, sito web, pubblicizzazione attraverso media)
2. Preselezione del personale (invio di elenco di candidati da archivio o autocandidatura con verifica della
rispondenza del c.v. al profilo richiesto)
3. Selezione del personale (colloqui individuali, somministr. test) insieme alle imprese o per conto delle imprese
4. Informazione e consulenza su incentivi e assunzioni agevolate
5. Altro, specificare ……………………………………………………………………………………
Sì No
Se l’azienda segnala di aver utilizzato il servizio di PRESELEZIONE
23) La sua azienda ha ricevuto un elenco di nominativi/curricula dal CPI?
1. Sì, e qualcuno è stato assunto
2. Sì, ma nessuno è stato assunto
3. No, non sono stati individuati candidati con profili adeguati
24) Se alla dom. 23 ha risposto 2, Perché non è stato assunto alcun candidato?
(una sola risposta)
1. I candidati non erano disponibili
2. I profili erano generici e non adeguati alle richieste dell’impresa
3. Sono state assunte persone individuate attraverso altri canali
4. Abbiamo rinunciato ad effettuare l’assunzione
5. Altro specificare . .......................................................................................................
25) Ritiene che il servizio di preselezione fornito dal CPI sia stato soddisfacente?
1. Molto
2. Abbastanza
3. Poco
4. Per niente
26) Quali sono stati i principali motivi di soddisfazione? (max tre risposte)
1. L’elenco dei candidati è stato inviato tempestivamente
2. L’elenco conteneva pochi nominativi ma scelti con precisione
3. L’elenco conteneva molti nominativi tra cui poter scegliere
4. I profili dei candidati erano specifici e adeguati alle esigenze dell’impresa
5. L’operatore si è mostrato disponibile e competente
6. Sono state proposte altre soluzi. e/o informaz. (es. tirocini, assunzioni agevolate, ecc.)
7. Servizio gratuito
27) Quali sono stati i principali motivi di insoddisfazione? (max tre risposte)
1. Non è stato fornito alcun elenco
2. L’elenco non è stato inviato tempestivamente
3. L’elenco conteneva un numero esiguo di nominativi
4. L’elenco conteneva troppi nominativi
5. I profili dei candidati erano troppo generici e inadeguati alle esigenze dell’impresa
6. L’operatore non si è mostrato disponibile e competente
7. Non sono state proposte altre soluz. e/o inform. (es. tirocini, assunz. agevolate, ecc.)
349
Se l’azienda ha utilizzato il servizio di SELEZIONE
28) Ritiene che il servizio di selezione fornito dal CPI sia stato soddisfacente?
1. Molto
2. Abbastanza
3. Poco
4. Per niente
29) Quale è stato il principale motivo di soddisfazione? (una sola risposta)
1. Il candidato aveva un profilo specifico e adeguato alle esigenze dell’impresa
2. L’operatore si è mostrato disponibile e competente
3. Il servizio è stato gratuito
4. Velocità del servizio offerto
30) Quale è stato il principale motivo di insoddisfazione? (una sola risposta)
1. Il candidato individuato aveva un profilo troppo generico e inadeguato alle esigenze
dell’impresa
2. L’operatore non si è mostrato disponibile e competente
3. Non sono state proposte altre soluz. e/o informaz. (ad esempio stage, tirocini, ecc.)
4. Il servizio non è stato tempestivo
31) La sua impresa ha mai avuto contatti con agenzie per il lavoro (interinali/di
somministrazione) o altre società private di intermediazione per la ricerca e
selezione del personale?
1. Sì
2. No
32) Se sì, Per quali motivi si è rivolto ai servizi privati? (una sola risposta)
1. Ricercare personale con profili professionali elevati/ specializzati
2. Ricercare personale con profili professionali generici
3. Ricercare in tempi brevi personale di qualsiasi livello
4. Altro (specificare) ......................................................................................................
33) Ritiene che il servizio offerto sia stato soddisfacente?
1. Molto
2. Abbastanza
3. Poco
4. Per niente
34) Quale è stato il principale motivo di soddisfazione? (una sola risposta)
1. I candidati sono stati presentati tempestivamente
2. I profili dei candidati erano specifici e adeguati alle esigenze dell’impresa
3. L’operatore si è mostrato disponibile e competente
4. Il costo del servizio non è stato eccessivo
35) Quale è stato il principale motivo di insoddisfazione? (una sola risposta)
1. Non è stato fornito alcun candidato
2. I candidati non sono stati inviati tempestivamente
3. I profili dei candidati erano troppo generici e inadeguati alle esigenze dell’impresa
4. L’operatore non si è mostrato disponibile e competente
5. Il costo del servizio è stato eccessivo
350
SEZIONE 3 - LE IMPRESE E I CENTRI PER L’IMPIEGO
36) Ora le leggerò alcuni dei principali servizi che il CPI offre alle imprese.
Per ogni servizio dovrebbe dirmi se lo conosce, se lo utilizza e se le è stato utile/
lo ritiene utile:
Lo conosce Lo utilizza Lo ritiene utile
Sì
No
Sì
No
Sì
No
1. Informazioni relative alle comunicazioni previste per legge (assunzioni,
cessazioni, trasformazioni proroghe)
2. Preselezione e selezione
3. Informazioni e consulenza su assunzioni agevolate e incentivi alle imprese
4. Informazioni e consulenza relative alle assunzioni previste dalla L. 68/99
(norme per il diritto al lavoro dei disabili)
5. Informazioni e consulenza su opportunità formative e tirocini
6. Informazioni e consulenza su crisi aziendali
7. Altro (specificare) ………………………………………..………...........…….
37) Attraverso quali canali è venuto a conoscenza dei servizi offerti dal CPI?
(risposta multipla)
1. Conoscenti/colleghi
2. Commercialista/consulente del lavoro
3. Associazioni di categoria/enti bilaterali
4. Camere di commercio
5. Altri uffici pubblici
6. Annunci su stampa, media
7. Internet
8. Contattata direttamente dal CPI
9. Altro, specificare . ......................................................................................................
38) Si è mai recato nel CPI (o ha avuto contatti) negli ultimi tre anni?
1. Sì
2. No
39) Se sì, Le chiediamo adesso di attribuire un punteggio da 1 (per nulla soddisfatto)
a 5 (molto soddisfatto) ai seguenti aspetti
1. Orari di apertura 
2. Semplicità modulistica 
3. Chiarezza e completezza delle informazioni ricevute  
4. Tempestività della risposta 
5. Cortesia e disponibilità del personale 
6. Competenze professionali del personale 
40) Ha mai ricevuto materiale informativo da parte del CPI (volantini, depliant, inviti
per convegni, newsletter, ecc.)?
1. Sì
2. No, ma sarei interessato
3. No, e non sono interessato
351
41) Ha mai ricevuto visite da parte degli operatori del CPI?
1. Sì
2. No, ma sarei interessato
3. No, e non sono interessato
42) Se sì, Le chiediamo adesso di attribuire un punteggio da 1 (per nulla soddisfatto)
a 5 (molto soddisfatto) ai seguenti aspetti
1. Chiarezza delle informazioni sui servizi offerti dal CPI 
2. Cortesia e disponibilità degli operatori

3. Livello di conoscenza del mercato del lavoro locale degli operatori

4. Livello di conoscenza dei fabbisogni professionali 
43) Ritiene utile l’attività promozionale svolta dagli operatori del CPI presso le
aziende?
1. Sì, perché consente di conoscere i servizi offerti
2. Sì, perché consente di instaurare rapporti con gli operatori
3. No, sono sufficienti i tradizionali strumenti informativi
4. Altro specificare . .......................................................................................................
44) La sua impresa si avvale dei servizi on line offerti dal CPI, esclusi gli adempimenti
obbligatori previsti per legge come le comunicazioni on line (anche attraverso
altri soggetti quali consulente del lavoro, associazioni di categoria, ecc.)?
1. Sì
2. No
45) Le relazioni telematiche con il CPI avvengono:
1. con comunicazioni via e-mail
2. con servizi web interattivi
3. con entrambe le modalità
46) La possibilità di usare contatti on line invece di contatti di persona con i servizi
e le amministrazioni pubbliche ha modificato i suoi rapporti con il CPI?
1. Completamente, perché non è più necessario avere contatti di persona (es. recarsi
presso lo sportello, telefono)
2. In parte, perché per alcuni servizi è necessario comunque un contatto di persona
3. Per niente, i miei contatti con il CPI sono rimasti gli stessi
47) Secondo lei i CPI quali aspetti dovrebbero curare e sviluppare di più per venire
incontro alle esigenze della sua impresa (max tre risposte)
1. Informaz. costante su incentivi alle imprese (per assunz., opportunità formative, ecc.)
2. Informazione costante sulle leggi e sui contratti
3. Informazione costante sulle dinamiche del mercato del lavoro locale
4. Valutazione dei fabbisogni professionali delle imprese
5. Consulenza personalizzata
6. Maggiore flessibilità e velocità nelle risposte
7. Maggiore diffusione e pubblicità dei servizi erogati
8. Altro specificare . .......................................................................................................
352
48) Secondo lei i CPI quali modalità comunicative dovrebbero sviluppare e/o
incrementare per venire incontro alle esigenze della sua impresa (max tre
risposte)
1. Newsletter elettronica
2. Servizio di informazione via SMS
3. Forum, bacheca, FAQ
4. Consulenza personalizzata tramite numero verde
5. Consulenza personalizzata via e-mail
6. Visite aziendali
7.Altro (indicare) ……………………………………………………………………………
49) La sua azienda sarebbe interessata ad essere coinvolta nell’individuazione e
nella definizione di nuovi servizi per le imprese da parte dei CPI?
1. Sì
2. No
50) Può indicare la classe di fatturato in cui, presumibilmente, si collocherà l’azienda
per l’anno 2009?
1. Fino a 150.000,00 euro
2. Da 150.001,00 a 250.000,00 euro
3. Da 250.001,00 a 500.000,00 euro
4. Da 500.001,00 a 1.000.000,00 euro
5. Oltre 1.000.000,00 euro
6. Non risponde
51)
Il fatturato della sua impresa negli ultimi tre anni è:
1. Aumentato
2. Rimasto stabile
3. Diminuito
52) Come prevede sarà l’andamento del fatturato della sua impresa per i prossimi
tre anni?
1. In aumento
2. Stabile
3. In diminuzione
353
Appendice C
Indagine sugli stranieri
Traccia di intervista agli utenti stranieri
dei Centri per l’impiego
1.
BREVE INQUADRAMENTO SOCIO-ANAGRAFICO
Tema
Info di base
Info specifiche su
contesto familiare
Domanda
Informazioni di base, in forma puntuale, su paese di nascita, età, anno dell’arrivo in Italia
Informazioni concernenti la composizione della famiglia, con particolare riferimento ad età
e numero dei figli
2.
PERCORSO SCOLASTICO/FORMATIVO, CARRIERA LAVORATIVA,
RICERCA, LAVORO
Tema
Percorso scolastico
Carriera lavorativa
La situazione attuale
Ricerca di lavoro
Domanda
Per quanti anni ha frequentato un corso di studi? Dove, in Italia o all’estero?
Quale titolo di studio ha conseguito?
Ha incontrato delle difficoltà nel riconoscimento di questi titoli una volta arrivato in Italia?
Che lavoro faceva nel suo Paese?
Che lavori ha svolto in Italia e per quali periodi di tempo?
Attualmente svolge un’attività lavorativa? Se sì, che tipologia di contratto ha? È soddisfatto
del suo lavoro (guadagno, attività svolta, ecc.)?
Da quanto tempo è disoccupato e in che modo ha perso il lavoro?
Che tipo di lavoro cerca?
Quali canali ha utilizzato per trovare lavoro e come lo ha effettivamente trovato? Quali sono
secondo lei i canali che funzionano meglio?
3.
COME SI ARRIVA AL CPI
Tema
Modalità di conoscenza
Fonte dell’invio
Motivazioni
Approfondimento su
uso strumentale
Domanda
In quale modo ha saputo che esiste il CPI?
Chi le ha suggerito di rivolgersi al Cpi?
Quali sono stati i motivi che l’hanno spinta a rivolgersi al Cpi?
Perché ha utilizzato il Cpi solo per motivi ‘strumentali’ (certificazione disoccupazione/
rinnovo pds)?
355
4.
PERCEZIONI, RAPPRESENTAZIONI E USO DEL CPI
Tema
Domanda
Quali sono le maggiori difficoltà che incontra o ha incontrato nei suoi rapporti con il Cpi?
Essere utenti
del CPI
Collocare l’esperienza dell’utente rispetto al quadro dei servizi cpi:
Accoglienza/iscrizione/colloquio 181
• Front-office (disponibilità, comprensione linguistica)
• Autoconsultazione (comprensione degli annunci e della loro distribuzione nelle bacheche)
• Patto di servizio (comprensione del Patto; ragioni del non rispetto del Patto da parte
dell’utente e dell’abbandono del CPI)
• [Se non si è già chiesto] Ragioni strumentali vs. effettive dell’iscrizione
• Tempistica, presa in carico “burocratica” o meno
• Primo colloquio (tempistica, andamento soddisfacente); cosa prevede il PAI
• Scheda anagrafico/professionale del lavoratore (difficoltà riconoscim. competenze/titoli st.)
• Compilazione del CV
Ammortizzatori sociali
• Disbrigo pratiche
• Mobilità, ecc.
Servizi Amministrativi
• Servizi amministrativi formazione professionale/ lavoro
Incontro domanda-offerta
• Preselez. su proposta CPI (Mai ricevuto una proposta? Era adatta/buona? Cosa è
successo?)
• Autocandidatura (Sa di questa possibilità? Consulta gli annunci on line? L’ha mai fatta? Ha
trovato difficoltà? Qualcuno l’ha aiutata? Cosa è successo?)
Servizi specialistici di II livello
• Colloqui di orientamento, Bilancio delle competenze
Mediazione culturale
• Rilevare la presenza/assenza in occasione delle varie tappe
Sportelli/servizi tematici:
• [Per le donne] Disponibilità del proprio nominativo per SOS Famiglia (forzature
nell’indirizzare a questa professione?) [Per le donne] Invio allo Sportello Donne?
• Sportello Immigrati
• Sportello Legale
• Outplacement, Apprendistato, Tirocini formativi e di orientamento
• Sportello Imprenditorialità
Diritto-dovere alla formazione (ex obbligo formativo)
5.
LA FORMAZIONE
Tema
Domanda
Frquenza corsi f.p. Cpi
Ha frequentato corsi di formazione che le sono stati suggeriti dal CPI? Se no, le
piacerebbe?
Valutazione
Mi può dare un suo parere sul corso?
356
Appendice D
Crisi e Centri per l’impiego
ASPETTI PROCEDURALI E RIORGANIZZAZIONE DEI SERVIZI
• Rispetto alle principali aree funzionali previste dal Masterplan [vedi il prospetto come
riferimento], con la CIG in deroga…
1. quali attività sono risultate maggiormente sotto pressione
2. e -di conseguenza- quali tra queste si è ritenuto opportuno rafforzare
3. e, eventualmente, a scapito di quali altri servizi?
Area funzionale
Tipo di servizio
1.1 Prima informazione
1. Accoglienza
1.2 Prima iscrizione e certificazione
1.3 Autoconsultazione
2.1 Consulenza orientativa di i livello
2. Consulenza e servizi per l’occupabilità
2.2 Consulenza orientativa di ii livello
2.3 Informazione strutturata e formazione orientativa di gruppo
2.4 Azioni di accompagnamento al lavoro e tutoraggio individuale
3. Servizi alle imprese e alla pubblica
amministrazione
4. Servizi amministrativi per l’occupabilità
5. Gestione del sistema informativo
6. Incontro domanda e offerta
3.1 Informazione strutturata e servizi amministrativi di i livello
3.2 Consulenza e procedure amministrative di ii livello
4.1 Attività amministrative consulenziali
4.2 Avviamenti al lavoro con procedure predeterminate
5.1 Servizi informativi ed informatici interni ed esterni
5.2 Gestione reti interne ed esterne – flussi informativi con il territorio
6.1 Preselezione e selezione del personale
7.1 Gestione organizzativa delle strutture e delle procedure
7. Gestione della struttura
7.2 Promozione dei servizi offerti dalla struttura
7.3 Gestione organizzativa delle risorse umane e direzione
7.4 Ricerche e attività di monitoraggio
• Avete attivato degli specifici servizi di: 1) out-placement; 2) sportelli anti-crisi; 3) di altro
tipo? A chi sono rivolti? Quali attività svolgono?
• Avete proceduto ad una riorganizzazione del personale in conseguenza della CIG in
deroga? In che modo (rispetto alle aree e ai servizi)? [vedi flow-chart]. Avete preventivato/
utilizzato nuove risorse umane? In tal caso, si tratta di personale interno o esterno?
357
Flow-chart del CPI
Inizio
Accoglienza
I-PA
Informazione Guidata
Autoconsultazione
US
Utente Singolo (US)
Impresa/PA (I-PA)
Servizi Esterni
Consulenza Operativa
Procedure
Amministrative
Servizi
Opzionali
Preselezione
Selezione
Procedure
Amministrative
Informazione Guidata
Procedure
Amministrative
Progettazione
Accompagnamento
Lavoro?
NO
SI
Fine
• Avete individuato al vostro interno operatori cui è stato assegnato lo specifico compito
di seguire le procedure di CIG in deroga? [dettaglio su n.operatori e impiego full-time/
part-time]
• Ritiene adeguata, numericamente e qualitativamente, l’attuale dotazione di personale?
ANALISI DELL’ATTUAZIONE (EFFICIENZA ed EFFICACIA)
• Effetto spiazzamento CIG in deroga su altri utenti: secondo la sua opinione, l’afflusso
degli utenti delle politiche attive dovute alla CIG in deroga, ha creato problemi nello
svolgimento di attività rivolte agli altri tipi di destinatari? In che modo? Nei casi in cui
le imprese richiedano ripetutamente l’ausilio degli ammortizzatori sociali per periodi di
breve durata si corre il rischio che gli interventi di politica attiva siano frammentati e
358
quindi poco efficaci. è un pericolo reale? Cosa è stato fatto per evitare tale rischio e
cosa ancora potrebbe essere fatto?
• Rispetto alle diverse azioni previste dalla Regione Toscana per la CIG in deroga [fare
riferimento alla tabella], in base alla durata della sospensione dal lavoro, a cosa avete
scelto di dare la priorità?
• Avete registrato delle difficoltà particolari nell’organizzazione di alcuni servizi?
• Quali sono le azioni che sono “esternalizzate” e quali quelle tenute da operatori interni
o società in house?
Meno di 15 giorni
Oltre 15 giorni
Oltre 30 giorni
Oltre 60 giorni
Oltre 120 giorni
A11 A12 A21 A31 A32 A33 A34 A35 A36 A37 A41 A42 A43 A44 A51
LEGENDA
Cod.
Azioni
Azione
A11
Prima informazione e consulenza orientativa di primo livello
A12
Informazione strutturata e informazione orientativa di gruppo
A21
Consulenza orientativa di secondo livello
A31
Azioni di accompagnamento e tutoraggio individuale
A32
Percorsi in FAD
A33
Percorsi di formazione su competenze di base (sicurezza, informatica, lingue, cittadinanza)
Percorsi di formazione su competenze trasversali (comunicazione, problem solving, time
A34
management, ecc.)
A35
Percorsi di occupabilità
A36
Tecniche di ricerca del lavoro
Percorsi di formazione continua rivolti all’acquisizione di competenze professionali
A37
BREVISSIMI (Dichiarazione degli apprendimenti)
A41
Pre-selezione e selezione
Percorsi di formazione continua rivolti all’acquisizione di competenze professionali
A42
BREVI (Certificato di competenze)
A43
Tirocinio
A44
Altra forma di intervento work based
Percorsi di formazione continua rivolti all’acquisizione di competenze professionali
A51
MEDIO-LUNGHI (Attestato di qualifica)
Durata CIG
Tutti
Tutti
oltre 15 giorni
oltre 30 giorni
oltre 30 giorni
oltre 30 giorni
oltre 30 giorni
oltre 30 giorni
oltre 30 giorni
oltre 30 giorni
oltre 60 giorni
oltre 60 giorni
oltre 60 giorni
oltre 60 giorni
oltre 120 giorni
• Potrebbe raccontare qual è il percorso tipo di un lavoratore CIG in deroga con durata
prevista di 120 giorni [raccogliere informazioni anche sul numero di ore erogate previste
per le diverse azioni, sulle modalità di erogazione, e così via]
• A suo avviso, in questa fase in che misura è possibile erogare servizi realmente
“individualizzati”?
• A suo avviso, come i lavoratori in CIG in deroga si stanno approcciando alle politiche
attive, innanzitutto a livello di motivazione? Sempre a proposito del livello di motivazione,
cosa può dirmi delle differenze tra i lavoratori? [fare esempio durata diversa della
359
Cassaintegrazione; della stabilità o meno del posto di lavoro; della distinzione tra
cassaintegrazione per “sospensione”/per “cessazione dell’attività di impresa”]
• Qual è la vostra percezione dell’eventuale diffusione di forme di lavoro sommerso tra i
lavoratori in Cig in deroga?
• Può fornirci una sua valutazione sul miglioramento/stabilità/peggioramento dei seguenti
standard di servizio in seguito all’introduzione della CIG in deroga [vedi tabella come
riferimento]?
[la tabella è da compilare in tutte le righe e ciascuna risposta deve essere motivata seppur
brevemente]
Valutazione:
A=Aumentata, S=Stabile,
D=Diminuita
Area
Indicatore
Descrizione
Logistica
Accessibilità
Adeguatezza degli spazi di
accoglienza per gli utenti
Possibilità di
aggiornamento
professionale degli
operatori
Promozione del servizio
presso l’“utenza potenziale”
Professionalità operatori Aggiornamento professionale
Promozione dei CPI
Erogazione dei servizi
Stabilità dell’operatore di
riferimento
Appropriatezza degli operatori
ai servizi assegnati
Capacità di fare
monitoraggio “interno”
Capacità di monitoraggio
reportistica interna;
interno ed esterno delle proprie Esempi:
attività (efficienza ed efficacia) customer satisfaction
Tempestività
Rispetto agli utenti
In base alle competenze
possedute
Rispetto alla Carta dei
Servizi/Masterplan
• Con riferimento alla “governance della crisi”, può indicarci quali reti con altri soggetti
pubblici/privati tra di quelle già esistenti si sono rafforzate o, al contrario, si sono
indebolite [vedi tabella seguente come riferimento]? E in particolare, quali si sono
create ex novo?
• Con riferimento in particolare alle iniziative di più recente introduzione e in particolare
conseguenti alla CIG in deroga e alla crisi, può segnalarci più nel dettaglio le finalità e
le modalità?
[questa tabella è da compilare in dettaglio]
Oggetto e
motivazioni
Soggetto
Azioni
Finanziamento Destinatari Descrizioni
modalità
attuative
360
Rif.
normativi
Valore
aggiunto
Rischi
PROSPETTIVE
• La crisi economica ha generato delle esternalità paradossalmente positive, quali le
più significative? [fare esempio delle reti, della maggiore promozione dei CPI tra la
popolazione attiva, ecc.]
• La leva formativa, tradizionalmente uno degli strumenti più efficaci nel garantire
una maggiore occupabilità degli utenti, rischia di scontrarsi con la comunque ridotta
disponibilità di posti di lavoro. Come è affrontato questo aspetto dal vostro punto di
vista? Avete messo in campo iniziative particolari in questo senso?
• L’attuale fase può essere letta anche come sperimentazione di nuovi modelli, come nel
caso della riunificazione di politiche attive e passive. Qual è la sua opinione in merito?
E a quali condizioni sarebbero praticabili per il futuro i nuovi modelli?
361
Note
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Note
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Note
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Note
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Note
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Finito di stampare nel mese di Ottobre 2010
da Grafiche Martinelli s.r.l. - Bagno a Ripoli (FI)
per conto di IRPET - Firenze
Il sistema dei servizi per l'impiego in Toscana
Lavoro - Studi / 85
Collana Lavoro - Studi e Ricerche / 85
ISBN 978-88-6517-018-2
Il sistema dei Servizi
per l'impiego in Toscana
Regione Toscana - Rapporto 2010