Hegel - la dialettica - la Fenomenologia dello Spirito

Hegel – La dialettica
In Hegel, come in Fichte, la dialettica indica il processo fra diversi momenti in opposizione l’uno con l’altro:
è la dinamica con cui l’Assoluto si manifesta nel finito, e della risoluzione del finito nell’Assoluto.
Si articola in tre momenti:
tesi (momento intellettivo-astratto): l’intelletto coglie le singole realtà e le considera separate tra loro.
Esempio del fiore come diverso dal frutto.
antitesi (momento dialettico, o negativo-razionale): la ragione nega questi concetti come finiti e limitati e
passa ad un concetto opposto, ponendo i concetti in relazione tra loro, seppure in senso “negativo”, cioè
cogliendone le differenze. Esempio del fiore che sparisce per lasciare spazio al frutto.
sintesi (momento speculativo, o positivo-razionale): la ragione coglie l’unità delle opposte determinazioni,
sottolineando che le differenze sono aspetti di un’unica realtà. Esempio del fiore e del frutto considerati
momenti dello sviluppo della pianta.
La sostanza come soggetto
Per Hegel, la realtà non è qualcosa di statico o immutabile; anzi, è un processo dialettico (e quindi
razionale) attraverso il quale l’Assoluto, principio spirituale infinito, si manifesta progressivamente. Per
questo motivo, Hegel afferma che la sostanza è soggetto, cioè qualcosa che va inteso come divenire,
movimento, processo, all’interno del quale ogni singola realtà è intesa come parte di un intero, ed ogni
particolare è da concepirsi unicamente come parte della totalità.
Risulta quindi capovolto anche il nostro modo di conoscere: ogni singola realtà è conoscibile solo a partire
dalla totalità che le dà senso, come momento di un sistema che comprende tutto.
Il vero, dunque, non è l’Assoluto in sé, ma l’Assoluto nel suo sviluppo. Il sistema è quindi necessario per
comprendere i momenti di questo sviluppo.
Inoltre, siccome l’Assoluto è la totalità del reale, esso è anche il conoscersi come totalità, quindi è
autocoscienza, che si raggiunge tramite la filosofia.
L’Assoluto che è cosciente di sé e del proprio sviluppo è Spirito. L’autocoscienza, cioè il divenire Spirito, è
risultato di un processo di divenire storico che si è manifestato e continua a manifestarsi nella conoscenza
umana.
La Fenomenologia dello Spirito (1807)
Con quest’opera, Hegel si distacca definitivamente da Schelling e perviene alla fase matura del proprio
pensiero. Fenomenologia = descrizione delle manifestazioni attraverso le quali lo Spirito arriva a cogliere se
stesso.
La Fenomenologia dello Spirito è l’opera in cui Hegel descrive le tappe che lo Spirito deve percorrere per
giungere a se stesso, ovvero la via che la singola coscienza umana deve percorrere per arrivare all’Assoluto.
I gradi di formazione della coscienza sono illustrati tramite figure, ossia concrete manifestazioni storiche e
ideali dello sviluppo dello Spirito, che esprimono sia la storia della singola coscienza che quella
dell’umanità.
La Fenomenologia dello Spirito è divisa in due parti, ciascuna delle quali a sua volta è divisa in tre sezioni.
Prima parte: triade dialettica composta da coscienza, autocoscienza e ragione.
Seconda parte: triade dialettica composta da spirito, religione e sapere assoluto.
L’impostazione della Fenomenologia dello Spirito chiama la singola coscienza a ripercorrere lo sviluppo
complessivo dello Spirito (autocoscienza dell’Assoluto) nella storia.
È dunque presente un doppio movimento: lo sviluppo dello Spirito nella storia e la singola coscienza che
ripercorre questo sviluppo. La storia in questo modo entra a far parte della coscienza, diviene
autocosciente e consapevole di essere parte dello Spirito.
Le figure (tappe dello sviluppo storico dello Spirito, forme che lo Spirito ha assunto nella storia) sono
riconosciute dalla coscienza come parte di un disegno unitario. La storia che la singola coscienza ripercorre
è un percorso ormai compiuto, nel senso che non si sta svolgendo in quel momento stesso. Questo perché
nella Fenomenologia dello Spirito la coscienza individuale cerca e trova se stessa, mano a mano che
ripercorre le figure. La fluidità non è del tempo storico, ma della singola coscienza.
Lungo questo percorso dialettico, la coscienza ritrova in sé i singoli passaggi dello sviluppo dello Spirito,
inteso come sapere universale. “Ogni individuo è il risultato dell’intera evoluzione del sapere nella storia,
ma deve ritrovarla in sé per ricongiungersi con l’universale stesso”.
Coscienza, autocoscienza, ragione
La coscienza è il soggetto che considera il mondo come qualcosa di esterno e di altro da sé. Il primo
momento della coscienza è la
TESI→ certezza sensibile (sensazione), che appare come la forma di conoscenza più ricca, ma è in reazltà la
più povera: essa è infatti rivolta invariabilmente a “questo” oggetto, “questa” cosa, di cui è certezza
immediata, ma disconnessa dalle altre, è hic et nunc e nient’altro. Dalla certezza sensibile si passa alla
ANTITESI→ percezione: l’io coglie l’oggetto come unità, nella molteplicità dei suoi caratteri, e quindi in
modo contraddittorio. Si giunge così all’
SINTESI→ intelletto: l’oggetto è rappresentato alla coscienza come fenomeno, ossia come realtà che
appare al soggetto. La coscienza comprende così che l’oggetto non è indipendente, ma dipende
dall’intelletto, e dunque da se stessa.
Avendo risolto l’oggetto in se stessa, cioè avendo compreso che l’oggetto dipende da se stessa, la coscienza
è così divenuta coscienza di sé, cioè autocoscienza.
L’autocoscienza è il soggetto considerato nei suoi rapporti con gli altri.
TESI→ affermazione dell’autocoscienza: ogni uomo si pone in relazione agli altri in termini antagonistici. Si
tratta di una vera e propria lotta. E’ comunque un’opposizione che sottolinea come all’uomo manchi
qualcosa che cerca di raggiungere.
ANTITESI→ indipendenza e dipendenza della coscienza. Nella lotta la coscienza rischia la vita, il massimo
bene di cui dispone. Questo scontro dà origine alla figura di signoria e servitù, una delle più celebri della
FdS, che sul piano storico ha caratterizzato l’antichità e il mondo feudale. Il signore è colui che, pur di
affermare la propria indipendenza, è disposto a sacrificare nella lotta la propria vita. Il servo è colui che,
pur di conservare la propria vita, è disposto a sacrificare la propria indipendenza, rinunciando così alla
lotta. In tal modo, il servo diviene una “cosa” di proprietà del signore, che lo usa e lo fa lavorare per sé,
godendo dei frutti del suo lavoro. Nel rapporto fra servo e signore si verifica però un’inversione dei ruoli,
per cui il signore diviene servo del servo e il servo signore del signore: infatti, il signore, inizialmente
indipendente, diventa col tempo dipendente dal lavoro del servo. Al contrario, il servo, producendo i beni
di cui il signore ha bisogno, diventa indipendente dal signore. Inoltre, il signore considera il servo uno
strumento e non una coscienza: gli viene a mancare così il polo dialettico con cui confrontarsi, mentre il
servo vede nel padrone l’antitesi a cui opporsi. Il servo trova nel lavoro, attività che trasforma la natura, il
mezzo che gli consente di giungere alla coscienza della propria indipendenza.
SINTESI→ liberazione dell’autocoscienza, che si raggiunge tramite i tre passaggi dialettici dello stoicismo
(filosofia di epoca greca caratterizzata dall’indifferenza verso il mondo), scetticismo (altra filosofia di epoca
greca che sosteneva che non esiste alcuna verità, negazione del mondo), che cade in contraddizione
proprio perché afferma che tutto è vano e falso, pretendendo di affermare con ciò qualcosa di vero e di
reale, e coscienza infelice (che contraddistingue l’ebraismo e il cristianesimo medievale), che è
l’espressione più radicale della separazione fra l’uomo e Dio. Proprio la consapevolezza di questa
separazione è all’origine dell’infelicità dell’uomo. In un primo momento, nell’ebraismo, la coscienza umana
avverte Dio come trascendente e irraggiungibile. In un secondo momento, nel cristianesimo, Dio si incarna
e si rende vicino. Ma anche per il cristianesimo la speranza di attingere all’Assoluto fallisce: Dio continua ad
essere avvertito come irraggiungibile, e l’infelicità non si può placare.
Questa condizione di infelicità viene superata solo quando l’autocoscienza si rende conto di essere essa
stessa l’Assoluto.
L’autocoscienza, divenuta consapevole che il divino è sia nel mondo che in se stessa, si scopre come
Ragione, ossia certezza di essere ogni realtà.
La ragione
La coscienza supera la religiosità vissuta come fonte di infelicità e come scissione da sé. L’autocoscienza,
divenendo consapevole che il divino è sia nel mondo che in se stessa, si scopre come Ragione.
L’autocoscienza, dunque, dieviene ragione quando riconosce in se stessa il fondamento del mondo,
assumendo la certezza di essere ogni realtà.
Primo momento (TESI): ragione osservativa, la ragione, per comprendere che ciò che è reale è razionale e
ciò che è razionale è reale, osserva la razionalità delle leggi della natura, cerca di conoscere la realtà del
mondo, non più come qualcosa di esterno a sé, ma come parte di sé (“inquieto cercare”, proprio del
Rinascimento e della Rivoluzione Scientifica). Tuttavia, questa ricerca della ragione che cerca se stessa
all’esterno di sé è destinata a entrare in crisi, poiché avverte il mondo ancora come qualcosa di diverso da
se stessa, finendo col ridurre “l’essere dello spirito ad un osso”.
Secondo momento (ANTITESI): ragione che agisce, che è la fonte dell’agire morale. La ragione cerca di
imporre la propria legge morale sul mondo. Qui sono presenti figure celebri, come quella del Faust di
Goethe (il piacere e la necessità), che ne simboleggiano i passaggi dialettici: l’uomo, deluso dalla scienza,
cerca la felicità nei piaceri, ma si imbatte nel destino e nella morte, che fa cessare ogni ricerca: l’uomo
“prende la vita, ma afferma piuttosto la morte”, perché in fondo al piacere c’è il nulla. L’uomo tenta poi di
seguire comportamenti virtuosi personali (legge del cuore e delirio della presunzione) o di imporne di
universali (virtù e corso del mondo): ecco la figura di Robespierre, la virtù è vuota e scollegata dal mondo e
si scontra con esso, finendo sconfitta.
Terzo momento (SINTESI): ragione esaminatrice delle leggi, la ragione cerca delle leggi valide per tutti sotto
forma di imperativi, che però si dimostrano tutti astratti, in quanto di origine individuale. La ragione
comprende infine che la realtà è razionale in se stessa, e non cerca più di imporre la propria legge su di
essa. La realtà appare ora alla ragione come razionale sia sul piano oggettivo (leggi di natura), sia su quello
etico, nel senso che la moralità è già realizzata nel mondo, in modo particolare nella storia. Nel senso che
se le cose sono andate in un certo modo, allora è giusto che siano andate così. La realtà è quindi un bene
già in sé, senza bisogno dell’intervento dell’uomo con le sue esigenze morali. I princìpi morali sono dunque
presenti fuori dalla ragione umana (a differenza di ciò che voleva Kant), e sono realizzati nella Storia e
nelle istituzioni umane.
La ragione, alla ricerca dell’universalità, si dimostra dunque insufficiente a raggiungerla, rimandando perciò
alla seconda parte della FdS (che esamineremo di sfuggita), in particolar modo allo Spirito, che si incarna
nella società e nel popolo in cui un uomo vive.