Teoria quantistica e propedeuticità
Richiami
Onde : trasversali e longitudinali – onde periodiche
Ampiezza, Lunghezza d’onda λ , Periodo T e frequenza f – parallelo con il moto circolare uniforme
Velocità dell’onda v=λ/T = λ f
Onde luminose dualità della luce – modello corpuscolare modello ondulatorio
Interferenza: fenomeno di sovrapposizione di onde per cui i loro effetti si sommano con effetti sia
costruttivi che distruttivi
La luce è un’onda elettromagnetica : la perturbazione è costituita da campi elettrici e magnetici le cui
oscillazioni si propagano nel vuoto. In certe situazioni si comporta come onda in altri come insieme di
corpuscoli.
Le onde elettromagnetiche (oem) presentano aspetti corpuscolari, mentre particelle come l'elettrone
presentano aspetti ondulatori.
La velocità della luce c è costante e vale 3* 108 m/s, per cui le lunghezze d’onda e le frequenze delle
onde elettromagnetiche sono collegate c = λ f ; λ = c/ f (1) ; ( nota frequenza e lungh. onda inv. Proporzionali)
La frequenza delle oem determina se questa è onda radio-tv (f circa 1010), luce visibile (la gamma dei
colori è data dalle diverse frequenze, f circa 1014) , raggi X (f circa 1019), o radiazioni e acceleratori di
particelle(1028)
Per misurare l’emissività della luce o oem si prende a riferimento un corpo nero , che è un oggetto
capace di assorbire completamente le oem di qualunque lunghezza d’onda.
(Vedi appunti sul Modello Atomico)
Lo spettro di emissione (il colore della luce) dipende dalla temperatura del corpo e non (solo) dalla sua “chimica”, ma
anche dalla sua temperatura.
A temperature oltre i 1000K il ferro emette onde elettromagnetiche con una frequenza nella banda del visibile (λ<0.75µm).
Si ricorda che per la legge di Stefan – Boltzman la potenza irraggiata, è proporzionale alla temperatura assoluta T (alla
quarta potenza).
Nelle sperimentazioni lo spettro di emissione mostrava che la potenza di
irraggiamento (watt/m2) non era un ramo di iperbole rispetto alla lunghezza d’onda,
come nella previsione classica, ma la curva si annulla a valori di lunghezza d’onda
bassi.
Max Karl Ernst Ldwiig Planck (1858 – 1947) fisico tedesco
premio Nobel nel 1918 per le proprietà delle radiazione di un corpo nero
Nel 1900 Max Planck formulò un modello che spiegava il modello sperimentale dello spettro di emissione,
ipotizzando che l’emissione dell’energia avviene attraverso “pacchetti di energia” da lui definiti quanti del campo
elettromagnetico o più semplicemente quanti.
Energia emessa dalle particelle
Secondo Plance, l’energia scambiata è direttamete proporzionale alla frequenza dell’onda
elettromagnetica assorbita o emessa :
E= n h f ;
h = 6,62607 x 10-34 J s
dove n è un numero intero f è la frequenza ell’onda elettromagnatica e h è una costante detta costate di
Planck
Tq - 1
Quindi l'energia tasportata da un'onda elettromagnetica (oem), è concentrata in pacchetti discreti di
energia hf, dove h e una costante universale detta costante di Planck: si dice allora che un'onda
elettromagnetica è costituita da quanti di energia .
Planck propose quindi di quantizzare gli scambi di energia fra radiazione e materia, ipotizzando che
essi potessero avvenire soltanto per multipli di un'energia minima. (Pensava che la radiazione stessa
continuava ad essere continua)
Einstein estese il concetto di fotone asserendo che oltre all’energia il quanto possegga anche quantità
di moto (questo è coerente con la sua relazione energia massa per velocità prossime a quella della
luce.
Le oem (luce) sono quindi quantizzate ed i quanti di luce sono detti fotoni.
L’Energia del fotone è data da E=hf,
La quantità di moto del fotone (prodotto della massa per la velocità nella fisica classica) p= h f /c dove
f è la frequenza dell’onda luminosa; per la (1) anche nella forma p=h/ λ
Relazione fra frequenza di un'onda elettromagnetica e energia E delle particelle in movimento (fotoni ) : E=h f
Lavoro di estrazione elettroni da un metallo
( effetto termoionico , termoelelettrico, fotoelettrico e Compton – fotoni )
In condizioni normali gli elettroni non escono dai metalli, ma se forniamo un potenziale (lavoro/carica)
quelli più vicino alla superficie sfuggono: si chiama lavoro di estrazione We il minimo lavoro che
occorre compiere per fare uscire un elettrone da un metallo:
E T energia totale posseduta dall’elettone = K energia cinetica + U potenziale< 0
(negativa a causa della convenzione sul segno di U) per cui We = - E T
Il potenziale di estrazione di un elettrone è la differenza di potenziale ddp (positiva) che gli si deve fornire
per estrarlo Ve =We / e (e carica dell’elettrone)
Le energie che coinvolgono le particelle si misurano in elettronVolt eV = 1,6 *10-19 J
Se fornisco all’elettrone giusto l’energia minima (potenziale di estrazione), questo esce ma arriva fuori a
velocità nulla), se l’energia è maggiore avrà una velocità maggiore e quindi un’energia K.
Quindi, se ad un elettrone viene fornita energia Ef ( ed es. eccitato da un fotone con un’energia,
riscaldando un metallo, irradiandolo con raggi X) , per il principio di conservazione dell'energia,
l’energia cinetica K che l'elettrone possiede appena al di fuori del catodo (energia residua di fuga) deve
essere uguale all'energia fornita , diminuita dell'energia We necessaria ad abbandonare il metallo
(minima necessaria , lavoro di estrazione).
L'energia K che un elettrone possiede dopo essere sfuggito e quindi dato da: K = Ef - We
Come detto posso estrarre un elettrone in vari modi:
L’estrazione di elettroni da un metallo mediante riscaldamento (lavoro come fornitura di energia
termica) si chiama effetto termoionico ( o effetto termoelettronico)
L’estrazione di elettroni illuminando il metallo (lavoro come fornitura di energia delle onde
elettromagnetiche ) si chiama effetto fotoelettrico
L’estrazione di elettroni in un pezzo di grafite da luogo al effetto Compton
Vediamoli in dettaglio
Tq - 2
L'effetto fotoelettrico viene realizzato in un tubo catodico. Questo è un tubo di vetro nel quale è stato
praticato il vuoto che contiene due elettrodi (catodo e anodo) connessi a una pila che mantiene fra essi
una differenza di potenziale assegnata.
Il catodo metallico (l'elettrodo connesso al polo negativo della pila) viene illuminato con una sorgente di
onde elettromagnetiche, visibili o ultraviolette (radiazione) : finché la lunghezza d'onda della radiazione
impiegata è superiore a un certo valore, detto lunghezza d'onda di soglia, (per Planck grande λ, piccola f,
poca energia ) nel circuito non si osserva alcuna corrente, qualunque sia l'intensità (energia) della sorgente
impiegata. La corrente passa soltanto se la radiazione ha una lunghezza d'onda uguale o inferiore a λ0
(che di fatto corrisponde ad un’energia minima , potenziale di estrazione).
Questo fenomeno non è spiegabile con l'elettromagnetismo classico; se nel circuito si stabilisce una
corrente, possiamo ipotizzare che il catodo illuminato emetta elettroni, in maniera simile a quello che
avviene nell'effetto termoionico. L'energia necessaria ad abbandonare il catodo, indicata come lavoro di
estrazione We, deve evidentemente essere fornita agli elettroni dalla radiazione incidente. Ma secondo
l'elettromagnetismo classico l'energia della radiazione non dipende dalla lunghezza d'onda. In altri
termini, con una sorgente di radiazione abbastanza intensa, si dovrebbe osservare un passaggio di
corrente per qualunque valore della lunghezza d'onda. L'esistenza di un effetto di soglia resta
inspiegabile.
L'effetto fotoelettrico fu spiegato da Einstein nel 1905 in base all'ipotesi dei quanti di luce , già avanzata
in altra forma da Planck ( E= n h f ) proponendo di quantizzare la radiazione stessa e di considerarla
come composta di quanti di luce aventi energia h f. Indicheremo questi quanti con il nome di fotoni,
Ogni fotone ha quindi un'energia: Ef = h f = h c / λ0
Einstein propose il seguente modello: quando un fotone colpisce un elettrone nel metallo che costituisce
il catodo, gli cede la propria energia hf.
Se la frequenza del fotone è troppo bassa (ovvero, se la lunghezza d'onda è troppo alta), l'energia ceduta
all'elettrone è inferiore a We (potenziale di estrazione) l'elettrone resta confinato nel metallo, dove negli
urti con il reticolo cristallino perde immediatamente l'energia acquistata.
Se invece f è uguale o superiore a una frequenza di soglia fo (ovvero λ0 = c / h ) 1'elettrone acquista
un'energia almeno sufficiente a lasciare il metallo
La condizione che determina λ o e allora semplicemente: We = h fo = h c / λ0
L'effetto fotoelettrico e sfruttato in diversi dispositivi, fra cui le cellule fotoelettriche
Annotazione
• sia Planck che Einstein superano l'elettromagnetismo classico, riconoscendo che per spiegare un
insieme di fatti sperimentali (il comportamento del corpo nero e l'effetto fotoelettrico) è
inevitabile introdurre una forma di quantizzazione dell'energia;
• mentre Planck quantizza soltanto gli scambi energetici fra materia e radiazione, lasciando alla
radiazione stessa il carattere continuo che le attribuisce l'elettromagnetismo classico, Einstein
quantizza la radiazione stessa, proponendo esplicitamente di unificare dal punto di vista
corpuscolare la descrizione della materia e della radiazione (questo grazie alle sue intuizioni tra
interazione tra massa ed energia).
Per diversi anni la quantizzazione della radiazione di Einstein non fu subito da tutto il mondo
scientifico, ma nel 1923 Arthur H Compton pubblicò i suoi risultati.
Tq - 3
Effetto Compton
L'effetto Compton è osservabile mediante un apparato sperimentale dove una sorgente di raggi X viene
usata per irraggiare un bersaglio di grafite; un apposito rivelatore raccoglie i raggi X diffusi al di là del
bersaglio e ne misura la lunghezza d'onda; nell’esperienza risultò che la lunghezza d'onda λ’ di gran
parte dei raggi X diffusi dalla grafite è maggiore della lunghezza d’onda λ dei raggi incidenti (è un po’
come se la luce nella grafite entrasse rossa ed uscisse viola).
Quindi inviando raggi X su un bersaglio di grafite, Compton osservò esisteva un variazione della
lunghezza d'onda ∆ λ.
Ciò non può essere spiegato con l’elettromagnetismo classico, per la quale se eccito degli elettroni questi si
mettono ad oscillare con una frequenza f = c / λ (dalla definizione di frequenza per la velocità della
luce) e quindi emettono radiazioni con la stessa frequenza f.
Può essere spiegato però se la radiazione elettromagnetica è composta da quanti (i fotoni) che
interagiscono con gli elettroni come particelle singole
Compton propose di spiegare la variazione della lunghezza d'onda ∆ λ considerando l'interazione fra i
raggi X e gli elettroni della grafite come un urto elastico fra un fotone e un elettrone. Scrivendo i principi
di conservazione dell'energia e della quantità di moto totali (in forma relativistica, data la presenza del
fotone). e risolvendo il sistema di equazioni corrispondente,
h
Compton ottenne 1'espressione:
∆ λ = λ '− λ =
1 − cos ϕ
m0c
(
)
dove m0 rappresenta la massa a riposo dell'elettrone, c la velocità della luce e φ l'angolo di diffusione fra
la direzione dei fotoni X incidenti e quella dei fotoni diffusi.
L'ottimo accordo fra i dati sperimentali e l'espressione proposta da Compton convinse definitivamente la
comunità dei fisici della validità del modello corpuscolare della luce proposto da Einstein.
Dualità onda-particella della materia
Gli esperimenti sull’effetto fotoelettrico, realizzati nel 1902 da Philipp Lenard, erano incompatibili con
l’elettromagnetismo classico a causa della presenza di una frequenza di soglia fmin, al di sotto della quale
l’effetto fotoelettrico non avviene. Dal punto di vista classico ciò è incomprensibile perché l’emissione
di energia dovuto a un’onda elettromagnetica è proporzionale all’ampiezza del campo elettrico associato
all’onda e quindi indipendente dalla frequenza dell’onda.
La spiegazione di questo apparente paradosso fu fornita da Albert Einstein nel 1905, quando egli propose
che la luce possa essere interpretata come un insieme di quanti di energia (più tardi chiamati “fotoni”),
ciascuno con energia E = hf e quantità di moto p = E/c.
Negli esperimenti di ottica (in particolare quelli di interferenza e diffrazione) la luce si comporta come
un’onda; secondo la formalizzazione di Maxwell la luce è un’onda elettromagnetica; ma Einstein mostra
come la stessa luce abbia comportamenti di tipo corpuscolare. Quindi, la luce, a seconda delle condizioni
sperimentali, può essere descritta in modo alternativo dal modello ondulatorio o da quello corpuscolare.
(si ricorda che nella fisica classica le equazioni delle onde non prevedono la massa/materia)
Nei fenomeni di interferenza la luce si comporta come un oem, invece per l’effetto fotoelettrico e
Compton lo stesso fascio di luce si comporta come un flusso di fotoni che interagiscono (urti , quantità di
moto e quindi massa) con la materia. Quindi diciamo che l’oggetto fisico “luce” si presenta come onda
o come particella a secondo delle condizioni sperimentali.
Tq - 4
Un elettrone, per esempio, si comporta come una particella (con massa) nell’esperimento Thomson
(deviazione delle particelle) e in quello di Millikan ( massa in equilibrio tra gravità e campo eletrico) ,
ma ha un comportamento ondulatorio in altri casi (fenomeno dell’inferenza nella doppia fessura)
Ricordiamo infatti che il dualismo onda-corpusco lo dell’elettrone è confermato in modo diretto da un
esperimento compiuto nel 1927 da C. J. Davisson e L. H. Germer, in cui un fascio di elettroni (con
lunghezza d’onda di de Broglie λ), fatto incidere su un bersaglio metallico, mostra una figura di
diffrazione
Questo il dualismo onda-corpuscolo della luce, confermato nel 1923 dall’esperimento di Compton, in cui
la variazione di lunghezza d’onda di raggi X che incidono su un bersaglio di grafite può essere
interpretata come dovuta all’urto di un elettrone della grafite con un fotone della radiazione X incidente.
Tutto ciò è alla base della riflessione di Louis de Broglie
Ipotesi di de Broglie
Louis De Broglie estese in concetto di dualità onda-particella di luce anche a materia- luce per cui ad una
particella (o elettrone ) con una quantità di moto p (dove p = m v) è associata una lunghezza d’onda:
λ = h / p detta lunghezza d'onda di de Broglie
Quindi esiste una relazione, per gli elettroni e le altre particelle, tra le lunghezza d'onda e la loro quantità
di moto (che contiene la massa) .
L’ipotesi di de Broglie è fondamentale perché aprì la strada ai successivi sviluppi della meccanica
ondulatoria. In particolare, essa:
• ingloba la relazione di Einstein: E = hf per i fotoni. Infatti, per i fotoni vale p = mc = mc2/c = E/c e
quindi per partendo dall’equazione di de Broglie si ricava quella di Einstein per i fotoni
λ= h/p = h/(E/c) = hc/E; da questa espressione si ottiene, allora, E = hc /λ = hf.
• spiega la stabilità e la quantizzazione dell’atomo di Bohr: infatti, secondo l’interpretazione
ondulatoria non bisogna considerare l’elettrone dell’atomo di idrogeno come una particella che segue
un’orbita circolare, ma co me un’onda stazionaria con la lunghezza dell’orbita di multiplo intero della
lunghezza d’onda dell’elettrone.
La meccanica ondulatoria
La meccanica ondulatoria è uno dei modi di descrivere la meccanica quantistica, anche con essa
dobbiamo abbandonare il modo di concepire la fisica per fatti prevedibili ed univocamente calcolabili ,
tipico della fisica classica, ma pensare di calcolare con quale probabilità potrà aver luogo un certo
evento.
La meccanica ondulatoria è una particolare formalizzazione della meccanica quantistica presentata nel
1926 da Erwin Schrodinger.
Come è possibile descrivere i corpi macroscopici (ed il loro movimento) attraverso le coordinate spaziali
ed il tempo, secondo la teoria di Schrodinger , ogni sistema fisico microscopico è descritto da una
funzione complessa delle tre coordinate spaziali x, y, z e dell’istante di tempo t, detta funzione d’onda
Ψ(x, y, z,t).
Se consideriamo un volume infinitesimo ∆V centrato nel punto P(x, y, z), la quantità ½ Ψ(x, y, z,t) ∆V
fornisce la probabilità che una misura porti a trovare l’elettrone all’istante t nell’elemento ∆V.
L’elettrone non gira in un’orbita perfettamente circolare ma percorre delle sinusoidi che sono delle
funzioni d’onda. Secondo la meccanica ondulatoria quindi non è possibile calcolare la posizione
dell’elettrone in un certo istante ma la probabilità di trovarlo in una certa posizione, calcolata con la
formula precedente .
Tq - 5
Le incertezze probabilistiche tipiche della differenza tra la meccanica classica e quella quantistica è
confermata dal
Principio di indeterminazione di Heisenberg
Nella meccanica classica, in linea di principio è possibile conoscere contemporaneamente e con infinita
precisione la posizione e la velocità (quindi la quantità di moto di una particella): ricordiamo che nella
meccanica classica la massa è indipendente dalla velocità , cosa che non avviene nella fisica moderna);
nella meccanica quantistica, invece, l’errore di misurazione (indeterminazione) ∆x sulla posizione di una
particella e l’indeterminazione ∆p sulla sua quantità di moto sono legate dalla
h
relazione:
∆x ⋅ ∆p ≥
cioè se un elettrone è costretto a muoversi su una retta entro un intervallo di
4π
ampiezza ∆x, la sua posizione lungo tale coordinata è nota con
un’indeterminazione ∆p.
Matematicamente se si fa tendere a zero l’indeterminazione su una delle due grandezze x o p (fisicamente
significa avere una precisione di misura enorme), l’indeterminazione sull’altra tende all’infinito
(fisicamente significa non avere alcuna misurazione) .
.
Tq - 6