Capitolo 2 La scoperta del fotone - Introduzione all`optoelettronica

Introduzione all’optoelettronica.
Studio dei processi che stanno alla base del funzionamento di laser, led
e celle fotovoltaiche.
Capitolo 2
La scoperta del fotone
In questa parte, seguendo una trattazione che parte dal problema sperimentale per
arrivare alla formulazione della teoria, introdurremo la natura corpuscolare della luce.
L’idea è quella di costruire le basi che poi, nell’ultimo capitolo, ci consentiranno di trattare
l’interazione fra la luce e i semiconduttori, e capire dunque il funzionamento di dispositivi
che sono in grado di emettere oppure assorbire la luce.
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La teoria ondulatoria della luce
Nel corso dei secoli si sono alternate innumerevoli ipotesi sulla natura della luce. Fra la
fine del Seicento e gli inizi del Settecento si fecero largo due modelli.
Il primo, dovuto a Huygens, postulava che la luce avesse natura ondulatoria. Egli
immaginava che la luce si propagasse per onde, così come avviene per il suono, che altro
non è che una perturbazione dell’aria che si propaga nello spazio. Ma, così come il suono si
propaga in un mezzo (l’aria), si immaginava che anche la luce avesse bisogno di un fluido
in cui propagarsi. Huygens chiamò questo ipotetico fluido etere, identificandolo coma “il
mezzo elastico presente in tutto il cosmo nel quale le onde luminose si propagano per
compressione e rarefazione”.
L’eccessivo livello di astrazione di questa teoria fece in modo che a suscitare maggior
interesse fosse l’altro modello, sviluppato nel 1704 da Newton, che prevedeva che la luce
avesse natura corpuscolare.
Ma un secolo più tardi, con l’esperimento della doppia fenditura di Young (1802), la
teoria corpuscolare fu definitivamente abbandonata, in quanto non era in grado di spiegare
i fenomeni di interferenza evidenziati da Young.
Rimaneva tuttavia ancora il dubbio su quale fosse il mezzo in cui la luce si propagava.
Questo dubbio fu definitivamente accantonato in seguito agli studi di Maxwell sui campi
elettromagnetici. Questi studi permisero di comprendere che la luce non è un’onda meccanica (come il suono), ma è un’onda elettromagnetica, e quindi non necessita di un
mezzo in cui propagarsi, ma la sua propagazione avviene nel vuoto. La luce quindi altro
non è che un particolare tipo di campo elettromagnetico che i nostri occhi sono in grado
di rivelare.
Si riuscì anche a determinare la velocità c con cui la luce si propaga nel vuoto, che è
pari a trecentomila chilometri al secondo.
Per via della sua natura ondulatoria, la luce è caratterizzata da una frequenza di ondulazione ν. Se la propagazione avviene nel vuoto, la frequenza di ondulazione è legata alla
lunghezza d’onda λ dalla relazione:
λ = cν
Se la proagazione avviene in un mezzo, frequenza e lunghezza d’onda sono legate da;
λ = vν
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Figura 1: Spettro della radiazione elettromagnetica.
dove v è la velocità di propagazione della luce in quel mezzo, che è data da
v=
c
n
dove n è l’indice di rifrazione di quel mezzo. Tipicamente, possiamo approssimare l’indice
di rifrazione dell’aria a 1, e quindi la velocità di propagazione della luce in aria sarà circa
uguale a quella nel vuoto.
Dunque, se immaginiamo che la propagazione avvenga nel vuoto (o in aria, abbiamo
visto che è molto simile) la frequenza e la lunghezza d’onda della radiazione elettromagnetica assumono lo stesso significato, con la conversione data da λ = cν. Perciò, sarà analogo
parlare di lunghezza d’onda piuttosto che di frequenza della luce.
A seconda della frequenza (o lunghezza d’onda) che stiamo considerando, si hanno diverse tipologie di radiazione, che vanno dalle onde radio (con frequenze inferiori ai 300MHz,
che corrispondono a lunghezze d’onda superiori al metro) ai raggi gamma (con frequenze
superiori ai 1018 Hz, corrispondenti a lunghezze d’onda inferiori a 10−12 metri). Questo
è visibile nella figura 1. La luce visibile altro non è che un particolare tipo di radiazione
elettromagnetica, con frequenza fra i 428 THz e i 749 THz (e cioè lunghezza d’onda fra i
700 nm e i 400 nm).
Le diverse lunghezze d’onda della luce nel visibile sono percepite dal nostro occhio
come diversi colori. Ad esempio, percepiamo come blu la luce con lunghezza d’onda fra
i 450nm e i 475nm, mentre percepiamo come gialla quella fra i 450nm e i 475nm. Una
sovrapposizione di onde visibili con diversa lunghezza d’onda viene percepita come luce
bianca.
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L’effetto fotoelettrico
L’effetto fotoelettrico fu osservato per la prima volta nella seconda metà dell’Ottocento. Quello che si vide fu che un metallo colpito da un fascio di luce (radiazione
elettromagnetica) in certe circostanze emette elettroni.
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Questo fenomeno è in parte spiegabile dalla fisica classica. In particolare, due aspetti
relativi all’effetto fotoelettrico possono essere spiegati classicamente.
1. Innanzitutto, si può capire perché quando la luce colpisce una sostanza vengono
emessi elettroni. Infatti, il campo elettrico associato alla radiazione elettromagnetica
accelera gli elettroni (per via della forza di Lorentz) facendo acquistare loro l’energia
sufficiente ad abbandonare il metallo.
2. Inoltre, si può comprendere anche perché aumentando l’intensità della luce incidente
aumenta il numero degli elettroni emessi. Infatti, aumentando l’intensità si aumenta
anche il campo elettrico, e quindi si riescono ad accelerare più elettroni.
Esistono però alcune osservazioni legate all’effetto fotoelettrico che non si possono
spiegare classicamente.
1. Il primo strano aspetto è legato all’energia cinetica con cui vengono emessi gli elettroni, che si vede che non dipende dall’intensità della radiazione, ma solo dalla sua
frequenza. Infatti, aumentando l’intensità della radiazione si aumenta il numero di
elettroni emessi, ma non la loro energia cinetica. L’energia cinetica degli elettroni
può essere aumentata solamente aumentando la frequenza della radiazione incidente.
2. L’altro fenomeno inspiegabile è dovuto al fatto che esiste una frequenza di soglia ν0 ,
che dipende dal tipo di metallo che considerato: per frequenze inferiori alla frequenza
di soglia non sono emessi elettroni.
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La spiegazione di Einstein dell’effetto fotoelettrico
La spiegazione di questi strani fenomeni trova spazio all’interno della teoria sviluppata da
Einstein nel 1905, che poi fu inglobata all’interno della meccanica quantistica.
Einstein introdusse un concetto rivoluzionario nel mondo fisico. Egli immaginò che in
un fascio di luce monocromatica (cioè ad una frequenza ben fissata) l’energia si propagasse
in quanti di luce ad un’energia ben fissata, data da:
E = hν
dove ν è la frequenza della luce incidente e h = 6.6 × 10−34 J·s è chiamata costante di
Planck.
Quindi nell’interpretazione di Einstein la luce viaggia a pacchetti di energia ben definita,
chiamati fotoni.
L’elettrone nel metallo può assorbire il quanto di luce. Chiamiamo W0 l’energia con
cui l’elettrone è legato al metallo. Se l’energia del fotone hν è più grande di W0 (hν >
W0 ), l’elettrone può venire espulso dal metallo. L’elettrone espulso a questo punto avrà
un’energia che sarà pari all’energia del fotone che è stato assorbito a cui deve essere sottratta
l’energia che è stata utilizzata per estrarlo (W0 ), e quindi:
Ecin = hν − W0
Evidentemente, W0 è una caratteristica tipica del materiale in questione, ed è chiamata
energia potenziale di estrazione. Questa quantità corrisponde alla fatica che bisogna
fare per estrarre un elettrone dal metallo.
Per poter estrarre un elettrone il quanto di energia (fotone) dovrà avere un’energia
sufficiente per estrarlo, e l’energia che gli serve è data dall’energia potenziale di estrazione.
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Se l’energia del fotone è inferiore all’energia potenziale di estrazione, non verrà estratto
nessun elettrone. Se l’energia invece è superiore, verrà estratto un fotone e l’energia in
eccesso finirà sotto forma di energia cinetica dell’elettrone liberato. Questo aspetto spiega
dunque il concetto di frequenza di soglia che emergeva sperimentalmente: per liberare
l’elettrone al fotone serve un’energia minima, e siccome l’energia del fotone è legata alla
frequenza della luce di cui fa parte vorrà dire che la nostra luce dovrà avere una frequenza
minima.
Inoltre si può spiegare perché l’energia cinetica del fotone estratto dipende dalla frequenza della luce incidente: tanto più è grande la frequenza, tanto maggiore sarà l’energia
del fotone e tanto maggiore sarà l’energia cinetica che acquisterà l’elettrone liberato (infatti,
l’energia per liberarlo è sempre la medesima).
Quindi, in questa nuova visione la luce è vista come un insieme di particelle (i fotoni)
che hanno un’energia legata alla frequenza. Se un fascio di luce è monocromatico (la luce
ha un’unica frequenza ν ben precisa) tutti i fotoni che costituiscono il fascio hanno un’unica
energia E = hν. Se invece il fascio non è monocromatico (sono presenti diverse frequenze)
il fascio sarà costituito da fotoni di diverse energie.
Evidentemente, dal momento che la frequenza ν e la lunghezza d’onda λ di un fascio
luminoso sono legate dalla relazione
c
ν=
λ
anche l’energia del fotone può essere legata alla lunghezza d’onda:
E = hν = h
c
λ
e perciò a lunghezze d’onda più grandi corrispondono fotoni ad energia più piccola.
Pertanto, a partire dalla spiegazione fornita da Einstein all’effetto fotoelettrico, si è
cominciato a parlare di dualismo onda-corpuscolo: possiamo trattare la luce come
fenomeno ondulatorio o come insieme di fotoni. I due aspetti non sono in contrasto, e
questo emerge chiaramente all’interno della meccanica quantistica. Pertanto, a seconda
dell’utilizzo che si vuole farne, entrambe le descrizioni sono corrette. La connessione fra le
due teorie è data dalla relazione vista in precedenza, per cui un fascio monocromatico di
luce a frequenza ν può essere interpretato come un insieme di fotoni aventi energia E = hν.
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Approfondimento: onde di materia
Un altro aspetto molto interessante che sta alla base della meccanica quantistica è l’estensione del dualismo onda-corpuscolo anche alle particelle con massa. Nel 1924 infatti
il fisico francese de Broglie ipotizzò che anche le particelle potessero essere interpretate
come onde di materia.
Egli ipotizzò che, così come possiamo immaginare la luce (classicamente vista come
un’onda) come insieme di particelle (i fotoni), allora possiamo immaginare le particelle
(evidentemente con natura corpuscolare) come delle onde.
Questa assunzione, che potrebbe sembrare bizzarra e priva di fondamento, costituisce
in realtà uno dei fondamenti della meccanica quantistica.
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