MORTE DI DIO, MORTE DELL’UOMO. DA NIETZSCHE A FOUCAULT. Nietzsche ... In realtà, noi filosofi e «spiriti liberi», alla notizia che il vecchio Dio è morto, ci sentiamo come illuminati dai raggi di una nuova aurora . . . finalmente l'orizzonte torna ad apparirci libero, anche ammettendo che non è sereno, - finalmente possiamo di nuovo scioglier le vele alle nostre navi, muovere incontro a ogni pericolo; ogni rischio dell'uomo della conoscenza è di nuovo permesso; il mare, il nostro mare, ci sta ancora aperto dinnanzi, forse non vi è ancora mai stato un mare così «aperto». (F. Nietzsche “La gaia scienza” - 1882) Heidegger il linguaggio è la casa dell'essere fatta avvenire e disposta dall'essere. Perciò occorre pensare l'essenza del linguaggio a partire dalla sua corrispondenza all'essere, ed intenderla proprio come questa corrispondenza, cioè come dimora dell'essere umano. Ma l'uomo non è solo un essere vivente che, accanto ad altre facoltà, possiede anche il linguaggio. Piuttosto il linguaggio è la casa dell'essere, abitando la quale l'uomo e-siste, appartenendo alla verità dell'essere e custodendola. Così, nella determinazione dell'umanità dell'uomo come e-sistenza, ciò che importa è allora che l'essenziale non sia l'uomo, ma l'essere come dimensione dell'estaticità dell'e-sistenza. ….(Heidegger, Lettera sull’umanismo, pag. 29-30) l'umanismo pensa metafisicamente. Certamente no, se esso è quell'esistenzialismo che sostiene la tesi espressa da Sartre: précisément nous sommes sur un plan où il y a seulement des hommes. Se invece si pensa come in Essere e tempo, si dovrebbe dire: precisément nous sommes sur un plan ou il y a principalement l'Étre. Ma da dove proviene e che cos'è le plan? L'Étre et le plan sono lo stesso. Precisamente siamo su un piano dove esiste solo l’uomo; Precisamente siamo su un piano dove esiste solo l’Essere. Il « si dà » indica l'essenza dell'essere che dà, concedendola, la sua verità. Il darsi all'aperto, unitamente all'aperto stesso, è l'essere stesso. . . . Nel medesimo tempo il « si dà » è usato per evitare provvisoriamente la locuzione « l'essere è », perché abitualmente l'« è » viene detto di qualcosa che è. Questo qualcosa noi lo chiamiamo ente. Ma l'« essere » appunto non è l'« ente ». (Heidegger, Lettera sull’umanismo, pag. 30) Sartre L'esistenzialismo non è altro che uno sforzo per dedurre tutte le conseguenze da una posizione atea coerente. L'esistenzialismo non vuole esser ateo in modo tale da esaurirsi nel dimostrare che Dio non esiste; ma preferisce affermare: anche se Dio esistesse, ciò non cambierebbe nulla bisogna che l'uomo ritrovi se stesso e si persuada che niente può salvarlo da se stesso, fosse pure una prova valida dell'esistenza di Dio. (Sartre , L’esistenzialismo è un umanismo, pag. 14) Con l'«io penso», contrariamente alla filosofia di Descartes e Kant, noi raggiungiamo noi stessi di fronte all’altro e l’altro è tanto certo per noi quanto noi siamo certi di noi medesimi. In questo modo l'uomo, che coglie se stesso direttamente col «cogito», scopre anche tutti gli altri, e li scopre come la condizione della propria esistenza. Egli si rende conto che non può essere niente (nel senso in cui si dice che un uomo è spiritoso, o che è cattivo, o che è geloso), se gli altri non lo riconoscono come tale. Per ottenere una verità qualunque sul mio conto, bisogna che la ricavi tramite l’altro. L'altro è indispensabile alla mia esistenza, così come alla conoscenza che io ho di me. . . la scoperta della mia intimità mi rivela, nello stesso tempo, 1 l’altro come una libertà posta di fronte a me, la quale pensa e vuole soltanto per me o contro di me. (Sartre, L’esistenzialismo è un umanismo, pag. 11) Sarebbe forse opportuno individuare nell'esperienza di Nietzsche il primo sforzo in vista [dello] sradicamento dall'Antropologia, cui indubbiamente è votato il pensiero contemporaneo . . . Nietzsche ritrovò il punto in cui uomo e Dio si appartengono a vicenda, in cui la morte del secondo è sinonimo della scomparsa del primo, e in cui la promessa del superuomo significa anzitutto l'imminenza della morte dell'uomo. Col che Nietzsche, proponendoci tale futuro come scadenza e insieme come compito, fissa la soglia a partire dalla quale la filosofia contemporanea può ricominciare a pensare; egli continuerà senza dubbio a dominarne il percorso. Oggi possiamo pensare soltanto entro il vuoto dell'uomo scomparso. Questo vuoto infatti non costituisce una mancanza; non prescrive una lacuna da colmare. Non è né più né meno che l'apertura d'uno spazio in cui finalmente è di nuovo possibile pensare. (M. Foucault, La morte dell’umanesimo e la cura di sé, pag. 37) Foucault la storia della scienza, la storia delle conoscenze non obbedisce semplicemente alla legge generale del progresso della ragione, non è la coscienza umana, non è la ragione umana a detenere in qualche modo le leggi della sua storia. Sotto ciò che la scienza conosce di sé c'è qualche cosa che essa non conosce; e la sua storia, il suo divenire, i suoi episodi, i suoi accidenti obbediscono a un certo numero di leggi e di determinazioni. Ho cercato di portare alla luce queste leggi e queste determinazioni. Ho cercato di sgombrare un campo autonomo che sarebbe quello dell'inconscio del sapere, che avrebbe le sue regole come l'inconscio dell'individuo umano . . . . (M. Foucault, La morte dell’umanesimo e la cura di sé, pag. 46) Non abbiamo lo stesso tipo di rapporto con noi stessi quando ci costituiamo come soggetto politico che va a votare o prende la parola in un'assemblea e quando cerchiamo di realizzare il nostro desiderio in una relazione sessuale. Probabilmente, esistono rapporti e interferenze tra queste differenti forme del soggetto, ma non si è in presenza dello stesso tipo di soggetto. (M. Foucault, La morte dell’umanesimo e la cura di sé, pag. 55) 2