DA PARMENIDE A SOCRATE
Secondo Parmenide l’affermazione dell’essere è affermabile soltanto nell’orizzonte dialettico
della negazione dell’identità con il suo opposto. La consistenza di questo punto di partenza è
ribadita attraverso l’esclusione delle sue alternative:
1. assumere come punto di partenza l’affermazione del non-essere; ma Parmenide stesso
afferma che: “non è e bisogna che non sia non-essere”. Dice quindi che è una strada
impraticabile perché non vi è alcun contenuto esplorabile. Il valore di questa
affermazione, perciò, si annulla in virtù dello stesso significato che assume.
2. assumere come punto di partenza l’affermazione del non-essere uguale e allo stesso tempo
diverso dall’essere, è una questione totalmente illogica.
Escluse queste due alternative, non rimane che l’affermazione dell’essere, come atto stesso di
non essere il nulla, quindi non un concetto statico, ma dinamico, attuale.
Questa è la posizione non contraddittoria di un significato auto-contraddittorio, che
manifesta la contraddittorietà di porre: è = nulla.
Parmenide continua elencando le “notizie” che si possono scorgere dall’essere:
 non si muove;
 non ha divenire;
 non ha passato o futuro, è eterno;
 abbraccia la totalità;
 è ingenerato e imperituro.
ZENONE DI ELEA
Nel V secolo a.C. fu discepolo di Parmenide. Egli difende la dottrina del maestro che veniva
attaccata per la negazione della molteplicità e la negazione del divenire. Zenone mira a mostrare che
chi afferma l’esistenza del divenire e della molteplicità è costretto a negare ciò che egli stesso
intende sostenere.
MOLTEPLICITA’
L’aspetto più manifesto è, secondo gli avversari di Parmenide, la grandezza spaziale della
realtà sensibile; ci sono infatti tante grandezze che occupano uno spazio diverso. Zenone sostiene
che ogni cosa che ha grandezza è divisibile in parti, ma esse sono delle grandezze quindi sono
ancora divisibili in parti. Il processo di divisione va all’infinito. Qualsiasi divisione di una
grandezza dà per definizione delle grandezze ed esse sono per definizione divisibili. La divisione
delle grandezze. La divisione delle grandezze significa che il divisore non ha alcuna grandezza. La
grandezza non è costituita da alcunchè, perciò la sua esistenza è impossibile.
DIVENIRE
Zenone afferma che se un corpo si muove dal punto A al punto B dovrà raggiungere prima il
punto medio M e prima ancora il punto medio tra A e M, e così via. Lo spostamento del corpo è
impossibile perché il corpo dovrebbe giungere all’infinito. In realtà Zenone confonde l’infinito con
l’indefinito: una grandezza si divide per indefinite e non infinite volte.
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Con Parmenide la filosofia subisce una svolta. Prima la Verità è il manifestarsi della fùsis
(intesa come archè, stoichèion).Parmenide le ha dato il significato vero: la fùsis è l’essere che si
manifesta nel suo sforza di non essere il nulla. Parmenide non risolve il problema dall’archè, ma
elimina i termini stessi del problema, negando che tale problema esista.
EMPEDOCLE
Egli accetta il principio che non si nasce e non si muore, ma mentre in Parmenide vi era
l’assoluta immobilità, Empedocle sostiene che nel divenire cosmico – la cui esistenza è manifesta
innegabilmente alla nostra sensibilità – gli enti che nascono e muoiono provengono dall’unità
originaria dell’essere e lì vanno a finire, non nel nulla.
Egli afferma l’eternità dell’essere, sia la realtà che il divenire delle cose. Secondo
Empedocle l’unita dell’essere è la pluralità di elementi originari che trasformandosi, componendosi
e separandosi, costituiscono le cose della nostra esperienza. Così il divenire è reale, ma perché è
accidentale, estrinseco rispetto agli elementi originari dell’essere, chiamati semi delle cose:
1. terra;
2. aria;
3. acqua;
4. fuoco.
La forza che li tiene uniti è la filìa, la forza che li separa è pòlemos. La nascita e la morte, pur
non essendo illusorie, sono mescolanza e separazione degli elementi in un ciclo eterno.
Egli esplicitò il tema che nel divenire cosmico, non solo gli enti non nascono dal nulla, ma il
loro divenire non può essere determinato dal niente, ma da una forza. Questo tentativo indica il
verso in cui si muove la conciliazione della verità della ragione e quella dell’esperienza, ma
Empedocle non raggiunge l’intento. La mescolanza e la separazione danno luogo ad una continua
separazione.
Melisso, discepolo di Parmenide, obietta che se non si vuole che l’esperienza del divenire e
della trasformazione degli elementi non sia illusoria, è, allora, impossibile che questi elementi siano
elementi dell’essere e che siano eterni, perché se lo fossero non potremmo percepirne la
trasformazione. Se le radici entrano nella costituzione dell’universo esse non sono gli unici fattori
costitutivi delle cose. Ogni cosa possiede una propria qualità, grazie alla quale si distingue dalle
altre.
ANASSAGORA
Egli conclude che non è possibile affermare che soltanto le quattro radici di Empedocle siano
l’essere. L’essere è l’insieme di tutte le qualità e le determinazioni che formano l’universo. L’essere
non è niente. Per questo non solo le quattro radici, ma tutte le cose devono preesistere nell’unità
originaria. Poiché un ente può diventare un qualsiasi altro ente (la vita ad esempio diventa morte) è
necessario dire che: poiché ex nihilo nihil fit in ogni ente vi è tutto ciò che esso può diventare,
ovvero tutto.
Anassagora tiene conto anche della critica di Zenone al molteplice: c’è sempre qualcosa di più
piccolo del divisore ottenuto. Queste particelle sono chiamate omeomerìe (òmos = uguale, mèros =
parte) e non sono percepibili. L’essere è l’insieme delle omeomerìe di ogni cosa. La nascita è il
raccogliersi delle omeomerìe. Quando queste diventano prevalenti in una certa regione spaziale, si
forma una determinata cosa e le omeomerìe si rendono manifeste. La morte invece è il disgregarsi
dell’unità e le omeomerìe ritornano invisibili.
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I fenomeni sono la visione delle cose nascosta. Se i fenomeni costituiscono il divenire
cosmico, la nascita e la morte richiedono un’attività discriminante e disvelante che avendo
conoscenza e dominio di tutto, ha la potenza di raccogliere e disperdere le omeomerìe. Tale potenza
viene chiamata nùs, l’intelletto dell’ente che non ha mescolanza. Così mentre Empedocle pone due
forze discordi, Anassagora pone una mente non cieca come principio.
GLI ATOMISTI
Sono collegati ad Anassagora. Democrito di Abdera (V-IV secolo a.C.) ne fu un esponente.
Egli vede che l’esperienza non può essere negata. Le cose infatti sono molteplici e divengono. I
fenomeni, secondo lui, sono il fondamento e la totalità della nostra conoscenza. Ma il molteplice
implica l'esistenza del non-essere. Democrito unendo esperienza e ragione, conclude che il nonessere è, proprio perché l’esistenza del non-essere è una conseguenza del molteplice.
Gli Atomisti con questo intendevano l’essere come il pieno, ciò che è esteso; il non-essere è
invece il vuoto, la pura estensione non riempita. Il vuoto divide la compattezza del pieno in una
molteplicità di parti, è ciò che rende possibile il molteplice. Il criterio di esistenza dei fenomeni è la
differenza tra gli aspetti qualitativi e quelli quantitativi.
Le qualità sono incerte, variabili, opinabili; le quantità sono chiare, sicure, indiscutibili. Perciò
la Verità è la quantità, non la qualità. L’essere, così, sarà la quantità, il pieno; il non-essere (cioè
la non-Verità) è il vuoto. Attraverso il ragionamento si giunge ad affermare l’esistenza di parti non
divisibili, ovvero gli atomi, parti non estese che costituiscono l’essere. Ogni atomo possiede le
caratteristiche dell’essere e l’esistenza del vuoto permette il suo differenziarsi dagli altri atomi. E si
differenzia per la sua grandezza, la sua posizione, la sua figura, il suo rapporto ,con gli altri atomi. I
fenomeni sono aggregati di atomi, il loro differenziarsi è possibile grazie alle infinite possibilità di
combinazione.
L’affermazione degli Atomisti del non-essere, fa affermare anche il divenire. Gli atomi si
muovono nel vuoto e incontrandosi danno origine alle aggregazioni. L’atomismo tiene fermo il
principio parmenideo che nulla si genera da nulla. Il passo avanti che compiono è dire che non
esiste altro essere all’infuori di quello che riempie lo spazio. Superano l’antinomia tra ragione ed
esperienza dicendo che l’essere è materia: la novità è proprio la concezione materialistica.
Empedocle ed Anassagora pongono una causa al divenire. Gli Atomisti affermano che la
variazione dello stato degli atomi non ha altra causa che quella di essere urtati da altri atomi: non
c’è uno scopo per tutto questo. E’ il risultato di uno scontro casuale tra gli atomi che si muovono.
Gli Atomisti latini (gli epicurei) hanno la stessa concezione dei greci. I greci però
concepiscono un movimento caotico, mentre i latini un movimento perpendicolare rispetto ad un
piano posto all’infinito, parallelo ad un altro atomo. Per una causa accidentale, una deviazione
(clinamen) avviene l’incontro fra gli atomi. I latini concepiscono il moto come moto rettilineo
perché è il moto perfetto.
Affermare che il non-essere = essere significa abbandonare un’affermazione fondamentale
della ragione proprio mentre si cerca di conciliare ragione ed esperienza.
I SOFISTI
L’antinomia e le possibili soluzioni, proprio perché trasferiscono l’antitesi dal piano del
rapporto ragione ed esperienza al piano interno della ragione (atomisti), porta in primo piano la
domanda: ma l’uomo può conoscere la Verità?
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Con i sofisti, il pensiero filosofico si concentra sull’uomo che conosce e sul valore della sua
conoscenza. L’uomo può conoscere la Verità se c’è un dissidio (l’esperienza contro la ragione;
diventa ragione contro ragione).
Dicono che il dissidio è nella conoscenza perché è nelle cose.
Anassagora afferma l’opposizione è interno alle singole cose. Democrito concepisce l’essere
come non essere (l’unità di pieno e di vuoto). La stessa conoscenza delle realtà è in contrasto con sé
stessa non potrà mai diventare Verità.
L’essere si manifesta solo nelle discordanze di opinione. Con i sofisti praticano l’autocritica
del sapere filosofico.
La filosofia è il luogo all’interno del quale può sussistere ogni critica al sapere stesso. Il
tema che diventerà il motivo dominante dell’occidente. L’abbandono della Verità per ottenere
potenza sulle cose. Il lògos viene sostituito dall’arte oratoria, la tecnica del linguaggio, che
trasforma le opinioni degli uomini, si può determinare nel corso della vita verso ciò che il tecnico
decide sia giusto. Non c’è più rispetto della Verità, ma solo il successo della propria opinione.
Secondo Protagora ogni attività conoscitiva è un’attività antitetica: nessuna conoscenza umana ha in
sé la verità. La verità è l’esperienza di ciascun uomo, l’insieme dei fenomeni che si manifestano ad
ognuno. Affinchè delle cose che sono, si possa a fermare che sono (ciò è la verità) ci si deve
attenere a quell’unico metròn che è il singolo uomo, perché l’uomo è il luogo in cui le cose si
manifestano.
Non è la ragione ma l’esperienza a stabilire di che cosa si debba affermare l’essere e di che
cosa vada affermato il non-essere (questa è una posizione estremamente moderna). I sofisti
contrappongono ragione ed esperienza (e questa posizione verrà superata dalla filosofia successiva),
ma è pur valida ancora oggi la loro concezione dell’uomo. Le cose si possono affermare o non
affermare solo perché si manifestano nell’uomo.
Gli uomini differiscono, perché differiscono gli insiemi di fenomeni che appaiono ad ognuno.
Il sofista non è più un privilegiato, ma è colui che ha la capacità di portare gli uomini da uno stadio
ritenuto inferiore ad un altro ritenuto superiore. Protagora riassume così il suo pensiero: “L’uomo è
la misura di tutte le cose”.
Lo studio classico si muove nella direzione di conoscere le cose in sé, lo studio moderno,
invece, è affermare che le cose come sono in sé non ci sono note: il problema quindi non sussiste,
perché quando l’uomo vuole conoscerle, le cose non sono più in sé, ma in relazione al soggetto
conoscente; in altre parole io posso conoscere le cose solo in rapporto alla mia attività
conoscitiva.
GORGIA DA LEONTINI
I tròpi (traslati) di Gorgia:
1. Non esiste nulla. L’antitesi tra ragione ed esperienza è insuperabile.
Dal punto di vista della ragione, le cose non sono molteplici e divenienti. Dal punto di vista
dell’esperienza l’essere uno e immutabile non è. Il tentativo degli atomisti di porre l’essere come
essere spaziale è come affermare che esiste sia l’essere che il non-essere, i quali si annullano
reciprocamente, quindi nulla esiste.
2. Quand’anche qualcosa esistesse, sarebbe inconoscibile.
Ciò perché se due fenomeni sono eterogenei (il che è vero) uno dei due non può diventare il
criterio di conoscenza dell’altro. Sulla base della ragione non si può giudicare la verità o la falsità
dell’esperienza e viceversa. Si condanna dunque sia Parmenide che giudicava l’esperienza con la
ragione, sia gli atomisti che giudicavano la ragione con l’esperienza.
3. Quand’anche qualcosa fosse conoscibile, sarebbe incomunicabile.
Anche se la Verità esiste, non può essere comunicata, perché il linguaggio è eterogeneo rispetto alle
cose di cui si parla. Quando parliamo, cioè, manifestiamo agli altri non ciò di cui parliamo, ma solo
le nostre parole. Ogni uomo si trova in condizioni fisiche e mentali diverse da un altro, perciò non è
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possibile che un pensiero in sé rimanga identico quando da uno viene comunicato all’altro. Quindi
le cose appaiono diverse a individui diversi; e lo stesso individuo ha diverse opinioni sulle stesse
cose (solipsismo gorgiano = non poter comunicare).
La sofistica ha mostrato il vanificarsi della Verità, così ogni decisione umana è arbitraria e il
sapiente è il pensatore che sa far scegliere ciò che sembra più opportuno; non ciò che sia Bene o
Giusto, ma l’opportunità della scelta, in mancanza di un criterio di Verità è determinata soltanto
dagli istinti e dalla forza. Così la vita diventa affermazione dei propri istinti e delle proprie forze e
poiché non tutti gli uomini lo sono “la giustizia è il dominio dei forti sui deboli” (Trasimaco).
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