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Enrico Grassi
Materialismo storico e materialismo dialettico
[La formulazione del materialismo storico precedette di alcuni anni la formulazione
del materialismo dialettico, senza che il secondo rinnegasse mai il primo, anzi, lo riassorbì in
sé, divenendo materialismo storico-dialettico. Per capire la storia del pensiero filosofico di
Marx è indispensabile capire lo sviluppo delle stesse categorie economiche nel passaggio dal
primo al secondo materialismo.
Il materialismo storico si presenta sostanzialmente come un materialismo genetico
lineare: dal fondamento materiale delle cose alle loro manifestazioni, dalla natura alla psiche,
dalle forze produttive ai rapporti di produzione e alla coscienza storica dell’uomo.
Con questo nuovo impianto logico, Marx torna sulle categorie economiche, per
arricchirle o modificarle. È ormai consapevole che la riduzione dei prezzi al valore e del
valore al lavoro è provvisoria. L’equivalenza scompare infatti nel terzo libro del Capitale,
quando la produzione delle merci non viene più analizzata nella fabbrica-laboratorio del
singolo capitalista, ma come una parte della fabbrica complessiva, dopo l’azione unificante
della concorrenza, della formazione del saggio generale del profitto e quindi all’interno di una
ripartizione ineguale di quote di pIusvalore tra i singoli capitali. Marx ha recuperato
pienamente la dialettica universale-individuale, una delle varianti di unità degli opposti che in
gioventù aveva rimproverato ad Hegel.
Le prime forme del materialismo storico
a) Astrazione e mediazione
Marx ha sempre riconosciuto i meriti critici di Hegel, anche quando più
aspramente faceva i conti con il suo sistema. Sono frequenti i passi giovanili
di questo tipo:
"La Fenomenologia è quindi la critica nascosta, ancora non chiara a se stessa e
mistificatrice; ma in quanto tiene ferma l'alienazione umana anche se l'uomo appaia soltanto
nella figura dello spirito si trovano in essa nascosti tutti gli elementi della critica, e spesso
1
preparati e elaborati in guisa che sorpassa di molto il punto di vista hegeliano" ( ).
Questo brano presenta scarse differenze formali rispetto a quelli
posteriori al 1858, in cui Marx dichiara di avere scoperto e di seguire il metodo
di Hegel, avendolo liberato dalla scorza idealistica (2). Il fatto che Marx, fin
dall'inizio degli anni '40, riconosca ad Hegel il merito di avere nascosto
profondi elementi di critica all'interno del suo sistema speculativo, ci obbliga a
concludere che è una riscoperta di Hegel diversa quella che egli annuncia ad
Engels nel '58 (3). Sarebbe però un errore credere che rinneghi nella maturità
ciò che ha sostenuto in gioventù. A parte l'esclusione di alcune analisi
specifiche e di alcune posizioni dei primissimi anni '40, si limiterà a ricollocare
in una visione più vasta gli strumenti teorici e le analisi del periodo
precedente.
1 - K. Marx, Opere filosofiche giovanili, Editori Riuniti, Roma 1963, p. 263. Si veda anche K. Marx, La
sacra famiglia, Editori Riuniti, Roma 1967, pp. 75 e 249.
2 - Si vedano di Marx il Poscritto del 1873, in K. Marx, Il capitale, cit., voI. I, p. 45, e le lettere ad Engels
del 14 gennaio 1858 e del 1° febbraio 1858.
3 - Fra gli altri anche A. Schmidt, in Storia e struttura, De Donato, Bari 1972, p. 87, accenna ad una
"seconda recezione di Hegel" da parte di Marx nel 1858.
Per comprendere la portata di questa svolta è necessario ricostruire il
pensiero di Marx attraverso gli aspetti essenziali di alcune delle sue opere
teoricamente più rilevanti.
Nella Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico viene
immediatamente aggredito l'idealismo di Hegel nel rapporto tra Stato, società
civile e famiglia. Rispetto a queste ultime, lo Stato si presenta come lo scopo
immanente. La società civile e la famiglia, che in realtà sono i presupposti
dello Stato, nella filosofia hegeliana vengono posposte. Anziché essere attive
esse si trasformano in "interna, immaginaria, attività dello Stato", il
determinante diventa il determinato, il soggetto (la società) diventa il
predicato, il presupposto viene degradato a risultato mistico. Ciò che compare
per ultimo, lo Stato, riassorbe e media ciò che storicamente è precedente
(l'individuo, la società).
Per risalire all'origine di questa inversione, Marx penetra nel
meccanismo del processo astrattivo del metodo hegeliano, mostrando come il
vero percorso dell'astrazione è quello che va dagli organismi reali al concetto
astratto di organismo, dalla sostanzialità dello Stato al concetto astratto di
sostanzialità, dai soggetti alla soggettività, mentre Hegel pretende, al
contrario, che dall'astratto, considerato come realtà, si vada misticamente al
concreto, ridotto a fenomeno. Lo Stato reale, il soggetto reale diventa prodotto
delle sue stesse astrazioni.
Questa critica dell'inversione idealistica hegeliana fa da premessa
all'analisi del concetto di mediazione nel rapporto tra Stato e società civile.
Uno Stato nato per la volontà dei cittadini non avrebbe bisogno di
mediazioni, perché sarebbe lo Stato dei cittadini. Uno Stato invece che deve
essere separato dai cittadini, ha poi bisogno di una qualche mediazione, se
vuole evitare la contrapposizione e l'esclusione di uno dei due termini. Hegel
aspira allo Stato separato borghese, al riparo dalla lotta dissolutrice del
popolo, ma per ottenere l'integrazione del popolo deve ridurlo a un momento
dello Stato. Lo Stato democratico, dice Marx, è, al contrario, già mediato, lo
Stato borghese deve mediarsi. Il teorico borghese parte dall'opposizione tra
Stato e società, poi ha bisogno di occultare l'opposizione. Vede la
contraddizione nel fenomeno, nell'essenza trova l'unità. Dall'apparenza della
contraddizione passa alla conciliazione nell'essenza.
Un critico italiano ha citato malamente il seguente passo di Marx (4):
"Estremi reali - dice Marx - non possono mediarsi tra loro, proprio perché sono reali
estremi. Ma neanche abbisognano di alcuna mediazione, chè sono di opposta natura. Non
hanno niente di comune l'uno con l'altro, non si richiedono l'un l'altro, non si integrano l'un
5
l'altro. L'uno non ha nel suo seno brama, bisogno, anticipazione dell'altro" ( ).
La mediazione dialettica tra opposti reali è impossibile, non potendo
esservi alcun accordo, ad esempio, tra Stato e società, ovvero tra le classi
che si agitano alla loro base.
La particolare concezione rivoluzionaria di Marx in quel periodo ci
permette di comprendere il suo accanimento contro la mediazione a sostegno
degli opposti reali, risvolto filosofico della lotta di classe nella pratica.
Solo la confusione fra vari tipi di opposizione ha condotto Hegel a
pensare che sia "evitabile o nocivo" che gli opposti reali prendano la
4 - Si veda L. Colletti, Intervista politico-fìlosofica, Laterza, Bari 1974, p. 70.
5 - K. Marx, Opere filosofiche giovanili, Editori Riuniti, Roma 1963, p. 102. Per avere immediatamente
l'idea della distanza tra il primo e il secondo Marx si confronti il passo citato con il seguente del Capitale:
"Forma relativa di valore e forma di equivalente sono momenti pertinenti l'uno all'altro, l'uno dei quali è
condizione dell'altro, inseparabili, ma allo stesso tempo sono estremi che si escludono l'un l'altro, ossia
opposti, cioè poli della stessa espressione di valore;..." (libro I, cap. 10, p. 80). Con l'opposizione
compare ormai anche la pertinenza dei termini.
"decisione della lotta". La mediazione diventa necessaria per l’”occultamento
dell'opposizione”. Hegel, dice Marx:
"è costretto, dunque, ora a istituire un elemento che sia la «impossibilità
6
dell'opposizione» e la «realtà dell'accordo» " ( ).
Marx gli rimprovera di aver trattato universale e singolare prima come
opposti reali e poi di averli mediati, come pure di avere posto all'inizio
l'opposizione tra Stato e società e di averla poi occultata con una impossibile
mediazione, spogliando la società della sua caratteristica eversiva. Una volta
posto il dualismo, è impossibile superarlo. È inutile tentare di superare le
fratture sociali di classe, ricomponendo l'unità delle varie classi e ponendole
come un tutto di fronte ai poteri dello Stato: non si supera il dualismo
creandone un altro. Lo Stato dovrebbe rendere uguali i cittadini nella sfera
politica dopo che sono stati divisi nella sfera privata. Marx è convinto che
l'unificazione dei cittadini nell'eticità dello Stato nasconda l'immoralità della
divisione dei cittadini nello Stato privato, anzi ne rappresenti la sanzione.
"L'errore principale di Hegel - dice Marx - consiste in ciò: che egli assume la
contraddizione del fenomeno come unità nell'essenza, nell'idea, laddove essa contraddizione
ha la sua ragione in qualcosa di più profondo, cioé in una sostanziale contraddizione, come,
per esempio, qui il contraddirsi del potere legislativo in se stesso è soltanto la contraddizione
7
dello stato politico con se stesso, e dunque della società civile con se stessa" ( ).
La lotta tra le classi non è fenomenica, ma sostanziale, è la causa
delle lotte politiche e non l'effetto. La contraddizione all'interno del potere
legislativo va spiegata con le contraddizioni reali che si formano all'interno
dello stesso popolo. Questa tesi può essere considerata come la prima
definizione complessiva della teoria del materialismo storico.
I dogmatici, continua Marx, cadono in un errore opposto a quello di
Hegel, giacché, se quest'ultimo cercava dietro ai fenomeni un'essenza
nascosta, un loro luogo di nascita, essi invece esplicano la loro critica
nell'individuazione di contraddizioni nel fenomeno, senza rendersi conto che
la vera critica deve risalire alla prima cellula, alla genesi del fenomeno stesso
e non indugiare in esso. Hegel quindi ha compreso che l'immediato deve
essere scavalcato attraverso un processo critico che ripercorra la sua storia
dall'inizio, anche se alla fine approda misticamente nell'idea. I dogmatici, al
contrario, criticano il fenomeno, ma non riescono a fondarlo.
"La vera critica - sostiene Marx - invece, mostra l'intima genesi della santa Trinità nel
cervello umano. Descrive il suo atto di nascita. Così la critica veramente filosofica dell'odierna
costituzione dello Stato non indica soltanto le sussistenti contraddizioni, ma le spiega, ne
comprende la genesi, la necessità. Le prende nel loro peculiare significato. Ma questo
comprendere non consiste, come Hegel crede, nel riconoscere ovunque le determinazioni del
8
concetto puro, bensì nel concepire la logica specifica dell'oggetto specifico" ( ).
I dogmatici sbagliano perché non sanno cogliere il fondamento delle
cose, Hegel, che pure sa riandare al fondamento, scambia il concetto con la
realtà.
La critica ad Hegel è stata radicale, ha mostrato il misticismo di fondo e
il pericolo politico della mediazione; eppure, accanto alla critica dissolutrice,
troviamo passi di grande deferenza nei suoi confronti.
6 - Ivi, p. 105.
7 - Ivi. Sulla funzione dell'astrazione nel rapporto tra Stato e classi in Hegel ci è sembrata corretta la
ricostruzione di F. Consiglio in Bisogno e valore nella "Filosofia del diritto. di Hegel, sta in "Giornale
critico della filosofia italiana", 1975.
8 - Ivi, p. 105.
L'ammirazione di Marx deriva dal fatto che Hegel pur distorcendo
speculativamente la realtà, è penetrato nei più intimi processi del divenire
reale, cogliendone e spesso svelandone le oggettive contraddizioni, la loro
formazione e il loro sviluppo. Marx non critica il particolare nelle analisi di
Hegel, critica le false genealogie, i riferimenti ad enti astratti, l'inversione tra
soggetto e predicato, tra essere e pensiero. Nonostante ciò, ammette che
Hegel era tanto vicino alla comprensione del reale da farlo trasparire
perfettamente nelle sue opere, anche se lo ha presentato a testa in giù.
"Non è da biasimare Hegel - dice Marx - perché egli descrive l'essere dello Stato
9
moderno tale qual è, ma perché spaccia ciò che è come la essenza dello Stato" ( ).
Hegel ha colto l'essenza dello Stato moderno, il suo errore consiste nel
voler spacciare la perversione dello stato borghese come essenza dello Stato
in generale. L'eguaglianza politica dei cittadini socialmente diversi, ossia la
loro unità formale, viene utilizzata come maschera dell'opposizione reale che
- non potendo essere mistificata compiutamente dallo Stato di diritto,
culminato nella rivoluzione francese e nei suoi teorici, dallo Stato cioè inteso
come garante del diritto privato (10) - doveva trovare un più elevato strumento
teorico di mediazione nella dialettica hegeliana. Marx quindi identifica
dialettica hegeliana, mediazione e occultamento della lotta tra opposizioni
reali di classe.
A questo punto è forse possibile capire il duplice atteggiamento
giovanile di Marx nei confronti della dialettica. Essa ha la virtù tanto di
scoprire quanto di coprire la realtà. Scopre le opposizioni reali - la loro genesi
storica e il loro processo (questo è il senso della prima tesi su Feuerbach) ma al tempo stesso le occulta, trasformandole in estremi dialettici e quindi
mediabili; rovescia il percorso dei fenomeni storici, che nella realtà procede
dal basso verso l'alto, dall'uomo alle sue istituzioni, trascinandosi dietro le
contraddizioni, in un processo pacificato che va dalle istituzioni già mediate
agli uomini. Dietro questa battaglia filosofica si sente l'irruenza del giovane
rivoluzionario, che si esprimerà nel Manifesto e nella delusione successiva al
'48.
Marx, in queste opere giovanili, non rovescia ancora la dialettica
hegeliana, e, quindi, il materialismo storico germina confusamente sul
principio dialettico di contraddizione solo per l'aspetto dell'unità che si scinde
in due opposti, ma con la pregiudiziale che si contrappongano senza la pur
minima mediazione. In questa fase la borghesia non è che scandalo,
concentrato di difetti, criminalità (11).
Marx accetta quindi della dialettica il ritmo dello sviluppo storico dei
termini della contraddizione, dalla loro originaria unità ad una prima
differenza, all'opposizione più radicale, fino alla contraddizione antagonistica,
in cui il termine che concentra tutto il male viene annientato. Sarebbe pertanto
un grave errore equiparare gli opposti reali di Kant agli estremi reali di Marx,
per il fatto che gli opposti del primo possono anche non incontrarsi, essendo
l'uno indipendente dall'altro, mentre gli estremi del secondo comportano la
necessità dello scontro. Gli opposti kantiani possono non scontrarsi, e non si
bramano potendo vivere isolatamente; gli estremi reali di Marx non possono
non scontrarsi e non si bramano solo perché desiderano distruggersi
reciprocamente. Va inoltre aggiunto che gli opposti di Kant, incontrandosi, si
equilibrano, annullando i loro effetti, ma non la loro realtà. Nel tiro alla fune valga come esempio di forze negative kantiane - quando gli opposti sono
uguali e contrari, si ottiene l'effetto dell'immobilità, ma non della soppressione
9 - lvi, p. 77.
10 - K. Marx, La questione ebraica, Editori Riuniti, 1969, p. 74.
11 - Ivi, p. 105.
di una delle due forze, indispensabile per gli estremi di Marx (12), il quale
tuttavia su questa base rischia di non chiarire esaurientemente la differenza
che intercorre tra principio della contraddizione dialettica e principio di
identità.
Nella contrapposizione tra lavoro e capitale Marx ci offre un esempio
chiarificatore del suo concetto di opposizione.
Il lavoro è il soggetto attivo, il capitale non è che lavoro accumulato,
posto di contro al lavoro, come a suo antagonista. Il lavoro genera il suo
opposto con un processo a più tempi. Dapprima, però, lavoro e capitale (in
forma ancora incompiuta) vivono in unità o in una amichevole esternità; poi
l'uno diventa l'opposto dell'altro, la negazione dell'altro; infine si giunge alla
"collisione di reciproche opposizioni", alla lotta per la distruzione dell'altro
termine, alla contraddizione (è il processo che storicamente va dalla proprietà
fondiaria all'industria moderna) (13). Il processo di sviluppo antagonistico del
rapporto tra non-proprietà e proprietà non si presenta nella forma della
contraddizione fino a quando esse non raggiungono la forma della
contraddizione tra lavoro e capitale. Nell'antichità la proprietà non appare
come posta dal lavoro, per cui tra proprietà e non-proprietà vi è una
opposizione come tra esterni indifferenti. Solo quando il lavoro si pone come
la base della proprietà privata, dalla quale, al tempo stesso, viene escluso, e il
capitale, o lavoro oggettivato, diventa la forza che esclude il lavoro dalla
proprietà, solo allora il rapporto da opposto diventa contraddittorio, ovvero
rapporto "energico" di forze in lotta, rendendo matura la situazione per la
risoluzione del contrasto. Marx a questo proposito dice:
"Ma l'opposizione fra non-proprietà e proprietà è peranco un'opposizione indifferente,
non colta nel suo rapporto attivo alla sua intima connessione, e non ancora come
contraddizione, finché non è concepita come opposizione di lavoro e capitale...Ma il lavoro,
l'essenza soggettiva della proprietà privata, in quanto esclusione della proprietà, e il capitale,
il lavoro oggettivo, in quanto esclusione del lavoro, sono la proprietà privata come sviluppato
14
rapporto di contraddizione e però rapporto energico, motivo di risoluzione" ( ).
È il significato del concetto di contraddizione che allontana
profondamente la dialettica hegeliana dal metodo di Marx. Per Marx la
contraddizione è l'opposizione pienamente sviluppata, quando i due termini
arrivano alla resa dei conti, al rapporto "energico". Per Hegel invece la
contraddizione, come opposizione pienamente sviluppata, è l'unità vivente di
positivo e negativo, l'identità dei termini opposti, quando la loro indipendenza
viene a cadere e l'uno diventa l'altro. È la cessazione di ogni energia
contrapposta e di ogni collisione. Kant è ben lontano da entrambe le forme di
opposizione.
b) Intelletto e ragione
Nella Sacra famiglia ritorna, con un certo assillo, la polemica contro
l'astrazione degli hegeliani mascherati alla Bauer. La loro critica
"è e rimane - si legge nel testo - una vecchia donna, l'avvizzita e vedova filosofia
hegeliana, che imbelletta e ritocca il suo corpo rinsecchito fino alla più ripugnante astrazione,
15
e fa l'occhiolino per tutta la Germania cercando un pretendente" ( ).
12 - L. Colletti si è sempre sottratto al compito di entrare nel merito di questo problema, che pure porta il
suo nome.
13 - K. Marx, Opere filosofiche giovanili, cit., p. 214.
14 - lvi, p. 223.
15 - K. Marx, La sacra famiglia, Editori Riuniti, Roma 1967, p. 23.
A questo sfogo assai significativo vale la pena di affiancare quel passo
in cui Marx; oltre a ribadire la sua avversione all'astrazione, inizia la polemica
contro la ragione.
"Se io, - dice Marx - dalle mele, pere, fragole, mandorle, reali mi formo la
rappresentazione generale «frutto», se vado oltre e « immagino» che «il frutto», la mia
rappresentazione astratta, ricavata dalla frutta reale, sia un'essenza esistente fuori di me, sia
anzi l'essenza vera della pera, della mela, ecc., io dichiaro con espressione speculativa che
«il frutto» è la «sostanza» della pera, della mela, della mandorla, ecc. Io dico quindi che per
la pera non è essenziale essere pera, che per la mela non è essenziale essere mela.
L'essenziale, in queste cose, non sarebbe la loro esistenza reale, sensibilmente intuibile, ma
l'essenza che io ho astratto da esse e ad esse ho attribuito, l'essenza della mia
rappresentazione «il frutto». lo dichiaro allora, che mela, pera, mandorla, ecc. sono semplici
modi di esistenza, modi «del frutto». Il mio intelletto finito, sorretto dai sensi, distingue
certamente una mela da una pera e una pera da una mandorla, ma la mia ragione
16
speculativa dichiara questa diversità sensibile inessenziale e indifferente" ( ).
Un solo concetto, essenziale per la ricostruzione del metodo di Marx,
va sottolineato in questa opera, assumendo un peso notevole nella polemica
antispeculativa: è il concetto di intelletto in contrapposizione al concetto di
ragione. Per Hegel l'ordinario intelletto umano (o senso comune) fissa gli
opposti nella loro separazione, mentre la ragione sorpassa queste
"determinazioni divisive", mediandole. In questa disputa tra intelletto e
ragione, risvolto filosofico della polemica tra opposizione reale e opposizione
dialettica, Marx si schiera decisamente dalla parte dell'intelletto. A
conclusione di una prima fase della discussione sulla questione ebraica,
rimprovera a Bauer l'uso del metodo hegeliano, dicendo che:
"La filosofia speculativa. specialmente la filosofia hegeliana, doveva di necessità, per
poter rispondere, tradurre tutte le questioni dalla forma del sano intelletto umano nella forma
della ragione speculativa, e doveva trasformare la questione reale in una questione
17
speculativa" ( ).
La ragione dialettica (o "speculazione ubriaca") ha la funzione di
trasferire la vita reale nel mondo rasserenato dell'Idea, in una sorta di
allegoria pacificatrice, in cui le opposizioni in lotta trovano uno stabile
equilibrio.
L'intelletto però non si caratterizza per essere soltanto l'altro dalla
ragione speculativa, ma anche per l'adesione al materialismo. Intelletto,
materialismo e opposizioni reali sono, per il giovane Marx, l'uno la proiezione
degli altri.
Dalle pagine sul materialismo anglo-francese è possibile capire che la
fonte di questa sua tematica non è Kant, come per anni si è detto in Italia, ma
la polemica antimetafisica di Descartes e Locke, di Lamettrie e Helvetius, di
Condillac e Bayle.
"Con la dissoluzione scettica della metafisica, - dice Marx - Pierre Bayle non ha
18
preparato solo la diffusione in Francia del materialismo e del sano intelletto umano" ( ).
16 - Ivi, p. 71.
17 - Ivi, p. 118.
18 - Ivi, p. 167.
Anche Locke aveva dato un notevole contributo alla dissoluzione della
metafisica quando
"aveva posto le basi della filosofia del bon sens, del sano intelletto umano, cioè
aveva detto, per via indiretta, che non si dà alcuna filosofia separata dai sani sensi umani e
19
dall'intelletto basato su di essi" ( ).
Dovranno passare vari anni prima che Marx riesca a gettare le basi di
una nuova teoria della conoscenza, che sappia distinguere, all'interno del
materialismo, l'astrazione dal semplice riflesso della sensibilità nel pensIero.
c) Dialettica e conservazione
Per chiarire ulteriormente il "rapporto critico" di Marx nei confronti della
dialettica è necessario accennare all'opera più specifica sul metodo di Hegel,
vale a dire alla Critica della dialettica e della filosofia hegeliana in generale.
Marx vi critica il superamento solo apparente dell'alienazione hegeliana
giacché, dopo la soppressione dell'elemento alienato, lo si ritrova confermato.
La negazione della negazione anziché eliminare il termine medio, il termine
alienato, è invece una sua conferma. Lo Stato nega la famiglia, ma la lascia
sussistere come suo momento, per il fatto che il superamento nel pensiero
lascia intatta la realtà. Per Marx, al contrario, la soppressione dell'alienazione
religiosa nell'ateismo e la soppressione della proprietà nel comunismo, pur
essendo mediate dalla religione e dalla proprietà privata, eliminano, nella
realtà, il termine medio. Vale a dire, non si può arrivare al comunismo senza
passare per la proprietà privata borghese, come non si può arrivare
all'ateismo senza passare per la religione; giunti però al comunismo e
all'ateismo proprietà e religione vengono eliminate. Di nuovo Marx equipara
dialettica (hegeliana), movimento astratto e mediazione-conservazione degli
opposti attraverso il processo della negazione della negazione (20).
È quindi possibile parlare di dialettica nelle opere giovanili di Marx, a
condizione che si tenga conto della profonda distanza che intercorre tra la
dialettica della mediazione-conservazione hegeliana e la dialettica-esclusione
marxiana. Non ci si può basare sulle parole per identificare due cose
diversissime. Marx elimina l'idealismo con la dialettica, conservando di
quest'ultima una forma completamente snaturata, per poter esprimere la
nascita dei fenomeni storici da precedenti contraddizioni, il loro svilupparsi in
nuove opposizioni e la successiva eliminazione di uno dei due termini, in una
parola, per interpretare la storia come processo di sviluppo attraverso
contraddizioni. D'altra parte sarebbe stato impossibile per Marx esaltare il
realismo acritico di Hegel, senza accettare in qualche modo il processo
storico di formazione, di sviluppo e di risoluzione dei fenomeni, la cui
incomprensione aveva rimproverato a Feuerbach. Ciò non toglie che egli rifiuti
ancora i caratteri specifici della dialettica di cui successivamente vanterà il
recupero: qualità-quantità, reciprocità di fondante e fondato, universalitàparticolarità-individualità, sono alcuni degli elementi ancora assenti.
Sulla base delle tre opere filosofiche giovanili fin qui analizzate risulta
che Marx: 1) rifiuta l'idealismo e la falsa astrazione su cui si fonda; 2) rifiuta la
mediazione dialettica delle opposizioni reali; 3) quindi si schiera a favore
dell'intelletto, contro la ragione mediatrice; 4) teorizza la risoluzione pratico19 - Ivi, p. 170, ed anche p. 187.
20 - K. Marx, Opere filosofiche giovanili. cit., p. 273. Le difficoltà interpretative di questi passi,
denunciate da P. Kaegi, in Biografia intellettuale di Marx, Vallecchi, Firenze 1968, non sono tali da
impedire una sensata ricostruzione del pensiero di Marx. È importante inoltre sottolineare che nel
Capitale viene recuperata positivamente anche la legge dialettica della negazione della negazione.
rivoluzionaria delle contraddizioni, con l'eliminazione di uno dei due elementi;
5) formula su queste basi la prima teoria del materialismo storico.
Con questo impianto concettuale Marx condurrà le prime analisi
economiche che ci apprestiamo a studiare.
d) Le categorie economiche del primo materialismo storico
Nell'analizzare le opere economiche giovanili di Marx non terremo
conto delle differenze che intercorrono tra i Manoscritti e la Miseria della
filosofia, in quanto appartengono a momenti diversi del periodo del primo
materialismo storico, perché ci interessa soprattutto cogliere la distanza che
separa il pensiero giovanile nel suo complesso da quello della maturità.
Il materialismo storico, in questo primo tempo, riconduce ogni forma di
realtà alla sua base materiale, agitata da un'opposizione che si sviluppa in un
antagonismo sempre più radicale, fino alla eliminazione di uno dei due
estremi. Sulle caratteristiche di questa base materiale avverrà l'incontro e poi
l'abbandono del pensiero di Feuerbach da parte di Marx. Il passaggio dal
concetto di essenza come "universalità interna" al concetto di essenza come
insieme di rapporti segna infatti la transizione dalla prima alla seconda
formulazione giovanile del materialismo storico (21), di cui non vogliamo tener
conto.
Analizzando le categorie economiche di questa fase, è possibile
stabilire una relazione fra il livello di approfondimento scientifico raggiunto da
Marx e l'impianto ideologico e metodologico che fa da supporto. È inoltre
possibile capire perché alcuni concetti siano stati scoperti prima di altri e
perché, in molti casi, essi possano essere considerati come base o come
momenti parziali all'interno della loro sistematizzazione definitiva.
"Religione, famiglia, Stato, diritto, morale, scienza, arte, etc. sono soltanto particolari
22
modi della produzione" ( ).
In queste tipiche pagine del primo materialismo storico è posto in
risalto l'ordine di priorità tra produzione e sue manifestazioni ideologiche e, al
tempo stesso, si dà la chiave interpretativa per comprendere le subordinazioni
tra le stesse categorie della struttura. Come si spiega lo Stato sulla base di
una determinata contrapposizione di classe, che, a sua volta, è l'espressione
di uno specifico modo di produzione, così ricevono un rango tutte le categorie
dell'economia capitalistica. La serie è sempre lineare, dal basso verso l'alto.
"È dal modo di scambio delle forze produttive - dice Marx - che dipende il modo di
scambio dei prodotti. In generale la forma dello scambio dei prodotti corrisponde alla forma
23
della produzione. Mutate quest'ultima e di conseguenza muterà la prima" ( ).
Il fondamento dello scambio capitalistico è nella produzione e non
viceversa. La riconduzione della soggettività all'oggettività delle forze
produttive cancella dalla storia ogni forma di effettiva arbitrarietà, di possibile
scelta. La società capitalistica nasce sulla base dello sviluppo di specifiche
forze produttive ed assume la consistenza di realtà oggettiva di fronte
all'individuo singolo.
21 - Si vedano la VI tesi su Feuerbach e le pagine dell'Ideologia tedesca dedicate a Feuerbach.
22 - K. Marx, Opere filosofiche giovanili, cit., p. 226.
23 - K. Marx, Miseria della filosofia, in K. Marx-F. Engels, Opere, Editori Riuniti, Roma 1973, voI. VI, p.
146.
"Il mulino ad acqua - dice Marx - vi darà la società col signore feudale, e il mulino a
24
vapore la società col capitalista industriale" ( ).
L'insistenza sul ruolo primario delle forze produttive, senza ulteriori
mediazioni, è tipica di questa fase teorica. Da esse discendono i rapporti di
produzione, le classi, il tipo di sfruttamento del lavoro, lo scambio e il
consumo.
Su questa base Marx è già in grado di comprendere l'esplosione delle
crisi, intese come scollamento tra produzione e consumo, quando, con
l'affermarsi della grande industria, il rapporto tra domanda e produzione di
merci si rovescia.
"La grande industria - dice Marx - costretta dagli stessi strumenti di cui dispone a
produrre su scala sempre più vasta, non può più attendere la domanda. La produzione
25
precede il consumo, l'offerta fa violenza alla domanda" ( ).
La produzione per la produzione necessariamente va incontro ad una
continua successione di prosperità, depressione, crisi, ristagno e di nuovo
prosperità. Se nel rapporto antico tra domanda e produzione si raggiungeva
l'equilibrio, nel rapporto moderno produzione-consumo, in cui è la produzione
che crea il consumo, non può realizzarsi l'equilibrio.
Marx non riesce ancora ad assegnare un ruolo effettivo ai fenomeni di
superficie e quindi si limita, attraverso un procedimento riduttivo, a ricondurre i
fenomeni alla sostanza che si nasconde dietro di loro. Dopo alcune incertezze
infatti, vediamo che la concorrenza viene ad assumere un ruolo relativo e
dipendente, perché, al di sopra dell'anarchia e del disordine apparente, il
prezzo delle merci è determinato dai suoi costi di produzione, che
corrispondono al valore di scambio (26). La concorrenza ha il compito di
compensare "una stravaganza con l'altra"; è una specie di gioco del mercato,
che però finisce sempre per ritornare alla serietà dei prezzi, identificati con i
costi. Il problema della trasformazione ancora non si pone e non si porrà fino
a che Marx non comprenderà la dialettica sostanza-fenomeno.
Per motivi simili, la teoria del plusvalore, intesa come differenza di
valore tra lavoro e forza lavoro, è parziale, perché manca ancora la dialettica
universale-particolare, che permette di capire le molteplici trasformazioni che
il plusvalore subisce nella realtà.
Da un'altra carenza della metodologia di Marx derivano i limiti nei
confronti della definizione del denaro, del rapporto tra valore d'uso e valore di
scambio, e infine tra lavoro astratto e lavoro concreto. Sulla base della sua
concezione generale gli fu solo possibile ricondurre geneticamente la moneta
ai rapporti di produzione.
27
"La moneta - dice infatti Marx - non è una cosa, è un rapporto sociale" ( ).
La moneta è un rapporto che corrisponde ad un determinato modo di
produzione, ma ciò non spiega ancora il processo di formazione e la
specificità della forma-denaro.
Il rapporto tra valore d'uso e valore di scambio, o tra lavoro concreto e
lavoro astratto, presenta le stesse lacune. Marx infatti ha già compreso che
24 - Ivi, p. 173.
25 - Ivi, p. 139.
26 - K. Marx, Lavoro salariato e capitale, Editori Riuniti, 1967, p. 42. Mi attengo al testo parzialmente
rielaborato da Engels nel 1891, giacche l'opera risente ancora del taglio giovanile di Marx, anche se, ad
esempio, il termine lavoro viene sostituito dalla successiva e diversa espressione forza-lavoro, non
sembrandoci la scoperta di questo concetto impiantata sulla svolta logica posteriore.
27 - K. Marx, Miseria della filosofia, cit., p. 149.
l'industria moderna quantifica il lavoro e la merce, riducendo quest'ultima a
quote indifferenti di tempo-lavoro (28), ma, non riuscendo bene a mediare le
due forme di lavoro, lascia alla concorrenza la soluzione del problema
dell'unità di misura del valore-lavoro. Si può dire che Marx comincia già ad
intravedere lo sdoppiamento e l'unità dei due momenti opposti all'interno della
merce e del lavoro capitalistici, ma non ne ha compreso ancora l'interno
movimento. Egli è in grado di comprendere che la realtà procede attraverso
opposizioni, ma non riesce ancora a coglierne la logica.
Per questo motivo l'uso di schemi hegeliani ricorre in tutte le opere
giovanili, accompagnato dalla terminologia più tecnica, ma, nonostante ciò, la
dialettica di Marx è ancora profondamente diversa da quella di Hegel. L'ultima
pagina della Miseria della filosofia, che passiamo a commentare, esibisce nel
modo più chiaro tutta la distanza che ancora separa il giovane Marx dalla
sistemazione finale dei concetti nel Capitale.
e) Continuità e discontinuità
Nella pagina sopra menzionata, si nota subito la volontà di Marx di
rimarcare la brutalità della contrapposizione tra borghesia e proletariato,
quando dall'opposizione fra le classi si passa alla loro contraddizione radicale,
preludio allo scontro mortale. Ritorna quindi il concetto di contraddizione non
come unione degli opposti, ma come rapporto energico e come esclusione.
Dopo alcuni cenni sulla fine dell'antagonismo di classe e del potere politico
propriamente detto, Marx conclude nel modo seguente:
“Nell'attesa, l'antagonismo tra il proletariato e la borghesia è una lotta di classe contro
classe, lotta che, portata alla sua più alta espressione, è una rivoluzione totale. D'altronde,
bisogna forse stupirsi che una società basata sull'opposizione delle classi metta capo alla
29
contraddizione brutale, a un urto corpo a corpo come sua ultima conclusione?" ( ).
Contraddizione senza l'ombra di mediazione, senza transizione, senza
preparazione formale; contraddizione tra capitale e lavoro con crescita
esponenziale degli elementi di rottura in tutto il processo, che va dalla loro
originaria, confusa identità alla più netta contrapposizione, alla rivoluzione
totale.
Confrontando questi passi con altri del Capitale emerge la differenza
nel modo di valutare la contraddizione. In quest'opera Marx si rende conto
che
nel
processo
antagonistico
borghesia-proletariato
crescono
parallelamente sia gli elementi di irriducibile contrasto, che porteranno alla
rivoluzione, sia gli elementi di preparazione, di passaggio e quindi di
mediazione, su cui il socialismo potrà innestarsi, per negare e continuare
insieme la vecchia società. Nel Capitale quindi la contraddizione non sviluppa
solo l'antagonismo, l'esclusione reciproca dei due estremi, ma anche
l'elemento che permette la transizione. Continuità e discontinuità,
conservazione e rivoluzione, in una parola, dialettica quantità-qualità.
Nell'Ideologia tedesca ricorre continuamente la definizione dei processi
storici come contraddizione tra forze produttive e rapporti di produzione,
destinata a risolversi con la conquista di nuove relazioni per le forze
produttive in espansione. Marx tratta "le condizioni create dalla produzione e
dalle relazioni anteriori come condizioni inorganiche" (30) rispetto alla nuova
società. La continuità con il passato però è assai scarsa, perché la nuova
28 - lvi, p. 127.
29 - Ivi, p. 225. A. Schmidt, nell'opera citata, riprende, in nome di Marx, la polemica tanto contro le teorie
della discontinuità, quanto contro quelle della continuità, mostrando come la dialettica riesca ad evitare i
due errori con la concezione del passaggio della quantità in qualità.
30 - K. Marx, F. Engels, L’ideologia tedesca, Editori Riuniti, 1958, p. 69.
società muta sia le relazioni che i contenuti, le "attività" e le "circostanze". Il
socialismo qui si presenta come la radicale negazione del capitalismo e non
come un capitalismo negato o superato.
"Nello sviluppo delle forze produttive - dice Marx - si presenta uno stadio nel quale
vengono fatte sorgere forze produttive e mezzi di relazione che nelle situazioni esistenti fanno
solo del male, che 'non sono più forze produttive ma forze distruttive (macchine e denaro)"
31
( ).
La contraddizione dunque non avviene solo tra forze produttive e
rapporti di produzione, ma anche all'interno delle stesse forze produttive, con
le macchine e il denaro, che assumono un ruolo distruttivo (32). In seguito
Marx cesserà di attribuire funzioni negative alle macchine e al denaro, non
avendo, quest'ultimo in particolare, realtà autonoma rispetto allo scambio
delle merci.
Il lavoro, accomunato in questa fase giovanile alle macchine e al
denaro, dovrà essere soppresso. Non si tratta di distribuire in modo diverso il
lavoro, ma di abolirlo insieme alle classi.
"La rivoluzione comunista - dice Marx - si rivolge contro il modo dell'attività che si è
avuto finora, sopprime il lavoro e abolisce il domino di tutte le classi insieme con le classi
33
stesse" ( ).
In precedenza aveva detto, criticando la divisione capitalistica del
lavoro, che
"nella società comunista, in cui ciascuno non ha una sfera di attività esclusiva ma può
perfezionarsi in qualsiasi ramo a piacere, la società regola la produzione generale e appunto
in tal modo mi rende possibile di fare oggi questa cosa domani quell'altra, la mattina andare a
caccia, il pomeriggio pescare, la sera allevare il bestiame, dopo pranzo criticare, così come
34
mi vien voglia, senza diventare né cacciatore, né pescatore, né pastore, né critico" ( ).
È in questa ipotesi di radicale mutamento sociale che Marx penserà al
comunismo come abolizione del "vecchio sudiciume" capitalistico. La logica
degli opposti reali si esprime con chiarezza in queste conclusioni. Le pagine
dei Lineamenti sull'abolizione del lavoro nasceranno, come vedremo, su di un
impianto ben diversamente dialettico.
Dialettica e materialismo storico
a) Nel 1873 Marx dichiara:
"Ho criticato il lato mistificatore della dialettica hegeliana quasi trent'anni fa, quando
35
era la moda del giorno" ( ).
31 - Ivi, p. 67.
32 - Sull’indistinzione tra forze e strumenti di produzione di questa fase del pensiero di Marx hanno fatto
perno varie interpretazioni fino alla scuola di Francoforte.
33 - K. Marx e F. Engels, L ideologia tedesca, cit., p. 68.
34 - Ivi, p. 29. Stalin, senza rendersi ben conto deI motivo, ridicolizza giustamente coloro che ritenevano
Marx rivoluzionario negli anni 1840-50 e moderato successivamente, ossia quando recupera il concetto
di mediazione-transizione. (Questioni del leninismo, Roma, 1945, p. 12).
35 - K. Marx, Il capitale, cit., vol. I, p. 44.
La critica, come abbiamo visto, era rivolta al processo di astrazioneipostatizzazione, e quindi all'inversione pensiero-realtà, attraverso cui, ad una
distruzione apparente, corrispondeva una reale conservazione. Marx scopre
compitamente nel 1858 il lato critico della dialettica, quando scrive ad Engels
di aver trovato una nuova teoria del profitto, grazie alla rilettura della Logica di
Hegel, in cui, ormai pensa, si cela il vero metodo razionale, anche se in forma
mistificata (36). Evidentemente Marx ritiene di aver colto un nuovo aspetto
critico della dialettica hegeliana, diverso rispetto a quello degli anni giovanili,
quando ne esaltava il cripto-realismo. Sono questi gli anni dei Lineamenti e
quindi della preparazione del Capitale.
Si può forse dire che per il giovane Marx il "realismo" di Hegel traspare
nonostante la dialettica, mentre successivamente la dialettica assume una
validità metodologica generale che va ben al di là dell'idealismo del suo
fondatore.
La nuova apertura sul procedimento astrattivo diventa la via per un
effettivo recupero della dialettica hegeliana.
Negli anni '40 Marx mette in rilievo gli aspetti per lo più negativi
dell'astrazione, in quanto permette di passare abusivamente dai singoli fatti
reali alle ipostasi del concetto. Su questa base aveva a lungo polemizzato
contro il metodo astrattivo di Proudhon (37). Dall'lntroduzione del '57 in poi
vengono esaltati gli aspetti positivi dell'astrazione, intesa come organo della
mente umana per la ricostruzione del concreto nel pensiero.
Con la scoperta del nuovo metodo, Marx annuncia di avere
profondamente mutato le sue teorie economiche. Bisognerà quindi coglierne
le novità per mettere in risalto la determinante funzione del metodo nella
definitiva messa a punto della teoria (38).
36 - Marx-Engels, Carteggio. Editori Riuniti, 1972, vol. III, pp. 154-5. Già H. Lefebvre, in Il materialismo
dialettico aveva colto la profonda innovazione che Marx opera nel 1858, senza peraltro trame tutte le
conseguenze. Da M. RosenthaI a R. Rosdolsky a H. Reichelt molti altri hanno individuato alcuni aspetti
del pensiero dialettico di Marx. Per un'ampia discussione su questo tema e quindi sul rapporto tra I e III
libro del Capitale si rinvia a E. Grassi, L'"esposizione dialettica" nel Capitale di Marx, Basilicata, MateraRoma 1976. N. Badaloni, in Per il comunismo, Einaudi, Torino 1972, non si è reso conto che la
Fenomenologia rappresentava per il giovane Marx quel punto di riferimento che successivamente
rappresenterà la Logica, per il fatto che in gioventù dovette fare i conti con il problema dell'inversione
hegeliana soggetto-predicato, da cui dipendeva il concetto di alienazione e di astrazione, mentre nella
maturità, dovendo analizzare le forme che il capitalismo assume storicamente, l'incontro con Hegel non
poteva più avvenire sul tema della coscienza alienata.
37 - K. Marx, Miseria della filosofia, cit., cap. 2°.
38 - Engels riteneva il metodo dialettico di Marx "quasi altrettanto importante quanto la concezione
materialistica fondamentale". Si veda la Recensione di F. Engels a Per la critica dell'economia politica,
sta in K. Marx, Per la critica dell'economia politica, Editori Riuniti, 1969, p. 208. Nella stessa pagina
l'autore distingue nettamente tra materialismo storico e metodo dialettico, facendo capire che sono due
momenti distinti e successivi, anche se organici, del pensiero di Marx. Trascriviamo il passo: "Marx era il
solo che si poteva accingere al lavoro di estrarre dalla logica hegeliana il nocciolo che racchiude le vere
scoperte fatte da Hegel...Noi pensiamo che questa elaborazione del metodo che è la base della critica
dell'economia politica di Marx, costituisce un risultato quasi altrettanto importante quanto la concezione
materialistica fondamentale". C. Pennavaja nell'introduzione a K. Marx, L'analisi della forma di valore,
Laterza, Bari 1976, dopo avere avanzato l'esigenza di un collegamento tra Logica di Hegel e primo
capitolo del Capitale, paradossalmente conclude sostenendo che è meglio dedicarsi direttamente alla
comprensione dei testi marxiani "piuttosto che intraprendere la quasi disperata ricerca del ritrovamento
di un parallelismo fra la Wissenschaft der Logik e il testo Ware und Geld" (p. XIX), come se non fosse
disperato il tentativo di comprendere il senso del testo marxiano indipendentemente dal metodo e dai
principi di Marx. Queste conclusioni sono tanto più inaccettabili per un critico che ha citato il seguente
passo della lettera di Marx a Kugelmann del 6 marzo 1868: "Egli sa molto bene che il mio metodo di
svolgimento non è quello di Hegel, perché io sono materialista, Hegel idealista. La dialettica di Hegel è
la forma fondamentale di ogni dialettica, ma soltanto dopo l'eliminazione della sua forma mistica, ed è
appunto questo che distingue il mio metodo". Le leggi del movimento dialettico che Hegel ha scoperto
hanno per Marx una validità generale e pertanto valgono anche per l'analisi della società capitalistica, e
non viceversa. Il tentativo di Colletti, Bedeschi, ecc., di identificare in nome di Marx capitalismo,
dialettica e alienazione viene ripreso con tono critico nei confronti di Marx da R. Bodei in Hegel e
l'economia politica, Mazzotta, Milano 1975, ove la filosofia di Hegel viene ridotta ad una metafora della
società capitalistica. Anche B. De Giovanni era caduto in una posizione simile in Hegel e il tempo
Nelle opere giovanili non si preoccupa di ordinare le sue idee secondo
una disposizione dialettica. Bisogna arrivare al Capitale perché esse trovino
una collocazione secondo un preciso disegno logico.
La produzione del capitale individuale assume nel primo libro la
funzione di momento interno all'universale vita del capitale complessivo. Nella
Miseria della filosofia invece Marx è ancora contrario a considerare il capitale
come un tutto (39).
La prima formulazione del materialismo storico è come se avesse una
sola direzione, interpreta i fatti sulla base della loro genesi, attribuendo
all'elemento generatore il valore di effettiva realtà, e al generato il ruolo
subordinato di semplice derivato, di vera e propria apparenza, crosta da
grattare per ritrovare, immutata, la cellula iniziale (40). In gioventù Marx non ha
compreso l'effettivo ruolo condizionante dei fenomeni di superficie. Per questo
motivo non ha potuto distinguere con chiarezza tra valore di scambio e prezzi
di produzione, tra ruolo del valore-Iavoro e ruolo della concorrenza, tra
plusvalore e profitto, tra rendita differenziale e rendita assoluta, tra feticismo
della merce e feticismo del capitale. Sulla base del procedimento riduttivo del
primo materialismo storico, Marx, così come aveva spiegato la religione o lo
Stato riducendoli a semplici manifestazioni di determinate relazioni sociali,
riduce i prezzi a valore-lavoro, la concorrenza a espressione trascurabile della
produzione, il profitto al plusvalore, non riuscendo a distinguere il feticismo
della produzione da quello del capitale complessivo. Va ricordato inoltre che
Marx criticava in generale il tentativo proudhoniano di esprimere le categorie
economiche logicamente, opponendogli il metodo espositivo storico-genetico
(41), invece di limitarsi ad attaccarne la cattiva logica. Confrontando questo
impianto mentale con ciò che scrive Engels, recensendo Per la critica, nel
1859, si tocca con mano la profonda differenza tra le due fasi del pensiero di
Marx:
"La critica dell'economia, - dice Engels - anche dopo che era stato acquisito il metodo
[dopo il 1858] poteva ancora essere intrapresa in due modi: storicamente o logicamente".
Dopo aver spiegato gli svantaggi dell'esposizione storica, conclude:
42
"II modo logico di trattare la questione era dunque il solo adatto" ( ).
b) Il procedere storico determina non solo lo sviluppo delle forme da
semplici a complesse, ma anche il loro rovesciamento di rango. È per questo
che la ricostruzione del processo di formazione di un "organismo" per fasi
storico della società borghese, De Donato, Bari 1970. Marx più volte ha sottolineato gli aspetti di validità
generale del pensiero di Hegel, che non possono essere ridotti a semplici trasposizioni di rapporti sociali
capitalistici. La dialettica è un fatto ben più complesso dell'alienazione capitalistica, come pure
l'alienazione capitalistica non è l'unica forma di alienazione. Alienazione e capitalismo s'incontrano ma
non sono l'una il risvolto dell'altro. Nelle opere della maturità Marx sottolinea spesso la funzione
generale della dialettica sia per le forme sociali che hanno preceduto la società capitalistica, sia per i
processi naturali. Ne è possibile far combaciare feticismo e capitalismo in nome di Marx. Egli è molto
chiaro su questo punto quando afferma che è; "il carattere mistificante che trasforma i rapporti sociali, ai
quali gli elementi materiali della ricchezza servono da depositari nella produzione, in proprietà di queste
cose stesse (merce) e ancora in modo più accentuato il rapporto di produzione stesso in una cosa
(denaro). Questo travisamento è comune a tutte le forme di società, in quanto giungono alla produzione
mercantile e alla circolazione monetaria. Ma nel modo di produzione capitalistico...questo mondo
stregato e capovolto si sviluppa ancora molto di più" (lI capitale, cit., libro III, p. 940). Tutte le forme di
società, se togliamo le più primitive, hanno vissuto il feticismo della merce, con le svariate conseguenze
estranianti, anche se in dose minore rispetto al capitalismo sviluppato.
39 - K. Marx, Miseria della filosofia, cit., p. 118.
40 - E. Mandel in La formazione del pensiero economico di Marx, Laterza, Bari 1970, seguendo Kaegi,
sostiene che il materialismo storico è un determinismo economico.
41 - K. Marx, Miseria della filosofia, cit., p. 169.
42 - F. Engels, Recensione, cit., p. 208.
successive è soltanto un momento di ogni analisi approfondita, che però
diventa astratta se si limita a riportare il fenomeno alle sue primarie
condizioni, con l'unico risultato di annegare ogni differenza nell'unità del
fondamento. Nella realtà, come nella conoscenza, ciò che viene per ultimo
diventa il fondamento di ciò che è venuto per primo. Hegel direbbe
"che in filosofia l'andare innanzi è piuttosto un andare indietro e un fondare...l'andare
innanzi è un tornare addietro al fondamento, all'originario ed al vero, dal quale quello, con cui
43
si era incominciato, dipende, ed è, infatti, prodotto" ( ).
L'impianto idealistico del passo non deve distoglierci dall'elemento
metodologico positivo.
Quando la dialettica si è innestata compiutamente sul nucleo originario
del materialismo storico, quest'ultimo è passato a costituire, con qualche
rilevante ritocco, il primo momento della più complessa concezione, che
integra l'esposizione genetica del processo reale di sviluppo con nuove e più
ricche mediazioni. Quanto più infatti il processo di metamorfosi del modo di
produzione capitalistico va avanti, tanto più la sostanza si cela all'interno di
sempre più complesse strutture. L'ultimo, la superficie, subordina le categorie
essenziali, assegnando loro un rango. Ciò che nella storia è stato concreto e
universale, successivamente, in un complesso più ricco, vivendo all'interno di
una nuova totalità, diventa astratto e particolare, trasformato dai suoi stessi
prodotti.
Se la produzione del valore per mezzo del lavoro è la sostanza del
sistema capitalistico, è poi il rapporto concorrenziale, caratteristico della
fenomenologia del sistema in ciascuna fase determinata, che assegna un
ruolo alla produzione, rendendola "momento particolare" all'interno dei
processi che il capitale come un tutto compie nella sua realtà di superficie.
Ciò che si determina per ultimo e che caratterizza il sistema nel suo
insieme, se per un verso è la realtà nell'aspetto più esteriore, per altro verso
rappresenta l'universale, ovvero la condizione generale di esistenza del
sistema stesso. La superficie (o universalità), cioè il rapporto tra capitali e il
processo di compra-vendita sulla base della concorrenza, è condizionata
quindi da ciò che ormai si cela ad una considerazione immediata (il lavoro e
determinati rapporti di produzione). Nello stesso tempo però l'ultimo, la
superficie, il feticcio, diventa la condizione di esistenza del lavoro e quindi
della produzione del valore (44).
In sintesi, per Marx la base materiale di un sistema economico è data
dai singoli operatori, dalle forze produttive prese individualmente - il primo e il
secondo libro del Capitale rappresentano infatti l’analisi dei processi interni ai
capitali individuali - le quali però, agendo le une sulle altre, formano una
totalità che, pur essendo un intreccio dei singoli elementi materiali, assume un
ruolo primario, universale, fino al punto di fissare il rango che ciascuno dei
componenti deve avere nell'insieme.
Nel modo di produzione capitalistico i singoli elementi strutturali,
attraverso i movimenti reciproci sulla base della concorrenza, formano un
tutto, che, a sua volta, con un "contraccolpo" si rovescia sulle sue parti (i vari
settori della produzione) e sugli individui (i singoli capitali), eliminando la
43 - G. W. F. Hegel, La scienza della logica, cit., p. 56. Non è questo il luogo in cui affrontare un dibattito
con certa parte della cultura francese, pur nella consapevolezza che oggi un'acuta contraddizione
teorica divide chi ripropone la specifica concezione della storia che Marx aveva faticosamente elaborato
e chi, come ad esempio Foucault, va sostenendo, anche a nome di Marx, che "La discontinuità... è
diventata uno degli elementi fondamentali dell'analisi storica", volendo con ciò distruggere i concetti di
continuità e di storia globale, ossia quella determinata concezione che "suppone d'altra parte che una
unica forma di storicità si porti dietro le strutture economiche, le stabilità sociali...i comportamenti politici"
(M. Foucault, L'archeologia del sapere, Rizzoli, Milano 1969, pp. 15 e 16), che era proprio ciò che
intendeva Marx con il concetto di modo di produzione.
44 - K. Marx, Il capitale, cit., libro III, cap. 1, p. 53.
funzione degli aspetti qualitativi specifici di ognuno (la diversa composizione
organica dei vari capitali) e accomunando tutti in una condizione unitaria di
esistenza.
c) Le categorie economiche del periodo della maturità
Nella Miseria della filosofia e in Lavoro salariato e capitale, Marx non
distingue tra valore di scambio, costi di produzione e prezzi.
"Il valore relativo dei prodotti - egli dice - è determinato dal tempo che è stato
necessario per produrli. Il prezzo è l'espressione monetaria del valore relativo di un prodotto"
45
( ).
Questa formulazione la si ritrova identica nel primo libro del Capitale,
dove però Marx è ormai consapevole che la riduzione dei prezzi al valore e
del valore al lavoro è provvisoria. Questa equivalenza scompare infatti nel
terzo libro, quando la produzione delle merci non viene più analizzata nella
fabbrica-laboratorio del singolo capitalista, ma come una parte della
produzione della fabbrica complessiva, dopo l'azione unificante della
concorrenza, della formazione del saggio generale del profitto e quindi
all'interno di una ripartizione ineguale di quote di plusvalore tra i singoli
capitali. Ciò che valeva per l'individuo astratto, non vale più per lo stesso
individuo nella totalità economica. Marx ha ormai recuperato pienamente la
dialettica universale-individuale, una delle varianti di unità degli opposti che in
gioventù aveva rimproverato ad Hegel.
Il fatto più sorprendente, a livello metodologico, risiede nel fatto che
non c'è differenza tra la definizione del plusvalore del primo libro del Capitale
e quella giovanile di Lavoro salariato e capitale, in cui Marx sostiene che
l'operaio, erogando la sua forza-lavoro in cambio del salario, con una parte
del suo lavoro ricostituisce le spese per il suo salario, con le ore eccedenti va
ad ingrossare il capitale anticipato o lavoro accumulato (46). In queste opere,
come nel primo libro, il valore-prezzo di una merce corrisponde alla somma
del capitale anticipato e del pluslavoro in essa incorporato e quindi è in
funzione del rapporto tra capitale costante e capitale variabile nel processo
della produzione.
Tutto ciò viene rovesciato nel terzo libro del Capitale. Se infatti nelle
opere giovanili e nel primo libro vi è corrispondenza tra il lavoro incorporato, il
plusvalore, il profitto e quindi il prezzo della singola merce, ora, nel terzo libro,
avviene precisamente l'opposto: è il prezzo trasformato che determina la
quota di plusvalore che spetta ad ogni singolo capitale, sulla base di un
identico saggio del profitto. Nel tutto il rapporto corre dal prezzo (dal
fenomeno) al profitto, al plusvalore fino al valore (l'essenza); nel singolo il
rapporto va dal valore, al plusvalore, al profitto, al prezzo.
Sulla base del primo materialismo storico il processo doveva andare
dalla cellula generatrice (il lavoro) alla superficie, dalla realtà all'apparenza,
avendo quest'ultima l'unico compito di rivelare l'interno, di corrispondervi.
Sarebbe però errato confondere, per questo motivo, i concetti espressi
nelle opere della giovinezza e quelli del primo libro del Capitale, giacché, se
spesso ritornano le stesse formulazioni, è diverso il loro significato: lo stesso
concetto, che nel primo libro si presenta come provvisorio o astratto, nelle
opere precedenti ha la pretesa della compiutezza.
45 - K. Marx, Miseria della filosofia, cit., p. 119. Si veda anche K. Marx, Lavoro salariato e capitale,
Editori Riuniti, Roma 1967, p. 43.
46 - Si veda K. Marx, Lavoro salariato e capitale, cit., p. 50.
Prescindendo da quest'ultima considerazione, si potrebbe dire che il
materialismo storico prima maniera confluisce nel primo libro del Capitale,
ovvero nel libro dell'essenza, dove si analizza la genesi delle categorie
basilari del modo di produzione capitalistico.
Nel momento in cui Marx scopre il metodo razionale, vediamo che la
sfera della concorrenza e dei prezzi reagisce sulla produzione, passando dal
ruolo di condizionata a quello di condizionata-condizionante. Nelle opere
giovanili invece la concorrenza era una specie di capriccio del mercato, un
disordine di superficie, continuamente vinto dalla serietà e dall'ordine dei
valori naturali (47).
Solo nel terzo libro del Capitale la concorrenza acquista un ruolo
specifico, anche se continua ad essere determinata dalla posizione di classe
che ogni individuo ricopre all'interno dei rapporti di produzione. La
concorrenza crea una condizione di esistenza identica per tutti i capitali,
poiché elimina la funzione delle caratteristiche individuali, dando luogo ad una
dimensione unitaria, entro cui ogni capitale è costretto ad agire. Il movimento
della concorrenza produce una condizione storica universale da cui il capitale
singolo non può prescindere. Per il suo tramite il singolo perde ogni
autonomia e si media con il capitale complessivo.
Dopo la compiuta scoperta del metodo dialettico, la sfera della
produzione, pur mantenendo il ruolo di elemento primo e generatore, cambia
forma, sciogliendosi all'interno dei modi di essere del capitalismo maturo.
La forma non va intesa come un vestito che l'analisi può togliere a suo
piacere. Non è possibile eliminare la forma dell'uomo per trovare di nuovo la
scimmia.
Qualche considerazione sul tema della continuità-discontinuità nella
storia può servire di chiarimento.
L'equiparazione tra i prodotti più diversi è realizzabile quando il
mercato, quantificando il loro valore, crea la possibilità del rapporto. Le merci
infatti sono prima esterne e poi formano un mercato. Similmente i capitali, in
un primo tempo isolati, gradualmente formano un sistema organico di capitali,
ovvero il modo di produzione capitalistico. La configurazione della merce, del
lavoro, del capitale presi isolatamente, ovvero al loro primo storico apparire, è
diversa dalla conformazione degli stessi, inseriti in un contesto diverso che li
condiziona. L'individuo isolato infatti è diverso dall'individuo sociale, anche se
la società non è che l'unità di tanti individui. L'universale è il prodotto dell'unità
degli individui, è l'individuo organico, e, al tempo stesso, è il superamento
dell'individualità in quanto tale.
Per questo motivo non è possibile interpretare una realtà complessa
con le parti di cui è composta. Una proposizione o una realtà molecolare non
è verificabile in base alla verità o alla realtà dei suoi elementi atomici. Il
capitale è la somma di denaro e lavoro, ma il lavoro fuori del capitale è altra
cosa, non producendo plusvalore; come il denaro, non mediato con il lavoro
produttivo, è tesoro, ma non capitale. Sia il denaro che il lavoro assumono
quindi nel capitalismo una forma nuova, che solo genericamente è riferibile
alla precedente, da cui pure deriva.
Con i primi strumenti metodologici Marx scopre il feticismo delle merci,
del denaro e del capitale, per il fatto che essi rinviano ad un determinato
rapporto sociale, come al loro fondamento materiale. Ma solo più tardi sarà in
grado di definire il processo di trasformazione del valore d'uso in valore di
scambio, la sua oggettivazione in denaro, e quindi i meccanismi sociali che si
celano nel valore delle merci. Nella polemica con Proudhon l'equiparazione
merce-denaro non è ancora compiutamente realizzata (48). Bisogna arrivare a
47 - Ivi, p. 42.
48 - K. Marx, Miseria della filosofia, cit., p. 147 segg..
Per la critica perché il denaro si presenti come la sintesi del processo storicodialettico delle merci, attraverso cui i valori d'uso, nel passare dalla forma
relativa alla forma generale di valore, assumeranno l'aspetto quantitativo
dell'equivalente generale o denaro. Il denaro, in quanto è una merce al pari di
tutte le altre, possiede un valore sulla base della quantità di lavoro
socialmente necessario alla sua produzione, e solo su questa base può
fungere da intermediario tra le merci nello scambio. Esso è la sintesi del
processo contraddittorio delle merci, è la forma che i valori d'uso assumono al
culmine di successive mediazioni, e che permetterà il superamento in una
nuova convivenza delle opposizioni insite nel processo di scambio (49).
Tutta la teoria del valore, per espressa dichiarazione di Marx, è stata
mutuata, quanto al metodo, dai modelli logici hegeliani e in particolare dalla
dialettica qualità-quantità. Il feticismo delle merci nasce dal processo di
quantificazione dei valori d'uso prima e dalla reificazione della quantità dopo.
"Nel denaro - dice Marx - il mezzo di scambio stesso diventa cosa, o il valore di
50
scambio della cosa acquista una esistenza autonoma al di fuori della cosa stessa" ( ).
Da un rapporto tra prodotti, che rinvia a determinati rapporti tra uomini,
si perviene ad una cosa.
Mentre il carattere di feticcio della merce dipende dal fatto che il
rapporto sociale tra produttori appare sul mercato come rapporto sociale tra
cose, mediato dal denaro, che a sua volta si presenta come cosa, il carattere
di feticcio del capitale, pur derivando dall'inversione avvenuta nella merce,
assume forma diversa. Il rapporto tra persone, che nella merce si presenta
come rapporto tra cose, o addirittura come cosa, ora si presenta come
rapporto del capitale con se stesso. Infatti, come nella perla o nel denaro
sembra che ci sia un valore, cosi il capitale sembra produrre capitale: la cosa
"possiede" valore, il capitale "produce" valore.
Il capitale, precisa Marx, sembra produrre valore per il fatto che la
distribuzione del plusvalore non corrisponde più alla sua produzione. Alcune
quote del plusvalore prodotto, infatti, si dirigono verso settori del capitale che
meno hanno partecipato alla produzione. Il plusvalore totale si distingue in
parti con una logica diversa da quella della sua produzione. La produzione del
plusvalore totale avviene per somma di quote prodotte in modo diseguale. La
spartizione fra gli "addetti" invece avviene attraverso un criterio
apparentemente egualitario, che in effetti, premiando la quantità, ossia i
capitali ad alta composizione organica, risulta profondamente ineguale, anche
se in modo opposto rispetto all'ineguaglianza che si aveva nella produzione.
Infatti, mentre i capitali più deboli contribuiscono maggiormente alla creazione
del plusvalore, nella distribuzione se ne appropriano i più forti, coloro cioè che
hanno dato un contributo relativamente minore. È in questo sottile
meccanismo il segreto della trasformazione dei valori in prezzi di produzione.
I prezzi sono lo strumento dei capitali più grandi per drenare valore ai più
piccoli.
Questa equiparazione-sperequazione, chiave ermeneutica per
intendere il feticismo del capitale industriale, non è sufficiente per scoprire
l'ancor più misterioso feticismo del capitale produttivo di interesse, dove il
capitale, stando fuori della produzione, appare come produttore di capitale.
L'autonomizzazione di vecchie funzioni prima appartenute al capitalista
industriale sono alla base di questo capovolgimento.
Il carattere di feticcio della merce si svela riandando geneticamente ai
rapporti sociali che maschera, il feticismo del capitale si comprende
considerando lo spostamento che alcune quote di plusvalore contenuto nelle
merci subiscono nel passaggio dalla produzione alla distribuzione. È come se
49 - K. Marx, Il capitale, cit., libro I, voi. I, p. 118.
50 - K. Marx, Lineamenti fondamentali della critica dell'economia politica, cit., p. 155.
tutti i produttori mettessero in una cassa comune il plusvalore prodotto da
ciascuno, e poi lo distribuissero in maniera inversa: chi più ne ha messo,
relativamente meno ne prende e, viceversa, chi meno ha dato, relativamente
più ne prende, fino al capitale bancario che, non avendo prodotto nulla,
prende come o più degli altri.
La teoria della rendita assoluta non è comprensibile al di fuori della
teoria del profitto, quale si viene con figurando dopo la scoperta del metodo
razionale.
"...tutta la teoria del profitto, quale è stata finora, l'ho mandata a gambe all'aria.
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Quanto al metodo del lavoro mi ha reso un grandissimo servizio ...la Logica di Hegel" ( ).
Questo passo è del 1858. La lettera in cui annuncia di aver scoperto la
rendita assoluta e di aver abbandonato la teoria di Ricardo è del 1862 (52). La
teoria ricardiana della rendita differenziale era l'unica comprensibile per Marx
sulla base dei primi strumenti metodologici, consistendo in una specie di
premio concesso ad una forza naturale. Solo scoprendo la legge della
perequazione del tasso del profitto egli è in grado di formulare la teoria della
rendita assoluta, resa possibile dal fatto che i prodotti del suolo, in condizioni
di scarsità di terreni fertili, vengono venduti non già al prezzo di produzione,
livellato dal saggio medio del profitto, ma ad un prezzo che corrisponde al
maggior valore incorporato nei prodotti agricoli, data la bassa composizione
organica del capitale agricolo (53). La rendita assoluta non sarebbe possibile
se la composizione organica del capitale agricolo fosse uguale o superiore a
quella del capitale industriale (54). Tale plusprofitto dipende dal fatto che il
proprietario fondiario, avendo il monopolio della terra, esige una tassa sotto
forma di prezzo di monopolio, che equivale in questo caso al prezzo-valore,
ossia al prezzo nel primo libro del Capitale .
Metodo dialettico, teoria del profitto e teoria della rendita corrono
paralleli, anche se in apparenza avviene il contrario, in quanto la rendita
assoluta è realizzabile solo quando una merce si sottrae alla legge della
perequazione del saggio del profitto. In realtà, se quest'ultimo nasce nel
passaggio dal capitale singolo a quello complessivo, ovvero dalla produzione
atomizzata al sistema come un tutto organico, la rendita si realizza quando un
capitale particolare riesce ad arrivare sul mercato, già unificato dai prezzi di
produzione, con merci che non subiscono la perequazione. Si ottiene una
rendita quando i prezzi di tutte le merci si livellano, tranne quelli provenienti
dal capitale agricolo. È quindi indiretta la funzione del saggio generale del
profitto sulla rendita dei prodotti della terra, o meglio è negativa. Esiste la
rendita perché non subisce le conseguenze del saggio medio del profitto, ma
non ci sarebbe la prima se non ci fosse il secondo. Se il saggio generale del
profitto si sviluppa dalla mediazione dei profitti individuali, la rendita assoluta
si realizza perché evita la mediazione, ma solo in quanto non la possono
evitare gli altri.
51 - Marx-Engels, Carteggio, cit., voI. III, pp. 254-5.
52 - Ivi, vol. IV, p. 103. Anche Mandel è dell'avviso che teoria della rendita e teoria del profitto corrano
parallele. Si veda di Mandel la p. 97 dell'opera citata. Sulla distanza che intercorre tra le opere
economiche degli anni 1840-50 e quelle successive al 1858 si consideri questo passo di Engels: "Tra il
1840 e il 1850 Marx non aveva ancora condotto a termine la sua critica dell'economia politica. Ciò
avvenne solo verso la fine del decennio 1850-1860. I suoi scritti apparsi prima del primo fascicolo di Per
la critica dell'economia politica (1859), si allontanano quindi in taluni punti da quelli che furono composti
dopo il 1859, contengono espressioni e interi periodi che, confrontati con gli scritti successivi, appaiono
infelici e perfino inesatti" (Introduzione a K. Marx, Lavoro salariato e capitale, Editori Riuniti, Roma 1967,
p. 17).
53 - K. Marx, Il capitale, cit., libro III, cap. 45°, pp. 866-8.
54 - Ivi, p. 873.
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