All’opera
Questa «Vedova scaltra» veneziana
Goldoni mette per iscritto
il primo documento di riforma del teatro
di Bruno Rosada
«Q
uesta vedova veneziana, stata per qualche
tempo infermiera del suo vecchio e infermo marito possessore di una fortuna considerevole, aspirava a indennizzare i perduti giorni col mezzo di un matrimonio più conveniente». Così nei Memoires Goldoni introduce Rosaura, la protagonista della Vedova scaltra, Rosaura, il perno della vicenda. Attorno a lei ruotano i suoi corteggiatori, potenziali mariti; quattro forestieri: Milord Ronebif inglese, il
cavaliere le Bleau francese, don Alvaro di Castiglia spagnolo e il conte di Bosconero italiano.
Questa commedia rappresenta il passo decisivo verso la
mèta che s’era prefisso, il primo documento del graduale
processo di riforma del teatro, che consisteva, non tanto,
o non solo, nel mettere per iscritto le parti dei diversi personaggi, quanto nel disegnare «caratteri», lasciandosi dietro le spalle «l’intreccio, cioè lo spettacoloso, il gigantesco, il maraviglioso in maschera e senza maschera» – come disse De Sanctis, che di Goldoni aveva capito più di
tanti altri –, che era stato «il fondamento della commedia
italiana»; mentre «la buona commedia, come la concepiva
lui, dovea avere a fondamento il carattere». E se i caratteri per il momento sono in questa commedia più che altro
dei «tipi», poco male. È sempre un notevole passo avanti,
perché al centro dell’attenzione non è la vicenda, o trama
o intreccio che dir si voglia, ma il personaggio, l’uomo. Il
percorso è tracciato. In questo caso la nomenclatura è facile: sono «tipi» che riproducono la media di comportamenti nazionali e tali si rivelano fin dalla prima scena del
primo atto, ad apertura di sipario: «L’Italiano è fedele, ma
troppo geloso: l’Inglese è sincero ma incostante: il Francese è galante, ma troppo affettato: e lo Spagnolo è amoroso, ma troppo grave». Del resto neanche quando i tipi,
nel prosieguo dell’esperienza teatrale goldoniana, diventeranno «caratteri», saranno veri individui. Forse si può trovare traccia, ancora però flebile, di
individui in Una delle ultime sere de carnoval, l’ultima commedia veneziana di Goldoni. E in
fin dei conti non ci si può lamentare dei letterati come Goldoni (ma anche come
Molière), dato che la scienza psicologica non aveva
saputo far di meglio,
ferma ancora a
Teofrasto, opportunamente
rilanciato nel
Seicento da La
Bruyère. Era
appunto ancor
essa una tipologia: Dostoievskij e Freud
sono ancora
lontani.
Ma torniamo alla vedova. Alla fine Rosaura preferirà il
conte di Bosconero, italiano. E c’è un pizzico di patriottismo nella sua scelta: «Italia in oggi – dice Rosaura – dà
regola nella maniera di vivere. Unisce tutto il buono delle nazioni straniere, e lascia lor tutto il cattivo. Questo è
che la rende ammirabile e fa innamorare del suo soggiorno tutte le nazioni del mondo». Ma Rosaura pensa anche
alla sorella Eleonora, che sposerà il francese. Come si vede la trama è praticamente inesistente: ciò che conta è la
raffigurazione dei personaggi.
Alla Vedova Scaltra si riconnette un clamoroso episodio,
il primo della lotta tra Goldoni e l’abate Chiari, episodio
cui Goldoni fa cenno nei Mémoires. La commedia era stata
rappresentata per la prima volta a Modena nell’estate dell’anno 1748 e riproposta con successo a Venezia nel Carnevale del 1749 (1748 more Veneto). Fu allora che il Chiari mise in scena nel teatro di San Samuele un testo simile, intitolato La Scuola delle Vedove, che Goldoni definisce
«pessima parodia», contenente espliciti riferimenti offensivi alla commedia goldoniana. E questo significa che
Goldoni aveva colto nel segno. Il testo del Chiari è andato
perduto; resta però un foglietto a stampa di quattro pagine che contiene l’argomento e alcune considerazioni per
nulla convincenti sulle ragioni che la ispirarono. Goldoni
sdegnato scrisse allora in risposta all’avversario «un’apologia in azione con un dialogo a tre personaggi, intitolata “Prologo apologetico della Vedova Scaltra”», del quale,
nonostante l’intervento moderatore di un alto personaggio, fece stampare tremila esemplari in fogli volanti di otto pagine che vennero distribuiti per tutta la città.
«Ecco il risultato della pena che m’ero data – racconta Goldoni – ed ecco il mio trionfo. Fu soppressa subito la Scuola delle Vedove, e due giorni dopo
fu pubblicato un decreto del governo che
ordinava la censura delle produzioni teatrali». Non ci precisa Goldoni che per la verità il tribunale, con nota del 15 novembre, aveva sospeso la recita di entrambe le commedie. Però La vedova scaltra venne ben
presto ripresa e recitata trionfalmente in parecchie città
italiane, a Mantova, a Modena, a Firenze,
nella stessa Venezia. E della
Scuola delle vedove non abbiamo
più nemmeno
il testo.
La vedova scaltra, bozzetto scenografico di Max Bignens per l’allestimento di Harro Dicks, Darmstadt 1964.
18
All’opera
Il Settecento sentimentale di Wolf‑Ferrari
Karl Martin dirige la «Vedova scaltra»
di Marinella Laini
E
rmanno Wolf-Ferracon Carlo Goldoni, di cui ha muri (Venezia 1878 – ivi
sicato cinque testi (Le donne curioVenezia – Teatro La Fenice
1948) è uno dei musicise, 1903; I quattro rusteghi, 1906;
La vedova scaltra di Ermanno Wolf-Ferrari
sti più singolari della prima meGli amanti sposi, 1925; La vedova
regia, scene e costumi Massimo Gasparon
tà del XX secolo, refrattario a
scaltra, 1931; Il campiello, 1936). Li10, 13, 14, 15, 20 febbraio, ore 19.00
qualsiasi tentativo di classificaberati dalla satira sociale e spo11, 18 febbraio, ore 15.30
zione, estraneo a tutte le scuogliati di ogni risvolto ideologico,
le. Geloso della propria indipengli adattamenti operistici dei tedenza e della propria solitudine, rimase sempre lontano
sti goldoniani fanno leva sul puro gioco scenico. Resta
da quei cenacoli e da quei gruppi che agli aderenti properò viva in Wolf-Ferrari l’idea della sostanziale serietà
curano fama rapida e a volte immeritata. La sua abbondel comico, che è anche persuasione morale. Il suo perdante produzione, le cui radici sono profondamente ancorso goldoniano si traduce in una rilettura critica acucorate nella tradizione lirica, è a tutt’oggi ingiustamentissima del grande commediografo, la cui teatralità viete poco conosciuta. La sua musica si è dovuta confronne risolta in un declamato che si fa melodia scenica.
tare con il gusto conformista della nostra epoca, che poAndata in scena per la prima volta al Teatro dell’Opera
co si concilia con la singolarità di certi compositori e didi Roma nel marzo 1931, La vedova scaltra si avvale della
sprezza particolarmente quelli che, nel corso del Novecollaborazione del librettista Mario Ghisalberti. Il sogcento, hanno osato restare fedeli ad una scrittura emigetto, gustoso e leggero, si prestava particolarmente allo
nentemente tonale, vocale e popolare. Lontano sia dal
spirito di Wolf-Ferrari. Alla comicità leggermente maverismo italiano (per questo la limpidezza con cui tradulinconica del libretto, il compositore apporta un trattaceva in musica i testi di Goldoni difficilmente poteva esmento scevro da qualsiasi trivialità. La sua partitura, vesere apprezzata in un’Italia musicale dominata da Puccilata di colori autunnali, si stacca risolutamente dalla farni, Mascagni e Cilea), sia dal nuovo linguaggio tedesco
sa lirica e testimonia di una sapienza compositiva incondell’atonalità e della dodecafonia, Wolf-Ferrari costruì
testabile, senza nulla perdere della sua spontaneità e delil suo stile musicale ispirandosi alla levità di Mozart e di
la sua naturalezza. I pregi di quest’opera sono innegabiRossini e sullo studio profondo e appassionato dell’ultili: una virtuosità e una vivacità ritmica che stabilisce un
ma esperienza teatrale verdiana.
ponte con il suo contemporaneo Strauss, una verve meRifiutandosi di seguire le mode correnti e di partecilodica e una padronanza della scrittura vocale ereditata
pare alle battaglie artistiche del suo tempo, Wolf-Ferrari
dalla grande tradizione italiana, una comprensione saci ha lasciato deliziose commedie musicali senza età, inpiente delle risorse comiche e, infine, un reale talento di
trise del colore dell’epoca nella quale si svolgono. Nemicolorista orchestrale. Il compositore possiede in sommo
co delle lungaggini e dei ripensamenti, fu certamente un
grado l’arte del pastiche e della citazione, che si manifesta
compositore moderno nell’attegfelicemente nei brani di genere.
giamento di distaccata e diverPiù delle precedenti opere goltita contemplazione dei persodoniane, La vedova scaltra si avnaggi. Il non aver voluto fregiarvicina al manierismo della vesi dell’etichetta di «progressista»
ra opera buffa settecentesca, ad
gli ha permesso di cercare semesempio, nel ricorso al recitatipre i mezzi più semplici per esprivo secco accompagnato dal clamersi, percorrendo una strada di
vicembalo (vedi la notevole aria
assoluta spontaneità. Oggi – a diseicentesca cantata da Rosaura
stanza di quasi un secolo – appanel secondo atto).
re evidente come quella strada lo
Quella di Wolf-Ferrari è una
abbia condotto ad essere diverVenezia della memoria: una citso da tutti i moderni, per quella
tà sospesa nel tempo, con le nogustosa patina arcaica che copre
stalgie di un Settecento illusoleggermente le sue musiche; e dirio e sentimentale che si rifletverso dagli antichi, per lo spirito
tono nella composizione ricmoderno che inevitabilmente si
ca di suggestioni diverse, un
mostra e si fa sentire anche là dorichiamo al passato che non è
ve i modelli classici sono seguiti
scelta di carattere intellettuapiù da vicino.
listico ma rievocazione pittoL’inclinazione per la commedia
resca, ingenuamente divertiin musica ha portato Wolf-Ferrata delle grazie del Settecento
Ermanno Wolf-Ferrari
ri a un naturale e felice connubio
veneziano.
19
All’opera
Un Wagner non realistico
e velato di espressionismo
Giovanni Scandella illustra il suo «Olandese volante»
di Arianna Silvestrini
I
l Teatro Verdi di Trieste dedica l’apertura del 2007 a Richard
Wagner con la rappresentazione dell’Olandese volante. Ne
parliamo con il regista Giovanni Scandella.
Wagner è autore operistico e melodrammatico inquadrato in una sorta di complesso rivoluzionario che abbraccia l’Ottocento fino alle porte del secolo scorso; è
stato un compositore che non ha messo attenzione solamente alla musica, ma al lato totale dell’aspetto spettacolare. Egli inventa il Wort und Drama, ossia l’azione di musica, parola, danza e colore.
Si tratta della messinscena dell’opera come totalità.
Talvolta si fanno dei paragoni ad esempio con il teatro
orientale in cui l’opera come forma totale è canonizzata
fin dai tempi più remoti; basti pensare al teatro Nô, che è
composto di danza, canto, recitazione. Certo il Wort und
Drama non è ancora presente teoricamente nel ’43, data
in cui è andata in scena la prima dell’Olandese Volante. Però chi si accosta con buon occhio e buon orecchio si accorge che questi semi sono già stati gettati. Pur avendo l’opera una costruzione «all’italiana», con forme chiuse di tipo recitativo, già qualcosa si muove verso la definizione di opera moderna. Wagner è l’autore di Tristano e
Isotta, l’opera che Schönberg definisce come l’inizio della
musica moderna. Sia io che lo scenografo Pierpaolo Bisleri e la costumista Marion D’Amburgo abbiamo deciso
di abbandonare l’approccio realistico. Ci siamo attenuti a
quanto i saggi critici e l’autobiografia di Wagner raccontano dal giorno dell’invenzione e della stesura dell’opera
fino a oggi. Abbiamo fatto i conti soprattutto con le opere successive, con un punto di assimilazione che è un po’
diverso da quello di altri compositori, ossia l’aspetto della percezione «sensoriale», l’aspetto cioè delle sensazioni, delle pulsioni interiori.
Baudelaire nel suo saggio su Wagner affronta la questione delle sensazioni suscitate da questa musica nell’animo umano e paragona la musica del genio di Bayreuth all’uso del colore. Wagner usa la musica come un pittore usa il colore. Questo aspetto scivola
in quella sfera «sensoriale» che ci ha interessato
molto. La messinscena perciò ha abbandonato immediatamente qualsiasi orpello di tipo naturalistico. Lo spettacolo nasce con queste fondamenta: non avere alcun tipo di aggancio all’elemento realistico e cercare di raccontare ed evidenziare l’aspetto emotivo. La storia dell’Olandese Volante deriva certamente da alcuni quaderni,
ma anche da un’esperienza diretta, che è quella del viaggio che Wagner compie verso Londra, quando affronta una terribile tempesta. È scioccato da quella tempesta, lo scrive più volte, sia nella sua autobiografia che nelle lettere agli amici. E racconta che quello è stato un episodio determinante, un’esperienza importantissima, diciamo di «pulsione interiore». Non narrando la vicenda
da un punto di vista realistico, abbiamo cercato di portare lo spettacolo in una zona atemporale. Non c’è un tempo definito.
Secondo me poi il compimento perfetto del romanticismo avviene con l’esordio dell’espressionismo che chiude definitivamente l’esperienza romantica, passando per
il naturalismo. Questo ci ha suggerito di giocare su alcuni elementi principali. C’è qualcosa di dipinto alla maniera romantica, in questo allestimento, ma c’è anche la
presenza del filmato, che richiama la stessa esperienza
pittorica. E il filmato è raccontato, ancora una volta, in
maniera non realistica, ma è filtrato attraverso un modo
di vedere espressionista.
Ci racconta qualche dettaglio dell’allestimento?
A differenza di altri che ho avuto modo di vedere, qui
non c’è la presenza diretta delle due navi. Questo non
vuol dire che questa presenza venga meno, ma è rielaborata ed evocata. Un luogo deputato diventa talora la nave
di Daland, talora la nave
dell’Olandese. Avremo
questa macchina che
permette dei cambi di
scena passando da una
nave all’altra, suggerendo sia una che l’altra senza rappresentarle direttamente.
Trieste
Teatro Lirico Giuseppe Verdi
19, 21, 23, 25, 26
e 27 gennaio, ore 20.30
20 gennaio, ore 17.00
21 gennaio, ore 16.30
20
All’opera
Per una riscoperta
dell’«Andromeda» di Zingarelli
Il melologo per tre personaggi
è stato rappresentato a Venezia nel 1796
È
di Emilio Sala
noto il successo e l’impatto che ebbe il Pygmalion
prova ce la dà l’Idomeneo».
di Rousseau in Italia. Rappresentato per la priTra i rari esempi italiani di melologo (o di mélodrame,
ma volta a Lione nel 1770, questo prototipo di
secondo la denominazione francese), è rimasto pressotutti i melologhi moderni, varcò ben presto le Alpi. Già
ché sconosciuto quello probabilmente più importannel 1772 Francesco Milizia, nel suo famoso Trattato comte: l’Andromeda di Niccolò Zingarelli (testo in versi di
pleto, formale e materiale del teatro, sollecitava il mondo muGiovanni Bertati), «rappresentato [a Venezia] nell’ansicale italiano a seguire le orme di Rousseau: «E perno 1796, nel Teatro di S. E. il Signor Conte Carlo di
ché su quel saggio felicemente riuscito in Francia, non
Breünner». Il suo sottotitolo, «melodramma in due atse ne fanno de’ consimili in Italia? Correggerci, oh che
ti», non è usato come sinonimo di «opera», ma appunto
vergogna!».
come equivalente italiano del termine francese «méloAnche Mozart si innamorò del melologo nel 1778, al
drame» («Melodram», in tedesco). Rispetto sia al moritorno da Parigi, durante la sua permanenza a Mandello di Rousseau che a quello di Benda, Bertati e Zinnheim. In particolare studiò approfonditamente l’Ariagarelli svincolano il loro «melodramma» dall’impianto
dne auf Naxos e la Medea di Jiri Benda che lodò in una
del monologo: i tre personaggi che agiscono in scena
rivelatrice lettera al padre («Questi due drammi so(Andromeda, Fineo e Perseo) interloquiscono costanno davvero eccellenti. Lei sa bene che non sono cantemente tra loro ed hanno più o meno lo stesso peso
tati ma declamati e che la musica è quasi un recitatidrammaturgico.
vo obbligato; talvolta si recita su uno sfondo musicale,
Una ripresa (la prima in tempi moderni) di questo teil che fa uno splendido effetto»). Egli progettò un mesto appare dunque tanto più interessante – specialmenlologo (che avrebbe dovuto inte nell’anno del CCL anniversario della
titolarsi Semiramis) esemplato
nascita di Mozart – in quanto consensul modello bendiano e insete di riproporre contemporaneamente
Milano – Teatro Litta
rì pezzi melologici nella Zaide
un genere ibrido e raro come il melo12, 13, 14 febbraio 2007
e nel Thamos. Come ha scritto
logo (in cui si uniscono parola recitaAndromeda di Niccolò Zingarelli
Hermann Abert, l’essersi octa e musica strumentale) e un autore di
testo di Giovanni Bertati
cupato del melologo ha aiutagrande importanza storica coAccademia Litta – Orchestra classica
con strumenti d’epoca
to grandemente Mozart nella
me Niccolò Zingarelli (fordirettore e concertatore Manlio Benzi
messa a punto del suo recitase il più importante comporegia Roberto Recchia
tivo accompagnato, «della cui
sitore italiano tra Paidirettore artistico Emilio Sala
affinità col melologo egli fin
siello e Rossini).
In collaborazione con il Dipartimento
dapprincipio si era reso perdi Storia delle Arti, della Musica e
fettamente conto. La miglior
dello Spettacolo – Università degli
Studi di Milano e l’Accademia dei
Filodrammatici
Perseo Libera Andromeda, Rubens (1622, Staatliche Museen, Berlino)
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