All’opera «La vedova scaltra» commedia moderna e piena d’ironia Massimo Gasparon spiega la sua messinscena dell’opera D urante tutto il Carnevale alla Fenice è andata in scena La vedova scaltra di Ermanno Wolf-Ferrari, con libretto di Mario Ghisalberti sull’originale goldoniano. Massimo Gasparon – regista, scenografo e ideatore dei costumi – ci illustra come è nato il suo allestimento. Sono partito dalla musica, ascoltandola moltissime volte. All’inizio ho fatto un po’ di fatica, perché non arriva immediatamente, ma ben presto mi sono reso conto di quanto sia straordinaria. Quando ho cominciato a entrare nel discorso che fa Wolf-Ferrari mi si è parato davanti il fi lm dello spettacolo. Improvvisamente avevo già in mente le sequenze, c’era un commento sonoro molto chiaro. Ho studiato l’originale di Goldoni e anche l’operazione che è stata fatta da Wolf-Ferrari sul testo antico. Il compositore ha chiesto infatti al librettista di tagliare dei personaggi, perché la vicenda non subisse distrazioni. Questo lavoro di taglio è durato un anno e mezzo, perché il musicista era religioso nel rispetto di Goldoni, e non voleva assolutamente compromettere la trama dell’opera. Quest’operazione di semplificazione ha velocizzato molto la storia, e ha tolto tutta la parte destinata alle maschere, lasciandone una solLa vedova scaltra tanto, quella di Arlecchino, alla quale il fatto di restare sola in scena conferisce molta più forza. Mi è piaciuto anche il trattamento musicale che Wolf-Ferrari riserva ad Arlecchino, perché ne mette in evidenza una certa componente diabolica, mentre di solito questo personaggio viene molto edulcorato. Presto ho deciso di seguire non la linea di Goldoni, ma quella di Wolf-Ferrari, e cioè di ambientare la messinscena nel 1930, perché mi sembrava che la musica esigesse un taglio novecentesco. E infatti tutta l’opera funziona benissimo in una Venezia dei primi anni trenta. Non c’è nessuna forzatura. L’unico momento in cui si capisce che siamo nel Settecento è la scena del duello con le spade. Ma io li faccio combattere in maschera… Ho poi voluto giocare anche sul personaggio di Rosaura, che già nell’originale goldoniano appare una vedova ricca, ma in questo allestimento è straricca, tanto che, più che essere lei a cercare marito, dovrebbero essere gli altri a cercare lei. Le ho fatto fare dieci cambi d’abito, anche per dare l’idea di non prendere troppo sul serio la vicenda. Spero sia stato evidente il senso dell’ironia, che poi è ciò che anima Wolf-Ferrari. Questo compositore è talmente ironico che a volte viene frainteso. Il fatto stesso di citare molto spesso altri musicisti, come ad esempio Puccini, io non lo trovo un difetto, ma anzi un pregio, perché così scherza sopra la sua professione. La vedova scaltra è un’opera che ne richiama anche altre al suo interno, a cominciare dalla Boheme. Ma, come Nino Rota, Wolf-Ferrari non fa citazioni a caso, al contrario sono sempre coltissime e volute. Una modifica rispetto alla scansione originale che ho voluto compiere è stata quella di dividere l’opera in due. In realtà gli atti sono tre, e terminano con dei momenti in cui il coro smorza le situazioni. Io invece ho scelto un punto musicale forte per chiudere la prima parte e dividere lo spettacolo in due metà esatte di un’ora l’una, la prima «in interni», tra la casa e il giardino, la seconda invece ambientata all’esterno, con la citazione di campo San Bartolomeo. Due parole sui costumi… Prima di tutto voglio sottolineare che con la Fenice è stato portato a termine un esperimento, perché questa è la prima volta che il Teatro produce in proprio dei costumi. Ci siamo comportati come fosse una collezione di moda, a cominciare dalla campionatura dei tessuti di Rubelli. È stato un lavoro enorme, ma alla fine la soddisfazione è stata grande per tutti. Una fonte di ispirazione mi è venuta da un celebre film del 1932 con Joan Crawford, Grand Hotel. Infatti Rosaura è vestita come la famosa dattilografa impersonata dall’attrice: ho cercato di ricreare l’atmosfera anni trenta anche grazie a una citazione puntuale e scoperta. (l.m.) 25 All’opera Aspettando la «nuova musica»: «Erwartung» di Schoenberg e il crollo dell’io di Elisabetta Fava O gni tanto i cammini dell’arte sono attraversati berg attua ormai la completa disintegrazione del persoda annate folgoranti, in cui la fantasia sembra naggio, incapace di dominare pensieri, ricordi, passioanimarsi di colpo e intuire strade nuove e proni. Di questa frantumazione si fa carico in primo luomettenti. I mesi fra il 1908 e il 1909 furono particolargo la vocalità, concepita più come diagramma di una mente densi d’eventi musicali: la Sonata op.1 di Webern mente sconvolta che come canto nel senso tradizionale: e la Passacaglia di Webern, Elektra di Strauss, il Primo tanto che a un certo punto, quando la donna (proprio Quartetto di Bartók, i George–Lieder di Schoenberg. Paul al principio) commenta: «dovrei cantare, così mi sentiBekker addirittura scelse proprio il 1909 come ideale rebbe» l’impossibilità del canto è sancita dal subitaneo spartiacque fra la musica genericamente «moderna» e ammutolire. La partitura cerca di sondare gli abissi del la «nuova musica», decisa a imboccare le vie più radicali dell’atonalità e dello sperimentalismo, e ormai matura per poterlo fare. Questo è il panorama in cui si colloca il monodramma Erwartung (Attesa) di Arnold Schoenberg: composto proprio nell’annata simbolica 1909, ma di fatto tenuto nel cassetto fino a quando Alexander Zemlinsky, amicissimo dell’autore, lo diresse a Praga il 6 giugno 1924. Scritto da Marie Pappenheim, dottoressa in neurologia, Erwartung è una sorta di Urlo munchiano al femminile, una catabasi nelle patologie dello spirito: difficile rovesciare i capisaldi del teatro romantico in modo più drastico, e insieme esserne altrettanto imbevuti. Una donna si agBozzetto di scena gira sola a notte fonda nei paraggi di Alfred Siercke per Erwartung, Amburgo 1954. di una foresta, vagando ora nella macchia ora fra le radure inondate di luna: desidera il suo uomo, che non arriva, e lo cerca sfidando le tenebre finché non insilenzio: vi sentiamo i mormorii sinistri della notte, il ciampa nel suo cadavere. Da questo momento cominbatticuore della donna, persino il frusciare del vento tra cia a rievocare i loro amori con toni sempre più febbrile fronde, amplificati dal terrore; non c’è il tempo di decitanti: quando l’alba comincia a biancheggiare, la doncifrarli, passano come fantasmi e spariscono: persino na (e la musica con lei) ha quasi un mancamento nel la celesta, di solito così leggiadra, sembra spettrale, anpensare che d’ora in poi nella sua solitudine non ci sache perché spesso mescolata al registro livido dei conrà più luce possibile. Siamo nella classica notte stellata, trabbassi (qui la luna della Salome ha fatto scuola!). Copropizia ai convegni amorosi; ma qui il «duetto» è sostime alla donna manca ormai qualunque riferimento ratuito da un disperato monologo con un morto, e il fatzionale, così alla musica manca l’appiglio tonale, comto che in cielo non ci sia nemmeno una nuvoletta non promesso da continue fratture nelle funzioni armonisembra affatto poetico, ma terrificante alla protagoniche; ma il fascino di questo lavoro di fulminea brevista: che resta senza nome, senza volto, viva solo per un tà (neanche mezz’ora di durata) è soprattutto nell’uso amore che forse ha solo sognato. Il clima allucinatoipersensibile della strumentazione. L’orchestra funziorio è molto vicino a quello dell’ultimo Strindberg; forna infatti come un gigantesco serbatoio di invenzioni se la donna ha ucciso l’amante con le cameristiche, dai frullati dei flauti ai sue mani, o ha permesso che ciò acsuoni sovracuti prolungati allo spacadesse, o ha soltanto un incubo, di simo, dagli archi sfregati col legno ai Venezia – Teatro La Fenice quelli devastanti. Comunque sia, nel sussurri impercettibili dei fiati: e in Erwartung (Attesa) gigantesco proiettarsi dell’io su tutto quest’esasperazione acustica Schoendi Arnold Schoenberg ciò che lo circonda, nella deformaberg scrive una delle pagine più in16, 20, 22 marzo, ore 19.00 zione cosmica che ne deriva Schoentense dell’Espressionismo. 18, 24 marzo, ore 15.30 26 All’opera Paolo e Francesca secondo Rachmaninov di Massimo Contiero «L a spontaneità melodica nel senso letterale delviene citato letteralmente il celebre verso «Nessun magla parola è il vero obiettivo di ogni compositogior dolore che ricordarsi del tempo felice ne la miseria», re… la melodia è la musica». «Non riesco a lipoi ripreso anche dal coro in chiusura del dramma. berarmi del mio modo di scrivere musica e non riesco ad Nel 1902, un viaggio a Bayreuth, aveva fatto conoscere acquisire quello di oggi per quanti sforzi io faccia. La mada vicino a Sergej il teatro e la musica di Wagner. Come i niera musicale contemporanea non viene a me». Affermaconnazionali Glier, Liadov, Miaskovskij, ne restò indubzioni come queste, condannarono Rachmaninov, presbiamente influenzato. Ecco dunque il cromatismo e l’inso tutte le avanguardie del XX secolo, al ruolo di senticessante instabilità armonica che permeano, ad esempio, mentale epigono del tardo romanticismo di derivazione il Prologo. È una pagina costruita su piccole cellule mecajkovskijana. Il successo raggiunto in vita soprattutto nelodiche eternamente cangianti, in cui l’intervallo di semigli Usa, dove si era stabilito fin dal 1918, e gli abusi nelle tono discendente ha una funzione fondamentale. Anche colonne sonore hollywoodiane della sua musica (soprattutto del suo secondo Concerto per pianoforte), finirono per rafforzare le convinzioni dei suoi detrattori europei. Tuttavia la sapienza strumentale e l’immediata efficacia della sua produzione pianistica, grazie a grandi interpreti come Horowitz, Richter, Ashkenazy, non ha fatto dimenticare il suo nome e l’interesse si è gradatamente steso alla riconsiderazione della sua musica sinfonica e vocale. Nel nostro Paese, con la sola eccezione di Benedetti Michelangeli, che incise il Quarto concerto, i maggiori pianisti non hanno incluso Rachmaninov nel loro repertorio e non meraviglia che questa edizione di Francesca da Rimini sia la prima, alla Fenice. Dopo la lunga egemonia del petrarchismo, l’interesse per Dante, grazie a Foscolo e De Sanctis, aveva preso nuovo impulso nell’Ottocento. Nel mondo musicale la «romantica» vicenda di Paolo e Francesca, decritta nel V Canto dell’Inferno, aveva suggerito nel 1877 il poema sinfonico Felice Giani, Dante e Virgilio con le ombre di Paolo e Francesca, 1805. di Cajkovskij e nel 1882 l’opera di Thomas, e dopo Rachmaninov arriveranno Colautti e Mancinelli (1908) e D’Annunzio e Zandonai (1914). Il giudizio il canto è un declamato che spesso fa pensare alla unendlipositivo di Caikovskij, membro della commissione d’esache Melodie e il riaccendersi della passione tra i due amanme, sull’atto unico Alekò, presentato come prova di lauti ricorda Tristano. Nello stesso senso va l’orchestrazione. rea finale in composizione da Rachmaninov, aveva rafSi consideri ad esempio l’introduzione della grande sceforzato l’amicizia e la stima tra i due musicisti. La scelta di na di Lanceotto, con il solenne procedere degli ottoni sul Francesca da Rimini può essere vista anche come un omagtremolo degli archi. Di particolare efficacia coloristica gli gio postumo all’autore tanto ammirato, ancor più avvainterventi del coro, prevalentemente usato a bocca chiulorato dalla collaborazione con il fratello, Modest Cajkosa (il celebre modello di Butterfly risaliva a soli due anni vskij, come librettista. L’opera è un atto unico con un proprima). logo (in due parti) ed un epilogo nel girone dei lussuriosi e La partitura nel suo insieme mira a ricreare la tetra amdue quadri che ricostruiscono l’antefatto, con i personagbientazione e l’angoscia per il fato avverso. L’anno succesgi ancora in vita. Rispetto al divino poema viene ampliasivo Rachmaninov scriveva il poema sinfonico L’Isola dei to il ruolo di Lanceotto (Gianciotto) Malatesta, lo sgraziamorti, ispirato al quadro di Böcklin. Fascino del ferale e deto marito assassino di Francesca, che doveva essere affidamonico che troviamo anche nel Poème satanique di Skrjabin to a Fëdor Ivanovic Saljapin, il grande base in Suggestion diabolique di Prokofiev. so che aveva già cantato in Alekò, ma che Nel periodo in cui era secondo direttopoi rinunciò per contrasti con il composire al Teatro Bolshoi, fu lo stesso RachmaVenezia – Teatro La Fenice tore. Il secondo quadro è un lungo duetto ninov a concertare la prima esecuzione Francesca da Rimini d’amore tra Paolo e Francesca. Quando i di Francesca da Rimini, il 24 gennaio 1906. di Sergej Rachmaninov due amanti si avvicinano a Dante e all’omCompletava la serata l’altro suo atto unico, 16, 20, 22 marzo, ore 19.00 18, 24 marzo, ore 15.30 bra di Virgilio, per narrare il loro peccato, Il Cavaliere avaro, libretto da Puskin. 27 All’opera 28 All’opera Il primo «Don Giovanni» di Tomas Netopil Il giovane direttore moravo dà la sua lettura della celebre opera mozartiana S arà Tomas Netopil, giovane e dotato direttore moravo, di classicistica formazione mitteleuropea e sensibile interprete mozartiano – per parafrasare Mario Messinis – a dirigere al Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste una fra le più celebri opere del compositore salisburghese. Composto tra il marzo e l’ottobre del 1787, quando Mozart aveva 31 anni, il Don Giovanni è la seconda delle tre opere italiane che scrisse su libretto di Da Ponte. Rappresentando uno dei massimi capolavori della storia della musica e della cultura occidentale, è ravvisabile in esso il riflesso di tutto il genio mozartiano nei diversi stili e modalità compositive, e di un Settecento musicale giunto all’apice del suo fulgore e alle porte dell’oramai prossimo Romanticismo. «È la prima volta che mi cimento con il Don Giovanni», ci spiega Netopil, «e affrontare quest’opera mi lusinga e rende felice. Dal punto di vista più squisitamente musicale, l’intenzione è stata quella di tessere una trama che rivelasse una buona intesa tra cantanti e orchestra. Sono infatti un sostenitore del fatto che l’orchestra non debba esser intesa come semplice accompagnamento, così come i cantanti non debbano essere visti nell’unica Trieste – Teatro Lirico Giuseppe Verdi 31 marzo, 1, 3, 4, 5, 6, 7 aprile 2007 Il dissoluto punito ossia Il Don Giovanni Dramma giocoso in due atti KV 527 su libretto di Lorenzo Da Ponte Musica di Wolfgang Amadeus Mozart (Edizioni Bärenreiter-Verlag, Kassel Rapp. per l’Italia: Casa Musicale Sonzogno di Piero Ostali, Milano) Allestimento della Fondazione Arena di Verona e della Fondazione “I Teatri” di Reggio Emilia Don Giovanni Donna Anna Don Ottavio Il Commendatore Donna Elvira Leporello Masetto Zerlina veste di solisti: entrambi devono saper ascoltare e fondersi a formare un “tutto”. E questo non sempre risulta esser lavoro da poco». «Con l’orchestra», continua Netopil, «abbiamo lavorato in maniera molto intensa al fine di creare delle atmosfere sonore che accompagnassero i personaggi e i loro interpreti con coloriture affettive precise e diversificate: l’atmosfera lirica di Donna Anna e Don Ottavio, quella patetica del Commendatore e di Donna Elvira, quella ingenua di Zerlina e Masetto, le tinte drammatiche di Don Giovanni e quelle buffe del suo Leporello. Una ricchezza davvero notevole che la tonalità delle arie, i recitativi accompagnati e gli effetti creati da tutti gli strumenti faranno prorompere sulla scena di questo “dramma giocoso” che, senza presagi funesti, senza soffio di morte che stenda la sua ala sul protagonista, dal “Molto Allegro” dell’Ouverture finisce solo con l’apparizione del Commendatore al banchetto. Se dovessi citare un paragone, non potrei che nominare il Faust di Goethe, a mio parere la figura più vicina al protagonista mozartiano». Ovunque si sia esibito, Tomas Netopil ha saputo entusiasmare e conquistare pubblico e critica, convincendo il mondo internazionale della musica delle sue indiscusse doti musicali e interpretative. (i.p.) Nicola Ulivieri Jean Francois Lapointe Annick Massis Adriana Kohútková Rainer Trost Ivan Magrì Dmitri Ageev Tatiana Serjan Irina Muratbekova Lorenzo regazzo José Fardilha Giampiero Ruggeri Alessandra Marianelli Maestro concertatore e direttore Tomas Netopil Regia Daniele Abbado Scene, costumi e luci Giovanni Carluccio Regia video Luca Scarzella Maestro del Coro Lorenzo Fratini Assistente alla regia Boris Stetka Assistente ai costumi Giada Palloni 29