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FISICA
FISICA/
MENTE
Roberto Renzetti
ECCITATORI E DINAMO
Abbiamo già parlato di eccitatori per gli alternatori. Occorre ora dire qualcosa di più sul
loro funzionamento.
Sappiamo già che un induttore in un alternatore è un elettromagnete ed un elettromagnete è
costituito da una barra di ferro dolce o di acciaio (nucleo) intorno a cui è avvolto a matassa un filo
conduttore. Appena nel conduttore viene fatta circolare corrente continua la sbarra si magnetizza
diventando appunto un elettromagnete. Nel caso quindi del nostro induttore occorre disporre di
una corrente continua che circoli nel filo avvolto intorno al nucleo e lo faccia diventare un
elettromagnete. Allo scopo occorre quindi un generatore di corrente continua che alimenti con
continuità l'induttore. Questo generatore è chiamato eccitatore. Esso può essere montato o sullo
stesso asse motore dell'alternatore o separato da esso. In ogni caso il dispositivo più usato fino ad
alcuni anni fa ed ancora oggi molto in uso è la dinamo che è appunto un generatore di corrente
continua.
Il funzionamento di principio di una dinamo non si discosta molto da quello di un
alternatore e per comprenderlo ci possiamo rifare direttamente alla fig. 1 (spira ruotante in un
campo magnetico) ed alla fig. 18-a (sistema collettore formato da contatti striscianti tra anelli e
spazzole). Abbiamo già detto che nel caso di un alternatore per correnti e tensioni elevate non era
consigliabile avere l'indotto in movimento poiché il prelievo della tensione fatto attraverso contatti
striscianti poneva gravi e non risolubili problemi di isolamento. La figura 1 insieme alla figura 18-a
servivano quindi solo ad illustrare il principio di funzionamento di un alternatore che nella pratica
è invece realizzato come in figura 19-2 (essenzialmente con l'indotto fisso e l'induttore in moto). Nel
caso invece di una dinamo, poiché tensioni e correnti in gioco sono più piccole, è possibile usare
contatti striscianti per prelevare la tensione di uscita e quindi è possibile avere l'indotto in moto
proprio come nella figura 1. Ma uno strumento come quello visto forniva comunque tensione
alternata. Per renderla continua o quasi occorre modificare il sistema di collettore, visto in figura
18-a, come in figura 18-b (commutatore). Ridisegno la figura 18-b più in dettaglio per spiegare il
funzionamento del commutatore.
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(a)
(b)
(c)
Figura 36
Per capire come funziona questo sistema formato da due semianelli collegati alle estremità della
spira (ed isolati fra loro) e due spazzole striscianti serviamoci delle figure 36-b e 36-c, ottenute
guardando il sistema lungo l'asse della spira e dei semianelli in due istanti successivi, quando nel
suo moto rotatorio la spira dà luogo all'inversione dei contatti dei due semianelli con le due
spazzole. Nella spira circola sempre una corrente indotta che viene trasferita all'esterno attraverso
i due contatti A e B delle spazzole. Nel caso di figura 36-b la corrente va dalla spazzola A al
semianello 1 e quindi, tramite la spira, dal semianello 2 alla spazzola B. In definitiva la corrente
prodotta
dalla spira ha il verso che va da A a B. Nel caso di figura 36-c, quando la spira ha superato la
posizione di tensione nulla (spira perpendicolare alle linee di forza), le spazzole si sono scambiati i
semianelli e contemporaneamente la corrente nella spira circola in verso opposto ; ciò fa sì che la
corrente vada dalla spazzola A al semianello 2 e quindi, tramite la spira, dal semianello 1 alla
spazzola B. In definitiva, anche qui, la corrente prodotta dalla spira circola da A verso B. La
corrente complessiva prodotta da un giro completo della spira sarà allora, unidirezionale ed anche
se non proprio
continua avrà un andamento come quello riportato in figura 37 (questo collettore taglia la
componente negativa della corrente alternata facendola diventare corrente
pulsante).
Figura 37: Loop = Spira; Field = Campo; EMF = Forza elettromotrice.
Anche qui però con opportuni accorgimenti costruttivi è possibile rendere praticamente continua
la tensione e corrente di uscita. Si tratta di avere, anziché una sola spira,
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tanti gruppi di spire avvolte intorno ad un nucleo di ferro dolce (anello di Pacinotti) che funzionano
da indotto ed un commutatore consistente in tanti settori di rame quanti sono
i gruppi di spire disposti sopra un cilindro ed isolati tra loro (fig. 38, fig. 39 e fig. 40). In
Figura 38: In questo caso si dispone di due spire ruotanti. I semianelli sono diventati quattro. Le tensioni
si sovrappongono in modo da dare per risultante ciò che è mostrato in figura 39.
Figura 39
Figura 40: Le spire ruotanti sono ora tre (a). I semianelli sono sei (a). La tensione risultante è mostrata in
(c).
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Figura 41: come si presenta in genere un disegno schematico di una dinamo.
questo modo la corrente di uscita risulta uguale alla somma di tutte le correnti indotte originate in
ciascun gruppo di spire ed si avvicina sempre più ad una corrente continua al crescere del numero
degli avvolgimenti, come mostrato in figura 40-c. La dinamo è inoltre una macchina ad elevato
rendimento che, in pratica, in una buona dinamo può arrivare al 92%.
E' quindi una dinamo che viene usata da eccitatore per fornire tensione (continua)
all'induttore di un alternatore. Questa dinamo può essere montata sullo stesso asse dell'alternatore
in modo che la rotazione di quest'asse origini contemporaneamente la rotazione dell'indotto della
dinamo e dell'induttore dell'alternatore.
Altre volte, per svariate ragioni, la dinamo può essere separata dall'alternatore. Oggi poi,
per ragioni di maggiore semplicità costruttiva e maggiore facilità di regolazione,
si tendono ad usare altre macchine separate dall'alternatore (raddrizzatori statici, raddrizzatori a
secco, commutatori a vapori di mercurio, ...).
TRASFORMATORI ED EFFETTO JOULE
Quando abbiamo introdotto la c.a. abbiamo detto che uno dei suoi vantaggi rispetto alla c.c.
era la possibilità di trasformazione di una tale tensione (e corrente), fatto, quest'ultimo,
fondamentale per le esigenze di trasporto della corrente medesima.
I generatori di c.c. infatti (come ad es. la dinamo) sono in grado di produrre solo alte correnti e
tensioni non troppo elevate (e questo a causa delle difficoltà di isolamento a cui si è più volte
accennato, che si hanno per prelevare la tensione, mediante contatti striscianti, dall'indotto in
movimento). Se si dovesse trasportare corrente continua occorrerebbe farlo in condizioni di bassa
tensione e notevole intensità di corrente.
Ma, a questo punto, occorre ricordare che il passaggio di una corrente
in un circuito elettrico provoca il riscaldamento di quest'ultimo. Il fatto che un conduttore
percorso da corrente si riscaldi è noto come Effetto Joule.
Abbiamo già visto che la potenza elettrica la possiamo esprimere come prodotto della
tensione V per la corrente I:
(1)
W=V.I
Ma, d'altra parte, la potenza è il lavoro fatto nell'unità di tempo:
(2)
W=L/t
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Di conseguenza il lavoro fatto dalle forze elettriche si ottiene sostituendo la (2) nella (1):
(3)
L/t=V.I
da cui
L=V.I.t
Sappiamo poi dal 1° principio della, termodinamica che, quando non c'è variazione dell'energia
interna di un sistema, tutto il lavoro meccanico (od elettrico) si trasforma in calore, secondo la
relazione; .
(4)
L=J.Q
dove Q è il calore prodotto dal lavoro L e J è una costante (J = 4186 joule/Kcal).
L'espressione ora vista può essere sostituita al 1° membro della seconda delle (3), ottenendo:
(5)
JQ = V . I . t
da cui
Q = (1/J) . V . I . t
dove Q è la quantità di calore prodotto in un circuito al passaggio, per un tempo t, di una corrente
di tensione V ed intensità I.
Ricordando ora che tensione e la corrente sono legate tra loro dalla legge di Ohm:
(6)
V=I.R
(con R = resistenza del circuito) si può sostituire questa relazione nella seconda delle (5)
ottenendo:
Q = (1/J) . I2 . R . t
Poiché poi 1 / J = 0,00024 Kcal/joule, l' espressione finale che otteniamo è:
(7)
Q = 0,00024 . I2 . R . t
Kca1/joule
(questa relazione è certamente valida, per c.c. Per la sua validità in c.a. basta intendere V ed I
come i valori efficaci delle tensioni e correnti alternate in oggetto). E questa relazione che esprime
la legge di Joule dice che: la quantità di calore sviluppata da una corrente elettrica in un circuito è
proporzionale al quadrato dell'intensità di corrente, alla resistenza del circuito ed al tempo in cui
questa corrente circola.
Per quel che ci interessa, è importante osservare la dipendenza dal quadrato della corrente
in contemporanea con la dipendenza dalla resistenza. Infatti per rendere il più piccolo possibile Q
occorre rimpicciolire sia I2 che R (visto che sul tempo necessario ad una corrente per trasferirsi da
un punto ad un altro non possiamo intervenire). Ma noi sappiamo che le dinamo producono alte
correnti (e basse tensioni) e quindi il nostro
campo di intervento si riduce ad R. Da un punto di vista tecnico si potrebbe diminuire di molto la
resistenza della linea ma, per far questo, occorrerebbe usare cavi di grande sezione. Per ragioni
economiche questa eventualità viene esclusa.
Con la corrente continua quindi si avrebbero grosse perdite per effetto Joule nel trasporto a
distanza. Con le correnti alternate le cose vanno diversamente. Infatti un alternatore può produrre
alte tensioni che, essendo alternate, possono essere trasformate ulteriormente in tensioni (anche
moltissimo) più alte (come vedremo subito); nel trasformare una tensione in una più alta si ha, a
parità di potenza, la conseguenza dell'abbassamento (anche notevole) della corrente. Vediamo
perché. La potenza in c.a. è data da:
W = Veff . Ieff . cos φ .
Poiché in una stessa corrente il cos φ si mantiene lo stesso non ci interessa; rimane allora da
occuparci degli altri termini della relazione. Se W rimane costante ed aumentiamo Veff , proprio
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perché W rimane costante, si ha come conseguenza una diminuzione proporzionale di Ieff. Posto
cos φ = 1, se W = 10, Veff = 5 e Ieff = 2 si ha:
10 = 5 . 2
se raddoppiamo Veff , come conseguenza si dimezzerà Ieff
10 = 10 . 1
e così via:
10 = 100 . 1/10 = 1.000 . 1/100 = 10 000 . 1/1000
Quindi il poter trasformare una tensione è un fatto di notevole importanza che tra l'altro si
realizza con macchine ad elevatissimo rendimento, i trasformatori, con nessun organo in
movimento e concettualmente molto semplici.
I1 trasformatore (in prima approssimazione) consiste di due avvolgimenti elettrici
elettricamente separati ma concatenati magneticamente sullo stesso nucleo di ferro (fig. 42). Uno
dei due avvolgimenti è il circuito primario, l'altro è il secondario.
(a)
(b)
(c)
Figura 42
Quando al primario inviamo una tensione alternata, delle linee magnetiche di forza si creano nello
spazio circostante, linee che sono catturate dal ferro e che quindi in grandissima parte passano
attraverso di esso. Queste linee di forza vanno a concatenarsi con l'avvolgimento del secondario. A
questo punto viene fuori, il grande vantaggio della c.a. rispetto alla c.c. Proprio perché la corrente
alternata di cui noi disponiamo al
primario va alternativamente da A a B e quindi da B ad A (cambiando verso 50 volte al secondo,
d'accordo con i 50 Hz di frequenza della rete elettrica), le linee di forza che si originano al
passaggio della corrente cambieranno alternativamente verso con 1a stessa frequenza della
corrente. Quindi il flusso delle linee di forza concatenato con il secondario varierà allo stesso modo
raggiungendo valori minimi e massimi 50 volte al secondo.
Abbiamo già visto che quando c'è variazione di flusso concatenato si genera nel circuito,
non alimentato ma sottoposto a questa variazione una corrente indotta. Ebbene il passaggio di una
corrente alternata nel primario origina una corrente alternata della stessa frequenza nel
secondario.
Vediamo ora quali sono i valori delle correnti e delle tensioni.
Essi dipendono dal numero delle spire N1 del primario e da quelle N2 del secondario. Si
dimostra che vale la relazione:
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V2 : V1 = N2 : N1
cioè:
(8)
V2 / V1 = N2 / N1
da cui
V2 = V1 . (N2 / N1)
Questa relazione vuol dire che il trasformatore eleva o riduce la tensione a seconda che il rapporto
N2 / N1 sia maggiore o minore di 1. Se volessimo elevare la tensione dovremmo avere un basso
numero di spire al primario ed un alto numero di spire al secondario; viceversa nel caso si volesse
ridurre lo tensione.
Supponiamo di avere una tensione al primario di 1000 V e di volerla portare a 10000 V.
Basta far si che il rapporto N2 / N1 (rapporto di trasformazione) sia uguale a 10 e quindi si
potranno avere, ad esempio, 100 spire al primario (N1 = 100) e 1000 spire al secondario (N2 = 1000)
cosicché N2 / N1 = 1.000/100 = 10. Per ridurre la tensione da 10000 V a 1000 V basta operare allo
stesso modo e far si che N2 / N1 = 1/10. Si avranno quindi, ad esempio, 1000 spire al primario (N1 =
1000) e cento spire al secondario (N2 = 100), di modo che N2 / N1 = 1/10.
Nel caso in cui si disponga di un carico collegato al secondario allora il trasformatore non
trasforma più solo la tensione ma anche la corrente, diventando un trasformatore di potenza.
Poiché, abbiamo già detto, il trasformatore è una macchina
ad altissimo rendimento (può superare anche il 99%), si possono considerare uguali le potenze di
entrata e di uscita (è sottinteso che le tensioni e le correnti sono quelle
efficaci):
V1 . I1. cos φ1 = V2 . I2 . cos φ2
In normali condizioni cos φ1 è circa uguale a cos φ2 per cui, con buona approssimazione, si può
scrivere:
V1 . I1 = V2 . I2
cioè:
V2 / V1 = I2 / I1
e, ricordando la prima delle (8), si ha:
I1 / I2 = N1 / N2
da cui
I2 = I1 . (N2 / N1)
Si vede subito allora che, mentre le tensioni erano direttamente proporzionali ai numeri di spire
del primario e del secondario, le correnti risultano inversamente proporzionali
allo stesso numero di spire; quindi mentre la macchina eleva tensione abbassa corrente a viceversa
(vedi fig. 42-a e 42-c).
Si tenga poi conto che la differenza fra le intensità delle correnti del primario e del
secondario dimensiona anche le sezioni dei fili conduttori nei due circuiti. Infatti là dove le correnti
sono più elevate occorre utilizzare cavi di sezioni maggiori (resistenze minori).
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Un importante problema che si presenta utilizzando i trasformatori, soprattutto se di
elevata potenza è quello del loro raffreddamento. Si pensi che un trasformatore con la potenza di
5000 KW con un rendimento del 97% dà una perdita di 150 KW che vanno a scaldare il
trasformatore come un forno di quella potenza.
Per raffreddare i trasformatori si usano due metodi:
1) raffreddamento ad aria: quando i trasformatori sono di piccola potenza basta lo scambio di
calore con 1'ambiente esterno, per raffreddare il trasformatore;
2) raffreddamento ad olio: per trasformatori di elevata potenza. Il trasformatore è posto in un
contenitore metallico pieno di olio minerale. L'olio ha il duplice scopo di isolare le varie parti del
trasformatore e di raffreddarlo con i suoi moti convettivi. Le pareti dei recipienti sono poi munite
di radiatori per facilitare lo scambio con l'aria esterna. Nel caso in cui si usi l'olio per raffreddare
un trasformatore occorre porre in atto due importanti precauzioni. La prima è che il recipiente
deve essere sempre pieno d'olio (ed allo scopo si usa un particolare recipiente esterno - il
conservatore d'olio - che serve appunto a mantenere costante il livello dell'olio). La seconda è
relativa alla formazione nel trasformatore di sovracorrenti che sviluppino dall'olio dei gas che
possono originare delle esplosioni (ed allo scopo si usano delle apparecchiature automatiche che
servono a distaccare il trasformatore dalla linea in caso di produzione di sovracorrenti).
La figura 42 è relativa ad un trasformatore statico monofase. E' utile accennare al fatto che,
a partire dallo stesso principio, vi sono trasformatori trifasi: ogni fase viene trasformata come ora
visto. La figura 43-a esemplifica il principio della trasformazione
Figura 43
fase per fase (in b c'è la rappresentazione schematica). Naturalmente un sistema del genere
sarebbe inutilmente farragginoso oltre ché costoso. La figura 44-a mostra un trasformatore statico
trifase (in b c'è la rappresentazione schematica) con collegamento
Figura 44
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a stella di primario e secondario (si possono anche fare altri collegamenti). La figura 45 mostra lo
schema di realizzazione pratica di questo trasformatore trifase: si noti che il
Figura 45
primario è avvolto sotto al secondario (naturalmente i cavi sono ben isolati). Infine la figura 46
mostra un grande trasformatore trifase in funzione in una centrale elettrica
Figura 46
(il cilindro orizzontale in alto è il conservatore d'olio).
LINEE DI TRASMISSIONE DELL'ENERGIA ELETTRICA (INTERCONNESSIONE E
RISERVA)
Abbiamo a questo punto in mano tutti gli elementi per seguire l'energia dal momento in cui
diventa elettrica fino al momento in cui viene usata nell'industria, negli usi civili, nei trasporti. Non
dobbiamo far altro che ricapitolare brevemente introducendo alcune informazioni aggiuntive.
A monte di ogni processo di produzione e trasporto di energia elettrica vi è la centrale. Di
qualunque tipo sia la centrale essa abbisogna di una fonte primaria, di energia che può essere
acqua in caduta (centrali idroelettriche), vapore natura1e o da rocce calde e secche con immissione
d'acqua (centrali geotermoelettriche), vapore originato bruciando combustibili fossili (centrali
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termoelettriche), vapore originato da energia nucleare (centrali nucleari), gas ad alta temperatura
e pressione originato dalla combustione di nafta o metano (centrali turbogas).
Ogni centrale ha lo scopo di trasformare energia da un qualunque tipo iniziale, in energia
meccanica di rotazione della turbina (nel caso di centrali idroelettriche si trasforma energia
gravitazionale di caduta di una massa di acqua; nel caso delle centrali termoelettriche o turbogas o
geotermoelettriche o nucleari o solari si trasforma energia termica). Quanto fin qui riassunto è
schematizzato nella figura 47.
Figura 47
La rotazione della turbina è trasmessa all'induttore dell'alternatore (ed alla relativa dinamo
eccitatrice) che ha lo scopo di trasformare energia meccanica di rotazione in energia elettrica (ad
alta corrente e bassa tensione). Poiché poi per il trasporto è conveniente avere tensione molto alta
(con conseguente corrente bassa), collegato all'alternatore vi è il trasformatore che ha lo scopo di
trasformare la tensione a valori molto più alti di quelli di produzione (fino a 380 000 volt). A
questo punto c'è la linea ad alta tensione (l'elettrodotto) che collega la centrale con i luoghi di
consumo. La tensione immessa in queste linee è per gli elettrodotti principali di 380 000 volt (380
KV) e di 220 000 V (220 KV). Per gli elettrodotti secondari questa tensione scende a vari livelli. (In
alcuni Paesi come gli U.S.A. e 1a Russia sono in via di sperimentazione linee di trasmissione a c. c.
della. tensione di 800 KV). Si tenga conto che le perdite su una linea si aggirano intorno al 20% (se
in buono stato di conservazione e di manutenzione).
Arrivati al luogo di utilizzo la tensione viene ridotta a valori più bassi. Se il centro di
utilizzazione è di piccola estensione (raggio di circa 200 m) si ha una sola cabina di trasformazione
che porta la tensione ai normali 220 V (e 380 V) d'uso. Se il centro di utilizzazione è invece di
grande estensione si hanno prima delle sottostazioni che trasformano la tensione intorno agli 11
000 V; quindi, da queste sottostazioni partono linee che vanno ad alimentare svariate cabine per
l'ulteriore trasformazione ai valori normali d'uso della tensione (220 V o 380 V). Nella figura 48 è
riportato uno schema riassuntivo di quanto detto (con i relativi rendimenti h).
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Figura 48
Naturalmente il ciclo ora illustrato ha bisogno di tutta una serie di controlli, soprattutto al
fine di mantenere equilibrio tra l'energia assorbita degli utilizzatori e l'energia generata.
Un problema, fondamentale del ciclo ora descritto è quello del rendimento complessivo e
quindi quello delle perdite.
Il rendimento globale di un impianto è definito come il rapporto fra tutta la potenza
utilizzata (Wu) e tutta la potenza erogata (W). Si ha quindi:
h = Wu/W
A fini costruttivi serve però dare i rendimenti dei singoli componenti il ciclo. In ogni caso se W è la
potenza erogata ed h1, h2, h3 ... sono i rendimenti dei singoli apparati, la potenza utilizzata sarà
data dalla quantità:
Wu = W . (h1 . h2 . h3 . ... )
e ciò vuol dire che il rendimento complessivo di un impianto è dato dal prodotto dei rendimenti dei
singoli componenti l'impianto. Nel caso visto in figura 48 si ha (riferendoci al caso di utilizzazione
come forza motrice) nell'ipotesi di W iniziale uguale a 1 000 W:
Wu = 1 000 . (0,9 • 0,98 • 0,8 . 0,98 • 0,8) =1 000 . 0,55 = 550 W
E questo esempio è abbastanza generalizzabile: si perde circa la metà dell'energia a partire dalla
fonte primaria fino ad arrivare all'utilizzazione con l'intermediazione elettrica.
Prima di concludere con questo paragrafo ancora qualche parola sull'interconnessione e la
riserva.
Abbiamo già detto che vari impianti per la produzione energetica possono venire collegati
in parallelo. A questo collegamento in parallelo esteso a tutti i centri di produzione nazionale (e
non solo) si dà il nome di interconnessione. Naturalmente una volta interconnesse più stazioni di
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produzione si tratterà di distribuire la potenza disponibile ai vari centri di consumo.
L'interconnessione presenta svariati vantaggi tra i quali la connessione dei carichi delle
punte, l'integrazione reciproca delle centrali di produzione, la riduzione della quantità del
macchinario di riserva, l'aumento delle potenze unitarie dei gruppi generatori.
Tra i vantaggi ora elencati dell'interconnessione merita attenzione quello relativo alla
riserva.
La riserva di potenza nel passato veniva intesa come un surplus di macchinari che in
centrale facesse fronte all'andata fuori servizio di quelli in uso.
E' appunto il concetto prevalso negli ultimi anni di interconnessione che ha fatto superare
quello precedente di riserva. Infatti se una centrale dovesse andare fuori servizio, non servono
macchinari che sostituiscano quelli guasti o in manutenzione, poiché l'intera rete supplisce alla
potenza che viene a mancare. Purché l'interconnessione sia completa (non è il caso italiano dove,
ad esempio, un solo elettrodotto unisce il nord al sud: se per jattura andasse fuori servizio i blackout sarebbero la norma [queste cose le scrivevo nei primi anni '80. Oggi dopo la più grande idiozia
energetica fatta dai nostri governi, a cui se ne sommano altre, la privatizzazione dell'energia
elettrica e la separazione tra produzione e trasporto, e dopo il 18 settembre 2003, debbo dire che
ero facile profeta n.d.r.]).
La riserva, definita come maggiore potenza generatrice disponibile in rete, può comunque
essere di due tipi: riserva come margine di potenza di gruppi già in servizio (riserva rotante) e
riserva come gruppi pronti ad entrare in servizio in caso di manutenzione programmata di uno o
più gruppi (riserva fredda). L'entità della riserva occorrente ad un Paese è determinata da
procedimenti molto aleatori che spesso sono usati come strumenti di pressione (in Italia era al
1980 del 24% mentre in tutti gli altri Paesi dell'Europa oscilla intorno al 16%).
MOTORI ELETTRICI
Abbiano già visto come funzionano gli alternatori e le dinamo che con lo stesso principio
trasformano energia meccanica (di rotazione) in energia elettrica. Abbiamo accennato anche ad un
motore quando abbiamo parlato del lancio di un gruppo in una centrale turbogas. Poiché quando
ci siamo occupati di linee di trasmissione ed in particolare di utilizzazione, abbiamo avuto modo di
parlare di energia elettrica per produrre forza motrice è il caso ora di occuparci brevemente dei
motori elettrici.
Il motore elettrico è una macchina che trasforma energia elettrica in energia meccanica e
permette quindi l'uso (versatile) dell'energia elettrica in innumerevoli situazioni. Oltre ai grossi
motori usati nell' industria per presse, torni, trapani, compressori, fresatrici,... si pensi agli
innumerevoli usi domestici del motore elettrico: frigoriferi, lavatrici, lavastoviglie, asciugacapelli,
ventilatori, aspirapolvere, ascensori, ...
I motori elettrici si dividono in due grosse categorie: quelli a corrente continua e quelli a
corrente alternata.
I motori a corrente alternata si dividono a loro volta in due tipi: quelli sincroni e quelli
asincroni.
Cominciamo con il vedere il principio di funzionamento dei motori a c.c.
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Un motore elettrico a c.c. è, dal punto di vista costruttivo, la stessa cosa della dinamo (vedi)
poiché questo apparato, come del resto vedremo per l'alternatore, è reversibile, potendo
indifferentemente trasformare energia meccanica in elettrica o viceversa. L'unica differenza
consiste, evidentemente, nel fatto che ora occorre alimentare la macchina con c.c. e ottenere in
uscita energia meccanica di rotazione dell'asse (e quest'ultimo ruoterà in verso contrario a quello
che la macchina avrebbe se fosse utilizzata come dinamo).
I motori in c.c. sono insostituibili nella trazione ferroviaria e tramvaria perché la loro
velocità è regolabile entro ampi margini e questa regolazione si ottiene con facilità. E' questo
dunque un caso in cui occorre trasformare (termine improprio) la c.a. in c.c. Tra l'altro questi
motori hanno la caratteristica di essere autoregolatori, sono in grado cioè di assorbire dalla rete
che li alimenta una potenza elettrica proporzionale alla potenza meccanica che si vuole ottenere da
essi. Un'altra loro caratteristica importante è la stabilità; in essi infatti si realizza sempre un
equilibrio dinamico tra la velocità di funzionamento ed il carico: al crescere del carico diminuisce
la velocità di funzionamento e viceversa (quando si devono ottenere sforzi rilevanti dal motore esso
deve poter funzionare a bassa velocità: si pensi ad un treno in salita; viceversa si richiede alta
velocità per sforzi meno rilevanti: treno che corre su di un rettilineo).
L'eccitazione di
questi motori può aver luogo in serie od in parallelo. Nel caso di eccitazione in parallelo essi
hanno velocità poco variabile col carico ed in ultima analisi sono usati solo là dove occorre una
velocità costante (macchine utensili). La costanza della velocità si può ottenere applicando alla
macchina carichi molto ridotti. Se poi 1'eccitazione è in serie siamo nel caso che abbiamo illustrato
a proposito della trazione ferroviaria: la velocità diminuisce all'aumentare del carico ed i carichi
sopportabili sono molto variabili (si badi che se il carico tende ad annullarsi la velocità aumenta a
valori che arrivano a causare la rottura della macchina). La variazione della velocità di un motore
di questo tipo si può ottenere agendo o sulla corrente di eccitazione o sul numero delle spire
dell'induttore.
Come accennato, i motori elettrici a c.a. possono essere sincroni o asincroni. Il motore
elettrico a c.a. sincrono è, anche qui, una macchina che già conosciamo usata in modo reversibile
(vedi). Questa macchina richiede c.a. per l'alimentazione (e c.c. per l'eccitazione) e fornisce lavoro
meccanico di rotazione del suo asse. Abbiamo già visto l'accoppiamento in parallelo di due
alternatori (vedi): ebbene se togliamo ad uno degli alternatori in parallelo l'alimentazione da parte
della turbina lasciandolo collegato alla rete, quel meccanismo di corrente sincronizzante già visto
farà sì che questo alternatore vada ad assorbire energia elettrica dalla rete per fornire energia
meccanica di rotazione al suo asse. La velocità quindi di questo motore risulta rigorosamente
costante ed uguale a quella che avrebbe se funzionasse come alternatore, essendo direttamente
proporzionale alla frequenza della rete. Il motore sincrono non può avviarsi con semplice
collegamento alla rete ma ha bisogno di un motore di lancio per fargli raggiungere il sincronismo;
a questo punto, mediante un'operazione di parallelo, analoga a quella vista per gli alternatori, si
può collegare alla rete. Esso può quindi essere utilizzato solo tutte quelle volte in cui ci sia bisogno
di velocità costanti, avendo a disposizione utilizzatori con poca variabilità, con un uso continuativo
(per la difficoltà, appunto di avviare o fermare un motore di questo tipo).
In ogni caso l'uso più importante dei motori sincroni in alternata è quello di rifasatori di
linea, per migliorare cioè il fattore di potenza cos f (agendo sulla fase f della tensione di rete).
Infatti se si varia l'eccitazione di questo motore, a parità di carico, si ha la possibilità di variare
la fase della corrente che il motore assorbe. In questo modo è possibile quindi avere correnti e
tensioni con un angolo di fase sempre molto piccolo in modo che risulti circa uguale ad 1 il fattore
di potenza cos f (si ricordi che la potenza elettrica è data da W = Veff . Ieff . cos φ ). Per questa sua
proprietà il motore sincrono in alternata è spesso inserito come rifasatore in linee di trasmissione
in cui siano presenti carichi che tendano a sfasare la corrente. Uno schema di collegamento alla
rete di un sincrono rifasatore è mostrato in figura 49.
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FISICA
Figura 49
L' ultimo tipo di motore che dobbiamo considerare è il motore elettrico a c.a.
asincrono. Esso è molto semplice, molto robusto e molto diffuso per gli usi più svariati
nell'industria. Un motore asincrono è essenzialmente un alternatore trifase con induttore fatto
in modo diverso. In questo caso 1'induttore è costituito da un circuito chiuso di rame a forma di
gabbia cilindrica (vedi figura 50); questa gabbia è inserita in un cilindro di ferro a lamine
ed il tutto è girevole attorno ad un asse.
Figura 50
Supponiamo ora di collegare un motore asincrono così descritto ad un alternatore trifase
(collegamento a triangolo) e vediamo cosa accade (figura 51). L'induttore
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FISICA
Figura 51
dell'alternatore produce, mediante variazione del campo magnetico (a seguito della rotazione
dell'induttore stesso mediante la turbina a cui è collegato), una corrente alternata trifase che va ad
alimentare l'induttore del motore asincrono che in questo caso è fisso (statore). Nello spazio
compreso fra le spire dell'induttore si generano campi magnetici variabili ed alternati con la stessa
frequenza della corrente che li ha originati. Questi campi magnetici si compongono all'interno di
quello spazio in modo da dare una risultante simile a quella dell'induttore dell'alternatore che lo
ha generato. In definitiva nello spazio suddetto si ha un campo magnetico rotante (Galileo
Ferraris) con la stessa frequenza dell'induttore e quindi della corrente generata dall'alternatore.
Ora là dove si ha il campo magnetico rotante è il luogo in cui si inserisce l'indotto a gabbia al quale
ho accennato. Questo indotto è un circuito chiuso che, sotto l'azione del campo magnetico rotante
diventerà sede di correnti indotte. L'interazione di queste correnti indotte con il campo magnetico
rotante provocherà la rotazione dell'indotto a gabbia del nostro motore. La rotazione è provocata
dal fatto che ogni corrente indotta tende ad opporsi alla causa che l'ha generata (Legge di Lenz);
e poiché la rotazione dell'indotto è generata dal campo magnetico rotante (che non si può in nessun
caso annullare perché dipende dalla frequenza costante della tensione di alimentazione) l'indotto,
per opporsi alla corrente in esso generata, dovrà tendere ad annullare l'effetto del campo rotante;
per farlo dovrà far sì che, rispetto a sé, il campo non sia più rotante e quindi si metterà a rincorrere
il campo medesimo in modo che tra sé e quest'ultimo non vi sia moto relativo (quando l'indotto
dovesse ruotare con la stessa velocità del campo, esso ed il campo sarebbero l'uno fermo rispetto
all'altro); l'indotto non potrà però mai raggiungere la velocità del campo a seguito di attriti e
resistenze (ed in particolare a seguito dei carichi che saranno applicati al suo asse) quindi esso
continuerà a ruotare con una velocità tanto più piccola quanto maggiori saranno i carichi che si
oppongono alla sua rotazione (fornendo inoltre una coppia motrice maggiore per velocità più
basse). Per questi motivi un motore del genere è chiamato asincrono. Si noti che non occorre alcun
collettore: la semplice immissione di tensione alternata nel motore provoca la rotazione
dell'indotto (la cui velocità dipende solo dalla frequenza della tensione di alimentazione e dal
numero dei poli dell'avvolgimento). Si osservi anche che non vi sono problemi di collegamento in
parallelo: basta ora disporre di resistenze variabili uguali da collocare ad un comando unico per
regolare 1'intensità delle correnti da inviare all'induttore e quindi per inviare e mantenere in
rotazione il motore. Si osservi inoltre che un motore asincrono rappresenta per la rete un carico
che tende a sfasare la tensione rispetto alla corrente: è quindi necessario disporre di rifasatori.
Un motore asincrono ha il massimo rendimento (che può arrivare al 90%) quando il suo
indotto ruota a velocità quasi prossima a quella del campo rotante (in questo modo si hanno meno
perdite dovute al riscaldamento e meno usura della macchina) inoltre la potenza che esso assorbe
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FISICA
aumenta con la potenza meccanica richiesta (in questo è simile al trasformatore); in ogni caso però
non si deve mai usare questo motore per carichi superiori a quelli indicati dal costruttore.
CONCLUDENDO ...
Non posso richiedere la comprensione illuministica di queste cose ma solo suggerire alcune
conclusioni:
a) sull'onda del neoliberismo che ha abbagliato soprattutto i sinistri (gli altri già erano ciechi) è
stata privatizzata (svenduta) l'energia elettrica la cui nazionalizzazione costò molto al Paese, anche
in termini di messa in gioco di una montagna di denaro che è anche servita per finanziare il
terrorismo golpista;
b) il servizio è peggiorato come ciascuno può essere testimone di se stesso;
c) tra le possibili soluzioni di privatizzazione si è scelta la più truffaldina per gli utenti: si è creato
un monopolio privato, altro che concorrenza ! Si è diviso il settore energetico in due settori in
modo comprensibile solo a chi ignora qualunque problema tecnico-scientifico: come si può
pensare, date le cose che ho detto, di suddividere la produzione dal trasporto dell'energia ?
d) noi paghiamo l'energia elettrica il 40% in più che negli altri Paesi europei;
e) l'interconnessione e la riserva sono sogni da Paese civile;
f) profitto e solo profitto per i gruppi economici beneficiati dai governi;
g) nessuna innovazione e sperimentazione ma solo black out veri ed annunciati;
h) per maggior gloria dei soliti noti ed alla faccia nostra.
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