Utopia e positivismo: il caso italiano di Paolo Mantegazza Claudio De Boni Università degli Studi di Firenze (Italia) Riassunto Paolo Mantegazza è stato il fondatore della scienza antropologica italiana nella seconda metà dell’Ottocento. Grande organizzatore culturale e divulgatore, oltre che scienzato, ha anche svolto una lunga attività parlamentare, prima nelle file della Destra storica, poi in quelle della Sinistra. Il suo romanzo L’anno 3000. Sogno, pubblicato nel 1897 è forse l’unica opera utopica prodotta dal positivismo italiano. In essa Mantegazza proietta nel futuro alcuni elementi della sua idea di progresso (sviluppo tecnologico, ricerca scientifica, eugenetica, controllo demografico, istruzione generalizata); sul piano politico, enfatizza il motivo di un governo mondiale illuminato, lontano sia all’arricchimento fine a se stesso del capitalismo sia delle pretese di rivelamento autoritario del socialismo. Claudio De Boni è professore associato in Storia delle dottrine politiche alla Facoltà di Scienze Politiche “Cesare Alfieri” di Firenze. Studioso del positivismo e dell’idea di stato sociale, per quanto riguarda il pensiero utopico ha al suo attivo vari interventi su riviste e opere collettive e due volumi: Uguali e felici. Utopie francesi del secondo Settecento, Firenze, 1986, e Descrivere il futuro. Scienza e utopia in Francia nell’età del positivismo, Firenze, 2003. Claudio De Boni P 1 Per una visione del fenomeno nella patria di fondazione del positivismo, la Francia, mi permetto di rinviare al mio Descrivere il futuro. Scienza e utopia in Francia nell’età del positivismo, Firenze, Firenze University Press, 2003. 2 Come è noto, il termine “ucronia” si impone a partire dalla pubblicazione nel 1876 del libro di Charles Renouvier Uchronie (L’Utopie dans l’histoire). A parte il fatto che Renouvier sviluppa il proprio pensiero ai margini, e talvolta in opposizione rispetto alla cultura positivista del periodo, va detto che il suo “tempo inesistente” non è il futuro, ma un passato reinventato secondo il criterio di una storia che non è stata ma avrebbe potuto essere: ciò non impedirà tuttavia che di lì in avanti la parola ucronia serva a identificare soprattutto le utopie proiettate nel futuro, in un tempo immaginario oltre che in uno spazio immaginario come nella tradizione del genere. 138 er uno di quei paradossi apparenti che costellano la storia delle idee, il positivismo, corrente culturale basata sul rispetto scientifico del dato empirico, è anche un movimento incline a operazioni legate all’immaginazione, quali sono quelle dell’utopismo e ancor più dell’aperta utopia1. Da un lato la complessità del movimento, sensibile alle atmosfere scientiste ma anche dottrina politica e morale; dall’altro la sua aspirazione a creare un mondo migliore in sintonia con la propria idea del progresso storico, confluiscono in un uso dell’immaginazione volto a delineare il futuro con gli strumenti più tipici dell’utopia: l’effettuazione di un viaggio immaginario, la descrizione di una società alternativa a quella esistente. Più che lo spostamento nello spazio, l’utopia dell’età del positivismo predilige infatti lo spostamento nel tempo: anche se il termine viene coniato all’esterno della cultura positivista e con altri scopi2, è la parola ucronia a meglio identificare questa stagione della letteratura utopica, che ha i suoi cardini nel Frammento di storia futura di Gabriel Tarde, in Guardando indietro di Edward Bellamy, nelle Notizie da nessun luogo di William Morris, nell’Utopia moderna di Herbert George Wells. In Italia il maggior rappresentante di questa tendenza è Paolo Mantegazza, autore dell’unica (credo) utopia compiuta prodotta dal positivismo italiano: L’anno 3000. Sogno, pubblicata nel 1897. Prima di parlare di questa utopia, conviene tuttavia tratteggiare la figura del suo autore, essendo la memoria che ne è rimasta oggi inadeguata rispetto all’influenza che il personaggio esercitò nella cultura italiana di fine Ottocento. Mantegazza fu anzitutto un uomo di scienza: nato a Monza nel 1831, si laurea in medicina all’inizio degli anni cinquanta; poi soggiorna per quattro anni, dal 1854 al ’58, in America Latina, soprattutto in Argentina, per ragioni di studio e di attività medica; al ritorno in Italia diventa professore di patologia all’Università di Pavia. L’impronta maggiore che egli è destinato a dare alla cultura accademica italiana non è tuttavia legata alla medicina, ma all’antropologia: nel 1869 egli viene chiamato a ricoprire la prima cattedra di antropologia istituita in Italia, quella dell’Istituto di Studi Superiori di Firenze, incarico che ottiene per le sollecitazioni di uno degli ispiratori riconosciuti del nascente positivismo italiano, vale a dire Pasquale Villari3. Per Mantegazza l’antropologia, coltivata a partire dalle esperienze di studio del territorio, delle popolazioni e dei costumi del Sudamerica, è una scienza-sintesi tra fisiologia, psicologia, geografia, storia. In modi analoghi, e quasi nello stesso periodo, presentava il proprio sapere il fondatore dell’antropologia francese, Pierre Broca, che vedeva nell’integrazione fra natura e storia propria dell’indagine antropologica una specie di “scienza delle scienze”, corrispondente all’aspirazione comtiana della filosofia positiva come scienza generale capace di condurre a unità le scienze particolari. Caposaldo conoscitivo dell’antropologia positiva è per Mantegazza l’etnografia comparata, lo studio delle varie culture e delle diverse razze confrontate nelle loro relazioni con l’ambiente. Ciò non prelude tuttavia ad alcuna concessione a uno spirito razzista: nella sua utopia il nostro autore, ponendosi dal punto di vista del futuro, amerà anzi indicare nella fusione tra le razze uno dei fattori del progresso: Utopia e positivismo “Le rapide e facili comunicazioni fra paese e paese e le profonde modificazioni dei climi avvenute per opera dell’uomo tendono ad ogni generazione a fondere indefinitamente le razze, creando un nuovo tipo, indefinitamente cosmopolita, frutto dell’incrociamento intimo e profondo di tante e tante razze, che per lunghi secoli erano rimaste isolate e disgiunte, facendosi paura reciproca e continua e distruggendosi a vicenda col ferro, col fuoco e più ancora col trasporto di terribili malattie infettive, che poi colla cresciuta civiltà sono quasi del tutto scomparse dalla superficie della terra”4. Anche Mantegazza, come gran parte del positivismo francese, interpreta la nuova scienza dell’uomo non solo come uno strumento descrittivo, ma anche come un sapere avente il compito di costruire un nuovo indirizzo morale, di instillare nell’umanità il dovere di operare per il progresso futuro. La scienza antropologica ha per programma di “studiare l’origine dell’uomo, fissare il suo posto naturale nella gerarchia degli esseri viventi, studiarne anche i cambiamenti dovuti al clima, alla razza, al sesso, all’alimentazione, alle malattie; studiare le varietà, le razze, i tipi differenti dell’umanità, classificarli, far delle ricerche sugli incrociamenti e gli ibridismi umani; analizzare l’individuo, definirne e misurarne le forze; studiare i differenti gruppi umani nei loro usi, nella loro storia, nella loro psicologia, e di ciascuno tracciare la storia naturale; tentare la delimitazione della perfettibilità umana, ecco ciò che si propone questa scienza”5. E proprio in questa tensione verso la perfettibilità sta il momento di unione fra scienza e utopia, come vedremo fra breve. Oltre che scienziato, e anzi forse più che scienziato, Mantegazza è un grande organizzatore culturale e un grande divulgatore. A Firenze fonda il Museo nazionale di antropologia ed etnologia, la Società nazionale di antropologia ed etnologia, l’Archivio storico delle medesime discipline: tutte istituzioni giunte fino ai nostri giorni, dopo essere state assorbite dall’Ateneo fiorentino. Egli inoltre pubblica alcune delle opere più lette in Italia nella seconda metà dell’Ottocento, sia di tipo narrativo (come il fortunatissimo romanzo Un giorno a Madera, del 1868), sia di un tipo che potremmo definire, secondo una diffusa aspirazione dell’epoca, scientifico-popolare, fra cui le varie Fisiologie dedicate all’amore, al piacere, al dolore, e così via6. Si tratta di opere discusse all’epoca e ancor più discutibili se lette ora, nel loro alternarsi fra parti di sicuro impegno scientifico e altre che sembrano proprie, per linguaggio e argomentazione, più di un rotocalco che di un trattato: opere, tuttavia, capaci di evidenziare nel loro autore la tensione verso una specie di apostolato affinché gli uomini sappiano risolvere le dicotomie della natura (amore-odio, piacere-dolore) nel senso della ricerca di una sempre maggiore felicità. Terza fonte di impegno per Mantegazza, dopo la scienza e la divulgazione, è la politica. Eletto alla camera dei deputati nel collegio di Pavia nel 1865, mantiene il seggio, per effetto di varie rielezioni, fino al 1876, quando viene nominato senatore per continuare la propria attività parlamentare praticamente fino alla morte, avvenuta nel 1910. Nella sua azione politica Mantegazza conosce una significativa maturazione: dopo l’esordio nelle file della Destra si avvicina progressivamente alla Sinistra, 3 È quasi una convenzione ritenere una specie di data di nascita ufficiale del positivismo italiano la pubblicazione nel primo numero del 1866 della rivista “Il Politecnico” dell’articolo di Villari La filosofia positiva e il metodo storico, anche se in Italia già si erano verificati a quella data episodi, peraltro di minore influenza, di adesione al positivismo (per esempio l’infatuazione del genovese Benedetto Profumo per la religione dell’umanità di Comte, con il quale aveva intrattenuto un rapporto epistolare abbastanza fitto intorno al 1848). Per quanto riguarda la figura di Mantegazza, rinvio al volume che raccoglie gli atti del convegno Paolo Mantegazza e l’origine dell’antropologia in Italia, Milano, Ars Medica Antiqua, 1986, e, per l’esperienza fiorentina, alle parti che lo riguardano del bel libro di G. Landucci, Darwinismo a Firenze. Tra scienza e ideologia 1860-1900, Firenze, Olschki, 1972. Segnalo inoltre, in tempi più recenti, la tesi di laurea preparata sotto la mia direzione da Giovan Battista Pili alla Facoltà di Scienze Politiche “Cesare Alfieri”, erede storica di quell’Istituto di Studi Superiori in cui insegnò Mantegazza. 4 P. Mantegazza, L’Anno 3000. Sogno, Milano, Treves, 1897, pp. 273-274. 5 Il passo è tratto dal discorso inaugurale all’anno accademico 1870-71 della sezione antropologica dell’Istituto di Studi Superiori, pronunciato da Mantegazza il 14 gennaio 1870 e poi pubblicato, con il titolo Del metodo dei nostri studi antropologici, come prefazione a Quadri della natura umana, Milano, Bernardoni, 1871, pp. 7-34. 139 Claudio De Boni 6 Fra le opere di maggior successo di Mantegazza il primo posto spetta senz’altro a Un giorno a Madera, che fra il 1868 e il 1922 conosce una cinquantina di riedizioni e ristampe. Di notevole diffusione sono tuttavia anche i suoi testi di divulgazione scientifica, di cui ricordo qui le prime edizioni delle più lette: Fisiologia del piacere, Milano, Bernardoni, 1854; Elementi d’igiene, Milano, Brigola, 1865; Fisiologia dell’amore, Milano, Brigola, 1870: tutti titoli che conoscono entro il primo Novecento fra una e due decine di ristampe ciascuno e varie traduzioni all’estero. In questo filone si inseriscono anche Gli amori degli uomini, in 2 voll., Milano, Treves, 1885, che hanno un rapido successo (la seconda edizione, di diecimila copie, è esaurita in poco tempo), e suscitano molte polemiche per qualche passaggio in merito ai costumi sessuali dell’umanità, giudicato all’epoca troppo scabroso. Da segnalare sono ancora le notevoli diffusioni di due opere per i giovani: Le glorie e le gioie del lavoro, Milano, Maisner, 1870, e soprattutto Testa, Milano, Treves, 1887: romanzo pedagogico a integrazione e correzione del deamicisiano Cuore, che frutta a Mantegazza in media più di una riedizione l’anno fino al 1910. 7 P. Mantegazza, L’anno 3000, cit., pp. 12-13. 8 P. Mantegazza, Il secolo nevrosico, Firenze, Barbera, 1887, p. 69. 9 P. Mantegazza, L’anno 3000, cit., p. 54. 140 votando a favore di questa nel passaggio di consegne governative del 1876, e rimanendo poi vicino alla Sinistra fino al termine della propria attività parlamentare. In sintonia con gli umori della Sinistra storica, non si spinge fino ad avallare posizioni socialisteggianti: dei socialisti Mantegazza condivide la denuncia delle eccessive disuguaglianze materiali e l’esaltazione del lavoro come merito sociale, ma non la sottovalutazione delle libertà economiche (fra cui egli apprezza quella d’impresa, in quanto luogo di possibile realizzazione dello spirito creativo degli uomini), né la pretesa di dare luogo a una società programmata una volta per tutte. Tanto che, mettendosi letterariamente nella posizione degli abitanti illuminati dell’anno 3000, rappresenta nella sua opera utopica un futuro che avrà superato il socialismo: “L’esperimento generoso, ma folle, durò quattro generazioni, cioè un secolo; ma gli uomini si accorsero di aver sbagliato strada. Avevano soppresso l’individuo e la libertà era morta per la mano di chi l’aveva voluta santificare. Alla tirannia del re e del parlamento si era sostituita una tirannia ben più molesta e schiacciante, quella d’un meccanismo artificiale, che per proteggere e difendere un collettivismo anonimo soffocava e spegneva i germi delle iniziative individuali e la santa lotta del primato. […] Un gran consesso di sociologi e di biologi seppellì il socialismo e fondò gli Stati Uniti del mondo, governato dai migliori e dai più onesti per doppia elezione. Al governo delle maggioranze stupide subentrò quello delle minoranze sapienti e oneste. L’aristocrazia della natura fu copiata dagli uomini, che ne fecero la base dell’umana società”7. Analoghi dubbi sono espressi a proposito della democrazia, se intesa come governo di tutti. La democrazia, apparsa nel mondo per combattere gerarchie ormai superate come quelle nobiliari, ha senso per Mantegazza solo se la si interpreta alla moda dei positivisti come ricerca di nuove e più progredite gerarchie, intellettuali e morali, non come eliminazione di ogni disuguaglianza, in sé impossibile. Il nostro antropologo non si fa eccessive illusioni nemmeno sulla democrazia rappresentativa come metodo di scelta dei migliori, pur operando egli all’interno, per gran parte della vita, delle istituzioni parlamentari. Secondo un atteggiamento diffuso nelle rappresentanze politiche dell’Italia postunitaria, egli è insieme sostenitore e critico del parlamentarismo: sostenitore perché la via parlamentare incarna una fase storica necessaria al progresso, ma critico perché l’istituzione sconta nella realtà molte imperfezioni. Sul piano generale il parlamentarismo presenta il grave limite di essere “la critica sostituita all’autorità”8: una continua delegittimazione di chi governa, un permanente fattore di disordine accentuato fuori delle aule parlamentari da un giornalismo di solito asservito agli interessi privati e irresponsabile nei confronti dell’interesse generale. Su un terreno più specifico, i parlamenti presentano poi due altri inconvenienti, due vere e proprie “infermità organiche”: “Quella di fabbricar le leggi con una commissione di troppi individui, facendole mutevoli ad ogni accidente od incidente di persone o di cose. E l’altra di mutar sempre al capriccio vagabondo degli elettori coloro che devono dettar le leggi e reggere il timone dello Stato”9. Come vedremo, nell’anno 3000 il sistema parlamentare si sarà trasformato in una serie di rappresentanze, dal Utopia e positivismo territorio vicino fino alla dimensione mondiale, rischiarate dalla scienza e con funzioni politiche limitate. Per l’immediato Mantegazza riconosce un merito alla democrazia solo se saprà unire le riforme politiche con il progresso dell’istruzione, compito difficile ma inevitabile palestra per un mondo che voglia effettivamente avanzare: “La democrazia ha per compito primo, forse padre inconscio di altri compiti maggiori, quello di ripartire fra molti ciò che prima era patrimonio di pochi. Un re e un popolo; uno e più genii e una turba di ignoranti, ecco le formole di molta storia del passato: oggi vuolsi invece la distribuzione dei pani e dei pesci fatta per opera di quel Messia universale, che è il progresso. Nascano pure e sian benedetti i genii, si chiamino re del trono o re del pensiero; ma essi non hanno a comandare a pecore, ma a uomini, e a uomini intelligenti e dotti”10. Se il Mantegazza politico oscilla fra Destra e Sinistra e, sul piano sociale, tra fiducia nei meccanismi liberali e necessità di intervento statale, un punto fermo nel suo atteggiamento è costituito dall’anticlericalismo: come rifiuto non del sentimento religioso in quanto tale, ma dell’influenza permanente di una chiesa organizzata nelle vicende umane. In un volume del 1896 in cui cerca di stilare un bilancio della propria attività parlamentare, Mantegazza scrive a proposito del proprio anticlericalismo, che lo aveva visto combattere alle camere a favore di tutti i provvedimenti che promettevano di limitare i privilegi della chiesa cattolica: “Io non ho mai combattuto la religione, che credo una delle più alte idealità del pensiero, e soprattutto uno dei più cari conforti nei travagli della vita; ma a viso aperto, e dalla cattedra e dai libri, ho gettato l’anatema all’industria, alla simonia del cielo; a tutte le forme ipocrite del misticismo, che adoperano il sentimento religioso come instrumentum imperii o come sorgente di lucro. Ho sempre rispettato il tempio, ho sempre derisa la sagrestia; ho abbassato il capo all’altare, ho sempre guardato con alto disprezzo la bottega”11. Come avviene tradizionalmente per gli scrittori di utopie, anche per Mantegazza l’immaginazione sociale nasce anzitutto dall’insoddisfazione per l’esistente. Nel programma di critica del proprio tempo stilato ad apertura del suo Secolo nevrosico, programma destinato a continuare in altri volumi, egli scrive: “Fisicamente il secolo XIX è nevrosico. Moralmente è ipocrita. Intellettualmente è scettico”12. Il presente è nevrotico perché pessimista, compiaciuto del dolore, dedito alla dimenticanza attraverso gli effetti stupefacenti della droga e dell’alcool, non in grado di reggere le rapide trasformazioni dell’economia industriale e di una società incapace di coniugare libertà e uguaglianza. È ipocrita come ogni periodo di transizione: “il secolo XIX è critico, è industriale, è positivo, è scettico, è tante altre belle e brutte cose; ma è innanzi tutto e soprattutto ipocrita. Ed è ipocrita, perché è un periodo di passaggio, fra un passato di violenze e di ignoranza che non è del tutto sepolto e un avvenire di giustizia e di scienza, che presenta i primi crepuscoli rosei dell’alba”13. Le ipocrisie del pensiero costruiscono infine un quadro di scetticismo, nel quale continuano a giocare un ruolo da protagonisti i filosofi metafisici e gli avvocati, incapaci, a detta del nostro autore, di condurre ad armonia tre codici sempre più disgiunti: quello religioso, quello penale e quello dell’opinione pubblica. 10 P. Mantegazza, Il secolo nevrosico, cit., p. 88. 11 P. Mantegazza, Ricordi politici di un fantaccino del parlamento italiano, Firenze, Barbera, 1896, p. 174. 12 P. Mantegazza, Il secolo nevrosico, Firenze, Barbera, 1887, p. 7. 13 P. Mantegazza, Il secolo tartufo ovvero L’elogio dell’ipocrisia, Padova, Franco Muzzio ed., 1997, p. 47. 141 Claudio De Boni 14. P. Mantegazza, Lezioni di antropologia 1870-1910, Firenze, Società Italiana di Antropologia e Etnologia, 1989, vol. I, p. 125: il passo deriva dagli appunti di una lezione del 1871. 15. P. Mantegazza, Parvulae: pagine sparse, Milano, Treves, 1910, pp. 94-95: la citazione proviene da una conferenza tenuta a Roma nel 1885 e ripresa a Firenze nel 1889. 16. P. Mantegazza, Il secolo nevrosico, cit., pp. 90-91. 142 La situazione è tuttavia destinata a trasformarsi nel futuro, per effetto del progresso materiale, scientifico e morale. Intanto va rilevato che la scienza più studia la natura e più ne offre un’immagine storica, dinamica e non statica: “la natura che abbiamo sempre in bocca, è essa stessa un concetto così largo, così indefinito che ognuno di noi l’adopera in senso diverso. […] In ogni modo, prendendo la natura nel suo significato più semplice e più chiaro, la natura di un organismo, di un popolo, di una civiltà è già un risultato della lotta combattuta per anni, per secoli, dall’uomo, dal popolo, dalla civiltà con l’ambiente che li ha circondati”14. La storia ci rappresenta la scienza in continua espansione, secondo un progresso che va interpretato non solo nei suoi risvolti strumentali, ma anche nelle influenze di ordine morale. Secondo uno schema già presente (con maggiore sistematicità, ovviamente) in Comte, Mantegazza si mostra desideroso che il progresso scientifico, di per sé volto ai dati materiali, si accompagni tuttavia a un’analoga attenzione per il cuore, alle possibilità di rinnovamento morale insite nella religiosità laica e nella pedagogia. È giusto, osserva il nostro autore, che ci affidiamo alla scienza e al progresso delle conoscenze che ci assicura, pur nella consapevolezza che sconfiggere la nostra ignoranza richiede un cammino lungo. “Solo vorrei che il nostro secolo non proclamasse l’infausta eresia che la scienza basta a tutto e che essa sola è fine e scopo della nostra vita. Ogni epoca storica ha un grande amore e ad esso con ingiusta preferenza sagrifica ogni altra cosa. Abbiamo avuto l’epoca della violenza, quella della fede mistica e quella dell’arte: oggi ci è minacciato il culto assoluto, esclusivo della scienza. E amiamola pure, ma senza trascurare il cuore, né il sentimento, né il bisogno della felicità. Gli amori esclusivi sono idolatrie, e noi non vogliamo idoli: perché lo sviluppo perfetto dell’umanità consiste nell’armonica soddisfazione di tutti i nostri bisogni. La scienza non deve distruggere l’idealità ma rischiararla e guidarla e andar a braccetto con essa, come due sorelle eguali nella loro bellezza, ma diversamente belle”15. Lo stesso progresso materiale è tuttavia già di per sé un progresso anche delle conoscenze intellettuali e morali, per la sua suscettibilità di estendersi a tutti i ceti sociali e a tutti gli individui indipendentemente dalle appartenenze di classe: “Il progresso materiale meglio d’ogni rivoluzione, meglio d’ogni libro di morale, meglio d’ogni legge eguaglia gli uomini, avvicinandone gli estremi; essendo pochissime le scoperte e le invenzioni che giovano soltanto ai milionarii. La locomotiva fa viaggiare colla stessa velocità principi e proletarii, la fotografia concede la gioia del ritratto anche al povero, e il più nevrosico fra tutti gli strumenti, l’alfabeto, apre a tutti le porte della scienza, che rende legittima ogni ambizione. […] Nulla è più democratico della scienza, che sembra tanto aristocratica; nulla è più bestialmente aristocratico di quella democrazia falsa, che si riduce alla rettorica”16. E veniamo finalmente alla vicenda narrata nell’Anno 3000, di cui è protagonista una coppia di italiani, Paolo e Maria, che partono da Roma, capitale degli Stati Uniti d’Europa, diretti verso la capitale degli Stati Uniti Planetari, Andropoli, situata nei pressi dell’Himalaya. Per raggiungere la capitale di un mondo ormai riunito in un’unica sovranità politica i due italiani devono quindi muoversi verso Oriente, secondo un Utopia e positivismo moto effettivo ma anche simbolico, di corsa verso il sole, visto che da Oriente “sempre è venuta colla luce del giorno la speranza, che mai non muore”17. E non è solo questo il messaggio racchiuso nella collocazione nel cuore dell’Asia della capitale mondiale dell’anno 3000. Partendo da Occidente, toccando l’Egitto e poi penetrando nel continente asiatico, i nostri due viaggiatori del futuro percorrono a ritroso l’effettivo cammino della civiltà rappresentato in molti storicismi ottocenteschi: di quella civiltà che, nata nell’Estremo Oriente ed espansasi verso la Mesopotamia e l’Egitto, si è alla fine trasferita in Grecia, a Roma e poi nell’Europa erede della sua cultura classica. Utopia del futuribile, l’operazione letteraria di Mantegazza si basa tuttavia su una forte considerazione per la storia, come si vedrà anche da altre notazioni successive. Paolo e Maria si recano ad Andropoli per avere dagli scienziati della capitale il permesso di procreare, di trasformare la loro unione d’amore, che dura già da qualche anno, in matrimonio fecondo. Uno dei caratteri più insistiti dell’utopia di Mantegazza, ma più in generale del suo pensiero, è costituito infatti dall’eugenetica, aspirazione già apparsa nel romanzo Un giorno a Madera e nella produzione scientifica. In una delle sue lezioni di antropologia egli aveva affermato una concezione del progresso come prodotto da forze biologiche (senza la cui azione fondamentale esso non si manifesterebbe) ma anche dalla capacità dell’uomo di arricchirsene e di alimentarle. “Nell’uomo si accumulano i progressi per via dell’esperienza accumulata ed anche per via della genesi”; “è più facile però perfezionare i futuri per via dell’elezione sessuale. Riunire i migliori, perché trasmettano la vita, consigliare ai peggiori di non generare il dolore, la malattia, la miseria”18, è il programma di miglioramento dell’umanità per via genetica che Mantegazza si sente di proporre. E nell’Anno 3000 assisteremo all’eliminazione dei neonati identificati dai medici come portatori di insuperabili difetti fisici o mentali, compresi i delinquenti nati di lombrosiana memoria, che per fortuna sono un piccolo numero, specifica l’autore. La soppressione avviene tuttavia non per decisione dello stato ma per scelta dei genitori, sollecitati a non perpetuare l’infelicità della loro prole facendola sopravvivere in condizioni deficitarie o pericolose per sé e per gli altri. Ma torniamo al racconto. Il viaggio dei due protagonisti avviene per mezzo di veicoli avveniristici: un “aerotaco” a due posti guidato dallo stesso Paolo, cioè una navicella volante mossa dall’elettricità e di facile utilizzo; un analogo mezzo per muoversi sull’acqua a breve distanza; altre e più ampie imbarcazioni costruite con materiali speciali che hanno eliminato i rollii di un tempo, fastidiosi per i passeggeri, e così via. Prima di raggiungere Andropoli i due si fermano in altri luoghi, fra i quali è interessante e insistita, nella ricostruzione di Mantegazza, la visita all’isola di Ceilan. Detta anche l’Isola degli Esperimenti, Ceilan ospita infatti piccole comunità che si reggono secondo princìpi ormai superati, ma tollerate perché la loro presenza permette ai visitatori la documentazione comparata dei sistemi sociali del passato. È uno dei tanti musei che si trovano nelle descrizioni dell’Anno 3000, a conferma che il mondo del futuro coltiva il confronto con il passato, perché il progresso si misura nella storia: un museo nel quale Mantegazza 17 P. Mantegazza, L’Anno 3000, cit., p. 20. 18 P. Mantegazza, Lezioni di antropologia, cit., p. 120. 143 Claudio De Boni 19 P. Mantegazza, L’anno 3000, cit., pp. 60-61. 144 si diverte a giocare un po’ con la storia reale e un po’ con i modelli presenti tradizionalmente nelle utopie. A Ceilan Paolo e Maria sbarcano nella città di Eguaglianza, i cui abitanti sono dediti a un ugualitarismo assoluto spinto fino al vestiario, alle case, alle vie, indicate, come gli uomini, con numeri e non con nomi. La città è governata a rotazione da un capo che cambia ogni giorno, ma in realtà non c’è nulla da governare, se non assicurare il rispetto del codice ugualitario che regola ogni momento della comunità: la realizzazione del sogno del 1789, secondo Mantegazza. Esiste a Ceilan un altro modello socialisteggiante, meno radicale, quello di Turazia, città così chiamata in onore di un vecchio socialista di nome Turati: un modello criticato da Paolo perché dà troppo peso agli incolti e troppo potere a uno stato che assorbe ogni energia individuale, ma anche giudicato un’espressione generosa della fede ardente dei socialisti, che Mantegazza non approva, come sappiamo, ma a suo modo rispetta. I due visitano ancora Tirannopoli, in cui governa uno solo assistito da molti soldati, e Logopoli, la città della parola, retta secondo un regime parlamentare del quale il nostro autore ripete le critiche che già conosciamo. E, trovandosi nell’isola ogni utopia sociale che gli uomini vogliano ripetere, sappiamo che esistono Poligama, in cui ogni maschio ha molte mogli, e il suo opposto Poliandra; Cenobia, in cui vivono asceticamente solo maschi, e Monachia, popolata da monache dedite al culto di Saffo; e ancora Peruvia, in cui vige un comunismo di stato di origine incaica. La destinazione successiva dei due viaggiatori nel futuro è l’isola di Dinamo, situata nelle attuali Andamane, che nell’anno 3000 è uno dei quattro luoghi in cui vengono accumulate le energie cosmiche per distribuirle su tutta la Terra. Anche qui esiste un museo che documenta la storia dell’evoluzione della meccanica, dall’antica forza animale a quella del vento, fino al vapore e all’elettricità; la fase successiva, iniziata a metà del XXVII secolo, è quella dell’applicazione della forza nervosa alla meccanica. Da osservazioni sugli animali, che producono calore e movimento, gli scienziati del futuro hanno inventato il “pandinamo”, capace di riprodurre in laboratorio il protoplasma dei corpi viventi e di distribuirlo sotto forma di energia in tutto il mondo attraverso tubi simili ai nostri nervi. Per questa ragione Dinamo è una città-laboratorio abitata da ingegneri e luogo di formazione dei futuri fisici. La sua destinazione produttiva non ne ha però rovinato l’ambiente, come avviene invece nelle nostre città industriali: tanto che, con piglio tipico delle narrazioni utopiche, Mantegazza scrive: “Sbarcando a Dinamo, nessun rumore stridente, nessun fumo disgustoso, che annunziasse un’officina, come invece era il caso delle antiche fabbriche. E per le vie nessun uomo sporco di carbone o di sugna, o colla faccia logorata da lavori malsani o eccessivi. Gli operai erano pulitamente vestiti, vigorosi d’aspetto, e quasi per nulla si distinguevano dai loro capi, gli ingegneri dinamologhi. Alberi sempre verdi riuniti in boschetti e aiuole di fiori profumati separavano i diversi compartimenti dell’officina gigante”19. La visita all’isola costituisce anche l’occasione per celebrare gli effetti di pacificazione del progresso tecnico e scientifico: “La rapidità delle comunicazioni ottenute col vapore e col telegrafo hanno contribuito più di tutti i libri, di tutti i giornali, più di Utopia e positivismo tutti i parlamenti, di tutti i codici ed anche di tutte le religioni a distruggere l’antica e scellerata guerra fra popolo e popolo e a creare una nuova morale, sana e sincera”20. Paolo e Maria giungono finalmente a Andropoli, città fondata cinquecento anni prima per essere capitale della Terra, e che nell’anno 3000 conta ormai dieci milioni di abitanti. Sin dall’inizio, cioè dalla descrizione della città, percepiamo che la società utopica che ci vuole presentare Mantegazza non è uguale a quelle più diffuse nella storia del genere. Manca per esempio una rappresentazione della città come ordine uniforme, se non al suo centro, costituito da una grande piazza da cui si irradiano sette grandi strade simili ai raggi di una stella. Questa parte della città ha un aspetto monumentale perché è in pratica il cuore pulsante del mondo: nella piazza “si innalzavano superbi il Palazzo del Governo, l’Accademia delle scienze e delle lettere, l’Accademia delle arti belle e il Tempio della speranza. Nelle vie che sboccavano nella piazza, eran posti gli alberghi, i grandi magazzini, gli Archivii, le Biblioteche; tutti gli edifizii pubblici necessari alla vita di un gran popolo”21. Ma il resto dell’immensa città, in mano ai privati, non è monotona (come le città americane a scacchiera, sottolinea Mantegazza): la pianificazione urbanistica si limita a stabilire che le costruzioni non siano di più di due piani e che le vie siano ampie, di non meno di venti metri di larghezza: per il resto ognuno privilegia lo stile che preferisce, cosicché le abitazioni, che affiancano anche strade curve e non solo rettilinee, presentano un singolare miscuglio di tutti gli stili architettonici conosciuti. È il primo segnale che l’utopia di Mantegazza vuole essere in più punti innovatrice rispetto alla tradizione del genere: e capiremo progressivamente che si tratta di un mondo non perfetto ma in via di continuo perfezionamento (non si sono per esempio ancora sconfitte tutte le malattie); di un mondo in cui il governo pubblico si confronta positivamente con la libertà dei cittadini e con il loro senso di autonomia; di un mondo in cui anche molti servizi che in altre società immaginate sono rigorosamente pubblici qui sono soggetti a sollecitazioni private: a un certo punto assistiamo per esempio a un paziente che paga un medico dell’ospedale per la visita, cosa inammissibile per molta tradizione utopica. La ricerca di una composizione fra tecnocrazia e libertà ispira la stessa organizzazione politica del mondo futuro. Nel Palazzo del Governo di Andropoli si riuniscono periodicamente i delegati che rappresentano le varie regioni del mondo, eletti con cadenza annuale nei loro paesi a suffragio universale, con il diritto di voto che spetta anche alle donne: l’esistenza di un governo centrale, destinato a coordinare il progresso su tutta la Terra, non si risolve tuttavia a danno dell’autonomia dei diversi territori, spettante alle regioni e ai comuni. La funzione principale dei delegati è quella di eleggere un capo anch’egli di durata annuale, a cui spetta il nome di Pancrate, il quale a sua volta è soprattutto un controllore politico dei tecnici che presiedono i quattro uffici centrali che sovrintendono rispettivamente all’agricoltura, alla salute, all’istruzione e all’industria e commercio. A differenza di molte altre utopie del passato, L’anno 3000 non si dilunga a proposito della struttura economica: la collaborazione fra 20 Ivi, p. 65. 21 Ivi, p. 84. 145 Claudio De Boni 22 Ivi, p. 131. 23 Ivi, p. 136. 146 scienza, tecnica e produzione assicurata da una società illuminata sembra infatti sufficiente a costruire una situazione economica soddisfacente, in cui l’iniziativa privata si equilibra quasi automaticamente con l’interesse pubblico. Il ruolo del governo centrale, assistito come sappiamo dai tecnici, è soprattutto quello di garantire la corrispondenza fra popolazione e risorse (tutta l’utopia mantegazziana è piena di richiami malthusiani), e di evitare che le iniziative produttive creino eccessivi danni all’ambiente o pericoli di crisi da sovrapproduzione. Fra i compiti delle autorità c’è per esempio quello di esprimere un parere sui grandi disboscamenti planetari, che incrementano le aree poste a coltura e quindi le risorse, ma possono provocare squilibri climatici, e di organizzare e fornire le informazioni affinché le imprese non falliscano a causa di un’eventuale scarsa conoscenza delle condizioni dei mercati. Esiste ovviamente ad Andropoli una finanza pubblica, che non sembra tuttavia molto rilevante, visto che nell’anno 3000 si versano poche imposte, e le pagano solo i ricchi. Più attenzione è posta da Mantegazza attorno al sistema sanitario dell’anno 3000, che ha per scopo di “abolire le malattie, prolungare la vita umana e togliere alla morte ogni dolore e ogni terrore”22. Il tema della salute si accompagna a insistiti richiami di tipo eugenetico e malthusiano, dei quali tuttavia si è già detto, e i risultati sono apprezzabili, visto che la durata della vita media delle persone continua a salire (anche se Mantegazza non prevede, a così grande distanza, esiti spettacolari: i cittadini di Andropoli campano in media 72 anni, con punte che si spingono fino a 86). I progressi effettuati non nascondono il fatto che molto ancora resta da fare: all’interno della sua utopia della perfettibilità e non della perfezione, come si è detto, l’autore dell’Anno 3000 riconosce che nel suo mondo ideale ci sono ancora malattie ereditarie ed errori di valutazione medica, nonostante solo i sani vedano riconosciuta la loro aspirazione a un matrimonio fecondo. Comunque apprendiamo che esiste una vasta medicina preventiva, che si partorisce senza dolore, che i defunti vengono cremati. Grande rilievo ha infine nell’utopia di Mantegazza, come un po’ in tutte le utopie, il sistema educativo e culturale. È convinzione degli uomini del futuro che per la felicità occorra, oltre alla buona salute, l’“equilibrio armonico di tutte le facoltà del pensiero e di tutte le energie del sentimento, in modo che tutte sieno attive e nessuna si esaurisca per troppa fatica”23. Di qui il peso determinante assunto dall’istruzione, tanto che il direttore del dipartimento scolastico è ad Andropoli la seconda autorità dopo il Pancrate e corrisponde – aggiunge il nostro autore con piglio comtiano – al pontefice della vecchia chiesa cattolica. All’epoca in cui Paolo e Maria visitano la capitale del mondo il dipartimento scolastico è impegnato a studiare il problema dell’inserimento delle donne nelle professioni, avvenuto ormai da tempo, ma ancora fonte di nevrosi perché non è ancora perfezionato un sistema che armonizzi il lavoro maschile con quello femminile e con i ruoli sociali dei due generi. Sappiamo comunque che anche le donne insegnano, e fino ai livelli più alti di studio. Il dipartimento scolastico, rispettoso della libertà di pensiero che vige in tutto il mondo, procede non per ordini ma per consigli: esiste però per tutti i giovani un controllo scientifico delle loro Utopia e positivismo capacità e inclinazioni intellettuali, allo scopo di inviarli verso le professioni a loro più adatte. Tutti sono in ogni caso stimolati a procedere il più a lungo possibile negli studi, in ossequio al motto “volere è potere, ma a patto di sapere”24. I vecchi programmi scolastici, quelli in vigore nel lontano secolo XIX, sono stati ovviamente modificati: non si studia più la filosofia, sostituita da psicologia e antropologia; l’insegnamento ha un’intonazione prevalentemente scientifica, ma la storia rimane una delle discipline più curate. Nell’ampia simbologia che, come in tutte le utopie, accompagna la descrizione della città effettuata dai suoi visitatori, il culto del passato, inteso come passaggio importante verso la felicità presente, ha uno spazio rilevante. Ovunque i nostri due viaggiatori incontrano monumenti che celebrano i geni dell’umanità che con le loro scoperte e le loro azioni hanno favorito il progresso nella scienza e nel vivere sociale. Analoga funzione hanno i musei, dei quali si è già fatto cenno, disseminati in tutta la capitale per documentare il progresso delle varie branche in cui si è esercitato il pensiero creativo dell’umanità. Altre forme di comunicazione culturale hanno infine il compito di muovere i cuori all’amore per i propri simili. Importanti sono in proposito i teatri, ad Andropoli quasi tutti a gestione privata, ad eccezione dell’unico pubblico, ma anche il più grande, denominato “Panopticon” (con un significativo slittamento del termine benthamiano dall’indicazione carceraria delle origini a un luogo di piacere e di cultura). A teatro i cittadini del futuro si recano quasi esclusivamente di giorno, cosa che è loro consentita dal fatto che le ore di lavoro nella giornata si sono drasticamente ridotte rispetto al presente; di notte essi preferiscono dormire. Paolo e Maria si documentano sugli spettacoli rappresentati, che alternano a pièces originali di argomento per lo più tecnico e scientifico riprese dei nostri classici, fra i quali apprezzati sono Sofocle e Shakespeare. Essi hanno anche la possibilità di assistere a una serata di gala avente per argomento il “ciclo del piacere cosmico da Omero fino all’anno 3000”, nel quale recitazione, musica e danza confluiscono nel celebrare vari tipi di soddisfazione, dal cibo alla voluttà nella lotta all’eros. Un ruolo significativo esercita anche la religione: non più le religioni del passato, in gran parte cadute in rovina (salvo un piccolo nucleo di cristiani che hanno abbandonato molti dei loro vecchi dogmi), ma un credo senza clero che si limita alla libera accettazione dell’idea dell’esistenza di Dio e dell’immortalità dell’anima. Si tratta di una religione che assomiglia al deismo settecentesco, ma che lo ha rivitalizzato con una grande fiducia nel futuro. Esiste ad Andropoli una vera e propria chiesa deista, che onora il Dio Ignoto: ma a Paolo sembra una religione troppo dettata dal pensiero e poco incline a lasciar sfogare i moti positivi del cuore. Non per nulla l’edificio religioso più bello e più maestoso di Andropoli è invece il Tempio della Speranza, compresa la speranza di durare oltre la morte terrena, che nessun costume scientifico riuscirà mai a eliminare. Utopia di non elevate aspirazioni letterarie, L’anno 3000 riesce tuttavia a condensare in modo efficace le aspirazioni progressive e scientiste del suo autore, restituendo in definitiva al genere quello che gli è proprio: un’idea di sistema troppo semplice se paragonata alla complessità del 24 Ivi, p. 167. 147 Claudio De Boni mondo reale, compensata però da una grande capacità di aprire squarci specifici su temi che saranno davvero del futuro, come la grande espansione dei mezzi di comunicazione e il loro perfezionamento, la volontà degli uomini di intervenire nei meccanismi riproduttivi per renderli più consoni ai loro desideri, l’aspirazione della scienza e della tecnica a piegare la natura agli scopi dell’umanità. Con in più la consapevolezza, nel caso di Mantegazza, che ogni azione umana deve sapersi tenere in equilibrio con le capacità di adattamento dell’uomo stesso e con le possibilità dell’ambiente. 148