Università degli Studi di Torino Dipartimento di Psicologia Lavori progetto "Chiave di Volta" LA PROFEZIA CHE SI AUTOAVVERA A cura di: Fantini Cristina, Metastasio Erika, Racca Carla Nel presente lavoro abbiamo deciso di approfondire, dal punto di vista teorico, il concetto di profezia che si autoavvera, che abbiamo già trattato nella precedente relazione intitolata: “Mauritius Cornelius Escher”. Come abbiamo già detto la self­fulfilling prophecy theory fu introdotta nelle scienze sociali dal sociologo R.K. Merton nel 1948 e descrive: “una supposizione o profezia che per il solo fatto di essere stata pronunciata, fa realizzare l’avvenimento presunto, aspettato o predetto, confermando in tal modo la propria veridicità”. Un esempio tipico di profezia che si autoadempie, citato dallo stesso Merton, è quello per cui la notizia infondata dell'insolvibilità di una banca porta al suo effettivo fallimento per il contemporaneo ritiro dei depositi da parte dei correntisti, allarmati dalle voci di insolvenza. Questo genere di profezia è diffusissima nell'ambito della vita sociale e spiega l'esito di molte dinamiche entro diversi contesti, da quello familiare a quello istituzionale: il sospetto di una relazione extraconiugale deteriora il clima di coppia e provoca infedeltà reali; l'ostracismo verso una comunità straniera, accentuandone la marginalità sociale, ne incentiva comportamenti "devianti" che a loro volta ri­alimentano la diffidenza iniziale. Merton voleva dare consistenza teorica ad un'esperienza del senso comune, affermando che spesso i fatti considerati veri, anche se non lo sono, provocano degli effetti reali, spingendo gli individui a comportarsi come se fossero tali. Fondamentale per la teorizzazione della profezia che si autoavvera è la “definizione sociale della situazione” di Thomas, nota anche come “Teorema di Thomas”. Questo principio sostiene che se gli attori sociali definiscono collettivamente la situazione in cui si trovano in modo non concordante con i dati oggettivi, questa definizione, per quanto sia falsa nelle sue premesse, diventerà però vera nelle conseguenze della loro azione, perché gli attori la ritengono vera e agiscono di conseguenza. In linea con la teoria della profezia che si autoavvera, Thomas, infatti, afferma che: “Se gli uomini definiscono le situazioni come reali, esse sono reali nelle loro conseguenze”. Perciò se una supposizione è giudicata vera, le sue conseguenze saranno reali, indipendentemente dalla veridicità o meno della supposizione. Questa nozione pone in rilievo la facoltà degli attori sociali di intervenire a plasmare cognitivamente la realtà con le loro idee e le loro concezioni del mondo. Da questo punto di vista la realtà non va intesa come un dato che precede l’azione, ma piuttosto come il risultato finale dell’azione stessa. La teoria di Merton, inoltre, può essere ulteriormente suffragata dal concetto di “bias di conferma”. “Bias” è un termine inglese derivante dal latino “bifax”, (doppia faccia), usato in psicologia nel significato specifico di interpretazione arbitraria, distorsione. È una caratteristica individuale per la quale un soggetto attribuisce (o reagisce) in una maniera costantemente diversa da quella che si potrebbe prevedere se si facesse esclusivamente riferimento alle leggi di funzionamento o alle relazioni matematiche tra situazione e comportamenti. In particolare, il “bias di conferma” è un fenomeno mediante il quale la nostra mente prende atto dei dati che riceve in modo selettivo, notando e sopravvalutando le informazioni che confermano le nostre credenze, ed ignorando o sottovalutando le informazioni che contraddicono le nostre convinzioni. Allo stesso modo la teoria della dissonanza cognitiva, formulata da Festinger nel 1957, afferma che ogni esposizione non intenzionale all’ informazione è una sorgente potenziale di dissonanza, la quale si produce ogni qualvolta le nuove informazioni che giungono al soggetto gli portano elementi contrastanti con le sue credenze e le sue opinioni. Le tesi della teoria della dissonanza cognitiva sostengono che si attivano qui dei processi di “esposizione selettiva”, nel senso che l’individuo tende ad evitare informazioni contrastanti con il proprio mondo interiore e a ricercare informazioni a sostegno. Dunque, al pari della teoria della profezia che si autodetermina, il concetto di “bias di conferma” sostiene che le conclusioni di una determinata azione sono influenzate da quello che si vuole credere. Inoltre, secondo Taifel sono gli stereotipi che “aiutano a gestire la complessità” . Con gli stereotipi si attivano dei processi cognitivi automatici che la mente utilizza al fine di organizzare, categorizzare ed esemplificare l’infinità di informazioni in entrata a cui siamo sottoposti quotidianamente. Si pensi al numero infinito di luoghi, persone e gruppi sociali a cui dobbiamo ogni giorno attribuire un significato, una caratteristica, un peculiare tratto e decidere di conseguenza la nostra risposta comportamentale. Il modo in cui agiamo nella vita, il modo in cui ci comportiamo di fronte ad una situazione o ad una persona, dipendono dal modo in cui percepiamo questi fattori esterni e da come percepiamo noi stessi. Allo stesso modo, cambiamo il nostro modo di agire, di parlare, a volte anche incosapevolmente, a seconda della persona che abbiamo di fronte. Il nostro comportamento dipende da come percepiamo quella determinata persona, dalle caratteristiche che le attribuiamo come singolo individuo o come individuo facente parte di un certo gruppo sociale. Si selezionano così le informazioni in entrata, giudicando come vere e significative quelle che funzionano da conferma del proprio modo di categorizzare. Se giudico una persona estremamente disordinata, darò priorità a tutti i comportamenti che confermeranno il mio modo di pensare. Gli atteggiamenti invece controstereotipici saranno messi in secondo piano e giudicati eccezionali e non indicativi. Questo induce ad errori nella valutazione degli individui nella vita di tutti i giorni; le aspettative che riponiamo su un individuo, possono indurlo a comportarsi proprio come noi ci aspetteremmo che si comportasse. Se sto parlando con una persona di cui ho la forte opinione che sia molto timida, probabilmente assumerò un atteggiamento tale da farla comportare in modo che io abbia conferma di ciò che penso. E’ questo è appunto il fenomeno della “profezia che si autoadempie”. Edward de Bono offre una interessante ipotesi su come il cervello organizza le percezioni e parla di schemi autorganizzanti. La nostra mente invece di aprire nuove piste, nuovi modi di percepire e interpretare la realtà,tende a interpretare gli input attraverso un modo preesistente. Questo schema, una volta formato, ci aiuta a diventare molto operativi, rapidi e capaci, ma contiene in sé un pericolo, quello di rendere troppo poco precisa la nostra percezione. Rischiamo cioè di utilizzare questi schemi autorganizzanti per capire in realtà in maniera troppo frettolosa. Quando un individuo è guidato da uno schema disfunzionale dal quale non sa difendersi, si può verificare un fenomeno “pericoloso”: la spirale che Paul Watzlavick ha descritto come "profezia che si autodetermina". Esiste innanzitutto una relazione tra schemi autorganizzanti e le principali funzioni psichiche: le percezioni, le emozioni, le decisioni, i comportamenti, la comunicazione ecc. Esiste inoltre una ulteriore correlazione che comunemente sfugge alla mente: quella tra i comportamenti agiti dall’individuo e le risposte comportamentali che questi tendono ad evocare negli altri. Analizziamo quindi le fasi mediante le quali questa spirale si origina e perversamente si rinforza in continuazione: 1. Gli eventi della vita vengono letti dalla mente mediante uno schema autorganizzante (idea ­ credenza). 2. Questa elaborazione porta ad una precisa costruzione di un significato. 3. L’individuo a questo punto vive una percezione che a lui appare pura, cioè reale, ma che di fatto è fortemente influenzata dal significato che altro non è che l’elaborazione dell’evento mediante lo schema autorganizzante. 4. La percezione mette a questo punto in moto una emozione che è assolutamente coerente con la percezione, ma non per forza coerente con la realtà dell’evento. L’emozione è sempre coerente con la percezione: se la percezione deriva da una elaborazione poco precisa questo conseguentemente comporterà una reazione emotiva poco appropriata alla realtà dell’evento. 5. Le emozioni attivate, anche in base alla loro intensità, influenzano pesantemente, come tutti noi sappiamo, le decisioni dell’individuo. 6. Le decisioni si manifestano concretamente nelle azioni dello stesso sotto forma di comportamenti e comunicazioni (verbali e non verbali). 7. Le azioni di un individuo mettono fatalmente in moto delle reazioni, delle risposte emotive e comportamentali negli altri. Queste reazioni tendono, per la legge dell’affinità, ad essere coerenti con le azioni di partenza dell’individuo. Si tende a rifiutare chi ci rifiuta, arrabbiarci con chi ci aggredisce, affezionarci a chi ci ama ecc. 8. Le risposte dell’altro, specie quelle negative (rifiuto, rabbia, disinteresse, ecc.) tendono ora fatalmente a dare prova, conferma e rinforzo allo schema autorganizzato 9. Lo schema autorganizzato, rinforzato, diviene una sorta di solco ancora più scavato nelle pieghe del nostro cervello, pronto a funzionare ancora più potentemente ed efficacemente in futuro. Una storiella può illustrare in modo divertente la incisiva potenza del meccanismo di tale spirale: Nasruddin vide che un suo caro amico ogni mattina batteva forte un tamburo per un’ora nel giardino della sua casa. "Ma perché batti il tamburo ogni mattina?" gli chiese. La risposta fu alquanto sorprendente: "Per tenere lontani gli elefanti da qui". "Ma se non ci sono elefanti nella nostra regione!" esclamò sbalordito Nasruddin. "Vedi che funziona!" rispose tutto orgoglioso l’amico. Un esempio concreto molto semplice ma purtroppo molto comune è il seguente: una persona viene tradita dal partner. Questa esperienza può portare allo sviluppo di uno schema, di un’idea che potrebbe essere: "non ci si può fidare dell’altro sesso". La prossima volta che il tale entra in contatto con un’altra persona dell’altro sesso rischia di dare un significato e interpretare il comportamento altrui sulla base di questa idea (sospetto che mi vuole fregare), vivere un emozione che non è più adeguata e consequenziale a quello che succede all’esperienza diretta, ma ad un’elaborazione (sfiducia e angoscia), e le sue azioni possono essere viziate (controllo, distanza affettiva, freddezza) e produrre una risposta da parte dell’altro non piacevole (rifiuto, sospetto, perplessità). Questa risposta non piacevole andrà a confermare l’idea di partenza (ho proprio fatto bene a non fidarmi). Quelle che abbiamo fin’ora elencato sono solo alcune delle innumerevoli teorie alla luce delle quali si può leggere il fenomeno del mobbing. Infatti, come già abbiamo precisato nel nostro precedente lavoro, il mobbing, come d'altronde tutti i fenomeni sociali, è caratterizzato da un elevato grado di complessità ed è perciò opportuno, in sede di analisi, tener conto delle diverse sfumature del problema.