I mille volti dell`Apocalisse, di Stefano Chemelli

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lunedì 7 gennaio 2013
Cultura e Società
l'Adige
LA RIVISTA
Leggere
il futuro
Il periodico «AltreStorie»
del Museo Storico del Trentino
affronta nel 38° numero
con saggi e interventi
rigorosi e accattivanti
un tema tornato alla ribalta
sull’onda della profezia Maya
STEFANO CHEMELLI
I
l periodico «AltreStorie», giunto
al suo quattordicesimo anno e
al suo trentottesimo numero, è
divenuto ormai un piccolo
gioiello della Fondazione Museo
Storico del Trentino, una rivista di
piacevole lettura documentata e
corredata da un apparato
iconografico di prim’ordine. La
scelta monografica riserva sempre
qualche sorpresa e anche questa
I mille volti dell’Apocalisse
volta con un tema apparentemente
d’occasione non si perde l’intento
serio e rigoroso della riflessione
argomentata. Ragionare sul
significato storico dell’Apocalisse
era il tema che nascondeva
l’attualità curiosa di una profezia
Maya che aleggiava senza suscitare
particolari preoccupazioni, ciò non
toglie che anche partendo
dall’effimero si possano cogliere
spunti notevoli in un sommario
pieno di contenuti luminosi e
integrati, più che apocalittici.
Profetizzare il futuro è una sorte di
metafora della nostra precarietà, di
un’incertezza che possiamo
esprimere con mandato provvisorio,
in direzione dell’utopia e del timore
di una distruzione imminente che
può avvenire anche dentro di noi. Il
saggio erudito di Massimo Libardi
che apre il numero, introduce
attraverso diversi piani di lettura
L’apocalissi di Giovanni o Libro della
Rivelazione, l’ultimo libro del Nuovo
Testamento; un vero e proprio
giardino di simboli, nella parola del
grande Eliot, si rivela il tema
dell’Apocalisse che tanto ha
influenzato la cultura occidentale e
non solo.
A
nche la storiografia
romantica ha rivitalizzato
con maggior contezza gli
snodi e le paure dell’anno
Mille, anche qui intrisi di
sogno, mistero, affabulazione per
non parlare delle più accese
nevrastenie delle estreme, destre e
sinistre, nel quadro mosso e
prettamente mistico di una politica
dal sapore profetico della follia
messianica. Eppure l’Apocalisse
saputo descrivere con la magia della
sua lanterna magica: la paura della
fine, del nulla, in un profilo
individuale che coinvolge
inevitabilmente il valore collettivo di
una profezia che si fa tragedia
ripetuta nelle diverse generazioni.
G
Dal Libro della
Rivelazione
fino al cinema
e all’universo online
passando
attraverso
i «secoli bui»
e l’età romantica
per approdare alla
voce di Grossman
tiene in sé il significato e il senso
della catastrofe morale e naturale,
spirituale e materiale, nelle loro
diverse forme: artistiche, filosofiche,
storicamente determinate dalla
speranza e dalla disperazione che si
ripropone ciclicamente nel
desiderio grato dell’esterefatta
terribilità umana, come
nell’inclinazione a una supposta
redenzione che sappia esorcizzare
ciò che sfugge all’umano. Di grande
suggestione è il dialogo tra Franco
Cardini e Franco Rella, stimolati da
Paola Bertoldi, che analizzano in
chiave moderna, attraverso i secoli,
l’inquietudine di un tema che «Il
settimo sigillo» di Bergman ha
li stessi impulsi
rivoluzionari assaporano
il gusto dell’apocalisse,
ma non bisogna
dimenticare che il timore
della fine prelude a un inizio, il
passato che si compie può costituire
l’avvio di un trauma irrisolto che
trova una nuova via di soluzione,
una strada del tutto imprevista che
si apre nell’assoluta imprevedibilità
degli eventi: basterebbe pensare al
1989 per comprendere di che cosa
stiamo parlando. L’attesa della fine
può essere il punto focale di una
transitorietà trasformatrice di quella
stessa attesa che muta nel nuovo,
dove il noto diventa qualcos’altro al
quale aggiungiamo la nostra parte,
con un sentore che incrocia i diversi
credi religiosi, le diverse idee
spirituali lungo secoli perigliosi e
contraddittori come ci ricorda
Marta Villa.
Marco Pellitteri si sofferma su un
immaginario di straordinaria
suggestione che comprende
l’amplissima serie di
rappresentazioni grafiche,
immaginifiche, tra fumetto e cinema,
animazione e videogiochi, senza
tralasciare il valore della mitologia
legata all’ordinaria catastrofe del
quotidiano che risiede nell’anima
esterna di un vissuto che si
ripercuote intensamente
nell’interiorità di ognuno. Qui
Il film «Terminator Salvation» (2009);
a sinistra «Resurrezione dei morti»
dal rosone sull’Apocalisse
della Sainte-Chapelle a Parigi
incontriamo mondi vicini
all’immaginario dei nostri figli, vale
la pena conoscerli per non perdere
quel contatto che pochi riescono a
mantenere, apocalisse o meno…
Alice Manfredi ci porta direttamente
sulla rete a vivere in prima persona
le profezie online, il volto di una
nuova Hollywood che ormai parla il
linguaggio di You Tube, dei social
network, di Apple, Google, Amazon,
Facebook, Microsoft perché anche
di lì, soprattutto di lì passano le vite
parallele che hanno ben poco di
profetico ma riempiono sempre di
più il tempo vuoto e dilatato di uno
spazio così pieno da assomigliare al
deserto dell’anima individuale
propria, originaria, nostra. Eppure,
come farne a meno!
David Grossman con il suo
capolavoro «Vedi alla voce: amore»
ci conduce al centro delle cose, ci
indica che anche quando la parola
«fine» prende le sembianze della
Shoah, l’uomo, il bambino che è in
noi, può aggrapparsi a una speranza
che possiamo rivivere insieme a lui
in un libro capitale del secondo
Novecento. Una speranza legata alla
parola di una letteratura così alta
che diventa la nostra voce nel pieno
del dramma che si compie
attraverso la pelle degli uomini,
delle vittime e dei carnefici, dei
sommersi e dei salvati. Una voce
che ci avverte per tempo che il
confine tra il bene e il male, tra la
malattia e la salute è labilissimo,
impalpabile se non lo sappiamo
indagare a fondo in un processo di
conoscenza che implica la fatica e il
sacrificio, la riflessione, l’attenzione
e l’osservazione dei dettagli più
minuti.
Lo studio | Ripubblicato il celebre testo americano «Quando la profezia non si avvera»
Ma il mondo non finisce
l’estate del 1954. In una
cittadina del Kansas, la
casalinga 53enne Marian
Keech sostiene di aver ricevuto
messaggi dal padre defunto e
dagli abitanti del pianeta Clarion,
che lei chiama «Guardiani»: una
colossale inondazione, annuncia,
devasterà la Terra il 21 dicembre,
farà sparire la costa orientale
degli Stati Uniti, le isole
britanniche e la Francia. Ma
quanti avranno creduto a quel
messaggio saranno portati in
salvo dagli alieni sui loro dischi
volanti. È l’epoca in cui il mondo
è ossessionato dalla mania degli
Ufo e dall’angoscia dell’atomica
e, almeno a livello locale, il
messaggio della Keech fa presa,
tanto che alla fine il gruppo di
È
adepti si trasforma in un vero e
proprio movimento. Se ne
accorge un gruppo di studiosi
della vicina università del
Minnesota, che decide di
infiltrare alcuni «osservatori» tra
i seguaci della Keech. Tra di loro,
anche i tre che scriveranno poi
questo libro, e che diventeranno
mostri sacri della psicologia
sociale americana. In particolare
Leon Festinger (1919-1989) che
grazie a questo esperimento
mette a punto un concetto
fondamentale della psicologia
sociale, quello di «dissonanza
cognitiva», che spiega quel che
accade quando le nostre
convinzioni vengono smentite
dai fatti ma invece di
abbandonarle finiamo per
abbracciarle con maggior
fervore. Resoconto di un
esperimento ma anche vicenda
dai risvolti romanzeschi, questo
libro, pubblicato nel 1956,
divenne un classico della
psicologia sociale, ma anche un
bestseller tout-court. Riproposto
negli Stati Uniti nel 2008, in Italia
è stato appena ripubblicato da il
Mulino con un occhio al
tormentone sulla profezia
apocalittica dei Maya che tra
l’altro coincideva con le vicende
narrate in questo libro anche
nella data: il 21 dicembre.
Leon Festinger, Henry W. Riecken,
Stanley Schachter, «Quando la
profezia non si avvera», Il Mulino
Editore, 264 pagine, 28 euro.
La copertina dell’edizione italiana del libro di Festinger, Riecken e Schachter