CHIARA MACCIONI, GIULIA OLIVARI,
LIVING THEATRE, The Antigone of Sophocles di Bertolt Brecht
Un mito, pur mantenendosi entro gli schemi della sua originaria struttura,
si piega alle esigenze culturali e ideologiche diverse,
in diversi momenti storici.
(La Fraisse)
Antigone da Sofocle/Hölderlin/Brecht è uno spettacolo del Living Theatre che debutta in Germania
il 18 febbraio 1967 (gli anni dell'esilio europeo). Sarà ripreso in una seconda edizione nel 1979
(quando la compagnia ritorna nei teatri dopo l'esperienza del teatro di strada tra Brasile, Stati Uniti
ed Europa): siamo più lontani dagli anni del Vietnam ed emerge con maggiore evidenza
l'universalità del messaggio che ha portato a scegliere di rappresentare questa storia, che è la storia
di una tirannia guerrafondaia che vede tutti i cittadini suoi complici, per non essersi rivoltati in
tempo contro un regime che ha già prodotto effetti irreversibili sulla società – e riguardo al tema
della complicità/corresponsabilità, si noti, già dall'inizio dello spettacolo, l'uniformità della
situazione: la compagnia schierata in silenzio davanti al pubblico, non lascia prevedere chi
assumerà il ruolo del tiranno e chi quello di vittima.
Il progetto di rappresentare Antigone risale al '61, quando Beck e Malina entrano in contatto con
una copia del Modellbuch del Die Antigone des Sophokles di Brecht. Il Modellbuch è la
testimonianza pratica della teoria del modello scenico elaborata da Brecht contro quegli “atti
creativi sporadici e anarchici” caratteristici della sua epoca, in cui solo la novità pareva venire
apprezzata. Nel Modell di Brecht contribuiscono a “fissare” il processo creativo: la sommaria
descrizione della scenografia, dei costumi e dei gesti degli attori della prima rappresentazione a
Coira (Svizzera, 1948), alcuni schizzi e una settantina di foto, dalle quali si evince una “vaga
indicazione di lontananza, di antichità e di 'barbarie'”.
Da qui parte il Living Theatre, ma l'intenzione è fin da subito quella di staccarsi dal Modell e dalle
sue immagini per “inventare di sana pianta sia lo stile, sia lo stato d'animo”. Judith Malina lavorerà
anche in carcere ('64) alla traduzione inglese del testo di Brecht, comparandolo al testo sofocleo e
alla traduzione che nel primo ottocento Hölderlin consegnò al Romanticismo tedesco (e allo stesso
Brecht, che non conosceva il greco).
La trama in Sofocle
Nel 442 a.C. Sofocle partecipa alle Grandi Dionisiache con questa tragedia che affronta un tema
“d'attualità” e allo stesso tempo eterno, quale il diritto-dovere di seppellire i morti (gli strateghi
vittoriosi alle Arginuse furono condannati per aver violato l'antica legge sulla sepoltura instaurata da
Teseo, il leggendario re di Atene).
La trama in Brecht (Die Antigone des Sophokles, scritta nel 1947)
Brecht mantiene il contesto greco e lo stile tragico originari, sulla base della traduzione di
Hölderlin, innovativa per l'epoca, quanto disseminata di errori. Brecht, inoltre, rispetta
sostanzialmente la successione delle scene e il rapporto quantitativo tra di esse – anche se, già con
l'eliminazione della figura di Euridice, apporta una modifica strutturale rispetto al finale di Sofocle.
La principale differenza rispetto all'originale greco, consiste nell'aver piegato la perfetta
ambivalenza della costruzione sofoclea (l'equilibrio dialettico tra le ragioni dell'individuo-Antigone
e le ragioni della Polis-Creonte) in virtù della critica al nazismo. Per far questo, Brecht interviene a
partire dall'antefatto: Polinice è sì, come in Sofocle, traditore della patria, ma non per aver mosso
guerra contro la sua stessa città (Tebe), bensì per aver disertato la guerra contro Argo. Non c'è più la
guerra fratricida che vedeva Eteocle e Polinice avversari: i due non si uccidono più,
vicendevolmente, davanti a una delle porte della città, ma muoiono entrambi sotto lo stesso
stendardo dell'esercito del re (e zio) Creonte. Eteocle sarà il primo a morire, in battaglia,
disarcionato da cavallo. Di fronte alla morte violenta del fratello, Polinice fugge dall'esercito,
voltando le spalle alla virtù guerriera, nuovo valore in uno stato che fonda il proprio potere sulla
guerra permanente. Verrà raggiunto e ucciso dallo stesso Creonte e lasciato insepolto.
Il Living - e questa è una delle differenze principali messe in atto rispetto al testo di Brecht, che per
il resto seguirà piuttosto fedelmente – pone l'atto di disubbidienza di Polinice “a monte”: il fratello
minore di Eteocle si rifiuta di andare in battaglia. Per il resto, anche qui, Polinice viene ucciso da
Creonte – e l'atto si concretizza nello spettacolo del Living con un'immagine forte di “strappo”
d'organi, a partire da quelli genitali. Il gesto, ripetuto subito dopo da altri carnefici ai danni di
un'altra vittima, torna a mettere l'accento sulla questione della responsabilità condivisa, tema, come
già abbiamo visto, centrale nel lavoro del Living.
Tornando alle modifiche che Brecht effettua alla trama, possiamo quindi vedere come la guerra di
Tebe non sia una guerra di difesa, bensì una guerra d'aggressione indetta da Creonte (una sorta di
burattinaio nell'interpretazione di Julian Beck) contro la città di Argo, per impossessarsi delle sue
miniere. Un ricco bottino si profila per l'oligarchia che appoggia il tiranno: sono gli anziani di Tebe,
che quando vedono allontanarsi la vittoria su Argo e il conseguente premio (successivamente alla
profezia di Tiresia), solo allora si ritorcono contro Creonte.
Il fatto che il Creonte di Brecht sia un signore della guerra e che, lungi dal rappresentare la legge,
incarni l'arbitrio, smorza la tensione tragica e dialettica della storia, la stessa tensione che aveva
affascinato Hegel. D'altra parte Brecht, con questa operazione, aumenta il coefficiente di validità
storica della vicenda, denunciando appunto il nazismo.
Due episodi da Brecht, che non vengono messi in scena dal Living: il preludio e il prologo.
Il preludio, ambientato a Berlino, nell'aprile 1945, con protagonisti due sorelle e un agente delle
SS, presenta un linguaggio semplice e piano. È una situazione lontana da quel “gioco fra potenti”,
di cui, però, il dolore delle sorelle (non meno immenso di quello di Antigone) è un effetto.
Due sorelle operaie, rientrate nella loro abitazione dopo essere uscite dal rifugio antiaereo, si
accorgono, dalla presenza di alcuni indizi, del ritorno del fratello dalla guerra. Ma la sorpresa è
amara: il fratello si trova fuori dell'abitazione, impiccato. Il sopraggiungere di un soldato delle SS fa
scattare nella prima sorella l'istinto di sopravvivenza che la porta fingere di non conoscere il
disertore/traditore.
Nella seconda sorella scatterà un altro istinto: già con il coltello in mano, vuole tirare giù il fratello
e tentare di rianimarlo. Sì, perché, come recita la battuta finale di questo preludio, “forse non era
ancora morto.” Questa battuta è in bocca alla prima sorella: la saggezza dubita di se stessa. Ed è in
fondo il grande dubbio che, da Sofocle al Living, passando per Anouilh, l'intramontabile figura di
Antigone ci lancia.
Un'ultima riflessione sulla struttura del preludio. La scena, oltre a essere speculare all'incipit
dell'Antigone, che pure si apre con le due sorelle Antigone ed Ismene davanti al palazzo di Creonte,
presenta un'inversione di caratteri e ruoli rispetto alla tragedia: il carattere dolce di Ismene spetta,
nel preludio, alla sorella che vuole tirar giù il fratello (LA SECONDA); mentre il carattere duro di
Antigone, a quella che vuole impedire il gesto alla sorella (LA PRIMA).
Il ribaltamento dei caratteri nel preludio avrebbe creato nello spettatore un ulteriore contrasto con la
vicenda di Antigone, con la quale già contrastava per il registro stilistico e l'atmosfera: una vicenda
piana e contemporanea anticipava i toni da tragedia e le atmosfere lontane (vedi quanto detto sopra
per il Modellbuch).
L'antefatto dell'Antigone del Living (che narra i fatti fino alla sepoltura d'onore di Eteocle e alla
mancata sepoltura di Polinice) porta la forte suggestione di uno scenario bellico simile a quello
della vicenda delle due sorelle tedesche del preludio di Brecht, che pure il Living non mette in
scena. In particolare, alcuni attori del Living, dopo i primi minuti silenziosi di “messa a fuoco” del
“nemico” in platea (il palco è Tebe, la platea è Argo), assumono la posizione “rannicchiata” di
difesa, che insegnavano in quegli anni nelle scuole americane in caso di attacco aereo. Per non
parlare dei suoni delle sirene d'allarme, prodotti dagli stessi attori (come del resto tutta la
straordinaria e continua partitura sonora dello spettacolo).
Il prologo per la rappresentazione di Greitz del 1951, affidato da Brecht al personaggio di Tiresia,
presenta l'argomento dell'Antigone e conferma quanto appena detto sul linguaggio con cui è scritta
la tragedia:
“Amici, inconsueto / Può sembrarvi il linguaggio elevato”
È questa un'altra maniera che Brecht utilizza (così come il rimando esplicito alla Germania nazista
del preludio) per far notare allo spettatore come, dietro forme e storie apparentemente lontane, ci sia
il presente, o meglio, l'universale.
L'operazione di Brecht con Sofocle è equivalente a quella del Living con lo stesso Brecht: c'è la
volontà di mantenere sostanzialmente il testo originario. Mantenendo il Die Antigone des Sophocles
di Brecht (se pure interrotto dai versi de La leggenda di Antigone di Brecht, ossia i versi-ponte), il
Living in un certo senso ritorna al teatro di poesia dei suoi primissimi anni, anche se adesso
riscoperto attraverso Artaud. Un teatro di poesia in grado di “comunicare a un livello più profondo.
Solo la poesia o il linguaggio carico di simbolismo e molto distante dal nostro linguaggio
quotidiano può condurre al di là del presente, che non ha la chiave della conoscenza di questi
regni.”
Lo spettacolo
Nel 1966, il Living Theatre inizia a lavorare allo spettacolo a partire dal testo di Brecht, tradotto da
Judith Malina nel 1964, durante i trenta giorni di reclusione per vilipendio alla corte nella Passiac
County Jail di New York.
Dopo una prima lettura collettiva e tre mesi di discussioni senza risultati, i membri del gruppo, che
dal 1964 vivono come una comunità anarchica, decidono di scrivere tutte le idee che vengono
proposte, al fine di far emergere, oltre al tragico e al poetico, i contenuti politici dell’opera di
Brecht. Nella versione del Living Theatre, si evidenziano il valore della disobbedienza civile
(definita da Julian Beck "an old and very good idea") e temi quali la castrazione, l’asservimento, la
sopportazione e soprattutto l’intempestività (quello del "TOO LATE" sarà uno dei leit motiv dello
spettacolo).
L'elaborazione vera e propria dello spettacolo dura circa sei mesi, durante la tournée di Mysteries
and smaller pieces e di Frankestein. Dopo aver imparato a memoria le battute del testo in inglese, il
gruppo inizia a improvvisare utilizzando come punto di partenza due limiti che saranno sfruttati
come stimolo alla creazione: il fatto che la recitazione del testo tradotto sia in inglese (quindi
incomprensibile alla maggior parte del pubblico a cui è destinato) e la decisione/necessità di non
utilizzare scenografie. Antigone si prefigura dunque da subito come un lavoro indirizzato alla
ricerca di un linguaggio extraverbale, finalizzato a una comunicazione che avvenga attraverso più
livelli. Il gruppo lavora alla traduzione del testo in immagini plastiche create dal corpo degli attori e
in suoni prodotti unicamente dalle loro voci. Il Living prosegue dal punto di arrivo dei Mysteries,
svincolandosi cioè dalla rappresentazione per la creazione di una complessa partitura gestuale e
vocale in cui il testo recitato è solo uno tra i significanti, non il principale. Nel prendere le distanze
da un'interpretazione realistica, si liberano recitazione e gestualità dalla mera restituzione del testo e
si affida al corpo la rappresentazione del sottotesto.
“Stavamo rompendo la forma recitativa, e aprendola a quella della danza, nonostante non stessimo
danzando in realtà, e non applicassimo ai nostri movimenti nessuna posizione della danza. Si
trattava di esprimere esattamente coi nostri corpi quello che era il sottotesto delle parole”.
Per quanto riguarda le improvvisazioni corporee durante la creazione dello spettacolo, nelle
Conversazioni Judith Malina sottolinea l'importanza del lavoro di gruppo svolto tra i membri della
comunità anarchica. Dalle sue parole emerge quanto la condivisione della quotidianità sia una
condizione quasi imprescindibile per la fiducia e la sintonia che il gruppo riesce a raggiungere. “Il
punto di partenza è la conoscenza reciproca, fisica e spirituale”. In fase di sperimentazione tutto
ciò non può che tradursi in una profonda consapevolezza dell'ensemble che si fa corpo unico. La
fiducia e l'ascolto reciproco culminano nella capacità di sapere in anticipo che cosa farà l'altro, e
permettono un tipo di lavoro in cui è valorizzato l'apporto di ognuno. Un modo di lavorare che
rispecchia gli ideali di condivisione e permette di superare i limiti individuali.
“Le compagnie di danza sono esemplari in questo, avendo il vantaggio di diventare ‘corpo’
attraverso la danza, anche senza conoscersi personalmente: quello che devono conoscere sono i
rispettivi corpi. Noi vogliamo raggiungere lo stesso risultato attraverso il teatro e dobbiamo
conoscere i nostri corpi e i nostri cuori, i nostri spiriti e le nostre menti”.
Per una descrizione dello spettacolo, cfr. Cesare Molinari (dispense del corso)
Le immagini e le Bosch-Machines
Nel corso dello spettacolo gli attori prestano continuamente il proprio corpo, a prescindere dal
proprio personaggio, alla creazione di:
- immagini concrete presenti nel testo o evocate da esso (quando gli attori mimano avvoltoi,
onde del mare, soffio del vento, il cavallo che uccide Eteocle);
- immagini simboliche volte per lo più a rappresentare il potere e le sue basi, di cui l' esempio
più emblematico è la macchina dello stato. A questo proposito è interessante notare la
ricorrenza e la velocità nella composizione e scomposizione di architetture corporee che
fungano da sostegno (il trono per Creonte costruito dagli anziani) o attacco al potere (la
testuggine descritta da Molinari).
I frequenti crolli e disgregazioni sembrano voler sottolineare che ogni equilibrio gerarchico è
precario e destinato a cadere, come avviene per la colonna della vittoria formata da Antigone,
Emone e Polinice.
Per capire il tipo di fonti iconografiche alle quali il Living Theatre ha attinto per la creazione delle
architetture di corpi che caratterizzano Antigone, si può osservare Il Giardino delle delizie. È il
pannello centrale del trittico presente al museo del Prado del pittore fiammingo Hieronymus Bosch,
il quale nel '500 mette su tela visioni allucinate di un oltretomba che ricorda quello dantesco, con
uno stile che anticipa di svariati secoli la pittura onirica d' impronta surrealista e l'espressionismo.
D'altra parte, quella “forma di espressione psico-visuale” che caratterizza la creazione collettiva del
Living, trae ispirazione dalle più disparate fonti: ritagli, fotogrammi, cartoline... A questo proposito,
in Il lavoro del Living Theatre sono riprodotti i bozzetti disegnati da Judith Malina per comunicare
le sue "visioni" dello spettacolo agli attori e dare quindi una direzione alle improvvisazioni, o per
fissare i risultati ottenuti durante la ricerca corporea.
Per quanto riguarda altre fonti iconografiche dell'Antigone, troviamo per lo più riferimenti
all'iconografia orientale e all'arte medioevale; ad esempio troviamo delle analogie tra le immagini
religiose induiste di Vishnu e la postura che assume Tiresia dopo aver pronunciato la profezia su
Tebe (o deduzione scientifica?); oppure – suggestione non verificata – possiamo ritrovare
l'abbandono del corpo di Cristo, dipinto da Antonello da Messina, nel corpo di Eteocle: il caduto per
la patria viene sorretto in posizione verticale da un sepolcro umano – in forte contrasto con
l'orizzontalità del cadavere, costantemente presente in scena, del disertore Polinice.
Antigone, produzione artaudiana di un testo brechtiano
[…] Brecht ed Artaud: sono praticamente la stessa persona, ma, a causa delle difficoltà del
periodo hitleriano, uno assume l'aspetto dell'altro!.
(Julian Beck, in Signals through the flames)
Artaud finì in manicomio mentre Brecht diventò uno stalinista volontario, e non è forse questo il
perfetto paradigma di come si vada a finire se non si riescono a equlibrare le forme passionali del
vivere nel mondo e la rigidità dei processi cerebrali?
Così Judith Malina descrive la necessità di ricorrere al teatro di poesia quale luogo d'incontro ed
equilibrio tra due sfere opposte e complementari quali la razionalità di Brecht e il violento appello
alle viscere e ai nervi di Artaud. Antigone rappresenta l'emblema di questa ricerca, poiché troviamo
i due autori (modelli di riferimento per l'intera opera del Living Theatre) tradotti l'uno attraverso
l'altro.
La lezione di Artaud si traduce nella creazione di uno spettacolo che ha ben poco di narrativo e
descrittivo, fin dalla prima scena, in cui troviamo l'esplicito tentativo di stabilire una comunicazione
col pubblico che vada al di là di quella quotidiana, creando una dimensione rituale, definizione
utilizzata da Schechner nel descrivere lo spettacolo come “una situazione reale in cui si è tutti
coinvolti, un’esperienza un evento o qualcosa di altro dalla 'play' intesa come situazione estetica”.
Lo spettatore viene infatti coinvolto da subito attraverso lo sguardo degli attori che entrano
camminando lentamente in abiti quotidiani, senza trucco, su un palco privo di scenografia, senza
interpretare un personaggio (traduzione di una volontà più volte esplicitata dal Living di rendere il
teatro un luogo in cui sia possibile sperimentare rapporti autentici tra attori e spettatori, eliminando
la dicotomia attività-passività.)
Quello che si viene a creare nei primi 10 minuti di spettacolo (un tempo variabile, a quanto spiega
Judith Malina, il tempo necessario a creare un astio reale nei confronti del pubblico) è un clima di
crescente tensione che culmina in una scena profondamente artaudiana per il modo in cui gli
spettatori vengono coinvolti attraverso la stimolazione plurisensoriale. Gli attori, infatti, senza
avvalersi di alcuno strumento per amplificare o riprodurre suoni, gridano e producono l'urlo delle
sirene degli allarmi aerei. Il training vocale del Living è mirato alla produzione di una sorta di coro
vibratorio teso a colpire l'udito e soprattutto la pelle, i nervi.
Il fatto che il palco rappresenti Tebe e la platea Argo, mette inoltre in gioco un rapporto conflittuale
tra attori e spettatori, dapprima stabilito attraverso lo sguardo, e in seguito con l'invasione della
platea da parte degli attori. Ogni volta che Tebe attacca Argo, infatti, gli attori scendono tra le
poltrone a "colpire" gli spettatori con la propria presenza fisica ravvicinata, le grida e gli sguardi
diretti. Lo spettatore partecipa dunque a un rito in cui all'inizio ha un ruolo di vittima per arrivare
infine ad assumere quello di carnefice: l'applauso finale coincide infatti con l'avanzata di Argo su
Tebe e provoca il progressivo indietreggiare degli attori verso il fondo della scena con sguardi
inorriditi, congelati in un grido muto.
Quello che interessa al Living Theatre, in sostanza, è far riflettere sulla possibilità di uscire dal
proprio ruolo per assumerne altri, operazione peraltro svolta dagli attori durante tutto lo spettacolo
nelle frequenti "uscite dal personaggio"; e il fatto di presentarsi in scena coi propri abiti quotidiani
ricorda costantemente il ruolo di uomini facenti parte di una società, in cui ogni azione o non-azione
produce delle conseguenze sul sistema.
Lo scopo principale dello spettacolo è dunque quello di stimolare nello spettatore la stessa
consapevolezza, nel tentativo di attivarne il senso di responsabilità.
Non solo, ancora una volta si ritrova Artaud nelle parole di Julian Beck, quando afferma la necessità
di far sentire il dolore allo spettatore affinché lo trovi insopportabile e senta così l'esigenza di
cercare il proprio modo di cambiare il mondo:
Se sentissimo il dolore lo faremmo finire.
Creonte vs Antigone
Creonte viene interpretato da Julian Beck attraverso una vasta gamma di espressioni mimiche che
vanno dall'infantile al grottesco. Il suo scopo è mostrare le mille maschere di un tiranno, la violenta
crudeltà che si nasconde dietro alla razionalità controllata e al perbenismo di chi è al governo. Il suo
potere è basato sul controllo degli istinti del popolo, in particolare la sessualità (ricorrente è il gesto
della castrazione) e sul consenso che raccoglie tra il popolo. Tale consenso si esprime
continuamente nel sostegno fisico che gli attori gli forniscono, attraverso la creazione di sedute (un
esempio è il trono che i tre anziani di cui si circonda creano per lui durante il dialogo con Tiresia) o
di strutture di protezione (vedi foto nelle Conversazioni con Judith Malina). Il Living Theatre vuole
però sottolineare che il potere è legittimato soprattutto dalla mancanza di protesta e proprio per
rafforzare questa consapevolezza, durante lo spettacolo, gli attori rappresenteranno il popolo
assumendo più volte la posizione statica del "non vedo, non sento, non parlo". A rafforzare la critica
alla passività del popolo, concorre la danza di Bacco, azione corale che fa da sfondo all'azione per
circa mezz'ora di spettacolo e che rapisce gli attori danzanti su un ritmo lento e ipnotico. A dare il
via alla danza profondamente erotica è, ovviamente, il tiranno interessato ad anestetizzare
l'attenzione del popolo.
Tornando alla caratterizzazione fisica di Creonte, è utile osservare la contrapposizione tra le sue
movenze spigolose (che spesso ricordano o fanno esplicito riferimento ai Samurai) e la naturalezza
dell'Antigone/Malina, che Molinari definisce "limpidamente e quasi divinamente serena".
L'artificiosità del tiranno si scontra con l'umanità della sua antagonista, i suoi sorrisi forzati con le
lacrime vere. Le relazioni sull'andamento della guerra, di cui si fa forte Creonte, sono commentate
dal contrastante gesto di Antigone di inghiottire la terra. La terra di cui si è nutrita servirà a nutrire il
cadavere di Polinice e il fatto che il gesto ciclico venga più volte ripetuto ne fa una sorta di rito
religioso, in quanto capace di veicolare energie vitali che sfuggono al potere e al controllo, quelle
incarnate da Antigone che rifiuta il potere tirannico, e in questo modo le convenzioni, per affermare
la sacralità della vita. L'esempio di rifiuto di Antigone in opposizione all'esempio di terrore di
Creonte, significa un'opposizione politica, non più individuale.
A proposito del gesto di Antigone (cfr. l'articolo di Fernando Mastropasqua alla pagina
http://www.trax.it/olivieropdp/ateatro61.htm#61and30 )
Antigone in ginocchio mima, allungando alternativamente le braccia verso terra, il gesto di
raccogliere polvere per riporla dentro la bocca, e lo accompagna con un singhiozzo. La seconda
parte del gesto è quella di versare, con le mani dalla bocca, la polvere raccolta sul corpo di
Polinice.
Questo gesto ricorda un uccello che raccoglie nel becco e poi porta al nido il nutrimento destinato ai
suoi piccoli. Assieme al “too late”, rappresenta un leitmotiv che si ripeterà in tempi e modalità
distinte durante l'intero arco della storia. Oltre ad Antigone, sarà Ismene a riprodurre
frettolosamente la seconda parte del gesto, nel momento in cui (troppo tardi) tenterà di farsi carico,
assieme alla sorella, della responsabilità di aver contravvenuto al divieto di Creonte. Scrive ancora
Mastropasqua:
È come se Antigone nutrisse il corpo del morto Polinice del cibo che gli spetta: la terra. La terra
nutrimento dei morti. La sepoltura è un atto di nutrizione, dà al morto il cibo che è suo, quella terra
che serve a ricoprirlo e ad aprirgli le strade dell’aldilà, il cibo per il mondo ultraterreno.
L’immagine trova ispirazione nel testo […] Avvenendo in due tempi e costituendo il singhiozzo un
modo di dare il tempo all’azione, il gesto viene fortemente svincolato dal testo, diventa il ritmo
stesso di una intera sequenza [...] Il gesto non è traduzione-interpretazione del testo, ma forma in
sé, elemento ritmico del movimento, fatto e insieme metafora del tema della disubbidienza.
Questa notazione risponde da sola alle critiche di trascrizione pantomimica del testo di Brecht da
parte del Living, che realizza sì un “prodotto “altamente “formalizzato” (come lo definisce
Bartolucci), ma lo fa attraverso una mirabile ricerca che restituisce la carica politica di Brecht
attraverso l'esperienza viscerale di Artaud, un'operazione che riesce a far incontrare due mondi
finora inconciliabili. Magari tradendo i maestri, ma applicando fino alle estreme conseguenze il loro
insegnamento. L'esempio più eclatante di “tradimento” è rappresentato dai cosiddetti “versi-ponte”,
cioè i versi di raccordo tra le azioni che sono confluiti ne La leggenda di Antigone. Brecht li faceva
recitare agli attori esclusivamente durante le prove, per giungere ad un complessivo effetto di
straniamento, una volta che gli attori, da narratori in terza persona, fossero “tornati” nei loro
personaggi. Il Living Theatre li inserisce nello spettacolo, ad interrompere continuamente la storia,
traducendoli nelle varie lingue a seconda della nazionalità del pubblico. Gli attori li pronunciano di
volta in volta, in maniera affatto straniata, bensì carica di partecipazione, ad anticipare l'azione che
si sta per svolgere in lingua inglese.
Testi di riferimento
Cesare Molinari, Storia di Antigone, da Sofocle al Living Theatre, Bari, De Donato, 1977.
Cristina Valenti, Storia del Living Theatre, Conversazioni con Judith Malina, Pisa, Titivillus, 2008.
Julian Beck, Judith. Malina, Il lavoro del Living Theatre: materiali 1952-1969, Milano, Ubulibri
1982