Norme e regole per la commercializzazione dell’olio di olivaw Nell’ambito omogeneo “pubblicazioni congiunturali e ricerche macroeconomiche” rientrano le attività di studio dell’INEA finalizzate alla stesura di rapporti sull’andamento del sistema agroalimentare italiano, nonché approfondimenti di taglio settoriale, orientati sia all’analisi della struttura e della performance dei mercati, sia all’analisi del funzionamento delle filiere. Oltre alle tradizionali analisi congiunturali che si sviluppano attraverso una consolidata attività periodica e che costituiscono la principale componente istituzionale delle attività svolte, trovano spazio monografie dedicate allo studio delle relazioni di tipo verticale e/o orizzontale che intercorrono fra i soggetti operanti all’interno delle diverse filiere produttive. La trasmissione del valore, la formazione del prezzo, lo sviluppo delle relazioni contrattuali, la regolamentazione settoriale e l’analisi dei diversi strumenti di supporto al mercato rappresentano temi di fondamentale importanza per comprendere come i nuovi scenari si ripercuoteranno sul sistema agricolo nazionale. norme e regole per la commercializzazione dell’olio di oliva collana PUBBLICAZIONI CONGIUNTURALI E RICERCHE MACROECONOMICHE. Quaderni Luci e ombre nelle dinamiche di mercato a cura di Sabrina Giuca INEA 2013 ISBN 978-88-8145-262-0 INEA 2013 Istututo Nazionale di Economia Agraria Norme e regole per la commercializzazione dell’olio di oliva Luci e ombre nelle dinamiche di mercato a cura di Sabrina Giuca INEA 2013 Atti del seminario di studi organizzato dall’INEA a Roma, il 28 febbraio 2013. Il seminario e gli atti sono stati realizzati nell’ambito del progetto “Piano Olivicolo Oleario. Azione 9.1 - Analisi normative” finanziato dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali (DM n. 6417 del 30/12/2010) e la cui responsabilità è affidata a Sabrina Giuca. Il volume è stato curato da Sabrina Giuca Coordinamento editoriale: Benedetto Venuto Segreteria di redazione: Roberta Capretti Impaginazione grafica: Ufficio Grafico INEA (Barone, Cesarini, Lapiana, Mannozzi) Si desidera ringraziare Maria Rosaria Pupo d’Andrea per i preziosi commenti al testo. PRESENTAZIONE Il sistema olivicolo-oleario italiano presenta aree vocate alla produzione di olio extravergine di alta qualità, con la possibilità di differenziare l’offerta grazie alla presenza sul territorio di numerose varietà autoctone e di prestigiosi oli DOP, IGP e biologici. Tuttavia, il settore è caratterizzato da realtà produttive diverse per grado di integrazione nella filiera, dimensione e approccio strategico al mercato e da oggettive difficoltà per gli olivicoltori che producono olio di qualità di raggiungere un adeguato livello di redditività. A fronte di ciò, oltre a interventi che agiscano sulle inefficienze strutturali, occorrono norme che assicurino trasparenza del mercato e correttezza nei confronti dei consumatori. Qualità, innovazione del prodotto, promozione e comunicazione rappresentano importanti leve strategiche per lo sviluppo del settore: in tale contesto, può cogliersi un binomio economia-diritto, oggetto di approfondimento e di analisi da portare all’attenzione di tutte le parti interessate, in quanto l’innovazione dei processi e dei prodotti del comparto olivicolo-oleario rinvia all’analisi economica mentre la regolazione di tutte le fasi ad essa connesse rinvia all’analisi giuridica. In questo Quaderno, in cui si riportano gli atti del seminario organizzato dall’INEA dal titolo «Norme e regole per la commercializzazione dell’olio di oliva. Luci e ombre nelle dinamiche di mercato», viene svolta un’attenta analisi delle strategie di marketing per valorizzare la qualità del prodotto italiano e si approfondiscono specifiche questioni riguardanti l’interpretazione e l’applicazione della normativa comunitaria e nazionale. Un’attenzione particolare viene riservata alla legge n. 9/2013 recante «Norme sulla qualità e la trasparenza della filiera degli oli di oliva vergini». Prospettive e proposte per la competitività del prodotto italiano emergono tanto dalle relazioni degli economisti e dei giuristi intervenuti al seminario, quanto dagli interventi degli operatori e degli esperti che hanno preso parte alla tavola rotonda. Accanto agli aspetti normativi, proprio per la particolare importanza che il settore olivicolo-oleario ricopre nell’agroalimentare italiano e per la rilevanza che il consumatore attribuisce alla qualità del prodotto, l’INEA sta approfondendo ulteriori filoni di ricerca sul fronte della produzione e della trasformazione dell’olio e sta supportando le amministrazioni competenti nell’ambito delle tematiche dei controlli. L’auspicio è che questi lavori, nel cogliere ed esaminare le peculiarità e i problemi che investono il sistema olivicolo-oleario italiano, possano contribuire all’individuazione dei meccanismi più idonei per riqualificare l’intero settore. INDICE Introduzione Sabrina Giuca, Istituto Nazionale di Economia Agraria (INEA) 7 Le relazioni: “La parola agli economisti e giuristi” Il mercato e le strategie di marketing per la valorizzazione della qualità Gervasio Antonelli, Università di Urbino Carlo Bo 21 Le indicazioni in etichetta e i segni degli alimenti (dopo il Reg. 1169/2011) 37 Alberto Germanò, CNR - Istituto di Diritto Agrario Internazionale e Comparato (IDAIC) La qualità e la trasparenza della filiera degli oli di oliva vergini: la c.d. legge «salva olio» Stefano Masini, Università di Roma “Tor Vergata” L’art. 62 e il mercato: dai contratti allo status nella prospettiva dell’olivicoltura Ferdinando Albisinni, Università della Tuscia (Viterbo) 49 61 La tavola rotonda: “Prospettive e proposte per la competitività del prodotto italiano” La qualità negli oli extravergini di oliva tra certezze e confusione Maurizio Servili, Università di Perugia 85 Fattibilità della tutela dell’olio extravergine di oliva italiano Agostino Macrì, Unione Nazionale Consumatori 95 Il sistema olio e le DOP Stefano Petrucci, Consorzio Sabina DOP Il programma nazionale di rintracciabilità di filiera dell’UNAPROL: uno strumento per la tutela e la valorizzazione dell’olio extravergine «Made in Italy» UNAPROL - Consorzio Olivicolo Italiano 101 111 5 Il progetto AIFO dell’olio artigianale Piero Gonnelli e Giampaolo Sodano, AIFO Associazione Italiana Frantoiani Oleari 115 Il punto di vista dell’industria olearia Claudio Ranzani, ASSITOL - Associazione Italiana dell’Industria Olearia 121 Comunicare l’olio Luigi Caricato, Olio Officina Food Festival 125 I controlli dell’Ispettorato repressione frodi (ICQRF) a tutela della qualità dell’olio extravergine di oliva italiano Luca Veglia, MIPAAF - Direzione Generale della Prevenzione e del Contrasto alle Frodi Agroalimentari 135 Le iniziative della Regione Toscana a supporto del settore Luciano Zoppi, Regione Toscana 143 Allegato LEGGE 14 gennaio 2013, n. 9: «Norme sulla qualità e la trasparenza della filiera degli oli di oliva vergini» 6 148 INTRODUZIONE Sabrina Giuca1 Il settore olivicolo-oleario italiano sta attraversando un periodo difficile, con elevate incertezze per il futuro sia a livello di politica europea, sia di andamento dei mercati, tanto in termini di prezzi che di volumi dell’offerta. Pur essendo uno dei prodotti simbolo dell’agroalimentare italiano, l’olio di oliva risente delle criticità della filiera dalla produzione alla commercializzazione e, in particolare, della scarsa trasparenza sull’origine del prodotto e della difficoltà dei consumatori di percepirne la qualità. I casi di frodi dell’olio in commercio e l’italian sounding (ovvero la vendita di prodotti che “suonano” come italiani, grazie a nomi e immagini che richiamano l’Italia, ma che in realtà di made in Italy hanno ben poco o nulla) che ne danneggia la concorrenza sui mercati esteri, impediscono una giusta valorizzazione della qualità dell’olio italiano e un’adeguata remunerazione degli olivicoltori. Se, da un lato, si ravvisa la necessità di “comunicare” e promuovere gli oli italiani di eccellenza, dall’altro è necessario comprendere il valore anche dell’olio diverso da quello extravergine di oliva, fonte redditizia per alcune aree italiane ricche di ulivi secolari, e la potenzialità di sbocchi di mercato per i sottoprodotti, anche per uso energetico. La regolamentazione del settore olivicolo-oleario, essendo oggetto di discipline di fonti eterogenee e stratificate nel tempo, ha subìto modifiche legislative e pronunce giurisprudenziali che hanno mutato il quadro normativo di riferimento. Questo è reso ancora più complesso dal sovrapporsi di più soggetti regolatori, con aree di competenza non sempre esattamente definite, pur in presenza di un principio, quello di “sussidiarietà”, affermato a livello comunitario oltre che nazionale, che attribuisce a questi soggetti competenze differenziate, tanto ai fini del mercato agricolo e agroalimentare quanto di governo della produzione agricola e dello sviluppo rurale. Così, se riguardo alla commercializzazione dell’olio le norme a livello di Unione europea sono facilmente individuabili - reg. (CE) n. 1234/2007 del Consiglio, del 22 ottobre 2007, recante organizzazione comune dei mercati agricoli e disposizioni specifiche per taluni prodotti agricoli (regolamento “OCM unica”) e reg. di esecuzione (UE) n. 29/2012 della Commissione, del 13 gennaio 2012, rela- 1 Ricercatrice presso l’INEA (Istituto Nazionale di Economia Agraria). 7 tivo alle norme di commercializzazione dell’olio d’oliva - l’incidenza di tali norme sul complesso piuttosto frammentato delle norme nazionali (statali e regionali) si presenta complicato sotto distinti profili, alla luce, anche, di recenti provvedimenti. In particolare, la legge 14 gennaio 2013, n. 9, «Norme sulla qualità e la trasparenza della filiera degli oli di oliva vergini», la legge c.d. “salva olio” perché tutela il prodotto da pratiche commerciali ingannevoli (il cui testo è riportato in allegato al presente Quaderno), assume notevole rilevanza nel quadro più vasto della disciplina comunitaria dell’informazione alimentare, dettata dal reg. (UE) n. 1169/2011, e dell’art. 62 del decreto legge n. 1/2012 (convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27), che ha introdotto una specifica disciplina in tema di contratti tra imprese per la cessione di prodotti agricoli e alimentari che interessa, ovviamente, anche il settore dell’olio. L’applicazione di queste norme e la prossima istituzione del Sistema di qualità nazionale (SQN-olio), che individua il prodotto olio extravergine di oliva «avente caratteristiche specifiche che determinano una qualità del prodotto finale significativamente superiore rispetto alle norme commerciali correnti»2, si inseriscono, inoltre, nella più ampia attuazione delle politiche di programmazione in materia di commercializzazione e promozione dell’olio di oliva, con particolare riguardo ai momenti negoziali dell’acquisto delle olive per olio, della trasformazione delle olive in olio, dell’eventuale raffinazione dell’olio ottenuto, della predisposizione dei contenitori per la vendita del prodotto e della loro etichettatura, nonché della commercializzazione dell’olio nell’ambito di un mercato nazionale e mondiale competitivo. Tuttavia, restano sul piano italiano diverse necessità legislative da colmare: quella di modificare l’attuale classificazione degli oli, in modo che il consumatore possa distinguere gli oli ottenuti direttamente dalla spremitura di olive da quelli che derivano da processi di sansificazione e da raffinazione; quella di rendere obbligatorio l’inserimento in etichetta delle qualità organolettiche; quella di realizzare un sistema di tracciabilità delle olive a carico di tutti i trasformatori e di tutti i venditori di olio e, naturalmente, controlli adeguati. Per affrontare il tema nella sua complessità, l’INEA ha organizzato un seminario, nell’ambito del Progetto «Piano Olivicolo Oleario, Azione 9.1 - Analisi 2 È in corso di elaborazione uno schema di decreto ministeriale che prevede l’istituzione del SQNolio, in conformità con l’art. 22, paragrafo 2, del reg. (CE) n. 1974/2006, e del relativo «marchio collettivo unico nazionale» di cui possono beneficiare aziende agricole di produzione, gestori di frantoi, imprese di commercializzazione, confezionatori e distributori che rispettino il «Disciplinare unico nazionale» e siano soggetti al controllo di organismi accreditati. Tutti gli operatori e gli organismi di controllo aderenti al SQN-olio saranno inseriti in un elenco, articolato su base regionale, istituito presso il MIPAAF e pubblicato sul sito internet del Ministero. 8 normative»3, dal titolo «Norme e regole per la commercializzazione dell’olio di oliva. Luci e ombre nelle dinamiche di mercato», che ha visto coinvolti accademici, esperti giuristi, esponenti del mondo operativo e rappresentanti delle organizzazioni e delle associazioni di categoria per discutere dei recenti provvedimenti e delle prospettive per la competitività del nostro prodotto. Il Quaderno riporta le relazioni presentate durante il seminario e gli interventi dei partecipanti alla tavola rotonda, integrate ed arricchite dagli autori alla luce delle numerose esperienze che sono emerse nel corso della giornata. La prima parte del lavoro, che raccoglie le relazioni di esperti di economia e di diritto, si apre con il contributo di Gervasio Antonelli, del Dipartimento di Economia, Società, Politica (DESP) dell’Università degli Studi di Urbino Carlo Bo, che si focalizza sul mercato, come insieme di regole economiche, sulle dinamiche in atto nello scenario internazionale e sulle strategie di marketing per la valorizzazione della qualità dell’olio. Secondo l’economista, la comunicazione diventa un tema cruciale per valorizzare il nostro olio. L’«asimmetria informativa» tra venditori e distributori, da un lato, e i consumatori, dall’altro, sono all’origine del «fallimento del mercato» che avviene quando i molti segni della qualità dell’olio italiano non arrivano ai cittadini che hanno a disposizione informazioni incomplete e inadeguate per valutarne le caratteristiche e fare scelte di acquisto consapevoli. La presenza di marche forti sugli scaffali della grande distribuzione, con una chiara spiegazione al consumatore della differenza di prezzo (premium price) e la creazione di strutture organizzative su base consortile per adottare opportune strategie di marketing, nonché l’affidamento della comunicazione a privati e un sistema di cooperazione che vada a beneficio di tutti, secondo Antonelli, possono fare la differenza. Se dal punto di vista normativo è fondamentale l’origine e la trasparenza della filiera, secondo l’economista è auspicabile l’introduzione di un sistema di qualità nazionale dell’olio d’oliva, supportato da opportune strategie di marketing sia per il consumatore italiano che per il mercato estero; la differenziazione del prodotto e la creazione di un brand che abbia qualità più alte di quelle standard fissate dalla normativa, secondo un disciplinare condiviso da tutti gli attori del 3 Il Progetto «Piano Olivicolo Oleario, Azione 9.1 - Analisi normative», finanziato dal MIPAAF nell’ambito del Piano di settore nazionale, ha l’obiettivo di individuare, attraverso un’ampia concertazione con tutte le parti interessate, gli elementi di criticità e di eterogeneità degli strumenti normativi vigenti sui quali, de iure condendo, potrebbe essere necessario intervenire; al riguardo, oltre a identificare eventuali esigenze di semplificazione, modifica, integrazione della complessa normativa di settore, viene operato un tentativo di chiarimento sull’applicazione di essa, riguardo a specifici aspetti della filiera olivicolo-olearia ritenuti meritevoli di indagine. 9 sistema, sono fattori di successo per creare “massa critica” di prodotto sul mercato, con standard qualitativi e quantitativi stabili e garantiti. Con la relazione successiva di Alberto Germanò, dal titolo «Le indicazioni in etichetta e i segni degli alimenti (dopo il reg. 1169/2011)», l’analisi si sposta sul piano giuridico. Germanò, responsabile scientifico del CNR-IDAIC (Istituto di Diritto Agrario Internazionale e Comparato), già professore ordinario di Diritto agrario comunitario nell’Università di Roma “La Sapienza”, ha illustrato i cambiamenti che sono stati apportati dal reg. (UE) n. 1169/2011 riguardo all’inserimento di informazioni in etichetta, proponendo un’analisi comparatistica con le normative antecedenti e con le proposte che si sono succedute. Il regolamento, infatti, assume particolare rilevanza se si vuole tutelare la produzione oleicola italiana, dato che - come è stato messo in evidenza da Germanò - è stata data facoltà agli Stati membri di disporre indicazioni complementari obbligatorie in etichetta anche con riguardo all’origine dei prodotti alimentari (tra cui, ovviamente, c’è l’olio). La criticità messa in luce dal relatore è l’ambiguità del parametro di origine nella normativa comunitaria per poi affrontare il problema più generale dell’ammissibilità di un segno che si richiami all’Italia e il fallimento delle posizioni dell’Italia a difesa di un marchio made in Italy, anche in base a come sono formulate le nostre leggi. Il giurista ricorda come l’istituzione di un marchio pubblico per le produzioni nazionali sia in contrasto con il diritto comunitario che vieta i marchi collettivi geografici di enti pubblici territoriali (6° considerando e lett. s) dell’art. 2 della direttiva 70/50/CEE del 22 dicembre 1969) - perché sarebbero causa di illecite restrizioni quantitative alle importazioni tra gli Stati membri vietate dall’art. 34 del Trattato di funzionamento dell’Unione europea - e chiude con l’esempio della legge francese secondo la quale l’indicazione di ciò che può essere definito come made in France è obbligatoria ma soltanto per una lista ben determinata di prodotti. Stefano Masini, del Dipartimento di diritto e procedura civile dell’Università di Roma “Tor Vergata”, ha presentato un contributo che analizza la legge italiana n. 9 del 14 gennaio 2013, la legge c.d. “salva olio” finalizzata a garantire l’alta qualità degli oli vergini italiani, proteggendone l’immagine ed evitando l’immissione sul mercato di oli venduti come made in Italy. Dopo i casi di frode in commercio che hanno portato a ingenti sequestri di olio a marchio italiano provenienti da Spagna e Turchia, i controlli si sono arricchiti dello strumento del panel test per gli standard qualitativi degli oli vergini e le sanzioni sono state irrigidite. Il legislatore, infatti, ha creato un forte apparato di disincentivi penali e reputazionali con una efficace capacità deterrente. In caso di contraffazione di indicazioni geografiche o denominazioni di origine di oli extravergini, l’art. 13 della legge esaminata prevede la 10 pubblicazione della sentenza a spese del condannato su almeno due quotidiani a diffusione nazionale; dalla condanna discende anche il divieto per cinque anni di mettere in atto qualsiasi condotta, comunicazione commerciale e attività pubblicitaria finalizzata alla promozione di oli di oliva vergini. La tutela e la veridicità del prodotto italiano è dunque di vitale importanza secondo Masini, non solo per l’affermarsi di circoli virtuosi all’interno del mercato, ma anche, e forse soprattutto, per la conservazione del rapporto di fiducia reciproco con il consumatore finale. Ed è proprio al mercato - come insieme di regole giuridiche - che è rivolta l’analisi di Ferdinando Albisinni, del Dipartimento DISTU - Istituzioni Europee dell’Università della Tuscia (Viterbo), che chiude questa prima parte del Quaderno. Secondo il giurista, tramite l’art. 62 della legge 27/2012 si sta passando dal mercato (e dai contratti) allo status, con discipline meno generalizzate e sempre più sezionali e di area. L’Organizzazione comune di mercato (OCM) delle materie grasse vegetali, che dalla sua istituzione nel 1966 manteneva un proprio sistema interno di regole, è stata sostituita dalla nuova OCM unica nel 2007, strutturata in azioni specifiche di intervento che, affiancate a misure generali di gestione del mercato agricolo, potranno favorire la stabilizzazione dello stesso. Dopo aver argomentato il parallelismo tra l’art. 8 della legge c.d. “salva olio” e il comma 8 dell’art. 62 della legge 27/2012, entrambi operanti nel senso della valorizzazione dello statuto della concorrenza nel mercato olivicolo quale principale presidio attivo per la tutela dei produttori, il giurista conclude come l’emergere di nuovi modelli e paradigmi per regolamentare il mercato agroalimentare con un approccio «bottom-up» si muovano dal presupposto della inadeguatezza dell’approccio tradizionale basato sulla «privity of contract» e della inidoneità del mercato a regolarsi per sé solo, in presenza di irrisolte asimmetrie economiche, produttive, finanziarie ed informative. La seconda parte del Quaderno riporta i contributi dei partecipanti alla tavola rotonda, che ha avuto come tema «Prospettive e proposte per la competitività del prodotto italiano», moderata da Luigi Caricato, scrittore e giornalista, direttore della manifestazione annuale «Olio Officina Food Festival». Caricato, che è un «oleologo» (termine da lui coniato che è stato inserito nella banca linguistica della Treccani) con una pluriennale esperienza riconosciuta nel settore, si è soffermato, innanzi tutto, sull’aspetto salutistico dell’olio. Paradossalmente, gli oli da seme puntano di più sul fronte salutistico rispetto all’olio extravergine di oliva: chi produce oli da olive, ha detto il giornalista, lavora in difetto di comunicazione, con metodologie troppo vetuste. Proprio il tema della qualità negli oli extravergini di oliva tra certezze e confusione è stato illustrato da Maurizio Servili, del Dipartimento di Scienze Econo- 11 mico-Estimative e degli Alimenti, Sezione di Tecnologie e Biotecnologie degli Alimenti, dell’Università di Perugia. Servili si è soffermato sul rapporto tra categoria commerciale di un olio e qualità reale da esso posseduta e sul fatto che un olio extravergine di oliva fa bene alla salute non tanto perché è classificato come «extravergine» ma nella misura in cui, all’interno di tale categoria, è caratterizzato da un alto tenore in acido oleico e da un elevato contenuto in α-tocoferolo e biofenoli. Il problema che si pone, ha detto Servili, è quanto alto deve essere questo contenuto e come comunicarlo al consumatore. Ne consegue la necessità di differenziare, all’interno della stessa classe commerciale, gli oli extravergini di alta qualità, provenienti da filiere certificate e caratterizzati da parametri analitici in grado di tenere in considerazione anche aspetti della composizione dell’olio strettamente legati alle sue specificità sensoriali e salutistiche. Ne sono un esempio l’olio extravergine di oliva con il marchio «100% Qualità Italiana», le monocultivar e gli oli DOP/IGP, ovvero tutti quei prodotti di alta qualità soggetti al rispetto di un disciplinare che ne definisce le regole di produzione “dal campo alla bottiglia”. Servili conclude dicendo che non si può produrre alta qualità senza un’adeguata gestione della pratiche agronomiche dell’oliveto, in grado di esaltare le qualità intrinseche della materia prima, e senza tener conto delle diverse cultivar, elemento peculiare della produzione olivicola nazionale, tali da consentire di ottenere oli diversi sul piano sensoriale, conformi alle indicazioni dall’Agenzia europea per la sicurezza alimentare (EFSA) dal punto di vista salutistico. Agostino Macrì, intervenuto quale esperto di sicurezza alimentare dell’Unione Nazionale Consumatori, ha fatto presente che la prima cosa che vogliono sapere i cittadini è se l’olio extravergine di oliva venduto nei supermercati a prezzi ampiamente sotto i 5 euro non presenti pericoli per la salute e può essere del tutto indifferente per i consumatori, considerato il prezzo più che conveniente, sapere se quell’olio è italiano oppure di importazione. Poiché l’olio è un alimento essenziale della nostra dieta, consumato in tutte le fasce di età, è necessario, secondo Macrì, informare al meglio i cittadini e, oltre tutto, bisogna avere la certezza che gli accertamenti analitici previsti dalla legge c.d. “salva olio” siano sufficienti a garantire l’origine del prodotto. Infatti, non sono rari i casi di bottiglie di olio di oliva prodotte all’estero ed etichettati con diciture che richiamano il nostro Paese, ma non sono italiani, o di bottiglie confezionate in Italia utilizzando olio d’importazione. La prova sensoriale prevista ora dalla legge, anche se condotta conformemente a procedure standardizzate e con personale altamente specializzato, potrebbe non garantire l’accertamento delle differenze tra un ottimo olio spagnolo e uno italiano. Macrì ritiene che una certezza dovrebbe arrivare dagli oli DOP controllati 12 dai Consorzi che ne garantiscono l’origine e dagli oli biologici di cui gli organi di certificazione controllano il “processo”. Pertanto, indipendentemente dalle norme esistenti, è necessario fornire indicazioni chiare ai cittadini, in primo luogo sulla sicurezza alimentare dei diversi tipi di olio e poi sui vantaggi che possono derivare dal consumo di prodotti interamente italiani, in modo che possano fare una scelta consapevole a tutela non solo della loro salute ma anche degli interessi delle produzioni nazionali. Restando su quest’ultimo aspetto, Caricato ha poi puntualizzando che la legge c.d. “salva olio”, pur prevedendo il rafforzamento degli istituti processuali e investigativi in casi di adulterazione o frode degli oli di oliva vergini e l’inasprimento delle sanzioni a contrasto delle frodi, rappresenta un chiaro sintomo di crisi di un comparto dove occorre, innanzi tutto, rafforzare l’associazionismo. Secondo il giornalista, infatti, esiste una frattura tra mondo della produzione, olivicoltori e frantoiani, e aziende di marca, che ha di fatto indebolito il sistema, mentre occorre meno individualismo e più partecipazione per agire e imporsi sui mercati, assegnando un’identità ben definita al prodotto italiano e lavorando sulla comunicazione. Gli esponenti delle organizzazioni di categoria (olivicoltori, frantoiani, industria) e del consorzio di tutela della denominazione di origine protetta (DOP) intervenuti al dibattito, hanno esposto il loro punto di vista su questi aspetti cruciali. Stefano Petrucci, presidente del Consorzio Sabina DOP, ha spiegato che attualmente la quota di mercato dell’olio extravergine made in Italy è del 13% e risulta uguale a quella degli oli DOP, ma è realizzata con quantità vendute più che doppie. Analizzando le vendite degli oli DOP all’interno della GDO, inoltre, si nota che questa è l’unica quota di mercato che è controllata per il 43% direttamente dai produttori. Gli oli a denominazione di origine protetta, secondo Petrucci, hanno raggiunto questi risultati senza incentivi mentre l’olio made in Italy, nonostante gli sforzi “legislativi” e le ingenti risorse investite ha ottenuto la stessa quota di mercato degli oli DOP ma il prezzo medio di vendita non giustifica gli sforzi fatti rispetto all’olio senza origine e non si è raggiunta la valorizzazione del prodotto. Petrucci conclude affermando che il SQN-olio rappresenta una minaccia per gli oli DOP, molti dei quali non rientrerebbero nei parametri del «disciplinare Alta Qualità» previsto dal sistema, ma può trasformarsi in uno strumento efficace adottando una certificazione del prodotto che «prenda le mosse seriamente dall’origine e dalla qualità, riducendo la burocrazia per non replicare uno dei principali ostacoli alla crescita già sperimentato dalle DOP; pianificando e svolgendo un’efficace comunicazione del prodotto, lavorando su un brand e su tutti i suoi attributi (logo, 13 packaging, ecc.) che renda immediatamente riconoscibile il prodotto da parte dei consumatori». Nunzio Scaramozzino dell’UNAPROL, la principale organizzazione italiana di olivicoltori, ha spiegato che il Consorzio ha intrapreso diversi programmi nazionali di tutela e valorizzazione degli oli di oliva made in Italy, con particolare riferimento ai segmenti dell’olio extravergine certificato ai sensi della norma UNI EN ISO 22005:08 (tracciabilità di filiera) e del disciplinare «Alta qualità italiana», che prevede requisiti sia di prodotto che di sistema più stringenti rispetto alla normativa cogente. In quest’ultima direzione è stato avviato un programma triennale di tracciabilità di filiera che impegna 570 filiere e oltre 7.000 aziende agricole. Le fasi di coltivazione, raccolta, trasformazione delle olive in olio, conservazione e imbottigliamento sono certificate da un ente terzo che ne verifica la rispondenza alle prescrizioni contenute nel disciplinare di produzione adottato dalle filiere; la tracciabilità del prodotto è adeguatamente comunicata al consumatore tramite un’etichetta innovativa basata sul «QR-code» che consente di visualizzare su dispositivi mobili appositi “contenuti multimediali” on line. Piero Gonnelli e Giampaolo Sodano, rispettivamente presidente e direttore dell’Associazione italiana frantoiani oleari (AIFO), hanno puntualizzato l’impegno da sempre profuso da AIFO nel sostenere e difendere tutte le azioni tese a favorire la nascita di un mercato dell’olio pulito e trasparente. In tal senso l’AIFO ha sostenuto la legge c.d. “salva olio”, ha sottoscritto il protocollo d’intesa con l’«Associazione CODICI centro per i diritti del cittadino» che ha istituito una commissione comune con il compito di denunciare truffe e frodi, e ha richiesto che il registro telematico (sulla cui introduzione ha contribuito l’AIFO stessa) venga esteso a tutti i frantoi, compresi quelli aziendali e ai commercianti di olive. Sodano ha poi illustrato il progetto «Olio Artigianale» che prevede la costituzione di una Rete di imprese, le quali, al fine di ottenere la giusta remunerazione per il loro lavoro, lavoreranno insieme con trasparenza per dare al cliente finale la sicurezza (garantita) di ottenere un olio certificato e controllato dalla Rete, che rispetti il disciplinare di produzione dell’olio artigianale e mantenga la tracciabilità del processo produttivo nel rispetto, anche, di un codice etico. Claudio Ranzani, direttore generale dell’ASSITOL, l’Associazione italiana dell’industria olearia, ha tenuto a precisare che gli associati sono aziende che occupano tutti i settori di mercato, dall’olio di sansa all’extravergine e, all’interno di quest’ultimo segmento, aziende che esportano prodotti di nicchia (DOP/IGP e biologico), olio 100% italiano e blend, ottenuti mescolando opportunamente oli di diversa provenienza. Secondo Ranzani il mondo della produzione da tempo denuncia 14 una situazione di difficoltà e di crisi ed è ovvio che i produttori lamentino soprattutto i bassi prezzi, ma la produzione nazionale non aumenta ed è insufficiente per le esigenze del mercato. Spesso l’industria è accusata di continuare ad aumentare le importazioni, ma ASSITOL compra tutto l’olio dei suoi associati e i dati 2012 indicano un’ulteriore crescita delle esportazioni cui si contrappone invece una piccola riduzione dell’import, a dimostrazione della preferenza accordata alla produzione nazionale, evidentemente cresciuta quest’anno, fin quando - ovviamente - vi è olio disponibile. Secondo Ranzani, da parte agricola si continuano a chiedere provvedimenti di legge e controlli, ma da oltre 15 anni il settore è sottoposto a molteplici provvedimenti normativi, con il risultato di creare appesantimenti burocratici e aggravio di costi. Ranzani ha sollevato il dubbio che si stia sbagliando strada, tanto che la recente legge c.d. “salva olio” dovrebbe essere definita legge “criminalizza olio”, visto che contiene solo nuove pene, nuovi divieti e maggiore burocrazia che sembrano addirittura spingere a portare le lavorazioni all’estero. Il direttore di ASSITOL conclude affermando che l’Associazione è da sempre disponibile a valutare forme di collaborazione e ad operare a favore del prodotto nazionale. Sulla necessità di costruire una filiera unita e coesa si innesta, secondo Caricato, l’ulteriore difficoltà di riuscire a comunicare la qualità dell’olio: il consumatore non sa percepirla e i produttori non sono in grado di comunicarla. Occorre andare oltre le consuetudini comunicative e inventare un nuovo percorso, come ha spiegato nella sua relazione il giornalista. Purtroppo le truffe non mancano ma nel corso degli anni, in considerazione della necessità di salvaguardare e tutelare sempre di più la salute e gli interessi dei consumatori, l’attività delle istituzioni preposte ai controlli per contrastare gli illeciti e le frodi è stata rafforzata, con controlli più mirati, e le sanzioni sono state inasprite, come ha illustrato Luca Veglia, della Direzione Generale della Prevenzione e del Contrasto alle Frodi Agroalimentari del MIPAAF. Il dirigente ha riportato i risultati operativi dell’Ispettorato centrale della tutela della qualità e repressione frodi dei prodotti agro-alimentari (ICQRF), che nel 2012 ha svolto 4.411 ispezioni nel settore oleario controllando oltre 8.000 prodotti, di cui il 7,3% sono risultati irregolari. L’Ispettorato ha analizzato 945 campioni, di cui 67 sono risultati non conformi alla legge. In totale ammontano a 69 le notizie di reato e a 482 le contestazioni amministrative elevate, mentre oltre 19 milioni di euro è stato il valore dei prodotti sequestrati. Un’articolata indagine, coordinata dalla Procura di Siena, ha inoltre permesso di sventare una truffa estesa in diversi paesi del bacino mediterraneo; gli istituti preposti ai controlli, ha spiegato Veglia, hanno sequestrato olio extravergine di oliva ottenuto dalla illecita miscelazione con materie prime di 15 categoria inferiore (4.200 tonnellate), falsamente dichiarato 100% italiano (3.500 tonnellate) e non conforme ai parametri di legge (450 tonnellate). L’impegno delle istituzioni sia per contrastare gli illeciti sia a supporto del settore, infine, è stato oggetto dell’intervento di Luciano Zoppi, funzionario della Regione Toscana. L’elevata reputazione di cui gode la qualità dell’olio di oliva toscano e i diffusi casi di imitazione hanno spinto la Regione a rafforzare le attività degli organi di controllo, tanto più che in Toscana, rispetto ad altre regioni, si è puntato sulle DOP, attualmente quattro, che rappresentano circa il 40% dei quantitativi di olio extravergine di oliva certificato DOP/IGP a livello nazionale. Il tavolo della filiera olivicolo-olearia regionale, istituito nel 2011, ha spiegato Zoppi, ha individuate due linee di intervento: la riduzione dei costi di produzione e la maggiore valorizzazione dei prodotti. Sul fronte della riduzione dei costi si è puntato a una maggiore meccanizzazione della potatura e della raccolta (tuttavia gli operatori hanno mostrato scarso interesse a nuovi investimenti al riguardo), e sulla gestione dei sottoprodotti della lavorazione delle olive. Quest’ultima attività ha spinto la Regione a un chiarimento giuridico che consenta di inquadrare i reflui della lavorazione delle olive (acque di vegetazione, sanse, foglie) tra i sottoprodotti (e non tra i rifiuti), anche qualora destinati a impieghi alternativi. Le iniziative di informazione, comunicazione e promozione sono svolte, localmente e all’estero, attraverso un accordo con Unioncamere Toscana e con la Camera di Commercio di Firenze. Il sostegno finanziario alle imprese, ha concluso il funzionario regionale, avviene con il Piano di sviluppo rurale, nell’ambito del quale sono stati finanziati cinque Progetti integrati di filiera tra il 2011 e il 2012, con un contributo pubblico di quasi 7 milioni di euro a fronte di un investimento complessivo di circa 15 milioni di euro. Numerosi, dunque, sono stati gli approfondimenti e altrettante le criticità emerse nel corso del seminario. Per “salvare” e valorizzare l’olio extravergine italiano non bastano le norme sanzionatorie e nemmeno le recenti misure a tutela del prodotto nazionale, come l’introduzione in etichetta di modalità più chiare per l’indicazione dell’origine e del termine minimo di conservazione entro il quale gli oli di oliva vergini conservano le loro proprietà specifiche in adeguate condizioni di trattamento (tale termine non può essere superiore a diciotto mesi dalla data di imbottigliamento e va indicato con la dicitura «da consumarsi preferibilmente entro» seguita dalla data), ma serve soprattutto coesione lungo gli attori della filiera e la capacità di comunicare con chiarezza ed efficacia al consumatore la vera qualità del prodotto italiano. Con l’applicazione della legge 9/2013 sarà possibile trovare sul mercato sia olio extravergine di origine italiana, garantito dai controlli chimici e sensoriali, sia olio straniero, sia olio italiano miscelato; tutti oli che da 16 un punto di vista della sicurezza sono molto simili se non del tutto uguali e pertanto occorrerà spiegare ai cittadini quali sono le ragioni per cui è opportuno scegliere l’olio di produzione interamente italiana, avendo tra l’altro la certezza che gli accertamenti analitici previsti dalla legge siano sufficienti a garantire l’origine. Inoltre, è sorto il dubbio che la legge c.d. “salva olio” finisca per salvaguardare gli interessi di pochi e in pratica appesantisca i costi, soprattutto per i piccoli produttori e le aziende artigianali, con il rischio che questi soggetti possano uscire dal mercato. Ai diversi punti di vista espressi dagli esperti e dai soggetti della filiera, che si avrà modo di approfondire dalla lettura di questo Quaderno, si vogliono qui riportare ulteriori aspetti e lacune legislative sui quali alcuni giuristi e, in particolare, Germanò, invitano a riflettere in materia di commercializzazione dell’olio di oliva. Innanzi tutto, i dati sulla attuale “quantificazione” della produzione regionale e nazionale di olio (numero delle piante in produzione) potrebbero consentire di verificare se l’olio commercializzato come italiano sul mercato sia effettivamente tale e, di conseguenza, sarebbe un elemento numerico fondamentale da prendere in considerazione per contrastare le frodi legate alla provenienza del prodotto. Un altro aspetto di rilievo è la necessità di rafforzare il ruolo giuridico dei panel di assaggiatori che, se reso obbligatorio, potrebbe diventare uno strumento utile per contrastare il fenomeno delle frodi. Altro elemento di riflessione è l’opportunità di individuare dei marcatori territoriali (per grandi aree geografiche) che, al momento dell’analisi dell’olio presso i frantoi, potrebbero essere resi obbligatori e consentirebbero di verificare l’origine territoriale del prodotto. Ancora, sarebbe quanto meno necessaria una maggiore efficacia dei controlli sulle partite in ingresso in Italia delle olive e dell’olio, con l’individuazione di un sistema univoco di campionamento; l’olio sfuso, infatti, finisce spesso per essere miscelato a oli nazionali di varia qualità e commercializzato - se non esplicitamente, certamente come “immagine” - come olio italiano, perché l’imbottigliatore (ovvero il commerciante) veridicamente risulta essere italiano. L’attuale disciplina in materia di etichettatura, infine, appare sotto molti punti inadeguata. Innanzi tutto, i commercianti di olio tendono ad apporre sulle bottiglie la retro-etichetta che confonde il consumatore e, pertanto, andrebbe eliminata o lasciata solo per le indicazioni nutrizionali. Sulla retro-etichetta, ma talvolta anche sull’etichetta, vengono riportate informazioni che non sono obbligatorie in senso stretto ma che si limitano a confermare le modalità di produzione dell’olio perché lo stesso possa essere commercializzato come «olio extravergine» o «olio vergine» (si vedano le formule sulla spremitura meccanica, sulla estrazione a freddo o spremitura a freddo). Que- 17 ste indicazioni, essendo di carattere tecnico e, comunque, incomprensibili per il consumatore, potrebbero essere eliminate; al contrario, potrebbe essere utile, per il consumatore, l’indicazione obbligatoria della data di produzione dell’olio (frangitura), perché, con il passare degli anni, la qualità dell’olio tende a degradare. La data di scadenza (che oggi è obbligatoria) rischia, per il modo con cui è riportata in etichetta, di essere ingannevole, essendo calcolata generalmente con riferimento alla data di imbottigliamento, per cui il consumatore non può sapere da quale data sia iniziato lo stoccaggio. Sarebbe, infine, opportuno che sull’etichetta siano ben distinte le indicazioni del “produttore” (inteso come olivicoltore) e dell’imbottigliatore; ma queste ultime considerazioni non possono essere risolte in sede nazionale, perché la competenza sulle indicazioni obbligatorie in etichetta è comunitaria. Dalle riflessioni conclusive di questa introduzione e, soprattutto, dal contributo del dibattito riportato in questo Quaderno si auspica che vengano colte le tante sfide lanciate ai futuri policy makers in ambito sia nazionale che comunitario, ma anche alle stesse associazioni di categoria nella prospettiva di comunicare efficacemente i valori dell’olio italiano ai consumatori, di rafforzare l’immagine del made in Italy e di aumentarne la competitività sui mercati. 18 Le relazioni: “La parola agli economisti e giuristi” Le relazioni IL MERCATO E LE STRATEGIE DI MARKETING PER LA VALORIZZAZIONE DELLA QUALITÀ Gervasio Antonelli1 1.Introduzione Nell’arco degli ultimi due decenni, la produzione mondiale di olio di oliva, sostenuta da una domanda in continua crescita, ha registrato un tasso di incremento medio annuo di circa il 3%. Parallelamente, l’ingresso sul mercato, sia dal lato dell’offerta, sia da quello della domanda, di nuovi Paesi ha modificato il quadro geografico della produzione e del consumo, che tradizionalmente era circoscritto all’Italia, alla Spagna, alla Grecia e a pochi altri Paesi dell’area mediterranea. Tutto ciò ha determinato una progressiva globalizzazione del mercato, con lo sviluppo di dinamiche nuove e con una maggiore competitività tra i paesi produttori (Antonelli, 2009). In questo quadro, la presente relazione si propone di condurre una riflessione sulle principali sfide determinate da questo nuovo scenario per le strategie produttive e commerciali del settore dell’olio di oliva italiano, in particolare per quelle volte alla valorizzazione della qualità. L’analisi fa riferimento soprattutto al ruolo che, in questa prospettiva, può svolgere il marketing, inteso come quadro concettuale che comprende tutte quelle attività che consentono ai produttori di posizionarsi sul mercato creando valore per se stessi, in termini di maggiore redditività, e per il consumatore, in termini di benefici percepiti. Il riferimento teorico dell’analisi è costituito dalla letteratura economica che affronta il problema dell’informazione a disposizione dei consumatori. In particolare, questi modelli avvalorano l’ipotesi che molti dei requisiti che distinguono l’olio di oliva di alta qualità dal prodotto standard non raggiungono il consumatore e, quindi, non possono concorrere a determinarne le preferenze e le scelte. Ne segue che la valorizzazione della qualità implica sostanzialmente un problema di correzione delle distorsioni del mercato derivanti da informazioni incomplete e asimmetriche, amplificate dalle strategie competitive della Grande Distribuzione Organizzata (GDO). 1 Professore ordinario presso il Dipartimento di Economia, Società, Politica (DESP) dell’Università degli Studi di Urbino Carlo Bo. 21 2. Le dinamiche in atto nello scenario internazionale In base ai dati del Consiglio Oleicolo Internazionale (COI), la produzione mondiale di olio di oliva è passata da 1.823,5 mila tonnellate, in media, nel triennio 1990/91-1992/93, a 2.628,8 mila tonnellate, nel triennio 2000/01-2002/03, e a 3.066,2 mila tonnellate nel triennio 2010/11-2012/13 (va osservato che i dati relativi alle campagne olearie 2011/12 e 2012/13 sono ancora provvisori). A questo aumento ha contribuito, in particolare, la Spagna, la cui produzione è passata dal 34% della produzione mondiale, in media, nel triennio 1990/91-1992/93, al 41,2% nel triennio 2000/01-2002/03 e al 56,3% nel triennio 2010/11-2012/13, ma anche molti altri Paesi del bacino del Mediterraneo (Portogallo, Algeria, Marocco, Siria, Turchia, Tunisia) e un numero crescente di Paesi nuovi produttori esterni all’area mediterranea (Argentina, Stati Uniti, Australia, Nuova Zelanda, Cile e Sud Africa). Nell’arco dello stesso periodo, i consumi mondiali sono passati da 1.809,2 mila tonnellate, in media, nel triennio 1990/91-1992/93, a 2.624,8 mila tonnellate nel triennio 2000/01-2002/03 e a 3.136 mila tonnellate nel triennio 2010/20112012/13. In questo quadro, tassi di crescita molto più elevati rispetto alla media mondiale si sono registrati nei Paesi nuovi consumatori quali, Stati Uniti, Germania, Regno Unito, Olanda, Belgio, Canada, Australia, Giappone, Brasile, Russia e, di recente, Cina. Negli Stati Uniti, ad esempio, il consumo di olio di oliva è passato dalle 88 mila tonnellate nel 1990/91, alle 194,5 mila tonnellate nel 2000/01 e alle 275 mila tonnellate nel 2010/11 (294 mila tonnellate secondo i dati provvisori del COI relativi al 2012/13). Un dato, questo, che colloca gli Stati Uniti al terzo posto della graduatoria mondiale dei Paesi consumatori di olio di oliva, dopo l’Italia e la Spagna. Nonostante ciò, se si fa eccezione per i paesi tradizionalmente consumatori, i volumi consumati continuano a essere molto ridotti. Infatti, secondo alcune stime (ISMEA, 2004), il consumo di olio di oliva rappresenta, a livello mondiale, appena il 4% di quello totale di oli vegetali. Il dato, anche se riferito alla situazione di un decennio addietro, è comunque significativo dello scarso peso che il consumo di olio di oliva ha fuori dell’area mediterranea. Si consideri, ad esempio, che negli Stati Uniti l’olio di oliva rappresenta appena il 2,6% degli oli vegetali consumati. Tuttavia, il fatto che il suo consumo stia crescendo in tutto il mondo segnala una tendenza che trova spiegazione nel maggior peso che stanno assumendo le problematiche salutistiche nelle scelte del consumatore. Tra l’altro, l’olio di oliva è associato alla dieta mediterranea, i cui pregi nutrizionali e salutistici trovano oggi ampio riconoscimento da parte della comunità scientifica internazionale; dieta 22 Le relazioni che, dal novembre 2010, è entrata a far parte della prestigiosa lista dell’Unesco relativa agli elementi immateriali considerati unici al mondo. Le dinamiche ora analizzate, relative alla produzione e ai consumi, hanno determinato un’intensificazione degli scambi internazionali e una maggiore globalizzazione del mercato. Infatti, gli scambi internazionali sono passati da 647 mila tonnellate nel 1990/91, a 1.223 mila tonnellate nel 2001/01, a 1400 mila tonnellate nel 2010/11 e, secondo i dati provvisori del COI, a 1587,6 mila tonnellate nel 2012/13. In questo quadro, un ruolo di primaria importanza viene svolto dall’Italia, dalla Spagna e dalla Tunisia per quanto riguarda le esportazioni, e dagli Stati Uniti e dall’Italia per le importazioni. Le esportazioni totali (comprese quelle interne ai Paesi dell’Unione europea) vedono al primo posto la Spagna, seguita dall’Italia. Differenze tra l’Italia e la Spagna riguardano anche il posizionamento del rispettivo prodotto sul mercato mondiale: la Spagna esporta prevalentemente olio sfuso, mentre l’Italia esporta in maggioranza oli vergini ed extravergini confezionati (ISMEA, 2010). Nel commercio con i Paesi extra UE, l’Italia rappresenta il primo Paese esportatore, con 198,9 mila tonnellate in media nel periodo compreso tra il 2006/07 e il 2011/12 (31,5% del totale mondiale), seguita dalla Spagna (168,5 mila tonnellate, pari al 26,7%), dalla Tunisia (132 mila tonnellate, pari al 20,9% del totale) e, a grande distanza, dal Portogallo, dalla Turchia e dalla Siria. Si tratta, come si vede, di uno scenario che presenta una pluralità di fattori che, in generale, portano ad accentuare la concorrenza sul mercato interno e su quello internazionale. A questo si aggiunga che la diffusione di sistemi di olivicoltura intensiva e di trasformazione altamente automatizzata rischia di portare la qualità dell’olio di oliva a una forte standardizzazione e di favorire, così, uno spostamento della competizione integralmente sul piano del prezzo. Tuttavia, a fronte di queste tendenze, che rappresentano senza dubbio serie minacce per il settore dell’olio di oliva italiano, il nuovo scenario competitivo presenta anche importanti opportunità. Queste sono legate, in particolare, alla crescita del consumo di olio di oliva in tutto il mondo che, come abbiano sottolineato, si associa a una crescente attenzione dei consumatori nei confronti della qualità. In questo nuovo scenario, il settore dell’olio di oliva italiano dovrà comunque rivedere le sue strategie produttive e commerciali per cogliere fino in fondo le potenzialità della segmentazione della domanda (ISMEA, 2010). Da un lato, infatti, «la produzione italiana può puntare sulle eccellenze», prodotti di alta gamma con qualità organolettiche e di servizio molto elevate, o sui prodotti tipici (ISMEA, 2010, p. 25). Dall’altro lato c’è il prodotto nei «segmenti qualitativamente meno caratterizzati», quelli, cioè, che sono in concorrenza più diretta con la produzione 23 spagnola, per i quali l’Italia può realizzare un vantaggio competitivo attraverso una diminuzione dei costi di produzione e una maggiore concentrazione dell’offerta. Limitatamente al segmento delle produzioni di più alta qualità, le sfide che il sistema “olio di oliva italiano” è chiamato ad affrontare possono essere ricondotte in modo molto sintetico a tre grandi problematiche. La prima è la possibilità di creare e gestire un marchio collettivo che trasmetta ai consumatori i valori della qualità dell’olio made in Italy, con una comunicazione “complessiva” che richiami tutte le componenti materiali e immateriali della qualità che concorrono alla creazione del valore per il consumatore. La seconda è la capacità di mettere in atto strategie adeguate di marketing miranti a intercettare il potenziale di domanda di olio di oliva di alta qualità presente sul mercato interno e, soprattutto, sui mercati dei nuovi paesi consumatori, dove si registra una maggiore crescita del reddito pro capite. La terza è la capacità di consolidare ed, eventualmente, di accrescere la posizione di vantaggio competitivo acquisita sui mercati di Paesi nuovi consumatori particolarmente esigenti in termini di requisiti della qualità quali, in particolare, Stati Uniti, Germania, Regno Unito e Giappone. 3. Le fonti della differenziazione qualitativa del prodotto Una strategia che punti sulle eccellenze implica la ricerca di un vantaggio competitivo basato sulla differenziazione del prodotto. Come fa osservare Porter (1985, p. 120), un’impresa si differenzia dai propri concorrenti «quando offre qualcosa di unico e apprezzato dagli acquirenti, che va ben oltre la semplice offerta a basso prezzo». La differenziazione, inoltre, se comunicata e percepita dai consumatori, offre ai produttori la possibilità di ottenere un premium price, ossia un prezzo remunerativo per i maggiori costi sostenuti per realizzarla. Nel caso dell’olio di oliva, la differenziazione qualitativa può essere determinata sulla base di variabili chimico-fisiche e organolettiche del prodotto e/o dalle capacità del prodotto di soddisfare i bisogni espliciti e impliciti dei consumatori. In sostanza, le possibilità di differenziazione sono estese a tutti gli elementi dei sistemi territorio, produttore, contesto produttivo, prodotto che influenzano le caratteristiche qualitative del prodotto e, quindi, creano valore per il consumatore (Antonelli, 2005). Pertanto, nel caso dell’olio di oliva la strategia di differenziazione va al di là della conformità merceologica, per includere tutti quegli aspetti riguardanti le specificità dovute alle condizioni pedoclimatiche, alle tecniche colturali, alla varie- 24 Le relazioni tà degli olivi, ai sistemi di raccolta, alle tecniche di produzione, alle competenze dei produttori, nonché alle diverse condizioni che rispondono ai nuovi “valori” e “bisogni” dei consumatori, quali il rispetto dell’ambiente e delle condizioni di lavoro da parte delle imprese che realizzano la produzione. A tale riguardo, va osservato che l’olivicoltura italiana rappresenta un esempio molto significativo di agricoltura multifunzionale, in quanto coniuga efficacemente i valori materiali del prodotto con i valori immateriali dell’ambiente, del paesaggio, della storia e della cultura del territorio. In altre parole, la creazione del valore della qualità dell’olio di oliva introduce elementi che non riguardano soltanto la qualità del prodotto, ma anche la qualità del sistema di produzione nel suo insieme. In questa prospettiva, il settore dell’olio di oliva italiano possiede indubbiamente importanti punti di forza sui quali è possibile far leva per la realizzazione di una strategia volta a creare un vantaggio competitivo, differenziando l’offerta in termini qualitativi. Infatti, come evidenziato nel documento “Piano olivicolo-oleario” del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali (2010, pp.19-20), il settore olivicolo-oleario italiano presenta numerosi punti di forza sia nella fase agricola, sia nelle fasi successive della filiera. A livello di fase agricola, i punti di forza vengono individuati, in particolare: nella presenza di importanti aree vocate alla coltivazione dell’olivo, per quantità e per qualità del prodotto; nell’elevata potenzialità di differenziazione delle produzioni dovuta al numero di varietà di olivo (oltre 300), alle modalità produttive, all’origine, ecc.; nel valore ambientale, paesaggistico, storico, culturale e antropologico degli oliveti; nell’attenzione crescente alle produzioni di qualità (43 marchi DOP e 1 marchio IGP, olio biologico, nuove classi merceologiche come, ad esempio, «Alta qualità», ecc.); nel know how; nell’elevato numero di filiere di prodotto olivicolo tracciate (circa 500). A livello di prima trasformazione, il documento identifica i punti di forza nella capillare localizzazione dei frantoi nelle aree vocate, con possibilità di una più alta qualità legata alla tempestiva lavorazione delle olive, nell’elevata professionalità degli operatori dei frantoi, nella presenza di distretti produttivi con un’elevata concentrazione di prodotto e nella continua modernizzazione degli impianti. In altri termini, la creazione del valore della qualità dell’olio di oliva è il frutto di interazioni legate a vari fattori, quali gli elementi propri del sistema territorio, le risorse umane, la tecnologia e le diverse componenti che concorrono a definire il “sistema di prodotto” (Fig. 1). Quest’ultimo concetto richiama il fatto che il prodotto è un “paniere” composito di benefici o di attributi (materiali e immateriali), ognuno dei quali può influenzare (positivamente o negativamente) il valore per- 25 cepito dal consumatore e può costituire anche una base per differenziare la propria offerta rispetto a quella dei concorrenti. La creazione del valore della qualità dell’olio di oliva è, quindi, il risultato di un processo produttivo nel quale entrano in gioco anche molti fattori esogeni al processo produttivo inteso nel senso stretto del termine, legati ai caratteri del territorio e alla sua tradizione produttiva. Figura 1 - Processo di creazione del valore della qualità dell’olio di oliva Produttore e sistema produttivo Sistema territorio Sistema di prodotto “olio di oliva” Strategie competitive delle imprese della GDO: alto potere contrattuale; politiche promozionali; strategie di category management. Informazioni incomplete e inadeguate a disposizione del consumatore per valutare le caratteristiche qualitative dell’olio di oliva (asimmetria informativa). Consumatore 4.Segnali di valore della qualità ed efficienza del mercato dell’olio di oliva Come abbiamo osservato, la differenziazione basata sulla diversità qualitativa del prodotto è efficace nel determinare le preferenze e le scelte del consumatore soltanto se percepita, altrimenti il consumatore troverà conveniente affidarsi a segnali di valore quali il prezzo, l’etichetta, la notorietà della marca, ecc., in quanto segnali che egli può direttamente verificare anche prima dell’acquisto, 26 Le relazioni e, quindi, valutare in rapporto alle sue preferenze. Il problema si presenta soprattutto quando sul mercato sono disponibili beni caratterizzati da forte somiglianza e da legami di forte sostituibilità, anche se con requisiti qualitativi diversi che il consumatore non è in grado di valutare in modo adeguato. Nel caso specifico dell’olio di oliva questo problema è ancora più evidente. Da una parte, vi è una normativa che disciplina la classificazione e la denominazione degli oli di oliva che non aiuta il consumatore ad orientarsi nella scelta del prodotto di più alta qualità. Infatti, la dicitura «olio extravergine di oliva» si applica a prodotti molto diversi tra loro sia per caratteristiche chimico-fisiche e organolettiche del prodotto, sia per zona geografica di provenienza e relative condizioni pedoclimatiche, colturali e tecnologiche. Dall’altra, vi è il fatto che molti dei requisiti della qualità di un sistema territorio-produzione-prodotto che distinguono l’olio di oliva di alta qualità da quello di qualità standard, anche all’interno della stessa classe degli oli extravergine di oliva, appartengono al gruppo che Peri (2008) chiama “requisiti impliciti”, ossia a quelli che «non sono constatabili dal consumatore né sono verificabili con una analisi del prodotto, ma possono essere soltanto oggetto di registrazione effettuata al momento opportuno durante il processo produttivo». Alcuni di questi requisiti, in realtà, sono verificabili a posteriori in ogni momento della vita del prodotto; tra questi vi sono, ad esempio, la conformità merceologica, le caratteristiche nutrizionali, le proprietà salutistiche, la sicurezza igienico-sanitaria, ecc. Altri possono essere soltanto oggetto di registrazione e/o documentazione; si tratta, in questo caso, dell’origine geografica, della tracciabilità, dell’applicazione di specifiche tecnologie, dell’impatto sull’ambiente da parte dei processi produttivi utilizzati, del rispetto delle condizioni di lavoro, della varietà e del grado di maturazione delle olive, delle tecniche colturali, dei sistemi di raccolta, ecc. Le implicazioni in termini di mercato derivanti da situazioni di «asimmetria informativa» sono state ampiamente analizzate dagli economisti. A questo riguardo, Akerlof (1970) propone un modello che ha come riferimento il mercato delle auto usate (dove sono presenti anche auto in cattive condizioni, dei veri e propri “bidoni” o, nel gergo americano, lemons), ma che può essere facilmente esteso al nostro caso, in cui dimostra che quando il consumatore non ha a disposizione le informazioni necessarie per valutare il differenziale qualitativo esistente tra i diversi prodotti, sarà portato a scegliere sulla sola base del prezzo il prodotto più economico. La conseguenza, inoltre, è che il prodotto di più alta qualità, e anche più caro per via del più alto costo di produzione necessario per realizzarlo, o resterà invenduto oppure dovrà essere venduto a un prezzo non remunerativo. Il 27 risultato finale sarà una progressiva svalutazione della qualità, sino alla scomparsa, sul mercato, dei prodotti di più elevata qualità, a vantaggio dei prodotti di qualità standard. In sostanza, per i produttori di olio di oliva di più alta qualità, l’acquisizione di un prezzo più alto rispetto a quello relativo ai prodotti di qualità standard, come “premio” che il consumatore è disposto a riconoscere loro, appare una condizione indispensabile per conseguire un livello di redditività soddisfacente e, quindi, restare sul mercato. Un secondo fattore che riduce la capacità del mercato di trasmettere appropriati segnali di valore che consentano al consumatore di dedurre il valore della qualità è costituito dalle strategie competitive della GDO, che, peraltro, rappresenta il canale in più forte espansione per le vendite di olio di oliva. In Italia, infatti, si stima che attraverso la GDO passi oltre il 60% del totale delle vendite di olio di oliva (ISMEA, 2010, pp. 24 e 25); percentuale che aumenta se si considera solo la categoria dell’extravergine di oliva2. In questa direzione agisce, in primo luogo, l’accresciuto potere di mercato detenuto dalla GDO in seno alla filiera dell’olio di oliva, come peraltro è avvenuto per molte altre filiere agroalimentari. Un potere, questo, che consentendo alla GDO di operare in condizioni di mercato monopsonistico nei confronti delle imprese di produzione di olio, porta a ridurre i prezzi pagati ai produttori. Le strategie messe in atto dalla imprese della GDO in questa direzione sono diverse a seconda che si tratti di imprese olearie di grandi dimensioni con un marchio forte e riconosciuto sul mercato, ovvero di piccoli fornitori (Furesi, Madau e Pulina, 2013, p. 139). Nel caso di grandi produttori, che in virtù di ingenti investimenti pubblicitari inducono comportamenti d’acquisto improntati alla fedeltà al brand, la relazione che si stabilisce con le imprese della GDO è riconducibile all’interno di un quadro che possiamo definire “di mutua interdipendenza”, con un equilibrio che comunque “pende a favore della GDO”. A tal fine, un ruolo importante viene svolto dalle private label, che in questi ultimi anni hanno visto aumentare notevolmente la loro quota di mercato, arrivato, nel 2009, al 18% delle vendite totali di olio di oliva (ISMEA, 2010, p. 26). Come sottolineano gli autori (Furesi, Madau e Pulina, 2013), le private label svolgono essenzialmente un ruolo competitivo nei rapporti con i grandi produttori, che vedono ridursi il loro potere nei confronti della GDO parallelamente all’aumentare della quota di mercato delle marche commerciali. In questa situazione, infatti, 2 La ripartizione dei volumi di olio venduti nel 2010 in Italia presso la GDO, vede al primo posto l’olio extravergine di oliva, con il 72% del totale, seguito dall’olio di oliva (14%), l’olio 100% Italiano (12%) e l’olio biologico e a marchio DOP o IGP (2%) (Unaprol, 2010). 28 Le relazioni le imprese di produzione sono costrette, da un lato, ad aumentare gli investimenti finalizzati a tutelare la fedeltà al loro marchio e, dall’altro, a ridurre i prezzi di vendita alla GDO per evitare di perdere quote di mercato. Molto diversa è la condizione delle piccole imprese di produzione di olio di oliva. Nei rapporti contrattuali con la GDO, queste imprese si collocano in uno stato di sostanziale “dipendenza dal distributore”. La loro presenza negli scaffali, benché considerata importante in quanto consente un ampliamento degli assortimenti, è subordinata, infatti, alla possibilità di stipulare contratti vantaggiosi in termini di prezzo e di modalità di pagamento. «In queste condizioni, le basi del potere possono assumere anche connotati coercitivi ed i ruoli delle parti sono ben definiti in un clima di scarsa o nulla collaborazione. Le interferenze sono anzi circoscritte alle forniture di prodotti da destinare al marchio dell’insegna commerciale. La conflittualità è bassa, dal momento che l’insorgenza di divergenze può facilmente portare all’estinzione del rapporto» (Furesi, Madau e Pulina, 2013, p. 139). A distorcere il mercato dell’olio di oliva contribuiscono anche le politiche promozionali e le strategie di category management realizzate dalle imprese della GDO. Nel primo gruppo rientrano quelle iniziative, specifiche del marketing aziendale e di quello dei beni di largo consumo, che le imprese della GDO mettono in atto nel quadro delle loro politiche di concorrenza, facendo leva sulla riduzione temporanea del prezzo come incentivo all’acquisto per aumentare il volume delle vendite. In questo ambito, nel caso dell’olio di oliva prevalgono soprattutto le promozioni di convenienza (riduzione temporanea del prezzo, offerta di un insieme di prodotti della stessa impresa ad un prezzo complessivo scontato o di un formato maggiorato al prezzo del formato normale, offerta di tre confezioni al prezzo di due, ecc.), ossia iniziative che portano alla vendita a prezzi fortemente scontati o, addirittura, sottocosto anche prodotti di ottima qualità. Le strategie di category management trovano fondamento nella tendenza del consumatore a concentrare gli acquisti in un numero limitato di occasioni e di punti vendita non specializzati e di grandi dimensioni (one-stop-shops), e si basano sul fatto che, nella determinazione dei prezzi dei beni, l’impresa persegue l’obiettivo della massimizzazione del profitto sull’intera spesa, anziché su quello del singolo prodotto. In un recente studio che analizza le implicazioni delle tecniche di category management sulle dinamiche dei prezzi agricoli e alimentari (Russo, 2013), si dimostra che tali tecniche determinano un aumento della rigidità dei prezzi al consumo e una attenuazione della relazione fra i prezzi alla produzione e i prezzi al dettaglio. Inoltre, si evidenzia che, in presenza di strategie di category management, aumentano la volatilità dei prezzi alla produzione e il margine sui beni caratterizzati da una 29 maggiore rigidità delle domanda. In sostanza, i beni alimentari, che presentano generalmente un basso coefficiente dell’elasticità della domanda, offrono un maggior contributo alla definizione dei profitti totali dell’impresa. 5.Ambiti di intervento per la correzione delle distorsioni del mercato e la valorizzazione della qualità Le distorsioni del mercato sin qui esaminate portano inevitabilmente a una progressiva svalutazione dei requisiti della qualità e a selezionare per il mercato le sole imprese in grado di competere sulla base del prezzo o della notorietà della marca. In una realtà produttiva, come quella italiana, dove i costi di produzione sono mediamente più alti rispetto ad altre aree, prima fra tutte la Spagna (ISMEA, 2010), questa prospettiva rischia di emarginare gran parte del settore olivicolo, a partire dal comparto delle produzioni artigianali e di nicchia. Una prospettiva, questa, che oltre agli effetti negativi sull’economia, soprattutto in quelle aree dell’Italia meridionale dove l’olivicoltura svolge una ruolo di primaria importanza sul piano economico e sociale, rischia anche di compromettere il patrimonio paesaggistico, ambientale, storico e culturale che in Italia è legato all’olivicoltura. In sostanza, la correzione delle distorsioni del mercato precedentemente analizzate trova ragione non solo sul piano strettamente economico, ma anche su quello più generale dell’interesse della società nel suo complesso. Questa prospettiva richiede l’attuazione di interventi molto complessi da svilupparsi sia sul piano della comunicazione e del marketing, sia su quello delle normative. Quest’ultimo coinvolge livelli istituzionali sovranazionali (Unione europea), nazionali e regionali. A questo proposito, i problemi da affrontare sono molteplici e si configurano indubbiamente di difficile soluzione anche sul piano politico, in quanto affrontano diverse problematiche (relative, ad esempio, alle norme sulla commercializzazione, alle indicazioni che devono figurare sull’etichetta, alle norme sulle caratteristiche degli oli di oliva, sulla trasparenza e la tutela del consumatore, sul funzionamento del mercato e della concorrenza), coinvolgendo diversi interessi a livello internazionale e nazionale, spesso contrastanti. 5.1. La normativa per la valorizzazione della qualità In questi ultimi anni, si sono registrati importanti interventi che hanno aggiornato la normativa dell’Unione europea sulla commercializzazione dell’olio di 30 Le relazioni oliva, al fine di mettere a disposizione del consumatore informazioni più complete e chiare. In particolare, il regolamento (CE) n. 182/2009, che modifica il regolamento (CE) n. 1019/2002 relativo alle norme di commercializzazione dell’olio di oliva, rende obbligatoria l’indicazione dell’origine sull’etichetta per l’olio extravergine di oliva e per l’olio di oliva vergine. La designazione dell’origine, intesa come «l’indicazione di un nome geografico sull’imballaggio o sull’etichetta» [art. 4, paragrafo 1, del regolamento (CE) n. 1019/02], infatti, era stata già introdotta dal regolamento (CE) n. 1019/02, sebbene, come regime facoltativo. Si tratta chiaramente di una disposizione che mira a veicolare attraverso l’etichetta informazioni che possano essere utilizzate dal consumatore per dedurre il livello qualitativo del prodotto acquistato. Infatti, come viene richiamato nei considerando (paragrafo 4), «a motivo degli usi agricoli o delle pratiche locali di estrazione o di taglio, gli oli di oliva vergini direttamente commercializzabili possono presentare qualità e sapore notevolmente diversi tra loro a seconda dell’origine geografica». Infine, si sottolinea che, per evitare rischi di distorsione del mercato degli oli di oliva commestibili, è necessario stabilire «norme comunitarie relative alla designazione dell’origine esclusivamente per l’olio “extravergine” di oliva e l’olio di oliva “vergine” rispondenti a precisi requisiti». A livello nazionale, la normativa registra l’approvazione della legge che ha per titolo «Norme sulla qualità e la trasparenza della filiera degli oli di oliva vergini» (legge 14 gennaio 2013, n. 9) che stabilisce criteri per aumentare la chiarezza e la visibilità dell’indicazione dell’origine degli oli di oliva vergini, che deve essere obbligatoriamente riportata in etichetta, nonché norme sulla trasparenza e la tutela del consumatore, sul funzionamento del mercato e della concorrenza e sul contrasto delle frodi e delle contraffazioni di oli DOP o IGP, con un forte inasprimento delle sanzioni. In particolare, l’art. 1 prende in esame le etichette e stabilisce che l’indicazione dell’origine degli oli di oliva prevista dalla normativa vigente «deve figurare in modo facilmente visibile e distinguibile nel campo visivo del recipiente, in modo da essere distinguibile dalle altre indicazioni e dagli altri segni grafici». La norma stabilisce che la designazione dell’origine è «stampata sul recipiente o sull’etichetta ad esso apposta, in caratteri la cui parte mediana è pari o superiore a 1,2 millimetri, ed in modo da assicurare un contrasto significativo tra i caratteri stampati e lo sfondo». Aggiungendo, al comma 4, che «nel caso di miscele di oli di oliva estratti in un altro Stato membro o Paese terzo, l’indicazione dell’origine di cui al comma 1 è immediatamente preceduta dall’indicazione del termine “miscela”, stampato ai sensi dei commi 2 e 3 e con diversa e più evidente rilevanza cromatica allo sfondo, alle altre indicazioni ed alla denominazione di vendita». 31 In particolare, per quanto riguarda il problema di assicurare un più corretto funzionamento del mercato e una maggiore concorrenza, la legge prevede, tra l’altro, che «l’Autorità garante della concorrenza e del mercato, in conformità ai poteri ad essa conferiti dalla legge 10 ottobre 1990, n. 287, vigila sull’andamento dei prezzi e adotta atti idonei a impedire le intese o le pratiche concordate tra imprese che hanno per oggetto o per effetto di ostacolare, restringere o falsare in maniera consistente la concorrenza all’interno del mercato nazionale degli oli di oliva vergini attraverso la determinazione del prezzo di acquisto o di vendita del prodotto» (art. 8). Inoltre, all’art.11, vengono introdotti limiti alla vendita sottocosto, stabilendo che «nel settore degli oli di oliva extravergini la vendita sottocosto è soggetta alla comunicazione al Comune dove è ubicato l’esercizio commerciale, almeno venti giorni prima dell’inizio, e può essere effettuata solo una volta nel corso dell’anno. È comunque vietata la vendita sottocosto effettuata da un esercizio commerciale che, da solo o congiuntamente a quelli dello stesso gruppo di cui fa parte, detiene una quota superiore al 10% della superficie di vendita complessiva esistente nel territorio della provincia dove ha sede l’esercizio». Un ulteriore contributo sul piano della normativa che può costituire un’efficace base per lo sviluppo di una strategia per la valorizzazione della qualità dell’olio di oliva italiano è quello previsto dallo schema di decreto ministeriale (ancora in fase di elaborazione) relativo all’istituzione del «Sistema di Qualità Nazionale Olio Extra Vergine di Oliva (SQN-olio)»3 riconosciuto a livello nazionale, in conformità con quanto previsto dall’art. 22, paragrafo 2 del regolamento (CE) n. 1974/2006. Secondo lo schema di decreto, il SQN-Olio «individua il prodotto Olio Extra Vergine di Oliva avente caratteristiche specifiche che determinano una qualità del prodotto finale significativamente superiore rispetto alle norme commerciali correnti» (articolo 1, punto 2). A tal fine, si prevede un disciplinare unico nazionale, un piano di controllo e (all’articolo 11) l’istituzione di un «marchio collettivo unico nazionale» di cui possono beneficiare i diversi operatori (aziende agricole di produzione, singole e associate; imprese, singole e associate, di gestori di frantoi; imprese che svolgono funzioni di commercializzazione per le precedenti categorie; operatori appartenenti in modo esclusivo alla fase della distribuzione, quali i confezionatori e i distributori) che rispettino il «Disciplinare unico nazionale» e che siano inseriti nell’elenco istituito presso il MIPAAF degli Operatori e degli Organismi di controllo accreditati aderenti al SQN-Olio, articolato su base regionale, e pubblicato sul sito internet del Ministero4. 3 Si veda, al riguardo, la relazione di Petrucci in questo stesso volume. 4 Sugli approfondimenti delle norme citate si vedano le relazioni di Germanò, Masini e Albisinni in questo stesso volume. 32 Le relazioni 5.2.Ambito del marketing Come abbiamo osservato, se da un lato la valorizzazione della qualità dell’olio di oliva richiede l’attuazione di appropriati interventi sul piano delle normative a livello sovranazionale e nazionale, dall’altro lato è indubbio che agli operatori del settore sono richieste maggiori capacità di marketing per concretizzare le potenzialità che il nuovo scenario normativo prospetta per valorizzare, anche nella percezione dei consumatori, la qualità dell’olio di oliva. Il ruolo del marketing è, quindi, quello di accrescere e comunicare al consumatore quei segnali di valore della qualità che il mercato non è in grado di trasmettere autonomamente, e che sono necessari per determinarne le preferenze e le scelte. Una condizione, questa, che peraltro è indispensabile per consentire ai produttori che offrono sul mercato olio di oliva di più alta qualità di ottenere un premium price, come equivalente del valore che i consumatori riconoscono alla qualità. Il concetto di marketing, com’è noto, è molto articolato e presenta al suo interno una pluralità di strumenti utili per una strategia di valorizzazione della qualità dell’olio di oliva. Nell’ambito di questo concetto trovano, infatti, collocazione le analisi sul comportamento del consumatore, in particolare quelle riguardanti le aspettative, i criteri di valutazione della qualità e il comportamento di acquisto. Per le sue implicazioni anche per la gestione del prodotto, un concetto sviluppato nell’ambito della letteratura di marketing che appare molto utile per la valorizzazione della qualità dell’olio di oliva è quello di sistema di prodotto. Come abbiamo visto, il concetto fa riferimento al prodotto come a un paniere di attributi (materiali e immateriali) che soddisfano requisiti, esigenze e attese del consumatore e, quindi, si presta a definire un criterio per individuare le componenti della prestazione complessivamente offerta dall’impresa che influenzano maggiormente il livello di soddisfazione del consumatore e il valore percepito. Un ulteriore ambito del marketing è quello che riguarda le problematiche concernenti la creazione e la gestione strategica del marchio, facendo leva sulle qualità distintive del prodotto rispetto agli standard previsti dalla normativa. In questo contesto, il marketing consente di affrontare in modo appropriato i problemi riguardanti la definizione del posizionamento, la strategia di comunicazione attuata attraverso l’attivazione della varie componenti del mix comunicazionale e le diverse azioni volte ad aumentare la fedeltà alla marca e a ridurre l’elasticità della domanda all’aumento del prezzo. Com’è noto, il marchio è soprattutto un segnale di qualità e di garanzia per il consumatore, per cui fornisce anche un incentivo a mantenere la qualità 33 del prodotto comunicata e ad assicurare la soddisfazione del cliente. Pertanto, tra le sfide principali per la gestione di un marchio come quello previsto dallo schema di decreto ministeriale recante l’istituzione del SQN-Olio, vi è in primo luogo quella della realizzazione di forme di coordinamento efficaci tra i diversi soggetti della filiera per il controllo e la gestione della qualità. Se questa è una precondizione, la valorizzazione della qualità non può certamente prescindere dalla realizzazione di una struttura organizzativa che sappia/possa dare coerenza e unitarietà di indirizzo alle diverse azioni messe in atto per la valorizzazione della qualità attraverso il posizionamento efficace del marchio, anche nella percezione del consumatore. 6.Alcune considerazioni finali A conclusione di questa relazione ci sembra importante sottolineare, sebbene in forma schematica, alcuni elementi che costituiscono i fattori di successo di una strategia di marketing per la valorizzazione della qualità. In questa prospettiva, la capacità di creare e gestire un marchio collettivo implica, in primo luogo, la necessità di mettere a punto un disciplinare di produzione che sia condiviso dagli attori del sistema di produzione, in modo da assicurare la realizzazione di standard qualitativi uniformi e costanti nel tempo. In secondo luogo, c’è da sottolineare la necessità di definire l’identità del marchio in modo chiaro, sintetizzando tutti quegli elementi coerenti nel tempo che lo rendono efficace nel segnalare al consumatore il valore della qualità derivante dall’interazione di fattori ambientali, varietali, colturali e tecnologici di produzione unici e non riproducibili nel resto del mondo. Un fattore di notevole portata è quello riconducibile alla possibilità di creare strutture organizzative su base consortile per la gestione delle funzioni di marketing, peraltro indispensabili anche per la realizzazione di economie di scala nella gestione delle strategie di marketing. Inoltre, la valorizzazione della qualità implica senza dubbio lo sviluppo di relazioni cooperative tra i diversi attori della filiera; una condizione, questa, peraltro indispensabile per ridurre i costi di transizione e per rendere più efficaci le strategie di valorizzazione della qualità. Un ulteriore fattore di successo è la possibilità di sviluppare rapporti di sinergia/integrazione tra gli attori pubblici e privati per quanto riguarda, in particolare, la definizione e la realizzazione delle politiche di comunica- 34 Le relazioni zione. L’intervento pubblico in questo campo trova, tra l’altro, giustificazione anche sul piano della teoria economica. Infatti, l’informazione è riconducibile nell’interno della categoria dei beni pubblici. Pertanto, maggiori informazioni sulla qualità consentono ai consumatori di effettuare scelte di acquisto più consapevoli e coerenti con le loro preferenze, e, quindi, ad accrescere il benessere sociale. Un ultimo fattore critico, non in ordine di importanza, è dato dalla capacità/possibilità di ridurre il potere esercitato dalla GDO nella definizione delle politiche di posizionamento del prodotto. Ciò implica la costruzione dell’immagine reale della marca intorno ai valori della qualità e la gestione della stessa attraverso idonee politiche di comunicazione. Bibliografia Akelorf, G.A., “The Market for lemons: Quality Uncertainty and the Market Mechanism”, in Quarterly Journal of Economics, vol. 84 (3), 1970. Antonelli, G, “Olio nel mercato”, in Pisante, M.; Inglese, P.; Lercker, G. (coordinatori scientifici), L’ulivo e l’olio, Bayer CropScience, Milano, 2009, pp. 732-761. Antonelli, G., “Come differenziare il prodotto di qualità”, in Olivo e Olio, n. 4, aprile 2005, pp. 48-52. Furesi, R.; Madau, F.A; Pulina, P. “Potere della distribuzione moderna nelle filiere agroalimentari: il caso dell’olio di oliva”, in Economia Agro-alimentare, n. 1, 2013, pp. 123-143. Ismea, Report economico-finanziario 2010. Volume I, Roma, 2010. Ismea, Filiera olio di oliva, Roma, 2004. Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, Piano olivicolo-oleario, Roma, aprile 2010. Peri, C., “Dalla qualità all’eccellenza dell’olio di oliva”, Accademia dei Georgofili, Firenze, lettura del 14 febbraio 2008. Porter, M.E., Competitive Advantage, New York, Free Press, 1985, p. 120; trad. It. Il vantaggio competitivo, Milano, Edizioni Comunità, 1987. 35 Russo, C., “Modelli comportamentali dei consumatori e strategie di pricing della Grande Distribuzione Organizzata. Implicazioni per le filiere agroalimentari”, in Economia Agro-alimentare, n. 1, 2013, pp. 145-155. Unaprol, I consumi di olio nelle principali aree geografiche italiane nel 2008 e nel 2009, Roma, 2010. 36 Le relazioni LE INDICAZIONI IN ETICHETTA E I SEGNI DEGLI ALIMENTI (DOPO IL REG. 1169/2011) Alberto Germanò1 1.Introduzione Il tema del mio colloquio con voi è l’etichetta degli alimenti in genere, e dell’olio in particolare, nel quadro del regolamento (UE) n. 1169/2011 del 25 ottobre 2011 sulle informazioni alimentari ai consumatori. Il vocabolario italiano definisce l’etichetta il «cartellino che si applica su oggetti vari per indicarne il contenuto, la provenienza o altre caratteristiche». Viene dal francese étiquette che, a sua volta, deriva dal francese antico estiquer ovvero «attaccare». A noi interessa l’etichetta dei prodotti alimentari. Devo, perciò, parlarvi di quella strisciolina di carta che viene incollata su un contenitore di vetro, di plastica o di cartone di prodotti alimentari e che riporta una serie di indicazioni rilevanti ai fini della trasparenza del mercato alimentare. Ma devo subito precisare che il reg. (UE) n. 1169/2011, elencando come ricadenti nell’etichettatura «menzioni, indicazioni, marchi di fabbrica o di commercio, immagini o simboli», si riferisce non solo all’etichetta in senso stretto, ma a «qualsiasi imballaggio, documento, cartello, anello o fascetta che accompagni il prodotto alimentare o a che ad esso si riferisca». Devo ancora aggiungere che il reg. (UE) n. 1169/2011 è un regolamento orizzontale, a cui si collegano altri interventi di natura “verticale” per determinati prodotti, come, ad esempio, i regolamenti sulle denominazioni d’origine (DOP), sulle indicazioni geografiche (IGP) e sulle specialità tradizionali garantite (STG), nonché quelli sul metodo di produzione biologico e sulle indicazioni nutrizionali. A questi altri provvedimenti normativi dell’UE potrà capitarmi di fare riferimento. Così come mi potrà capitare di fare riferimento alla nostra recentissima legge 14 gennaio 2013, n. 9, la c.d. legge «salva olio», ma solo per qualche accenno, perché questo è il tema della relazione del prof. Masini. 1 Responsabile del Centro di responsabilità di attività scientifica di primo livello dell’Istituto di Diritto Agrario Internazionale e Comparato (IDAIC) in Firenze del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), già professore ordinario di Diritto agrario comunitario nell’Università di Roma “La Sapienza”, in pensione, e già magistrato di Cassazione, in pensione. 37 Dunque, io vi dirò: ciò che l’etichetta deve contenere per il diritto europeo; ciò che l’etichetta non deve contenere; ciò che l’etichetta può contenere (le informazioni volontarie); ciò che l’etichetta deve contenere per il diritto nazionale, se lo Stato membro decida di imporre informazioni complementari (in aggiunta a quelle obbligatorie per il diritto UE). Ma prima accennerò alle modalità di redazione dell’etichetta, cioè vi dirò che le pratiche leali d’informazione impongono: 1) l’uso di una lingua comprensibile dai consumatori; 2) un adeguato posizionamento di tali informazioni. L’art. 15 del reg. (UE) n. 1169/2011 stabilisce che occorre usare la lingua «facilmente comprensibile» dai consumatori dello Stato in cui l’alimento è commercializzato, e che le indicazioni obbligatorie devono essere sistemate in modo evidente, cioè devono essere facilmente visibili e chiaramente leggibili, nonché scritte in modo indelebile. Dunque, non possono essere nascoste, oscurate, troncate o separate da altre indicazioni scritte o grafiche o da qualunque altro elemento suscettibile di interferire (art. 13). Non possono essere espresse con caratteri microscopici. E qualcosa del genere prescrive la nostra legge 9/2013. a) b) c) d) 2. Le indicazioni obbligatorie in etichetta In etichetta è obbligatorio riportare gli elementi che compongono il prodotto alimentare, dunque, gli ingredienti, gli additivi e gli enzimi, gli aromi, gli edulcoloranti, i coloranti e i conservanti. Vanno riportati: il quantitativo netto, il titolo alcolometrico per le bevande alcoliche, le istruzioni per l’uso del prodotto alimentare e le condizioni particolari di conservazione e di utilizzazione, il nome del produttore, il luogo di origine o di provenienza se la sua omissione è causa possibile di errore. E’ ancora necessario riportare l’eventuale presenza di integratori alimentari, di organismi geneticamente modificati (OGM), di sostanze allergeniche. E’ richiesta l’indicazione dei valori nutrizionali. Infine, è necessario indicare la data di scadenza del prodotto, nonché, per alcuni alimenti, le indicazioni che consentono la loro tracciabilità e, ovviamente, il prezzo. Lo scopo è quello di garantire il diritto dei consumatori all’informazione. I consumatori devono essere messi in condizione di operare scelte consapevoli rilevanti con riguardo tanto alla tutela della propria salute, quanto alla corrispondenza a considerazioni ambientali, sociali, religiose ed etiche per essi significative. 38 Le relazioni In questa veloce esposizione di ciò che è obbligatorio inserire in etichetta a me preme sottolineare l’indicazione dell’identità del prodotto. L’identità del prodotto è data dalla sua denominazione merceologica. Molte delle denominazioni «legali» dei prodotti alimentari erano contenute nei vari regolamenti sulle Organizzazioni comuni di mercato (OCM) come era il caso e come è il caso dell’olio, che il reg. (CE) n. 1234/2007 (ma vi è una proposta di regolamento che tende a modificarla) definisce come quello ottenuto dal frutto dell’oliva in aderenza a quanto dispone l’accordo del 1986 tra l’Unione europea e il Consiglio oleicolo internazionale (COI). Ora il reg. (UE) n. 1169/2011 specifica che si intende per «denominazione legale» di un prodotto alimentare la denominazione prescritta dalle disposizioni comunitarie che gli sono applicabili (art. 17.1). In mancanza di tali disposizioni, occorre fare riferimento alle disposizioni legislative, regolamentari o amministrative applicabili nello Stato membro nel quale il prodotto alimentare è venduto al consumatore finale (art. 2, par. 2, lett. n). Se non ci sono apposite norme nazionali definitorie del prodotto, va utilizzato il nome consacrato dagli usi e dalla consuetudine, in sostanza la c.d. «denominazione usuale» definita dalla lett. o) dell’art. 2 del reg. (UE) n. 1169/2011. Ma, come vi ho appena detto, questo non è il caso dell’olio di oliva che il diritto comunitario definisce come quello «ottenuto dal frutto dell’olivo». Invece, nel caso dell’olio ciò che è necessario riportare in etichetta è quale tipo di olio si tratti: olio extravergine di oliva, olio vergine di oliva, olio di oliva, olio di sansa di oliva (reg. n. 29/2012 della Commissione del 13 gennaio 2012, art. 3). 3. Le indicazioni vietate e le indicazioni facoltative in etichetta In etichetta è vietato riportare indicazioni che possano indurre in errore il consumatore sulle caratteristiche dell’alimento con riguardo: alla natura, alla identità, alle proprietà, alla composizione, alla quantità, alla durata di conservazione, al paese d’origine o al luogo di provenienza, nonché al metodo di produzione. In particolare, l’etichettatura non deve attribuire al prodotto effetti o proprietà che non possiede, non deve suggerire che il prodotto abbia proprietà particolari quando tutti i prodotti analoghi le possiedono e non deve attribuire al prodotto la proprietà di prevenire, trattare o guarire malattie, cioè non deve contenere indicazioni relative alla salute. Ed è per ciò che il 3° comma dell’art. 4 della nostra legge 9/2013 (la c.d. «salva olio») statuisce che è ingannevole attribuire agli oli di 39 oliva diversi dagli oli extravergini «attribuiti positivi non previsti dall’allegato XII […] del regolamento (CEE) n. 2568/1991». Vorrei che notaste che dalle disposizioni sulle indicazioni vietate si ricava la possibilità che vi siano altre indicazioni oltre quelle obbligatorie, ovverosia la possibilità di indicazioni volontarie. In altre parole, il produttore dell’alimento può “arricchire” l’etichetta di tutta una serie di menzioni, di messaggi, di diciture aggiuntive che gli consentano di “captare” la benevolenza del consumatore al fine di vincere la gara sul mercato. Va, però, precisato che le indicazioni volontarie sono espressione non solo dell’interesse dei produttori di conquistare clienti, ma anche dell’interesse dei consumatori di conoscere meglio quello che è il proprio cibo. Cioè, delle informazioni volontarie fanno parte le informazioni di qualità che il produttore intende comunicare e che, riportate in etichetta, possono fargli conquistare clienti attratti proprio da siffatte informazioni sulla qualità del prodotto. Se il problema della qualità degli alimenti attiene agli strumenti per determinare la vittoria di un concorrente sugli altri, occorre immaginare la presenza di requisiti singolari nel prodotto che, facendosi apprezzare dai consumatori, costituiscono quel qualcosa in più che dà vantaggio commerciale al produttore del prodotto che li possiede, rispetto ai concorrenti i cui prodotti non hanno gli stessi singolari requisiti. Le qualità di cui sto ragionando sono indice di un pregio che l’alimento potrebbe avere o non avere. Dunque, si tratta di un requisito che va oltre il fatto che il prodotto sia stato ottenuto in modo igienico e nel rispetto delle regole di sicurezza alimentare che sono quelle che lo rendono «alimento» ai fini del commercio nell’Unione europea secondo il regolamento (CE) n. 178/2002 sulla sicurezza alimentare. In altre parole, con il termine «qualità» si finiscono con il richiamare le doti voluttuarie del bene alimentare. Si riconosce che la produzione agricola in determinati e specifici luoghi o secondo certi procedimenti è capace di aggiungere al prodotto un “valore” specifico a cui il consumatore “tiene” nel momento della scelta. Orbene, tali ulteriori requisiti devono essere comunicati e sono comunicati volontariamente nell’etichetta. 4. I segni degli alimenti e il caso dell’olio Nel mercato della produzione alimentare ricorrono le ipotesi dei segni DOP, IGP, STG e del biologico, che sono segni comunitari oggetto di specifici regolamenti che ne hanno determinato i rispettivi «disciplinari». Sono, questi, i «segni» degli alimenti volontariamente comunicabili. Delle DOP e delle IGP vi dirò poco. Vi dirò di più degli altri «segni» volontari che attengono al territorio e che, per 40 Le relazioni la reputazione da questo acquisita, hanno una notevole capacità di conquistare i consumatori. Infatti, di frequente tra i «segni» volontari ricorrono quelli che sono capaci di “narrare” la storia del prodotto, il suo “valore” dovuto a fattori naturali e a fattori umani, il suo “rapporto” con un territorio e con una comunità, l’immagine di una terra e della sua gente. Essi racchiudono in sé anche la capacità di esprimere una “cultura”, la cui memoria, se non fosse raccontata attraverso il segno, si perderebbe con lo scorrere del tempo, mentre la sua estrinsecazione e “narrazione” attraverso il segno consentono di acquisire e mantenere una clientela “attratta” dalla reputazione del luogo e dalla fama della comunità produttrice che sono espressi nel nome. I segni di questa specie consistono nel nome del luogo geografico di produzione e sono chiamati «indicazioni geografiche» o «denominazioni di origine». Secondo la Corte di giustizia sono possibili tre situazioni: 1) il nome geografico che ogni imprenditore della zona può indicare nell’etichetta come generico predicato del rispettivo prodotto (ad esempio, «vino toscano»; «arance siciliane») con l’obbligo della veridicità dell’indicazione; 2) la designazione geografica tutelata dal diritto comunitario con il termine di «indicazione geografica protetta» o IGP; e 3) la designazione geografica tutelata dal diritto comunitario con il termine «denominazione di origine protetta» o DOP. Come ho detto, non vi parlerò delle DOP o delle IGP. Invece, ritengo necessario dirvi delle indicazioni geografiche semplici perché la questione di queste indicazioni implica la soluzione del problema dell’origine del prodotto agricolo. E’ possibile che il produttore qualifichi i propri prodotti servendosi del nome geografico della località in cui opera, senza che il richiamo dell’area geografica sia in stretta relazione alla qualità del prodotto, come avviene nei casi di DOP e IGP. In tale fattispecie, l’indicazione geografica non può assurgere a marchio individuale per il divieto imposto dal diritto comunitario. Tale indicazione geografica può semplicemente significare che il prodotto è stato ottenuto nel territorio conosciuto con quel nome, dato che non vi è nesso fra il luogo e le caratteristiche organolettiche del prodotto, cioè le caratteristiche del prodotto non dipendono in modo stretto dal suolo, dal clima, dall’aria di quel luogo. Qui la facoltà di utilizzare il toponimo (nome proprio di un luogo geografico) viene attribuita agli operatori economici della zona per la reputazione che quel luogo geografico ha acquisito nel mercato alimentare. Una tale indicazione ha l’unica condizione della veridicità quella che impone di non usare nella presentazione di un prodotto un nome di luogo diverso da quello in cui è stato effettivamente realizzato. 41 Il problema dell’origine è un problema complesso perché sul suo significato si scontrano i contrapposti interessi degli industriali alimentari e quelli degli imprenditori agricoli. I primi assegnano alla locuzione «origine» il significato della localizzazione della “fabbrica”. I secondi intendono l’ubicazione delle piante arboree o arbustive da cui è “tratto” il prodotto finale trasformato. Non esiste una norma comunitaria chiara sul significato del termine «origine». L’art. 3, lett. a) della direttiva 2006/114/CE sulla pubblicità ingannevole richiede che si consideri, tra le varie caratteristiche del prodotto, la «origine geografica o commerciale dei beni», riferendo il termine ora al territorio, ora all’impresa, cioè all’azienda o fabbrica. Anche in Italia, il comma 1-quater dell’art. 43 del D.L. 22 giugno 2012, n. 83 (c.d. legge «cresci Italia») ha inserito all’art. 4, comma 49-bis, della legge 24 dicembre 2003, n. 350, la disposizione secondo cui «per i prodotti alimentari per effettiva origine si intende il luogo di coltivazione o di allevamento della materia prima utilizzata nella produzione e nella preparazione dei prodotti e il luogo in cui è avvenuta la trasformazione sostanziale». Ma ci resta il dubbio se la “e” sia disgiuntiva, cioè una “o”, ovvero congiuntiva e quindi che il luogo della coltivazione (nel caso nostro, l’oliveto) debba essere assieme al luogo della trasformazione sostanziale (nel caso nostro, il frantoio). Orbene, sotto questo profilo devo dirvi di due sentenze della Corte di giustizia, l’una nel caso Warsteiner - una birra prodotta non più nella città di Warsteiner, ma in quella di Paderborn - e l’altra nel caso Exportur - un torrone prodotto in Alicante, ma anche nelle zone francesi al di là dei Pirenei - che riguardano sì il luogo dell’impresa (l’azienda trasformatrice), ma da cui - e soprattutto da quella Exportur - si ricava un dato che può essere utilizzato a favore della tesi per la quale l’origine dei prodotti agricoli è il luogo di coltivazione delle piante che danno luogo ai prodotti alimentari2. Nella sentenza Exportur si dà particolare rilievo al nesso che esiste tra il segno e la comunità originaria dei produttori, nel senso di un rapporto riflesso di rinomanza e reputazione tra la zona di produzione e il nome del prodotto. Così si rafforza l’idea del riconoscimento di un territorio come canone di identità e di garanzia di un prodotto alimentare. Il toponimo non è (più) un semplice segno geografico di un prodotto, ma identifica una comunità di produttori localmente sta2 Corte di giustizia dell’Unione europea: sentenza del 7 novembre 2000, causa C-312/98, Schutzverband gegen Unwesen in der Wirtschaft eV contro Warsteiner Brauerei Haus Cramer GmbH & Co. KG, in Raccolta della giurisprudenza, p. I-9187, e sentenza del 10 novembre 1992, causa C-3/91, Exportur, in Raccolta della giurisprudenza, 1992, p. I-5553. 42 Le relazioni bilita. Il toponimo valorizza questa appartenenza riservando i benefici che da essa derivano alla collettività unitariamente e localmente considerata, elevando tale comunità a titolare del segno. Per l’olio vi è stata una lunga diatriba tra l’Italia e la Comunità europea, iniziata nel 1998 nel conflitto tra la nostra legge 313/1998 – secondo cui il luogo di origine è l’oliveto ed esso andava obbligatoriamente segnalato in etichetta – e il reg. (CEE) n. 2815/1998, secondo cui, invece, il luogo dell’olio è l’oliveto o il frantoio, da indicare solo facoltativamente. La diatriba sostanzialmente finisce nel 2012 con il reg. (UE) n. 29/2012 della Commissione che prevede l’obbligo di indicazione dell’origine individuata a) nella regione, se l’olio è DOP o IGP; o b) se gli olii vergini non sono né DOP o IGP, nello Stato nel quale vi sono le zone geografiche in cui le olive sono state raccolte e in cui è situato il frantoio. Contemporaneamente si aggiunge la legge italiana 9/2013 che, all’art. 1, stabilisce che deve risultare in etichetta l’indicazione dell’origine degli oli di oliva vergini (come prevista dal D.M. 10 novembre 2009) e che, all’art. 4, statuisce che è pratica ingannevole evocare, nell’etichetta, un’area geografica non corrispondente all’effettiva origine territoriale delle olive. 5.Sull’ammissibilità di un segno che si richiami all’Italia Tali considerazioni sono la premessa per affrontare il problema più generale dell’ammissibilità di un segno che si richiami all’Italia. Vi ricordo che l’art. 9, lett. i) del reg. (UE) n. 1169/2011 prevede, tra le indicazioni obbligatorie, anche il paese di origine o il luogo di provenienza. E l’art. 26 precisa che l’indicazione del paese d’origine o del luogo di provenienza è obbligatoria quando l’omissione possa indurre in errore il consumatore. Quindi l’indicazione del luogo di origine è ammessa solo in presenza di un pericolo di confusione fra il prodotto originale e quello proveniente aliunde. Ora devo dirvi che l’art. 39, par. 2, del reg. (UE) n. 1169/2011 autorizza gli Stati membri ad adottare indicazioni obbligatorie anche con riferimento al paese d’origine o al luogo di provenienza degli alimenti «ove esista un nesso comprovato tra talune qualità dell’alimento e la sua origine o provenienza», e quando vi sia la prova che la maggior parte dei consumatori attribuisce un valore significativo alla fornitura dell’informazione dell’origine o della provenienza geografica. Come già ho fatto presente, il problema della comunicazione simbolica nel mercato e della sua disciplina giuridica si prospetta tutte le volte che il nome geo- 43 grafico venga utilizzato come segno distintivo del prodotto per captare la benevolenza del consumatore. Vi devo ricordare che stiamo ora riferendo di ipotesi “fuori” dei casi delle DOP e delle IGP; sicché potremmo concludere che siamo nel campo della ipotesi delle indicazioni geografiche semplici che, secondo la Corte di giustizia, possono essere relative alla salvaguardia delle lealtà commerciali e della proprietà industriale e che garantiscono una maggiore informazione ai consumatori. Ma ribadisco che tanto le prime (le DOP e le IGP) quanto le seconde (le indicazioni geografiche semplici) sono manifestazioni volontarie di indicazioni nell’etichetta; però, mentre le prime sono accreditate dalla UE, le seconde stanno cercando un accreditamento da parte degli Stati o degli Enti pubblici territoriali. Infatti, queste ultime corrispondono ai casi: a) dei sistemi di etichettatura volontaria introdotti dallo Stato come per il pesce (art. 59, commi 14-19, del D.L. 83/2012); b) dei marchi c.d. di qualità, basata sull’origine nazionale o regionale o anche comunale - è il caso delle «denominazioni comunali di origine» (De.c.o.) - del prodotto, marchi collettivi di qualità con indicazione geografica che, in via di principio, dovrebbero essere ammessi, proprio perché, a differenza del marchio geografico individuale che è vietato, sono marchi collettivi. L’Unione europea, tuttavia, contesta i tentativi di marchi collettivi geografici quando sono pubblici. Invero, benché essi non siano assimilabili alle campagne promozionali «buy Irish» o «buy English» già condannate dalla Corte di giustizia, la direttiva 70/50/CEE del 22 dicembre 1969 proibisce a qualsiasi “autorità pubblica” di porre in essere disposizioni legislative, regolamentari, amministrative, atti e incitamenti diretti ad accordare ai prodotti nazionali una preferenza che finisca con il costituire una misura avente effetto equivalente alle restrizioni quantitative vietate dall’art. 34 del Trattato di funzionamento dell’Unione europea (TFUE). Fra tali misure, appunto, rientrano, quelle che «riservano ai soli prodotti nazionali denominazioni che non costituiscono né denominazioni di origine né indicazioni di provenienza» (art. 2.3, lettera s). Così la Commissione europea ha contestato i marchi di varie regioni francesi, i segni di qualità delle regioni italiane del Veneto e della Sicilia, il marchio belga «label de qualité wallon»; il marchio tedesco «Markenqualität aus Deutscher Landen» mentre ha “accettato” i marchi concessi dalle Regioni Toscana, Emilia-Romagna e Puglia perché il marchio è formulato come «Prodotto di agricoltura integrata» ed è aperto a tutti i produttori ovunque si trovino. 44 Le relazioni Dunque, il problema più spinoso è quello di potere qualificare “italiano” il prodotto agricolo realizzato nel nostro paese. Vi ricordo, a questo punto, che l’art. 39 del reg. (UE) n. 1169/2011 dà agli Stati membri la facoltà di disporre l’inclusione, nell’etichetta, di indicazioni obbligatorie che sono dette «complementari» perché si aggiungono a quelle obbligatorie secondo il diritto comunitario. L’art. 39 del reg. (UE) n. 1169/2011 è rubricato «Disposizioni nazionali sulle indicazioni obbligatorie complementari». Esso stabilisce che, per decisione degli Stati membri, possono divenire obbligatorie altre indicazioni, ovverosia indicazioni diverse da quelle che l’Unione europea ha già incluso nella categoria delle indicazioni obbligatorie da riportare sull’etichetta. Nel rispetto della specifica procedura dello stand still3 trattandosi di regole tecniche di cui all’art. 45 del reg. (UE) n. 1169/2011, ogni Stato membro può stabilire che nell’etichetta siano obbligatoriamente inserite indicazioni dirette alla protezione della salute pubblica, alla protezione dei consumatori, alla prevenzione delle frodi e alla protezione di diritti di proprietà industriale e commerciale, delle indicazioni di provenienza. E’ evidente che il nesso che deve intercorrere tra le qualità dell’alimento e la sua origine non può essere lo stesso nesso che deve esistere perché l’alimento assurga alla categoria delle DOP o delle IGP. L’art. 39 del regolamento citato dice «talune qualità» e non è semplice darne una specificazione o una esemplificazione. E’ più facile ragionare sull’altra condizione che è richiesta, cioè che sia provato il «fatto che la maggior parte dei consumatori attribuisce un valore significativo alla fornitura di tali informazioni». Si tratta di quella reputazione che lega – come nel caso del torrone di Alicante – la comunità dei produttori locali con il nome locale del prodotto, reputazione che si riverbera sulle aspettative dei consumatori a che quell’alimento possieda le qualità che la comunità dei produttori locali gli ha conferito inventando e proteggendo uno specifico kow how. E vi è ben noto che la nostra Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM) ha riconosciuto che «l’olio di oliva costituisce una categoria merceologica sui generis, per la quale l’origine territoriale delle materie prime riveste, 3 La direttiva 1998/34/CE vieta agli Stati membri di emanare regole tecniche nei settori oggetto di studio da parte della Commissione e obbliga gli stessi a comunicare preventivamente alla Commissione i progetti di regole tecniche cogenti, come nel caso delle norme sulla produzione e sull’eventuale etichettatura degli alimenti, quali possibili impedimenti alla libera circolazione delle merci; la direttiva impone un periodo di attesa (stand-still) di 6/12 mesi dalla notifica, pena l’inopponibilità ai terzi della regola tecnica nazionale. 45 agli occhi del consumatore, una particolare significatività data la rinomanza che alcune zone del territorio italiano possono vantare nella produzione di olio di oliva» (provvedimento AGCM n. 4970 «Bertolli-Lucca» del 30 aprile 1997). 6. La tutela del made in Italy Finora la tutela del made in Italy è stata costruita - dal nostro legislatore sia in modo negativo sia in modo positivo. La tutela negativa - che si estrinseca nel divieto di indicazioni false e fallaci - è data da norme penali o parapenali4 che vanno dagli artt. 515 c.p. sulla frode in commercio all’art. 517 c.p. (come integrato dalla legge 350/2003) sulle false e fallaci indicazioni di provenienza o di origine fino al D.L. 135/2009 il cui art. 49-bis (aggiunto all’art. 4 della legge 350/2003) stabilisce che «costituisce fallace indicazione l’uso del marchio, con modalità tali da indurre il consumatore a ritenere che il prodotto o la merce sia di origine italiana senza indicazioni sufficienti ad evitare qualsiasi fraintendimento del consumatore sull’effettiva origine del prodotto», e, poi, fino al comma 49-quater dell’art. 4 della legge 350/2003 (come aggiunto dall’art. 6 della legge 9/2013, la c.d. legge «salva olio») che punisce penalmente (con rinvio all’art. 517 c.p.) la fallace indicazione nell’uso del marchio «quando abbia per oggetto oli di oliva vergini». Il fatto è che le formule della legge 350/2003 sono state interpretate nel senso che ciò che la legge garantisce al consumatore non è l’origine o la provenienza di un prodotto da un determinato luogo, ma da un determinato produttore. E temo che questa sarà l’interpretazione anche del nuovo comma 49-quater. La tutela positiva del made in Italy è stata più volte tentata dal nostro legislatore, innanzitutto con la “creazione” di uno specifico segno distintivo, come disposto: a) dal D. lgs. 173/1998 che ha istituito il «marchio identificativo della produzione agroalimentare italiana»; b) dal 62° comma dell’art. 4 della legge 350/2003 che ha affidato al Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali (MIPAAF) la vigilanza sul «marchio naturalmente italiano». In secondo luogo, con la previsione dell’indicazione in etichetta della designazione dell’origine italiana imposta dal D.L. 157/2004 sul c.d. «made in Italy», nel quale è spiegato cosa debba intendersi per origine italiana, ovverosia: a) nel 4 Sotto il profilo definitorio, come si esprime la relazione al D. lgs. 231/2001, esse riguardano un tertiun genus di responsabilità, riferita alle persone giuridiche che rispondono degli illeciti dei propri rappresentanti o dipendenti a vario titolo, ma non commettono reati propri. 46 Le relazioni D.L. 135/2009, in cui si fa richiamo al disegno, alla progettazione, alla lavorazione e al confezionamento che devono essere «compiuti esclusivamente sul territorio italiano»; b) nella legge 55/2010 per i prodotti tessili, calzaturieri e pelletteria, per i quali le fasi di lavorazione dei prodotti devono avere avuto luogo «prevalentemente» in Italia. In terzo luogo - e cioè ora - con l’imporre l’obbligatorietà delle indicazioni del luogo di origine con: a) la legge 3 febbraio 2011, n. 4, che precisa che «per i prodotti alimentari non trasformati, l’indicazione del luogo di origine o di provenienza riguarda il Paese di produzione dei prodotti. Per i prodotti alimentari trasformati, l’indicazione riguarda il luogo in cui è avvenuta l’ultima trasformazione sostanziale e il luogo di coltivazione e allevamento della materia prima agricola prevalentemente utilizzata nella preparazione o nella produzione dei prodotti» (art. 4, comma 2); b) il comma 1-quater dell’art. 43 del D.L. 83/2012, che ribadisce la formula della legge 4/2011 ma con inversione delle frasi, secondo cui «per i prodotti alimentari, per effettiva origine si intende il luogo di coltivazione o di allevamento della materia prima utilizzata nella produzione e nella preparazione del prodotto e il luogo in cui è avvenuta la trasformazione sostanziale», e con l’eliminazione sia dell’aggettivo «ultima» relativo a «trasformazione sostanziale», sia dell’avverbio «prevalentemente» collegato all’espressione «materia prima utilizzata nella preparazione o nella produzione dei prodotti». Come ho accennato, le norme sull’indicazione dell’origine italiana per i prodotti industriali sono state interpretate dalla giurisprudenza come luogo del produttore e non come luogo del territorio, mentre le norme istitutive del marchio italiano non hanno avuto seguito perché in contrasto con il diritto comunitario. Nonostante questo fallimento l’Italia ha perseguito la strada del marchio con riferimento all’olio extravergine di oliva con il decreto del MIPAAF (novembre 2012) che istituisce il «marchio nazionale dei sistemi di qualità alimentare nazionale per l’olio» sulla falsariga del D.M. 4 marzo 2011 sul marchio del «Sistema di qualità nazionale zootecnica». 7.Conclusioni Io temo che la via del marchio finisca nella palude del “divieto” da parte del diritto comunitario, così come di recente è capitato al marchio «Made in Lazio» di cui alla legge 9/2011 della Regione Lazio che la Corte costituzionale, con sentenza del 19 luglio 2012, n. 191, ha dichiarato illegittima perché, garantendo l’origine in 47 ambito regionale, produce, indirettamente o in potenza, gli effetti restrittivi sulla libera circolazione delle merci, che anche al legislatore regionale è inibito di perseguire per vincolo dell’ordinamento comunitario (probabilmente l’illegittimità sarebbe potuta essere dichiarata perché allo Stato spetta la competenza esclusiva in tema di concorrenza e di tutela delle opere dell’ingegno). Resta, allora, la legge 4/2011 che, benché antecedente al reg. (UE) n. 1169/2011 e al suo art. 39 il quale - ripeto - dà facoltà degli Stati membri di adottare indicazioni obbligatorie (complementari) con riferimento al paese di origine o di provenienza degli alimenti, «dove esista un nesso comprovato tra talune qualità dell’alimento e la sua origine o provenienza» e vi sia la prova che la maggior parte dei consumatori attribuisce un valore significativo alla fornitura dell’informazione dell’origine o della provenienza geografica, potrebbe essere considerata come attuazione/implementazione nazionale dal reg. (UE) n. 1169/2011. Questa conclusione mi pare sia supportata dal fatto che l’obbligo di indicare l’origine degli alimenti in etichetta è subordinato all’emanazione di futuri decreti interministeriali – quindi, successivi al reg. (UE) n. 1169/2011 – previo espletamento della procedura di cui alla direttiva 2000/13/CE (art. 19) che è simile alla direttiva 1998/34/CEE sullo stand-still. La legge 4/2011 supererà il controllo della Commissione? Che, per quanto so, ha già comunicato l’apertura della procedura d’infrazione? Quello che devo dire con una punta di sconforto è che la Francia ha una disposizione simile alla nostra, che ha introdotto con la loi 2010/874 del 27 luglio 2010 di modernizzazione dell’agricoltura e della pesca, disposizione che non mi risulta contestata dalla Commissione europea. Mi riferisco all’art. 3 che aggiunge al Code de consommation l’art. L. 112.11, per il quale l’indicazione del paese di origine degli alimenti può essere resa obbligatoria per una lista di prodotti determinata con decreto in Consiglio di Stato. Certo, vi sono “forti” differenze tra la legge francese e quella italiana. Per la prima, l’indicazione di ciò che può essere definito come «made in France» dei prodotti alimentari francesi può essere obbligatoria ma soltanto per una lista ben determinata. Per la legge italiana l’indicazione del «made in Italy» dei prodotti alimentari, invece, è obbligatoria e per tutti gli alimenti. Allora, tutto dipende da come si scrivono le leggi? Temo di sì. Temo che coloro che nei ministeri italiani si dedicano alla formulazione delle norme non siano bravi come quelli francesi! 48 Le relazioni LA QUALITÀ E LA TRASPARENZA DELLA FILIERA DEGLI OLI DI OLIVA VERGINI: LA C.D. LEGGE «SALVA OLIO» Stefano Masini1 1. Formalismo procedurale e operatività delle regole Natalino Irti ha recentemente attribuito al formalismo procedurale, indifferente alla materia regolata e alle finalità selezionate, il ruolo di salvagente del diritto e della sua efficienza nella determinazione normativa: «[…] il diritto, divelto da qualsiasi contenuto, e, perciò esposto all’urto incessante della volontà, cerca la soluzione in geometria di forme. Al più alto grado di indifferenza contenutistica corrisponde il grado più alto di formalismo procedurale» (Irti, 2007, p. 27). Se non che, la garanzia di una vincolante razionalità ha come conseguenza - facilmente rilevabile - di produrre lo smarrimento dell’oggetto e, cioè, la dimenticanza che il sapere giuridico sia piuttosto il risultato di uno sguardo sulle cose, con la scelta tra interessi antagonisti, che l’esito di procedure e congegni di funzionamento. Non di solitudine del diritto (Irti, 2007, p. 17 e ss.) né di diritto senza verità2 conviene parlare per le molteplici possibilità negate ad un’alternativa espressione di volontà non ordinata alla ricerca di valori con cui ricucire la coerenza e uniformare l’obbedienza ma, a parer nostro, di tempo ritrovato del diritto, proprio per la necessità di misurarsi con la elaborazione di esperienze sul campo, senza arretrare (solo) nell’analisi di fatti economici e sociali, insistendo nel tentativo di riagganciare il ruolo del giurista (e le sue tecniche) alla misura del quotidiano3. Nell’indagare la ratio della legge 14 gennaio 2013, n. 9 «Norme sulla qualità e la trasparenza della filiera degli oli di oliva vergini» (cfr. Masini, 2013) qui deno1 Professore associato presso il Dipartimento di Scienze e Tecnologie della Formazione, Università di Roma “Tor Vergata”. 2 E’ il titolo del saggio che Natalino Irti ha pubblicato nel 2011 a completamento di una trilogia - come precisa nella prefazione - aperta con Nichilismo giuridico del 2004 e proseguita con Il salvagente della forma del 2007. 3 L’espressione è mutuata dalla introduzione di Cappellini e Conte al volume dedicato a Paolo Grossi (2011). 49 minata «salva olio» non è, dunque, solo una inutile insistenza sul metodo quella che ci porta ad evocare il groviglio di interessi e individuare le posizioni di conflitto nella filiera, a sottolineare emergenze di mercato e rimuovere ingombranti patologie criminali, perché vale rendersi conto come il legislatore non abbia, invece, abdicato al ruolo di intervenire nella concretezza dei fatti sottostanti, lasciandosi dietro alle spalle il canone di neutralità e colmando la distanza tra gli strumenti tecnico-giuridici proposti per la disciplina della qualità degli oli e la consapevole praticabilità. Un ripensamento del lavoro del giurista di cui è decisamente consapevole Stefano Rodotà (2012, p. 352) che, nel diverso ambito di indagine legato all’innovazione scientifica e tecnologica e alla relativa compatibilità con la dimensione dei valori di cui il diritto deve farsi interprete, si domanda: «può il diritto divenire solo il custode di arretratezze e di paure, dietro alle quali non si fatica a scoprire la incapacità di fare i conti con una realtà così impegnativa?». Fortemente sostenuta da quella molla dell’innovazione-azione che contrassegna la progressiva costruzione del diritto alimentare - come, in termini autorevoli, si è osservato4 - anche la legge salva olio, quale tappa importante della espansione disciplinare della materia, ci consegna, così, un ulteriore argomentazione che depone, al di là del compito perfezionante di definizione di un testo non compiuto o, comunque, non privo di errori, per la sua piena e consapevole capacità di atteggiarsi come sistema delle regole di organizzazione della filiera degli oli, rimuovendo asimmetrie, colmando vuoti e, soprattutto, intervenendo laddove più forte si avvertiva il bisogno di rispondere alle sfide poste dalla complessità economico e sociale. Non si tratta, perciò, di un canovaccio di norme ad alta definizione e, cioè, dotate di precisione e di nitidezza in quanto risultato di una tecnica sofisticata, ma non si può, d’altra parte, escludere che non siano munite di effettiva capacità operativa, evidenziando, ancora una volta, la crescente attenzione all’ansia dei consumatori per la qualità di ciò che essi mangiano. La percezione dei messaggi contraddittori provenienti dai differenti canali che diffondono informazioni inerenti al deficit reputazionale dei marchi degli oli di oliva per la riconosciuta perdita dei legami con la tradizione e il territorio o, in termini più gravi, per le stesse conseguenze sulla salute, finisce, ad esempio, per assumere un peso consistente sulla fiducia riposta dai consumatori con influenza sulla propensione ad esplorare nuovi canali. 4 50 In proposito, si rinvia a Albisinni (2009, p. 45 e ss.). Le relazioni 2.Regole del gioco e funzionamento del mercato Le conseguenze dello scardinamento di una concezione autoreferenziale del diritto si toccano con mano nel ripensare la complessiva disciplina del mercato. Soccorrono, in proposito, le parole di Guido Rossi (2006, p. 35): «al mercato, oggi, viene attribuita una sorta di potenza magica, in grado di comporre e risolvere qualsiasi problema economico». Su questo terreno si esprime, diversamente, l’impegno a recuperare alle norme un ruolo potestativo capace di curvare le esigenze oggettive dell’assetto economico alla soluzione dello squilibrio di potere contrattuale tra gli operatori individuati nella loro forza o debolezza economica lungo la filiera e verso gli stessi consumatori. In effetti, rispetto all’iniziale impostazione occorre registrare un sostanziale svuotamento dei contenuti proposti a presidio della correttezza delle operazioni della filiera, tenuto conto che il D.L. 22 giugno 2012 n. 83 convertito, con modificazioni, con legge 7 agosto 2012, n. 134, recante misure urgenti per la crescita del Paese, ha già anticipato la scelta di sistema attraverso la messa a fuoco di due strumenti essenziali alla correzione delle distorsioni che si vanno da tempo consumando nel settore. Non vi è dubbio, però, che lo stimolo normativo si pone ben al di là di una semplice integrazione strumentale degli istituti appena abbozzati - da un lato, il parametro degli alchil esteri e, dall’altro lato, la composizione e il funzionamento del panel test - in quanto contiene un’ampia congerie di previsioni per molti aspetti inedite, espressione di un disegno di piena valorizzazione degli oli di oliva per l’utilità che soltanto un mercato regolamentato è in grado di assicurare. Non si può, infatti, non sottolineare il modo originale di approccio nella gestione delle non conformità delle analisi messo a punto dall’art. 3 («Ulteriore modifica all’art. 43 del decreto legge 22 giugno 2013, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2013, n. 134») della legge salva olio, in grado di colpire le strategie di marketing delle imprese di commercializzazione. Il ricorso alle nuove tecnologie multimediali fa sì che il consumatore non sia più un soggetto meramente passivo, in quanto capace di soddisfare il proprio fabbisogno informativo al di là del messaggio affidato all’etichettatura anche con il monitoraggio dei dati interattivi collegati ad un continuativo controllo esperienziale del valore del brand. Opinioni e giudizi allargati alle comunità di riferimento nel web determinano un potere di definizione del posizionamento dei prodotti sul mercato, che condi- 51 zionano i comportamenti di acquisto, sì che la trasmissione, nel portare internet dell’amministrazione, di eventuali dati critici a riguardo della composizione degli oli - per quanto da verificare in esito a successive operazioni di controllo - anticipa, nella relazione azienda-consumatori, l’interesse ad organizzare la filiera in osservanza ad elevati standard di tutela e di valorizzazione della qualità. Il cantiere olio resta, per altro, aperto in ragione della circostanza che la legge, precedentemente notificata come progetto di regole tecniche risulta approvata senza tener conto dei tempi di rinvio dell’adozione, tanto che potrebbe essere avviata una procedura di infrazione da parte della Commissione europea o di un altro Stato membro. Più agevolmente, la violazione dell’obbligo di stand still potrebbe indurre qualsiasi operatore della filiera, nell’ambito di un procedimento relativo ad una controversia vertente, ad esempio, su diritti e obblighi di natura contrattuale, a richiedere al giudice nazionale la disapplicazione della regola tecnica adottata durante il periodo stabilito di rinvio dell’adozione5. C’è da dire, però, che solo alcune norme hanno la natura di regola tecnica e, soprattutto, la stessa Unione europea ha già proposto analoghe soluzioni per quanto riguarda la disciplina nel corrispondente ambito delle dimensioni dei caratteri delle diciture da riportare nell’etichettatura ovvero dell’utilizzo delle bottiglie provviste di tappo anti rabbocco ai fini della somministrazione al pubblico6. 3.Ciclo economico e scelta di nuove sanzioni Dobbiamo, in realtà, guardare ad un provvedimento che aggrega una pluralità di norme in base alla particolarità degli interessi - e, naturalmente, dei sog5 La fattispecie ricorda l’approvazione della legge 3 agosto 1998, n. 313, «Disposizioni per l’etichettatura d’origine dell’olio extravergine di oliva e dell’olio di oliva» disapplicata in esito all’intervento della Corte di giustizia delle Comunità europee, sentenza 26 settembre 2000, causa C-443/98, Unilever Italia S.p.a. c. Central Food S.p.a., in Riv. dir. intern., 2001, 153, che ha dichiarato l’inadempimento dello Stato dell’obbligo di notifica. Sulla procedura dello stand still si veda anche Germanò in questo stesso volume. 6 Come si legge nella richiesta di informazioni della Commissione europea, Direzione generale dell’agricoltura e dello sviluppo rurale del 28 febbraio 2012 avente ad oggetto «Legge italiana recante “Norme sulla qualità e la trasparenza della filiera degli oli di oliva vergini” - Violazione del diritto dell’Unione»: «i punti relativi all’indicazione dell’origine dell’olio di oliva, in particolare per quanto riguarda le dimensioni dei caratteri e il campo visivo, e al sistema di apertura delle confezioni sono oggetto di un documento di lavoro relativo a modifiche del Regolamento di esecuzione (UE) n. 29/2012 della Commissione, attualmente all’esame del comitato di gestione per l’organizzazione comune dei mercati agricoli». A seguito del voto (previsto nell’aprile 2013) «le modifiche sarebbero state adottate dalla Commissione come modifiche del regolamento (UE) n. 29/2012 in conformità all’art. 195, paragrafo 2, del regolamento (CE) n. 1234/2007 (regolamento unico OCM)». 52 Le relazioni getti portatori degli stessi - distinguendo: la classificazione degli oli e la relativa presentazione sul mercato; la tutela del consumatore nella comunicazione commerciale e nelle modalità di offerta al pubblico; il funzionamento del mercato e le limitazioni della concorrenza e, infine, il contrasto delle frodi e la risistemazione delle sanzioni. Poiché la trattazione separata e puntuale dei singoli ambiti non risulta ammissibile nei limiti di tempo della relazione, mi si perdoni l’arbitrarietà della scelta di riservare qualche considerazione al contrasto della criminalità economica, non fosse altro perché: «questo fenomeno deprime ogni incentivo al miglioramento della produzione, disorienta i consumatori e, in ultima istanza, impedisce alla concorrenza di espletare i suoi benefici tipici: incremento qualitativo e quantitativo nella gamma dei prodotti e servizi offerti, tendenziale abbassamento dei prezzi, crescita economica» (Savona, 2001, p. 92). La consapevolezza della diffusa incidenza di frodi nel settore ha portato, così, il legislatore ad una risposta originale e articolata sul piano della definizione degli strumenti oltre che efficace per lo studio e l’inquadramento dei comportamenti illegali da rimuovere attraverso disincentivi penali e reputazionali, così come suggerito, in sede di audizione dal Procuratore nazionale antimafia nel corso dei lavori preparatori della relazione sulla contraffazione nel settore agroalimentare7. In questi termini, sembra che l’impegno del legislatore sia stato, proprio, quello di interrogarsi su quel che resta del così detto diritto penale alimentare e, soprattutto, se le poche condotte violatrici delle norme in materia di sostanze alimentari, pur rimaste penalmente sanzionate, conservino, tuttora, un idoneo carattere di afflittività e non occorra, per tanto, operare alla stregua delle accertate disfunzioni e lacune. È noto, del resto, il precedente e reiterato intervento inteso alla radicale degradazione ad illeciti amministrativi delle diverse figure di reato, delittuose e contravvenzionali, punite con la sola pena pecuniaria, con la conseguenza di ammettere, in una logica aperta di mercato segnata dalla centralità della finanza e dall’enorme potenza delle grandi corporations, il calcolo delle utilità che si pensi di ricavare dall’illecito rispetto alle diseconomie conseguenti all’eventuale applicazione delle sanzioni. Se lo scopo pratico che la riforma si è posta è stato quello di smaltire il fun7 Spunti, in questa direzione, si rinvengono nella Relazione sulla contraffazione nel settore agroalimentare, Relazione della Commissione parlamentare di inchiesta sui fenomeni della contraffazione e della pirateria in campo commerciale (Doc. XXII-bis n. 2), approvato dalla Commissione nella seduta del 6 dicembre 2011, XVI legislatura, Camera dei Deputati, 2012. 53 zionamento della giustizia penale (Flick, 2011), va detto che l’affievolimento delle conseguenze che le varie leggi speciali - oggi in adesione al principio di libera circolazione delle merci ordinate all’attuazione di fonti europee - ha finito con il vanificare, nel settore qui indagato, gli sforzi produttivi indirizzati alla qualità almeno alla scala dimensionale delle piccole e medie imprese agricole. La diversa valutazione della responsabilità per la generica violazione delle regole poste a tutela delle due tipologie di beni giuridici affatto diverse - la salute (dei consumatori) e l’interesse economico (di produttori, commercianti ed acquirenti) - ma ugualmente ancorati alla inedita rilevanza di valori che attengono all’intelaiatura della società ha, così, richiesto la prova di una significativa creatività nel forgiare diverse tecniche di tutela anche sotto la spinta di pressanti e diffuse sollecitazioni politiche. L’obiettivo dichiarato è stato, prima di tutto, quello di colpire attraverso la separazione dei vari livelli decisionali, i soggetti effettivamente responsabili in modo da affiancare alla responsabilità penale personale quella dell’ente dipendente da scelte di politica di impresa. Al fine di risolvere il problema relativo all’immissione in commercio di un prodotto in grado di determinare un effettivo pericolo per la salute pubblica o, comunque, pregiudizio agli interessi dei consumatori e, nel caso in cui l’operatore economico non sia una persona fisica, ma un ente, dotato o meno di personalità giuridica, è previsto, infatti, dall’art. 12 («Responsabilità degli enti per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato») della legge salva olio, il rinvio al D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231 «Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, a norma dell’articolo 11 della legge 29 settembre 2000, n. 300». Risulta, pertanto, estesa la responsabilità amministrativa degli enti collettivi per i reati contro la fede pubblica (artt. 473 e 474 cod. pen.) nonché contro l’economia pubblica (artt. 515, 516 e 517 quater) commessi nel loro interesse o a loro vantaggio, da parte di dirigenti, funzionari o dipendenti, nel caso in cui non abbiano anticipatamente adottato un adeguato modello di organizzazione e di controllo del processo produttivo. Tra le pene accessorie riconosciute in un’ottica di prevenzione piuttosto che di repressione è, ancora, prevista dall’art. 13 («Sanzioni accessorie alla condanna per il delitto di contraffazione di indicazioni geografiche o denominazione di origine dei prodotti alimentari») la pubblicazione della sentenza di condanna per la violazione dell’art. 517 quater cod. pen. su almeno due quotidiani a diffusione nazionale. 54 Le relazioni In precedenza, commentando il meccanismo di applicazione di questa categoria di sanzioni e, con specifico riguardo alla chiusura definitiva dello stabilimento o dell’esercizio, si è osservato come esse siano dirette a colpire «la vita aziendale e quindi costituiscano un valido strumento per prevenire spregiudicate politiche imprenditoriali in campo alimentare» in esito ad una «strategia tendente a coinvolgere direttamente l’impresa o l’ente nella responsabilità sanzionatoria, aggirando così in qualche modo l’insuperabile principio costituzionale societas delinquere non potest, vieppiù vacillante» (Grillo, 2003). Tuttavia, una volta caduto tale paradigma, nell’immaginario penalistico8 viene, addirittura, esteso per un ulteriore arco di cinque anni dalla condanna comminata per le condotte sopra richiamate, il divieto di instaurare modalità o pratiche di comunicazione commerciale o di attività pubblicitaria preordinate anche indirettamente alla promozione degli oli di oliva vergini, arrestando il rilancio dell’immagine dell’impresa avviata a conquistare quote di mercato in base ad una rinnovata ricerca di fiducia. Significativa risulta, ancora, la particolare connotazione del sodalizio criminoso in quanto indirizzato alla realizzazione di reati di adulterazione e di frode di oli di oliva vergini tramite una condotta sistematicamente organizzata che ha portato, in base all’art. 14 («Rafforzamento degli istituti processuali e investigativi»), a sfruttare tutte le possibilità di intervento riconducibili all’applicazione dell’art. 416 bis cod. pen. Sotto questo profilo, sembra che possa sconfinare nell’ambito del penalmente rilevante la condotta di quelle aggregazioni che attraverso la formazione di stabili cartelli e la reiterazione di condotte progressive predispongano un programma delittuoso organizzato, in grado di tradursi in effettivo turbamento delle transazioni di mercato o, nei casi più gravi, in offensività della salute. Dalla descrizione della condotta accompagnata dalla rilevanza di precisi requisiti strutturali idonei a realizzare gli obiettivi criminosi presi di mira, con conseguenze estremamente dannose per l’ordine economico e a tutela dei consumatori, riceve legittimazione sia la sospensione dei termini delle indagini preliminari disposta dalla L. 7 ottobre 1969, n. 742 Sospensione dei termini processuali nel periodo feriale sia la previsione della durata massima delle stesse indagini che non può, comunque, superare venti mesi in deroga all’art. 407 cod. proc. pen. Il ritardo nel varo di una più generale tutela a presidio di interessi cristalliz8 In argomento, sia pure con limitato sguardo al settore agroalimentare, sia consentito il rinvio a Masini, 2012. 55 zati dal previgente schema di tutela costituito dalla serie di illeciti amministrativi e, tuttavia, sottoposti a nuove e più incisive forme di aggressione risulta, altresì, colmato dalla previsione di un efficace strumento ablativo dei beni e delle disponibilità economiche finanziarie dei soggetti che siano condannati o che abbiano patteggiato la pena per gli stessi reati di adulterazione e di frode: la così detta confisca per sproporzione. Prevista come misura di sicurezza patrimoniale dall’art. 12 sexies del D.L. 8 giugno 1992, n. 306 convertito, con modificazioni, con legge 7 agosto 1992, n. 356 «Modifiche urgenti al nuovo codice di procedura penale e provvedimenti di contrasto alla criminalità organizzata», essa consiste in un provvedimento ablatorio con cui sono devolute allo Stato le somme di denaro e qualsiasi altra utilità materiale di cui il condannato non possa giustificare la provenienza o di cui, anche per interposta persona risulta essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo, in misura sproporzionata riguardo al reddito percepito o all’attività economica svolta, tanto da far intendere che esista, comunque, una correlazione diretta con il reato accertato. Al di fuori della specifica connotazione degli illeciti perseguiti nel settore della produzione e del commercio degli oli vergini di oliva viene, quindi, prevista l’inserzione, nell’elenco dell’art. 266 cod. proc. pen., dell’intera serie dei reati previsti dagli artt. 444, 473, 474, 515, 516 e 517 quater cod. pen., sinora esclusi in osservanza al mero criterio quantitativo incentrato sull’entità della pena edittale ma che, sulla base della necessaria considerazione degli interessi offesi, sono tali da legittimare, in presenza di gravi indizi e dell’assoluta indispensabilità di acquisire elementi probatori in vista della prosecuzione delle indagini, il ricorso a più idonei strumenti di verifica circostanziale di eventi e situazioni. In base all’esperienza delle più recenti tecniche di indagine (cfr. Filippi e Cortesi, 2003), l’ausilio delle intercettazioni di comunicazioni telefoniche risulta decisivo per la scoperta e il riscontro di elementi sicuri di prova anche in forza di un approccio complesso improntato all’interdisciplinarietà con riguardo alla raccolta, repertazione e condivisione dei dati inerenti alle condotte antigiuridiche considerate. Sul piano politico-criminale si può, dunque, cogliere un orientamento contrario alla tendenziale riduzione al minimo della risposta dello Stato, sia pure allargando le tecniche di intervento oltre le tipologie sanzionatorie classiche. In questa direzione, la parola d’ordine meno intervento punitivo - come ha intuito una precedente dottrina (Marinucci e Dolcini, 1999) - sarebbe stata diversamente ritagliata sul bisogno di impunità della cosìddetta gente perbene a cui si 56 Le relazioni collega la criminalità dei colletti bianchi, con il risultato di deprivare di efficacia la risposta sanzionatoria nei confronti di fatti gravemente lesivi della fiducia per l’ordinato svolgimento della vita economica e, in alcuni casi, del bene fondamentale della salute. Contenuta nel capo II («Norme sulla trasparenza e sulla tutela del consumatore») della legge salva olio, anche la sanzione penale riacquista, del resto, il suo ruolo pienamente retributivo sulla scorta di una riconosciuta oggettività di tutela in relazione alla violazione del Made in Italy. L’art. 6 («Ipotesi di reato connesse alla fallace indicazione nell’uso del marchio») dopo aver operato il collegamento all’art. 4, comma 49 bis della legge 24 dicembre 2003, n. 390 «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2004)» stabilisce, infatti, una sanzione di nuovo conio, con il rinvio all’art. 517 cod. pen., sostitutiva dell’addebito della mera sanzione amministrativa, in relazione all’uso del marchio di oli di oliva vergini con modalità tali da indurre il consumatore a ritenere che il prodotto sia di origine nazionale in riferimento al luogo geografico di raccolta delle olive piuttosto che alla località in cui abbia sede lo stabilimento di trasformazione. L’intervento repressivo risulta, ancora, completato da un allargamento delle conseguenze destinate ad incidere sulle dinamiche aziendali, in conseguenza della condanna per i singoli reati alimentari, posto che, in base all’art. 15 («Sanzioni accessorie in caso di condanna per il delitto di adulterazione e contraffazione») il titolare dell’iniziativa economica nel campo della produzione e del commercio di oli di oliva vergini, è escluso dal rilascio di strumenti procedimentali (autorizzazioni, licenze, nulla osta, ecc.) che assicurino, a qualsiasi titolo, l’avvio o il potenziamento dell’attività nonché dall’accesso a contributi, finanziamenti, mutui agevolati o altre erogazioni pubbliche di fonte europea, nazionale o regionale. Fuori dall’area delle tecniche di tutela di beni giuridici essenziali ma non svincolato dall’impegno di razionalizzazione delle forme di controllo rispondenti allo svolgimento di un tipo di produzione articolato lungo il percorso dal campo alla tavola si inserisce, infine, l’art. 16 («Obbligo di costituzione e aggiornamento del fascicolo aziendale») rivolto a ricucire, sul piano documentale la decisa frammentazione delle fasi e, per ciò, degli interessi coinvolti nella filiera degli oli vergini di oliva. In particolare, la norma prevede anche in capo all’imprenditore agricolo, quell’adempimento disposto dall’art. 13 D.lgs. 29 marzo 2009, n. 99 «Disposizioni in materia di soggetti e attività, integrità aziendale e semplificazione amministrativa in agricoltura, a norma dell’art. 1, comma 2, lettere d), f), g), l), ee) della L. 57 7 maggio 2003, n. 38») e rivolto, proprio, ad affrontare le carenze strutturali del sistema informativo geografico (GIS), operativo solo parzialmente nel settore. L’olivicoltore, fino ad ora esonerato da qualsiasi adempimento per l’immissione in commercio di prodotti sfusi o confezionati purché ottenuti esclusivamente dalle olive provenienti da impianti aziendali, è risultato, da questo punto di vista, involontario tramite del conferimento ad impianti di trasformazione di intere partite di olive prive di documentazione quanto alla provenienza delle superfici dichiarate di origine e ciò per la facilità e la convenienza della sostituzione con prodotti aventi differenti caratteristiche di valore. 4.Modello di intervento e selezione degli interessi nella filiera La più lunga esposizione dedicata alle sanzioni non ci consente, tuttavia, di concludere che si tratti del capitolo di un diritto iroso9, in quanto abbia avuto prevalenza, nella riorganizzazione complessiva della filiera degli oli, un istinto punitivo del legislatore. Solo che la capacità deterrente delle norme appena richiamate assiste l’obiettivo di riallineare le operazioni economiche attraverso i vuoti che emergono rispetto a zone opache della trasformazione e della commercializzazione, con un sostanziale mutamento delle tecniche punitive che pongono al centro del sistema non l’afflizione calibrata sul singolo offensore, ma la scelta della penalizzazione o, quando necessario, dell’espulsione dell’impresa dal mercato. Un’ultima considerazione può, allora, consentire la messa a fuoco di un tessuto di norme capace di abbozzare un presidio efficace del mercato degli oli di oliva in risposta a bisogni collettivi di fiducia e di sicurezza, la cui organizzazione riflette la reale volontà del legislatore di intervenire nei conflitti che, tra i diversi soggetti della filiera, generano interessi antagonisti. Ciò che dà ragione a quell’importante dottrina (Jannarelli, 2008) che individua, dentro la storia delle relazioni economiche e sociali, le fasi di evoluzione pratica e le oscillazioni dogmatiche della nostra materia, capace di corrispondere al più alto grado di adesione alla realtà, lungo un tormentoso itinerario. Un itinerario dapprima chiamato a tradurre i nuovi valori di cui è stata portatrice la Costituzione nell’equilibrio tra proprietà, lavoro e impresa e che, oggi, in seguito alla caduta delle frontiere degli Stati e della costruzione di un mercato globale, non nasconde l’interesse a rendere effettiva la tutela del canone territoriale e del suo potenziale 9 Il richiamo è al saggio di Corradini e Broussard (2009). 58 Le relazioni generativo di valore della componente agricola, di contro all’anonima realizzazione delle fasi di trasformazione e del commercio sciolte da ogni operante raccordo con un sistema di vincoli e condizioni socialmente condivisi. Bibliografia Albisinni, F., Strumentario di diritto alimentare, UTET, Torino, 2009. Cappellini, P.; Conte, G., “Maestri del diritto. Un invito alla lettura”, Introduzione a Alpa G. (a cura di), Paolo Grossi, Laterza, Roma – Bari, 2011. Corradini, H.; Broussard, D., “Il diritto iroso”, in Materiali per una storia della cultura giuridica, n. 2, 2009, p. 275. Filippi, L.; Cortesi, M.F., voce “Intercettazione preventiva di comunicazione”, in Enciclopedia delle Scienze Sociali, Agg., 2003, p. 6. Flick, G.M., “Fisiologia e patologia della depenalizzazione del diritto penale dell’economia”, Rivista di diritto societario, 1/2011, p. 42. Grillo, C.M., voce “Alimenti e bevande II) Diritto penale”, in Enciclopedia Giuridica, Agg., Roma, 2003. Jannarelli, A., “Cooperazione e conflitto nel sistema agro–alimentare”, in Rivista di diritto agrario, I, 2008, p. 328. Irti, N., Diritto senza verità, Laterza, Roma - Bari, 2011. Irti, N., Il salvagente della forma, Laterza, Roma . Bari, 2007. Marinucci, G.; Dolcini, E., “Diritto penale minimo e nuove forme di criminalità”, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 1999, p. 776. Masini, S., “Qualità e trasparenza della filiera degli oli di oliva vergini (Commentario breve della l. 14 gennaio 2013, n. 9)”, in Diritto e Giurisprudenza Agraria, Alimentare e dell’Ambiente, 1/2013, p. 16. Masini, S., “Modelli organizzativi e responsabilità dell’impresa alimentare (d.lgs. 8 giugno 2011, n. 231)”, in Diritto e Giurisprudenza Agraria, Alimentare e dell’Ambiente, 2/2012. 59 Rodotà, S., Il diritto di avere diritti, Laterza, Roma – Bari, 2012. Rossi, G., Il gioco delle regole, Adelphi, Milano, 2006. Savona, E., “Economia e criminalità”, in Enciclopedia delle Scienze Sociali, IX, Roma, 2001. 60 Le relazioni L’ART. 62 E IL MERCATO: DAI CONTRATTI ALLO STATUS NELLA PROSPETTIVA DELL’OLIVICOLTURA Ferdinando Albisinni1 1. I plurimi interventi legislativi nella disciplina dei contratti nel settore agroalimentare Il tema della disciplina dei contratti nel settore agroalimentare, in generale e con specifico riferimento ad alcuni prodotti ed aree di mercato, da tempo rilevante e controverso, ha assunto rilievo decisamente centrale nel dibattito politicoistituzionale dell’oggi. E’ sufficiente qui ricordare, in rapida sintesi: - l’art. 62 del decreto legge del 24 gennaio 2012, n.1, contenente «Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività» (convertito in legge con modificazioni dalla L. 24 marzo 2012, n. 27), con l’adozione di una specifica disciplina in tema di contratti fra imprese per la cessione di prodotti agricoli e alimentari2, con disciplina integrata e modificata dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221 che ha convertito con modifiche il D.L. 18 ottobre 2012, n. 179; - il regolamento (UE) n. 261/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 marzo 2012, che modifica il reg. (CE) n. 1234/2007 per quanto riguarda i rapporti contrattuali nel settore del latte e dei prodotti lattiero-caseari, che ha introdotto, nella generale disciplina dell’Organizzazione comune del mercato (OCM) unica, innovative disposizioni in tema di rapporti contrattuali riguardanti il latte ed i prodotti a base di latte; - l’approvazione - dopo anni di serrato confronto fra parlamentari, governi, organizzazioni di imprese e di consumatori, gruppi di opinione e politici - del 1 Professore ordinario presso il Dipartimento DISTU - Istituzioni Europee dell’Università della Tuscia (Viterbo). Il presente lavoro riprende in parte, con modifiche e integrazioni, la relazione “La nuova OCM ed i contratti agroalimentari”, presentata al Convegno di Messina dell’AIDA - Associazione italiana di diritto alimentare del 28-29 settembre 2012, pubblicata in Rivista di Diritto Alimentare, www.rivistadirittoalimentare.it, n. 1, 2013, p. 4. 2 Sulle nuove disposizioni cfr. le analisi, in chiave economica, di Giacomini, 2012, p. 26; Frascarelli, 2012, p. 85; ed in chiave giuridica, di Tommasini, 2012, p. 3; Giuffrida, 2012, p. 3; Germanò, 2012b, p. 379; Id., 2012a, p. 424; Albisinni, 2012, p. 33. 61 - - “pacchetto qualità”3, con la riscrittura di alcuni aspetti cruciali quanto alla stessa perimetrazione della “qualità” in ambito agroalimentare e quanto alla relazione fra ordinamenti domestici e dimensione europea del riconoscimento e della tutela; il vivace dibattito apertosi innanzi al Parlamento europeo sulle proposte della Commissione per la riforma della Politica agricola comune (PAC)4; da ultimo la legge italiana del gennaio 2013 sulla commercializzazione dell’olio di oliva5, peraltro oggetto di una procedura di infrazione tempestivamente aperta dalla Commissione europea ed attualmente pendente. 2. La disciplina europea tra concorrenza, specialità dell’impresa agricola e Politica agricola comune Le novità introdotte da questa densa stagione riformatrice appaiono ancor più rilevanti ove le stesse vengano lette per confronto alle linee che per circa 50 anni hanno caratterizzato la PAC e il diritto agrario comunitario. Punto di partenza è quell’anno 1962, che circa 50 anni fa ha visto il nascere del diritto agrario ed alimentare comunitario, e che con l’adozione del reg. (CEE) n. 26/62 del Consiglio, del 4 aprile 1962 - relativo all’applicazione di alcune regole di concorrenza alla produzione e al commercio dei prodotti agricoli - ha segnato la griglia disciplinare, entro la quale si sono iscritte per decenni le scelte comunitarie di governo del settore. Questo regolamento, come è noto6, ha per un verso previsto, all’art. 1, l’applicazione delle disposizioni di cui agli articoli da 85 a 90 del Trattato CEE in tema di concorrenza a tutti gli accordi, decisioni e pratiche riguardanti i prodotti agricoli, e nel contempo ha però stabilito la non applicabilità dell’art. 85 del Trattato «agli accordi, decisioni e pratiche di imprenditori agricoli, di associazioni di imprenditori agricoli o di associazioni di dette associazioni appartenenti ad un unico Stato membro, nella misura in cui, senza 3 Reg. (UE) n. 1151/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 novembre 2012, sui regimi di qualità dei prodotti agricoli e alimentari. 4 Come è noto, il Parlamento europeo ha mosso severe critiche alla proposte di riforma della PAC presentate dalla Commissione europea sin dal 2011, articolate in sette testi che coprono l’intero ambito disciplinare della PAC (Albisinni, 2011c, p. 604) ed ha formulato numerosi ed incisivi emendamenti a tali proposte; tanto che al momento di redigere le presenti note (marzo 2013), i testi definitivi non risultano ancora licenziati. 5 L. 14 gennaio 2013, n. 9, «Norme sulla qualità e la trasparenza della filiera degli oli di oliva vergini»; cfr.. Masini, 2013, n. 97, e la sua relazione in argomento in questo stesso volume. 6 Per ampie analisi, anche per comparazione all’esperienza nord americana, e per ulteriori riferimenti, cfr. Jannarelli, 2011. 62 Le relazioni che ne derivi l’obbligo di praticare un prezzo determinato, riguardino la produzione o la vendita di prodotti agricoli o l’utilizzazione di impianti comuni per il deposito, la manipolazione o la trasformazione di prodotti agricoli» (art. 2). Il commercio dei prodotti agricoli risulta pertanto soggetto alle ordinarie regole di concorrenza, ma gli accordi degli imprenditori agricoli e delle loro associazioni si collocano al di fuori di tali regole, salvo per quanto riguarda la determinazione dei prezzi. Ne è risultata confermata - in modo esplicito e sin dal primo atteggiarsi della PAC - la specialità dell’impresa agricola (cfr. Germanò, 2010). Questo esonero dalle regole di concorrenza degli accordi fra imprenditori agricoli trovava tuttavia, già nel regolamento del 1962, un preciso ed espresso limite nel richiamato divieto di prevedere un «obbligo di praticare un prezzo determinato». La ragione di una scelta siffatta è agevolmente individuabile, non in ipotesi nella meccanica estensione agli accordi fra imprese agricole delle normali regole di concorrenze che vietano le intese sui prezzi, ma piuttosto nelle peculiarità della Politica agricola comune, che per decenni si è tradotta in una politica dei prezzi attentamente e minutamente governata dal Consiglio e dalla Commissione. Come è stato autorevolmente osservato, ancora di recente: «In definitiva, il giudizio negativo circa gli accordi aventi ad oggetto la fissazione del prezzo del prodotti appariva e tuttora [appare riflettere l’esigenza originaria delle istituzioni comunitarie di governare in totale esclusiva la politica dei prezzi dei prodotti agricoli] al riparo da iniziative di soggetti collettivi privati, quali le organizzazioni di agricoltori, e dunque, di eliminare alla radice il pericolo di perturbazioni della politica dei prezzi per molti decenni al centro della politica agricola comunitaria»7. Per decenni questo essenziale postulato della PAC è rimasto immutato, ed il reg. (CEE) n. 26/62 non ha subìto modifiche, se non una, iniziale, quanto alla sua decorrenza8. Alcune deroghe all’applicazione di questo regolamento sono state introdotte per specifici settori: nel 1992 per il settore del tabacco e nel 1996 per i prodotti ortofrutticoli; in entrambi i casi, peraltro, mantenendo il divieto di accordi che prevedano la determinazione dei prezzi9. Dopo oltre 40 anni, il reg. (CEE) n. 26/62 è stato sostituito dal reg. (CE) n. 7 Jannarelli, 2012, p. 187. Il corsivo è di Albisinni (NdC). 8 Reg. (CEE) n. 49/1962 del Consiglio, del 29 giugno 1962, che modifica la data di applicazione di taluni atti relativi alla PAC. 9 Cfr. l’art. 7.3 del reg. (CEE) n. 2077/92 del Consiglio, del 30 giugno 1992, relativo alle organizzazioni e agli accordi interprofessionali nel settore del tabacco, e l’art. 20.3 del reg. (CEE) n. 2200/96 del Consiglio, del 28 ottobre 1996, relativo all’organizzazione comune dei mercati nel settore degli ortofrutticoli. 63 1184/2006 del Consiglio, del 24 luglio 2006, relativo all’applicazione di alcune regole di concorrenza alla produzione e al commercio dei prodotti agricoli, dichiaratamente adottato, come si legge nel primo considerando, a fini di razionalità e chiarezza, quale codificazione operata in ragione delle modifiche asseritamente intervenute medio tempore. In realtà nessuna significativa modifica testuale era intervenuta nei primi 40 anni di vigenza del reg. (CEE) n. 26/62, ed il regolamento del 2006 ha sostanzialmente confermato impianto e testo del regolamento del 1962. Le novità in questi anni sono state piuttosto rappresentate dall’emergere di una linea parallela, che si è affiancata, integrandola, alla generale disciplina in tema di concorrenza per i prodotti agricoli, e che ha assegnato rilevanti compiti commerciali, oltre che normativi, alle organizzazioni dei produttori agricoli riconosciute dagli Stati membri10, peraltro ribadendo il divieto di accordi aventi ad oggetto la determinazione dei prezzi. 3. Le novità di inizio secolo. La OCM unica e le codificazioni Rilevanti novità, di disegno sistematico oltre che di politica economica, intervengono con le riforme della PAC di inizio secolo, con il disaccoppiamento e con l’OCM unica11. Sul piano istituzionale, il reg. (CE) n. 1782/2003 si propone come componente della costituzione materiale della Comunità, lì ove definisce una pianificazione di bilancio pluriennale, vincolante per gli Stati membri e tale da consolidare equilibri pregressi, in riferimento non ad una singola OCM, ma ad una pluralità di interventi sino ad allora separatamente disciplinati12, con la dichiarata ambizione, come si 10 Cfr. il reg (CEE) n. 1360/78 del Consiglio, del 19 giugno 1978, concernente le associazioni di produttori e le relative unioni. Per un’analisi sistematica di questa legislazione cfr. Jannarelli, 2011; Id., 2012. 11 Cfr., rispettivamente, il reg. (CE) n. 1782/2003 del Consiglio, del 29 settembre 2003, che stabilisce norme comuni relative ai regimi di sostegno diretto nell’ambito della politica agricola comune e istituisce taluni regimi di sostegno a favore degli agricoltori, e il reg. (CE) n. 1234/2007 del Consiglio, del 22 ottobre 2007, recante organizzazione comune dei mercati agricoli e disposizioni specifiche per taluni prodotti agricoli (regolamento unico OCM). 12 Il tema della definizione di un quadro finanziario stabile e definito ex ante è stato uno dei terreni di confronto decisivo fra la Commissione e gli Stati membri e fra i singoli Stati, come è apparso evidente dalle vivaci discussioni seguite alla pubblicazione della proposta della Commissione, Communication de la Commission au Conseil et au Parlement Européen, Construire notre avenir commun - Défis politiques et moyens budgétaires de l’Union élargie – 2007-2013, Bruxelles COM(2004) 101 final, 10.2.2004. 64 Le relazioni legge nel 26° considerando del regolamento, di ricondurre all’interno del regime di pagamento unico tutti i precedenti sistemi di aiuto diretto nei vari settori produttivi. Soprattutto, la normativa di fonte comunitaria in materia agricola, che tradizionalmente aveva avuto contenuti di intervento e di governo economico puntuali, precisi (e così comprendeva politica dei prezzi, restituzioni alle esportazioni, prelievi sulle importazioni, ammassi, controlli doganali e quant’altro) ed aveva lasciato in larga misura agli Stati membri il ricorso all’una o all’altra definizione, in esito al disaccoppiamento ed alla dichiarata valorizzazione delle capacità auto-regolatrici del mercato, per un verso scopre il rilievo e l’importanza delle definizioni e dello strumentario giuridico e della connessa codificazione delle definizioni (Albisinni, 2011b); per altro verso avverte (non immediatamente, ma nell’arco di alcuni anni) la necessità di introdurre comunque meccanismi di intervento sui prezzi in un mercato, quello dei prodotti agroalimentari, che in larga misura risulta segnato da crisi ricorrenti e da marcata instabilità13. Sotto il profilo formale, le norme di sostegno per i settori cui è stato esteso il sistema dell’aiuto unico non sono rimaste oggetto di atti normativi distinti e separati per ciascun settore (come era sin qui avvenuto), ma si sono tradotte in articoli, paragrafi o commi inseriti nel testo di un unico regolamento, il reg. (CE) n. 1782/200314, ed oggi il regolamento (CE) n. 73/200915, che dichiaratamente si propone come una sorta di codice europeo dei regimi di sostegno diretto all’agricoltura, vale a dire dei regimi sin qui classificati all’interno del primo pilastro. Ne deriva la rilevante conseguenza sistematica che le definizioni - ad esempio in tema di attività agricola e di prodotti agricoli di cui all’art. 2 del reg. (CE) n. 1782/2003 -, le disposizioni generali, gli istituti di nuova introduzione, le norme procedimentali e sanzionatorie formalmente dettati in riferimento ad un singolo regolamento, tendono in realtà a costituirsi come corpus unitario ed omogeneo, di applicazione generalizzata. L’accorpamento di più misure di aiuto, relative a numerose e differenti OCM comprendenti produzioni sia vegetali che animali, in un unico meccanismo finan13 Cfr. l’analisi in chiave storica e i dati riferiti da De Filippis, 2012, p. 19. 14 Il reg. (CE) n. 1782/2003, nell’ultimo testo consolidato, vigente sino all’emanazione del reg. (CE) n.73/2009, contava ben 24 successivi regolamenti di modifica e integrazione, a conferma del carattere tendenzialmente e progressivamente omnicomprensivo del regolamento sul regime unico di pagamento. 15 Reg. (CE) n. 73/2009 del Consiglio, del 19 gennaio 2009, che stabilisce norme comuni relative ai regimi di sostegno diretto agli agricoltori nell’ambito della politica agricola comune e istituisce taluni regimi di sostegno a favore degli agricoltori, e che modifica i regolamenti (CE) n. 1290/2005, (CE) n. 247/2006, (CE) n. 378/2007 e abroga il regolamento (CE) n. 1782/2003. 65 ziario predeterminato per un rilevante arco di anni, assegna un significato non solo quantitativo e di bilancio, ma normativo e disciplinare, all’unificazione delle politiche di spesa, siccome queste non investono singoli settori produttivi, ma tendenzialmente ed in modo uniforme l’attività dell’intero comparto agroalimentare, complessivamente ed unitariamente inteso. La scelta operata sul piano sistematico risulta ancor più significativa ove si consideri che ad essa si è accompagnato un modello europeo di governo dell’agroalimentare, che si è caratterizzato come frutto di negoziato interstatale, dichiaratamente inteso a ripartire le risorse tra i singoli Stati con il meccanismo dei massimali nazionali di riferimento (cfr. gli artt. 41 ss. del reg. (CE) n. 1782/2003). Nei modelli tradizionali di intervento comunitario, le stesse assegnazioni di quote nazionali di produzione, ad esempio nella nota vicenda delle quote latte, sono state proposte come misure di eccezione, dichiaratamente transitorie (anche se nei fatti ripetutamente prorogate), intese a far fronte a specifiche tensioni di singoli settori produttivi. L’accorpamento in un unico massimale nazionale dell’insieme degli aiuti destinati ad una pluralità di produzioni (tendenzialmente estesi a coprire la totalità degli aiuti al reddito di fonte comunitaria in ciascun Paese membro) ha assunto invece il senso, ben diverso, di uno stabile orientamento delle politiche di spesa all’interno dei confini nazionali. La riforma del 2003 ha segnato per tale via, sul versante dei meccanismi di attribuzione e gestione delle risorse, un deciso arretramento rispetto ad un’idea di governo centralizzato ed uniforme dell’agricoltura, riconsegnando ai Paesi membri e, all’interno di questi, a una pluralità di soggetti pubblici ed anche privati, competenze di governo delle rispettive economie, ben maggiori di quelli che residuavano da una molteplicità di regimi di aiuto, ciascuno separatamente e minutamente regolato in sede comunitaria. Per converso, l’attribuzione ai singoli Stati membri di una latitudine di interventi anche trasversali tra i diversi settori produttivi, richiede - e si manifesta nel reg. (CE) n.1782/2003 e nei successivi atti della Commissione e del Consiglio - l’adozione di regole comuni europee, giuridiche prima che economiche, capaci di garantire sul piano del diritto l’unità istituzionale, che sul piano dell’economia va cedendo il passo ad una pluralità di possibili scelte territorialmente radicate. Analogamente il reg. (CE) n. 1257/199916, e poi il reg. (CE) n. 1698/200517, si 16 Reg. (CE) n. 1257/1999 del Consiglio, del 17 maggio 1999, sul sostegno allo sviluppo rurale da parte del Fondo europeo agricolo di orientamento e di garanzia (FEAOG) e che modifica ed abroga taluni regolamenti. 17 Reg. (CE) n. 1698/2005 del Consiglio, del 20 settembre 2005, sul sostegno allo sviluppo rurale da parte del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR). 66 Le relazioni sono da tempo proposti come codice europeo dello sviluppo rurale (Albisinni, 2005, p. 411; Id., 2006, p. 526), con il riordino in chiave unitaria di una molteplicità di precedenti misure, e con l’adozione di misure innovative intese alla valorizzazione della qualità dei prodotti. Ai codici dei due tradizionali pilastri della PAC si è infine aggiunto, all’interno del complessivo processo di posizione dei codici europei dell’agroalimentare, il reg. (CE) n. 1234/2007 sulla “OCM unica”18. Questo regolamento, già dalla significativa intitolazione «Regolamento unico OCM», non si limita ad una semplice operazione di riordino formale di una molteplicità di disposizioni sinora diffuse in una moltitudine di regolamenti e di differenti OCM (ben ventuno OCM sostituite dalla disciplina contenuta nel testo in commento, come precisa il secondo considerando del regolamento), manifestando una tendenza espansiva, volta a ricondurre nel regolamento unico OCM anche le norme di settori rimasti fuori dal testo originario del regolamento e progressivamente inseriti nei mesi ed anni successivi attraverso ripetuti interventi del legislatore comunitario, con regolamenti del Consiglio o della Commissione19. L’aspetto di riordino ed unificazione formale e sistematica dei testi è certamente presente20, ma a questo si accompagna - con importanza per certi profili anche maggiore - una sostanziale riscrittura del complessivo modello europeo di governo e di regolazione del settore agroalimentare, con esiti rilevanti anche per il disegno delle istituzioni comunitarie e l’individuazione dei rispettivi ruoli e competenze, anche in ragione dell’assegnazione di deleghe assai ampie alla Commissione europea. L’attribuzione alla Commissione della generale competenza a regolare la materia è assoggettata, infatti, a criteri talmente generici da consentire una lar18 Per un commento analitico al reg. (CE) n. 1234/2007 del Consiglio, del 22 ottobre 2007, recante organizzazione comune dei mercati agricoli e disposizioni specifiche per taluni prodotti agricoli (regolamento unico OCM), cfr. Costato, 2009, p. 1. 19 Cfr., per citare solo alcuni dei successivi regolamenti che hanno in più punti modificato e integrato il reg. (CE) n. 1234/2007, contestualmente abrogando numerosi precedenti regolamenti: il reg. (CE) n. 247/2008 del Consiglio, del 17 marzo 2008, che ha modificato le disposizioni nei settori del lino e della canapa; il reg. (CE) n. 248/2008 del Consiglio, del 17 marzo 2008, in tema di quote latte; il reg. (CE) n. 361/2008 del Consiglio, del 14 aprile 2008, che ha esteso la disciplina dell’OCM unica a nuovi settori ed ha modificato in più punti rilevanti il testo originario del reg. (CE) n. 1234/2007; il reg. (CE) n. 470/2008 del Consiglio, del 26 maggio 2008, che ha modificato le disposizioni nel settore del tabacco; il reg. (CE) n. 510/2008 della Commissione, del 6 giugno 2008, che ha modificato le quote nazionali per la produzione di zucchero. 20 Ed è reso esplicito dall’ampia serie di precedenti regolamenti espressamente abrogati dall’art. 201 del reg. (CE) n. 1234/2007 e dalle ulteriori abrogazioni disposte dai successivi regolamenti di modifica ed integrazione del reg. (CE) n. 1234/2007 sopra richiamati. 67 ghissima latitudine di scelte, difficilmente sindacabili sulla base di quanto enunciato nel regolamento. Nello stesso tempo la riforma introdotta con la OCM unica non si pone per sé sola, ma si colloca nel complessivo processo di riforma istituzionale, che è andato progressivamente e radicalmente modificando i paradigmi su cui era stata costruita per decenni la Politica agricola comune. Ne risulta un ordinamento composito, multilivello21, in cui livello europeo e livello nazionale sono entrambi necessari22, in cui il diritto comune valorizza la dimensione nazionale e locale delle scelte redistributive, nonché il concorso delle fonti private nelle scelte di regolazione, ma insieme garantisce l’unità sul piano delle istituzioni e del merito attraverso originali profili conformativi. Sotto un diverso, concorrente, profilo, il disaccoppiamento, la valorizzazione del mercato come arena di piena concorrenza, il passaggio da un modello di intervento economico di amministrazione puntuale e penetrante ad un modello di regolazione giuridica articolato per codici, modelli e principi, porta con sé come esito pressoché obbligato la dichiarata tendenza ad abbandonare il risalente sistema delle quote di produzione in settori che - secondo le nuove prospettive europee - devono aprirsi pienamente al vento della concorrenza: dal latte al vino, per citare i settori più noti (Albisinni, 2011a). E’ stata così esplicitata la previsione di una progressiva abolizione sia delle quote latte che dei diritti di impianto dei vigneti, e si è posta con manifesta evidenza la necessità di individuare strumenti alternativi, capaci di stabilizzare mercati, che vedono la progressiva scomparsa dei tradizionali meccanismi di governo centralizzato ed amministrativo, tanto sui prezzi che sulle quantità. 4. Le discipline sezionali e di area: dalla OCM unica al regolamento (UE) n. 261/2012 Nel quadro generale così definito ha fatto irruzione, pochi mesi or sono, il nuovo regolamento relativo ai rapporti contrattuali nel settore del latte e dei prodotti lattiero-caseari23. 21 In generale, quanto all’emergere di nuove forme di organizzazione degli ordinamenti, cfr. Cassese, 2002. 22 Sulle peculiarità dell’esperienza europea cfr. Torchia, 2006. 23 Reg. (UE) n. 261/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 marzo 2012, che modifica il regolamento (CE) n. 1234/2007 per quanto riguarda i rapporti contrattuali nel settore del latte e dei prodotti lattiero-caseari. 68 Le relazioni Questo regolamento ha introdotto modifiche e nuove disposizioni all’interno del generale regolamento del 2007 sull’OCM unica, in particolare per quanto attiene alle organizzazioni dei produttori24, alle trattative contrattuali25 ed alle relazioni contrattuali26 nel settore del latte e dei prodotti lattiero-caseari, agli accordi, decisioni e pratiche concordate in tale settore27, alla regolazione dell’offerta di formaggi DOP e IGP28, ad una serie di aspetti connessi, quali quelli relativi a dichiarazioni obbligatorie dei primi acquirenti di latte crudo29, ed alle formalità da rispettare in sede di stipula dei contratti in materia30. Seguendo modelli ormai consueti, il nuovo regolamento ha altresì attribuito alla Commissione il potere di adottare atti esecutivi ed atti delegati31. Le nuove disposizioni, così come dispone l’art. 2 del reg. (UE) n. 261/2012, hanno applicazione a decorrere dal 3 ottobre 2012, in significativa simultaneità temporale con le disposizioni introdotte dall’art. 62 del decreto legge n. 1/2012, applicabili dal 24 ottobre 2012. Le novità introdotte dal nuovo regolamento sono numerose (cfr. Jannarelli, 2012), ma due sono quelle sulle quali sembra di dover soprattutto insistere in queste note, rimarcando come questo regolamento abbia posto in discussione due risalenti tabù che sembravano sin qui incontestabili: - il divieto di accordi preventivi fra i produttori per la regolazione dell’offerta; - il divieto di accordi preventivi per la determinazione dei prezzi. Quanto al primo, è pur vero che alle organizzazioni dei produttori è stato da tempo riconosciuto l’obiettivo, fra l’altro, di «adattare in comune la produzione e la trasformazione alle esigenze del mercato e di migliorare il prodotto» (cfr. art. 123.1.c) ii), del reg. (CE) n. 1234/2007, testo vigente), ma questa attribuzione è sempre stata intesa in senso molto generale, ferma restando l’illegittimità di qualunque pratica e di qualunque intesa fra i produttori diretta a limitare o controllare la produzione per violazione dell’art. 81 del Trattato della Comunità Europea (TCE), oggi art. 101 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (TFUE). E la nostra Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM) ha, in più occasione, 24 Cfr. le modifiche agli artt. 122 e 123 del reg. (CE) n. 1234/2007. 25 Cfr. i nuovi artt. 126 bis, 126 ter, 126 quater inseriti nel reg. (CE) n. 1234/2007. 26 Cfr. il nuovo art. 185 septies inserito nel reg. (CE) n. 1234/2007. 27 Cfr. il nuovo art. 126 quater inserito nel reg. (CE) n. 1234/2007. 28 Cfr. il nuovo art. 126 quinquies inserito nel reg. (CE) n. 1234/2007. 29 Cfr. il nuovo art. 185 sexies inserito nel reg. (CE) n. 1234/2007. 30 Cfr. il nuovo art. 185 septies inserito nel reg. (CE) n. 1234/2007. 31 Cfr. i nuovi artt. 126 sexies, 196 bis, e 196 ter, inseriti nel reg. (CE) n. 1234/2007. 69 dichiarato illegittime per violazione delle norme sulla concorrenza pratiche o intese promosse dai Consorzi di tutela di prodotti DOP ed indirizzate ad un controllo della produzione (Paoloni, 2012). Riconoscere alle organizzazioni dei produttori dei formaggi DOP e IGP la possibilità di ottenere dagli Stati membri norme vincolanti per la regolazione dell’offerta di formaggio che beneficia di una denominazione di origine protetta o di un’indicazione geografica protetta - cfr. il nuovo art. 126 quinquies inserito nel reg. (CE) n. 1234/2007 -, significa aprire la strada ad un’auto-regolazione dell’offerta dal basso, che costituisce un modello innovativo di portata evidentemente espansiva, nella misura in cui propone un modello capace di sostituire ad una programmazione diretta in modo centralizzato (come sin qui avvenuto per le quote ed i diritti di impianto o di produzione), ad una programmazione autogestita dagli stessi produttori. Non a caso, la novità è stata tale e così fortemente avvertita che da più parti, in occasione della recente approvazione del nuovo regolamento sui prodotti di qualità32, e nel corso del dibattito innanzi al Parlamento europeo sulla proposta di nuova OCM unica, si è auspicata l’estensione di tale disposizione a tutti i prodotti di qualità, ivi inclusi quelli del settore vitivinicolo, come possibile risposta al previsto abbandono del sistema delle quote e dei diritti di impianto. Anche quanto alla possibilità che gli Stati membri prevedano accordi scritti per la consegna del latte, che comprendano - fra l’altro - la determinazione del prezzo da pagare alla consegna, in misura fissa già stabilita, ovvero in misura ancorata a taluni fattori oggettivi individuati preventivamente (cfr. il nuovo art. 185 septies inserito nel reg. (CE) n. 1234/2007), la novità è rilevantissima. E’ vero che già la precedente disciplina in materia di organizzazioni dei produttori consentiva a queste ultime di operare per la concentrazione dell’offerta e di commercializzare ed immettere sul mercato i prodotti dei propri aderenti, e così evidentemente di stipulare contratti nei quali il prezzo costituiva uno degli elementi necessari. Ma qui la novità è che gli accordi stipulati dalle organizzazioni dei produttori di latte possono avere portata normativa, ai sensi degli artt. 126 quater e 185 septies del reg. (CE) n. 1234/2007 a prescindere da qualsivoglia funzione di commercializzazione svolta dalle stesse organizzazioni. In altre parole, abbiamo una contrattazione collettiva con funzione normativa che investe direttamente una pluralità ampia di soggetti. 32 Reg. (UE) n. 1151/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 novembre 2012, sui regimi di qualità dei prodotti agricoli e alimentari. 70 Le relazioni Il diritto dei mercati agroalimentari si sostanzia dunque di protagonisti originali, ed ai quali sono comunque attribuite competenze originali: - gli Stati membri, chiamati ad una declinazione interna della generale disciplina di fonte europea, tanto per quanto riguarda l’offerta di formaggi DOP e IGP, che per quanto riguarda la contrattazione collettiva dei contratti per la consegna di latte crudo, comprensiva della determinazione dei prezzi; - le organizzazioni dei produttori, investite di esplicite funzioni normative e di regolazione, in rappresentanza di interessi, non necessariamente connesse a funzioni operative; - i singoli produttori e commercianti, inseriti in una maglia che li responsabilizza e ne valorizza il ruolo e la capacità di fare impresa, anche attraverso il ricorso a specifiche forme contrattuali33. 5. L’intervento del legislatore nazionale sui contratti di cessione dei prodotti agricoli e alimentari All’interno del medesimo processo, che nella dimensione europea va privilegiando specifiche discipline sezionali e di area, si colloca, con significativa corrispondenza temporale, l’intervento del legislatore nazionale, che con l’art. 62 del D.L. 24 gennaio 2012 n.1 ha introdotto una specifica «Disciplina delle relazioni commerciali in materia di cessione di prodotti agricoli e agroalimentari». L’articolo comprende 12 commi34, che disciplinano i contratti in materia, con esclusione di quelli conclusi con il consumatore finale. L’intervento del legislatore nazionale si colloca nell’ambito dell’ormai risalente e largamente diffusa prospettiva di regolazione e controllo delle attività e delle relazioni di impresa, muovendo dal presupposto dell’inadeguatezza dell’approccio tradizionale basato sulla «privity of contract»35, ed a questo sostituendo un modello di penetrante conformazione e di valutazione delle scelte, per coerenza a parametri vincolanti assunti come capisaldi fondanti del mercato. 33 Si veda la possibilità per gli Stati membri di imporre il ricorso a contratti stipulati per iscritto e contenenti una serie di specifici oggetti e clausole, ai sensi del nuovo art. 185 septies, inserito nel reg. (CE) n. 1234/2007. 34 Agli 11 commi previsti dal testo originale del decreto legge n. 1/2012 è stato aggiunto il comma 11bis dalla legge di conversione 24 marzo 2012, n.27. 35 Cfr. le ricerche di Gorla, 1955, gli studi di Sumner Maine, 1861, nel quale l’A. illustrò la tesi secondo la quale la modernità era stata segnata dal passaggio «from status to contract» e gli originali contributi di Atiyah, 1979. 71 Oggetto e profili applicativi della disciplina introdotta dall’art. 62 sono stati in prosieguo precisati dal decreto applicativo 199/201236, e poi dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, di conversione del D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, secondo i quali: - per «prodotti agricoli» si intendono «i prodotti dell’allegato I di cui all’articolo 38, comma 3, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea» (art.2, comma 1, lett.a) D.M. n.199/2012); - per «prodotti alimentari» si intendono «i prodotti di cui all’articolo 2 del reg. (CE) n. 178/2002» (art.2, comma 1, lett.b) D.M. n.199/2012)37; - per «cessione dei prodotti agricoli» si intende «il trasferimento della proprietà di prodotti agricoli e/o alimentari, dietro il pagamento di un prezzo, la cui consegna avviene nel territorio della Repubblica Italiana» (art.2, comma 1, lett.e) D.M. n.199/2012); - non costituiscono cessioni: «i contratti conclusi fra imprenditori agricoli»38; «i conferimenti di prodotti agricoli e alimentari operati dagli imprenditori, alle cooperative di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 18 maggio 2001 n. 228, se gli imprenditori risultano soci delle cooperative stesse» (art.1, comma 3, lett.a) D.M. n.199/2012); «i conferimenti di prodotti agricoli e alimentari operati dagli imprenditori alle organizzazioni di produttori di cui al decreto legislativo 27 maggio 2005 n. 102, se gli imprenditori risultano soci delle organizzazioni di produttori stesse» (art.1, comma 3, lett.b) D.M. n.199/2012); «i conferimenti di prodotti ittici operati tra imprenditori ittici di cui all’articolo 4 del decreto legislativo 9 gennaio 2012, n. 4» (art.1, comma 3, lett.c) D.M. n.199/2012); - non rientrano nel campo di applicazione della disciplina di cui ai commi 1 e 3 dell’art. 62 «Le cessioni di prodotti agricoli e alimentari istantanee, con contestuale consegna e pagamento del prezzo pattuito» (art.1, comma 4, D.M. n. 199/2012). 36 D.M. 19 ottobre 2012, n. 199, «Regolamento di attuazione dell’articolo 62 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, recante disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27»; in argomento cfr. Germanò, 2012a. 37 Per un commento analitico del reg. (CE) n. 178/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 28 gennaio 2002, che stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare, istituisce l’Autorità europea per la sicurezza alimentare e fissa procedure nel campo della sicurezza alimentare, cfr. IDAIC, 2003, p. 114. 38 Art. 36, comma 6-bis l comma 6-bis, del decreto legge 18 ottobre 2012, n. 179, inserito dalla citata legge di conversione n. 17 dicembre 2012, n. 221. 72 Le relazioni Anche alla stregua di quanto disposto dal decreto ministeriale attuativo, la struttura delle disposizioni introdotte dall’art. 62 fa dunque riferimento soprattutto agli accordi normativi, vale a dire agli accordi che variamente disciplinano una pluralità di attività protratte nel tempo. In riferimento a tali fattispecie si comprende la prescrizione della forma scritta e l’obbligo di indicare la durata, quantità e caratteristiche del prodotto venduto, le modalità di consegna e di pagamento, e di rispettare i principi di trasparenza, correttezza, proporzionalità e reciproca corrispettività delle prestazioni (cfr. comma 1 dell’art. 62), trattandosi di profili regolatori che in vario modo incidono nel definire il quadro di obbligazioni, che ciascuna parte è chiamata a rispettare in una prospettiva di relazioni commerciali protratte nel tempo. La lettera delle nuove disposizioni ne comporta tuttavia l’applicazione a tutti i contratti di cessione, salve le richiamate eccezioni introdotte dalla legge n. 179/2012 quanto ai rapporti fra imprenditori agricoli, e dal D.M. n. 199/2012 quanto ai conferimenti alle organizzazioni dei produttori ed alle cooperative e quanto ai contratti nei quali trasferimento di proprietà e consegna sono contestuali39. La previsione della sanzione di nullità contenuta nel testo originale dell’art. 62, comma 1, è stata rimossa dalla legge n. 179/2012, che ha però mantenuto l’obbligatorietà del ricorso alla forma scritta e la previsione di sanzioni amministrative in caso di contravvenzione «agli obblighi di cui al comma 1». Sembrerebbe di dover concludere che, dopo la modifica testuale dell’art. 62, saremmo in presenza di un’ipotesi di nullità virtuale40 ex art. 1418 cod. civ. per violazione di norme imperative, con conseguente rilevabilità della stessa ex art. 1421 cod. civ. d’ufficio e da parte di chiunque vi abbia interesse, e pertanto anche da parte di chi abbia materialmente ritirato la merce senza pagarla e senza sottoscrivere un contratto scritto di vendita o comunque senza sottoscrivere un atto contenente tutti gli elementi sopra elencati, e non in ipotesi di nullità relativa, quale quella prevista dall’art. 36, comma 3, del Codice del Consumo (D.lgs. 6 settembre 2005, n.206), che nello stabilire la nullità di clausole che possono pregiudicare il consumatore, dispone che «La nullità opera soltanto a vantaggio del consumatore». Va detto che l’additiva e non sistematica tecnica legislativa adottata dal legislatore del 2012, prima con il decreto legge n. 1/2012 e poi con la legge n. 221/2012, 39 Anche se l’esclusione dall’ambito applicativo dell’art. 62 di questi contratti, abituali nell’esperienza delle nostre campagne, appare per certi versi una forzatura operata dal D.M. n. 199/2012. 40Per virtuale intendendo - secondo un diffuso orientamento della dottrina - un’ipotesi di nullità diversa da quella testuale derivante da un’espressa disposizione di legge che la preveda (Sacco, 1975, p. 526; Tommasini, 1978, p. 878; Bianca, 2000, p. 618; De Nova, 1985, p. 436; Irti, 2003). 73 non giova certo a garantire agli operatori del mercato l’essenziale requisito della certezza nell’ambito dei rapporti fra imprese. La giurisprudenza di legittimità ha infatti avuto modo di chiarire che: «Nel sancire la nullità del contratto per contrasto con norme imperative, l’art. 1418 c.c. fa salvo il caso in cui “la legge disponga diversamente”. Ne consegue che tale nullità va esclusa sia quando risulta espressamente prevista una diversa forma di invalidità (es., annullabilità) sia quando la legge assicura l’effettività della norma imperativa con la previsione di rimedi diversi, quali la decadenza da benefici fiscali e creditizi (es., art. 28 della legge n. 590 del 1965)»41. Sicché la previsione delle sanzioni amministrative di cui al comma 5 dell’art. 62 non costituisce indice sicuro della nullità per violazione di norme imperative di contratti stipulati in violazione del comma 1, ma al contrario potrebbe essere interpretata dalla giurisprudenza anche in senso opposto al riconoscimento della nullità. Occorrerà quindi attendere il consolidarsi di un indirizzo interpretativo in argomento (con esiti di incertezza che non occorre sottolineare). Va sottolineato peraltro che l’area applicativa della disposizione (e quindi anche quella della sanzione di invalidità) è stata riperimetrata dalla richiamata legge n. 179/2012, che ha escluso i contratti fra imprenditori agricoli dall’ambito applicativo dell’art. 62. Una disciplina disegnata sulla tipologia dei prodotti, quale quella di cui all’art. 62, è stata dunque spostata nell’ambito di una disciplina disegnata insieme per prodotti e per soggetti, con una chiara differenza di segno fra i contratti di cui è parte un’impresa commerciale (assoggettati al nuovo regime) ed i contratti stipulati fra imprese agricole (esclusi dal nuovo regime); contratti, questi ultimi, fra i quali rientrano fattispecie rilevanti di accordi all’interno delle filiere produttive (basti pensare ai contratti fra allevatori o a quelli fra vivaisti). Particolarmente significativo, in questa prospettiva, risulta il riferimento alla disciplina a tutela della concorrenza e contro gli abusi di posizione dominante e il ruolo assegnato in questo ambito all’Autorità garante della concorrenza e del mercato. Il comma 2 dell’art. 62 vieta, infatti, «nelle relazioni commerciali tra operatori economici, ivi compresi i contratti che hanno ad oggetto la cessione dei beni di cui al comma 1» una serie di comportamenti, che rinviano alle risalenti nozioni 41 Cosi Cass. civ. Sez. III, 5 aprile 2003, n. 5372 (fattispecie in tema di decadenza dai benefici previsti dalla legislazione in materia di formazione e di arrotondamento di proprietà contadina), in Giur. It., 2004, p. 1624, nota di I. Canfora; in senso cfr. di recente Cass. civ. Sez. VI, 14 dicembre 2010, n. 25222. 74 Le relazioni di illeciti commerciali collocati nell’ambito dell’«abuso di posizione dominante» di cui alla disciplina della concorrenza, e dell’«abuso di dipendenza economica» di cui alla disciplina sulla subfornitura, riprendendo in larga misura le prescrizioni generali introdotte nel 1990 dalla legge n. 28742 e nel 1998 dalla legge n. 19243, e tenendo conto delle indagini conoscitive svolte dall’AGCM (AGCM, 2007; Id., 2010; Artom, 2010, p. 31), nonchè di specifiche esperienze di regolazione delle relazioni con la GDO maturate in altri Paesi della Comunità europea (art. 3, lett. a, legge 10 ottobre 1990, n. 287). Le disposizioni introdotte dal comma 2 dell’art.62 contengono, tuttavia, un significativo elemento di peculiarità rispetto alla generale disciplina in tema di concorrenza, non tanto nell’oggetto dei comportamenti vietati e sanzionati, quanto piuttosto nei presupposti. Tali comportamenti sono qualificati come illeciti ex se, a prescindere dall’esistenza di «una posizione dominante all’interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante» quale individuata dalla legge sulla tutela della concorrenza (art.3, lett. a, legge 10 ottobre 1990, n. 287), ovvero dall’esistenza di uno «stato di dipendenza economica nel quale si trova […] una impresa cliente o fornitrice» come richiesto dalla legge sulla tutela della subfornitura (art.8, comma 1, legge 18 giugno 1998, n. 192). Siamo in presenza di una tipizzazione di pratiche commerciali, che vengono 42 Recita l’art. 3 della legge 10 ottobre 1990, n. 287, per la tutela della concorrenza e del mercato, cit.: «3. Abuso di posizione dominante. 1. È vietato l’abuso da parte di una o più imprese di una posizione dominante all’interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante, ed inoltre è vietato: a) imporre direttamente o indirettamente prezzi di acquisto, di vendita o altre condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose; b) impedire o limitare la produzione, gli sbocchi o gli accessi al mercato, lo sviluppo tecnico o il progresso tecnologico, a danno dei consumatori; c) applicare nei rapporti commerciali con altri contraenti condizioni oggettivamente diverse per prestazioni equivalenti, così da determinare per essi ingiustificati svantaggi nella concorrenza; d) subordinare la conclusione dei contratti all’accettazione da parte degli altri contraenti di prestazioni supplementari che, per loro natura e secondo gli usi commerciali, non abbiano alcuna connessione con l’oggetto dei contratti stessi». In argomento, per un’analisi generale e per ulteriori riferimenti cfr. Meli, 2001, p. 1061. 43 Dispone l’art.9 («Abuso di dipendenza economica») della legge 18 giugno 1998, n. 192, sulla subfornitura: «1. È vietato l’abuso da parte di una o più imprese dello stato di dipendenza economica nel quale si trova, nei suoi o nei loro riguardi, una impresa cliente o fornitrice. Si considera dipendenza economica la situazione in cui una impresa sia in grado di determinare, nei rapporti commerciali con un’altra impresa, un eccessivo squilibrio di diritti e di obblighi. La dipendenza economica è valutata tenendo conto anche della reale possibilità per la parte che abbia subìto l’abuso di reperire sul mercato alternative soddisfacenti. 2. L’abuso può anche consistere nel rifiuto di vendere o nel rifiuto di comprare, nella imposizione di condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose o discriminatorie, nella interruzione arbitraria delle relazioni commerciali in atto […]». In argomento cfr. Lipari, 2000, p. 365. 75 comunque qualificate come illecite, senza necessità di dimostrare la sussistenza di ulteriori presupposti ai fini della qualificazione; presupposti (la posizione dominante o lo stato di dipendenza economica) la cui dimostrazione è spesso non agevole e talvolta nei fatti quasi impossibile44. Ne deriva, evidentemente, una ben più agevole sindacabilità di siffatti comportamenti. 6. La legge n. 9/2013 per uno statuto della concorrenza nel mercato olivicolo Le prospettive riformatrici, europea e nazionale, sin qui delineate, forniscono un’essenziale chiave per una prima lettura della recente legge n. 9/2013 «Norme sulla qualità e la trasparenza della filiera degli oli di oliva vergini». Accanto a disposizioni che riguardano l’origine dei prodotti, i controlli, l’etichettatura (cfr. Masini, 2013), giova infatti sottolineare la significativa corrispondenza (non formale, ma di finalità) fra le disposizioni introdotte dagli artt. 4 e 8 della legge n. 9/2013 e quelle contenute nei commi 2 ed 8 dell’art. 62 del D.L. 1/2012. La legge n. 9/2013, all’art. 4, sanziona come ingannevoli le pratiche commerciali suscettibili di trarre in inganno il consumatore di oli vergini di oliva quanto all’origine geografica delle olive o quanto alle caratteristiche organolettiche del prodotto. Il comma 2 dell’art. 62 del D.L. 1/2012 vieta le pratiche commerciali scorrette fra operatori commerciali. Nell’un caso e nell’altro - al di là della stessa esplicita distinzione fra aree soggettive ed oggettive di applicazione - l’obiettivo perseguito dal legislatore è quello di un ordinato e corretto dispiegarsi della concorrenza nel mercato, avendo di mira nel medesimo tempo la tutela delle imprese in concorrenza (evitando appropriazione di pregi e distorsione delle scelte) e la tutela del consumatore finale (al quale si vuole garantire la possibilità di scelte consapevoli). 44 Cfr. Cass. Sez. I, sent. n. 3638 del 13-02-2009 ud. del 21-10-2008, Cetel S.N.C. c. Enel Distribuzione S.P.A. rv. 606809, secondo cui: «La disparità di trattamento contrattuale non è abusiva - ai sensi dell’art. 3, legge n. 287 del 1990 - soltanto a condizione che il contraente che la pratica non si trovi in posizione dominante, perché, in tal caso, tale disparità è frutto del lecito esercizio dell’autonomia negoziale delle parti e trova nella controparte un soggetto altrettanto libero di determinare le proprie scelte contrattuali; mentre non è così quando la disparità di trattamento sia la conseguenza della posizione dominante di cui il contraente più forte abusi, a fronte della dipendenza economica dei contraenti più deboli, i quali sono costretti a sottostare a qualsiasi pretesa, dal momento che a loro è impossibile, o grandemente difficile, reperire sul mercato adeguate alternative». 76 Le relazioni L’art. 8 della legge n. 9/2013 ed il comma 8 dell’art. 62 del D.L. 1/2012, lì ove attribuiscono alla AGCM il compito di vigilare sulle pratiche anticoncorrenziali, e conseguentemente di sanzionare gli illeciti45, operano entrambi nel senso della valorizzazione dello statuto della concorrenza nel mercato olivicolo quale principale presidio attivo per la tutela dei produttori. 7. L’emergere di nuovi modelli Mi sembra che, con la “tentatività” e provvisorietà di ogni considerazione proposta nell’immediatezza di profonde riforme legislative, si possa tentare di trarre alcune conclusioni, che per un verso confermano, con profili nuovi ed originali, il risalente riconoscimento della specialità dell’agricoltura, meglio della specialità della produzione e del mercato dei prodotti agroalimentari, i quali, siccome prodotti che per loro natura seguono dinamiche diverse da quelle proprie della generalità dei prodotti industriali, rispondono a bisogni peculiari e sono soggetti a specifiche tensioni. Per altro verso, questa specialità nell’oggi tende ad abbandonare i contenuti tradizionali del mercato direttamente regolato dal potere pubblico, per cercare forme nuove e diverse di autoregolazione. Ne risulta una riscoperta centralità del contratto, peraltro declinato secondo categorie originali, che recuperano in un tentativo di sintesi quella contrapposizione fra status e contratto, che ha a lungo caratterizzato la riflessione storicocompartiva fra ordinamenti di civil law e di common law (Sumner Maine, 1861; Gorla, 1955; Atiyah, 1979). In termini astratti la disciplina nel mercato dei contratti di impresa potrebbe infatti declinarsi secondo più modelli, riducibili ad alcune categorie di base: a)la freedom of contract, che si preoccupa di sanzionare soltanto alcuni comportamenti specificamente indicati ed al di fuori di quelli lascia libertà di autodeterminazione ai singoli; b) l’intervento regolatorio, che a sua volta si declina in una varietà di modelli: i) la determinazione ad opera dei pubblici poteri, in ragione di status variamente riconosciuti, ovvero in ragione di specifici oggetti; 45 Va detto, per completezza di analisi, che l’art. 62 del D.L. 1/2012 prevede specifiche sanzioni la cui irrogazione è affidata alla AGCM, mentre l’art. 8 della L. 9/2013 si limita a richiamare il potere di vigilanza della AGCM, ma il richiamo lì operato alla legge 10 ottobre 1990, n. 287, deve intendersi come richiamo anche al potere di adottare diffide e sanzioni ai sensi dell’art. 15 della citata legge n. 287/1990. 77 ii) la determinazione ad opera di soggetti privati, collettivi e non, variamente determinati. I recenti interventi dei legislatori europeo e nazionale si collocano così nell’ambito della risalente prospettiva di regolazione e controllo delle attività e delle relazioni di impresa, muovendo dal presupposto dell’inadeguatezza dell’approccio tradizionale basato sulla «privity of contract». Nel medesimo tempo questi interventi prendono atto di quelli che gli economisti definiscono «fallimenti del mercato» e così della riconosciuta inadeguatezza del mercato a regolarsi per sé solo, in presenza di irrisolte asimmetrie economiche, produttive, finanziarie ed informative. Il ricorso a penetranti forme di tutela della leale concorrenza, sia nei confronti del consumatore che nella relazione fra imprese collocate lungo la filiera olivicola appare dunque rivolto a recuperare, e sostenere, come bene collettivo l’oggetto stesso della contrattazione e la garanzia di leale ed equilibrata partecipazione al mercato. Bibliografia AGCM, Indagine conoscitiva sul settore della Grande Distribuzione Organizzata IC/43, Roma, 2010. AGCM, Indagine conoscitiva sulla distribuzione agroalimentare IC/28, Roma, giugno 2007. Albisinni, F., “Cessione di prodotti agricoli e agroalimentari (o alimentari?): ancora un indefinito movimento”, in Rivista di Diritto Alimentare, n. 2, 2012, p. 33. Albisinni, F., “I diritti di impianto dei vigneti e la loro circolazione”, in Costato L.; Germanò A.; Rook Basile E. (a cura di), Trattato di Diritto Agrario, vol. I, Il diritto agrario: circolazione e tutela dei diritti , Torino, Utet, 2011a, p. 347. Albisinni, F., “Il diritto agrario europeo dopo Lisbona fra intervento e regolazione: i codici europei dell’agricoltura”, in Agricoltura Istituzioni Mercati, n.2, 2011b, p. 29. Albisinni, F., “Le proposte per la riforma della PAC verso il 2020: profili di innovazione istituzionale e di contenuti”, in Rivista di Diritto Agrario, n. 4, 2011c, I, p. 604. 78 Le relazioni Albisinni, F., “Regole e istituzioni nella nuova PAC”, in Diritto e Giurisprudenza Agraria Alimentare e dell’Ambiente, n. 12, 2006, p. 526. Albisinni, F., “Verso un codice europeo dell’agricoltura”, in AA.VV., Atti dell’Accademia dei Georgofili, VIII, Firenze, 2005, p. 411. Atiyah, P., The Rise and Fall of Freedom of Contract, Clarendon Press, 1979. Artom, A., “L’indagine conoscitiva dell’AGCM sul ruolo della GDO nella distribuzione agroalimentare”, in Rivista di Diritto Alimentare, n. 3, 2010, p. 31. Artom, A., “I contratti dall’industria alimentare alla grande distribuzione”, in Rivista di Diritto Alimentare, n. 2, 2008, p. 23. Bianca, C.M., Il contratto, Milano, 2000. Canfora, I., “In tema di rivendita del fondo acquistato in prelazione agraria (Nota a Cass. sez. III civ. 5 aprile 2003, n. 5372)”, in Giurisprudenza italiana, 8-9, 2004, p. 1624. Cassese, S., La crisi dello Stato, Roma-Bari, 2002. Costato, L. “Commentario al regolamento (CE) n.1234/2007”, in Costato L. (a cura di), Le nuove leggi civili commentate, 2009, p. 1. De Filippis F., “La volatilità dei mercati agricoli mondiali: le cause, gli effetti, le politiche possibili”, in Rivista di Diritto Alimentare, n. 4, 2012, p. 19. De Nova, G., “Il contratto contrario a norme imperative”, in Rivista Critica del Diritto Privato, 1985, p. 436. Di Via, L.; Marciano, L., “Le relazioni tra industria alimentare e GDO”, in Rivista di Diritto Alimentare, n. 3, 2008, p. 38. Frascarelli, A., “Gli effetti diretti sul settore agroalimentare degli interventi per la stabilizzazione, lo sviluppo e il mercato del lavoro”, in De Filippis F. (a cura di), Crisi economica e manovra di stabilizzazione. Quali effetti per l’agroalimentare?, Quaderni del Gruppo 2013, Roma, Ed. Tellus, 2012, p. 85. Gencarelli, F., “Relazioni contrattuali tra industria alimentare e grande distribuzione nei principali paesi europei”, in Rivista di Diritto Alimentare, n. 2, 2008, p. 34. 79 Germanò, A., “Ancora sul contratto di cessione di prodotti agricoli e alimentari: il decreto ministeriale applicativo dell’art. 62 del d.l. 1/2012”, in Diritto e Giurisprudenza Agraria Alimentare e dell’Ambiente, n.9, 2012a, p. 517. Germanò, A., “Sul contratto di cessione di prodotti agricoli e alimentari”, in Diritto e Giurisprudenza Agraria Alimentare e dell’Ambiente, n. 6, 2012b, p. 379. Germanò, A, Manuale di diritto agrario, Giappichelli, Torino, 7^ ed., 2010. Giacomini, C., “L’articolo 62 del decreto ‘Cresci Italia’”, in Agriregionieuropa, n. 30, 2012, p.26. Giuffrida, M., “I Contratti di filiera nel mercato agroalimentare”, in Rivista di Diritto Alimentare, n. 3, 2012, p. 3. Gorla, G., Il contratto, Milano, Giuffré ed., 1955. IDAIC, “La sicurezza alimentare nell’Unione europea (commentario al reg.178/2002)”, in IDAIC (a cura di), Le nuove leggi civili commentate., 2003, p. 114. Irti, N., Introduzione allo studio del diritto privato, Milano, 2003. Jannarelli, A., “L’associazionismo dei produttori agricoli ed il “Tabù” dei prezzi agricoli nella disciplina della concorrenza. Considerazioni critiche sul reg. n. 261 del 2012 in materia di latte e prodotti lattiero-caseari”, in Rivista di Diritto Agrario, n.1, 2012, I, 179, p. 187. Jannarelli, A., Profili giuridici del sistema agro-alimentare tra ascesa e crisi della globalizzazione, Bari, 2011. Lipari, N. (a cura di), “Commentario” con Barbieri C.; Ceridono G.; Chiné G.; Cuffaro V.; Putti P.M.; Sacchi Lodispoto G.; Schininá M.; Suppa M.P.; Toniato F.D., “Disciplina della subfornitura nelle attività produttive commento alla l. 18 giugno 1998 n. 192”, in Nuove Leggi Civili Commentate, 2000, p. 365. Masini, S., “Qualità e trasparenza della filiera degli oli di oliva vergini (commentario breve della l. 14 gennaio 2013, n. 9)”, in Diritto e Giurisprudenza Agraria Alimentare e dell’Ambiente, n.1, 2013, p. 97. Le relazioni Meli, V. (a cura di), “Commentario” con Maugeri M.R.; Figà Talamanca G.; Meli V., “Modifiche alla disciplina dell’abuso di dipendenza economica e agli art. 8 imprese pubbliche e in monopolio legale e 15 diffide e sanzioni della legge antitrust”, in Nuove Leggi Civili Commentate, 2001, p. 1061. Paoloni, L., “I Consorzi di tutela ed i contratti per le politiche dell’offerta dopo il d. lgs. 61/2010”, in Rivista di Diritto Alimentare, n. 3, 2012, p. 27. Sacco, R., “Il contratto”, in Vassalli F. (diretto da), Trattato di diritto civile italiano, VI, 2, Torino, 1975, p. 526. Sumner Maine, H.J., Ancient Law, London, 1861. Tommasini, R., “La nuova disciplina dei contratti per i prodotti agricoli e alimentari”, in Rivista di Diritto Alimentare, n. 4, 2012, p. 3. Tommasini, R., “Nullità”, in Enciclopedia del Diritto, XXVIII, Milano, 1978, p. 878. Torchia, T., Il governo delle differenze. Il principio di equivalenza nell’ordinamento europeo, Bologna, 2006. 81 La tavola rotonda: “Prospettive e proposte per la competitività del prodotto italiano” La tavola rotonda LA QUALITÀ NEGLI OLI EXTRAVERGINI DI OLIVA TRA CERTEZZE E CONFUSIONE Maurizio Servili1 1.Introduzione Nell’affrontare la problematica relativa alla qualità degli oli estratti dalle olive, al momento attuale, si evidenzia la necessità incombente di dare risposte a domande sempre più pressanti relative al rapporto tra categoria commerciale di un olio e qualità reale da esso posseduta. In altre parole, la domanda è semplicemente questa: “l’olio extravergine di oliva nel suo complesso, sulla base delle normative comunitarie, è un prodotto che possiamo considerare di alta qualità?”. Tale domanda viene legittimata anche dal fatto che, ad accompagnare la definizione di categoria commerciale di appartenenza, in etichetta viene inserita la dicitura, sicuramente chiara dal punto di vista lessicale, ma foriera di innumerevoli incomprensioni «olio di categoria superiore [ecc...]»”. Chi legge tale indicazione oltre magari a domandarsi, “ma superiore a chi o a che cosa?”, è in ogni caso legittimato a pensare che si trova di fronte ad un prodotto che rappresenta il top della produzione degli oli estratti per via meccanica dalle olive. A questo punto la questione è: ciò corrisponde a realtà? La risposta non potrà che essere dialettica e quindi: “dipende”. Mai come in questo caso il “dipende” è d’obbligo e per capirne il perché dobbiamo partire dal quadro analitico relativo all’olio extravergine di oliva riportato nelle normative comunitarie. 2. La qualità negli oli extravergini di oliva In base alle norme vigenti il quadro merceologico utilizzabile nella classificazione degli oli estratti dalle olive tende a garantire due sole cose fondamentali, ma di per sé limitanti il concetto stesso di qualità: a) la purezza, prevalentemente intesa come assenza di aggiunte fraudolente di oli di altra origine o di “scarsa” qualità; 1 Professore associato presso il Dipartimento di Scienze Economico-Estimative e degli Alimenti, Sezione di Tecnologie e Biotecnologie degli Alimenti, Università degli Studi di Perugia. 85 b) il basso stato di alterazione, definito da alcuni parametri specifici riportati nella norma. Ci si riferisce, in particolare, ai valori dell’acidità libera, al numero di perossidi, alle costanti spettrofotometriche ed all’analisi sensoriale. Il basso stato di alterazione rappresenta certamente una condizione preliminare importate per qualsivoglia discorso relativo alla definizione di un’alta qualità del prodotto; ma sul concetto “basso stato di alterazione” dovremo fare delle precisazioni prendendo ad esempio un parametro semplice e da tutti conosciuto quale l’acidità libera dell’olio. Questo parametro è certamente una misura necessaria ma non sufficiente della qualità dell’olio extravergine di oliva, ma il punto è: siamo sicuri che lo 0,8% di acidità libera, espressa in acido oleico, rappresenti un basso grado di alterazione? E’ noto come un olio di alta qualità ottenuto da olive sane, raccolte al giusto grado di maturazione e lavorate subito dopo la raccolta, evidenzi un livello di acidità libera non superiore allo 0,3%. La differenza tra i valori di 0,3% e di 0,8% è abissale in quanto non esiste un’acidità libera “fisiologica” di un olio, intendendo con fisiologica quella dovuta ai normali processi biochimici di sintesi dei gliceridi, che abbia un valore di 0,8%. Per raggiungere questo limite, quindi, si sono “verificati” alcuni “errori” relativi allo stato sanitario delle olive o al tipo e periodo di raccolta o alla pratica della conservazione delle stesse. Questo a dimostrare, qualora ce ne fosse bisogno, che il valore di acidità libera dell’olio extravergine di oliva fissato a 0,8% è il risultato di una convezione commerciale definita all’interno dei Paesi appartenenti al Consiglio Olivicolo Internazionale che, non necessariamente, riflette la qualità reale del prodotto. Quanto detto per l’acidità libera può essere ampiamente esteso ai perossidi, alle costanti spettrofotometriche ed ancor più al nuovo e tanto discusso parametro degli alchil esteri, per il quale va osservato che a fronte di un limite massimo della norma per gli oli extravergini pari a 75 mg/kg, gli oli di alta qualità si collocano sotto a 20 mg/Kg. Ciò potrebbe da solo bastare ad evidenziare che l’olio extravergine di oliva, quale categoria commerciale, è attualmente troppo ampia e non è in grado di fornire al consumatore un’indicazione chiara di ciò che si dovrebbe intendere con «olio di categoria superiore». Ciò detto, non ci si deve stupire se, d’altra parte, si è passati dalle quattro classi commerciali atte al consumo diretto, nell’ambito della categoria degli oli vergini, contemplate nella vecchia normativa nazionale di cinquantennale memoria (legge 13 novembre 1960, n.1407) a, di fatto, una sola categoria che è l’«olio extravergine di oliva», indicata nel reg. (CEE) n. 2568/91; questo perché la classe dell’«olio vergine di oliva», seppure prevista dalla norma comunitaria, è di fatto inesistente a livello di mercato al minuto. 86 La tavola rotonda Tabella 1 - Composizione chimica dell’olio extravergine di oliva Ne deriva che l’olio extravergine di oliva, in teoria destinato a rappresentare, per qualità, il vertice di una piramide nella categoria degli oli estratti dalle olive (piramide che vedrebbe alla sua base l’olio di oliva), rischia di diventare, paradossalmente, la punta di una piramide spuntata. Questo perché entrano nella categoria degli extravergini oli che per definizione sono «oli di categoria superiore» ma spesso mediocri dal punto di vista qualitativo, caratterizzati solo dal fatto di essere stati estratti dalle olive per via meccanica ed aventi un minimo di rispondenza chimica o sensoriale. Ciò è ancora più evidente se dal piano meramente merceologico ci si sposta su quello più ampio di valutazione della qualità dell’olio extravergine di oliva che comprenda anche aspetti relativi al valore salutistico ed alle peculiarità sensoriali del prodotto. In questo caso, il concetto stesso di «olio di categoria superiore» diviene veramente “un portatore sano di confusione” per il consumatore, 87 al quale non viene fornita alcuna indicazione sulle proprietà salutistiche degli oli extravergini di oliva, dovute alla combinazione peculiare delle attività biologiche di una serie di molecole in esso contenute (Tab. 1). Facciamo riferimento all’alto contenuto in acido oleico ed alla presenza di molecole ad attività biologica peculiare, quali i composti fenolici idrofili o “biofenoli” (Tab. 2 e Fig. 1), l’α-tocoferolo e lo squalene. Tabella 2 - Composti fenolici presenti nell’olio extravergine di oliva Acidi fenolici e derivati Alcoli Fenolici Acido Vanillico (3,4-Diidrossifenil)etanolo (3,4 DHPEA) Acido Siringico (p-Idrossifenil)etanolo (p-HPEA) Acido p-Cumarico (3,4-Diidrossifenil)etanolo-glucoside Acido o-Cumarico Acido Gallico Lignani Flavonoidi Acido Caffeico (+)-1-Acetossipinoresinolo Apigenina Acido Protocatechico (+)-Pinoresinolo Luteolina Acido p-Idrossibenzoico Acido Ferulico Idrossi-isocromani Acido Cinnamico 4-(acetossietil)-1,2-diidrossibenzene Acido Benzoico Secoiridoidi Forma dialdeidica dell’ acido decarbossimetil elenolico legato al 3,4-DHPEA ( 3,4 DHPEA-EDA) Forma dialdeidica dell’acido decarbossimetil elenolico legato al p-HPEA (p-HPEA-EDA) Oleuropeina aglicone (3,4 DHPEA-EA) Ligustroside aglicone Oleuropeina Forma dialdeidica dell’oleuropeina aglicone Forma dialdeidica del ligustroside aglicone Si può pertanto affermare che un olio extravergine di oliva fa bene alla salute non tanto perché è classificato come «extravergine» ma, piuttosto, nella misura in cui, all’interno di tale categoria, è caratterizzato da un alto tenore in acido oleico e da un elevato contenuto in α-tocoferolo e biofenoli. Il problema che si pone, però, è quanto alto deve essere questo contenuto e come comunicarlo al consumatore. 88 La tavola rotonda Passando ai valori numerici che, forse più di tante parole possono spiegare la problematica, va osservato come il contenuto in acido oleico di un olio extravergine di oliva, a livello di piattaforma produttiva mondiale, può oscillare tra il 49% e l’82% della composizione acidica totale; la concentrazione in biofenoli può avere valori compresi tra 40 mg/Kg e 1.000 mg/Kg, così come una variazione del tutto analoga si può riscontrare per l’α-tocoferolo (Tab. 1 e Figg. 2 e 3). Figura 1 - Formule di struttura dei derivati dei secoiridoidi e degli alcoli fenolici presenti nell’olio di oliva Considerando che l’indicazione in etichetta riporta, in ogni caso, la definizione «olio extravergine di oliva» si può facilmente capire come ciò rappresenti un elemento di disinformazione più che di informazione per il consumatore. L’Unione europea, tramite la commissione dell’EFSA (Agenzia Europea per la Sicurezza Alimentare), ha iniziato un lungo cammino accettando, con il reg. (CE) n. 432/2012, il claim relativo alla capacità dei composti fenolici degli oli vergini di oliva di ridurre il rischio delle malattie 89 cardiovascolari2. Infatti, è stato confermato il principio, scientificamente dimostrato, che il consumo di composti fenolici dell’olio di oliva (idrossitirosolo e derivati dell’oleuropeina in particolare) in ragione di 5 mg/giorno, riducendo la perossidazione dei lipidi ematici, può avere un impatto positivo nella prevenzione delle malattie cardiovascolari. L’informativa dell’EFSA evidenzia, però, che tale apporto quotidiano di biofenoli deve essere compatibile con il moderato consumo giornaliero di sostanze grasse costituito, per una persona adulta, da 20g/giorno (EFSA, 2011). Questo comporta che un olio extravergine di oliva può avere gli effetti positivi sulla salute umana sopra ricordati soltanto se contiene almeno 250-300 mg/Kg di composti fenolici contenenti idrossitirosolo e suoi derivati, visto che non tutto il patrimonio fenolico di tale olio risulta attivo in tal senso. Figura 2 - Valori medi (mg/kg) dei polifenoli totali in oli extravergini di oliva* 1000 931,2 900 800 700 600 500 400 388,6 300 200 100 0 45,6 Media Massimo Minimo Polifenoli totali (mg/Kg) * Dati non pubblicati. Valori medi misurati su 510 campioni di oli extravergini di oliva dove la concentrazione dei polifenoli era determinata secondo quanto riportato da Montedoro et al., 1992. Fonte: elaborazioni dell’Autore. 2 Secondo il reg. (CE) n. 1924/2006 relativo alle indicazioni nutrizionali e sulla salute fornite sui prodotti alimentari, le indicazioni “funzionali generiche” sulla salute (health claims) comprendono: 1) il ruolo di una sostanza nutritiva o di altro tipo per la crescita, lo sviluppo e le funzioni dell’organismo; 2) le funzioni psicologiche e comportamentali; 3) il dimagrimento o il controllo del peso oppure la riduzione dello stimolo della fame o un maggiore senso di sazietà o la riduzione dell’energia apportata dal regime alimentare. L’autorizzazione all’uso degli health claims è concessa con regolamento dell’UE solo se ne esiste fondamento scientifico, sentita la commissione dell’EFSA. Tale commissione è composta da esperti scientifici chiamati a esprimere i propri pareri prendendo in considerazione tutti i dati scientifici pertinenti, condividendo le norme applicate dal Codex Alimentarius e dalla Food and Drug Administration statunitense e considerando gli studi sull’uomo essenziali ai fini della fondatezza. 90 La tavola rotonda Figura 3 - Valori medi (mg/kg) di α-tocoferolo in oli extravergini di oliva* 800 751,1 700 600 500 400 300 250,6 200 100 23,0 0 Media Massimo Minimo α-tocoferolo *Dati non pubblicati. Valori medi misurati su 510 campioni di oli extravergini di oliva dove la concentrazione dei tocoferoli era determinata secondo quanto riportato da Psomiadou et al., 1999. Fonte: elaborazioni dell’Autore. Un discorso molto simile può essere fatto per gli aspetti sensoriali degli oli extravergini di oliva. Attualmente sono presenti sul mercato oli che, quando non rasentano il difetto sensoriale, sono comunque caratterizzati da minimi livelli di fruttato. A questa tipologia di oli si affiancano, all’interno della stessa classe merceologica e quindi con la stessa dicitura «olio extravergine di oliva» le c.d. “Ferrari dell’olio extravergine”, ovvero oli di altissima qualità con profili sensoriali da primato, per lo più provenienti da cultivar tradizionali italiane. L’assenza di informazioni dettagliate su queste caratteristiche, genera nella mente del consumatore una forte confusione che non aiuta la scelta consapevole del prodotto3. 3 D’altra parte, nel sistema agroalimentare, come è noto, è presente una forte «asimmetria informativa» a causa della quale il consumatore non dispone di tutte le informazioni necessarie per distinguere e acquistare il prodotto che risponde meglio alle proprie aspettative; in tale situazione, definita «azzardo morale», non è raro il caso in cui le imprese riescono a rifilare ai consumatori i c.d. bidoni («lemons») poiché, sfruttando la lacunosità delle informazioni e l’assenza di controlli sulla qualità dei loro prodotti, riescono a vendere alimenti con un livello qualitativo inferiore a quello segnalato ma praticando un prezzo che corrisponde ad una qualità elevata (Akerlof, 1970). 91 3.Conclusioni In conclusione, il concetto di olio extravergine di oliva non è in grado di informare il consumatore sulle reali caratteristiche qualitative dell’olio imbottigliato e magari venduto a prezzi stracciati; ne consegue la necessità assoluta di differenziare, all’interno della stessa classe commerciale, gli oli extravergini di alta qualità, provenienti da filiere certificate e caratterizzati da parametri analitici in grado di tenere in considerazione anche aspetti della composizione dell’olio strettamente legati alle sue specificità sensoriali e salutistiche. In questo contesto si possono collocare tutte le iniziative che tendono a segmentare la categoria degli oli extravergini in modo tale da fare chiarezza sia sull’origine geografica o genetica, sia sulla reale qualità del prodotto. Ne sono un esempio l’olio extravergine di oliva che ha ottenuto il marchio «100% Qualità Italiana»4, le monocultivar e gli oli DOP e IGP, ovvero tutti quei prodotti di alta qualità soggetti al rispetto di un disciplinare che ne definisce le regole di produzione “dal campo alla bottiglia”5. In sintesi, non si può produrre alta qualità senza un’adeguata gestione della pratiche agronomiche dell’oliveto, dalla concimazione all’irrigazione fino alla scelta del giusto grado di maturazione del frutto. Tanto meno questo è possibile se non vengono rigorosamente applicate pratiche tecnologiche in grado di esaltare le qualità intrinseche della materia prima invece di deprimerle. Tutto ciò è poi legato, in campo agronomico, all’elemento più importante e peculiare della produzione olivicola nazionale: il fattore cultivar. La cultivar è l’espressione di quella biodiversità della quale l’Italia agricola si fa a ragione vanto e per la quale il settore olivicolo rappresenta, con il suo elevatissimo numero di cultivar in produzione, la punta di diamante. Nessun altro Paese al mondo mantiene, infatti, l’elevato numero di cultivar riscontrabili in Italia, tali da consentire di ottenere oli diversi sul piano sensoriale, ma per lo più conformi alle indicazioni dell’EFSA dal punto di vista salutistico. 4 Il marchio si riferisce a un prodotto di alta qualità, ovvero che rispetta parametri analitici e sensoriali più restrittivi di quelli indicati dall’attuale normativa vigente, di sicura provenienza italiana e tracciato dal sistema UNAPROL (Cfr. Scaramozzino in questo stesso volume). 5 Si veda anche la relazione di Petrucci in questo stesso volume. 92 La tavola rotonda Bibliografia Akerlof, G.A., “The market for «Lemons»: quality uncertainty and the market mechanism”, in Quarterly Journal of Economics, 84 (3), 1970, pp. 488-500. EFSA Panel on Dietetic Products, Nutrition and Allergies (NDA), “Scientific Opinion on the substantiation of health claims related to polyphenols in olive and protection of LDL particles from oxidative damage (ID 1333, 1638, 1639, 1696, 2865) pursuant to Article 13(1) of Regulation (EC) No 1924/2006”, in EFSA Journal, 9, 4, 2033, 2011, pp. 1-25. Legge 13 novembre 1960, n. 1407, “Norme per la classificazione e la vendita degli oli di oliva”, in Gazzetta Ufficiale, 295, 2/12/1960. Montedoro, G.F.; Servili, M.; Baldioli, M.; Miniati, E. “Simpleand hydrolyzable phenolic compounds in virgin olive oil. 1. Their extraction, separation, and quantitative and semiquantitative evaluation by HPLC”, in J. Agric. Food Chem., 40, 1992, pp. 1571-1576. Psomiadou, E.; Tsimidou. M., “Simultaneous HPLC Determination of Tocopherols, Carotenoids and Chlorophylls for Monitoring Their Effect on Virgin Olive Oil Oxidation”, in J. Agric. Food Chem., 46, 1999, pp. 5132-5138. Regolamento (CEE) n. 2568/91 della Commissione dell’11 luglio 1991, “relativo alle caratteristiche degli oli d’oliva e degli oli di sansa d’oliva nonché ai metodi ad essi attinenti”, in Gazzetta Ufficiale, L, 248, 5/9/1991. Regolamento (UE) n. 432 della Commissione del 16 maggio 2012, “relativo alla compilazione di un elenco di indicazioni sulla salute consentite sui prodotti alimentari, diverse da quelle facenti riferimento alla riduzione dei rischi di malattia e allo sviluppo e alla salute dei bambini”, in Gazzetta Ufficiale, L, 136/1, 25/5/2012. 93 La tavola rotonda FATTIBILITA’ DELLA TUTELA DELL’OLIO EXTRAVERGINE DI OLIVA ITALIANO Agostino Macrì1 1. La produzione dell’olio di oliva L’olio di oliva è il condimento di base dell’alimentazione degli italiani ed il suo consumo si aggira intorno ai 15 kg pro capite ogni anno. E’ costituito da grassi saturi ed insaturi (acido oleico, linoleico e palmitico in prevalenza), vitamine e numerosi antiossidanti. Si tratta, quindi, di un ottimo componente della dieta che, assunto nelle giuste quantità, può essere molto utile per mantenere un buono stato di salute. Il processo di produzione dell’olio comincia con la raccolta delle olive e il loro trasporto presso i frantoi dove, dopo essere state lavate e defogliate e aver subìto una prima frantumazione, vengono spremute meccanicamente ottenendo l’olio e un residuo solido che viene chiamato “sansa”. Sia il prodotto di “prima spremitura” che la “sansa” vengono successivamente sottoposti ad altri processi di lavorazione che portano alla produzione di oli con diverse classificazioni merceologiche, le cui principali sono l’«olio extravergine d’oliva» e l’«olio d’oliva». La differenza è che per olio extravergine si intende quello ottenuto dalla prima spremitura, mentre quello semplicemente di oliva si ricava dalle lavorazioni successive. I grassi dell’olio d’oliva sono presenti sotto forma di trigliceridi, ovvero di composti formati da glicerina ed acidi grassi. Quando il processo di produzione dell’olio non è condotto in modo ottimale, si verificano delle reazioni che scindono i trigliceridi in glicerina e acido grasso e quindi si ha un aumento dell’acidità dell’olio. Per questo, uno dei caratteri distintivi dell’olio è rappresentato proprio dall’acidità, ovvero dalla presenza di acido oleico libero, che nei migliori oli extravergini è inferiore allo 0,5%2. 1 Unione Nazionale Consumatori. L’Unione è un’associazione di cittadini e consumatori - la più antica in Italia, fondata nel 1955 da Vincenzo Dona, riconosciuto padre del movimento consumerista italiano - legittimata ad agire a tutela collettiva di consumatori e utenti. Lo Statuto prevede, altresì, che l’Unione promuova la qualità e la sicurezza dei prodotti e degli impianti, il rispetto del territorio e delle risorse naturali, l’efficienza dei servizi e l’equità delle relative tariffe (www.consumatori.it; www.sicurezzalimentare.it). 2 Si veda, al riguardo, anche la relazione di Servili in questo stesso volume. 95 E’ bene ricordare, però, che esistono dei processi di “raffinazione” industriale che consentono di neutralizzare l’acidità. Possono quindi essere presenti in commercio degli oli d’oliva con un grado di acidità molto basso pur non essendo extravergini. Le caratteristiche organolettiche dell’olio (cioè il suo colore, il suo odore, il suo sapore) sono influenzate non solo dal livello di acidità, ma anche da molti altri fattori legati all’intera filiera produttiva. Le piante sono di diverse varietà e, anche in funzione dell’ambiente in cui vengono coltivate, danno frutti con caratteristiche anche molto diverse tra loro che conferiscono all’olio gusti molto specifici. Molto importanti sono poi le condizioni di salute delle piante e se ci sia stata o meno qualche malattia che potrebbe avere danneggiato i frutti, alterando la qualità dell’olio (in questi casi, infatti, si deve ricorrere all’uso di fitofarmaci che possono persistere nelle olive e quindi lasciare residui nell’olio). Le olive vanno raccolte al giusto punto di maturazione ed esistono vari metodi di raccolta che possono essere quello tradizionale a terra oppure in teloni dove vengono fatte cadere le olive per essere poi trasportate nei frantoi. Ma è di fondamentale importanza anche la conservazione delle olive dal momento della raccolta alla lavorazione nei frantoi. Se i tempi sono prolungati e le temperature elevate, infatti, si possono avere dei fenomeni di fermentazione delle olive che, oltre alla formazione di acido oleico libero, possono dare origine anche ad alcol metilico ed alcol etilico. In queste condizioni si verificano delle reazioni tra gli alcoli e gli acidi grassi con la formazioni di alchil esteri. La presenza di queste sostanze denota quindi degli errori nella conservazione delle olive (secondo l’Unione europea negli oli extravergini di oliva la concentrazione di alchil esteri deve essere inferiore a 75 mg/kg), anche se, per ridurre la concentrazione degli alchil esteri, esistono dei processi industriali di “deodorazione” che consistono nel sottoporre l’olio ad un processo di distillazione sotto vuoto in una corrente di vapore ad una temperatura elevata. Comunque, è bene ricordare che le numerose sostanze benefiche dell’olio (polifenoli, fitosteroli, vitamine, ecc.) possono però degradarsi in condizioni di conservazione non favorevoli quali, ad esempio, temperature elevate ed esposizione alla luce. 2.C’è olio e olio Abbiamo già accennato alla distinzione tra olio extravergine di oliva e olio di oliva. Ma non è tutto: esistono diverse categorie di oli disponibili in commercio e che ancora una volta possiamo suddividere nelle seguenti categorie. La prima è quella dell’olio “grezzo” extravergine che può essere acquistato 96 La tavola rotonda direttamente presso il frantoio e/o dal produttore che lo ritira immediatamente dopo la lavorazione. Poi ci sono gli oli DOP (Denominazione di Origine Protetta) o IGP (Indicazione Geografica Protetta): in questi casi esistono dei disciplinari di produzione da rispettare che consentono di produrre olio extravergine di oliva proveniente da determinati ambiti territoriali che conferiscono loro le qualità organolettiche. C’è poi la categoria degli oli “biologici” che si ottengono da coltivazioni in ambienti controllati per assicurare l’assenza di sostanze chimiche di sintesi (pesticidi) o contaminanti ambientali. Il metodo di produzione biologico, riconosciuto e normato a livello comunitario dal reg. (CE) n. 834/2007 relativo alla produzione biologica e all’etichettatura dei prodotti biologici, è provato dalla certificazione rilasciata da un organismo o da un’autorità di controllo riconosciuti ai sensi del regolamento stesso. Esiste infine la categoria più ampia che raggiunge tutti i cittadini e che sono gli oli elaborati dall’industria alimentare disponibili negli esercizi commerciali. Questi oli si ottengono mediante una serie di lavorazioni della materia prima che viene reperita dal mercato nazionale ed anche internazionale e che dà origine alle varie categorie merceologiche cui si è accennato in precedenza. 3. La provenienza dell’olio d’oliva Per il nostro Paese, l’olio d’oliva è sicuramente uno degli alimenti più rappresentativi ed anche tra i più ricercati dai consumatori di tutto il mondo. Non sono rari, però, i casi di bottiglie di olio di oliva prodotte all’estero ed etichettati con diciture che richiamano il nostro Paese, ma non sono in verità italiani. E possono capitare anche situazioni di bottiglie confezionate in Italia utilizzando olio d’importazione. Per queste ragioni l’Unione Nazionale Consumatori ritiene che sia di fondamentale importanza informare al meglio i cittadini su questo prezioso alimento. La realtà è molto complessa ed il principale problema è che l’olio di oliva prodotto interamente in Italia non è sufficiente a coprire i fabbisogni alimentari nazionali: 510.000 tonnellate l’anno contro un consumo nazionale di 730.000 tonnellate. Va considerato, anche, che ogni anno vengono esportate 392.000 tonnellate di olio: in pratica abbiamo quindi un deficit produttivo di oltre 600.000 tonnellate che vengono coperte con l’importazione da altri Paesi del bacino Mediterraneo. 97 I dati dimostrano che, almeno al momento attuale, non è possibile fare a meno delle importazioni sia per coprire i fabbisogni nazionali che per riuscire ad esportare l’olio, che è una voce importante per la nostra bilancia dei pagamenti. Va detto però che la qualità del nostro prodotto merita di essere tutelata. E’ innegabile, infatti, che i prodotti di alta qualità siano richiesti dai consumatori più esigenti e che abbiano anche la disponibilità finanziaria per acquistarli. Si tratta di un mercato nazionale ed internazionale in cui i nostri oli DOP, IGP e biologici dovrebbero trovare un ampio sostegno, consentendo loro di ridurre i costi di produzione ed allargare la fascia dei potenziali acquirenti abbassando i prezzi. Dovrebbe esserci quindi uno stimolo ad incrementare le produzioni olivicole nazionali e soprattutto quelle di qualità, cercando di invertire la tendenza attuale ad abbandonare gli oliveti perché scarsamente remunerativi. 4. La legge «salva olio»: quali vantaggi per i consumatori? Con la legge c.d. «salva olio» (legge 14 gennaio 2013, n. 9)3, il cui obiettivo è di difendere le produzioni nazionali dalla “concorrenza” degli oli di importazione mediante una serie di misure che sostanzialmente dovrebbero consentire di poter identificare con precisione l’olio italiano, si è deciso di mettere ordine nella produzione e commercializzazione dell’olio di oliva, distinguendo l’olio extravergine di intera produzione italiana da altri oli imbottigliati in Italia, ma prodotti con oli di importazione oppure con olive importate e frante nel nostro Paese. Per riuscire a distinguere il prodotto interamente nazionale è stato deciso di applicare dei criteri di qualità più rigorosi ed in particolare di abbassare, per l’olio extravergine di oliva, il limite del valore degli alchil esteri a 30 mg/kg (rispetto ai 70 mg/kg decisi dalla UE). Inoltre, è stato stabilito che una valutazione possa essere fornita tramite un esame sensoriale effettuato mediante dei “panel test” e sono state previste sanzioni severe per i “frodatori” in modo da garantire ai consumatori la possibilità di poter scegliere l’olio sicuramente italiano. Anche se le misure indicate dal nostro Paese non hanno trovato completo accoglimento da parte delle strutture comunitarie che, di fatto, hanno “congelato” per un anno la nostra legge, si deve comunque rilevare che una buona lavorazione assicura un basso livello di alchil esteri sia per gli oli di produzione nazionale 3 98 Si veda, al riguardo, la relazione di Masini in questo stesso volume. La tavola rotonda che per quelli di importazione e quindi difficilmente può essere considerato un carattere distintivo probante. Esiste, inoltre, la possibilità di una deodorazione industriale che di fatto abbassa notevolmente la loro concentrazione e rende molto complesso fare dei controlli adeguati. Anche la valutazione sensoriale può essere scarsamente probante per dimostrare che si tratta di un olio di produzione nazionale in quanto i caratteri qualitativi richiesti possono essere ottenuti anche da ottimi oli di importazione. E non si può poi escludere che ci siano degli oli italiani che non possiedono caratteristiche organolettiche ottimali. Non si capisce però perché si sia ignorato il valore delle sostanze antiossidanti presenti nei migliori oli extravergini che conferiscono un valore aggiunto che sarebbe molto apprezzato dai consumatori più esigenti. Nonostante l’entusiasmo manifestato anche da parte di certe organizzazioni consumeristiche, sorge il dubbio che la legge «salva olio» si possa trasformare in un boomerang che salvaguardi gli interessi di pochi ed in pratica appesantisca i costi soprattutto per i piccoli produttori e le aziende artigianali, con il rischio che vengano a trovarsi fuori mercato. D’altra parte, cercando le opinioni in materia in altri Paesi, non può sfuggire il fatto che gli olivicoltori spagnoli accusano l’industria olearia italiana di acquistare la materia prima in Spagna per poi procedere all’imbottigliamento in Italia ed esportare in tutto il mondo le bottiglie con il marchio «made in Italy». I consumatori trovano grandi difficoltà a capire quali siano i meccanismi che ci sono dietro le varie operazioni. Non bisogna sottovalutare il fatto che ai consumatori interessa soprattutto la sicurezza dei prodotti alimentari: la prima cosa che essi vogliono sapere è se l’olio extravergine di oliva che trovano negli scaffali dei negozi o dei supermercati a prezzi ampiamente sotto i 5 euro siano sicuri o presentano qualche pericolo. Pertanto, se il consumatore riesce a trovare un olio sicuro a basso prezzo gli può essere indifferente se si tratta di un olio italiano o di importazione. Bisogna dare una risposta precisa perché l’olio è consumato in tutte le fasce di età ed è un componente essenziale della nostra dieta. Molti acquistano l’olio direttamente dai produttori e spesso si instaurano dei rapporti di fiducia e non si hanno difficoltà a pagare il prodotto il doppio o forse più di un olio commerciale. La ragione di questo divario di prezzo (apparentemente ingiustificato) dipende dal fatto che quello “commerciale” è tutto di importazione? Con l’applicazione della nuova legge si deve pensare che sul mercato si troverà olio extravergine di origine italiana garantito dai controlli chimici ed anche 99 sensoriali, ma anche olio straniero, oppure olio italiano tagliato. Si tratta di un aspetto molto delicato soprattutto perché probabilmente si tratta di oli che da un punto di vista di sicurezza sono molto simili se non del tutto uguali. Bisognerà quindi spiegare ai cittadini quali sono le ragioni per cui è opportuno scegliere l’olio di produzione interamente italiana. Bisogna anche avere la certezza che gli accertamenti analitici previsti siano sufficienti a garantire l’origine; la prova sensoriale, anche se condotta conformemente a procedure standardizzate e con personale altamente specializzato, potrebbe, come detto, non garantire l’accertamento delle differenze tra un ottimo olio spagnolo ed uno italiano. Una certezza dovrebbe arrivare dagli oli DOP controllati dai Consorzi che ne garantiscono l’origine e dagli oli biologici di cui gli organi di certificazione controllano il “processo”. Lo scenario che si presenta ai consumatori è piuttosto complesso e non sempre facile da comprendere. Indipendentemente dalle norme esistenti è necessario fornire delle indicazioni chiare ai cittadini in primo luogo sulla sicurezza alimentare dei diversi tipi di olio ed anche sui vantaggi che possono derivare dal consumo di prodotti interamente italiani. Solo così i consumatori avranno la possibilità di fare una scelta consapevole a tutela della loro salute ed anche degli interessi delle produzioni nazionali (cfr. Fig. 1). Figura 1 - Un annullo d’epoca su busta affrancata: già nel 1930 si faceva propaganda all’olio italiano 100 La tavola rotonda IL SISTEMA OLIO E LE DOP Stefano Petrucci1 1. Il mercato dell’olio extravergine d’oliva e le DOP In un settore in cui le aziende agricole diminuiscono quelle che aderiscono alla produzione di olio DOP/IGP2 crescono sia in numero sia in superfici (Tabb. 1-3); questo vale anche per le aziende di piccole dimensioni, categoria che, nelle produzioni agricole nel complesso, ha presentato mortalità più elevata negli ultimi anni (dati ISTAT). Tabella 1 - Produzione di olio extravergine d’oliva in Italia (tonn.) 2007/2008 2008/2009 2009/2010 2010/2011 510.000 540.000 430.000 440.000 Fonte: elaborazioni UNAPROL su dati COI e ISTAT. Tabella 2 - Produzione di olio DOP/IGP in Italia (tonn.) e quota di mercato sul totale nazionale di produzione di olio extravergine d’oliva 2007/2008 2008/2009 2009/2010 2010/2011 7.166 8.509 10.362 10.439 1,41% 1,58% 2,41% 2,37% Fonte: elaborazioni ISMEA su dati degli Organismi di controllo. 1 Presidente del Consorzio Sabina DOP. Il Consorzio per la tutela e la valorizzazione dell’olio a denominazione di origine protetta della Sabina, riconosciuto con D.M. 23 ottobre 2009 n. 16106, è dedicato alla tutela della DOP e alla vigilanza sul corretto uso del marchio (si veda logo Fig. 8). Il Consorzio è costituito tra produttori olivicoli, frantoi e imbottigliatori di una vasta zona che comprende 46 comuni delle province di Roma e Rieti (www.sabinadop.it). 2 La «denominazione di origine» (DOP) e l’«indicazione geografica» (IGP) sono segni comunitari - da ultimo normati dal reg. (UE) n. 1151/2012, del 21 novembre 2012, sui regimi di qualità dei prodotti agricoli e alimentari -, ovvero nomi che identificano determinati prodotti oggetto di specifici regolamenti che ne hanno determinato i rispettivi «disciplinari». Nella DOP tutte le fasi del processo produttivo devono far riferimento ad una zona geografica delimitata mentre nella IGP almeno una delle fasi deve far riferimento ad un’area circoscritta; in entrambi i casi vi è un nesso diretto di causalità fra l’area di produzione e le caratteristiche distintive del prodotto. 101 Tabella 3 - Evoluzione di aziende e superfici destinate alla produzione di olio DOP/IGP 2007 2008 2009 2010 Aziende agricole (n.) 17.632 18.167 18.708 19.891 Superficie (ha) 84.513 88.814 92.981 98.092 Fonte: ISTAT. Figura 1 - Le DOP d’Italia Fonte: nostre elaborazioni. Secondo il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali (MIPAAF): «le 102 La tavola rotonda certificazioni DOP e IGP, dopo 20 anni dalla prima introduzione, hanno coinvolto un numero elevato di aree produttive e di certificazioni, tuttavia non potendo contare su volumi adeguati e essendo percepite come proposte distinte, non è stata applicata un’adeguata strategia di comunicazione e marketing tale da spingerne i consumi in maniera soddisfacente. L’attuale categoria «extravergine» si presenta molto ampia in termini di gamma di prezzi, con forti differenze (+120%) tra le quotazioni degli oli DOP e IGP e il prodotto extravergine base. Tra il prodotto DOP e IGP (cfr. elenco, Fig. 1), i cui volumi sono ormai stabili intorno al 2% del mercato e gli extra di base, venduti a prezzi molto inferiori, c’è una vasta area di potenziale valore che non trova proposte coerenti in grado di posizionarsi»3. L’area in questione è quella del made in Italy4. Premesso che sia in termini assoluti che in termini percentuali le DOP crescono costantemente mentre la produzione nazionale continua a scendere, si propone di guardare al mercato delle DOP da un altro punto di vista. Al riguardo, basti fare un paradossale esempio: se un prodotto è oggetto di contraffazione (e l’olio è tra i prodotti alimentari più contraffatti) si attribuisce maggiore importanza alle quantità prodotte o al volume di affari? Ovvero, se vengono vendute 1.000 borse false di un marchio prestigioso rispetto ad un solo prodotto originale, quale è la quota di mercato che rappresenta il marchio prestigioso 1/1.000? Eppure senza quella borsa quel mercato non esisterebbe. Figura 2 - Il logo del Consorzio Sabina DOP 2. L’analisi dei prezzi e delle vendite Il mercato di un prodotto può essere identificato per quantità o per volume di affari. Nelle figure 3-7 e nella tabella 4 viene esaminato il mercato dell’olio dal punto di vista dei prezzi e del fatturato. 3MIPAAF, Relazione sugli sbocchi di mercato per l’olio extravergine di oliva di alta qualità garantito dal Sistema di Qualità Nazionale, 12 dicembre 2012. 4 In quest’area si colloca l’olio extravergine di oliva di provenienza italiana. 103 Figura 3 - Prezzi sui mercati all’origine dell’olio di oliva (dati in valore, €/Kg) Fonte: elaborazioni Cerved Group su dati ISMEA. Figura 4 - Prezzi sui mercati all’origine dell’olio di oliva DOP IGP (dati in valore, €/Kg) Fonte: elaborazioni Cerved Group su dati ISMEA. 104 La tavola rotonda Figura 5 - Media dei valori di prezzo dell’olio extravergine, dell’olio extravergine 100% italiano e dell’olio DOP/IGP per Regione (€/kg), 2011* *Da sinistra a destra: olio extravergine; olio extravergine 100% italiano; olio DOP/IGP. Fonte: elaborazione UNAPROL su dati IRI-INFOSCAN. Nella tabella 4 è opportuno notare come la quota di mercato dell’olio extravergine made in Italy risulti uguale a quella degli oli DOP/IGP, ma è realizzata con quantità vendute più che doppie. Tabella 4 - Le vendite in Italia di olio extravergine, olio 100% italiano e olio DOP/ IGP, 2011 Litri venduti Fatturato (euro) Prezzo/litro(euro) Olio extravergine 215.000.000 846.000.000 3,93 Quota di mercato 100% Olio 100% italiano 23.650.000 109.972.500* 4.65* 13% Olio DOP/IGP 10.440.000 105.855.513 10,14 13% * non disponibile direttamente dalla fonte ma stimato in base ai prezzi medi riportati dalla stessa. Fonte: UNAPROL. Nel 2012, sulla base delle fonti citate in tabella, le vendite in Italia di olio extravergine e, in particolare, di olio extravergine «100% italiano» e di olio DOP/IGP presentano analoghi valori, con una leggera crescita dei volumi per le DOP (+1%). Analizzando le vendite in valore degli oli DOP all’interno della Grande Distribuzione Organizzata (GDO) si nota che questa è l’unica quota di mercato che è controllata per il 43% direttamente dai produttori e per il 45% da produttori e GDO; i brand principali, invece, controllano appena il 12% del mercato. 105 Figura 6 - Vendite di oli DOP in valore (euro) e per marche all’interno della GDO Fonte: elaborazioni FEDERDOP su dati IRI-INFOSCAN. Figura 7 - Vendite di olio DOP in volume (litri) per marche all’interno della GDO Fonte: elaborazioni FEDERDOP su dati IRI-INFOSCAN. 106 La tavola rotonda Ciò, a nostro avviso, testimonia inequivocabilmente che gli oli DOP hanno intrapreso la strada giusta per i seguenti motivi: 1) hanno creato un mercato che prima del 1997 era inesistente; 2) hanno raggiunto il 13% del mercato senza incentivi, cioè, per riprendere le parole della citata relazione del MIPAAF, «senza un’adeguata strategia di comunicazione e marketing tale da spingerne i consumi in maniera soddisfacente»; 3) riescono a vendere a valori superiori del 120% rispetto al made in Italy; 4) i produttori di olio DOP sono gli unici che presidiano direttamente il mercato finale. Il problema è il made in Italy che negli ultimi anni, nonostante gli “sforzi legislativi” e le ingenti risorse investite (se paragonate al mondo degli oli DOP) ha ottenuto la stessa quota di mercato degli oli DOP (13%), con un’importantissima differenza: il prezzo medio di vendita non giustifica gli sforzi fatti rispetto all’olio senza origine, ovvero non si è raggiunta la valorizzazione del prodotto. Questo spiega, anche, i volumi di produzione contenuti rispetto al totale nazionale. 3. Quale mercato possibile per l’olio L’approccio al mercato analizzato secondo i dati sopra esposti, può essere illustrato come una piramide (Fig. 8) dove il mercato, con all’apice gli oli DOP/IGP, è diviso in 4 fasce: l’olio extravergine made in Italy («100% italiano»), l’olio extravergine, l’olio vergine e l’olio lampante. Figura 8 - Collocazione dell’olio in Italia per fascia di prezzo Fonte: nostre elaborazioni. 107 A sinistra della figura è riportata la situazione attuale, mentre a destra il futuro auspicabile, con l’avvicinamento dell’olio extravergine made in Italy alla fascia di prezzo degli oli DOP/IGP. Dalla rappresentazione piramidale sono stati volutamente omessi i prodotti biologici, in quanto la certificazione dell’olio biologico dovrebbe essere considerata un valore in più per le prime tre categorie e non una categoria a parte. Inserirla, pertanto, significherebbe che il suo valore prescinde dall’origine e dalla qualità. 4. Il Sistema di qualità nazionale per l’olio extravergine di oliva («SQN Alta Qualità») e l’olio DOP A nostro avviso il SQN rappresenta un’opportunità per il made in Italy ma una minaccia per gli oli DOP. La FEDERDOP Olio5 ha manifestato al MIPAAF forti perplessità sull’impostazione del sistema «SQN Alta Qualità»6. Molti prodotti certificati come DOP non rientrerebbero nei parametri del «disciplinare Alta Qualità» previsto dal SQN. Il sistema di certificazione, infatti, risulta simile o anche più restrittivo su alcuni parametri e più “concessivo” su altri; inoltre, tale sistema elimina alla base tutti i fruttati leggeri. Tutte premesse per una collocazione del prodotto certificato SQN al top della gamma; ma se il prodotto così certificato si colloca al top della gamma, ovvero in alternativa alle DOP, potrà l’intero SQN raggiungere le quantità delle DOP, tra l’altro considerate scarse (13% della quota di mercato)? Ad oggi “alta qualità” del sistema SQN significa, a nostro avviso, “alternativa alle DOP”, con la conseguenza di generare confusione nei consumatori e nel mercato, oltre a minare l’unico attore della filiera olio che valorizza veramente il prodotto e presidia direttamente il suo mercato. Quest’ultima considerazione spiega, secondo il nostro punto di vista, anche il favorevole atteggiamento al progetto da parte della grande industria che da domani, con i suoi potenti mezzi (referenze nei supermercati) e laboratori chimici, potrà togliere di torno quei “fastidiosi” produttori DOP e rientrerà in gioco a pieno titolo su quel 13% di fatturato (cfr. Tabella 4), con il valore aggiunto più alto. Inoltre, più prodotti che non rientrano nei parametri del SQN, opportunamente miscelati, risulteranno di “alta qualità”, con la conseguenza che avremo definitivamente 5 FEDERDOP è l’organizzazione nazionale alla quale aderiscono 21 Consorzi di tutela delle DOP degli oli di eccellenza dei territori italiani. 6 Si veda al riguardo anche la relazione di Antonelli in questo stesso volume. 108 La tavola rotonda consegnato alla grande industria di trasformazione anche la fascia più alta del mercato, ad oggi in mano ai produttori. Si aggiunga a quanto esposto che i primi produttori di made in Italy sono proprio i territori DOP. Cerchiamo invece di parlare di qualità italiana con un logo riconoscibile, anche all’estero, dai consumatori ed adottando i parametri dell’olio italiano, con un sistema di certificazione del prodotto che consenta, come nelle DOP, di smascherare più facilmente i truffatori; allora potremmo intraprendere davvero un percorso nuovo, simile a quello già avviato per le DOP. Oggi il made in Italy è una prodotto virtuale, costruito prevalentemente con le carte; introducendo, piuttosto, una certificazione che preveda analisi chimiche e panel test su tutti i lotti destinati al commercio, potremmo raggiungere veramente i consumatori con quantità di prodotto certificato considerevoli, premiando i produttori e la qualità. Perché il made in Italy possa trasformarsi in uno strumento efficace è dunque necessario: • introdurre una certificazione del prodotto che prenda le mosse “seriamente” dall’origine e dalla qualità; • ridurre al minimo la burocrazia per non replicare uno dei principali ostacoli alla crescita già sperimentato dalle DOP; • pianificare e svolgere un’efficace comunicazione del prodotto; • lavorare su un brand e su tutti i suoi attributi (logo, packaging, ecc.) che renda immediatamente riconoscibile il prodotto da parte dei consumatori. In un mercato rappresentato, come detto, per il 13% dagli oli DOP, per il 13% dagli oli made in Italy e per la restante quota da oli senza origine, il MIPAAF dovrebbe organizzare un tavolo sul SQN, includendo le DOP che oggi rappresentano la più importante filiera olivicola del Paese, portatrice di un’esperienza positiva di valorizzazione del prodotto. 109 La tavola rotonda IL PROGRAMMA NAZIONALE DI RINTRACCIABILITA’ DI FILIERA DELL’UNAPROL: UNO STRUMENTO PER LA TUTELA E LA VALORIZZAZIONE DELL’OLIO EXTRAVERGINE «MADE IN ITALY» Unaprol 1 Per conto degli imprenditori aderenti, UNAPROL ha intrapreso diversi programmi nazionali di tutela e valorizzazione degli oli di oliva «made in Italy» con particolare riferimento ai segmenti dell’olio extravergine certificato ai sensi della norma UNI EN ISO 22005:08 (tracciabilità di filiera) (Box 1) e del disciplinare «Alta qualità italiana», che prevede requisiti sia di prodotto che di sistema più stringenti rispetto alla normativa cogente. In quest’ultima direzione è in corso un programma triennale di tracciabilità di filiera a valere sul reg. (CE) n. 867/20082 e successive modifiche e integrazioni, che impegna 570 filiere e oltre 7.000 aziende agricole. Le fasi di coltivazione, raccolta, trasformazione delle olive in olio, conservazione ed imbottigliamento sono certificate da un ente terzo che ne verifica la rispondenza alle prescrizioni contenute nel disciplinare di produzione adottato dalle filiere. Il disciplinare di tracciabilità è stato pensato non solo come uno strumento di controllo ma soprattutto come uno strumento di indirizzo: infatti in esso sono contenute le linee di comportamento per ogni attore della filiera che consentono di ottenere un prodotto di qualità rispettoso dell’ambiente. Il significativo lavoro svolto in questi anni da UNAPROL ha l’obiettivo di tutelare l’olio italiano di alta qualità e conferirgli quel meritato valore aggiunto che giustifichi il collocamento sul mercato a un prezzo superiore. In questo senso, recentemente, il Ministero ha pubblicato una proposta per un sistema di qualità nazionale «SQN-olio» che di fatto consente di differenziare, all’interno del seg1 UNAPROL - Consorzio olivicolo italiano. UNAPROL è la principale organizzazione italiana di olivicoltori nata nel 1966 quale Unione Nazionale tra le Associazioni di produttori di olive con compiti di gestione ed erogazione degli aiuti comunitari alla produzione dell’olio di oliva e delle olive da tavola. Scopo sociale dell’UNAPROL è valorizzare la produzione rappresentata anche attraverso la partecipazione ad attività di valenza comunitaria e nazionale in termini di miglioramento della qualità, dell’impatto ambientale, della tracciabilità e certificazione delle produzioni. 2 Regolamento (CE) n. 867/2008 della Commissione, del 3 settembre 2008, recante modalità di applicazione del regolamento (CE) n. 1234/2007 del Consiglio per quanto riguarda le organizzazioni di operatori del settore oleicolo, i loro programmi di attività e il relativo finanziamento. 111 mento dell’extravergine, un prodotto avente una qualità significativamente superiore rispetto alle norme commerciali correnti in termini di sanità pubblica, salute delle piante e tutela ambientale3. Partendo dal presupposto che l’extravergine comprende oli da 0,1 a 0,8 di acidità e che quindi in tale categoria è presente un segmento che ha delle caratteristiche chimiche ed organolettiche superiori - e che può fregiarsi dei famosi claims nutrizionali -, ed un segmento vicino allo 0,8 che di fatto ha delle caratteristiche inferiori, si intuisce l’efficacia di tale strumento nel differenziare il prodotto. Box 1 - La certificazione accreditata di parte terza e la norma UNI EN ISO 22005:08 La certificazione accreditata (di parte terza e indipendente) è il mezzo con cui un’azienda, che vi aderisce volontariamente, può dimostrare agli steakeholder economici e sociali la conformità del suo sistema di gestione e dei suoi prodotti/servizi ai requisiti della norma tecnica - definiti, controllabili e misurabili - per cui ha ottenuto la certificazione, internazionalmente riconosciuta, emessa dall’organizzazione internazionale ISO (International Organization for Standardization), adottata dal CEN (Comitato Europeo di Normazione) e conseguentemente adottata a livello nazionale dall’UNI (Ente Nazionale Italiano di Unificazione) La norma UNI EN ISO 22005:08 stabilisce i principi e i requisiti di base della progettazione e dell’esecuzione di un sistema di rintracciabilità dell’alimento e della filiera alimentare. L’adozione di questa norma permette alle organizzazioni del settore di: • seguire il flusso dei materiali (olio, materiali di imballaggio); • identificare la documentazione necessaria e la rintracciabilità in ogni fase di produzione; • garantire il necessario coordinamento tra gli addetti ai lavori; • permettere che ogni parte della filiera sia informata almeno riguardo ai suoi fornitori e ai clienti diretti. Lo standard di questo sistema consiste in una metodologia aperta, comprensibile, verificabile, con possibilità di ispezioni complete, dalle materie prime ai prodotti finiti, dall’origine alla consumazione. Un impegno così importante da parte del Consorzio e dei suoi associati doveva però essere adeguatamente comunicato al consumatore. Per questo abbiamo sviluppato un’etichetta innovativa basata sul «QR-code» (Fig. 1), una tecnologia ampiamente sfruttata oggi dalle aziende nel cosiddetto mobile marketing. Questo sistema nasce come integrazione del servizio di tracciabilità tramite messaggi di telefonia «Sms», già attivo dal 2002. Su ogni bottiglia di olio è presente un collarino su cui è riportato un QR-Code, che consente di visualizzare su dispositivi mobili come smartphone e tablet appositi “contenuti multimediali” on line, semplice3 Si veda, al riguardo, anche la relazione di Antonelli in questo stesso volume. 112 La tavola rotonda mente inquadrando il QR-code con la fotocamera. In questo modo, il consumatore in tempo reale accede ad un “mini-sito aziendale” nel quale sono presenti tutte le informazioni inerenti l’azienda, il territorio di produzione, le caratteristiche chimico-fisiche ed organolettiche del prodotto. Il valore aggiunto di questo portale della filiera olivicola italiana è che le informazioni/aziende sono validate e garantite da un sistema di tracciabilità di filiera certificato all’interno del suddetto programma dell’UNAPROL. In definitiva, il sistema di tracciabilità UNAPROL è uno strumento strategico per le imprese olivicole non solo per gli aspetti gestionali e di comunicazione ma soprattutto perché la tracciabilità - intesa come possibilità di ripercorrere a ritroso il processo produttivo, ovvero dal prodotto finito all’origine della materia prima, individuando ogni azienda che ha avuto un ruolo nella produzione e nel confezionamento del prodotto - ricopre un posto di rilievo nei principali standard e nelle norme dedicate al settore agroalimentare richiesti dalla Grande Distribuzione nazionale ed internazionale. Figura 1 - Il QR-code filiere UNAPROL 113 La tavola rotonda IL PROGETTO AIFO DELL’OLIO ARTIGIANALE Piero Gonnelli e Giampaolo Sodano1 1.Introduzione Quattro anni fa, dalla tribuna del nostro secondo congresso indicammo, in risposta alla crisi dell’associazionismo del settore oleario, la volontà di AIFO di promuovere un processo di unificazione e rinnovamento e di fare sistema tra le diverse, ma non antagoniste, realtà produttive dell’olio italiano. Da qui nacque l’unificazione con il FOR (Frantoi Oleari Riuniti), trasformando AIFO nell’associazione più rappresentativa del settore; tanto è vero che la base associativa, in quattro anni, è passata da 250 a 600 aziende. Una situazione nuova che ci ha investito di una grande responsabilità. Una responsabilità che abbiamo voluto tradurre in una strategia: «L’alleanza tra agricoltori, frantoiani e consumatori». Si aprì davanti a noi tutti un periodo di grande lavoro che fu coronato di successo grazie alle idee, alla generosità e all’intelligenza di un grande amico, Ranieri Filo della Torre, che sposò la nostra causa favorendo l’incontro con UNAPROL2, guidata da Massimo Gargano sulla base di un impegno convergente in difesa dell’olio italiano. Su questo percorso abbiamo incontrato la Coldiretti, che sotto la guida di Sergio Marini aveva rinnovato la sua organizzazione e la sua politica. Aver conseguito questi obiettivi ci ha reso più forti nella difesa delle nostre ragioni: abbiamo così sostenuto con forza la cosiddetta legge «salva olio»3 della senatrice Mongiello, intervenendo nel dibattito parlamentare nelle competenti commissioni di Camera e Senato, mentre al tavolo del Ministero delle Politiche 1 Rispettivamente Presidente e Direttore dell’Associazione Italiana Frantoiani Oleari (AIFO). AIFO nasce nel 1996 per iniziativa di un gruppo di imprenditori del comparto oleario con l’obiettivo di difendere gli interessi delle piccole e medie aziende artigiane che producono l’olio extravergine di oliva, coniugando gli interessi dell’impresa con la tutela dell’ambiente e la difesa del consumatore. Per queste ragioni AIFO ha promosso una politica di alleanze con gli agricoltori e le loro associazioni (Coldiretti e UNAPROL) e con i consumatori e le loro associazioni (CODICI). 2 Si veda al riguardo anche la relazione di Petrucci in questo stesso volume. 3 Si veda al riguardo anche la relazione di Masini in questo stesso volume. 115 agricole ci rendevamo protagonisti della battaglia per l’«Alta qualità»4. Ma verremmo meno ad un dovere di lealtà verso i nostri associati se non rivendicassimo l’impegno costante che AIFO ha messo nel sostenere e difendere tutte le azioni tese a favorire la nascita di un mercato dell’olio pulito e trasparente. Ci siamo alleati con le organizzazioni dei consumatori arrivando a sottoscrivere un protocollo d’intesa con l’«Associazione CODICI centro per i diritti del cittadino», istituendo una commissione comune con il compito di denunciare truffe e frodi e di favorire tutte le azioni che hanno la finalità di diffondere la cultura della qualità nel mondo imprenditoriale e della distribuzione, anche con la realizzazione di un progetto di tracciabilità e organizzando corsi di formazione di alta specializzazione per gli operatori dei frantoi; così come abbiamo sostenuto con lealtà e forza l’introduzione del registro telematico, chiedendo che venga esteso a tutti i frantoi compresi quelli aziendali e ai commercianti di olive. Questa nostra politica, che ripetiamo ha il solo scopo di far nascere un mercato trasparente, ci ha messo nelle condizioni di essere oggetto di critiche e attacchi strumentali da parte di alcuni organi di stampa, ma a volte anche da parte dei nostri stessi associati, che hanno lamentato un impegno di tempo e di costi per la gestione del registro a carico delle aziende, coinvolte, come tutto il Paese, in una situazione di forti difficoltà economiche. Ma su questa strada vogliamo continuare. Pertanto abbiamo avviato con la Guardia Forestale dello Stato e l’Agenzia delle Dogane, un’indagine, con la collaborazione di alcune nostre aziende, per individuare quale sia il corretto valore degli alchil esteri degli oli italiani, perché non siamo interessati a seguire quanti preferiscono coltivare il campo delle polemiche strumentali che servono solo a coprire antichi vizi a difesa di interessi particolari. Noi vogliamo un mercato in cui ci sia una regola semplice, elementare: che al consumatore vengano date tutte le informazioni per comprare una bottiglia di olio in piena consapevolezza, che sia garantito il suo diritto a sapere ciò che compra e a pagare il giusto prezzo. In questo impegno assolve un ruolo significativo la Grande Distribuzione Organizzata (GDO) che in alcuni suoi protagonisti ha già da tempo individuato la strada di rendere chiaro al cliente, sullo scaffale, la differenza fra prodotti di olio italiano di alta gamma e prodotti dell’industria di confezionamento. Noi non possiamo che operare affinché questa tendenza si sviluppi e si consolidi fino a coinvolgere tutta la Grande Distribuzione. 4 Si veda al riguardo anche la relazione di Antonelli in questo stesso volume. 116 La tavola rotonda 2. Il progetto AIFO dell’olio artigianale In questi anni abbiamo assistito ad un progressivo mutamento dei mercati come effetto della profonda crisi economica, della globalizzazione, dell’entrata di nuovi Paesi emergenti, dello spostamento della ricchezza da Ovest verso Est. Nulla è come prima: si impone un radicale cambiamento di mentalità e di offerta, le aziende sono tenute ad anticipare le richieste del mercato e l’Italia in particolare deve imparare a valorizzare le sue ricchezze e unicità produttive. Anche l’agricoltura non sarà più la stessa: accanto alle colture estensive acquisteranno spazi nuovi quelle caratterizzate da un alto tasso di specificità territoriale. Sarà il naturale equilibratore della globalizzazione, così come, sul piano politico, a realtà sovranazionali come l’Unione europea, è fatale faccia riscontro un potenziamento dell’autonomia delle comunità locali. Il processo di industrializzazione si riavvierà su basi nuove, dovendo scontare la competitività di costi e prodotti al livello mondiale. Difficile che un paese montuoso come l’Italia, con poche pianure e difficoltà conseguenti nelle infrastrutture di grande comunicazione, priva di materie prime e con un elevato costo dell’energia, possa contare su una forte industria pesante. Più facile prevedere un futuro di piccole e medie industrie manifatturiere cui farà riscontro naturalmente, anche ai fini occupazionali, uno sviluppo del settore agricolo, di un’agricoltura di qualità che fa leva sul clima, sulla cultura tradizionale dei campi e su una trasformazione dei prodotti agricoli che punta sulla unicità e sulla qualità, a fare da contrappunto alla produzione massificata e priva di specificità anche organolettiche dei prodotti dell’industria e delle grandi multinazionali. La biodiversità (in un Paese come il nostro che ha per tanto tempo sommariamente sottovalutato specie vegetali frutto di secoli di esperienza, di innesti sapienti, di selezioni oculate) è un bene prezioso che andrà sempre più tutelato, come del resto prevede la convenzione firmata da quasi tutti i Paesi del mondo a Rio de Janeiro nel 1992 e come stanno già facendo alcune Regioni. Il frantoio artigiano oleario, dove il mastro oleario miscela le cultivar seguendo antiche usanze, capace di coniugare insegnamenti trasmessi da generazioni con un uso intelligente e creativo delle nuove tecnologie estrattive, è destinato sempre più ad essere il naturale presidio della qualità e soprattutto della biodiversità. Abbiamo un progetto: dare una risposta di trasparenza al comparto dell’olio. Ce lo chiede il consumatore, ce lo chiedono i produttori di eccellenza che non trovano corrispondenza di valore al prodotto che offrono. 117 In questo progetto quelli che definiamo “produttori di eccellenza” sono i frantoi artigiani, perché sono aziende in cui lavorano persone competenti ed oneste, pronte a garantire il loro prodotto, perché hanno il controllo dell’intera filiera (dalla coltivazione dell’oliveto alla bottiglia sulla tavola del consumatore), la competenza professionale nella gestione delle tecnologie, nel metodo di trasformazione e la trasparenza nel processo di produzione e distribuzione; essi curano tutte le fasi della filiera, comprese le condizioni di distribuzione, perché dopo aver lavorato per un anno non possono abbandonare il loro prodotto nelle mani del caso. Nel nostro progetto questi produttori si incontrano, si conoscono, si stimano, si fidano e decidono di fare sistema per arrivare insieme sulle tavole dei loro clienti garantendo l’eccellenza del loro olio. Pertanto, si rende necessaria la creazione di identità e riconoscibilità a questa categoria di prodotto, per rendere più semplice e immediata l’individuazione delle loro qualità da parte dei consumatori. Nel nostro progetto, lavorando insieme, questi produttori si aiutano, si informano, si organizzano, si dotano di competenze interne ed esterne per essere i migliori, non solo nel contenuto delle loro bottiglie, ma anche nelle forme delle loro bottiglie, delle loro etichette, dei loro messaggi, delle loro iniziative di cultura, formazione, promozione. Gli oli artigianali richiedono grandi capacità e sforzi per essere prodotti, conservati, confezionati e distribuiti. Tale impegno, con i relativi costi, deve essere riconosciuto dal mercato e compensato. A ciò serve la credibilità, con la competenza e l’onesta che la caratterizzano. Nel nostro progetto questo sistema si chiama «Olio Artigianale» e AIFO si impegna perché diventi realtà. Per realizzare questo progetto proponiamo la costituzione di una «Rete di imprese»5 che lavoreranno insieme con trasparenza per dare al cliente finale la sicurezza (garantita) di ottenere l’olio promesso e atteso. Le imprese della Rete dovranno impegnarsi a: 1. rispettare il disciplinare di produzione dell’olio artigianale; 2. mantenere la tracciabilità del processo produttivo; 3. dotarsi e rispettare il codice etico volontario; 4. aderire al sistema di certificazioni e controlli della Rete. 5 Cfr. legge n. 33/2009 di conversione del D.L. n. 5/2009 (c.d. «decreto incentivi») che disciplina il «contratto di rete di imprese» e successive modifiche e integrazioni: legge n. 99/2009 (c.d. «legge sviluppo»); legge n. 122/2010 di conversione del D.L. n. 78/2010; legge n.134/2012 di conversione con modifiche del D.L. n. 83/2012 (c.d. «decreto sviluppo»); legge n. 221/2012 di conversione con modifiche del D.L. n. 179/2012 (c.d. «decreto sviluppo bis»): legge n. 224 del 24 dicembre 2012 («legge di stabilità 2013»). 118 La tavola rotonda Chi non rispetta i patti verrà espulso. E’ l’unica possibilità per dare credibilità ai produttori onesti e competenti e per ottenere la giusta remunerazione per il loro lavoro. Il consumatore sarà così sicuro di acquistare un olio di alta qualità di cui è garantita l’origine, la genuinità del prodotto e la trasparenza del processo produttivo: è lo scenario del futuro che stiamo costruendo fin da oggi. A qualcuno può sembrare una visione utopica priva di elementi certi di riferimento: a pensare in questo modo sono coloro che non hanno fiducia nell’avvenire dell’agricoltura, ubriacati da un sogno di industrializzazione forzata, sorretta direttamente o indirettamente dal danaro pubblico, con impianti non sempre rispettosi dell’ambiente. È una strada non destinata a durare ancora a lungo e che ha prodotto già abbondanti danni al nostro Paese. La nostra azione per un olio artigianale di qualità, per un mercato trasparente di prodotti sani, vuole essere un contributo per un Paese diverso, per un’Italia con un più equilibrato sviluppo sociale ed economico, che rifiuta l’assistenzialismo pubblico, ma vuole precise scelte di fondo. Confidiamo, con le nostre aziende artigiane, di riuscire ad essere tra i protagonisti di questo cambiamento. 119 La tavola rotonda IL PUNTO DI VISTA DELL’INDUSTRIA OLEARIA Claudio Ranzani1 Buongiorno signore e signori. Rappresento l’industria olearia e vi esporrò perciò un punto di vista diverso rispetto a quanti mi hanno preceduto. In primo luogo, desidero ricordare che le marche italiane hanno iniziato ad esportare alla fine dell’800 e sono oggi leader nel mondo (nel 2011 è stato superato il record storico delle esportazioni, con oltre 402.000 tonnellate, per oltre il 90% confezionate); questo significa oltre 1,2 miliardi di euro di export e migliaia di posti di lavoro diretti ed indiretti. Considerata la nostra leadership, non stupirà sapere che le nostre aziende occupano tutti i settori di mercato, dall’olio di sansa all’extravergine e, all’interno di quest’ultimo segmento, che esportano prodotti di nicchia (DOP, IGP e biologico), olio 100% italiano e naturalmente blend, ottenuti mescolando opportunamente oli di diversa provenienza A fronte di questo obiettivo successo delle nostre imprese, il mondo della produzione da tempo denuncia una situazione di difficoltà e crisi. È ovvio che i produttori lamentino soprattutto i bassi prezzi, ma l’aspetto per noi più evidente della crisi è che la produzione nazionale non aumenta ed è terribilmente insufficiente per le esigenze del mercato. Ogni anno, la produzione italiana è inferiore al consumo nazionale di 150-250.000 tonnellate. Non si tratta di un fatto nuovo, visto che importavamo olio d’oliva già nell’antica Roma, e ben conosciamo le caratteristiche sfavorevoli del nostro territorio. Fatto sta che per coprire questo deficit, nel 2011 l’import è stato di 625.000 tonnellate, pari a tutto l’export più 225.000 tonnellate per il mercato interno. A tale proposito, va notato che spesso veniamo accusati di continuare ad aumentare le importazioni, ma l’accusa è ingiusta, perché l’aumento dell’export comporta necessariamente l’aumento dell’import, visto che la produzione non ci segue. Non a caso, compriamo praticamente e da sempre tutto l’olio che i nostri produttori agricoli ci offrono e sempre non a caso, i dati fino ad ora raccolti sul 1 Direttore generale dell’ASSITOL - Associazione Italiana dell’Industria Olearia. ASSITOL è stata costituita nel 1972 con la fusione delle tre Associazioni allora esistenti per i settori di industria dell’olio di oliva, dell’olio di semi, della margarina e dei prodotti derivati. Oggi ASSITOL rappresenta e tutela nelle diverse sedi nazionali, comunitarie e internazionali le imprese industriali che operano nel settore delle materie grasse e dei prodotti derivati (www.assitol.it). 121 2012 indicano una ulteriore crescita delle esportazioni cui si contrappone invece una piccola riduzione dell’import, a dimostrazione della preferenza accordata alla produzione nazionale, evidentemente cresciuta quest’anno, fin quando vi è olio disponibile. Resta il fatto che in questa situazione da ormai molto tempo da parte agricola si continuano a chiedere provvedimenti di legge e controlli. Sono oltre 15 anni che il settore è sottoposto ad una vera e propria pioggia di provvedimenti normativi, anche più di uno all’anno, al continuo aumento degli obblighi amministrativi, dei controlli e così via. Per dare un’idea del problema, un paio di settimane fa ero in un’azienda con un marchio notissimo, che opera sul mercato nazionale ed in oltre 70 Paesi da fine ‘800, senza aver mai avuto problemi rilevanti. In una logica di concentrazione dei controlli sulla base del rischio, si tratta quindi di un’azienda che non dovrebbe averne molti. Ebbene, nel corso del 2012 questa azienda ha subìto 98 controlli di contenitori all’export, con ovvi e pesanti costi. Che succederà mai alle aziende più giovani ed a quelle, a torto o a ragione, “chiacchierate”? Quali sono stati i risultati di questi 15 anni di pressione? A parte la denuncia di qualche rubagalline, citato però dai giornali come autore di “mega truffe”, i prodotti di nicchia rimangono di nicchia; abbiamo avuto conferma clamorosa che se sale il prezzo dell’olio nazionale il mercato reagisce penalizzandone fortemente il consumo, fino al risultato degli ultimi giorni in cui, cosa mai vista a memoria d’uomo, il prezzo dell’extravergine spagnolo ha addirittura superato quello dell’olio nazionale! E qui arriviamo alla legge «salva olio», nome che trovo poco appropriato; personalmente preferirei definirla legge “criminalizza olio”, visto il numero impressionante di disposizioni di carattere penale che essa contiene! Non a caso, dopo la diffusione del testo, un mio associato mi ha riferito una storiella che circola nel settore, secondo la quale l’ONU avrebbe modificato la classifica dei crimini più pericolosi per l’umanità, inserendo ai primi posti il commercio di olio d’oliva, tra il traffico di droga e quello delle armi. C’è un articolo della legge che abbia l’obiettivo di rendere più competitivo il prodotto italiano? No, non c’è. C’è una qualche disposizione tesa ad aumentare la produzione nazionale, ad aumentare la disponibilità di oli dolci, cioè di quelli che il consumatore chiede, a ridurre i costi di produzione? No. C’è qualche proposta tesa a stimolare la ricerca o a migliorare la competitività? No. 122 La tavola rotonda C’è un articolo della legge che contenga idee che favoriscano la valorizzazione degli oli prodotti in Italia? No, nulla di tutto questo. La legge contiene solo nuove pene, nuovi divieti, maggiore burocrazia ed assimila il settore tutto alla criminalità organizzata. Con l’aggiunta della violazione di una ventina di regolamenti comunitari e di disposizioni di modifica di norme generali per il solo settore dell’olio d’oliva che hanno lasciato stupefatti gli esperti giuristi sotto numerosi profili. Mi sembra che gli unici possibili effetti di una legge siffatta non possano che essere l’aumento del contenzioso, sontuose parcelle per gli avvocati ed un’ulteriore, potente spinta a portare lavorazioni all’estero, con gravi danni per il nostro Paese, agricoltura compresa. Non viene il dubbio, visti i risultati raggiunti dopo oltre 15 anni che si insiste su questa linea, che si stia sbagliando strada? Che continuare ad indebolire l’industria, in un momento per di più in cui molti nostri concorrenti, nell’Unione europea ed in diversi Paesi terzi, stanno cercando in tutti i modi di sottrarci quote di mercato, non sia il modo migliore di valorizzare la produzione nazionale? Produzione, detto tra parentesi, che non è certo tutta di alta qualità? Siamo italiani e gli olivicoltori italiani sono i nostri partner naturali e perciò non vogliamo sottrarci al confronto con loro. Siamo sempre disponibili a valutare forme di collaborazione e ad operare a favore del prodotto nazionale, ma sappiamo anche che il consumatore non è uno stupido da imbrogliare e che il mercato ha regole e leggi che vanno rispettate, pena l’insuccesso di qualsiasi iniziativa. Ed industria e commercio pagano con i propri soldi l’insuccesso, fino al fallimento. Ho ricordato che siamo italiani, anche se a leggere qualche articolo della legge sembra che lo si metta in discussione; siamo sempre qui, disposti al confronto ed alla collaborazione, ma vorrei ricordare che per confrontarsi e per collaborare è necessario essere almeno in due! Vi ringrazio per l’attenzione. 123 La tavola rotonda COMUNICARE L’OLIO Luigi Caricato1 1.Introduzione Partiamo da un presupposto di fondo: comunicare è fondamentale. Tant’è che oggi si avverte, molto più di ieri, la massima necessità e urgenza, anche in considerazione del fatto che la comunicazione sia diventata ormai materia ben più complessa e rischiosa rispetto a un tempo, non facile da gestire ricorrendo ai consueti metodi cui si è fatto solitamente ricorso. Le condizioni sono mutate. Esiste oggi un tale sovraccarico di dati da comunicare - espressi oltretutto con una velocità tale da rendere ciascun dato soggetto a rapido invecchiamento - che si corre perfino il rischio di non raggiungere efficacemente lo scopo, o comunque di raggiungerlo male, con esiti a volte contrari a quelli previsti o attesi. Il fatto è che i meccanismi della comunicazione si rinnovano in maniera così radicale da non trovare gli stessi operatori professionisti della comunicazione a stare al passo con i tempi. Si pensi alla grande crisi dei giornali cartacei, all’incapacità di gestire il nuovo corso dove con risorse limitate chi è più bravo e capace può ottenere risultati migliori. La rivoluzione comunicativa è ormai in atto e le vecchie concezioni, pur poggiando su solide basi, non reggono più il confronto con le dinamiche e gli strumenti della modernità. In questa delicata fase di transizione, si è inevitabilmente venuto a creare un serio problema di gestione dell’atto stesso del comunicare. Così, nel grande bailamme odierno, ci si trova proiettati in un contesto operativo nuovo, determinando una sorta di corto circuito che favorisce alcuni e penalizza altri. Chi riesce a cogliere i nuovi meccanismi della comunicazione, ne ottiene tutti i possibili vantaggi, pur assumendosi rischi di gran lunga più devastanti. Per questo è necessario riformulare la comunicazione, in particolare in un settore come quello dell’olio che a tutt’oggi non conosce né si preoccupa di sperimentare l’innovazione, soprattutto sul fronte dei linguaggi e dei diversi moduli espressivi. 1 Scrittore e giornalista (www.luigicaricato.net), direttore di «Olio Officina Food Festival» (www.olioofficina.it), ha coniato l’accezione di «oleologo», termine presente nella banca linguistica della Treccani e dell’Istituto per il lessico intellettuale europeo. 125 2.Andare oltre le consuetudini, inventare un nuovo percorso Cambiare il linguaggio dell’olio, ecco cosa occorre fare prima di tutto. Il mondo dell’olio attende ancora una serie di cambiamenti che fino ad oggi non ci sono stati, se non episodicamente, e solo per libere e felici iniziative individuali, portate avanti, seppur con successo, solo da parte di pochi pionieri. Iniziative lodevoli, ma che non hanno inciso sul tessuto sociale, determinando profondi cambiamenti, anche perché la restante parte del comparto, ovvero la maggioranza degli operatori, non ha saputo, né forse voluto, condividere, emulare o ispirarsi a una nuova visione del prodotto olio da olive secondo i canoni della modernità. Ci si è ancorati alla tradizione concependola come un elemento stanziale, non proiettato al futuro. C’è stata, e continua purtroppo ad esserci, una sorta di chiusura mentale. Tanto che la maggioranza di coloro che si occupano a vario titolo di olio, si sono come arroccati in difesa dell’esistente, a difesa di un passato che tuttavia non può essere riproposto tal quale. L’atteggiamento di chiusura ha investito i linguaggi, come pure le scelte adottate sul fronte dei modelli comunicativi. Per molti questa difesa della tradizione è un punto fermo, perché temono che venga per certi versi violata, mentre è vero il contrario: la tradizione si nutre di sperimentazioni continue e di proiezioni nel futuro. Così, paradossalmente, mentre oggi disponiamo di oli senza dubbio migliori rispetto al passato, la qualità della comunicazione è rimasta pesantemente indietro. Un grave errore, perché oggi non è più tempo di stare ancorati al passato, inseguendo modelli desueti, in forte contrasto con la contemporaneità. Oggi si rende invece necessario e urgente cambiare il linguaggio, con le sue modalità espressive, anche perché le formule del passato ormai non comunicano più, né emozioni, né tanto meno un sapere condiviso. Ci sono infatti espressioni ripetute - e direi anche: riciclate - fino all’inverosimile, al punto da essere ormai vuote di significato e soprattutto di potenza evocativa. Si pensi per esempio a espressioni ardite come “olio artigianale” o, peggio, a richiami antidiluviani alla vetusta formula un tempo, in altra epoca, carta vincente per far colpo sul consumatore - del “pane e olio”, oppure a formule, altrettanto abusate, come “prima spremitura a freddo”. Sia ben chiaro, gustare del pane fresco immerso in un piatto d’olio soddisferà pure il palato, come pure una efficacissima e calda bruschetta, ma quando si comunica occorre sforzarsi di andare oltre, di inventarsi qualcosa di nuovo, pur riprendendo, ma rimodulate, le formule classiche. C’è necessità di un respiro nuovo, di nuovi percorsi. Finora ci si è concentrati sulla qualità della materia prima, ed è stato sicuramente un bene; ora, tuttavia, è fondamentale investire in comunicazione per 126 La tavola rotonda far percepire tale qualità sensoriale (in termini di apprezzamento olfattivo e gustativo) e nutrizionale (in termini salutistici e propriamente legati al benessere, in una nuova visione, olistica, dell’olio da olive) ma occorre farlo nella giusta maniera, con nuovi linguaggi e approcci, appunto. Invece è accaduto che in tutti questi anni, si è continuato a far utilizzare l’olio, a crudo come in cottura, sempre secondo vecchie consuetudini e registri, per pura abitudine. Senza accorgersi, nel frattempo, che l’olio ha cambiato profondamente aspetto, trasformandosi nella sua struttura compositiva e nelle sue note sensoriali percepibili al momento dell’assaggio. Tale mutamento di aspetto, esigeva, parallelamente, un approccio nuovo e discontinuo con il passato, che invece non c’è stato. 3Ritrovare il senso del comunicare, rivoluzionando contenuti e forme Nel corso dell’ultimo ventennio, l’olio ricavato dalle olive ha assunto di fatto tutta un’altra identità. A favorire tale processo innovativo è stato in parte l’ausilio della tecnologia estrattiva, con le attenzioni maturate sul campo e la capacità di realizzare grandi blend (oli ottenuti mescolando opportunamente oli di diversa provenienza, oppure oli dal diverso profilo sensoriale della medesima provenienza), e, in parte, anche la valorizzazione della biodiversità. La qualità è riuscita così a proiettarsi in avanti, ma a seguito di una cattiva, o scarsamente efficace comunicazione, non si è saputo trasmettere - né al consumatore, né al fruitore professionale di tale materia prima, né tanto meno a chi l’olio lo acquista per poi rivenderlo a sua volta - tale percorso virtuoso, che pur necessitava di essere dapprima spiegato, poi reso comprensibile nelle sue dinamiche di utilizzo. Il risultato è che i prezzi degli oli da olive sono costantemente al ribasso, e comunque sempre in promozione, a testimonianza dell’incapacità, da parte del comparto, nel trasmettere - proprio per mancanza di una comunicazione efficace - il valore di una qualità che pure si presenta oggettivamente autentica e perfino unica e peculiare nei suoi tratti caratterizzanti. Così, paradossalmente, mentre oggi, con qualità in alcuni casi eccelse i prezzi si sono tristemente sviliti, in passato, per contro, con oli di minor pregio, i prezzi erano piuttosto elevati e remunerativi. Tale perdita di valore fa lanciare oggi un grido di disperazione inascoltato. La terribile e lacerante contraddizione in cui si trova il comparto oleario lascia ammutoliti e perplessi, anche perché, valutando la natura degli acquisti, orientati come sono i consumatori espressamente al prezzo più conveniente, nessuno, al momento, sembra avere a cuore la qualità, anche 127 quella nutrizionale. Sottraendo dignità all’olio extravergine di oliva, è inevitabile, di conseguenza, che l’olio da olive perda in centralità e pregio, restando di fatto solo un mero veicolo di sapore, un elemento aggregante e nulla più. L’errore di trascurare i condimenti - e l’esempio calza, per estensione, anche per gli aceti - è dovuto a una comunicazione inefficace che ha determinato un atteggiamento di pigrizia intellettuale che sembra a tutt’oggi non conoscere soluzione, riflettendo immancabilmente sulle scelte dei consumatori. Per questo, l’obiettivo futuro è salvare, attraverso una comunicazione diversa e discontinua rispetto a passato, ciò che ad oggi viene in maniera indebita percepito come marginale e secondario. Non è un caso che i cuochi non si siano per nulla preoccupati di riservare all’olio, e in generale ai condimenti, la medesima attenzione che invece riservano ad altre materie prime. Pensate, per esempio, a quanti acquistano pesce fresco e di pregevole bontà senza badare a spese, salvo poi ricorrere a grassi indistinti e anonimi, il più delle volte anche ossidati se non addirittura rancidi. Se tutto ciò accade, non è solo per responsabilità dei cuochi o dei consumatori. La responsabilità più grande è in chi non ha saputo o voluto investire in comunicazione. Per recuperare il valore perduto è necessario ritrovare il senso del comunicare, rivoluzionando i contenuti e le forme del comunicare. 4.Un contesto operativo inedito, mai sperimentato in altre epoche E’ evidente che il quadro in cui oggi si va operando non sia più il medesimo di quello in cui ci si muoveva fino a qualche decennio fa. La comunicazione odierna è come un vortice che divora tutto nel breve volgere dei minuti. Si assiste a un rapido alternarsi di notizie, al punto da rendere alquanto complicato imporre una propria linea di condotta. Nulla, dunque, può essere dato per scontato se l’obiettivo è comunicare con efficacia. I rischi di fallire sono sempre possibili. Occorre sempre vigilare, verificando, fin dove è praticabile, ogni contenuto e forma della comunicazione. Anche gli stessi strumenti prescelti per veicolare il messaggio, oltre che il pubblico cui destinare le informazioni, non possono essere sottovalutati. Nulla può essere dettato dal caso. Un flusso eccessivo di messaggi, per lo più ripetitivi, non sempre aiutano a comunicare meglio. Non è detto, infatti, che il bombardamento di comunicazioni porti con sé buoni frutti. Tra l’altro, se una comunicazione viene gestita male, si viene a creare in un primo tempo l’illusoria sensazione di dominare la scena, ma poi, a conti fatti, si noterà che i riscontri o non arrivano, o possono addirittura sortire effetti contrari alle intenzioni, nonostante possano esserci stati 128 La tavola rotonda investimenti piuttosto onerosi. Ci vuole equilibrio, che forse è proprio ciò che più manca. Si pensi alla comunicazione a sfondo negativo, incentrata su frodi e sofisticazioni, per esempio. Purtroppo nel corso degli ultimi anni si sta forzando un po’ la mano su tali problematiche, anche a livello istituzionale, concependo una serie di messaggi allarmistici che certamente non giovano a una comunicazione serena. Si proiettano, infatti, verso il mondo esterno una serie di allarmi in cui si mettono sullo stesso piano le frodi commerciali con le sofisticazioni, con il risultato di ingenerare la cultura del sospetto. Per riparare a un’assenza ultra ventennale di una strategia di comunicazione e di pianificazione commerciale, si sta facendo ricorso a tematiche sensibili, riguardanti la sicurezza alimentare, perché sono effettivamente in grado di destare l’attenzione del consumatore. Anche se tale comunicazione viene fatta con il nobile proposito di orientare il consumatore nelle sue scelte di acquisto, rendendolo più consapevole, in realtà con tale linea non accompagnata da uno spirito educativo si ottiene solo un drammatico effetto boomerang, un classico della comunicazione a sfondo negativo, suscitando solo allarme. Forse è il caso di riflettere sul modo di fare comunicazione, magari pensando al consumatore in maniera diversa, educandolo all’acquisto consapevole, ma senza forzature, e, soprattutto, senza inutili sbavature e infelici allarmismi. Anche se, a ben riflettere, sono in tanti oggi - e purtroppo anche in ambito istituzionale - forse per carenza di una visione prospettica delle proprie azioni o, diversamente, per un cedimento culturale, che propendono volentieri per il sensazionalismo. La strada da percorrere per trasmettere messaggi è sicuramente fascinosa quanto impervia. Alcuni si fermano all’aspetto più fascinoso e seducente della comunicazione, forzando spesso la mano, talvolta per inconsapevoli ragioni ideologiche o per ignoranza. Non tutti però si rendono conto che i disastri causati dagli errori della comunicazione prima o poi si ripercuoteranno sul futuro. 5.Accanto ai rischi restano le grandi opportunità Se i meccanismi della comunicazione sono piuttosto complessi e rischiosi, rispetto al passato c’è da rilevare la concreta possibilità di poter oggi avere un approccio diverso, più aperto e orizzontale, “democratico”. Esistono, d’altra parte, strumenti nuovi, in continua evoluzione e non ancora sperimentati in tutta la loro potenzialità espressiva. Si caratterizzano per essere di facile accesso, senza che siano richiesti grandi investimenti, se non di idee, e talvolta nemmeno di queste si ha bisogno, visto che è sufficiente coinvolgere il maggior numero di soggetti e farli 129 interagire tra loro, pur con una sapiente regia che ne indirizzi le dinamiche. Nonostante le grandi opportunità che ne derivano, alcune precisazioni sono tuttavia d’obbligo: comunicare non significa riempire uno spazio vuoto. Anche attraverso il silenzio si può comunicare, perfino con l’assenza, certo, ma restando sempre onnipresenti e vigili, soprattutto oggi che le dinamiche della comunicazione si fondano stabilmente sull’intreccio delle relazioni a livello planetario, tramite Internet e i nuovi media. Non c’è altra soluzione, oltretutto. Si vive in una società globale. I ritmi sono velocissimi e incalzanti. E’ necessario giocoforza tenere il passo vorticoso dei cambiamenti, senza tuttavia restarne schiacciati. La rivoluzione di Internet è stata determinante. Ha comportato una vera rivoluzione, anche perché ha permesso di superare ogni barriera, mettendo fortemente in crisi anche i Paesi più ostativi nel concedere spazi e momenti di libera espressione ai propri cittadini. Internet tuttavia è una giungla. E’ necessario conoscere bene i meccanismi per non restarne imbrigliati o fallire il processo comunicativo. Cambia radicalmente il modo di trasmettere messaggi. Rispetto al passato, sono cambiati gli scenari di riferimento. Da una parte si registra una più alta scolarizzazione; dall’altra si assiste a una moltiplicazione vertiginosa dei mezzi di comunicazione. Disporre di tanti mezzi - va ribadito - non equivale ad avere la certezza di comunicare bene. I mezzi non producono di per sé la comunicazione, soprattutto se dietro ai mezzi non vi sono persone capaci, con un progetto solido e credibile. La grande quantità di informazioni disponibili di fatto annulla o depotenzia i contenuti che si intendono comunicare. I messaggi possono essere trasmessi senza che nessuno li colga o li faccia propri. A fare la differenza sono, come al solito, i modi e i tempi del comunicare. Difficoltà a parte, gli strumenti oggi a disposizione sono tanti e tali da aver messo ovunque in crisi i tradizionali mezzi di comunicazione. Il pubblico da raggiungere è diventato sempre più esteso ed esigente. Si chiedono contenuti certi e chiari. Si chiede soprattutto un ruolo attivo nel processo comunicativo. La comunicazione, di conseguenza, richiede un alto grado di professionalità nel gestirla. Chi non possiede le competenze per agire in modo appropriato, è destinato a perdere terreno ed essere tagliato fuori dalle dinamiche sociali e professionali. Non è un caso che quando negli Stati Uniti si svolgevano già a partire dagli anni Cinquanta del Novecento i corsi di scrittura creativa o di pubbliche relazioni e ufficio stampa, in molti in Europa sorridevano. Un grave errore, perché oggi paghiamo le conseguenze di un ritardo culturale che allora non avevamo compreso e che oggi non abbiamo ancora colmato. 130 La tavola rotonda 6. Lo stato della comunicazione nel mondo dell’olio I mezzi di comunicazione oggi a disposizione sono dunque i più disparati. Oltre a quelli tradizionali, fortemente in crisi, ve ne sono altri, di recente introduzione, sicuramente più incisivi, sia perché più vantaggiosi per i loro costi limitati, sia perché più efficaci e determinanti sul piano dei risultati. Nonostante ciò, tali nuovi mezzi di comunicazione non vengono utilizzati nel migliore dei modi per una forma di radicato pregiudizio e resistenza di tipo culturale. Il problema di fondo, sul quale è necessario intervenire in maniera convinta, resta la scarsa sensibilità e attenzione da parte del mondo dell’olio nel suo insieme, a partire dalle stesse aziende, fino ad arrivare ai professionisti del settore. Tali realtà in effetti non comunicano, oppure comunicano male. Non tutto è perduto. Qualche segnale di ripresa lo si è registrato già nel corso degli ultimi anni, ma sono stati casi episodici e isolati, non sufficienti per determinare una svolta. Una buona comunicazione implica però un’azione programmata, unitaria e coesa. A tutt’oggi, un progetto di comunicazione non è stato ancora elaborato. A scanso di equivoci, essere sensibili alla comunicazione non significa limitarsi a trasmettere all’esterno qualcosa di sé e del proprio mondo. E’ necessario saper leggere e interpretare le istanze e le esigenze della società, in modo da rispondere sollecitamente a tali attese. La comunicazione è d’altra parte un processo in costante evoluzione. Coloro che pensano a un fenomeno statico, fondato su schemi fissi e replicabili, sbagliano. Credono di comunicare, e qualcosa sicuramente comunicano, ma non traggono i riscontri cui ambiscono. Il ritardo culturale dell’intero mondo agricolo in tutto ciò è abissale. Sono necessarie nuove spinte propulsive, ma al momento tale esigenza non è ancora avvertita in maniera forte e concreta. Se la comunicazione non provoca reazioni, è segno che le notizie e le informazioni trasmesse non avevano la necessaria forza comunicativa e, con ogni probabilità, nemmeno contenuti altrettanto forti. Ciò non significa tuttavia che pur di suscitare l’attenzione si debba falsare la comunicazione. Sarebbe un errore gravissimo. Per comunicare ci si avvale di comunicati stampa, come pure di pubblicazioni aziendali, brochure, siti Internet, blog, social network, e certamente, non meno importanti, sono anche le tradizionali conferenze stampa, sempre utili se organizzate bene. La strategia degli eventi, attraverso convegni, corsi, seminari di approfondimento e manifestazioni culturali o ricreative, è l’altra carta da giocare sul fronte comunicazione. Ebbene, nonostante ciò, il mondo dell’olio resta ancora carente. A comunicare sono ancora in pochi. La figura essenziale da cui non si può prescindere è quella dell’addetto stampa e, in alcuni casi, anche del portavoce. La comunicazione non può essere d’altra parte lasciata 131 al caso, ma va programmata ed eseguita in tutte le sue dinamiche da professionisti esperti in grado di cogliere tutte le possibili novità e renderle di fatto delle opportunità concrete. Finora la comunicazione si è fondata sulla pura trasmissione di dati. Il comunicato stampa continua a essere il mezzo cui si ricorre abitualmente, ma non basta più, perché è necessario andare oltre. Andare oltre è possibile, anche perché c’è sempre un modo e un’occasione per inventare qualcosa di nuovo. E’ necessario compiere uno sforzo creativo ulteriore che vada al di là dei consueti mezzi a disposizione. Inventarsi qualcosa è sempre possibile. Nel mondo dell’olio italiano, giusto per fare un esempio, ha fatto ormai storia la prestigiosa rivista «La Riviera Ligure», primo house organ in Europa che ha visto la luce nel lontano 1895. Disponendo oggi di tanti strumenti, soprattutto nell’era del web fruibile in ogni angolo di mondo, inventare nuove strade è l’unica soluzione percorribile per essere davvero incisivi e guadagnare il consenso generale. 7. L’obiettivo: superare i vecchi cliché Per concludere tale percorso intorno alle modalità del comunicare con efficacia, ciò che conta sapere per raggiungere il non facile obiettivo di valorizzare al meglio l’olio extravergine di oliva, è che diventa fondamentale uscire dai vecchi cliché comunicativi. Le scene di raccolta delle olive a mano, la riproduzione di vecchie macine dei frantoi tradizionali, unitamente ai continui rimandi al passato, non sono più proponibili o, per lo meno, non lo sono senza una loro rilettura e riattualizzazione. Per essere più incisivi, è necessario cambiare il linguaggio, come pure i contenuti del messaggio, l’approccio con il prodotto, che deve diventare più diretto, e lo stile stesso della comunicazione. Una innovazione degna di attenzione è stata messa in atto con la campagna promozionale dell’olio «Bertolli», lanciata con successo nel 2000, quando la proprietà del noto marchio apparteneva a «Unilever». Gli spot avevano Luciano De Crescenzo quale testimonial. Puntavano al lancio delle referenze «Gentile», «Robusto» e «Fragrante». L’idea è stata in seguito imitata e riproposta anche da altre aziende, e vanta tuttora il merito di aver saputo creare una segmentazione del gusto, resa popolare proprio in quanto si era ricorso al potente mezzo televisivo, oltre che a un personaggio convincente e credibile. Non ha avuto analogo successo, invece, a circa dieci anni di distanza, il tentativo di promuovere gli oli extravergini di oliva made in Italy in tivvù da parte di un ente istituzionale. Lo spot, trasmesso sul finire del 2009, si era rivelato deludente perché incapace di trasmettere emo- 132 La tavola rotonda zioni, avendo tra l’altro utilizzato un linguaggio statico e toni autoreferenziali. Una comunicazione efficace ha necessità invece di una buona inventiva e capacità di sedurre e convincere. Visto che ancora resistono una serie di luoghi comuni e di irrisolti pregiudizi intorno agli oli di oliva, occorre fare in modo che si punti a un rovesciamento di rotta, ricorrendo a stili e linguaggi dirompenti, in grado di scardinare le convinzioni comuni, senza tuttavia far percepire tale forzatura a coloro i quali si intende trasmettere il messaggio. Passi falsi non possono più essere compiuti. L’obiettivo è arrivare in tempi brevi a modernizzare l’immagine e la percezione del prodotto olio extravergine di oliva presso il consumatore, senza con ciò rinunciare ai valori della tradizione. Purtroppo, non tutta la filiera dell’olio di oliva è ancora pronta per tale operazione di svecchiamento e discontinuità rispetto ai canoni di una tradizione che resta fine a se stessa. Occorre far in modo di adoperare la capacità persuasiva di molti spot pubblicitari, sempre affascinanti e seduttivi, come quelli realizzati dagli istituti di credito. La gente non ama le banche, ed è consapevole che i propri risparmi di una vita non vengano mai presi nella dovuta considerazione; eppure chiunque, guardando gli spot in tivvù, resta per certi versi ammaliato. Le perplessità, e talvolta i pregiudizi, rimangono, ma lo spot rassicura e rasserena, ottenendo comunque l’obiettivo di portare a sé l’interlocutore. La comunicazione premia chi è più consapevole dei linguaggi, più motivato e pronto a cogliere le opportunità. Prima di fissare le linee guida per entrare nei meccanismi dei media, sarebbe bene riflettere su quale obiettivo puntare. Il comparto, specialmente quello della produzione, non è ancora pronto a muoversi con le proprie gambe. 8.C’è ancora molta strada da fare Proprio così, c’è ancora molta strada da fare. Le aporie riscontrate sul fronte della comunicazione si possono sintetizzare in un esempio tangibile, frutto di un’indagine condotta da «Astra Ricerche» nel 2006, ma tuttora attuale nelle sue evidenze. Dall’indagine in questione si evince molto chiaramente che, nonostante le tante campagne di comunicazione in corso d’opera, qualcosa continua a non dare esiti positivi: l’84% della popolazione italiana non è adeguatamente informata sul tema della qualità degli oli. Ciò che ancora manca è il coinvolgimento attivo dei consumatori, il non aver pensato a loro come a figure con le quali interagire. Si poteva invece ritagliare anche per loro un ruolo per nulla non secondario nell’attività di comunicazione: per esempio, attraverso i social forum e i blog. Tale approccio 133 non è però avvenuto, nemmeno è stato pensato, se non eccezionalmente per alcuni casi isolati. Un errore imperdonabile e al quale si può ancora ovviare. Purtroppo, occorre ammetterlo, fino ad oggi i consumatori hanno ricevuto dall’esterno solo una serie di input ripetuti, e perfino ossessivi, ma imposti sempre dall’alto, senza che minimamente si prospetti la possibilità di farli intervenire in prima persona, così da verificare anche l’efficacia delle comunicazioni e il loro grado di percezione e apprezzamento. E’ mancata, insomma, l’attenzione a invogliare i consumatori, fino ad arrivare al punto da far diventare essi stessi parte attiva della comunicazione, facendo loro esprimere un giudizio sulla qualità degli oli e, soprattutto, sulle applicazioni pratiche degli oli in relazione alle varie formulazioni alimentari, negli utilizzi a crudo come in cottura. Ed è proprio per tale mancato coinvolgimento dei consumatori che molti luoghi comuni e radicati e antichi pregiudizi sull’olio da olive ancora resistono, restando incredibilmente irrisolti. Se ci fosse stata in tutti questi anni una strategia di comunicazione organica, diversa e più efficace, non staremmo certo qui a lamentarci della perdita di valore dell’olio extravergine di oliva. Gli errori e le mancanze di prospettiva si pagano sempre a distanza. 134 La tavola rotonda I CONTROLLI DELL’ISPETTORATO REPRESSIONE FRODI (ICQRF) A TUTELA DELLA QUALITÀ DELL’OLIO EXTRAVERGINE DI OLIVA ITALIANO Luca Veglia1 1.Premessa L’Ispettorato centrale della tutela della qualità e della repressione frodi dei prodotti agroalimentari (ICQRF) opera nel comparto agroalimentare sin dal 1986, anno in cui è stato istituito con la legge 426/86 con il nome di «Ispettorato centrale repressione frodi», conferendo alla struttura le funzioni istituzionali di prevenzione e repressione delle frodi sui prodotti alimentari e sui mezzi tecnici per l’agricoltura (mangimi, sementi, fertilizzanti, fitofarmaci). Il Dipartimento ICQRF, organo tecnico di controllo ufficiale del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali (MIPAAF), è organizzato in due Direzioni Generali con articolazioni sul territorio dove operano 12 uffici ispettivi, con 17 sedi distaccate, e 4 laboratori, con una sezione distaccata, incaricati delle attività analitiche di prima istanza e un laboratorio centrale che effettua analisi di revisione. Nell’ambito dell’attività istituzionalmente demandata, il personale è Ufficiale o Agente di Polizia giudiziaria (P.G.), secondo il profilo professionale di appartenenza. Tra i compiti di istituto sono preponderanti le attività di controllo volte a contrastare illeciti e frodi, attuate mediante ispezioni presso gli operatori delle differenti filiere, dirette alla verifica della qualità, genuinità e identità dei prodotti agroalimentari e dei mezzi tecnici di produzione agricola. Nel corso delle ispezioni sono prelevati anche campioni dei prodotti controllati, sottoposti in seguito ad analisi chimico-fisiche e, in alcuni casi, anche organolettiche utilizzando la propria rete di laboratori specializzati per settore merceologico. Il controllo analitico, complementare a quello ispettivo, consente, mediante l’applicazione di metodiche comunitarie, nazionali o comunque riconosciute da 1 Direttore Ufficio Pref 1 - Direzione Generale della Prevenzione e del Contrasto alle Frodi Agroalimentari del MIPAAF. 135 organismi internazionali, la verifica delle caratteristiche di composizione qualiquantitativa dei prodotti e la loro conformità ai requisiti di legge e/o al dichiarato. L’Ispettorato, inoltre, è stato individuato quale organo deputato a svolgere le funzioni statali di vigilanza sugli organismi di controllo che operano nell’ambito delle produzioni di qualità regolamentata da norme comunitarie e nazionali: prodotti alimentari, compresi i vini, che hanno ottenuto la denominazione d’origine protetta (DOP) o l’indicazione geografica protetta (IGP) e le specialità tradizionali garantite (STG); prodotti con metodo biologico; carni bovine e di pollame con etichettatura facoltativa in aggiunta a quella obbligatoria. Altra funzione dell’ICQRF è l’irrogazione di sanzioni amministrative pecuniarie in materia agricola e agroalimentare di competenza statale. Quale autorità competente, l’Ispettorato provvede all’applicazione, nelle materie di competenza, di sanzioni amministrative a seguito di violazioni accertate da qualsiasi organismo di controllo. Nel corso degli anni, coerentemente con l’evoluzione degli orientamenti politici agroalimentari nazionali e comunitari e in considerazione della necessità di salvaguardare e tutelare sempre di più la salute e gli interessi dei consumatori, l’attività dell’Ispettorato è stata adeguata ai nuovi indirizzi. In particolare, è stata rafforzata l’azione a tutela della qualità e della sicurezza agroalimentare, in linea con le politiche che attribuiscono ai prodotti di qualità un’importanza strategica in grado di accrescere la capacità di penetrazione dei mercati internazionali, incrementare i livelli di reddito delle imprese agricole e alimentari e contrastare con maggiore efficacia la concorrenza sempre più agguerrita dei grandi Paesi esportatori di alimenti. 2. L’attività operativa nel settore oleario In quest’ottica si pongono i numerosi controlli che ogni anno l’Ispettorato dedica all’olio extravergine di oliva, prodotto di eccellenza dell’agroalimentare italiano che rappresenta uno dei biglietti da visita del made in Italy e, pertanto, necessita di una particolare protezione rispetto alle sleali pratiche commerciali e al contempo richiede controlli rigorosi per preservare intatto il differenziale qualitativo che lo contraddistingue dalle produzioni di altri Paesi. Il decreto MIPAAF del 10 novembre 2009, recante «Disposizioni nazionali relative alle norme di commercializzazione dell’olio d’oliva» prevede che ai controlli 136 La tavola rotonda previsti dal regolamento comunitario di riferimento, provveda l’ICQRF mediante uno specifico piano annuale dei controlli che riguardi tutte le fasi della filiera. In base a tale norma, i controlli vengono effettuati a campione, sulla base dell’analisi del rischio che tiene conto dei criteri previsti dal reg. (CE) n. 882/2004 e degli ulteriori elementi informativi acquisibili dalle banche dati AGEA, l’Agenzia che ha competenza in Italia per l’erogazione in agricoltura di aiuti, contributi, premi e interventi comunitari. Vista l’importanza del settore dell’olio d’oliva, l’Ispettorato impegna nello stesso un elevato quantitativo di risorse, come dimostrano l’elevato numero dei controlli e, soprattutto, i pregevoli risultati operativi ottenuti negli ultimi anni grazie a un più completo approccio al fenomeno delle frodi alimentari. Infatti, attraverso un’analisi del rischio settoriale molto approfondita e articolata che prende in considerazione molteplici fattori concernenti gli operatori (provenienza del prodotto, quantitativi movimentati, prezzi di acquisto e vendita, precedenti irregolarità accertate) e, sulla base della ricostruzione dei rapporti societari, vengono selezionati gli operatori presso i quali si eseguono dettagliati controlli di rintracciabilità. Vengono attenzionate, in particolare, le partite di olio extravergine di oliva introdotte dall’estero e quelle designate come «100% italiano». Tale attività, in caso di particolari situazioni di mercato e considerata la rilevanza del settore oleario per l’economia italiana, viene svolta nell’ambito di un apposito «Comitato tecnico» coordinato dall’ICQRF (costituito con D.M. 13 febbraio 2003, n. 44) che raggruppa tutti gli organismi di controllo che operano nel comparto agroalimentare: ICQRF, Comando Carabinieri Politiche agricole e alimentari, Comando Generale delle Capitanerie di porto, Corpo forestale dello Stato, Guardia di finanza, Comando Carabinieri per la tutela della salute, Polizia di Stato, Agenzia delle dogane e Agenzia per le erogazioni in agricoltura (AGEA). In seno al Comitato, a seguito di un’analisi del rischio condivisa, si selezionano congiuntamente i soggetti da controllare e l’attività operativa viene attuata nell’ambito di uno specifico programma straordinario di controllo. L’Ispettorato, inoltre, anche a prescindere dalle attività coordinate dal predetto Comitato tecnico, ha rafforzato le collaborazioni con gli altri organi di controllo che operano nel settore agroalimentare al fine di sfruttare le sinergie operative prodotte dalla complementarietà delle strutture, incrementando i controlli nei punti di ingresso delle merci al fine di monitorare la qualità degli oli in entrata nel nostro Paese. Ulteriore e innovativo strumento di cui dispone l’Ispettorato per una migliore azione di contrasto delle frodi è l’Osservatorio antifrode, costituito in collabora- 137 zione con l’Istituto nazionale di economia agraria (INEA) nell’ambito di un progetto di ricerca, con lo specifico scopo di acquisire informazioni utili all’individuazione dei fattori che aumentano il rischio di frode nei settori merceologici di competenza e pervenire alla definizione di specifici indicatori di rischio. L’Osservatorio è costituito da esperti del mondo universitario e della ricerca e da tecnici specializzati dell’ICQRF, allo scopo di riunire competenze giuridiche, economiche, tecnologiche, analitiche e operative, che effettuano un approfondito e completo confronto su temi connessi con l’evoluzione normativa, l’analisi delle dinamiche di mercato, le innovazioni tecnologiche e le metodologie di controllo, al fine di rendere più efficienti ed efficaci le attività di controllo, ispettivo e analitico, e favorire l’individuazione e il contrasto di nuove tipologie di frode. 3. I risultati operativi Nella tabella 1 si riportano i risultati operativi dell’anno 2012, conseguiti dall’Ispettorato nel settore oleario. Tabella 1 - I risultati operativi dell’ICQRF, 2012 Attività ispettiva Settore oleario 4.411 27.107 16,3 Operatori controllati 3.908 24.106 16,2 di cui irregolari (%) 12,5 15,8 8.161 58.200 14 di cui irregolari 595 5.466 di cui irregolari (%) 7,3 9,4 945 8.262 11,4 465 67 911 7,4 29 62 531 11,7 19.321.370 44.790.702 43,1 Notizie di reato 69 312 22,1 Contestazioni amministrative 482 5.432 8,9 Prodotti controllati di cui anche panel Campioni irregolari di cui irregolari al panel Sequestri Valore dei sequestri (euro) Risultati operativi 138 Oleario/ totale (%) Ispezioni Campioni analizzati Attività analitica Totale La tavola rotonda Si può notare che, rispetto al totale delle ispezioni nell’intero comparto agroalimentare, oltre il 16% ha riguardato il settore oleario mentre, per quanto concerne le irregolarità di natura penale, si osserva che quelle accertate nel citato settore rappresentano oltre il 22% del totale. Un altro dato interessante riguarda il valore dei prodotti sequestrati, oltre 18,5 milioni di euro, pari al 43% del totale, dovuto all’imponente sequestro di oltre 8.000 tonnellate di olio designato come extravergine di oliva effettuato nei confronti di un’azienda di rilevanza nazionale, con sede e stabilimento in Castellina Scalo nel Comune di Monteriggioni (SI), nell’ambito della c.d. «operazione Arbequino». Tale attività merita un approfondimento per aver reso evidente un fenomeno sospettato da tempo che, attraverso un articolato sistema di miscelazione di partite di olio extravergine di oliva con altre non in possesso dei requisiti per essere designate tali, consentiva di ottenere un prodotto finale formalmente in regola. 4. L’«operazione Arbequino»: un caso studio L’attività investigativa, condotta su delega della Procura della Repubblica di Siena in collaborazione con il Nucleo di Polizia tributaria della Guardia di finanza di Siena, è stata svolta utilizzando diversi strumenti di indagine. All’operazione è stato attribuito il nome di una varietà di olive da olio (Arbequìn) molto diffusa in Andalusia, caratterizzata per la sua alta e costante produttività oltre che per le buone caratteristiche organolettiche, il cui prodotto è stato utilizzato per compiere la frode (Box 1). Box 1 - L’«operazione Arbequino» in sintesi • Sequestrati 81.640 quintali totali di olio extravergine e vergine comunitario e nazionale (di cui 4.490 quintali presso clienti). • Valore del sequestro: 18.632.000 euro. • Eseguiti 6 ordini di custodia cautelare. • Declassati a comunitario 17.306,45 quintali di olio extravergine di oliva dichiarati italiano e greco. • Declassati a lampante 6.795,26 quintali di olio extravergine e vergine di oliva Nel corso dell’ispezione sono stati rinvenuti, all’interno del laboratorio chimico dell’azienda, alcuni quaderni manoscritti riportanti annotazioni di “tagli” di oli diversi e “distinte base” sulle quali erano indicate, in codice, le istruzioni 139 per l’ottenimento di masse di olio che veniva rivendicato come olio extravergine d’oliva. Lo studio dei documenti acquisiti, attuato con la fattiva collaborazione di Ufficiali di P.G. dell’Amministrazione centrale ICQRF, ha portato alla luce un meccanismo fraudolento, in atto sin dal 2010, basato su una prassi molto estesa utilizzata dall’azienda, con artifizi documentali ed anche illeciti assemblaggi tra prodotti oleari non aventi requisiti per la categoria extravergine e/o di diversa origine geografica rispetto a quanto dichiarato nel registro ufficiale di carico/scarico del SIAN (Sistema Informativo Agricolo Nazionale). Più in particolare, si è proceduto alla consultazione e verifica della documentazione rinvenuta nel corso delle attività di perquisizione locali e informatiche, i cui estremi (date, quantità, categorie, fornitori e clienti) sono stati sistematicamente incrociati con le scritture ufficiali in seno al registro telematico SIAN. Per quanto riguarda l’attività di perquisizione locale, particolare attenzione è stata indirizzata alla ricerca della documentazione extracontabile (agende, schede di lavoro, appunti manoscritti, ecc.) mentre la ricerca informatica sui personal computer è stata orientata alla posta elettronica e alle cartelle e/o file di lavoro. Un’attività importante ha riguardato la valutazione delle risultanze analitiche ed organolettiche dei prodotti oleari sfusi prelevati nel corso dell’ispezione dei luoghi. Anche in considerazione dell’irripetibilità dell’accertamento, il prelevamento è stato svolto sulla scorta di un protocollo tecnico operativo, redatto dai funzionari dell’ICQRF, approvato preventivamente dall’Autorità giudiziaria. Mediante le informazioni acquisite nel corso dell’attività d’indagine sono stati preventivamente individuati i serbatoi contenenti le materie prime (acquistate tal quali da fornitori nazionali ed esteri e non ancora miscelate) e i serbatoi contenenti, invece, olio extravergine d’oliva già assemblato in partite pronte per la commercializzazione a favore di terzi soggetti imbottigliatori. Ciò ha permesso di mirare il prelevamento degli oli e di individuare quelli non conformi (analiticamente e/o organoletticamente) ma formalmente presenti come oli extravergini di oliva, rispetto alle partite già assemblate e, pertanto, rese conformi ai requisiti (acidità, perossidi, alchil esteri, stigmastadieni, ecc.) previsti dalla disciplina comunitaria vigente. L’attività di prelevamento e analisi si è svolta in collaborazione con l’Agenzia delle dogane. Le attività investigative hanno portato alla formulazione di un’ipotesi di reato comprendente l’associazione a delinquere, la falsità in registri e documenti, la vendita di sostanze non genuine come genuine e la frode in commercio aggravata (artt. 140 La tavola rotonda 416, 484, 515, 516, 517 bis c.p.), essenzialmente configurabile in due condotte illecite finalizzate all’ottenimento di masse di: a) prodotti oleari documentalmente designati come extravergine di oliva ma ottenuti con materie prime di categoria inferiore, nella fattispecie oli lampanti; tale attività di assemblaggio - mediante la media ponderata dei valori analitici - portava alla commercializzazione di masse di olio extravergine di oliva rese conformi ma ottenute a partire da materie prime non utilizzabili nel processo di ottenimento della categoria extravergine di oliva. Per tale motivo sono stati sequestrati circa 42.150 quintali di olio extravergine di oliva comunitario risultante dall’illecita miscelazione; b) olio extravergine di oliva falsamente dichiarato «100% italiano» ma ottenuto dalla miscelazione indistinta di oli di origine spagnola (in particolare provenienti dalla varietà Arbequino) e greca, venduto a numerose ditte imbottigliatrici ad un prezzo assolutamente in linea con le aspettative del mercato nazionale, producendo, anche in questo caso, l’effetto falsato tra qualità e prezzo; per tale motivo sono stati sequestrati circa 35.000 quintali di olio extravergine di oliva risultante dall’illecita miscelazione. Sono stati, inoltre, puntualmente individuati e sequestrati complessivi 4.490 quintali di olio extravergine di oliva comunitario e italiano proveniente dall’illecita attività, commercializzati a favore di tre imbottigliatori italiani. 5.Ulteriori attività svolte nel comparto dall’ICQRF nel primo trimestre 2013 Per quanto concerne, invece, i più rilevanti risultati operativi conseguiti nel primo periodo del 2013, su delega della Procura della Repubblica di Trani, in collaborazione con il Nucleo di Polizia tributaria della Guardia di finanza di Andria e l’Agenzia delle dogane, l’Ispettorato ha condotto nel mese di febbraio un’imponente operazione in Puglia e Calabria nel corso della quale sono state eseguite 37 perquisizioni e sequestrate 420 tonnellate di olio falsamente dichiarato «made in Italy» per un valore di oltre un milione di euro. 6. Conclusioni Dalle considerazioni formulate e dai dati esposti emerge l’elevata attenzione che l’Ispettorato dedica al settore dell’olio d’oliva, ritenuto strategico per l’econo- 141 mia agricola dell’Italia anche in relazione alle funzioni di tutela ambientale che l’olivicoltura è in grado di svolgere in determinati territori. I considerevoli risultati operativi raggiunti negli ultimi anni dall’Ispettorato sono dovuti anche alle notevoli risorse dedicate allo studio dei fenomeni fraudolenti in atto nel nostro Paese, utilizzando le banche dati disponibili tra le quali, nel settore oleicolo, riveste fondamentale importanza quella gestita da AGEA. Tale attività di analisi si è tradotta in controlli più mirati e in un maggior numero di azioni di particolare rilevanza, rese possibili da un approccio globale al fenomeno delle frodi grazie a una sempre più approfondita analisi del rischio effettuata dagli uffici e a un’instancabile attività di ricerca effettuata nei laboratori specializzati dell’Ispettorato per rilevare le nuove frodi emergenti. Le azioni di particolare rilevanza sono state spesso operate congiuntamente con altri organismi di controllo al fine di sfruttare al massimo le sinergie operative, con risultati di elevato spessore dal punto di vista del contrasto alle frodi e alle forme di sleale concorrenza sul mercato, nonché della tutela dei consumatori. Particolarmente efficace ai fini dei controlli si è rivelata la collaborazione con le Capitanerie di porto, grazie al supporto fornito nel corso dei controlli in area portuale, e con la Guardia di finanza, per la perfetta integrazione raggiunta nel corso delle attività di indagine e il recupero di notevoli risorse sottratte al bilancio dello Stato. 142 La tavola rotonda Le iniziative della Regione Toscana a supporto del settore Luciano Zoppi1 1.Introduzione La Toscana vanta certamente un’elevata reputazione, a livello nazionale e internazionale, sulla qualità dell’olio di oliva, grazie alle caratteristiche climatiche del suo territorio, ma anche per la grande professionalità e la passione dedicata a questo prodotto da una moltitudine di operatori, piccoli e grandi (olivicoltori, frantoiani, commercianti, ristoratori, ecc.) e per una tradizione secolare fatta di illuminati scienziati e imprenditori, di mezzadria, di stretti rapporti fra città e campagne. Oggi la Toscana si trova a dover difendere e consolidare tale reputazione a fronte di una accentuata competitività, sia sui mercati globali dove emergono sempre nuovi Paesi produttori, che sul mercato interno, dove si assiste ad una rapida crescita, anche in termini qualitativi, di determinate regioni e aree olivicole. E’ forse anche grazie alla grande reputazione della Toscana per la qualità dell’olio di oliva, che sul territorio regionale si è sviluppata, oltre all’olivicoltura, anche una consolidata e diffusa attività di confezionamento e commercializzazione dell’olio di oliva, con la presenza di alcuni stabilimenti di primaria rilevanza, a livello nazionale e internazionale. A tale proposito si può evidenziare che in Toscana vengono prodotte quantità di olio relativamente modeste (circa il 3-4% del totale nazionale), mentre le quantità di olio confezionato in Toscana risultano pari a oltre dieci volte l’olio prodotto in regione. Purtroppo, l’integrazione tra le imprese di confezionamento e la fase agricola della filiera è in generale piuttosto scarsa. La fama dell’olio extravergine di oliva nel mondo ha causato negli anni anche diffusi casi di imitazione, cioè di prodotti che sfruttano il tuscan sounding, in analogia a quanto avviene anche a livello nazionale con l’italian sounding2. Questo fenomeno risulta più diffuso soprattutto nei mercati più distanti, ma alcuni casi di 1 Funzionario Regione Toscana, Settore produzioni agricole vegetali. 2 Il fenomeno dell’italian sounding riguarda la vendita di prodotti che “suonano” come italiani, grazie a nomi e immagini che richiamano l’Italia, ma che in realtà di made in Italy hanno ben poco o nulla. 143 imitazione si riscontrano anche a livello locale. Per contrastare questi fenomeni e, più in generale, le svariate irregolarità che emergono nel settore degli oli di oliva, risulta determinante rafforzare le collaborazioni tra le varie autorità che esercitano i controlli. In tal senso la Regione Toscana ha promosso alcune iniziative finalizzate proprio a rendere più incisive, efficaci e coordinate le attività degli organi di controllo. Forse anche per reagire ai diffusi fenomeni di imitazione scorretta, in Toscana si è puntato, più che in altre regioni, sulle denominazioni d’origine protette (DOP) e sulle indicazioni geografiche protette (IGP), fin dalla loro introduzione avvenuta ormai diversi anni fa. In proposito si evidenzia che l’IGP Toscano e le quattro DOP riconosciute sul territorio regionale (Chianti Classico, Terre di Siena, Lucca e Seggiano) rappresentano mediamente circa il 30-40% dei quantitativi di olio extravergine di oliva certificato DOP e IGP a livello nazionale. Purtroppo anche le DOP e le IGP non hanno per ora prodotto tutti gli effetti sperati al momento della loro introduzione, in termini di differenziale di prezzo rispetto alle produzioni non certificate, e anche l’olivicoltura toscana si trova attualmente in grandi difficoltà, come molte altre olivicolture nazionali, soprattutto a causa dei costi di produzione troppo elevati rispetto ai prezzi di mercato. 2. Il tavolo della filiera olivicolo-olearia regionale A fronte di tali difficoltà, che si sono particolarmente aggravate nelle ultime campagne olearie, l’assessore regionale all’agricoltura, Gianni Salvadori, ha riunito intorno ad un apposito tavolo tutti i rappresentanti della filiera olivicola olearia, al fine di affrontare le principali problematiche che affliggono da tempo questo settore, che per la Regione Toscana riveste una grande importanza, sia dal punto di vista produttivo che da quello ambientale e paesaggistico. Il tavolo si è riunito quattro volte tra il 2011 e il 2012 e, sulla base delle proposte presentate in tali riunioni, sono state individuate le linee di intervento e le iniziative da intraprendere per il settore olivicolo ed oleario regionale, alcune delle quali sono già state realizzate o sono in corso di realizzazione. Dal tavolo di filiera è emersa sostanzialmente la necessità di operare su due fronti principali di intervento: da un lato cercare di ridurre i costi di produzione, che sono mediamente molto elevati, dall’altro perseguire una sempre maggiore valorizzazione dei prodotti. La riduzione dei costi richiederebbe soprattutto una maggiore meccanizza- 144 La tavola rotonda zione della potatura e della raccolta, che sono le operazioni colturali che assorbono più tempo. Purtroppo, però, lo sviluppo della meccanizzazione è ostacolato, in molte situazioni, sia dalla presenza di oliveti obsoleti e non razionali che dalle ridotte dimensioni della maggior parte delle aziende. Laddove le condizioni lo consentono sarebbero quindi necessari interventi di ristrutturazione degli oliveti esistenti o la realizzazione di nuovi oliveti razionali. Purtroppo, si registra uno scarso interesse da parte delle aziende ad investire in un’attività attualmente poco redditizia. Alcuni miglioramenti più limitati possono comunque essere ottenuti anche nei vecchi oliveti, attraverso l’introduzione di piccole macchine agevolatrici. Un altro ambito di lavoro individuato dal tavolo di filiera per cercare di ridurre i costi di produzione è quello della gestione dei sottoprodotti della lavorazione delle olive (acque di vegetazione e sanse). Le destinazioni prevalenti di tali sottoprodotti (utilizzazione agronomica e sansificio) comportano, infatti, dei costi crescenti o danno luogo a ricavi sempre più ridotti, che in definitiva si traducono in un aumento dei costi del servizio di frangitura per gli olivicoltori. Recentemente sono state avviate, anche in Toscana, alcune interessanti esperienze innovative finalizzate ad una migliore valorizzazione dei sottoprodotti della lavorazione delle olive e in particolare delle sanse (per la produzione di biogas, per la produzione di substrati per il vivaismo, ecc.). Tuttavia queste nuove utilizzazioni si sono scontrate talvolta con interpretazioni non univoche, da parte delle autorità preposte ai controlli ambientali, della normativa di riferimento, in particolare per quanto riguarda la distinzione tra sottoprodotti e rifiuti. La Regione Toscana si è quindi fortemente impegnata per ottenere un chiarimento giuridico che consenta di inquadrare con certezza i reflui della lavorazione delle olive (acque di vegetazione, sanse, foglie) tra i sottoprodotti (e non tra i rifiuti) anche qualora destinati ad impieghi alternativi. Sul fronte della valorizzazione delle produzioni, il tavolo di filiera ha individuato l’esigenza di iniziative di informazione e comunicazione volte a far crescere la consapevolezza dei consumatori, ma anche di iniziative di carattere promozionale finalizzate ad aumentare la penetrazione e la competitività delle produzioni regionali sui mercati interno ed estero, con particolare attenzione per quei segmenti di mercato interessati all’acquisto di prodotti di elevata qualità e tipicità. In tal senso la Regione Toscana, in accordo con Unioncamere Toscana e attraverso Toscana Promozione e Metropoli - Azienda Speciale della Camera di Commercio di Firenze - ha organizzato già due edizioni (nel 2011/2012 e nel 2012/2013) della «Selezione regionale degli oli extravergini di oliva DOP e IGP», al fine di promuovere il prodotto regionale in Italia e all’estero. 145 Altre iniziative scaturite dai lavori del tavolo di filiera, alcune delle quali sono già state realizzate o sono in corso di realizzazione, riguardano l’ambito dei controlli, al quale si è già accennato precedentemente, quello della ricerca e quello della formazione, informazione e comunicazione. 3.Gli strumenti di sostegno al settore Per tutti gli investimenti che interessano la filiera olivicola-olearia gli strumenti di sostegno consistono principalmente nel Piano di sviluppo rurale (PSR) e in particolare nei Progetti Integrati di Filiera (PIF). In proposito si ricorda che già nel primo bando regionale attuativo dei PIF, nel 2011, sono stati finanziati due progetti della filiera olivo-oleicola, attualmente in corso di realizzazione, che prevedono investimenti per un importo complessivo di euro 5.654.994 ed un contributo pubblico pari a euro 2.396.318. Sul secondo bando PIF, nel 2012, sono stati finanziati ulteriori tre progetti relativi alla filiera olivo-oleicola, per la quale il bando aveva previsto un’apposita riserva di fondi, per un importo complessivo di investimenti previsti pari ad euro 9.297.841 ed un contributo pubblico di euro 4.338.332. Complessivamente, quindi, i due bandi PIF consentiranno di attivare 5 progetti nella filiera olivo-oleicola regionale per quasi 15 milioni di euro, sostenendoli con un contributo pubblico di quasi 7 milioni di euro. 146 Allegato LEGGE 14 gennaio 2013, n. 9 Norme sulla qualità e la trasparenza della filiera degli oli di oliva vergini. (13G00030) (GU n.26 del 31-1-2013) Vigente al: 1-2-2013 Capo I NORME SULLA INDICAZIONE DELL’ORIGINE E CLASSIFICAZIONE DEGLI OLI DI OLIVA VERGINI La Camera dei deputati ed il Senato della Repubblica hanno approvato; IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA Promulga la seguente legge: Art. 1 Modalità per l’indicazione di origine 1. L’indicazione dell’origine degli oli di oliva vergini prevista dall’articolo 4 del decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali 10 novembre 2009, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 12 del 16 gennaio 2010, deve figurare in modo facilmente visibile e chiaramente leggibile nel campo visivo anteriore del recipiente, in modo da essere distinguibile dalle altre indicazioni e dagli altri segni grafici. 2. L’indicazione dell’origine di cui al comma 1 è stampata sul recipiente o sull’etichetta ad esso apposta, in caratteri la cui parte mediana è pari o superiore a 1,2 mm, ed in modo da assicurare un contrasto significativo tra i caratteri stampati e lo sfondo. 3. In deroga al comma 2, i caratteri di cui al medesimo comma possono essere stampati in dimensioni uguali a quelli della denominazione di vendita dell’olio di oliva vergine, nel medesimo campo visivo e nella medesima rilevanza cromatica. 4. Nel caso di miscele di oli di oliva estratti in un altro Stato membro dell’Unione europea o in un Paese terzo, l’indicazione dell’origine di cui al comma 1 è imme- 149 diatamente preceduta dall’indicazione del termine «miscela», stampato ai sensi dei commi 2 e 3 e con diversa e più evidente rilevanza cromatica rispetto allo sfondo, alle altre indicazioni ed alla denominazione di vendita. 5. L’indicazione di cui al comma 4 lascia impregiudicata l’osservanza dell’articolo 4, commi 3 e 4, del citato decreto ministeriale 10 novembre 2009. Art. 2 Comitato di assaggiatori 1. All’articolo 43 del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, sono apportate le seguenti modificazioni: a) al comma 1-ter, l’ultimo periodo è soppresso; b) dopo il comma 1-ter sono inseriti i seguenti: «1-ter.1. Il capo del comitato di assaggiatori è il responsabile dell’organizzazione e del funzionamento dell’accertamento di cui al comma 1-ter e ha il compito di convocare gli assaggiatori nel giorno e nell’orario stabiliti per intervenire alla prova. Egli è responsabile dell’inventario degli utensili, della loro pulizia, della preparazione e codificazione dei campioni per eseguire la prova. 1-ter.2. Al fine di effettuare l’accertamento di cui al comma 1-ter, le analisi sono effettuate su identici lotti di confezionamento, procedendo al prelievo dei campioni in base alle seguenti modalità: a) la quantità di campioni contenuta in ciascun bicchiere per l’assaggio degli oli deve essere di 15 ml; b) i campioni di olio per l’assaggio nei bicchieri devono avere una temperatura equivalente a 28° C p2° C. 1-ter.3. L’assaggiatore, per partecipare ad una prova organolettica di oli d’oliva vergini, oltre ad essere iscritto nell’elenco nazionale di cui al comma 1-ter, deve altresì: a) essersi astenuto dal fumo da almeno trenta minuti prima dell’ora stabilita per la prova; b) non aver utilizzato profumi, cosmetici o saponi il cui odore persista al momento della prova, nonché sciacquare e asciugare le mani ogni volta sia necessario per eliminare qualsiasi odore; c) non aver ingerito alcun alimento da almeno un’ora prima dell’assaggio. 1-ter.4. Qualora l’assaggiatore, al momento della prova, si trovi in condizioni di inferiorità fisiologica tali da comprometterne il senso dell’olfatto o del gusto, o in condizioni psicologiche alterate, deve darne comunicazione al capo del comitato, il quale ne dispone l’esonero dal lavoro. 1-ter.5. Ai fini della validità delle prove organolettiche è redatto un verbale dal quale 150 devono risultare i seguenti elementi: a) numero del verbale; b) data e ora del prelevamento dei campioni; c) descrizione delle partite di olio, con riferimento al quantitativo, alla provenienza del relativo prodotto, alla tipologia, ai recipienti; d) nominativo del capo del comitato di assaggio responsabile della preparazione e della codificazione dei campioni ai sensi dell’allegato XII in materia di valutazione organolettica dell olio di oliva vergine, di cui al regolamento (CEE) n. 2568/91 della Commissione, dell’11 luglio 1991, e successive modificazioni; e) attestazione dei requisiti dei campioni di cui al comma 1-ter.2; f) nominativi delle persone che partecipano all’accertamento come assaggiatori; g) dichiarazione attestante il rispetto delle condizioni per intervenire in una prova organolettica di cui al comma 1-ter.3; h) orario di inizio e di chiusura della procedura di prova». Art. 3 Ulteriore modifica all’articolo 43 del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134 1. All’articolo 43 del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, dopo il comma 1-bis è inserito il seguente: «1-bis.1. Al fine di assicurare ai consumatori la possibilità di individuare gli oli che presentano caratteristiche migliori di qualità, per gli anni 2013, 2014 e 2015, nell’ambito delle attività di controllo e di analisi degli oli di oliva vergini nella cui designazione di origine sia indicato il riferimento all’Italia, le autorità preposte che procedono alla ricerca del contenuto di alchil esteri più metil alchil esteri rendono note le risultanze delle analisi, che sono pubblicate ed aggiornate mensilmente in un’apposita sezione del portale internet del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali. All’attuazione degli adempimenti previsti dal presente comma l’amministrazione interessata provvede con le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica». 151 Capo II NORME SULLA TRASPARENZA E SULLA TUTELA DEL CONSUMATORE Art. 4 Divieto di pratiche commerciali ingannevoli 1. Una pratica commerciale è ingannevole, in conformità agli articoli 21 e seguenti del codice del consumo, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, quando contiene indicazioni che, anche attraverso diciture, immagini e simboli grafici, evocano una specifica zona geografica di origine degli oli vergini di oliva non corrispondente alla effettiva origine territoriale delle olive. 2. È altresì ingannevole la pratica commerciale che, omettendo indicazioni rilevanti circa la zona geografica di origine degli oli di oliva vergini, può ingenerare la convinzione che le olive utilizzate siano di provenienza territoriale diversa da quella effettiva. 3. È ingannevole attribuire valutazioni organolettiche agli oli di oliva diversi dagli oli extravergini e comunque indicare attributi positivi non previsti dall’allegato XII in materia di valutazione organolettica dell’olio di oliva vergine, di cui al regolamento (CEE) n. 2568/91 della Commissione, dell’11 luglio 1991, e successive modificazioni. Art. 5 Illiceità dei marchi 1. Non possono costituire oggetto di registrazione come marchio d’impresa i segni idonei ad ingannare il pubblico sulla provenienza geografica delle materie prime degli oli di oliva vergini. 2. I marchi registrati per i quali sopravvengano le caratteristiche di cui al comma 1 decadono per illiceità sopravvenuta ai sensi dell’articolo 26 del codice della proprietà industriale, di cui al decreto legislativo 10 febbraio 2005, n. 30. La decadenza è dichiarata con le procedure di cui al citato decreto legislativo n. 30 del 2005. 3. Nelle ipotesi di cui al comma 2, il titolare del marchio ha l’obbligo di dare notizia della decadenza e dei relativi motivi di illiceità, a proprie spese, su almeno due quotidiani a diffusione nazionale. 4. Il titolare di un marchio decaduto ai sensi del presente articolo deve avviare immediatamente le procedure per ritirare dal mercato i prodotti contrassegnati dal marchio medesimo, assicurandone il completo ritiro entro un anno dalla dichiarazione di decadenza. 152 Art. 6 Ipotesi di reato connesse alla fallace indicazione nell’uso del marchio 1. All’articolo 4 della legge 24 dicembre 2003, n. 350, dopo il comma 49-ter è inserito il seguente: «49-quater. Fatto salvo quanto disposto dal comma 49-ter e fatte salve le sanzioni di cui all’articolo 16, comma 4, del decreto-legge 25 settembre 2009, n. 135, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 novembre 2009, n. 166, la fallace indicazione nell’uso del marchio, di cui al comma 49-bis, è punita, quando abbia per oggetto oli di oliva vergini, ai sensi dell’articolo 517 del codice penale». Art. 7 Termine minimo di conservazione e presentazione degli oli di oliva nei pubblici esercizi 1. Il termine minimo di conservazione entro il quale gli oli di oliva vergini conservano le loro proprietà specifiche in adeguate condizioni di trattamento non può essere superiore a diciotto mesi dalla data di imbottigliamento e va indicato con la dicitura «da consumarsi preferibilmente entro» seguita dalla data. 2. Gli oli di oliva vergini proposti in confezioni nei pubblici esercizi, fatti salvi gli usi di cucina e di preparazione dei pasti, devono possedere idoneo dispositivo di chiusura in modo che il contenuto non possa essere modificato senza che la confezione sia aperta o alterata, ovvero devono essere etichettati in modo da indicare almeno l’origine del prodotto ed il lotto di produzione a cui appartiene. 3. La violazione del divieto di cui al comma 1 comporta l’applicazione al titolare del pubblico esercizio di una sanzione amministrativa da € 1.000 a € 8.000 e la confisca del prodotto. 4. All’articolo 4 del decreto-legge 10 gennaio 2006, n. 2, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 marzo 2006, n. 81, i commi 4-quater e 4-quinquies sono abrogati. 153 Capo III NORME SUL FUNZIONAMENTO DEL MERCATO E DELLA CONCORRENZA Art. 8 Poteri della Autorità garante della concorrenza e del mercato in materia di intese restrittive nel mercato degli oli di oliva vergini 1. L’Autorità garante della concorrenza e del mercato, in conformità ai poteri ad essa conferiti dalla legge 10 ottobre 1990, n. 287, vigila sull’andamento dei prezzi e adotta atti idonei a impedire le intese o le pratiche concordate tra imprese che hanno per oggetto o per effetto di ostacolare, restringere o falsare in maniera consistente la concorrenza all’interno del mercato nazionale degli oli di oliva vergini attraverso la determinazione del prezzo di acquisto o di vendita del prodotto. 2. L’Autorità garante della concorrenza e del mercato svolge il potere di vigilanza di cui al comma 1 sulla base di informazioni fornite dall’Agenzia delle dogane e resenta annualmente al Parlamento una propria relazione. Art. 9 Ammissione al regime di perfezionamento attivo per gli oli di oliva vergini 1. Al fine di prevenire le frodi nell’applicazione del regime di perfezionamento attivo, l’ammissione al medesimo regime, quando la richiesta abbia per oggetto oli di oliva vergini, è subordinata alla previa autorizzazione del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, previo parere obbligatorio e vincolante del comitato di coordinamento di cui all’articolo 6 del decreto-legge 18 giugno 1986, n. 282, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1986, n. 462. 2. L’autorizzazione di cui al comma 1 è necessaria anche nelle ipotesi di lavorazioni per conto di committenti stabiliti in Paesi non facenti parte dell’Unione europea. Art. 10 Norme contro il segreto delle importazioni agroalimentari 1. Gli uffici di sanità marittima, aerea e di frontiera rendono accessibili a tutti gli organi di controllo e alle amministrazioni interessate alla materia le informazioni a propria disposizione concernenti l’origine degli oli di oliva vergini e delle olive. L’accesso ai documenti di cui al presente articolo non comporta il rischio di disvelamenti distorsivi per la concorrenza e per il funzionamento del mercato. 154 2. Fatte salve le ipotesi in cui sussiste segreto istruttorio, per le quali è necessaria l’autorizzazione della competente autorità giudiziaria, le autorità di cui al comma 1 rendono disponibili le informazioni detenute attraverso la creazione di collegamenti a sistemi informativi e a banche dati elettroniche gestiti da altre autorità pubbliche. Art. 11 Disciplina sulla vendita sottocosto degli oli di oliva extra vergini 1. Nel settore degli oli di oliva extra vergini la vendita sottocosto è soggetta a comunicazione al comune dove è ubicato l’esercizio commerciale almeno venti giorni prima dell’inizio e può essere effettuata solo una volta nel corso dell’anno. È comunque vietata la vendita sottocosto effettuata da un esercizio commerciale che, da solo o congiuntamente a quelli dello stesso gruppo di cui fa parte, detiene una quota superiore al 10 per cento della superficie di vendita complessiva esistente nel territorio della provincia dove ha sede l’esercizio. Capo IV NORME SUL CONTRASTO DELLE FRODI Art. 12 Responsabilità degli enti per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato 1. Gli enti che operano nell’ambito della filiera degli oli vergini di oliva sono responsabili, in conformità al decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, per i reati di cui agli articoli 440, 442, 444, 473, 474, 515, 516, 517 e 517-quater del codice penale, commessi nel loro interesse o a loro vantaggio da persone: a) che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell’ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale, ovvero che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dello stesso; b) sottoposte alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti di cui alla lettera a). 2. La responsabilità dell’ente sussiste anche quando l’autore del reato non è stato identificato o non è imputabile. 155 Art. 13 Sanzioni accessorie alla condanna per il delitto di contraffazione di indicazioni geografiche o denominazioni di origine dei prodotti agroalimentari 1. La condanna per il delitto di cui all’articolo 517-quater del codice penale, quando la contraffazione di indicazioni geografiche o denominazioni di origine dei prodotti agroalimentari riguarda oli di oliva vergini, importa la pubblicazione della sentenza a spese del condannato su almeno due quotidiani a diffusione nazionale, ai sensi dell’articolo 36 del codice penale. 2. La condanna per il delitto di cui al comma 1 importa il divieto per cinque anni di porre in essere qualsiasi condotta, comunicazione commerciale e attività pubblicitaria, anche per interposta persona, finalizzata alla promozione di oli di oliva vergini. Art. 14 Rafforzamento degli istituti processuali ed investigativi 1. Ai delitti di adulterazione o di frode di oli di oliva vergini commessi al fine di conseguire un ingiustificato profitto con più operazioni e attraverso l’allestimento di mezzi e attività continuative organizzate non si applica la sospensione nel periodo feriale dei termini delle indagini preliminari, la cui durata complessiva non può essere superiore a venti mesi. 2. Nel caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta per un delitto commesso ai fini di cui al comma 1, è sempre dispostala confisca del denaro, dei beni o delle altre utilità di cui il condannato non può giustificare la provenienza o di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulti essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato rispetto al proprio reddito dichiarato o alla propria attività economica. 3. All’articolo 266, comma 1, del codice di procedura penale, è aggiunta, in fine, la seguente lettera: «f-ter) delitti previsti dagli articoli 444, 473, 474, 515, 516 e 517-quater del codice penale». Art. 15 Sanzioni accessorie in caso di condanna per il delitto di adulterazione o contraffazione 1. La condanna definitiva per uno dei delitti di cui agli articoli 439, 440, 441, 442, 473, 474 e 517-quater del codice penale nel settore degli oli di oliva vergini comporta il divieto di ottenere: 156 a) iscrizioni o provvedimenti comunque denominati, a contenuto autorizzatorio, concessorio o abilitativo, per lo svolgimento di attività imprenditoriali; b) l’accesso a contributi, finanziamenti o mutui agevolati o altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati da parte dello Stato, di altri enti pubblici o dell’Unione europea, per lo svolgimento di attività imprenditoriali. Art. 16 Obbligo di costituzione e aggiornamento del fascicolo aziendale 1. Al fine di garantire la piena rintracciabilità delle produzioni destinate al commercio e di prevenire eventuali frodi, è obbligatorio, per tutti i produttori di oli vergini, extravergini e lampanti, costituire e aggiornare il fascicolo aziendale, ai sensi del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 1° dicembre 1999, n. 503, e del decreto legislativo 29 marzo 2004, n. 99. In caso di mancata ottemperanza a tale adempimento, le produzioni non possono essere destinate al commercio. 2. La violazione del divieto di cui al comma 1 comporta l’applicazione della sanzione amministrativa pecuniaria del pagamento di una somma da 500 euro a 3.000 euro. 3. Salvo che il fatto costituisca reato, alle imprese riconosciute che provvedono all’annotazione nel registro di carico e scarico, previsto dal decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali 10 novembre 2009, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 12 del 16 gennaio 2010, di olive o oli di produttori che non rispettano l’obbligo di cui al comma 1 si applica la sanzione amministrativa pecuniaria del pagamento di una somma da 500 euro a 3.000 euro, nonché la sanzione accessoria della sospensione del riconoscimento per un periodo da uno a sei mesi. Capo V NORME FINALI Art. 17 Invarianza degli oneri. Entrata in vigore 1. Dall’attuazione della presente legge non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. 2. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale. 157 La presente legge, munita del sigillo dello Stato, sarà inserita nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. È fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge dello Stato. Data a Roma, addì 14 gennaio 2013 NAPOLITANO Monti, Presidente del Consiglio dei Ministri Visto, il Guardasigilli: Severino 158 Finito di stampare nel mese di dicembre 2013 da CSR Centro Stampa e Riproduzione srl Via di Pietralata, 157 – 00158 Roma Tel. 06 4182113 - Fax 06 4506671 – [email protected] Norme e regole per la commercializzazione dell’olio di olivaw Nell’ambito omogeneo “pubblicazioni congiunturali e ricerche macroeconomiche” rientrano le attività di studio dell’INEA finalizzate alla stesura di rapporti sull’andamento del sistema agroalimentare italiano, nonché approfondimenti di taglio settoriale, orientati sia all’analisi della struttura e della performance dei mercati, sia all’analisi del funzionamento delle filiere. Oltre alle tradizionali analisi congiunturali che si sviluppano attraverso una consolidata attività periodica e che costituiscono la principale componente istituzionale delle attività svolte, trovano spazio monografie dedicate allo studio delle relazioni di tipo verticale e/o orizzontale che intercorrono fra i soggetti operanti all’interno delle diverse filiere produttive. La trasmissione del valore, la formazione del prezzo, lo sviluppo delle relazioni contrattuali, la regolamentazione settoriale e l’analisi dei diversi strumenti di supporto al mercato rappresentano temi di fondamentale importanza per comprendere come i nuovi scenari si ripercuoteranno sul sistema agricolo nazionale. norme e regole per la commercializzazione dell’olio di oliva collana PUBBLICAZIONI CONGIUNTURALI E ANALISI MACROECONOMICHE. Quaderni Luci e ombre nelle dinamiche di mercato a cura di Sabrina Giuca INEA 2013 ISBN 978-88-8145-262-0 INEA 2013