NORME E REGOLE PER LA COMMERCIALIZZAZIONE dELL`OLIO

Norme e regole per la commercializzazione dell’olio di olivaw
Nell’ambito omogeneo “pubblicazioni congiunturali e ricerche macroeconomiche” rientrano le attività di studio dell’INEA finalizzate alla stesura di rapporti sull’andamento
del sistema agroalimentare italiano, nonché approfondimenti di taglio settoriale, orientati sia all’analisi della struttura e della performance dei mercati, sia all’analisi del funzionamento delle filiere.
Oltre alle tradizionali analisi congiunturali che si sviluppano attraverso una consolidata
attività periodica e che costituiscono la principale componente istituzionale delle attività svolte, trovano spazio monografie dedicate allo studio delle relazioni di tipo verticale
e/o orizzontale che intercorrono fra i soggetti operanti all’interno delle diverse filiere
produttive. La trasmissione del valore, la formazione del prezzo, lo sviluppo delle relazioni contrattuali, la regolamentazione settoriale e l’analisi dei diversi strumenti di
supporto al mercato rappresentano temi di fondamentale importanza per comprendere
come i nuovi scenari si ripercuoteranno sul sistema agricolo nazionale.
norme e regole per la
commercializzazione
dell’olio di oliva
collana PUBBLICAZIONI CONGIUNTURALI E RICERCHE MACROECONOMICHE. Quaderni
Luci e ombre nelle dinamiche di mercato
a cura di Sabrina Giuca
INEA 2013
ISBN 978-88-8145-262-0
INEA 2013
Istututo Nazionale di Economia Agraria
Norme e regole per la
commercializzazione
dell’olio di oliva
Luci e ombre nelle dinamiche di mercato
a cura di Sabrina Giuca
INEA 2013
Atti del seminario di studi organizzato dall’INEA a Roma, il 28 febbraio 2013.
Il seminario e gli atti sono stati realizzati nell’ambito del progetto “Piano Olivicolo Oleario. Azione 9.1 - Analisi normative” finanziato dal Ministero delle politiche
agricole alimentari e forestali (DM n. 6417 del 30/12/2010) e la cui responsabilità
è affidata a Sabrina Giuca.
Il volume è stato curato da Sabrina Giuca
Coordinamento editoriale: Benedetto Venuto
Segreteria di redazione: Roberta Capretti
Impaginazione grafica: Ufficio Grafico INEA (Barone, Cesarini, Lapiana, Mannozzi)
Si desidera ringraziare Maria Rosaria Pupo d’Andrea per i preziosi commenti al
testo.
PRESENTAZIONE
Il sistema olivicolo-oleario italiano presenta aree vocate alla produzione di olio extravergine di alta qualità, con la possibilità di differenziare
l’offerta grazie alla presenza sul territorio di numerose varietà autoctone e
di prestigiosi oli DOP, IGP e biologici. Tuttavia, il settore è caratterizzato da
realtà produttive diverse per grado di integrazione nella filiera, dimensione
e approccio strategico al mercato e da oggettive difficoltà per gli olivicoltori
che producono olio di qualità di raggiungere un adeguato livello di redditività.
A fronte di ciò, oltre a interventi che agiscano sulle inefficienze strutturali,
occorrono norme che assicurino trasparenza del mercato e correttezza nei
confronti dei consumatori.
Qualità, innovazione del prodotto, promozione e comunicazione rappresentano importanti leve strategiche per lo sviluppo del settore: in tale contesto, può cogliersi un binomio economia-diritto, oggetto di approfondimento
e di analisi da portare all’attenzione di tutte le parti interessate, in quanto
l’innovazione dei processi e dei prodotti del comparto olivicolo-oleario rinvia
all’analisi economica mentre la regolazione di tutte le fasi ad essa connesse
rinvia all’analisi giuridica.
In questo Quaderno, in cui si riportano gli atti del seminario organizzato dall’INEA dal titolo «Norme e regole per la commercializzazione dell’olio
di oliva. Luci e ombre nelle dinamiche di mercato», viene svolta un’attenta
analisi delle strategie di marketing per valorizzare la qualità del prodotto
italiano e si approfondiscono specifiche questioni riguardanti l’interpretazione e l’applicazione della normativa comunitaria e nazionale. Un’attenzione
particolare viene riservata alla legge n. 9/2013 recante «Norme sulla qualità
e la trasparenza della filiera degli oli di oliva vergini». Prospettive e proposte
per la competitività del prodotto italiano emergono tanto dalle relazioni degli
economisti e dei giuristi intervenuti al seminario, quanto dagli interventi degli operatori e degli esperti che hanno preso parte alla tavola rotonda.
Accanto agli aspetti normativi, proprio per la particolare importanza
che il settore olivicolo-oleario ricopre nell’agroalimentare italiano e per la
rilevanza che il consumatore attribuisce alla qualità del prodotto, l’INEA sta
approfondendo ulteriori filoni di ricerca sul fronte della produzione e della trasformazione dell’olio e sta supportando le amministrazioni competenti
nell’ambito delle tematiche dei controlli.
L’auspicio è che questi lavori, nel cogliere ed esaminare le peculiarità
e i problemi che investono il sistema olivicolo-oleario italiano, possano contribuire all’individuazione dei meccanismi più idonei per riqualificare l’intero
settore.
INDICE
Introduzione
Sabrina Giuca, Istituto Nazionale di Economia Agraria (INEA)
7
Le relazioni: “La parola agli economisti e giuristi”
Il mercato e le strategie di marketing per la valorizzazione della qualità Gervasio Antonelli, Università di Urbino Carlo Bo
21
Le indicazioni in etichetta e i segni degli alimenti (dopo il Reg. 1169/2011)
37
Alberto Germanò, CNR - Istituto di Diritto Agrario Internazionale e Comparato (IDAIC)
La qualità e la trasparenza della filiera degli oli di oliva vergini:
la c.d. legge «salva olio»
Stefano Masini, Università di Roma “Tor Vergata”
L’art. 62 e il mercato: dai contratti allo status nella prospettiva dell’olivicoltura
Ferdinando Albisinni, Università della Tuscia (Viterbo)
49
61
La tavola rotonda:
“Prospettive e proposte per la competitività del prodotto italiano”
La qualità negli oli extravergini di oliva tra certezze e confusione
Maurizio Servili, Università di Perugia
85
Fattibilità della tutela dell’olio extravergine di oliva italiano Agostino Macrì, Unione Nazionale Consumatori
95
Il sistema olio e le DOP
Stefano Petrucci, Consorzio Sabina DOP
Il programma nazionale di rintracciabilità di filiera dell’UNAPROL:
uno strumento per la tutela e la valorizzazione dell’olio extravergine
«Made in Italy»
UNAPROL - Consorzio Olivicolo Italiano
101
111
5
Il progetto AIFO dell’olio artigianale
Piero Gonnelli e Giampaolo Sodano, AIFO Associazione Italiana Frantoiani Oleari
115
Il punto di vista dell’industria olearia
Claudio Ranzani, ASSITOL - Associazione Italiana dell’Industria Olearia
121
Comunicare l’olio
Luigi Caricato, Olio Officina Food Festival
125
I controlli dell’Ispettorato repressione frodi (ICQRF)
a tutela della qualità dell’olio extravergine di oliva italiano
Luca Veglia, MIPAAF - Direzione Generale della Prevenzione
e del Contrasto alle Frodi Agroalimentari
135
Le iniziative della Regione Toscana a supporto del settore
Luciano Zoppi, Regione Toscana
143
Allegato
LEGGE 14 gennaio 2013, n. 9: «Norme sulla qualità e la trasparenza
della filiera degli oli di oliva vergini»
6
148
INTRODUZIONE
Sabrina Giuca1
Il settore olivicolo-oleario italiano sta attraversando un periodo difficile, con
elevate incertezze per il futuro sia a livello di politica europea, sia di andamento
dei mercati, tanto in termini di prezzi che di volumi dell’offerta. Pur essendo uno
dei prodotti simbolo dell’agroalimentare italiano, l’olio di oliva risente delle criticità della filiera dalla produzione alla commercializzazione e, in particolare, della
scarsa trasparenza sull’origine del prodotto e della difficoltà dei consumatori di
percepirne la qualità. I casi di frodi dell’olio in commercio e l’italian sounding (ovvero la vendita di prodotti che “suonano” come italiani, grazie a nomi e immagini
che richiamano l’Italia, ma che in realtà di made in Italy hanno ben poco o nulla)
che ne danneggia la concorrenza sui mercati esteri, impediscono una giusta valorizzazione della qualità dell’olio italiano e un’adeguata remunerazione degli olivicoltori. Se, da un lato, si ravvisa la necessità di “comunicare” e promuovere gli oli
italiani di eccellenza, dall’altro è necessario comprendere il valore anche dell’olio
diverso da quello extravergine di oliva, fonte redditizia per alcune aree italiane
ricche di ulivi secolari, e la potenzialità di sbocchi di mercato per i sottoprodotti,
anche per uso energetico.
La regolamentazione del settore olivicolo-oleario, essendo oggetto di discipline di fonti eterogenee e stratificate nel tempo, ha subìto modifiche legislative e
pronunce giurisprudenziali che hanno mutato il quadro normativo di riferimento.
Questo è reso ancora più complesso dal sovrapporsi di più soggetti regolatori, con
aree di competenza non sempre esattamente definite, pur in presenza di un principio, quello di “sussidiarietà”, affermato a livello comunitario oltre che nazionale,
che attribuisce a questi soggetti competenze differenziate, tanto ai fini del mercato
agricolo e agroalimentare quanto di governo della produzione agricola e dello sviluppo rurale.
Così, se riguardo alla commercializzazione dell’olio le norme a livello di
Unione europea sono facilmente individuabili - reg. (CE) n. 1234/2007 del Consiglio, del 22 ottobre 2007, recante organizzazione comune dei mercati agricoli e
disposizioni specifiche per taluni prodotti agricoli (regolamento “OCM unica”) e
reg. di esecuzione (UE) n. 29/2012 della Commissione, del 13 gennaio 2012, rela-
1 Ricercatrice presso l’INEA (Istituto Nazionale di Economia Agraria).
7
tivo alle norme di commercializzazione dell’olio d’oliva - l’incidenza di tali norme
sul complesso piuttosto frammentato delle norme nazionali (statali e regionali) si
presenta complicato sotto distinti profili, alla luce, anche, di recenti provvedimenti.
In particolare, la legge 14 gennaio 2013, n. 9, «Norme sulla qualità e la trasparenza della filiera degli oli di oliva vergini», la legge c.d. “salva olio” perché
tutela il prodotto da pratiche commerciali ingannevoli (il cui testo è riportato in
allegato al presente Quaderno), assume notevole rilevanza nel quadro più vasto
della disciplina comunitaria dell’informazione alimentare, dettata dal reg. (UE)
n. 1169/2011, e dell’art. 62 del decreto legge n. 1/2012 (convertito in legge, con
modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27), che ha introdotto una specifica
disciplina in tema di contratti tra imprese per la cessione di prodotti agricoli e alimentari che interessa, ovviamente, anche il settore dell’olio.
L’applicazione di queste norme e la prossima istituzione del Sistema di qualità nazionale (SQN-olio), che individua il prodotto olio extravergine di oliva «avente
caratteristiche specifiche che determinano una qualità del prodotto finale significativamente superiore rispetto alle norme commerciali correnti»2, si inseriscono,
inoltre, nella più ampia attuazione delle politiche di programmazione in materia
di commercializzazione e promozione dell’olio di oliva, con particolare riguardo
ai momenti negoziali dell’acquisto delle olive per olio, della trasformazione delle
olive in olio, dell’eventuale raffinazione dell’olio ottenuto, della predisposizione dei
contenitori per la vendita del prodotto e della loro etichettatura, nonché della commercializzazione dell’olio nell’ambito di un mercato nazionale e mondiale competitivo. Tuttavia, restano sul piano italiano diverse necessità legislative da colmare:
quella di modificare l’attuale classificazione degli oli, in modo che il consumatore
possa distinguere gli oli ottenuti direttamente dalla spremitura di olive da quelli
che derivano da processi di sansificazione e da raffinazione; quella di rendere obbligatorio l’inserimento in etichetta delle qualità organolettiche; quella di realizzare un sistema di tracciabilità delle olive a carico di tutti i trasformatori e di tutti i
venditori di olio e, naturalmente, controlli adeguati.
Per affrontare il tema nella sua complessità, l’INEA ha organizzato un seminario, nell’ambito del Progetto «Piano Olivicolo Oleario, Azione 9.1 - Analisi
2 È in corso di elaborazione uno schema di decreto ministeriale che prevede l’istituzione del SQNolio, in conformità con l’art. 22, paragrafo 2, del reg. (CE) n. 1974/2006, e del relativo «marchio collettivo unico nazionale» di cui possono beneficiare aziende agricole di produzione, gestori di frantoi,
imprese di commercializzazione, confezionatori e distributori che rispettino il «Disciplinare unico
nazionale» e siano soggetti al controllo di organismi accreditati. Tutti gli operatori e gli organismi
di controllo aderenti al SQN-olio saranno inseriti in un elenco, articolato su base regionale, istituito
presso il MIPAAF e pubblicato sul sito internet del Ministero.
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normative»3, dal titolo «Norme e regole per la commercializzazione dell’olio di
oliva. Luci e ombre nelle dinamiche di mercato», che ha visto coinvolti accademici,
esperti giuristi, esponenti del mondo operativo e rappresentanti delle organizzazioni e delle associazioni di categoria per discutere dei recenti provvedimenti e
delle prospettive per la competitività del nostro prodotto. Il Quaderno riporta le
relazioni presentate durante il seminario e gli interventi dei partecipanti alla tavola
rotonda, integrate ed arricchite dagli autori alla luce delle numerose esperienze
che sono emerse nel corso della giornata.
La prima parte del lavoro, che raccoglie le relazioni di esperti di economia e di diritto, si apre con il contributo di Gervasio Antonelli, del Dipartimento
di Economia, Società, Politica (DESP) dell’Università degli Studi di Urbino Carlo
Bo, che si focalizza sul mercato, come insieme di regole economiche, sulle
dinamiche in atto nello scenario internazionale e sulle strategie di marketing
per la valorizzazione della qualità dell’olio. Secondo l’economista, la comunicazione diventa un tema cruciale per valorizzare il nostro olio. L’«asimmetria
informativa» tra venditori e distributori, da un lato, e i consumatori, dall’altro,
sono all’origine del «fallimento del mercato» che avviene quando i molti segni
della qualità dell’olio italiano non arrivano ai cittadini che hanno a disposizione informazioni incomplete e inadeguate per valutarne le caratteristiche e
fare scelte di acquisto consapevoli. La presenza di marche forti sugli scaffali
della grande distribuzione, con una chiara spiegazione al consumatore della
differenza di prezzo (premium price) e la creazione di strutture organizzative su base consortile per adottare opportune strategie di marketing, nonché
l’affidamento della comunicazione a privati e un sistema di cooperazione che
vada a beneficio di tutti, secondo Antonelli, possono fare la differenza. Se dal
punto di vista normativo è fondamentale l’origine e la trasparenza della filiera, secondo l’economista è auspicabile l’introduzione di un sistema di qualità
nazionale dell’olio d’oliva, supportato da opportune strategie di marketing sia
per il consumatore italiano che per il mercato estero; la differenziazione del
prodotto e la creazione di un brand che abbia qualità più alte di quelle standard
fissate dalla normativa, secondo un disciplinare condiviso da tutti gli attori del
3
Il Progetto «Piano Olivicolo Oleario, Azione 9.1 - Analisi normative», finanziato dal MIPAAF nell’ambito del Piano di settore nazionale, ha l’obiettivo di individuare, attraverso un’ampia concertazione
con tutte le parti interessate, gli elementi di criticità e di eterogeneità degli strumenti normativi
vigenti sui quali, de iure condendo, potrebbe essere necessario intervenire; al riguardo, oltre a
identificare eventuali esigenze di semplificazione, modifica, integrazione della complessa normativa di settore, viene operato un tentativo di chiarimento sull’applicazione di essa, riguardo a specifici
aspetti della filiera olivicolo-olearia ritenuti meritevoli di indagine.
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sistema, sono fattori di successo per creare “massa critica” di prodotto sul
mercato, con standard qualitativi e quantitativi stabili e garantiti.
Con la relazione successiva di Alberto Germanò, dal titolo «Le indicazioni
in etichetta e i segni degli alimenti (dopo il reg. 1169/2011)», l’analisi si sposta
sul piano giuridico. Germanò, responsabile scientifico del CNR-IDAIC (Istituto di
Diritto Agrario Internazionale e Comparato), già professore ordinario di Diritto
agrario comunitario nell’Università di Roma “La Sapienza”, ha illustrato i cambiamenti che sono stati apportati dal reg. (UE) n. 1169/2011 riguardo all’inserimento
di informazioni in etichetta, proponendo un’analisi comparatistica con le normative antecedenti e con le proposte che si sono succedute. Il regolamento, infatti,
assume particolare rilevanza se si vuole tutelare la produzione oleicola italiana,
dato che - come è stato messo in evidenza da Germanò - è stata data facoltà agli
Stati membri di disporre indicazioni complementari obbligatorie in etichetta anche
con riguardo all’origine dei prodotti alimentari (tra cui, ovviamente, c’è l’olio). La
criticità messa in luce dal relatore è l’ambiguità del parametro di origine nella
normativa comunitaria per poi affrontare il problema più generale dell’ammissibilità di un segno che si richiami all’Italia e il fallimento delle posizioni dell’Italia a
difesa di un marchio made in Italy, anche in base a come sono formulate le nostre
leggi. Il giurista ricorda come l’istituzione di un marchio pubblico per le produzioni
nazionali sia in contrasto con il diritto comunitario che vieta i marchi collettivi geografici di enti pubblici territoriali (6° considerando e lett. s) dell’art. 2 della direttiva
70/50/CEE del 22 dicembre 1969) - perché sarebbero causa di illecite restrizioni
quantitative alle importazioni tra gli Stati membri vietate dall’art. 34 del Trattato di
funzionamento dell’Unione europea - e chiude con l’esempio della legge francese
secondo la quale l’indicazione di ciò che può essere definito come made in France
è obbligatoria ma soltanto per una lista ben determinata di prodotti.
Stefano Masini, del Dipartimento di diritto e procedura civile dell’Università
di Roma “Tor Vergata”, ha presentato un contributo che analizza la legge italiana n.
9 del 14 gennaio 2013, la legge c.d. “salva olio” finalizzata a garantire l’alta qualità
degli oli vergini italiani, proteggendone l’immagine ed evitando l’immissione sul
mercato di oli venduti come made in Italy. Dopo i casi di frode in commercio che
hanno portato a ingenti sequestri di olio a marchio italiano provenienti da Spagna e
Turchia, i controlli si sono arricchiti dello strumento del panel test per gli standard
qualitativi degli oli vergini e le sanzioni sono state irrigidite. Il legislatore, infatti,
ha creato un forte apparato di disincentivi penali e reputazionali con una efficace
capacità deterrente. In caso di contraffazione di indicazioni geografiche o denominazioni di origine di oli extravergini, l’art. 13 della legge esaminata prevede la
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pubblicazione della sentenza a spese del condannato su almeno due quotidiani a
diffusione nazionale; dalla condanna discende anche il divieto per cinque anni di
mettere in atto qualsiasi condotta, comunicazione commerciale e attività pubblicitaria finalizzata alla promozione di oli di oliva vergini. La tutela e la veridicità del
prodotto italiano è dunque di vitale importanza secondo Masini, non solo per l’affermarsi di circoli virtuosi all’interno del mercato, ma anche, e forse soprattutto,
per la conservazione del rapporto di fiducia reciproco con il consumatore finale.
Ed è proprio al mercato - come insieme di regole giuridiche - che è rivolta l’analisi di Ferdinando Albisinni, del Dipartimento DISTU - Istituzioni Europee
dell’Università della Tuscia (Viterbo), che chiude questa prima parte del Quaderno.
Secondo il giurista, tramite l’art. 62 della legge 27/2012 si sta passando dal mercato (e dai contratti) allo status, con discipline meno generalizzate e sempre più sezionali e di area. L’Organizzazione comune di mercato (OCM) delle materie grasse
vegetali, che dalla sua istituzione nel 1966 manteneva un proprio sistema interno
di regole, è stata sostituita dalla nuova OCM unica nel 2007, strutturata in azioni
specifiche di intervento che, affiancate a misure generali di gestione del mercato
agricolo, potranno favorire la stabilizzazione dello stesso. Dopo aver argomentato
il parallelismo tra l’art. 8 della legge c.d. “salva olio” e il comma 8 dell’art. 62 della
legge 27/2012, entrambi operanti nel senso della valorizzazione dello statuto della
concorrenza nel mercato olivicolo quale principale presidio attivo per la tutela dei
produttori, il giurista conclude come l’emergere di nuovi modelli e paradigmi per
regolamentare il mercato agroalimentare con un approccio «bottom-up» si muovano dal presupposto della inadeguatezza dell’approccio tradizionale basato sulla
«privity of contract» e della inidoneità del mercato a regolarsi per sé solo, in presenza di irrisolte asimmetrie economiche, produttive, finanziarie ed informative.
La seconda parte del Quaderno riporta i contributi dei partecipanti alla tavola rotonda, che ha avuto come tema «Prospettive e proposte per la competitività
del prodotto italiano», moderata da Luigi Caricato, scrittore e giornalista, direttore della manifestazione annuale «Olio Officina Food Festival». Caricato, che è
un «oleologo» (termine da lui coniato che è stato inserito nella banca linguistica
della Treccani) con una pluriennale esperienza riconosciuta nel settore, si è soffermato, innanzi tutto, sull’aspetto salutistico dell’olio. Paradossalmente, gli oli da
seme puntano di più sul fronte salutistico rispetto all’olio extravergine di oliva: chi
produce oli da olive, ha detto il giornalista, lavora in difetto di comunicazione, con
metodologie troppo vetuste.
Proprio il tema della qualità negli oli extravergini di oliva tra certezze e confusione è stato illustrato da Maurizio Servili, del Dipartimento di Scienze Econo-
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mico-Estimative e degli Alimenti, Sezione di Tecnologie e Biotecnologie degli Alimenti, dell’Università di Perugia. Servili si è soffermato sul rapporto tra categoria
commerciale di un olio e qualità reale da esso posseduta e sul fatto che un olio
extravergine di oliva fa bene alla salute non tanto perché è classificato come «extravergine» ma nella misura in cui, all’interno di tale categoria, è caratterizzato da
un alto tenore in acido oleico e da un elevato contenuto in α-tocoferolo e biofenoli.
Il problema che si pone, ha detto Servili, è quanto alto deve essere questo contenuto e come comunicarlo al consumatore. Ne consegue la necessità di differenziare, all’interno della stessa classe commerciale, gli oli extravergini di alta qualità,
provenienti da filiere certificate e caratterizzati da parametri analitici in grado di
tenere in considerazione anche aspetti della composizione dell’olio strettamente
legati alle sue specificità sensoriali e salutistiche. Ne sono un esempio l’olio extravergine di oliva con il marchio «100% Qualità Italiana», le monocultivar e gli oli
DOP/IGP, ovvero tutti quei prodotti di alta qualità soggetti al rispetto di un disciplinare che ne definisce le regole di produzione “dal campo alla bottiglia”. Servili
conclude dicendo che non si può produrre alta qualità senza un’adeguata gestione
della pratiche agronomiche dell’oliveto, in grado di esaltare le qualità intrinseche
della materia prima, e senza tener conto delle diverse cultivar, elemento peculiare
della produzione olivicola nazionale, tali da consentire di ottenere oli diversi sul
piano sensoriale, conformi alle indicazioni dall’Agenzia europea per la sicurezza
alimentare (EFSA) dal punto di vista salutistico.
Agostino Macrì, intervenuto quale esperto di sicurezza alimentare dell’Unione Nazionale Consumatori, ha fatto presente che la prima cosa che vogliono
sapere i cittadini è se l’olio extravergine di oliva venduto nei supermercati a prezzi
ampiamente sotto i 5 euro non presenti pericoli per la salute e può essere del tutto
indifferente per i consumatori, considerato il prezzo più che conveniente, sapere
se quell’olio è italiano oppure di importazione. Poiché l’olio è un alimento essenziale della nostra dieta, consumato in tutte le fasce di età, è necessario, secondo
Macrì, informare al meglio i cittadini e, oltre tutto, bisogna avere la certezza che
gli accertamenti analitici previsti dalla legge c.d. “salva olio” siano sufficienti a garantire l’origine del prodotto. Infatti, non sono rari i casi di bottiglie di olio di oliva
prodotte all’estero ed etichettati con diciture che richiamano il nostro Paese, ma
non sono italiani, o di bottiglie confezionate in Italia utilizzando olio d’importazione. La prova sensoriale prevista ora dalla legge, anche se condotta conformemente a procedure standardizzate e con personale altamente specializzato, potrebbe
non garantire l’accertamento delle differenze tra un ottimo olio spagnolo e uno
italiano. Macrì ritiene che una certezza dovrebbe arrivare dagli oli DOP controllati
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dai Consorzi che ne garantiscono l’origine e dagli oli biologici di cui gli organi di
certificazione controllano il “processo”. Pertanto, indipendentemente dalle norme
esistenti, è necessario fornire indicazioni chiare ai cittadini, in primo luogo sulla
sicurezza alimentare dei diversi tipi di olio e poi sui vantaggi che possono derivare
dal consumo di prodotti interamente italiani, in modo che possano fare una scelta
consapevole a tutela non solo della loro salute ma anche degli interessi delle produzioni nazionali.
Restando su quest’ultimo aspetto, Caricato ha poi puntualizzando che la
legge c.d. “salva olio”, pur prevedendo il rafforzamento degli istituti processuali
e investigativi in casi di adulterazione o frode degli oli di oliva vergini e l’inasprimento delle sanzioni a contrasto delle frodi, rappresenta un chiaro sintomo di crisi
di un comparto dove occorre, innanzi tutto, rafforzare l’associazionismo. Secondo
il giornalista, infatti, esiste una frattura tra mondo della produzione, olivicoltori e
frantoiani, e aziende di marca, che ha di fatto indebolito il sistema, mentre occorre
meno individualismo e più partecipazione per agire e imporsi sui mercati, assegnando un’identità ben definita al prodotto italiano e lavorando sulla comunicazione.
Gli esponenti delle organizzazioni di categoria (olivicoltori, frantoiani, industria) e del consorzio di tutela della denominazione di origine protetta (DOP) intervenuti al dibattito, hanno esposto il loro punto di vista su questi aspetti cruciali.
Stefano Petrucci, presidente del Consorzio Sabina DOP, ha spiegato che
attualmente la quota di mercato dell’olio extravergine made in Italy è del 13% e
risulta uguale a quella degli oli DOP, ma è realizzata con quantità vendute più che
doppie. Analizzando le vendite degli oli DOP all’interno della GDO, inoltre, si nota
che questa è l’unica quota di mercato che è controllata per il 43% direttamente dai
produttori. Gli oli a denominazione di origine protetta, secondo Petrucci, hanno
raggiunto questi risultati senza incentivi mentre l’olio made in Italy, nonostante
gli sforzi “legislativi” e le ingenti risorse investite ha ottenuto la stessa quota di
mercato degli oli DOP ma il prezzo medio di vendita non giustifica gli sforzi fatti
rispetto all’olio senza origine e non si è raggiunta la valorizzazione del prodotto.
Petrucci conclude affermando che il SQN-olio rappresenta una minaccia per gli oli
DOP, molti dei quali non rientrerebbero nei parametri del «disciplinare Alta Qualità» previsto dal sistema, ma può trasformarsi in uno strumento efficace adottando
una certificazione del prodotto che «prenda le mosse seriamente dall’origine e
dalla qualità, riducendo la burocrazia per non replicare uno dei principali ostacoli alla crescita già sperimentato dalle DOP; pianificando e svolgendo un’efficace
comunicazione del prodotto, lavorando su un brand e su tutti i suoi attributi (logo,
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packaging, ecc.) che renda immediatamente riconoscibile il prodotto da parte dei
consumatori».
Nunzio Scaramozzino dell’UNAPROL, la principale organizzazione italiana
di olivicoltori, ha spiegato che il Consorzio ha intrapreso diversi programmi nazionali di tutela e valorizzazione degli oli di oliva made in Italy, con particolare
riferimento ai segmenti dell’olio extravergine certificato ai sensi della norma UNI
EN ISO 22005:08 (tracciabilità di filiera) e del disciplinare «Alta qualità italiana»,
che prevede requisiti sia di prodotto che di sistema più stringenti rispetto alla normativa cogente. In quest’ultima direzione è stato avviato un programma triennale
di tracciabilità di filiera che impegna 570 filiere e oltre 7.000 aziende agricole. Le
fasi di coltivazione, raccolta, trasformazione delle olive in olio, conservazione e
imbottigliamento sono certificate da un ente terzo che ne verifica la rispondenza alle prescrizioni contenute nel disciplinare di produzione adottato dalle filiere;
la tracciabilità del prodotto è adeguatamente comunicata al consumatore tramite
un’etichetta innovativa basata sul «QR-code» che consente di visualizzare su dispositivi mobili appositi “contenuti multimediali” on line.
Piero Gonnelli e Giampaolo Sodano, rispettivamente presidente e direttore
dell’Associazione italiana frantoiani oleari (AIFO), hanno puntualizzato l’impegno
da sempre profuso da AIFO nel sostenere e difendere tutte le azioni tese a favorire la nascita di un mercato dell’olio pulito e trasparente. In tal senso l’AIFO
ha sostenuto la legge c.d. “salva olio”, ha sottoscritto il protocollo d’intesa con
l’«Associazione CODICI centro per i diritti del cittadino» che ha istituito una commissione comune con il compito di denunciare truffe e frodi, e ha richiesto che il
registro telematico (sulla cui introduzione ha contribuito l’AIFO stessa) venga esteso a tutti i frantoi, compresi quelli aziendali e ai commercianti di olive. Sodano ha
poi illustrato il progetto «Olio Artigianale» che prevede la costituzione di una Rete
di imprese, le quali, al fine di ottenere la giusta remunerazione per il loro lavoro,
lavoreranno insieme con trasparenza per dare al cliente finale la sicurezza (garantita) di ottenere un olio certificato e controllato dalla Rete, che rispetti il disciplinare di produzione dell’olio artigianale e mantenga la tracciabilità del processo
produttivo nel rispetto, anche, di un codice etico.
Claudio Ranzani, direttore generale dell’ASSITOL, l’Associazione italiana
dell’industria olearia, ha tenuto a precisare che gli associati sono aziende che occupano tutti i settori di mercato, dall’olio di sansa all’extravergine e, all’interno di
quest’ultimo segmento, aziende che esportano prodotti di nicchia (DOP/IGP e biologico), olio 100% italiano e blend, ottenuti mescolando opportunamente oli di diversa provenienza. Secondo Ranzani il mondo della produzione da tempo denuncia
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una situazione di difficoltà e di crisi ed è ovvio che i produttori lamentino soprattutto i bassi prezzi, ma la produzione nazionale non aumenta ed è insufficiente per le
esigenze del mercato. Spesso l’industria è accusata di continuare ad aumentare le
importazioni, ma ASSITOL compra tutto l’olio dei suoi associati e i dati 2012 indicano un’ulteriore crescita delle esportazioni cui si contrappone invece una piccola
riduzione dell’import, a dimostrazione della preferenza accordata alla produzione
nazionale, evidentemente cresciuta quest’anno, fin quando - ovviamente - vi è olio
disponibile. Secondo Ranzani, da parte agricola si continuano a chiedere provvedimenti di legge e controlli, ma da oltre 15 anni il settore è sottoposto a molteplici
provvedimenti normativi, con il risultato di creare appesantimenti burocratici e aggravio di costi. Ranzani ha sollevato il dubbio che si stia sbagliando strada, tanto
che la recente legge c.d. “salva olio” dovrebbe essere definita legge “criminalizza
olio”, visto che contiene solo nuove pene, nuovi divieti e maggiore burocrazia che
sembrano addirittura spingere a portare le lavorazioni all’estero. Il direttore di ASSITOL conclude affermando che l’Associazione è da sempre disponibile a valutare
forme di collaborazione e ad operare a favore del prodotto nazionale.
Sulla necessità di costruire una filiera unita e coesa si innesta, secondo Caricato, l’ulteriore difficoltà di riuscire a comunicare la qualità dell’olio: il consumatore non sa percepirla e i produttori non sono in grado di comunicarla. Occorre
andare oltre le consuetudini comunicative e inventare un nuovo percorso, come ha
spiegato nella sua relazione il giornalista.
Purtroppo le truffe non mancano ma nel corso degli anni, in considerazione
della necessità di salvaguardare e tutelare sempre di più la salute e gli interessi
dei consumatori, l’attività delle istituzioni preposte ai controlli per contrastare gli
illeciti e le frodi è stata rafforzata, con controlli più mirati, e le sanzioni sono state
inasprite, come ha illustrato Luca Veglia, della Direzione Generale della Prevenzione e del Contrasto alle Frodi Agroalimentari del MIPAAF. Il dirigente ha riportato
i risultati operativi dell’Ispettorato centrale della tutela della qualità e repressione
frodi dei prodotti agro-alimentari (ICQRF), che nel 2012 ha svolto 4.411 ispezioni
nel settore oleario controllando oltre 8.000 prodotti, di cui il 7,3% sono risultati
irregolari. L’Ispettorato ha analizzato 945 campioni, di cui 67 sono risultati non
conformi alla legge. In totale ammontano a 69 le notizie di reato e a 482 le contestazioni amministrative elevate, mentre oltre 19 milioni di euro è stato il valore
dei prodotti sequestrati. Un’articolata indagine, coordinata dalla Procura di Siena,
ha inoltre permesso di sventare una truffa estesa in diversi paesi del bacino mediterraneo; gli istituti preposti ai controlli, ha spiegato Veglia, hanno sequestrato
olio extravergine di oliva ottenuto dalla illecita miscelazione con materie prime di
15
categoria inferiore (4.200 tonnellate), falsamente dichiarato 100% italiano (3.500
tonnellate) e non conforme ai parametri di legge (450 tonnellate).
L’impegno delle istituzioni sia per contrastare gli illeciti sia a supporto del
settore, infine, è stato oggetto dell’intervento di Luciano Zoppi, funzionario della
Regione Toscana. L’elevata reputazione di cui gode la qualità dell’olio di oliva toscano e i diffusi casi di imitazione hanno spinto la Regione a rafforzare le attività
degli organi di controllo, tanto più che in Toscana, rispetto ad altre regioni, si è
puntato sulle DOP, attualmente quattro, che rappresentano circa il 40% dei quantitativi di olio extravergine di oliva certificato DOP/IGP a livello nazionale. Il tavolo
della filiera olivicolo-olearia regionale, istituito nel 2011, ha spiegato Zoppi, ha individuate due linee di intervento: la riduzione dei costi di produzione e la maggiore
valorizzazione dei prodotti. Sul fronte della riduzione dei costi si è puntato a una
maggiore meccanizzazione della potatura e della raccolta (tuttavia gli operatori
hanno mostrato scarso interesse a nuovi investimenti al riguardo), e sulla gestione dei sottoprodotti della lavorazione delle olive. Quest’ultima attività ha spinto la
Regione a un chiarimento giuridico che consenta di inquadrare i reflui della lavorazione delle olive (acque di vegetazione, sanse, foglie) tra i sottoprodotti (e non tra i
rifiuti), anche qualora destinati a impieghi alternativi. Le iniziative di informazione,
comunicazione e promozione sono svolte, localmente e all’estero, attraverso un
accordo con Unioncamere Toscana e con la Camera di Commercio di Firenze. Il sostegno finanziario alle imprese, ha concluso il funzionario regionale, avviene con il
Piano di sviluppo rurale, nell’ambito del quale sono stati finanziati cinque Progetti
integrati di filiera tra il 2011 e il 2012, con un contributo pubblico di quasi 7 milioni
di euro a fronte di un investimento complessivo di circa 15 milioni di euro.
Numerosi, dunque, sono stati gli approfondimenti e altrettante le criticità
emerse nel corso del seminario. Per “salvare” e valorizzare l’olio extravergine italiano non bastano le norme sanzionatorie e nemmeno le recenti misure a tutela
del prodotto nazionale, come l’introduzione in etichetta di modalità più chiare per
l’indicazione dell’origine e del termine minimo di conservazione entro il quale gli
oli di oliva vergini conservano le loro proprietà specifiche in adeguate condizioni
di trattamento (tale termine non può essere superiore a diciotto mesi dalla data
di imbottigliamento e va indicato con la dicitura «da consumarsi preferibilmente
entro» seguita dalla data), ma serve soprattutto coesione lungo gli attori della filiera e la capacità di comunicare con chiarezza ed efficacia al consumatore la vera
qualità del prodotto italiano. Con l’applicazione della legge 9/2013 sarà possibile
trovare sul mercato sia olio extravergine di origine italiana, garantito dai controlli
chimici e sensoriali, sia olio straniero, sia olio italiano miscelato; tutti oli che da
16
un punto di vista della sicurezza sono molto simili se non del tutto uguali e pertanto occorrerà spiegare ai cittadini quali sono le ragioni per cui è opportuno scegliere l’olio di produzione interamente italiana, avendo tra l’altro la certezza che
gli accertamenti analitici previsti dalla legge siano sufficienti a garantire l’origine.
Inoltre, è sorto il dubbio che la legge c.d. “salva olio” finisca per salvaguardare gli
interessi di pochi e in pratica appesantisca i costi, soprattutto per i piccoli produttori e le aziende artigianali, con il rischio che questi soggetti possano uscire dal
mercato.
Ai diversi punti di vista espressi dagli esperti e dai soggetti della filiera, che
si avrà modo di approfondire dalla lettura di questo Quaderno, si vogliono qui riportare ulteriori aspetti e lacune legislative sui quali alcuni giuristi e, in particolare,
Germanò, invitano a riflettere in materia di commercializzazione dell’olio di oliva.
Innanzi tutto, i dati sulla attuale “quantificazione” della produzione regionale e nazionale di olio (numero delle piante in produzione) potrebbero consentire di
verificare se l’olio commercializzato come italiano sul mercato sia effettivamente
tale e, di conseguenza, sarebbe un elemento numerico fondamentale da prendere in considerazione per contrastare le frodi legate alla provenienza del prodotto.
Un altro aspetto di rilievo è la necessità di rafforzare il ruolo giuridico dei panel
di assaggiatori che, se reso obbligatorio, potrebbe diventare uno strumento utile
per contrastare il fenomeno delle frodi. Altro elemento di riflessione è l’opportunità di individuare dei marcatori territoriali (per grandi aree geografiche) che, al
momento dell’analisi dell’olio presso i frantoi, potrebbero essere resi obbligatori
e consentirebbero di verificare l’origine territoriale del prodotto. Ancora, sarebbe quanto meno necessaria una maggiore efficacia dei controlli sulle partite in
ingresso in Italia delle olive e dell’olio, con l’individuazione di un sistema univoco
di campionamento; l’olio sfuso, infatti, finisce spesso per essere miscelato a oli
nazionali di varia qualità e commercializzato - se non esplicitamente, certamente come “immagine” - come olio italiano, perché l’imbottigliatore (ovvero il commerciante) veridicamente risulta essere italiano. L’attuale disciplina in materia di
etichettatura, infine, appare sotto molti punti inadeguata. Innanzi tutto, i commercianti di olio tendono ad apporre sulle bottiglie la retro-etichetta che confonde
il consumatore e, pertanto, andrebbe eliminata o lasciata solo per le indicazioni
nutrizionali. Sulla retro-etichetta, ma talvolta anche sull’etichetta, vengono riportate informazioni che non sono obbligatorie in senso stretto ma che si limitano
a confermare le modalità di produzione dell’olio perché lo stesso possa essere
commercializzato come «olio extravergine» o «olio vergine» (si vedano le formule
sulla spremitura meccanica, sulla estrazione a freddo o spremitura a freddo). Que-
17
ste indicazioni, essendo di carattere tecnico e, comunque, incomprensibili per il
consumatore, potrebbero essere eliminate; al contrario, potrebbe essere utile, per
il consumatore, l’indicazione obbligatoria della data di produzione dell’olio (frangitura), perché, con il passare degli anni, la qualità dell’olio tende a degradare. La
data di scadenza (che oggi è obbligatoria) rischia, per il modo con cui è riportata in
etichetta, di essere ingannevole, essendo calcolata generalmente con riferimento
alla data di imbottigliamento, per cui il consumatore non può sapere da quale data
sia iniziato lo stoccaggio. Sarebbe, infine, opportuno che sull’etichetta siano ben
distinte le indicazioni del “produttore” (inteso come olivicoltore) e dell’imbottigliatore; ma queste ultime considerazioni non possono essere risolte in sede nazionale, perché la competenza sulle indicazioni obbligatorie in etichetta è comunitaria.
Dalle riflessioni conclusive di questa introduzione e, soprattutto, dal contributo del dibattito riportato in questo Quaderno si auspica che vengano colte le
tante sfide lanciate ai futuri policy makers in ambito sia nazionale che comunitario,
ma anche alle stesse associazioni di categoria nella prospettiva di comunicare efficacemente i valori dell’olio italiano ai consumatori, di rafforzare l’immagine del
made in Italy e di aumentarne la competitività sui mercati.
18
Le relazioni:
“La parola agli economisti e giuristi”
Le relazioni
IL MERCATO E LE STRATEGIE DI MARKETING PER LA
VALORIZZAZIONE DELLA QUALITÀ
Gervasio Antonelli1
1.Introduzione
Nell’arco degli ultimi due decenni, la produzione mondiale di olio di oliva,
sostenuta da una domanda in continua crescita, ha registrato un tasso di incremento medio annuo di circa il 3%. Parallelamente, l’ingresso sul mercato, sia dal
lato dell’offerta, sia da quello della domanda, di nuovi Paesi ha modificato il quadro
geografico della produzione e del consumo, che tradizionalmente era circoscritto
all’Italia, alla Spagna, alla Grecia e a pochi altri Paesi dell’area mediterranea. Tutto
ciò ha determinato una progressiva globalizzazione del mercato, con lo sviluppo di
dinamiche nuove e con una maggiore competitività tra i paesi produttori (Antonelli,
2009).
In questo quadro, la presente relazione si propone di condurre una riflessione sulle principali sfide determinate da questo nuovo scenario per le strategie
produttive e commerciali del settore dell’olio di oliva italiano, in particolare per
quelle volte alla valorizzazione della qualità. L’analisi fa riferimento soprattutto
al ruolo che, in questa prospettiva, può svolgere il marketing, inteso come quadro concettuale che comprende tutte quelle attività che consentono ai produttori
di posizionarsi sul mercato creando valore per se stessi, in termini di maggiore
redditività, e per il consumatore, in termini di benefici percepiti. Il riferimento teorico dell’analisi è costituito dalla letteratura economica che affronta il problema
dell’informazione a disposizione dei consumatori. In particolare, questi modelli avvalorano l’ipotesi che molti dei requisiti che distinguono l’olio di oliva di alta qualità
dal prodotto standard non raggiungono il consumatore e, quindi, non possono concorrere a determinarne le preferenze e le scelte. Ne segue che la valorizzazione
della qualità implica sostanzialmente un problema di correzione delle distorsioni
del mercato derivanti da informazioni incomplete e asimmetriche, amplificate dalle strategie competitive della Grande Distribuzione Organizzata (GDO).
1 Professore ordinario presso il Dipartimento di Economia, Società, Politica (DESP) dell’Università
degli Studi di Urbino Carlo Bo.
21
2.
Le dinamiche in atto nello scenario internazionale
In base ai dati del Consiglio Oleicolo Internazionale (COI), la produzione
mondiale di olio di oliva è passata da 1.823,5 mila tonnellate, in media, nel triennio 1990/91-1992/93, a 2.628,8 mila tonnellate, nel triennio 2000/01-2002/03, e a
3.066,2 mila tonnellate nel triennio 2010/11-2012/13 (va osservato che i dati relativi alle campagne olearie 2011/12 e 2012/13 sono ancora provvisori). A questo
aumento ha contribuito, in particolare, la Spagna, la cui produzione è passata dal
34% della produzione mondiale, in media, nel triennio 1990/91-1992/93, al 41,2%
nel triennio 2000/01-2002/03 e al 56,3% nel triennio 2010/11-2012/13, ma anche
molti altri Paesi del bacino del Mediterraneo (Portogallo, Algeria, Marocco, Siria,
Turchia, Tunisia) e un numero crescente di Paesi nuovi produttori esterni all’area
mediterranea (Argentina, Stati Uniti, Australia, Nuova Zelanda, Cile e Sud Africa).
Nell’arco dello stesso periodo, i consumi mondiali sono passati da 1.809,2
mila tonnellate, in media, nel triennio 1990/91-1992/93, a 2.624,8 mila tonnellate nel triennio 2000/01-2002/03 e a 3.136 mila tonnellate nel triennio 2010/20112012/13. In questo quadro, tassi di crescita molto più elevati rispetto alla media
mondiale si sono registrati nei Paesi nuovi consumatori quali, Stati Uniti, Germania, Regno Unito, Olanda, Belgio, Canada, Australia, Giappone, Brasile, Russia e,
di recente, Cina. Negli Stati Uniti, ad esempio, il consumo di olio di oliva è passato
dalle 88 mila tonnellate nel 1990/91, alle 194,5 mila tonnellate nel 2000/01 e alle
275 mila tonnellate nel 2010/11 (294 mila tonnellate secondo i dati provvisori del
COI relativi al 2012/13). Un dato, questo, che colloca gli Stati Uniti al terzo posto
della graduatoria mondiale dei Paesi consumatori di olio di oliva, dopo l’Italia e la
Spagna.
Nonostante ciò, se si fa eccezione per i paesi tradizionalmente consumatori,
i volumi consumati continuano a essere molto ridotti. Infatti, secondo alcune stime
(ISMEA, 2004), il consumo di olio di oliva rappresenta, a livello mondiale, appena
il 4% di quello totale di oli vegetali. Il dato, anche se riferito alla situazione di un
decennio addietro, è comunque significativo dello scarso peso che il consumo di
olio di oliva ha fuori dell’area mediterranea. Si consideri, ad esempio, che negli
Stati Uniti l’olio di oliva rappresenta appena il 2,6% degli oli vegetali consumati.
Tuttavia, il fatto che il suo consumo stia crescendo in tutto il mondo segnala una
tendenza che trova spiegazione nel maggior peso che stanno assumendo le problematiche salutistiche nelle scelte del consumatore. Tra l’altro, l’olio di oliva è
associato alla dieta mediterranea, i cui pregi nutrizionali e salutistici trovano oggi
ampio riconoscimento da parte della comunità scientifica internazionale; dieta
22
Le relazioni
che, dal novembre 2010, è entrata a far parte della prestigiosa lista dell’Unesco
relativa agli elementi immateriali considerati unici al mondo.
Le dinamiche ora analizzate, relative alla produzione e ai consumi, hanno
determinato un’intensificazione degli scambi internazionali e una maggiore globalizzazione del mercato. Infatti, gli scambi internazionali sono passati da 647 mila
tonnellate nel 1990/91, a 1.223 mila tonnellate nel 2001/01, a 1400 mila tonnellate nel 2010/11 e, secondo i dati provvisori del COI, a 1587,6 mila tonnellate nel
2012/13. In questo quadro, un ruolo di primaria importanza viene svolto dall’Italia,
dalla Spagna e dalla Tunisia per quanto riguarda le esportazioni, e dagli Stati Uniti
e dall’Italia per le importazioni. Le esportazioni totali (comprese quelle interne ai
Paesi dell’Unione europea) vedono al primo posto la Spagna, seguita dall’Italia.
Differenze tra l’Italia e la Spagna riguardano anche il posizionamento del rispettivo prodotto sul mercato mondiale: la Spagna esporta prevalentemente olio sfuso, mentre l’Italia esporta in maggioranza oli vergini ed extravergini confezionati
(ISMEA, 2010). Nel commercio con i Paesi extra UE, l’Italia rappresenta il primo
Paese esportatore, con 198,9 mila tonnellate in media nel periodo compreso tra il
2006/07 e il 2011/12 (31,5% del totale mondiale), seguita dalla Spagna (168,5 mila
tonnellate, pari al 26,7%), dalla Tunisia (132 mila tonnellate, pari al 20,9% del totale) e, a grande distanza, dal Portogallo, dalla Turchia e dalla Siria.
Si tratta, come si vede, di uno scenario che presenta una pluralità di fattori
che, in generale, portano ad accentuare la concorrenza sul mercato interno e su
quello internazionale. A questo si aggiunga che la diffusione di sistemi di olivicoltura intensiva e di trasformazione altamente automatizzata rischia di portare la
qualità dell’olio di oliva a una forte standardizzazione e di favorire, così, uno spostamento della competizione integralmente sul piano del prezzo. Tuttavia, a fronte
di queste tendenze, che rappresentano senza dubbio serie minacce per il settore
dell’olio di oliva italiano, il nuovo scenario competitivo presenta anche importanti
opportunità. Queste sono legate, in particolare, alla crescita del consumo di olio di
oliva in tutto il mondo che, come abbiano sottolineato, si associa a una crescente
attenzione dei consumatori nei confronti della qualità.
In questo nuovo scenario, il settore dell’olio di oliva italiano dovrà comunque rivedere le sue strategie produttive e commerciali per cogliere fino in fondo le
potenzialità della segmentazione della domanda (ISMEA, 2010). Da un lato, infatti, «la produzione italiana può puntare sulle eccellenze», prodotti di alta gamma
con qualità organolettiche e di servizio molto elevate, o sui prodotti tipici (ISMEA,
2010, p. 25). Dall’altro lato c’è il prodotto nei «segmenti qualitativamente meno
caratterizzati», quelli, cioè, che sono in concorrenza più diretta con la produzione
23
spagnola, per i quali l’Italia può realizzare un vantaggio competitivo attraverso una
diminuzione dei costi di produzione e una maggiore concentrazione dell’offerta.
Limitatamente al segmento delle produzioni di più alta qualità, le sfide che il
sistema “olio di oliva italiano” è chiamato ad affrontare possono essere ricondotte
in modo molto sintetico a tre grandi problematiche. La prima è la possibilità di
creare e gestire un marchio collettivo che trasmetta ai consumatori i valori della
qualità dell’olio made in Italy, con una comunicazione “complessiva” che richiami
tutte le componenti materiali e immateriali della qualità che concorrono alla creazione del valore per il consumatore. La seconda è la capacità di mettere in atto
strategie adeguate di marketing miranti a intercettare il potenziale di domanda di
olio di oliva di alta qualità presente sul mercato interno e, soprattutto, sui mercati
dei nuovi paesi consumatori, dove si registra una maggiore crescita del reddito pro
capite. La terza è la capacità di consolidare ed, eventualmente, di accrescere la
posizione di vantaggio competitivo acquisita sui mercati di Paesi nuovi consumatori particolarmente esigenti in termini di requisiti della qualità quali, in particolare,
Stati Uniti, Germania, Regno Unito e Giappone.
3.
Le fonti della differenziazione qualitativa del prodotto
Una strategia che punti sulle eccellenze implica la ricerca di un vantaggio
competitivo basato sulla differenziazione del prodotto. Come fa osservare Porter
(1985, p. 120), un’impresa si differenzia dai propri concorrenti «quando offre qualcosa di unico e apprezzato dagli acquirenti, che va ben oltre la semplice offerta
a basso prezzo». La differenziazione, inoltre, se comunicata e percepita dai consumatori, offre ai produttori la possibilità di ottenere un premium price, ossia un
prezzo remunerativo per i maggiori costi sostenuti per realizzarla.
Nel caso dell’olio di oliva, la differenziazione qualitativa può essere determinata sulla base di variabili chimico-fisiche e organolettiche del prodotto e/o dalle
capacità del prodotto di soddisfare i bisogni espliciti e impliciti dei consumatori.
In sostanza, le possibilità di differenziazione sono estese a tutti gli elementi dei
sistemi territorio, produttore, contesto produttivo, prodotto che influenzano le caratteristiche qualitative del prodotto e, quindi, creano valore per il consumatore
(Antonelli, 2005).
Pertanto, nel caso dell’olio di oliva la strategia di differenziazione va al di
là della conformità merceologica, per includere tutti quegli aspetti riguardanti le
specificità dovute alle condizioni pedoclimatiche, alle tecniche colturali, alla varie-
24
Le relazioni
tà degli olivi, ai sistemi di raccolta, alle tecniche di produzione, alle competenze dei
produttori, nonché alle diverse condizioni che rispondono ai nuovi “valori” e “bisogni” dei consumatori, quali il rispetto dell’ambiente e delle condizioni di lavoro
da parte delle imprese che realizzano la produzione. A tale riguardo, va osservato
che l’olivicoltura italiana rappresenta un esempio molto significativo di agricoltura
multifunzionale, in quanto coniuga efficacemente i valori materiali del prodotto
con i valori immateriali dell’ambiente, del paesaggio, della storia e della cultura
del territorio.
In altre parole, la creazione del valore della qualità dell’olio di oliva introduce elementi che non riguardano soltanto la qualità del prodotto, ma anche la
qualità del sistema di produzione nel suo insieme. In questa prospettiva, il settore
dell’olio di oliva italiano possiede indubbiamente importanti punti di forza sui quali
è possibile far leva per la realizzazione di una strategia volta a creare un vantaggio
competitivo, differenziando l’offerta in termini qualitativi. Infatti, come evidenziato
nel documento “Piano olivicolo-oleario” del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali (2010, pp.19-20), il settore olivicolo-oleario italiano presenta
numerosi punti di forza sia nella fase agricola, sia nelle fasi successive della filiera. A livello di fase agricola, i punti di forza vengono individuati, in particolare: nella
presenza di importanti aree vocate alla coltivazione dell’olivo, per quantità e per
qualità del prodotto; nell’elevata potenzialità di differenziazione delle produzioni
dovuta al numero di varietà di olivo (oltre 300), alle modalità produttive, all’origine,
ecc.; nel valore ambientale, paesaggistico, storico, culturale e antropologico degli oliveti; nell’attenzione crescente alle produzioni di qualità (43 marchi DOP e 1
marchio IGP, olio biologico, nuove classi merceologiche come, ad esempio, «Alta
qualità», ecc.); nel know how; nell’elevato numero di filiere di prodotto olivicolo
tracciate (circa 500). A livello di prima trasformazione, il documento identifica i
punti di forza nella capillare localizzazione dei frantoi nelle aree vocate, con possibilità di una più alta qualità legata alla tempestiva lavorazione delle olive, nell’elevata professionalità degli operatori dei frantoi, nella presenza di distretti produttivi
con un’elevata concentrazione di prodotto e nella continua modernizzazione degli
impianti.
In altri termini, la creazione del valore della qualità dell’olio di oliva è il frutto di interazioni legate a vari fattori, quali gli elementi propri del sistema territorio,
le risorse umane, la tecnologia e le diverse componenti che concorrono a definire
il “sistema di prodotto” (Fig. 1). Quest’ultimo concetto richiama il fatto che il prodotto è un “paniere” composito di benefici o di attributi (materiali e immateriali),
ognuno dei quali può influenzare (positivamente o negativamente) il valore per-
25
cepito dal consumatore e può costituire anche una base per differenziare la propria offerta rispetto a quella dei concorrenti. La creazione del valore della qualità
dell’olio di oliva è, quindi, il risultato di un processo produttivo nel quale entrano
in gioco anche molti fattori esogeni al processo produttivo inteso nel senso stretto
del termine, legati ai caratteri del territorio e alla sua tradizione produttiva.
Figura 1 - Processo di creazione del valore della qualità dell’olio di oliva
Produttore e sistema
produttivo
Sistema territorio
Sistema di prodotto
“olio di oliva”
Strategie competitive delle imprese della GDO: alto potere contrattuale; politiche promozionali;
strategie di category management.
Informazioni incomplete e inadeguate a disposizione del consumatore per valutare le caratteristiche qualitative dell’olio di oliva
(asimmetria informativa).
Consumatore
4.Segnali di valore della qualità ed efficienza del mercato
dell’olio di oliva
Come abbiamo osservato, la differenziazione basata sulla diversità qualitativa del prodotto è efficace nel determinare le preferenze e le scelte del consumatore soltanto se percepita, altrimenti il consumatore troverà conveniente affidarsi a segnali di valore quali il prezzo, l’etichetta, la notorietà della marca, ecc.,
in quanto segnali che egli può direttamente verificare anche prima dell’acquisto,
26
Le relazioni
e, quindi, valutare in rapporto alle sue preferenze. Il problema si presenta soprattutto quando sul mercato sono disponibili beni caratterizzati da forte somiglianza
e da legami di forte sostituibilità, anche se con requisiti qualitativi diversi che il
consumatore non è in grado di valutare in modo adeguato.
Nel caso specifico dell’olio di oliva questo problema è ancora più evidente.
Da una parte, vi è una normativa che disciplina la classificazione e la denominazione degli oli di oliva che non aiuta il consumatore ad orientarsi nella scelta
del prodotto di più alta qualità. Infatti, la dicitura «olio extravergine di oliva» si
applica a prodotti molto diversi tra loro sia per caratteristiche chimico-fisiche e
organolettiche del prodotto, sia per zona geografica di provenienza e relative condizioni pedoclimatiche, colturali e tecnologiche. Dall’altra, vi è il fatto che molti
dei requisiti della qualità di un sistema territorio-produzione-prodotto che distinguono l’olio di oliva di alta qualità da quello di qualità standard, anche all’interno
della stessa classe degli oli extravergine di oliva, appartengono al gruppo che Peri
(2008) chiama “requisiti impliciti”, ossia a quelli che «non sono constatabili dal
consumatore né sono verificabili con una analisi del prodotto, ma possono essere
soltanto oggetto di registrazione effettuata al momento opportuno durante il processo produttivo». Alcuni di questi requisiti, in realtà, sono verificabili a posteriori
in ogni momento della vita del prodotto; tra questi vi sono, ad esempio, la conformità merceologica, le caratteristiche nutrizionali, le proprietà salutistiche, la
sicurezza igienico-sanitaria, ecc. Altri possono essere soltanto oggetto di registrazione e/o documentazione; si tratta, in questo caso, dell’origine geografica, della
tracciabilità, dell’applicazione di specifiche tecnologie, dell’impatto sull’ambiente
da parte dei processi produttivi utilizzati, del rispetto delle condizioni di lavoro,
della varietà e del grado di maturazione delle olive, delle tecniche colturali, dei
sistemi di raccolta, ecc.
Le implicazioni in termini di mercato derivanti da situazioni di «asimmetria
informativa» sono state ampiamente analizzate dagli economisti. A questo riguardo, Akerlof (1970) propone un modello che ha come riferimento il mercato delle
auto usate (dove sono presenti anche auto in cattive condizioni, dei veri e propri
“bidoni” o, nel gergo americano, lemons), ma che può essere facilmente esteso
al nostro caso, in cui dimostra che quando il consumatore non ha a disposizione
le informazioni necessarie per valutare il differenziale qualitativo esistente tra i
diversi prodotti, sarà portato a scegliere sulla sola base del prezzo il prodotto più
economico. La conseguenza, inoltre, è che il prodotto di più alta qualità, e anche più caro per via del più alto costo di produzione necessario per realizzarlo, o
resterà invenduto oppure dovrà essere venduto a un prezzo non remunerativo. Il
27
risultato finale sarà una progressiva svalutazione della qualità, sino alla scomparsa, sul mercato, dei prodotti di più elevata qualità, a vantaggio dei prodotti di
qualità standard. In sostanza, per i produttori di olio di oliva di più alta qualità,
l’acquisizione di un prezzo più alto rispetto a quello relativo ai prodotti di qualità
standard, come “premio” che il consumatore è disposto a riconoscere loro, appare
una condizione indispensabile per conseguire un livello di redditività soddisfacente
e, quindi, restare sul mercato.
Un secondo fattore che riduce la capacità del mercato di trasmettere appropriati segnali di valore che consentano al consumatore di dedurre il valore della
qualità è costituito dalle strategie competitive della GDO, che, peraltro, rappresenta il canale in più forte espansione per le vendite di olio di oliva. In Italia, infatti,
si stima che attraverso la GDO passi oltre il 60% del totale delle vendite di olio di
oliva (ISMEA, 2010, pp. 24 e 25); percentuale che aumenta se si considera solo la
categoria dell’extravergine di oliva2.
In questa direzione agisce, in primo luogo, l’accresciuto potere di mercato
detenuto dalla GDO in seno alla filiera dell’olio di oliva, come peraltro è avvenuto per molte altre filiere agroalimentari. Un potere, questo, che consentendo alla
GDO di operare in condizioni di mercato monopsonistico nei confronti delle imprese di produzione di olio, porta a ridurre i prezzi pagati ai produttori. Le strategie
messe in atto dalla imprese della GDO in questa direzione sono diverse a seconda
che si tratti di imprese olearie di grandi dimensioni con un marchio forte e riconosciuto sul mercato, ovvero di piccoli fornitori (Furesi, Madau e Pulina, 2013, p.
139). Nel caso di grandi produttori, che in virtù di ingenti investimenti pubblicitari
inducono comportamenti d’acquisto improntati alla fedeltà al brand, la relazione
che si stabilisce con le imprese della GDO è riconducibile all’interno di un quadro
che possiamo definire “di mutua interdipendenza”, con un equilibrio che comunque “pende a favore della GDO”. A tal fine, un ruolo importante viene svolto dalle private label, che in questi ultimi anni hanno visto aumentare notevolmente la
loro quota di mercato, arrivato, nel 2009, al 18% delle vendite totali di olio di oliva
(ISMEA, 2010, p. 26).
Come sottolineano gli autori (Furesi, Madau e Pulina, 2013), le private label
svolgono essenzialmente un ruolo competitivo nei rapporti con i grandi produttori,
che vedono ridursi il loro potere nei confronti della GDO parallelamente all’aumentare della quota di mercato delle marche commerciali. In questa situazione, infatti,
2 La ripartizione dei volumi di olio venduti nel 2010 in Italia presso la GDO, vede al primo posto l’olio
extravergine di oliva, con il 72% del totale, seguito dall’olio di oliva (14%), l’olio 100% Italiano (12%)
e l’olio biologico e a marchio DOP o IGP (2%) (Unaprol, 2010).
28
Le relazioni
le imprese di produzione sono costrette, da un lato, ad aumentare gli investimenti
finalizzati a tutelare la fedeltà al loro marchio e, dall’altro, a ridurre i prezzi di vendita alla GDO per evitare di perdere quote di mercato.
Molto diversa è la condizione delle piccole imprese di produzione di olio di
oliva. Nei rapporti contrattuali con la GDO, queste imprese si collocano in uno stato
di sostanziale “dipendenza dal distributore”. La loro presenza negli scaffali, benché considerata importante in quanto consente un ampliamento degli assortimenti,
è subordinata, infatti, alla possibilità di stipulare contratti vantaggiosi in termini di
prezzo e di modalità di pagamento. «In queste condizioni, le basi del potere possono
assumere anche connotati coercitivi ed i ruoli delle parti sono ben definiti in un clima
di scarsa o nulla collaborazione. Le interferenze sono anzi circoscritte alle forniture
di prodotti da destinare al marchio dell’insegna commerciale. La conflittualità è bassa, dal momento che l’insorgenza di divergenze può facilmente portare all’estinzione
del rapporto» (Furesi, Madau e Pulina, 2013, p. 139).
A distorcere il mercato dell’olio di oliva contribuiscono anche le politiche
promozionali e le strategie di category management realizzate dalle imprese della
GDO. Nel primo gruppo rientrano quelle iniziative, specifiche del marketing aziendale e di quello dei beni di largo consumo, che le imprese della GDO mettono in
atto nel quadro delle loro politiche di concorrenza, facendo leva sulla riduzione
temporanea del prezzo come incentivo all’acquisto per aumentare il volume delle
vendite. In questo ambito, nel caso dell’olio di oliva prevalgono soprattutto le promozioni di convenienza (riduzione temporanea del prezzo, offerta di un insieme di
prodotti della stessa impresa ad un prezzo complessivo scontato o di un formato
maggiorato al prezzo del formato normale, offerta di tre confezioni al prezzo di
due, ecc.), ossia iniziative che portano alla vendita a prezzi fortemente scontati o,
addirittura, sottocosto anche prodotti di ottima qualità.
Le strategie di category management trovano fondamento nella tendenza del
consumatore a concentrare gli acquisti in un numero limitato di occasioni e di punti
vendita non specializzati e di grandi dimensioni (one-stop-shops), e si basano sul
fatto che, nella determinazione dei prezzi dei beni, l’impresa persegue l’obiettivo
della massimizzazione del profitto sull’intera spesa, anziché su quello del singolo
prodotto. In un recente studio che analizza le implicazioni delle tecniche di category
management sulle dinamiche dei prezzi agricoli e alimentari (Russo, 2013), si dimostra che tali tecniche determinano un aumento della rigidità dei prezzi al consumo
e una attenuazione della relazione fra i prezzi alla produzione e i prezzi al dettaglio.
Inoltre, si evidenzia che, in presenza di strategie di category management, aumentano la volatilità dei prezzi alla produzione e il margine sui beni caratterizzati da una
29
maggiore rigidità delle domanda. In sostanza, i beni alimentari, che presentano generalmente un basso coefficiente dell’elasticità della domanda, offrono un maggior
contributo alla definizione dei profitti totali dell’impresa.
5.Ambiti di intervento per la correzione delle distorsioni del
mercato e la valorizzazione della qualità
Le distorsioni del mercato sin qui esaminate portano inevitabilmente a una progressiva svalutazione dei requisiti della qualità e a selezionare per il mercato le sole
imprese in grado di competere sulla base del prezzo o della notorietà della marca. In
una realtà produttiva, come quella italiana, dove i costi di produzione sono mediamente
più alti rispetto ad altre aree, prima fra tutte la Spagna (ISMEA, 2010), questa prospettiva rischia di emarginare gran parte del settore olivicolo, a partire dal comparto delle
produzioni artigianali e di nicchia. Una prospettiva, questa, che oltre agli effetti negativi sull’economia, soprattutto in quelle aree dell’Italia meridionale dove l’olivicoltura
svolge una ruolo di primaria importanza sul piano economico e sociale, rischia anche
di compromettere il patrimonio paesaggistico, ambientale, storico e culturale che in
Italia è legato all’olivicoltura. In sostanza, la correzione delle distorsioni del mercato
precedentemente analizzate trova ragione non solo sul piano strettamente economico, ma anche su quello più generale dell’interesse della società nel suo complesso.
Questa prospettiva richiede l’attuazione di interventi molto complessi da svilupparsi sia sul piano della comunicazione e del marketing, sia su quello delle normative.
Quest’ultimo coinvolge livelli istituzionali sovranazionali (Unione europea), nazionali e
regionali. A questo proposito, i problemi da affrontare sono molteplici e si configurano
indubbiamente di difficile soluzione anche sul piano politico, in quanto affrontano diverse problematiche (relative, ad esempio, alle norme sulla commercializzazione, alle
indicazioni che devono figurare sull’etichetta, alle norme sulle caratteristiche degli oli
di oliva, sulla trasparenza e la tutela del consumatore, sul funzionamento del mercato
e della concorrenza), coinvolgendo diversi interessi a livello internazionale e nazionale, spesso contrastanti.
5.1. La normativa per la valorizzazione della qualità
In questi ultimi anni, si sono registrati importanti interventi che hanno aggiornato la normativa dell’Unione europea sulla commercializzazione dell’olio di
30
Le relazioni
oliva, al fine di mettere a disposizione del consumatore informazioni più complete
e chiare. In particolare, il regolamento (CE) n. 182/2009, che modifica il regolamento (CE) n. 1019/2002 relativo alle norme di commercializzazione dell’olio di
oliva, rende obbligatoria l’indicazione dell’origine sull’etichetta per l’olio extravergine di oliva e per l’olio di oliva vergine. La designazione dell’origine, intesa come
«l’indicazione di un nome geografico sull’imballaggio o sull’etichetta» [art. 4, paragrafo 1, del regolamento (CE) n. 1019/02], infatti, era stata già introdotta dal
regolamento (CE) n. 1019/02, sebbene, come regime facoltativo. Si tratta chiaramente di una disposizione che mira a veicolare attraverso l’etichetta informazioni
che possano essere utilizzate dal consumatore per dedurre il livello qualitativo del
prodotto acquistato. Infatti, come viene richiamato nei considerando (paragrafo 4),
«a motivo degli usi agricoli o delle pratiche locali di estrazione o di taglio, gli oli di
oliva vergini direttamente commercializzabili possono presentare qualità e sapore
notevolmente diversi tra loro a seconda dell’origine geografica». Infine, si sottolinea che, per evitare rischi di distorsione del mercato degli oli di oliva commestibili,
è necessario stabilire «norme comunitarie relative alla designazione dell’origine
esclusivamente per l’olio “extravergine” di oliva e l’olio di oliva “vergine” rispondenti a precisi requisiti».
A livello nazionale, la normativa registra l’approvazione della legge che ha
per titolo «Norme sulla qualità e la trasparenza della filiera degli oli di oliva vergini» (legge 14 gennaio 2013, n. 9) che stabilisce criteri per aumentare la chiarezza e
la visibilità dell’indicazione dell’origine degli oli di oliva vergini, che deve essere obbligatoriamente riportata in etichetta, nonché norme sulla trasparenza e la tutela
del consumatore, sul funzionamento del mercato e della concorrenza e sul contrasto delle frodi e delle contraffazioni di oli DOP o IGP, con un forte inasprimento
delle sanzioni. In particolare, l’art. 1 prende in esame le etichette e stabilisce che
l’indicazione dell’origine degli oli di oliva prevista dalla normativa vigente «deve
figurare in modo facilmente visibile e distinguibile nel campo visivo del recipiente,
in modo da essere distinguibile dalle altre indicazioni e dagli altri segni grafici».
La norma stabilisce che la designazione dell’origine è «stampata sul recipiente o
sull’etichetta ad esso apposta, in caratteri la cui parte mediana è pari o superiore
a 1,2 millimetri, ed in modo da assicurare un contrasto significativo tra i caratteri
stampati e lo sfondo». Aggiungendo, al comma 4, che «nel caso di miscele di oli
di oliva estratti in un altro Stato membro o Paese terzo, l’indicazione dell’origine
di cui al comma 1 è immediatamente preceduta dall’indicazione del termine “miscela”, stampato ai sensi dei commi 2 e 3 e con diversa e più evidente rilevanza
cromatica allo sfondo, alle altre indicazioni ed alla denominazione di vendita».
31
In particolare, per quanto riguarda il problema di assicurare un più corretto funzionamento del mercato e una maggiore concorrenza, la legge prevede, tra l’altro, che
«l’Autorità garante della concorrenza e del mercato, in conformità ai poteri ad essa
conferiti dalla legge 10 ottobre 1990, n. 287, vigila sull’andamento dei prezzi e adotta
atti idonei a impedire le intese o le pratiche concordate tra imprese che hanno per
oggetto o per effetto di ostacolare, restringere o falsare in maniera consistente la concorrenza all’interno del mercato nazionale degli oli di oliva vergini attraverso la determinazione del prezzo di acquisto o di vendita del prodotto» (art. 8). Inoltre, all’art.11,
vengono introdotti limiti alla vendita sottocosto, stabilendo che «nel settore degli oli di
oliva extravergini la vendita sottocosto è soggetta alla comunicazione al Comune dove
è ubicato l’esercizio commerciale, almeno venti giorni prima dell’inizio, e può essere
effettuata solo una volta nel corso dell’anno. È comunque vietata la vendita sottocosto
effettuata da un esercizio commerciale che, da solo o congiuntamente a quelli dello
stesso gruppo di cui fa parte, detiene una quota superiore al 10% della superficie di
vendita complessiva esistente nel territorio della provincia dove ha sede l’esercizio».
Un ulteriore contributo sul piano della normativa che può costituire un’efficace
base per lo sviluppo di una strategia per la valorizzazione della qualità dell’olio di oliva
italiano è quello previsto dallo schema di decreto ministeriale (ancora in fase di elaborazione) relativo all’istituzione del «Sistema di Qualità Nazionale Olio Extra Vergine
di Oliva (SQN-olio)»3 riconosciuto a livello nazionale, in conformità con quanto previsto dall’art. 22, paragrafo 2 del regolamento (CE) n. 1974/2006. Secondo lo schema di
decreto, il SQN-Olio «individua il prodotto Olio Extra Vergine di Oliva avente caratteristiche specifiche che determinano una qualità del prodotto finale significativamente
superiore rispetto alle norme commerciali correnti» (articolo 1, punto 2). A tal fine, si
prevede un disciplinare unico nazionale, un piano di controllo e (all’articolo 11) l’istituzione di un «marchio collettivo unico nazionale» di cui possono beneficiare i diversi
operatori (aziende agricole di produzione, singole e associate; imprese, singole e associate, di gestori di frantoi; imprese che svolgono funzioni di commercializzazione
per le precedenti categorie; operatori appartenenti in modo esclusivo alla fase della
distribuzione, quali i confezionatori e i distributori) che rispettino il «Disciplinare unico
nazionale» e che siano inseriti nell’elenco istituito presso il MIPAAF degli Operatori e
degli Organismi di controllo accreditati aderenti al SQN-Olio, articolato su base regionale, e pubblicato sul sito internet del Ministero4.
3 Si veda, al riguardo, la relazione di Petrucci in questo stesso volume.
4 Sugli approfondimenti delle norme citate si vedano le relazioni di Germanò, Masini e Albisinni in
questo stesso volume.
32
Le relazioni
5.2.Ambito del marketing
Come abbiamo osservato, se da un lato la valorizzazione della qualità
dell’olio di oliva richiede l’attuazione di appropriati interventi sul piano delle normative a livello sovranazionale e nazionale, dall’altro lato è indubbio che agli
operatori del settore sono richieste maggiori capacità di marketing per concretizzare le potenzialità che il nuovo scenario normativo prospetta per valorizzare,
anche nella percezione dei consumatori, la qualità dell’olio di oliva. Il ruolo del
marketing è, quindi, quello di accrescere e comunicare al consumatore quei segnali di valore della qualità che il mercato non è in grado di trasmettere autonomamente, e che sono necessari per determinarne le preferenze e le scelte. Una
condizione, questa, che peraltro è indispensabile per consentire ai produttori che
offrono sul mercato olio di oliva di più alta qualità di ottenere un premium price,
come equivalente del valore che i consumatori riconoscono alla qualità.
Il concetto di marketing, com’è noto, è molto articolato e presenta al suo
interno una pluralità di strumenti utili per una strategia di valorizzazione della
qualità dell’olio di oliva. Nell’ambito di questo concetto trovano, infatti, collocazione le analisi sul comportamento del consumatore, in particolare quelle riguardanti le aspettative, i criteri di valutazione della qualità e il comportamento
di acquisto. Per le sue implicazioni anche per la gestione del prodotto, un concetto sviluppato nell’ambito della letteratura di marketing che appare molto utile
per la valorizzazione della qualità dell’olio di oliva è quello di sistema di prodotto.
Come abbiamo visto, il concetto fa riferimento al prodotto come a un paniere di
attributi (materiali e immateriali) che soddisfano requisiti, esigenze e attese del
consumatore e, quindi, si presta a definire un criterio per individuare le componenti della prestazione complessivamente offerta dall’impresa che influenzano
maggiormente il livello di soddisfazione del consumatore e il valore percepito. Un
ulteriore ambito del marketing è quello che riguarda le problematiche concernenti la creazione e la gestione strategica del marchio, facendo leva sulle qualità
distintive del prodotto rispetto agli standard previsti dalla normativa. In questo
contesto, il marketing consente di affrontare in modo appropriato i problemi riguardanti la definizione del posizionamento, la strategia di comunicazione attuata attraverso l’attivazione della varie componenti del mix comunicazionale e
le diverse azioni volte ad aumentare la fedeltà alla marca e a ridurre l’elasticità
della domanda all’aumento del prezzo.
Com’è noto, il marchio è soprattutto un segnale di qualità e di garanzia
per il consumatore, per cui fornisce anche un incentivo a mantenere la qualità
33
del prodotto comunicata e ad assicurare la soddisfazione del cliente. Pertanto,
tra le sfide principali per la gestione di un marchio come quello previsto dallo
schema di decreto ministeriale recante l’istituzione del SQN-Olio, vi è in primo
luogo quella della realizzazione di forme di coordinamento efficaci tra i diversi
soggetti della filiera per il controllo e la gestione della qualità. Se questa è una
precondizione, la valorizzazione della qualità non può certamente prescindere
dalla realizzazione di una struttura organizzativa che sappia/possa dare coerenza e unitarietà di indirizzo alle diverse azioni messe in atto per la valorizzazione
della qualità attraverso il posizionamento efficace del marchio, anche nella percezione del consumatore.
6.Alcune considerazioni finali
A conclusione di questa relazione ci sembra importante sottolineare,
sebbene in forma schematica, alcuni elementi che costituiscono i fattori di
successo di una strategia di marketing per la valorizzazione della qualità.
In questa prospettiva, la capacità di creare e gestire un marchio collettivo implica, in primo luogo, la necessità di mettere a punto un disciplinare di
produzione che sia condiviso dagli attori del sistema di produzione, in modo
da assicurare la realizzazione di standard qualitativi uniformi e costanti nel
tempo. In secondo luogo, c’è da sottolineare la necessità di definire l’identità
del marchio in modo chiaro, sintetizzando tutti quegli elementi coerenti nel
tempo che lo rendono efficace nel segnalare al consumatore il valore della
qualità derivante dall’interazione di fattori ambientali, varietali, colturali e
tecnologici di produzione unici e non riproducibili nel resto del mondo.
Un fattore di notevole portata è quello riconducibile alla possibilità di
creare strutture organizzative su base consortile per la gestione delle funzioni di marketing, peraltro indispensabili anche per la realizzazione di economie di scala nella gestione delle strategie di marketing.
Inoltre, la valorizzazione della qualità implica senza dubbio lo sviluppo
di relazioni cooperative tra i diversi attori della filiera; una condizione, questa, peraltro indispensabile per ridurre i costi di transizione e per rendere più
efficaci le strategie di valorizzazione della qualità.
Un ulteriore fattore di successo è la possibilità di sviluppare rapporti
di sinergia/integrazione tra gli attori pubblici e privati per quanto riguarda,
in particolare, la definizione e la realizzazione delle politiche di comunica-
34
Le relazioni
zione. L’intervento pubblico in questo campo trova, tra l’altro, giustificazione
anche sul piano della teoria economica. Infatti, l’informazione è riconducibile
nell’interno della categoria dei beni pubblici. Pertanto, maggiori informazioni
sulla qualità consentono ai consumatori di effettuare scelte di acquisto più
consapevoli e coerenti con le loro preferenze, e, quindi, ad accrescere il benessere sociale.
Un ultimo fattore critico, non in ordine di importanza, è dato dalla capacità/possibilità di ridurre il potere esercitato dalla GDO nella definizione delle
politiche di posizionamento del prodotto. Ciò implica la costruzione dell’immagine reale della marca intorno ai valori della qualità e la gestione della
stessa attraverso idonee politiche di comunicazione.
Bibliografia
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2005, pp. 48-52.
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Porter, M.E., Competitive Advantage, New York, Free Press, 1985, p. 120; trad. It. Il
vantaggio competitivo, Milano, Edizioni Comunità, 1987.
35
Russo, C., “Modelli comportamentali dei consumatori e strategie di pricing della
Grande Distribuzione Organizzata. Implicazioni per le filiere agroalimentari”, in Economia Agro-alimentare, n. 1, 2013, pp. 145-155.
Unaprol, I consumi di olio nelle principali aree geografiche italiane nel 2008 e
nel 2009, Roma, 2010.
36
Le relazioni
LE INDICAZIONI IN ETICHETTA E I SEGNI DEGLI ALIMENTI (DOPO IL REG. 1169/2011)
Alberto Germanò1
1.Introduzione
Il tema del mio colloquio con voi è l’etichetta degli alimenti in genere, e
dell’olio in particolare, nel quadro del regolamento (UE) n. 1169/2011 del 25 ottobre 2011 sulle informazioni alimentari ai consumatori.
Il vocabolario italiano definisce l’etichetta il «cartellino che si applica su oggetti vari per indicarne il contenuto, la provenienza o altre caratteristiche». Viene
dal francese étiquette che, a sua volta, deriva dal francese antico estiquer ovvero
«attaccare». A noi interessa l’etichetta dei prodotti alimentari.
Devo, perciò, parlarvi di quella strisciolina di carta che viene incollata su
un contenitore di vetro, di plastica o di cartone di prodotti alimentari e che riporta
una serie di indicazioni rilevanti ai fini della trasparenza del mercato alimentare.
Ma devo subito precisare che il reg. (UE) n. 1169/2011, elencando come ricadenti
nell’etichettatura «menzioni, indicazioni, marchi di fabbrica o di commercio, immagini o simboli», si riferisce non solo all’etichetta in senso stretto, ma a «qualsiasi imballaggio, documento, cartello, anello o fascetta che accompagni il prodotto
alimentare o a che ad esso si riferisca».
Devo ancora aggiungere che il reg. (UE) n. 1169/2011 è un regolamento orizzontale, a cui si collegano altri interventi di natura “verticale” per determinati prodotti, come, ad esempio, i regolamenti sulle denominazioni d’origine (DOP), sulle
indicazioni geografiche (IGP) e sulle specialità tradizionali garantite (STG), nonché
quelli sul metodo di produzione biologico e sulle indicazioni nutrizionali.
A questi altri provvedimenti normativi dell’UE potrà capitarmi di fare riferimento. Così come mi potrà capitare di fare riferimento alla nostra recentissima
legge 14 gennaio 2013, n. 9, la c.d. legge «salva olio», ma solo per qualche accenno, perché questo è il tema della relazione del prof. Masini.
1 Responsabile del Centro di responsabilità di attività scientifica di primo livello dell’Istituto di Diritto Agrario Internazionale e Comparato (IDAIC) in Firenze del Consiglio Nazionale delle Ricerche
(CNR), già professore ordinario di Diritto agrario comunitario nell’Università di Roma “La Sapienza”, in pensione, e già magistrato di Cassazione, in pensione.
37
Dunque, io vi dirò:
ciò che l’etichetta deve contenere per il diritto europeo;
ciò che l’etichetta non deve contenere;
ciò che l’etichetta può contenere (le informazioni volontarie);
ciò che l’etichetta deve contenere per il diritto nazionale, se lo Stato membro
decida di imporre informazioni complementari (in aggiunta a quelle obbligatorie per il diritto UE).
Ma prima accennerò alle modalità di redazione dell’etichetta, cioè vi dirò
che le pratiche leali d’informazione impongono: 1) l’uso di una lingua comprensibile dai consumatori; 2) un adeguato posizionamento di tali informazioni.
L’art. 15 del reg. (UE) n. 1169/2011 stabilisce che occorre usare la lingua
«facilmente comprensibile» dai consumatori dello Stato in cui l’alimento è commercializzato, e che le indicazioni obbligatorie devono essere sistemate in modo
evidente, cioè devono essere facilmente visibili e chiaramente leggibili, nonché
scritte in modo indelebile. Dunque, non possono essere nascoste, oscurate, troncate o separate da altre indicazioni scritte o grafiche o da qualunque altro elemento suscettibile di interferire (art. 13). Non possono essere espresse con caratteri
microscopici. E qualcosa del genere prescrive la nostra legge 9/2013.
a)
b)
c)
d)
2.
Le indicazioni obbligatorie in etichetta
In etichetta è obbligatorio riportare gli elementi che compongono il prodotto
alimentare, dunque, gli ingredienti, gli additivi e gli enzimi, gli aromi, gli edulcoloranti, i coloranti e i conservanti. Vanno riportati: il quantitativo netto, il titolo alcolometrico per le bevande alcoliche, le istruzioni per l’uso del prodotto alimentare e
le condizioni particolari di conservazione e di utilizzazione, il nome del produttore,
il luogo di origine o di provenienza se la sua omissione è causa possibile di errore.
E’ ancora necessario riportare l’eventuale presenza di integratori alimentari, di
organismi geneticamente modificati (OGM), di sostanze allergeniche. E’ richiesta
l’indicazione dei valori nutrizionali. Infine, è necessario indicare la data di scadenza del prodotto, nonché, per alcuni alimenti, le indicazioni che consentono la loro
tracciabilità e, ovviamente, il prezzo.
Lo scopo è quello di garantire il diritto dei consumatori all’informazione.
I consumatori devono essere messi in condizione di operare scelte consapevoli
rilevanti con riguardo tanto alla tutela della propria salute, quanto alla corrispondenza a considerazioni ambientali, sociali, religiose ed etiche per essi significative.
38
Le relazioni
In questa veloce esposizione di ciò che è obbligatorio inserire in etichetta a
me preme sottolineare l’indicazione dell’identità del prodotto.
L’identità del prodotto è data dalla sua denominazione merceologica. Molte
delle denominazioni «legali» dei prodotti alimentari erano contenute nei vari regolamenti sulle Organizzazioni comuni di mercato (OCM) come era il caso e come è
il caso dell’olio, che il reg. (CE) n. 1234/2007 (ma vi è una proposta di regolamento che tende a modificarla) definisce come quello ottenuto dal frutto dell’oliva in
aderenza a quanto dispone l’accordo del 1986 tra l’Unione europea e il Consiglio
oleicolo internazionale (COI).
Ora il reg. (UE) n. 1169/2011 specifica che si intende per «denominazione
legale» di un prodotto alimentare la denominazione prescritta dalle disposizioni
comunitarie che gli sono applicabili (art. 17.1). In mancanza di tali disposizioni,
occorre fare riferimento alle disposizioni legislative, regolamentari o amministrative applicabili nello Stato membro nel quale il prodotto alimentare è venduto al
consumatore finale (art. 2, par. 2, lett. n). Se non ci sono apposite norme nazionali
definitorie del prodotto, va utilizzato il nome consacrato dagli usi e dalla consuetudine, in sostanza la c.d. «denominazione usuale» definita dalla lett. o) dell’art. 2
del reg. (UE) n. 1169/2011.
Ma, come vi ho appena detto, questo non è il caso dell’olio di oliva che il diritto comunitario definisce come quello «ottenuto dal frutto dell’olivo».
Invece, nel caso dell’olio ciò che è necessario riportare in etichetta è quale
tipo di olio si tratti: olio extravergine di oliva, olio vergine di oliva, olio di oliva, olio
di sansa di oliva (reg. n. 29/2012 della Commissione del 13 gennaio 2012, art. 3).
3.
Le indicazioni vietate e le indicazioni facoltative in etichetta
In etichetta è vietato riportare indicazioni che possano indurre in errore il
consumatore sulle caratteristiche dell’alimento con riguardo: alla natura, alla
identità, alle proprietà, alla composizione, alla quantità, alla durata di conservazione, al paese d’origine o al luogo di provenienza, nonché al metodo di produzione.
In particolare, l’etichettatura non deve attribuire al prodotto effetti o proprietà che non possiede, non deve suggerire che il prodotto abbia proprietà particolari quando tutti i prodotti analoghi le possiedono e non deve attribuire al prodotto la proprietà di prevenire, trattare o guarire malattie, cioè non deve contenere
indicazioni relative alla salute. Ed è per ciò che il 3° comma dell’art. 4 della nostra
legge 9/2013 (la c.d. «salva olio») statuisce che è ingannevole attribuire agli oli di
39
oliva diversi dagli oli extravergini «attribuiti positivi non previsti dall’allegato XII […]
del regolamento (CEE) n. 2568/1991».
Vorrei che notaste che dalle disposizioni sulle indicazioni vietate si ricava la possibilità che vi siano altre indicazioni oltre quelle obbligatorie, ovverosia la possibilità di indicazioni volontarie. In altre parole, il produttore dell’alimento può “arricchire” l’etichetta
di tutta una serie di menzioni, di messaggi, di diciture aggiuntive che gli consentano di
“captare” la benevolenza del consumatore al fine di vincere la gara sul mercato.
Va, però, precisato che le indicazioni volontarie sono espressione non solo dell’interesse dei produttori di conquistare clienti, ma anche dell’interesse dei consumatori di
conoscere meglio quello che è il proprio cibo. Cioè, delle informazioni volontarie fanno
parte le informazioni di qualità che il produttore intende comunicare e che, riportate in
etichetta, possono fargli conquistare clienti attratti proprio da siffatte informazioni sulla
qualità del prodotto.
Se il problema della qualità degli alimenti attiene agli strumenti per determinare
la vittoria di un concorrente sugli altri, occorre immaginare la presenza di requisiti singolari nel prodotto che, facendosi apprezzare dai consumatori, costituiscono quel qualcosa in più che dà vantaggio commerciale al produttore del prodotto che li possiede,
rispetto ai concorrenti i cui prodotti non hanno gli stessi singolari requisiti.
Le qualità di cui sto ragionando sono indice di un pregio che l’alimento potrebbe
avere o non avere. Dunque, si tratta di un requisito che va oltre il fatto che il prodotto sia
stato ottenuto in modo igienico e nel rispetto delle regole di sicurezza alimentare che
sono quelle che lo rendono «alimento» ai fini del commercio nell’Unione europea secondo il regolamento (CE) n. 178/2002 sulla sicurezza alimentare.
In altre parole, con il termine «qualità» si finiscono con il richiamare le doti voluttuarie del bene alimentare. Si riconosce che la produzione agricola in determinati e specifici luoghi o secondo certi procedimenti è capace di aggiungere al prodotto un “valore”
specifico a cui il consumatore “tiene” nel momento della scelta. Orbene, tali ulteriori
requisiti devono essere comunicati e sono comunicati volontariamente nell’etichetta.
4.
I segni degli alimenti e il caso dell’olio
Nel mercato della produzione alimentare ricorrono le ipotesi dei segni DOP,
IGP, STG e del biologico, che sono segni comunitari oggetto di specifici regolamenti che ne hanno determinato i rispettivi «disciplinari». Sono, questi, i «segni»
degli alimenti volontariamente comunicabili. Delle DOP e delle IGP vi dirò poco.
Vi dirò di più degli altri «segni» volontari che attengono al territorio e che, per
40
Le relazioni
la reputazione da questo acquisita, hanno una notevole capacità di conquistare i
consumatori.
Infatti, di frequente tra i «segni» volontari ricorrono quelli che sono capaci di “narrare” la storia del prodotto, il suo “valore” dovuto a fattori naturali e a
fattori umani, il suo “rapporto” con un territorio e con una comunità, l’immagine
di una terra e della sua gente. Essi racchiudono in sé anche la capacità di esprimere una “cultura”, la cui memoria, se non fosse raccontata attraverso il segno,
si perderebbe con lo scorrere del tempo, mentre la sua estrinsecazione e “narrazione” attraverso il segno consentono di acquisire e mantenere una clientela
“attratta” dalla reputazione del luogo e dalla fama della comunità produttrice che
sono espressi nel nome. I segni di questa specie consistono nel nome del luogo
geografico di produzione e sono chiamati «indicazioni geografiche» o «denominazioni di origine».
Secondo la Corte di giustizia sono possibili tre situazioni: 1) il nome geografico che ogni imprenditore della zona può indicare nell’etichetta come generico predicato del rispettivo prodotto (ad esempio, «vino toscano»; «arance siciliane») con l’obbligo della veridicità dell’indicazione; 2) la designazione geografica
tutelata dal diritto comunitario con il termine di «indicazione geografica protetta»
o IGP; e 3) la designazione geografica tutelata dal diritto comunitario con il termine «denominazione di origine protetta» o DOP.
Come ho detto, non vi parlerò delle DOP o delle IGP. Invece, ritengo necessario dirvi delle indicazioni geografiche semplici perché la questione di queste
indicazioni implica la soluzione del problema dell’origine del prodotto agricolo.
E’ possibile che il produttore qualifichi i propri prodotti servendosi del nome
geografico della località in cui opera, senza che il richiamo dell’area geografica
sia in stretta relazione alla qualità del prodotto, come avviene nei casi di DOP
e IGP. In tale fattispecie, l’indicazione geografica non può assurgere a marchio
individuale per il divieto imposto dal diritto comunitario. Tale indicazione geografica può semplicemente significare che il prodotto è stato ottenuto nel territorio
conosciuto con quel nome, dato che non vi è nesso fra il luogo e le caratteristiche
organolettiche del prodotto, cioè le caratteristiche del prodotto non dipendono in
modo stretto dal suolo, dal clima, dall’aria di quel luogo. Qui la facoltà di utilizzare
il toponimo (nome proprio di un luogo geografico) viene attribuita agli operatori
economici della zona per la reputazione che quel luogo geografico ha acquisito
nel mercato alimentare. Una tale indicazione ha l’unica condizione della veridicità
quella che impone di non usare nella presentazione di un prodotto un nome di
luogo diverso da quello in cui è stato effettivamente realizzato.
41
Il problema dell’origine è un problema complesso perché sul suo significato
si scontrano i contrapposti interessi degli industriali alimentari e quelli degli imprenditori agricoli. I primi assegnano alla locuzione «origine» il significato della
localizzazione della “fabbrica”. I secondi intendono l’ubicazione delle piante arboree o arbustive da cui è “tratto” il prodotto finale trasformato.
Non esiste una norma comunitaria chiara sul significato del termine «origine». L’art. 3, lett. a) della direttiva 2006/114/CE sulla pubblicità ingannevole richiede che si consideri, tra le varie caratteristiche del prodotto, la «origine geografica
o commerciale dei beni», riferendo il termine ora al territorio, ora all’impresa, cioè
all’azienda o fabbrica.
Anche in Italia, il comma 1-quater dell’art. 43 del D.L. 22 giugno 2012, n.
83 (c.d. legge «cresci Italia») ha inserito all’art. 4, comma 49-bis, della legge 24
dicembre 2003, n. 350, la disposizione secondo cui «per i prodotti alimentari per
effettiva origine si intende il luogo di coltivazione o di allevamento della materia
prima utilizzata nella produzione e nella preparazione dei prodotti e il luogo in
cui è avvenuta la trasformazione sostanziale». Ma ci resta il dubbio se la “e” sia
disgiuntiva, cioè una “o”, ovvero congiuntiva e quindi che il luogo della coltivazione
(nel caso nostro, l’oliveto) debba essere assieme al luogo della trasformazione
sostanziale (nel caso nostro, il frantoio).
Orbene, sotto questo profilo devo dirvi di due sentenze della Corte di giustizia, l’una nel caso Warsteiner - una birra prodotta non più nella città di Warsteiner,
ma in quella di Paderborn - e l’altra nel caso Exportur - un torrone prodotto in
Alicante, ma anche nelle zone francesi al di là dei Pirenei - che riguardano sì il
luogo dell’impresa (l’azienda trasformatrice), ma da cui - e soprattutto da quella
Exportur - si ricava un dato che può essere utilizzato a favore della tesi per la quale
l’origine dei prodotti agricoli è il luogo di coltivazione delle piante che danno luogo
ai prodotti alimentari2.
Nella sentenza Exportur si dà particolare rilievo al nesso che esiste tra il
segno e la comunità originaria dei produttori, nel senso di un rapporto riflesso
di rinomanza e reputazione tra la zona di produzione e il nome del prodotto. Così
si rafforza l’idea del riconoscimento di un territorio come canone di identità e di
garanzia di un prodotto alimentare. Il toponimo non è (più) un semplice segno geografico di un prodotto, ma identifica una comunità di produttori localmente sta2 Corte di giustizia dell’Unione europea: sentenza del 7 novembre 2000, causa C-312/98, Schutzverband gegen Unwesen in der Wirtschaft eV contro Warsteiner Brauerei Haus Cramer GmbH & Co.
KG, in Raccolta della giurisprudenza, p. I-9187, e sentenza del 10 novembre 1992, causa C-3/91,
Exportur, in Raccolta della giurisprudenza, 1992, p. I-5553.
42
Le relazioni
bilita. Il toponimo valorizza questa appartenenza riservando i benefici che da essa
derivano alla collettività unitariamente e localmente considerata, elevando tale
comunità a titolare del segno.
Per l’olio vi è stata una lunga diatriba tra l’Italia e la Comunità europea,
iniziata nel 1998 nel conflitto tra la nostra legge 313/1998 – secondo cui il luogo
di origine è l’oliveto ed esso andava obbligatoriamente segnalato in etichetta – e il
reg. (CEE) n. 2815/1998, secondo cui, invece, il luogo dell’olio è l’oliveto o il frantoio, da indicare solo facoltativamente. La diatriba sostanzialmente finisce nel 2012
con il reg. (UE) n. 29/2012 della Commissione che prevede l’obbligo di indicazione
dell’origine individuata a) nella regione, se l’olio è DOP o IGP; o b) se gli olii vergini non sono né DOP o IGP, nello Stato nel quale vi sono le zone geografiche in
cui le olive sono state raccolte e in cui è situato il frantoio. Contemporaneamente
si aggiunge la legge italiana 9/2013 che, all’art. 1, stabilisce che deve risultare in
etichetta l’indicazione dell’origine degli oli di oliva vergini (come prevista dal D.M.
10 novembre 2009) e che, all’art. 4, statuisce che è pratica ingannevole evocare,
nell’etichetta, un’area geografica non corrispondente all’effettiva origine territoriale delle olive.
5.Sull’ammissibilità di un segno che si richiami all’Italia
Tali considerazioni sono la premessa per affrontare il problema più generale dell’ammissibilità di un segno che si richiami all’Italia.
Vi ricordo che l’art. 9, lett. i) del reg. (UE) n. 1169/2011 prevede, tra le
indicazioni obbligatorie, anche il paese di origine o il luogo di provenienza. E
l’art. 26 precisa che l’indicazione del paese d’origine o del luogo di provenienza
è obbligatoria quando l’omissione possa indurre in errore il consumatore. Quindi
l’indicazione del luogo di origine è ammessa solo in presenza di un pericolo di
confusione fra il prodotto originale e quello proveniente aliunde.
Ora devo dirvi che l’art. 39, par. 2, del reg. (UE) n. 1169/2011 autorizza gli
Stati membri ad adottare indicazioni obbligatorie anche con riferimento al paese
d’origine o al luogo di provenienza degli alimenti «ove esista un nesso comprovato tra talune qualità dell’alimento e la sua origine o provenienza», e quando vi sia
la prova che la maggior parte dei consumatori attribuisce un valore significativo
alla fornitura dell’informazione dell’origine o della provenienza geografica.
Come già ho fatto presente, il problema della comunicazione simbolica nel
mercato e della sua disciplina giuridica si prospetta tutte le volte che il nome geo-
43
grafico venga utilizzato come segno distintivo del prodotto per captare la benevolenza del consumatore.
Vi devo ricordare che stiamo ora riferendo di ipotesi “fuori” dei casi delle DOP e delle IGP; sicché potremmo concludere che siamo nel campo della
ipotesi delle indicazioni geografiche semplici che, secondo la Corte di giustizia, possono essere relative alla salvaguardia delle lealtà commerciali e della
proprietà industriale e che garantiscono una maggiore informazione ai consumatori.
Ma ribadisco che tanto le prime (le DOP e le IGP) quanto le seconde (le
indicazioni geografiche semplici) sono manifestazioni volontarie di indicazioni nell’etichetta; però, mentre le prime sono accreditate dalla UE, le seconde
stanno cercando un accreditamento da parte degli Stati o degli Enti pubblici
territoriali.
Infatti, queste ultime corrispondono ai casi: a) dei sistemi di etichettatura volontaria introdotti dallo Stato come per il pesce (art. 59, commi 14-19, del
D.L. 83/2012); b) dei marchi c.d. di qualità, basata sull’origine nazionale o regionale o anche comunale - è il caso delle «denominazioni comunali di origine»
(De.c.o.) - del prodotto, marchi collettivi di qualità con indicazione geografica
che, in via di principio, dovrebbero essere ammessi, proprio perché, a differenza del marchio geografico individuale che è vietato, sono marchi collettivi.
L’Unione europea, tuttavia, contesta i tentativi di marchi collettivi geografici quando sono pubblici. Invero, benché essi non siano assimilabili alle
campagne promozionali «buy Irish» o «buy English» già condannate dalla Corte di giustizia, la direttiva 70/50/CEE del 22 dicembre 1969 proibisce a qualsiasi
“autorità pubblica” di porre in essere disposizioni legislative, regolamentari,
amministrative, atti e incitamenti diretti ad accordare ai prodotti nazionali una
preferenza che finisca con il costituire una misura avente effetto equivalente
alle restrizioni quantitative vietate dall’art. 34 del Trattato di funzionamento
dell’Unione europea (TFUE). Fra tali misure, appunto, rientrano, quelle che «riservano ai soli prodotti nazionali denominazioni che non costituiscono né denominazioni di origine né indicazioni di provenienza» (art. 2.3, lettera s).
Così la Commissione europea ha contestato i marchi di varie regioni
francesi, i segni di qualità delle regioni italiane del Veneto e della Sicilia, il
marchio belga «label de qualité wallon»; il marchio tedesco «Markenqualität
aus Deutscher Landen» mentre ha “accettato” i marchi concessi dalle Regioni
Toscana, Emilia-Romagna e Puglia perché il marchio è formulato come «Prodotto di agricoltura integrata» ed è aperto a tutti i produttori ovunque si trovino.
44
Le relazioni
Dunque, il problema più spinoso è quello di potere qualificare “italiano” il
prodotto agricolo realizzato nel nostro paese.
Vi ricordo, a questo punto, che l’art. 39 del reg. (UE) n. 1169/2011 dà agli Stati membri la facoltà di disporre l’inclusione, nell’etichetta, di indicazioni obbligatorie che sono dette «complementari» perché si aggiungono a quelle obbligatorie
secondo il diritto comunitario.
L’art. 39 del reg. (UE) n. 1169/2011 è rubricato «Disposizioni nazionali sulle
indicazioni obbligatorie complementari». Esso stabilisce che, per decisione degli
Stati membri, possono divenire obbligatorie altre indicazioni, ovverosia indicazioni
diverse da quelle che l’Unione europea ha già incluso nella categoria delle indicazioni obbligatorie da riportare sull’etichetta.
Nel rispetto della specifica procedura dello stand still3 trattandosi di regole tecniche di cui all’art. 45 del reg. (UE) n. 1169/2011, ogni Stato membro può
stabilire che nell’etichetta siano obbligatoriamente inserite indicazioni dirette alla
protezione della salute pubblica, alla protezione dei consumatori, alla prevenzione
delle frodi e alla protezione di diritti di proprietà industriale e commerciale, delle
indicazioni di provenienza.
E’ evidente che il nesso che deve intercorrere tra le qualità dell’alimento e
la sua origine non può essere lo stesso nesso che deve esistere perché l’alimento
assurga alla categoria delle DOP o delle IGP. L’art. 39 del regolamento citato dice
«talune qualità» e non è semplice darne una specificazione o una esemplificazione. E’ più facile ragionare sull’altra condizione che è richiesta, cioè che sia provato
il «fatto che la maggior parte dei consumatori attribuisce un valore significativo
alla fornitura di tali informazioni». Si tratta di quella reputazione che lega – come
nel caso del torrone di Alicante – la comunità dei produttori locali con il nome locale del prodotto, reputazione che si riverbera sulle aspettative dei consumatori a
che quell’alimento possieda le qualità che la comunità dei produttori locali gli ha
conferito inventando e proteggendo uno specifico kow how.
E vi è ben noto che la nostra Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM) ha riconosciuto che «l’olio di oliva costituisce una categoria merceologica sui generis, per la quale l’origine territoriale delle materie prime riveste,
3 La direttiva 1998/34/CE vieta agli Stati membri di emanare regole tecniche nei settori oggetto di
studio da parte della Commissione e obbliga gli stessi a comunicare preventivamente alla Commissione i progetti di regole tecniche cogenti, come nel caso delle norme sulla produzione e sull’eventuale etichettatura degli alimenti, quali possibili impedimenti alla libera circolazione delle merci;
la direttiva impone un periodo di attesa (stand-still) di 6/12 mesi dalla notifica, pena l’inopponibilità
ai terzi della regola tecnica nazionale.
45
agli occhi del consumatore, una particolare significatività data la rinomanza che
alcune zone del territorio italiano possono vantare nella produzione di olio di oliva»
(provvedimento AGCM n. 4970 «Bertolli-Lucca» del 30 aprile 1997).
6.
La tutela del made in Italy
Finora la tutela del made in Italy è stata costruita - dal nostro legislatore sia in modo negativo sia in modo positivo.
La tutela negativa - che si estrinseca nel divieto di indicazioni false e fallaci - è data da norme penali o parapenali4 che vanno dagli artt. 515 c.p. sulla frode
in commercio all’art. 517 c.p. (come integrato dalla legge 350/2003) sulle false e
fallaci indicazioni di provenienza o di origine fino al D.L. 135/2009 il cui art. 49-bis
(aggiunto all’art. 4 della legge 350/2003) stabilisce che «costituisce fallace indicazione l’uso del marchio, con modalità tali da indurre il consumatore a ritenere che
il prodotto o la merce sia di origine italiana senza indicazioni sufficienti ad evitare qualsiasi fraintendimento del consumatore sull’effettiva origine del prodotto»,
e, poi, fino al comma 49-quater dell’art. 4 della legge 350/2003 (come aggiunto
dall’art. 6 della legge 9/2013, la c.d. legge «salva olio») che punisce penalmente
(con rinvio all’art. 517 c.p.) la fallace indicazione nell’uso del marchio «quando
abbia per oggetto oli di oliva vergini».
Il fatto è che le formule della legge 350/2003 sono state interpretate nel
senso che ciò che la legge garantisce al consumatore non è l’origine o la provenienza di un prodotto da un determinato luogo, ma da un determinato produttore.
E temo che questa sarà l’interpretazione anche del nuovo comma 49-quater.
La tutela positiva del made in Italy è stata più volte tentata dal nostro legislatore, innanzitutto con la “creazione” di uno specifico segno distintivo, come
disposto: a) dal D. lgs. 173/1998 che ha istituito il «marchio identificativo della
produzione agroalimentare italiana»; b) dal 62° comma dell’art. 4 della legge
350/2003 che ha affidato al Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali
(MIPAAF) la vigilanza sul «marchio naturalmente italiano».
In secondo luogo, con la previsione dell’indicazione in etichetta della designazione dell’origine italiana imposta dal D.L. 157/2004 sul c.d. «made in Italy»,
nel quale è spiegato cosa debba intendersi per origine italiana, ovverosia: a) nel
4 Sotto il profilo definitorio, come si esprime la relazione al D. lgs. 231/2001, esse riguardano un tertiun genus di responsabilità, riferita alle persone giuridiche che rispondono degli illeciti dei propri
rappresentanti o dipendenti a vario titolo, ma non commettono reati propri.
46
Le relazioni
D.L. 135/2009, in cui si fa richiamo al disegno, alla progettazione, alla lavorazione
e al confezionamento che devono essere «compiuti esclusivamente sul territorio
italiano»; b) nella legge 55/2010 per i prodotti tessili, calzaturieri e pelletteria, per
i quali le fasi di lavorazione dei prodotti devono avere avuto luogo «prevalentemente» in Italia.
In terzo luogo - e cioè ora - con l’imporre l’obbligatorietà delle indicazioni
del luogo di origine con: a) la legge 3 febbraio 2011, n. 4, che precisa che «per i prodotti alimentari non trasformati, l’indicazione del luogo di origine o di provenienza
riguarda il Paese di produzione dei prodotti. Per i prodotti alimentari trasformati,
l’indicazione riguarda il luogo in cui è avvenuta l’ultima trasformazione sostanziale
e il luogo di coltivazione e allevamento della materia prima agricola prevalentemente utilizzata nella preparazione o nella produzione dei prodotti» (art. 4, comma
2); b) il comma 1-quater dell’art. 43 del D.L. 83/2012, che ribadisce la formula della
legge 4/2011 ma con inversione delle frasi, secondo cui «per i prodotti alimentari,
per effettiva origine si intende il luogo di coltivazione o di allevamento della materia prima utilizzata nella produzione e nella preparazione del prodotto e il luogo in
cui è avvenuta la trasformazione sostanziale», e con l’eliminazione sia dell’aggettivo «ultima» relativo a «trasformazione sostanziale», sia dell’avverbio «prevalentemente» collegato all’espressione «materia prima utilizzata nella preparazione o
nella produzione dei prodotti».
Come ho accennato, le norme sull’indicazione dell’origine italiana per i prodotti industriali sono state interpretate dalla giurisprudenza come luogo del produttore e non come luogo del territorio, mentre le norme istitutive del marchio
italiano non hanno avuto seguito perché in contrasto con il diritto comunitario.
Nonostante questo fallimento l’Italia ha perseguito la strada del marchio con riferimento all’olio extravergine di oliva con il decreto del MIPAAF (novembre 2012)
che istituisce il «marchio nazionale dei sistemi di qualità alimentare nazionale per
l’olio» sulla falsariga del D.M. 4 marzo 2011 sul marchio del «Sistema di qualità
nazionale zootecnica».
7.Conclusioni
Io temo che la via del marchio finisca nella palude del “divieto” da parte del
diritto comunitario, così come di recente è capitato al marchio «Made in Lazio» di
cui alla legge 9/2011 della Regione Lazio che la Corte costituzionale, con sentenza
del 19 luglio 2012, n. 191, ha dichiarato illegittima perché, garantendo l’origine in
47
ambito regionale, produce, indirettamente o in potenza, gli effetti restrittivi sulla libera circolazione delle merci, che anche al legislatore regionale è inibito di
perseguire per vincolo dell’ordinamento comunitario (probabilmente l’illegittimità
sarebbe potuta essere dichiarata perché allo Stato spetta la competenza esclusiva
in tema di concorrenza e di tutela delle opere dell’ingegno).
Resta, allora, la legge 4/2011 che, benché antecedente al reg. (UE) n.
1169/2011 e al suo art. 39 il quale - ripeto - dà facoltà degli Stati membri di adottare indicazioni obbligatorie (complementari) con riferimento al paese di origine o
di provenienza degli alimenti, «dove esista un nesso comprovato tra talune qualità
dell’alimento e la sua origine o provenienza» e vi sia la prova che la maggior parte
dei consumatori attribuisce un valore significativo alla fornitura dell’informazione
dell’origine o della provenienza geografica, potrebbe essere considerata come attuazione/implementazione nazionale dal reg. (UE) n. 1169/2011.
Questa conclusione mi pare sia supportata dal fatto che l’obbligo di indicare
l’origine degli alimenti in etichetta è subordinato all’emanazione di futuri decreti
interministeriali – quindi, successivi al reg. (UE) n. 1169/2011 – previo espletamento della procedura di cui alla direttiva 2000/13/CE (art. 19) che è simile alla direttiva
1998/34/CEE sullo stand-still.
La legge 4/2011 supererà il controllo della Commissione? Che, per quanto
so, ha già comunicato l’apertura della procedura d’infrazione?
Quello che devo dire con una punta di sconforto è che la Francia ha una
disposizione simile alla nostra, che ha introdotto con la loi 2010/874 del 27 luglio
2010 di modernizzazione dell’agricoltura e della pesca, disposizione che non mi
risulta contestata dalla Commissione europea.
Mi riferisco all’art. 3 che aggiunge al Code de consommation l’art. L. 112.11,
per il quale l’indicazione del paese di origine degli alimenti può essere resa obbligatoria per una lista di prodotti determinata con decreto in Consiglio di Stato.
Certo, vi sono “forti” differenze tra la legge francese e quella italiana. Per
la prima, l’indicazione di ciò che può essere definito come «made in France» dei
prodotti alimentari francesi può essere obbligatoria ma soltanto per una lista ben
determinata. Per la legge italiana l’indicazione del «made in Italy» dei prodotti
alimentari, invece, è obbligatoria e per tutti gli alimenti.
Allora, tutto dipende da come si scrivono le leggi? Temo di sì. Temo che coloro che nei ministeri italiani si dedicano alla formulazione delle norme non siano
bravi come quelli francesi!
48
Le relazioni
LA QUALITÀ E LA TRASPARENZA DELLA FILIERA
DEGLI OLI DI OLIVA VERGINI: LA C.D. LEGGE «SALVA
OLIO»
Stefano Masini1
1.
Formalismo procedurale e operatività delle regole
Natalino Irti ha recentemente attribuito al formalismo procedurale, indifferente alla materia regolata e alle finalità selezionate, il ruolo di salvagente del
diritto e della sua efficienza nella determinazione normativa: «[…] il diritto, divelto
da qualsiasi contenuto, e, perciò esposto all’urto incessante della volontà, cerca
la soluzione in geometria di forme. Al più alto grado di indifferenza contenutistica
corrisponde il grado più alto di formalismo procedurale» (Irti, 2007, p. 27).
Se non che, la garanzia di una vincolante razionalità ha come conseguenza
- facilmente rilevabile - di produrre lo smarrimento dell’oggetto e, cioè, la dimenticanza che il sapere giuridico sia piuttosto il risultato di uno sguardo sulle cose,
con la scelta tra interessi antagonisti, che l’esito di procedure e congegni di funzionamento.
Non di solitudine del diritto (Irti, 2007, p. 17 e ss.) né di diritto senza verità2
conviene parlare per le molteplici possibilità negate ad un’alternativa espressione
di volontà non ordinata alla ricerca di valori con cui ricucire la coerenza e uniformare l’obbedienza ma, a parer nostro, di tempo ritrovato del diritto, proprio
per la necessità di misurarsi con la elaborazione di esperienze sul campo, senza
arretrare (solo) nell’analisi di fatti economici e sociali, insistendo nel tentativo di
riagganciare il ruolo del giurista (e le sue tecniche) alla misura del quotidiano3.
Nell’indagare la ratio della legge 14 gennaio 2013, n. 9 «Norme sulla qualità
e la trasparenza della filiera degli oli di oliva vergini» (cfr. Masini, 2013) qui deno1
Professore associato presso il Dipartimento di Scienze e Tecnologie della Formazione, Università di
Roma “Tor Vergata”.
2
E’ il titolo del saggio che Natalino Irti ha pubblicato nel 2011 a completamento di una trilogia - come
precisa nella prefazione - aperta con Nichilismo giuridico del 2004 e proseguita con Il salvagente
della forma del 2007.
3 L’espressione è mutuata dalla introduzione di Cappellini e Conte al volume dedicato a Paolo Grossi
(2011).
49
minata «salva olio» non è, dunque, solo una inutile insistenza sul metodo quella
che ci porta ad evocare il groviglio di interessi e individuare le posizioni di conflitto
nella filiera, a sottolineare emergenze di mercato e rimuovere ingombranti patologie criminali, perché vale rendersi conto come il legislatore non abbia, invece,
abdicato al ruolo di intervenire nella concretezza dei fatti sottostanti, lasciandosi
dietro alle spalle il canone di neutralità e colmando la distanza tra gli strumenti
tecnico-giuridici proposti per la disciplina della qualità degli oli e la consapevole
praticabilità.
Un ripensamento del lavoro del giurista di cui è decisamente consapevole
Stefano Rodotà (2012, p. 352) che, nel diverso ambito di indagine legato all’innovazione scientifica e tecnologica e alla relativa compatibilità con la dimensione dei
valori di cui il diritto deve farsi interprete, si domanda: «può il diritto divenire solo
il custode di arretratezze e di paure, dietro alle quali non si fatica a scoprire la incapacità di fare i conti con una realtà così impegnativa?».
Fortemente sostenuta da quella molla dell’innovazione-azione che contrassegna la progressiva costruzione del diritto alimentare - come, in termini autorevoli, si è osservato4 - anche la legge salva olio, quale tappa importante della
espansione disciplinare della materia, ci consegna, così, un ulteriore argomentazione che depone, al di là del compito perfezionante di definizione di un testo non
compiuto o, comunque, non privo di errori, per la sua piena e consapevole capacità
di atteggiarsi come sistema delle regole di organizzazione della filiera degli oli,
rimuovendo asimmetrie, colmando vuoti e, soprattutto, intervenendo laddove più
forte si avvertiva il bisogno di rispondere alle sfide poste dalla complessità economico e sociale.
Non si tratta, perciò, di un canovaccio di norme ad alta definizione e, cioè,
dotate di precisione e di nitidezza in quanto risultato di una tecnica sofisticata,
ma non si può, d’altra parte, escludere che non siano munite di effettiva capacità operativa, evidenziando, ancora una volta, la crescente attenzione all’ansia dei
consumatori per la qualità di ciò che essi mangiano.
La percezione dei messaggi contraddittori provenienti dai differenti canali
che diffondono informazioni inerenti al deficit reputazionale dei marchi degli oli
di oliva per la riconosciuta perdita dei legami con la tradizione e il territorio o, in
termini più gravi, per le stesse conseguenze sulla salute, finisce, ad esempio, per
assumere un peso consistente sulla fiducia riposta dai consumatori con influenza
sulla propensione ad esplorare nuovi canali.
4
50
In proposito, si rinvia a Albisinni (2009, p. 45 e ss.).
Le relazioni
2.Regole del gioco e funzionamento del mercato
Le conseguenze dello scardinamento di una concezione autoreferenziale del
diritto si toccano con mano nel ripensare la complessiva disciplina del mercato.
Soccorrono, in proposito, le parole di Guido Rossi (2006, p. 35): «al mercato,
oggi, viene attribuita una sorta di potenza magica, in grado di comporre e risolvere
qualsiasi problema economico».
Su questo terreno si esprime, diversamente, l’impegno a recuperare alle
norme un ruolo potestativo capace di curvare le esigenze oggettive dell’assetto
economico alla soluzione dello squilibrio di potere contrattuale tra gli operatori
individuati nella loro forza o debolezza economica lungo la filiera e verso gli stessi
consumatori.
In effetti, rispetto all’iniziale impostazione occorre registrare un sostanziale
svuotamento dei contenuti proposti a presidio della correttezza delle operazioni
della filiera, tenuto conto che il D.L. 22 giugno 2012 n. 83 convertito, con modificazioni, con legge 7 agosto 2012, n. 134, recante misure urgenti per la crescita del
Paese, ha già anticipato la scelta di sistema attraverso la messa a fuoco di due
strumenti essenziali alla correzione delle distorsioni che si vanno da tempo consumando nel settore.
Non vi è dubbio, però, che lo stimolo normativo si pone ben al di là di una
semplice integrazione strumentale degli istituti appena abbozzati - da un lato, il
parametro degli alchil esteri e, dall’altro lato, la composizione e il funzionamento
del panel test - in quanto contiene un’ampia congerie di previsioni per molti aspetti
inedite, espressione di un disegno di piena valorizzazione degli oli di oliva per l’utilità che soltanto un mercato regolamentato è in grado di assicurare.
Non si può, infatti, non sottolineare il modo originale di approccio nella gestione delle non conformità delle analisi messo a punto dall’art. 3 («Ulteriore modifica all’art. 43 del decreto legge 22 giugno 2013, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2013, n. 134») della legge salva olio, in grado di colpire
le strategie di marketing delle imprese di commercializzazione.
Il ricorso alle nuove tecnologie multimediali fa sì che il consumatore non
sia più un soggetto meramente passivo, in quanto capace di soddisfare il proprio
fabbisogno informativo al di là del messaggio affidato all’etichettatura anche con
il monitoraggio dei dati interattivi collegati ad un continuativo controllo esperienziale del valore del brand.
Opinioni e giudizi allargati alle comunità di riferimento nel web determinano
un potere di definizione del posizionamento dei prodotti sul mercato, che condi-
51
zionano i comportamenti di acquisto, sì che la trasmissione, nel portare internet
dell’amministrazione, di eventuali dati critici a riguardo della composizione degli
oli - per quanto da verificare in esito a successive operazioni di controllo - anticipa,
nella relazione azienda-consumatori, l’interesse ad organizzare la filiera in osservanza ad elevati standard di tutela e di valorizzazione della qualità.
Il cantiere olio resta, per altro, aperto in ragione della circostanza che la legge, precedentemente notificata come progetto di regole tecniche risulta approvata
senza tener conto dei tempi di rinvio dell’adozione, tanto che potrebbe essere avviata una procedura di infrazione da parte della Commissione europea o di un altro
Stato membro. Più agevolmente, la violazione dell’obbligo di stand still potrebbe
indurre qualsiasi operatore della filiera, nell’ambito di un procedimento relativo ad
una controversia vertente, ad esempio, su diritti e obblighi di natura contrattuale,
a richiedere al giudice nazionale la disapplicazione della regola tecnica adottata
durante il periodo stabilito di rinvio dell’adozione5.
C’è da dire, però, che solo alcune norme hanno la natura di regola tecnica e, soprattutto, la stessa Unione europea ha già proposto analoghe soluzioni
per quanto riguarda la disciplina nel corrispondente ambito delle dimensioni dei
caratteri delle diciture da riportare nell’etichettatura ovvero dell’utilizzo delle bottiglie provviste di tappo anti rabbocco ai fini della somministrazione al pubblico6.
3.Ciclo economico e scelta di nuove sanzioni
Dobbiamo, in realtà, guardare ad un provvedimento che aggrega una pluralità di norme in base alla particolarità degli interessi - e, naturalmente, dei sog5 La fattispecie ricorda l’approvazione della legge 3 agosto 1998, n. 313, «Disposizioni per l’etichettatura d’origine dell’olio extravergine di oliva e dell’olio di oliva» disapplicata in esito all’intervento
della Corte di giustizia delle Comunità europee, sentenza 26 settembre 2000, causa C-443/98, Unilever Italia S.p.a. c. Central Food S.p.a., in Riv. dir. intern., 2001, 153, che ha dichiarato l’inadempimento dello Stato dell’obbligo di notifica. Sulla procedura dello stand still si veda anche Germanò
in questo stesso volume.
6 Come si legge nella richiesta di informazioni della Commissione europea, Direzione generale
dell’agricoltura e dello sviluppo rurale del 28 febbraio 2012 avente ad oggetto «Legge italiana recante “Norme sulla qualità e la trasparenza della filiera degli oli di oliva vergini” - Violazione del
diritto dell’Unione»: «i punti relativi all’indicazione dell’origine dell’olio di oliva, in particolare per
quanto riguarda le dimensioni dei caratteri e il campo visivo, e al sistema di apertura delle confezioni sono oggetto di un documento di lavoro relativo a modifiche del Regolamento di esecuzione
(UE) n. 29/2012 della Commissione, attualmente all’esame del comitato di gestione per l’organizzazione comune dei mercati agricoli». A seguito del voto (previsto nell’aprile 2013) «le modifiche
sarebbero state adottate dalla Commissione come modifiche del regolamento (UE) n. 29/2012 in
conformità all’art. 195, paragrafo 2, del regolamento (CE) n. 1234/2007 (regolamento unico OCM)».
52
Le relazioni
getti portatori degli stessi - distinguendo: la classificazione degli oli e la relativa
presentazione sul mercato; la tutela del consumatore nella comunicazione commerciale e nelle modalità di offerta al pubblico; il funzionamento del mercato e le
limitazioni della concorrenza e, infine, il contrasto delle frodi e la risistemazione
delle sanzioni.
Poiché la trattazione separata e puntuale dei singoli ambiti non risulta ammissibile nei limiti di tempo della relazione, mi si perdoni l’arbitrarietà della scelta
di riservare qualche considerazione al contrasto della criminalità economica, non
fosse altro perché: «questo fenomeno deprime ogni incentivo al miglioramento
della produzione, disorienta i consumatori e, in ultima istanza, impedisce alla concorrenza di espletare i suoi benefici tipici: incremento qualitativo e quantitativo
nella gamma dei prodotti e servizi offerti, tendenziale abbassamento dei prezzi,
crescita economica» (Savona, 2001, p. 92).
La consapevolezza della diffusa incidenza di frodi nel settore ha portato,
così, il legislatore ad una risposta originale e articolata sul piano della definizione
degli strumenti oltre che efficace per lo studio e l’inquadramento dei comportamenti illegali da rimuovere attraverso disincentivi penali e reputazionali, così come
suggerito, in sede di audizione dal Procuratore nazionale antimafia nel corso dei
lavori preparatori della relazione sulla contraffazione nel settore agroalimentare7.
In questi termini, sembra che l’impegno del legislatore sia stato, proprio,
quello di interrogarsi su quel che resta del così detto diritto penale alimentare
e, soprattutto, se le poche condotte violatrici delle norme in materia di sostanze
alimentari, pur rimaste penalmente sanzionate, conservino, tuttora, un idoneo carattere di afflittività e non occorra, per tanto, operare alla stregua delle accertate
disfunzioni e lacune.
È noto, del resto, il precedente e reiterato intervento inteso alla radicale
degradazione ad illeciti amministrativi delle diverse figure di reato, delittuose e
contravvenzionali, punite con la sola pena pecuniaria, con la conseguenza di ammettere, in una logica aperta di mercato segnata dalla centralità della finanza e
dall’enorme potenza delle grandi corporations, il calcolo delle utilità che si pensi
di ricavare dall’illecito rispetto alle diseconomie conseguenti all’eventuale applicazione delle sanzioni.
Se lo scopo pratico che la riforma si è posta è stato quello di smaltire il fun7 Spunti, in questa direzione, si rinvengono nella Relazione sulla contraffazione nel settore agroalimentare, Relazione della Commissione parlamentare di inchiesta sui fenomeni della contraffazione e della pirateria in campo commerciale (Doc. XXII-bis n. 2), approvato dalla Commissione nella
seduta del 6 dicembre 2011, XVI legislatura, Camera dei Deputati, 2012.
53
zionamento della giustizia penale (Flick, 2011), va detto che l’affievolimento delle
conseguenze che le varie leggi speciali - oggi in adesione al principio di libera
circolazione delle merci ordinate all’attuazione di fonti europee - ha finito con il vanificare, nel settore qui indagato, gli sforzi produttivi indirizzati alla qualità almeno
alla scala dimensionale delle piccole e medie imprese agricole.
La diversa valutazione della responsabilità per la generica violazione delle
regole poste a tutela delle due tipologie di beni giuridici affatto diverse - la salute
(dei consumatori) e l’interesse economico (di produttori, commercianti ed acquirenti) - ma ugualmente ancorati alla inedita rilevanza di valori che attengono all’intelaiatura della società ha, così, richiesto la prova di una significativa creatività
nel forgiare diverse tecniche di tutela anche sotto la spinta di pressanti e diffuse
sollecitazioni politiche.
L’obiettivo dichiarato è stato, prima di tutto, quello di colpire attraverso la
separazione dei vari livelli decisionali, i soggetti effettivamente responsabili in
modo da affiancare alla responsabilità penale personale quella dell’ente dipendente da scelte di politica di impresa.
Al fine di risolvere il problema relativo all’immissione in commercio di un
prodotto in grado di determinare un effettivo pericolo per la salute pubblica o, comunque, pregiudizio agli interessi dei consumatori e, nel caso in cui l’operatore
economico non sia una persona fisica, ma un ente, dotato o meno di personalità
giuridica, è previsto, infatti, dall’art. 12 («Responsabilità degli enti per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato») della legge salva olio, il rinvio al D.lgs. 8
giugno 2001, n. 231 «Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone
giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, a
norma dell’articolo 11 della legge 29 settembre 2000, n. 300».
Risulta, pertanto, estesa la responsabilità amministrativa degli enti collettivi per i reati contro la fede pubblica (artt. 473 e 474 cod. pen.) nonché contro l’economia pubblica (artt. 515, 516 e 517 quater) commessi nel loro interesse o a loro
vantaggio, da parte di dirigenti, funzionari o dipendenti, nel caso in cui non abbiano
anticipatamente adottato un adeguato modello di organizzazione e di controllo del
processo produttivo.
Tra le pene accessorie riconosciute in un’ottica di prevenzione piuttosto che
di repressione è, ancora, prevista dall’art. 13 («Sanzioni accessorie alla condanna per il delitto di contraffazione di indicazioni geografiche o denominazione di
origine dei prodotti alimentari») la pubblicazione della sentenza di condanna per
la violazione dell’art. 517 quater cod. pen. su almeno due quotidiani a diffusione
nazionale.
54
Le relazioni
In precedenza, commentando il meccanismo di applicazione di questa categoria di sanzioni e, con specifico riguardo alla chiusura definitiva dello stabilimento o dell’esercizio, si è osservato come esse siano dirette a colpire «la vita
aziendale e quindi costituiscano un valido strumento per prevenire spregiudicate
politiche imprenditoriali in campo alimentare» in esito ad una «strategia tendente
a coinvolgere direttamente l’impresa o l’ente nella responsabilità sanzionatoria,
aggirando così in qualche modo l’insuperabile principio costituzionale societas delinquere non potest, vieppiù vacillante» (Grillo, 2003).
Tuttavia, una volta caduto tale paradigma, nell’immaginario penalistico8
viene, addirittura, esteso per un ulteriore arco di cinque anni dalla condanna comminata per le condotte sopra richiamate, il divieto di instaurare modalità o pratiche
di comunicazione commerciale o di attività pubblicitaria preordinate anche indirettamente alla promozione degli oli di oliva vergini, arrestando il rilancio dell’immagine dell’impresa avviata a conquistare quote di mercato in base ad una rinnovata
ricerca di fiducia.
Significativa risulta, ancora, la particolare connotazione del sodalizio criminoso in quanto indirizzato alla realizzazione di reati di adulterazione e di frode di
oli di oliva vergini tramite una condotta sistematicamente organizzata che ha portato, in base all’art. 14 («Rafforzamento degli istituti processuali e investigativi»), a
sfruttare tutte le possibilità di intervento riconducibili all’applicazione dell’art. 416
bis cod. pen.
Sotto questo profilo, sembra che possa sconfinare nell’ambito del penalmente rilevante la condotta di quelle aggregazioni che attraverso la formazione
di stabili cartelli e la reiterazione di condotte progressive predispongano un programma delittuoso organizzato, in grado di tradursi in effettivo turbamento delle
transazioni di mercato o, nei casi più gravi, in offensività della salute.
Dalla descrizione della condotta accompagnata dalla rilevanza di precisi requisiti strutturali idonei a realizzare gli obiettivi criminosi presi di mira, con conseguenze estremamente dannose per l’ordine economico e a tutela dei consumatori,
riceve legittimazione sia la sospensione dei termini delle indagini preliminari disposta dalla L. 7 ottobre 1969, n. 742 Sospensione dei termini processuali nel periodo feriale sia la previsione della durata massima delle stesse indagini che non
può, comunque, superare venti mesi in deroga all’art. 407 cod. proc. pen.
Il ritardo nel varo di una più generale tutela a presidio di interessi cristalliz8 In argomento, sia pure con limitato sguardo al settore agroalimentare, sia consentito il rinvio a
Masini, 2012.
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zati dal previgente schema di tutela costituito dalla serie di illeciti amministrativi
e, tuttavia, sottoposti a nuove e più incisive forme di aggressione risulta, altresì,
colmato dalla previsione di un efficace strumento ablativo dei beni e delle disponibilità economiche finanziarie dei soggetti che siano condannati o che abbiano
patteggiato la pena per gli stessi reati di adulterazione e di frode: la così detta
confisca per sproporzione.
Prevista come misura di sicurezza patrimoniale dall’art. 12 sexies del D.L. 8
giugno 1992, n. 306 convertito, con modificazioni, con legge 7 agosto 1992, n. 356
«Modifiche urgenti al nuovo codice di procedura penale e provvedimenti di contrasto alla criminalità organizzata», essa consiste in un provvedimento ablatorio con
cui sono devolute allo Stato le somme di denaro e qualsiasi altra utilità materiale
di cui il condannato non possa giustificare la provenienza o di cui, anche per interposta persona risulta essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo, in
misura sproporzionata riguardo al reddito percepito o all’attività economica svolta,
tanto da far intendere che esista, comunque, una correlazione diretta con il reato
accertato.
Al di fuori della specifica connotazione degli illeciti perseguiti nel settore
della produzione e del commercio degli oli vergini di oliva viene, quindi, prevista
l’inserzione, nell’elenco dell’art. 266 cod. proc. pen., dell’intera serie dei reati previsti dagli artt. 444, 473, 474, 515, 516 e 517 quater cod. pen., sinora esclusi in osservanza al mero criterio quantitativo incentrato sull’entità della pena edittale ma
che, sulla base della necessaria considerazione degli interessi offesi, sono tali da
legittimare, in presenza di gravi indizi e dell’assoluta indispensabilità di acquisire
elementi probatori in vista della prosecuzione delle indagini, il ricorso a più idonei
strumenti di verifica circostanziale di eventi e situazioni.
In base all’esperienza delle più recenti tecniche di indagine (cfr. Filippi e
Cortesi, 2003), l’ausilio delle intercettazioni di comunicazioni telefoniche risulta
decisivo per la scoperta e il riscontro di elementi sicuri di prova anche in forza di un
approccio complesso improntato all’interdisciplinarietà con riguardo alla raccolta,
repertazione e condivisione dei dati inerenti alle condotte antigiuridiche considerate.
Sul piano politico-criminale si può, dunque, cogliere un orientamento contrario alla tendenziale riduzione al minimo della risposta dello Stato, sia pure allargando le tecniche di intervento oltre le tipologie sanzionatorie classiche.
In questa direzione, la parola d’ordine meno intervento punitivo - come ha
intuito una precedente dottrina (Marinucci e Dolcini, 1999) - sarebbe stata diversamente ritagliata sul bisogno di impunità della cosìddetta gente perbene a cui si
56
Le relazioni
collega la criminalità dei colletti bianchi, con il risultato di deprivare di efficacia la
risposta sanzionatoria nei confronti di fatti gravemente lesivi della fiducia per l’ordinato svolgimento della vita economica e, in alcuni casi, del bene fondamentale
della salute.
Contenuta nel capo II («Norme sulla trasparenza e sulla tutela del consumatore») della legge salva olio, anche la sanzione penale riacquista, del resto,
il suo ruolo pienamente retributivo sulla scorta di una riconosciuta oggettività di
tutela in relazione alla violazione del Made in Italy.
L’art. 6 («Ipotesi di reato connesse alla fallace indicazione nell’uso del marchio») dopo aver operato il collegamento all’art. 4, comma 49 bis della legge 24
dicembre 2003, n. 390 «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2004)» stabilisce, infatti, una sanzione di
nuovo conio, con il rinvio all’art. 517 cod. pen., sostitutiva dell’addebito della mera
sanzione amministrativa, in relazione all’uso del marchio di oli di oliva vergini con
modalità tali da indurre il consumatore a ritenere che il prodotto sia di origine nazionale in riferimento al luogo geografico di raccolta delle olive piuttosto che alla
località in cui abbia sede lo stabilimento di trasformazione.
L’intervento repressivo risulta, ancora, completato da un allargamento delle
conseguenze destinate ad incidere sulle dinamiche aziendali, in conseguenza della condanna per i singoli reati alimentari, posto che, in base all’art. 15 («Sanzioni
accessorie in caso di condanna per il delitto di adulterazione e contraffazione») il
titolare dell’iniziativa economica nel campo della produzione e del commercio di
oli di oliva vergini, è escluso dal rilascio di strumenti procedimentali (autorizzazioni, licenze, nulla osta, ecc.) che assicurino, a qualsiasi titolo, l’avvio o il potenziamento dell’attività nonché dall’accesso a contributi, finanziamenti, mutui agevolati
o altre erogazioni pubbliche di fonte europea, nazionale o regionale.
Fuori dall’area delle tecniche di tutela di beni giuridici essenziali ma non
svincolato dall’impegno di razionalizzazione delle forme di controllo rispondenti
allo svolgimento di un tipo di produzione articolato lungo il percorso dal campo
alla tavola si inserisce, infine, l’art. 16 («Obbligo di costituzione e aggiornamento
del fascicolo aziendale») rivolto a ricucire, sul piano documentale la decisa frammentazione delle fasi e, per ciò, degli interessi coinvolti nella filiera degli oli vergini
di oliva.
In particolare, la norma prevede anche in capo all’imprenditore agricolo,
quell’adempimento disposto dall’art. 13 D.lgs. 29 marzo 2009, n. 99 «Disposizioni
in materia di soggetti e attività, integrità aziendale e semplificazione amministrativa in agricoltura, a norma dell’art. 1, comma 2, lettere d), f), g), l), ee) della L.
57
7 maggio 2003, n. 38») e rivolto, proprio, ad affrontare le carenze strutturali del
sistema informativo geografico (GIS), operativo solo parzialmente nel settore.
L’olivicoltore, fino ad ora esonerato da qualsiasi adempimento per l’immissione in commercio di prodotti sfusi o confezionati purché ottenuti esclusivamente
dalle olive provenienti da impianti aziendali, è risultato, da questo punto di vista,
involontario tramite del conferimento ad impianti di trasformazione di intere partite di olive prive di documentazione quanto alla provenienza delle superfici dichiarate di origine e ciò per la facilità e la convenienza della sostituzione con prodotti
aventi differenti caratteristiche di valore.
4.Modello di intervento e selezione degli interessi nella filiera
La più lunga esposizione dedicata alle sanzioni non ci consente, tuttavia, di concludere che si tratti del capitolo di un diritto iroso9, in quanto abbia avuto prevalenza, nella riorganizzazione complessiva della filiera degli oli, un istinto punitivo del legislatore.
Solo che la capacità deterrente delle norme appena richiamate assiste l’obiettivo di riallineare le operazioni economiche attraverso i vuoti che emergono
rispetto a zone opache della trasformazione e della commercializzazione, con un
sostanziale mutamento delle tecniche punitive che pongono al centro del sistema
non l’afflizione calibrata sul singolo offensore, ma la scelta della penalizzazione o,
quando necessario, dell’espulsione dell’impresa dal mercato.
Un’ultima considerazione può, allora, consentire la messa a fuoco di un tessuto di norme capace di abbozzare un presidio efficace del mercato degli oli di oliva
in risposta a bisogni collettivi di fiducia e di sicurezza, la cui organizzazione riflette
la reale volontà del legislatore di intervenire nei conflitti che, tra i diversi soggetti
della filiera, generano interessi antagonisti.
Ciò che dà ragione a quell’importante dottrina (Jannarelli, 2008) che individua, dentro la storia delle relazioni economiche e sociali, le fasi di evoluzione pratica e le oscillazioni dogmatiche della nostra materia, capace di corrispondere al
più alto grado di adesione alla realtà, lungo un tormentoso itinerario. Un itinerario
dapprima chiamato a tradurre i nuovi valori di cui è stata portatrice la Costituzione
nell’equilibrio tra proprietà, lavoro e impresa e che, oggi, in seguito alla caduta
delle frontiere degli Stati e della costruzione di un mercato globale, non nasconde
l’interesse a rendere effettiva la tutela del canone territoriale e del suo potenziale
9 Il richiamo è al saggio di Corradini e Broussard (2009).
58
Le relazioni
generativo di valore della componente agricola, di contro all’anonima realizzazione
delle fasi di trasformazione e del commercio sciolte da ogni operante raccordo con
un sistema di vincoli e condizioni socialmente condivisi.
Bibliografia
Albisinni, F., Strumentario di diritto alimentare, UTET, Torino, 2009.
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Roma, 2001.
60
Le relazioni
L’ART. 62 E IL MERCATO: DAI CONTRATTI ALLO STATUS NELLA PROSPETTIVA DELL’OLIVICOLTURA
Ferdinando Albisinni1
1. I plurimi interventi legislativi nella disciplina dei contratti nel
settore agroalimentare
Il tema della disciplina dei contratti nel settore agroalimentare, in generale
e con specifico riferimento ad alcuni prodotti ed aree di mercato, da tempo rilevante e controverso, ha assunto rilievo decisamente centrale nel dibattito politicoistituzionale dell’oggi.
E’ sufficiente qui ricordare, in rapida sintesi:
-
l’art. 62 del decreto legge del 24 gennaio 2012, n.1, contenente «Disposizioni
urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività» (convertito in legge con modificazioni dalla L. 24 marzo 2012, n. 27), con
l’adozione di una specifica disciplina in tema di contratti fra imprese per la
cessione di prodotti agricoli e alimentari2, con disciplina integrata e modificata dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221 che ha convertito con modifiche il
D.L. 18 ottobre 2012, n. 179;
-
il regolamento (UE) n. 261/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio, del
14 marzo 2012, che modifica il reg. (CE) n. 1234/2007 per quanto riguarda
i rapporti contrattuali nel settore del latte e dei prodotti lattiero-caseari,
che ha introdotto, nella generale disciplina dell’Organizzazione comune del
mercato (OCM) unica, innovative disposizioni in tema di rapporti contrattuali
riguardanti il latte ed i prodotti a base di latte;
-
l’approvazione - dopo anni di serrato confronto fra parlamentari, governi,
organizzazioni di imprese e di consumatori, gruppi di opinione e politici - del
1 Professore ordinario presso il Dipartimento DISTU - Istituzioni Europee dell’Università della Tuscia
(Viterbo). Il presente lavoro riprende in parte, con modifiche e integrazioni, la relazione “La nuova
OCM ed i contratti agroalimentari”, presentata al Convegno di Messina dell’AIDA - Associazione
italiana di diritto alimentare del 28-29 settembre 2012, pubblicata in Rivista di Diritto Alimentare,
www.rivistadirittoalimentare.it, n. 1, 2013, p. 4.
2
Sulle nuove disposizioni cfr. le analisi, in chiave economica, di Giacomini, 2012, p. 26; Frascarelli,
2012, p. 85; ed in chiave giuridica, di Tommasini, 2012, p. 3; Giuffrida, 2012, p. 3; Germanò, 2012b,
p. 379; Id., 2012a, p. 424; Albisinni, 2012, p. 33.
61
-
-
“pacchetto qualità”3, con la riscrittura di alcuni aspetti cruciali quanto alla
stessa perimetrazione della “qualità” in ambito agroalimentare e quanto
alla relazione fra ordinamenti domestici e dimensione europea del riconoscimento e della tutela;
il vivace dibattito apertosi innanzi al Parlamento europeo sulle proposte della Commissione per la riforma della Politica agricola comune (PAC)4;
da ultimo la legge italiana del gennaio 2013 sulla commercializzazione
dell’olio di oliva5, peraltro oggetto di una procedura di infrazione tempestivamente aperta dalla Commissione europea ed attualmente pendente.
2. La disciplina europea tra concorrenza, specialità dell’impresa
agricola e Politica agricola comune
Le novità introdotte da questa densa stagione riformatrice appaiono ancor più
rilevanti ove le stesse vengano lette per confronto alle linee che per circa 50 anni hanno
caratterizzato la PAC e il diritto agrario comunitario.
Punto di partenza è quell’anno 1962, che circa 50 anni fa ha visto il nascere del
diritto agrario ed alimentare comunitario, e che con l’adozione del reg. (CEE) n. 26/62 del
Consiglio, del 4 aprile 1962 - relativo all’applicazione di alcune regole di concorrenza alla
produzione e al commercio dei prodotti agricoli - ha segnato la griglia disciplinare, entro
la quale si sono iscritte per decenni le scelte comunitarie di governo del settore.
Questo regolamento, come è noto6, ha per un verso previsto, all’art. 1, l’applicazione delle disposizioni di cui agli articoli da 85 a 90 del Trattato CEE in tema di concorrenza a tutti gli accordi, decisioni e pratiche riguardanti i prodotti agricoli, e nel contempo
ha però stabilito la non applicabilità dell’art. 85 del Trattato «agli accordi, decisioni e
pratiche di imprenditori agricoli, di associazioni di imprenditori agricoli o di associazioni
di dette associazioni appartenenti ad un unico Stato membro, nella misura in cui, senza
3 Reg. (UE) n. 1151/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 novembre 2012, sui regimi
di qualità dei prodotti agricoli e alimentari.
4 Come è noto, il Parlamento europeo ha mosso severe critiche alla proposte di riforma della PAC
presentate dalla Commissione europea sin dal 2011, articolate in sette testi che coprono l’intero
ambito disciplinare della PAC (Albisinni, 2011c, p. 604) ed ha formulato numerosi ed incisivi emendamenti a tali proposte; tanto che al momento di redigere le presenti note (marzo 2013), i testi
definitivi non risultano ancora licenziati.
5
L. 14 gennaio 2013, n. 9, «Norme sulla qualità e la trasparenza della filiera degli oli di oliva vergini»;
cfr.. Masini, 2013, n. 97, e la sua relazione in argomento in questo stesso volume.
6 Per ampie analisi, anche per comparazione all’esperienza nord americana, e per ulteriori riferimenti, cfr. Jannarelli, 2011.
62
Le relazioni
che ne derivi l’obbligo di praticare un prezzo determinato, riguardino la produzione o la
vendita di prodotti agricoli o l’utilizzazione di impianti comuni per il deposito, la manipolazione o la trasformazione di prodotti agricoli» (art. 2).
Il commercio dei prodotti agricoli risulta pertanto soggetto alle ordinarie regole
di concorrenza, ma gli accordi degli imprenditori agricoli e delle loro associazioni si collocano al di fuori di tali regole, salvo per quanto riguarda la determinazione dei prezzi.
Ne è risultata confermata - in modo esplicito e sin dal primo atteggiarsi della PAC
- la specialità dell’impresa agricola (cfr. Germanò, 2010).
Questo esonero dalle regole di concorrenza degli accordi fra imprenditori agricoli
trovava tuttavia, già nel regolamento del 1962, un preciso ed espresso limite nel richiamato divieto di prevedere un «obbligo di praticare un prezzo determinato».
La ragione di una scelta siffatta è agevolmente individuabile, non in ipotesi nella meccanica estensione agli accordi fra imprese agricole delle normali regole di concorrenze che vietano le intese sui prezzi, ma piuttosto nelle peculiarità della Politica
agricola comune, che per decenni si è tradotta in una politica dei prezzi attentamente e
minutamente governata dal Consiglio e dalla Commissione.
Come è stato autorevolmente osservato, ancora di recente: «In definitiva, il giudizio negativo circa gli accordi aventi ad oggetto la fissazione del prezzo del prodotti appariva e tuttora [appare riflettere l’esigenza originaria delle istituzioni comunitarie di governare in totale esclusiva la politica dei prezzi dei prodotti agricoli] al riparo da iniziative
di soggetti collettivi privati, quali le organizzazioni di agricoltori, e dunque, di eliminare
alla radice il pericolo di perturbazioni della politica dei prezzi per molti decenni al centro
della politica agricola comunitaria»7.
Per decenni questo essenziale postulato della PAC è rimasto immutato, ed il reg.
(CEE) n. 26/62 non ha subìto modifiche, se non una, iniziale, quanto alla sua decorrenza8.
Alcune deroghe all’applicazione di questo regolamento sono state introdotte per specifici settori: nel 1992 per il settore del tabacco e nel 1996 per i prodotti ortofrutticoli; in
entrambi i casi, peraltro, mantenendo il divieto di accordi che prevedano la determinazione dei prezzi9.
Dopo oltre 40 anni, il reg. (CEE) n. 26/62 è stato sostituito dal reg. (CE) n.
7 Jannarelli, 2012, p. 187. Il corsivo è di Albisinni (NdC).
8 Reg. (CEE) n. 49/1962 del Consiglio, del 29 giugno 1962, che modifica la data di applicazione di
taluni atti relativi alla PAC.
9 Cfr. l’art. 7.3 del reg. (CEE) n. 2077/92 del Consiglio, del 30 giugno 1992, relativo alle organizzazioni
e agli accordi interprofessionali nel settore del tabacco, e l’art. 20.3 del reg. (CEE) n. 2200/96 del
Consiglio, del 28 ottobre 1996, relativo all’organizzazione comune dei mercati nel settore degli ortofrutticoli.
63
1184/2006 del Consiglio, del 24 luglio 2006, relativo all’applicazione di alcune regole di concorrenza alla produzione e al commercio dei prodotti agricoli, dichiaratamente adottato, come si legge nel primo considerando, a fini di razionalità e
chiarezza, quale codificazione operata in ragione delle modifiche asseritamente
intervenute medio tempore.
In realtà nessuna significativa modifica testuale era intervenuta nei primi 40
anni di vigenza del reg. (CEE) n. 26/62, ed il regolamento del 2006 ha sostanzialmente confermato impianto e testo del regolamento del 1962.
Le novità in questi anni sono state piuttosto rappresentate dall’emergere
di una linea parallela, che si è affiancata, integrandola, alla generale disciplina in
tema di concorrenza per i prodotti agricoli, e che ha assegnato rilevanti compiti
commerciali, oltre che normativi, alle organizzazioni dei produttori agricoli riconosciute dagli Stati membri10, peraltro ribadendo il divieto di accordi aventi ad oggetto la determinazione dei prezzi.
3.
Le novità di inizio secolo. La OCM unica e le codificazioni
Rilevanti novità, di disegno sistematico oltre che di politica economica, intervengono con le riforme della PAC di inizio secolo, con il disaccoppiamento e con
l’OCM unica11.
Sul piano istituzionale, il reg. (CE) n. 1782/2003 si propone come componente
della costituzione materiale della Comunità, lì ove definisce una pianificazione di
bilancio pluriennale, vincolante per gli Stati membri e tale da consolidare equilibri
pregressi, in riferimento non ad una singola OCM, ma ad una pluralità di interventi sino ad allora separatamente disciplinati12, con la dichiarata ambizione, come si
10 Cfr. il reg (CEE) n. 1360/78 del Consiglio, del 19 giugno 1978, concernente le associazioni di produttori e le relative unioni. Per un’analisi sistematica di questa legislazione cfr. Jannarelli, 2011; Id.,
2012.
11 Cfr., rispettivamente, il reg. (CE) n. 1782/2003 del Consiglio, del 29 settembre 2003, che stabilisce
norme comuni relative ai regimi di sostegno diretto nell’ambito della politica agricola comune e
istituisce taluni regimi di sostegno a favore degli agricoltori, e il reg. (CE) n. 1234/2007 del Consiglio, del 22 ottobre 2007, recante organizzazione comune dei mercati agricoli e disposizioni specifiche per taluni prodotti agricoli (regolamento unico OCM).
12 Il tema della definizione di un quadro finanziario stabile e definito ex ante è stato uno dei terreni di
confronto decisivo fra la Commissione e gli Stati membri e fra i singoli Stati, come è apparso evidente dalle vivaci discussioni seguite alla pubblicazione della proposta della Commissione, Communication de la Commission au Conseil et au Parlement Européen, Construire notre avenir commun - Défis politiques et moyens budgétaires de l’Union élargie – 2007-2013, Bruxelles COM(2004)
101 final, 10.2.2004.
64
Le relazioni
legge nel 26° considerando del regolamento, di ricondurre all’interno del regime di
pagamento unico tutti i precedenti sistemi di aiuto diretto nei vari settori produttivi.
Soprattutto, la normativa di fonte comunitaria in materia agricola, che tradizionalmente aveva avuto contenuti di intervento e di governo economico puntuali,
precisi (e così comprendeva politica dei prezzi, restituzioni alle esportazioni, prelievi sulle importazioni, ammassi, controlli doganali e quant’altro) ed aveva lasciato in larga misura agli Stati membri il ricorso all’una o all’altra definizione, in esito
al disaccoppiamento ed alla dichiarata valorizzazione delle capacità auto-regolatrici del mercato, per un verso scopre il rilievo e l’importanza delle definizioni e
dello strumentario giuridico e della connessa codificazione delle definizioni (Albisinni, 2011b); per altro verso avverte (non immediatamente, ma nell’arco di alcuni
anni) la necessità di introdurre comunque meccanismi di intervento sui prezzi in
un mercato, quello dei prodotti agroalimentari, che in larga misura risulta segnato
da crisi ricorrenti e da marcata instabilità13.
Sotto il profilo formale, le norme di sostegno per i settori cui è stato esteso il sistema dell’aiuto unico non sono rimaste oggetto di atti normativi distinti e
separati per ciascun settore (come era sin qui avvenuto), ma si sono tradotte in
articoli, paragrafi o commi inseriti nel testo di un unico regolamento, il reg. (CE)
n. 1782/200314, ed oggi il regolamento (CE) n. 73/200915, che dichiaratamente si
propone come una sorta di codice europeo dei regimi di sostegno diretto all’agricoltura, vale a dire dei regimi sin qui classificati all’interno del primo pilastro.
Ne deriva la rilevante conseguenza sistematica che le definizioni - ad esempio in tema di attività agricola e di prodotti agricoli di cui all’art. 2 del reg. (CE) n.
1782/2003 -, le disposizioni generali, gli istituti di nuova introduzione, le norme
procedimentali e sanzionatorie formalmente dettati in riferimento ad un singolo
regolamento, tendono in realtà a costituirsi come corpus unitario ed omogeneo, di
applicazione generalizzata.
L’accorpamento di più misure di aiuto, relative a numerose e differenti OCM
comprendenti produzioni sia vegetali che animali, in un unico meccanismo finan13 Cfr. l’analisi in chiave storica e i dati riferiti da De Filippis, 2012, p. 19.
14 Il reg. (CE) n. 1782/2003, nell’ultimo testo consolidato, vigente sino all’emanazione del reg. (CE)
n.73/2009, contava ben 24 successivi regolamenti di modifica e integrazione, a conferma del carattere tendenzialmente e progressivamente omnicomprensivo del regolamento sul regime unico di
pagamento.
15 Reg. (CE) n. 73/2009 del Consiglio, del 19 gennaio 2009, che stabilisce norme comuni relative ai regimi di sostegno diretto agli agricoltori nell’ambito della politica agricola comune e istituisce taluni
regimi di sostegno a favore degli agricoltori, e che modifica i regolamenti (CE) n. 1290/2005, (CE) n.
247/2006, (CE) n. 378/2007 e abroga il regolamento (CE) n. 1782/2003.
65
ziario predeterminato per un rilevante arco di anni, assegna un significato non
solo quantitativo e di bilancio, ma normativo e disciplinare, all’unificazione delle
politiche di spesa, siccome queste non investono singoli settori produttivi, ma tendenzialmente ed in modo uniforme l’attività dell’intero comparto agroalimentare,
complessivamente ed unitariamente inteso.
La scelta operata sul piano sistematico risulta ancor più significativa ove si consideri che ad essa si è accompagnato un modello europeo di governo dell’agroalimentare,
che si è caratterizzato come frutto di negoziato interstatale, dichiaratamente inteso a
ripartire le risorse tra i singoli Stati con il meccanismo dei massimali nazionali di riferimento (cfr. gli artt. 41 ss. del reg. (CE) n. 1782/2003).
Nei modelli tradizionali di intervento comunitario, le stesse assegnazioni di quote
nazionali di produzione, ad esempio nella nota vicenda delle quote latte, sono state proposte come misure di eccezione, dichiaratamente transitorie (anche se nei fatti ripetutamente prorogate), intese a far fronte a specifiche tensioni di singoli settori produttivi.
L’accorpamento in un unico massimale nazionale dell’insieme degli aiuti destinati
ad una pluralità di produzioni (tendenzialmente estesi a coprire la totalità degli aiuti al
reddito di fonte comunitaria in ciascun Paese membro) ha assunto invece il senso, ben
diverso, di uno stabile orientamento delle politiche di spesa all’interno dei confini nazionali.
La riforma del 2003 ha segnato per tale via, sul versante dei meccanismi di attribuzione e gestione delle risorse, un deciso arretramento rispetto ad un’idea di governo
centralizzato ed uniforme dell’agricoltura, riconsegnando ai Paesi membri e, all’interno
di questi, a una pluralità di soggetti pubblici ed anche privati, competenze di governo
delle rispettive economie, ben maggiori di quelli che residuavano da una molteplicità di
regimi di aiuto, ciascuno separatamente e minutamente regolato in sede comunitaria.
Per converso, l’attribuzione ai singoli Stati membri di una latitudine di interventi
anche trasversali tra i diversi settori produttivi, richiede - e si manifesta nel reg. (CE)
n.1782/2003 e nei successivi atti della Commissione e del Consiglio - l’adozione di regole
comuni europee, giuridiche prima che economiche, capaci di garantire sul piano del
diritto l’unità istituzionale, che sul piano dell’economia va cedendo il passo ad una pluralità di possibili scelte territorialmente radicate.
Analogamente il reg. (CE) n. 1257/199916, e poi il reg. (CE) n. 1698/200517, si
16 Reg. (CE) n. 1257/1999 del Consiglio, del 17 maggio 1999, sul sostegno allo sviluppo rurale da parte
del Fondo europeo agricolo di orientamento e di garanzia (FEAOG) e che modifica ed abroga taluni
regolamenti.
17 Reg. (CE) n. 1698/2005 del Consiglio, del 20 settembre 2005, sul sostegno allo sviluppo rurale da
parte del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR).
66
Le relazioni
sono da tempo proposti come codice europeo dello sviluppo rurale (Albisinni, 2005,
p. 411; Id., 2006, p. 526), con il riordino in chiave unitaria di una molteplicità di
precedenti misure, e con l’adozione di misure innovative intese alla valorizzazione
della qualità dei prodotti.
Ai codici dei due tradizionali pilastri della PAC si è infine aggiunto, all’interno del complessivo processo di posizione dei codici europei dell’agroalimentare, il
reg. (CE) n. 1234/2007 sulla “OCM unica”18.
Questo regolamento, già dalla significativa intitolazione «Regolamento
unico OCM», non si limita ad una semplice operazione di riordino formale di una
molteplicità di disposizioni sinora diffuse in una moltitudine di regolamenti e di
differenti OCM (ben ventuno OCM sostituite dalla disciplina contenuta nel testo in
commento, come precisa il secondo considerando del regolamento), manifestando
una tendenza espansiva, volta a ricondurre nel regolamento unico OCM anche le
norme di settori rimasti fuori dal testo originario del regolamento e progressivamente inseriti nei mesi ed anni successivi attraverso ripetuti interventi del legislatore comunitario, con regolamenti del Consiglio o della Commissione19.
L’aspetto di riordino ed unificazione formale e sistematica dei testi è certamente presente20, ma a questo si accompagna - con importanza per certi profili
anche maggiore - una sostanziale riscrittura del complessivo modello europeo di
governo e di regolazione del settore agroalimentare, con esiti rilevanti anche per
il disegno delle istituzioni comunitarie e l’individuazione dei rispettivi ruoli e competenze, anche in ragione dell’assegnazione di deleghe assai ampie alla Commissione europea.
L’attribuzione alla Commissione della generale competenza a regolare la
materia è assoggettata, infatti, a criteri talmente generici da consentire una lar18 Per un commento analitico al reg. (CE) n. 1234/2007 del Consiglio, del 22 ottobre 2007, recante
organizzazione comune dei mercati agricoli e disposizioni specifiche per taluni prodotti agricoli
(regolamento unico OCM), cfr. Costato, 2009, p. 1.
19 Cfr., per citare solo alcuni dei successivi regolamenti che hanno in più punti modificato e integrato
il reg. (CE) n. 1234/2007, contestualmente abrogando numerosi precedenti regolamenti: il reg. (CE)
n. 247/2008 del Consiglio, del 17 marzo 2008, che ha modificato le disposizioni nei settori del lino e
della canapa; il reg. (CE) n. 248/2008 del Consiglio, del 17 marzo 2008, in tema di quote latte; il reg.
(CE) n. 361/2008 del Consiglio, del 14 aprile 2008, che ha esteso la disciplina dell’OCM unica a nuovi
settori ed ha modificato in più punti rilevanti il testo originario del reg. (CE) n. 1234/2007; il reg.
(CE) n. 470/2008 del Consiglio, del 26 maggio 2008, che ha modificato le disposizioni nel settore del
tabacco; il reg. (CE) n. 510/2008 della Commissione, del 6 giugno 2008, che ha modificato le quote
nazionali per la produzione di zucchero.
20 Ed è reso esplicito dall’ampia serie di precedenti regolamenti espressamente abrogati dall’art.
201 del reg. (CE) n. 1234/2007 e dalle ulteriori abrogazioni disposte dai successivi regolamenti di
modifica ed integrazione del reg. (CE) n. 1234/2007 sopra richiamati.
67
ghissima latitudine di scelte, difficilmente sindacabili sulla base di quanto enunciato nel regolamento.
Nello stesso tempo la riforma introdotta con la OCM unica non si pone per sé
sola, ma si colloca nel complessivo processo di riforma istituzionale, che è andato progressivamente e radicalmente modificando i paradigmi su cui era stata costruita per
decenni la Politica agricola comune.
Ne risulta un ordinamento composito, multilivello21, in cui livello europeo e livello nazionale sono entrambi necessari22, in cui il diritto comune valorizza la dimensione
nazionale e locale delle scelte redistributive, nonché il concorso delle fonti private nelle
scelte di regolazione, ma insieme garantisce l’unità sul piano delle istituzioni e del merito attraverso originali profili conformativi.
Sotto un diverso, concorrente, profilo, il disaccoppiamento, la valorizzazione del
mercato come arena di piena concorrenza, il passaggio da un modello di intervento economico di amministrazione puntuale e penetrante ad un modello di regolazione giuridica articolato per codici, modelli e principi, porta con sé come esito pressoché obbligato
la dichiarata tendenza ad abbandonare il risalente sistema delle quote di produzione in
settori che - secondo le nuove prospettive europee - devono aprirsi pienamente al vento
della concorrenza: dal latte al vino, per citare i settori più noti (Albisinni, 2011a).
E’ stata così esplicitata la previsione di una progressiva abolizione sia delle quote
latte che dei diritti di impianto dei vigneti, e si è posta con manifesta evidenza la necessità
di individuare strumenti alternativi, capaci di stabilizzare mercati, che vedono la progressiva scomparsa dei tradizionali meccanismi di governo centralizzato ed amministrativo,
tanto sui prezzi che sulle quantità.
4. Le discipline sezionali e di area: dalla OCM unica al regolamento (UE) n. 261/2012
Nel quadro generale così definito ha fatto irruzione, pochi mesi or sono, il
nuovo regolamento relativo ai rapporti contrattuali nel settore del latte e dei prodotti lattiero-caseari23.
21 In generale, quanto all’emergere di nuove forme di organizzazione degli ordinamenti, cfr. Cassese,
2002.
22 Sulle peculiarità dell’esperienza europea cfr. Torchia, 2006.
23 Reg. (UE) n. 261/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 marzo 2012, che modifica il
regolamento (CE) n. 1234/2007 per quanto riguarda i rapporti contrattuali nel settore del latte e dei
prodotti lattiero-caseari.
68
Le relazioni
Questo regolamento ha introdotto modifiche e nuove disposizioni all’interno
del generale regolamento del 2007 sull’OCM unica, in particolare per quanto attiene alle organizzazioni dei produttori24, alle trattative contrattuali25 ed alle relazioni
contrattuali26 nel settore del latte e dei prodotti lattiero-caseari, agli accordi, decisioni e pratiche concordate in tale settore27, alla regolazione dell’offerta di formaggi DOP e IGP28, ad una serie di aspetti connessi, quali quelli relativi a dichiarazioni
obbligatorie dei primi acquirenti di latte crudo29, ed alle formalità da rispettare
in sede di stipula dei contratti in materia30. Seguendo modelli ormai consueti, il
nuovo regolamento ha altresì attribuito alla Commissione il potere di adottare atti
esecutivi ed atti delegati31.
Le nuove disposizioni, così come dispone l’art. 2 del reg. (UE) n. 261/2012,
hanno applicazione a decorrere dal 3 ottobre 2012, in significativa simultaneità
temporale con le disposizioni introdotte dall’art. 62 del decreto legge n. 1/2012,
applicabili dal 24 ottobre 2012.
Le novità introdotte dal nuovo regolamento sono numerose (cfr. Jannarelli, 2012), ma due sono quelle sulle quali sembra di dover soprattutto insistere in
queste note, rimarcando come questo regolamento abbia posto in discussione due
risalenti tabù che sembravano sin qui incontestabili:
-
il divieto di accordi preventivi fra i produttori per la regolazione dell’offerta;
-
il divieto di accordi preventivi per la determinazione dei prezzi.
Quanto al primo, è pur vero che alle organizzazioni dei produttori è stato
da tempo riconosciuto l’obiettivo, fra l’altro, di «adattare in comune la produzione e la trasformazione alle esigenze del mercato e di migliorare il prodotto» (cfr.
art. 123.1.c) ii), del reg. (CE) n. 1234/2007, testo vigente), ma questa attribuzione è
sempre stata intesa in senso molto generale, ferma restando l’illegittimità di qualunque pratica e di qualunque intesa fra i produttori diretta a limitare o controllare
la produzione per violazione dell’art. 81 del Trattato della Comunità Europea (TCE),
oggi art. 101 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (TFUE). E la nostra Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM) ha, in più occasione,
24 Cfr. le modifiche agli artt. 122 e 123 del reg. (CE) n. 1234/2007.
25 Cfr. i nuovi artt. 126 bis, 126 ter, 126 quater inseriti nel reg. (CE) n. 1234/2007.
26 Cfr. il nuovo art. 185 septies inserito nel reg. (CE) n. 1234/2007.
27 Cfr. il nuovo art. 126 quater inserito nel reg. (CE) n. 1234/2007.
28 Cfr. il nuovo art. 126 quinquies inserito nel reg. (CE) n. 1234/2007.
29 Cfr. il nuovo art. 185 sexies inserito nel reg. (CE) n. 1234/2007.
30 Cfr. il nuovo art. 185 septies inserito nel reg. (CE) n. 1234/2007.
31 Cfr. i nuovi artt. 126 sexies, 196 bis, e 196 ter, inseriti nel reg. (CE) n. 1234/2007.
69
dichiarato illegittime per violazione delle norme sulla concorrenza pratiche o intese promosse dai Consorzi di tutela di prodotti DOP ed indirizzate ad un controllo
della produzione (Paoloni, 2012).
Riconoscere alle organizzazioni dei produttori dei formaggi DOP e IGP la possibilità di ottenere dagli Stati membri norme vincolanti per la regolazione dell’offerta
di formaggio che beneficia di una denominazione di origine protetta o di un’indicazione geografica protetta - cfr. il nuovo art. 126 quinquies inserito nel reg. (CE) n.
1234/2007 -, significa aprire la strada ad un’auto-regolazione dell’offerta dal basso,
che costituisce un modello innovativo di portata evidentemente espansiva, nella misura in cui propone un modello capace di sostituire ad una programmazione diretta
in modo centralizzato (come sin qui avvenuto per le quote ed i diritti di impianto o di
produzione), ad una programmazione autogestita dagli stessi produttori.
Non a caso, la novità è stata tale e così fortemente avvertita che da più parti,
in occasione della recente approvazione del nuovo regolamento sui prodotti di qualità32, e nel corso del dibattito innanzi al Parlamento europeo sulla proposta di nuova
OCM unica, si è auspicata l’estensione di tale disposizione a tutti i prodotti di qualità,
ivi inclusi quelli del settore vitivinicolo, come possibile risposta al previsto abbandono del sistema delle quote e dei diritti di impianto.
Anche quanto alla possibilità che gli Stati membri prevedano accordi scritti
per la consegna del latte, che comprendano - fra l’altro - la determinazione del prezzo da pagare alla consegna, in misura fissa già stabilita, ovvero in misura ancorata a
taluni fattori oggettivi individuati preventivamente (cfr. il nuovo art. 185 septies inserito nel reg. (CE) n. 1234/2007), la novità è rilevantissima.
E’ vero che già la precedente disciplina in materia di organizzazioni dei produttori consentiva a queste ultime di operare per la concentrazione dell’offerta e
di commercializzare ed immettere sul mercato i prodotti dei propri aderenti, e così
evidentemente di stipulare contratti nei quali il prezzo costituiva uno degli elementi
necessari.
Ma qui la novità è che gli accordi stipulati dalle organizzazioni dei produttori
di latte possono avere portata normativa, ai sensi degli artt. 126 quater e 185 septies del reg. (CE) n. 1234/2007 a prescindere da qualsivoglia funzione di commercializzazione svolta dalle stesse organizzazioni.
In altre parole, abbiamo una contrattazione collettiva con funzione normativa che investe direttamente una pluralità ampia di soggetti.
32 Reg. (UE) n. 1151/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 novembre 2012, sui regimi
di qualità dei prodotti agricoli e alimentari.
70
Le relazioni
Il diritto dei mercati agroalimentari si sostanzia dunque di protagonisti originali, ed ai quali sono comunque attribuite competenze originali:
-
gli Stati membri, chiamati ad una declinazione interna della generale disciplina di fonte europea, tanto per quanto riguarda l’offerta di formaggi DOP e
IGP, che per quanto riguarda la contrattazione collettiva dei contratti per la
consegna di latte crudo, comprensiva della determinazione dei prezzi;
-
le organizzazioni dei produttori, investite di esplicite funzioni normative e di
regolazione, in rappresentanza di interessi, non necessariamente connesse
a funzioni operative;
-
i singoli produttori e commercianti, inseriti in una maglia che li responsabilizza e ne valorizza il ruolo e la capacità di fare impresa, anche attraverso il
ricorso a specifiche forme contrattuali33.
5. L’intervento del legislatore nazionale sui contratti di cessione
dei prodotti agricoli e alimentari
All’interno del medesimo processo, che nella dimensione europea va privilegiando specifiche discipline sezionali e di area, si colloca, con significativa
corrispondenza temporale, l’intervento del legislatore nazionale, che con l’art. 62
del D.L. 24 gennaio 2012 n.1 ha introdotto una specifica «Disciplina delle relazioni
commerciali in materia di cessione di prodotti agricoli e agroalimentari».
L’articolo comprende 12 commi34, che disciplinano i contratti in materia, con
esclusione di quelli conclusi con il consumatore finale.
L’intervento del legislatore nazionale si colloca nell’ambito dell’ormai risalente e largamente diffusa prospettiva di regolazione e controllo delle attività e
delle relazioni di impresa, muovendo dal presupposto dell’inadeguatezza dell’approccio tradizionale basato sulla «privity of contract»35, ed a questo sostituendo un
modello di penetrante conformazione e di valutazione delle scelte, per coerenza a
parametri vincolanti assunti come capisaldi fondanti del mercato.
33 Si veda la possibilità per gli Stati membri di imporre il ricorso a contratti stipulati per iscritto e
contenenti una serie di specifici oggetti e clausole, ai sensi del nuovo art. 185 septies, inserito nel
reg. (CE) n. 1234/2007.
34 Agli 11 commi previsti dal testo originale del decreto legge n. 1/2012 è stato aggiunto il comma 11bis dalla legge di conversione 24 marzo 2012, n.27.
35 Cfr. le ricerche di Gorla, 1955, gli studi di Sumner Maine, 1861, nel quale l’A. illustrò la tesi secondo
la quale la modernità era stata segnata dal passaggio «from status to contract» e gli originali contributi di Atiyah, 1979.
71
Oggetto e profili applicativi della disciplina introdotta dall’art. 62 sono stati in prosieguo precisati dal decreto applicativo 199/201236, e poi dalla legge 17
dicembre 2012, n. 221, di conversione del D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, secondo i
quali:
-
per «prodotti agricoli» si intendono «i prodotti dell’allegato I di cui all’articolo 38, comma 3, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea» (art.2,
comma 1, lett.a) D.M. n.199/2012);
-
per «prodotti alimentari» si intendono «i prodotti di cui all’articolo 2 del reg.
(CE) n. 178/2002» (art.2, comma 1, lett.b) D.M. n.199/2012)37;
-
per «cessione dei prodotti agricoli» si intende «il trasferimento della proprietà di prodotti agricoli e/o alimentari, dietro il pagamento di un prezzo, la
cui consegna avviene nel territorio della Repubblica Italiana» (art.2, comma
1, lett.e) D.M. n.199/2012);
-
non costituiscono cessioni: «i contratti conclusi fra imprenditori agricoli»38;
«i conferimenti di prodotti agricoli e alimentari operati dagli imprenditori,
alle cooperative di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 18 maggio 2001 n. 228, se gli imprenditori risultano soci delle cooperative stesse»
(art.1, comma 3, lett.a) D.M. n.199/2012); «i conferimenti di prodotti agricoli
e alimentari operati dagli imprenditori alle organizzazioni di produttori di
cui al decreto legislativo 27 maggio 2005 n. 102, se gli imprenditori risultano
soci delle organizzazioni di produttori stesse» (art.1, comma 3, lett.b) D.M.
n.199/2012); «i conferimenti di prodotti ittici operati tra imprenditori ittici di
cui all’articolo 4 del decreto legislativo 9 gennaio 2012, n. 4» (art.1, comma
3, lett.c) D.M. n.199/2012);
-
non rientrano nel campo di applicazione della disciplina di cui ai commi 1
e 3 dell’art. 62 «Le cessioni di prodotti agricoli e alimentari istantanee, con
contestuale consegna e pagamento del prezzo pattuito» (art.1, comma 4,
D.M. n. 199/2012).
36 D.M. 19 ottobre 2012, n. 199, «Regolamento di attuazione dell’articolo 62 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, recante disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e
la competitività, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27»; in argomento cfr.
Germanò, 2012a.
37 Per un commento analitico del reg. (CE) n. 178/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 28
gennaio 2002, che stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare, istituisce
l’Autorità europea per la sicurezza alimentare e fissa procedure nel campo della sicurezza alimentare, cfr. IDAIC, 2003, p. 114.
38 Art. 36, comma 6-bis l comma 6-bis, del decreto legge 18 ottobre 2012, n. 179, inserito dalla citata
legge di conversione n. 17 dicembre 2012, n. 221.
72
Le relazioni
Anche alla stregua di quanto disposto dal decreto ministeriale attuativo, la
struttura delle disposizioni introdotte dall’art. 62 fa dunque riferimento soprattutto agli accordi normativi, vale a dire agli accordi che variamente disciplinano una
pluralità di attività protratte nel tempo.
In riferimento a tali fattispecie si comprende la prescrizione della forma
scritta e l’obbligo di indicare la durata, quantità e caratteristiche del prodotto venduto, le modalità di consegna e di pagamento, e di rispettare i principi di trasparenza, correttezza, proporzionalità e reciproca corrispettività delle prestazioni (cfr.
comma 1 dell’art. 62), trattandosi di profili regolatori che in vario modo incidono
nel definire il quadro di obbligazioni, che ciascuna parte è chiamata a rispettare in
una prospettiva di relazioni commerciali protratte nel tempo.
La lettera delle nuove disposizioni ne comporta tuttavia l’applicazione a
tutti i contratti di cessione, salve le richiamate eccezioni introdotte dalla legge n.
179/2012 quanto ai rapporti fra imprenditori agricoli, e dal D.M. n. 199/2012 quanto
ai conferimenti alle organizzazioni dei produttori ed alle cooperative e quanto ai
contratti nei quali trasferimento di proprietà e consegna sono contestuali39.
La previsione della sanzione di nullità contenuta nel testo originale dell’art.
62, comma 1, è stata rimossa dalla legge n. 179/2012, che ha però mantenuto l’obbligatorietà del ricorso alla forma scritta e la previsione di sanzioni amministrative
in caso di contravvenzione «agli obblighi di cui al comma 1».
Sembrerebbe di dover concludere che, dopo la modifica testuale dell’art. 62,
saremmo in presenza di un’ipotesi di nullità virtuale40 ex art. 1418 cod. civ. per violazione di norme imperative, con conseguente rilevabilità della stessa ex art. 1421
cod. civ. d’ufficio e da parte di chiunque vi abbia interesse, e pertanto anche da parte di chi abbia materialmente ritirato la merce senza pagarla e senza sottoscrivere
un contratto scritto di vendita o comunque senza sottoscrivere un atto contenente
tutti gli elementi sopra elencati, e non in ipotesi di nullità relativa, quale quella
prevista dall’art. 36, comma 3, del Codice del Consumo (D.lgs. 6 settembre 2005,
n.206), che nello stabilire la nullità di clausole che possono pregiudicare il consumatore, dispone che «La nullità opera soltanto a vantaggio del consumatore».
Va detto che l’additiva e non sistematica tecnica legislativa adottata dal legislatore del 2012, prima con il decreto legge n. 1/2012 e poi con la legge n. 221/2012,
39 Anche se l’esclusione dall’ambito applicativo dell’art. 62 di questi contratti, abituali nell’esperienza
delle nostre campagne, appare per certi versi una forzatura operata dal D.M. n. 199/2012.
40Per virtuale intendendo - secondo un diffuso orientamento della dottrina - un’ipotesi di nullità diversa da quella testuale derivante da un’espressa disposizione di legge che la preveda (Sacco, 1975,
p. 526; Tommasini, 1978, p. 878; Bianca, 2000, p. 618; De Nova, 1985, p. 436; Irti, 2003).
73
non giova certo a garantire agli operatori del mercato l’essenziale requisito della
certezza nell’ambito dei rapporti fra imprese.
La giurisprudenza di legittimità ha infatti avuto modo di chiarire che: «Nel
sancire la nullità del contratto per contrasto con norme imperative, l’art. 1418 c.c.
fa salvo il caso in cui “la legge disponga diversamente”. Ne consegue che tale
nullità va esclusa sia quando risulta espressamente prevista una diversa forma di
invalidità (es., annullabilità) sia quando la legge assicura l’effettività della norma
imperativa con la previsione di rimedi diversi, quali la decadenza da benefici fiscali
e creditizi (es., art. 28 della legge n. 590 del 1965)»41. Sicché la previsione delle
sanzioni amministrative di cui al comma 5 dell’art. 62 non costituisce indice sicuro
della nullità per violazione di norme imperative di contratti stipulati in violazione
del comma 1, ma al contrario potrebbe essere interpretata dalla giurisprudenza
anche in senso opposto al riconoscimento della nullità.
Occorrerà quindi attendere il consolidarsi di un indirizzo interpretativo in
argomento (con esiti di incertezza che non occorre sottolineare).
Va sottolineato peraltro che l’area applicativa della disposizione (e quindi
anche quella della sanzione di invalidità) è stata riperimetrata dalla richiamata
legge n. 179/2012, che ha escluso i contratti fra imprenditori agricoli dall’ambito
applicativo dell’art. 62.
Una disciplina disegnata sulla tipologia dei prodotti, quale quella di cui
all’art. 62, è stata dunque spostata nell’ambito di una disciplina disegnata insieme
per prodotti e per soggetti, con una chiara differenza di segno fra i contratti di cui
è parte un’impresa commerciale (assoggettati al nuovo regime) ed i contratti stipulati fra imprese agricole (esclusi dal nuovo regime); contratti, questi ultimi, fra
i quali rientrano fattispecie rilevanti di accordi all’interno delle filiere produttive
(basti pensare ai contratti fra allevatori o a quelli fra vivaisti).
Particolarmente significativo, in questa prospettiva, risulta il riferimento
alla disciplina a tutela della concorrenza e contro gli abusi di posizione dominante
e il ruolo assegnato in questo ambito all’Autorità garante della concorrenza e del
mercato.
Il comma 2 dell’art. 62 vieta, infatti, «nelle relazioni commerciali tra operatori economici, ivi compresi i contratti che hanno ad oggetto la cessione dei beni
di cui al comma 1» una serie di comportamenti, che rinviano alle risalenti nozioni
41 Cosi Cass. civ. Sez. III, 5 aprile 2003, n. 5372 (fattispecie in tema di decadenza dai benefici previsti
dalla legislazione in materia di formazione e di arrotondamento di proprietà contadina), in Giur.
It., 2004, p. 1624, nota di I. Canfora; in senso cfr. di recente Cass. civ. Sez. VI, 14 dicembre 2010, n.
25222.
74
Le relazioni
di illeciti commerciali collocati nell’ambito dell’«abuso di posizione dominante» di
cui alla disciplina della concorrenza, e dell’«abuso di dipendenza economica» di
cui alla disciplina sulla subfornitura, riprendendo in larga misura le prescrizioni
generali introdotte nel 1990 dalla legge n. 28742 e nel 1998 dalla legge n. 19243, e
tenendo conto delle indagini conoscitive svolte dall’AGCM (AGCM, 2007; Id., 2010;
Artom, 2010, p. 31), nonchè di specifiche esperienze di regolazione delle relazioni
con la GDO maturate in altri Paesi della Comunità europea (art. 3, lett. a, legge 10
ottobre 1990, n. 287).
Le disposizioni introdotte dal comma 2 dell’art.62 contengono, tuttavia, un
significativo elemento di peculiarità rispetto alla generale disciplina in tema di
concorrenza, non tanto nell’oggetto dei comportamenti vietati e sanzionati, quanto
piuttosto nei presupposti.
Tali comportamenti sono qualificati come illeciti ex se, a prescindere dall’esistenza di «una posizione dominante all’interno del mercato nazionale o in una
sua parte rilevante» quale individuata dalla legge sulla tutela della concorrenza
(art.3, lett. a, legge 10 ottobre 1990, n. 287), ovvero dall’esistenza di uno «stato
di dipendenza economica nel quale si trova […] una impresa cliente o fornitrice»
come richiesto dalla legge sulla tutela della subfornitura (art.8, comma 1, legge
18 giugno 1998, n. 192).
Siamo in presenza di una tipizzazione di pratiche commerciali, che vengono
42 Recita l’art. 3 della legge 10 ottobre 1990, n. 287, per la tutela della concorrenza e del mercato, cit.:
«3. Abuso di posizione dominante. 1. È vietato l’abuso da parte di una o più imprese di una posizione
dominante all’interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante, ed inoltre è vietato: a)
imporre direttamente o indirettamente prezzi di acquisto, di vendita o altre condizioni contrattuali
ingiustificatamente gravose; b) impedire o limitare la produzione, gli sbocchi o gli accessi al mercato, lo sviluppo tecnico o il progresso tecnologico, a danno dei consumatori; c) applicare nei rapporti
commerciali con altri contraenti condizioni oggettivamente diverse per prestazioni equivalenti, così
da determinare per essi ingiustificati svantaggi nella concorrenza; d) subordinare la conclusione
dei contratti all’accettazione da parte degli altri contraenti di prestazioni supplementari che, per
loro natura e secondo gli usi commerciali, non abbiano alcuna connessione con l’oggetto dei contratti stessi». In argomento, per un’analisi generale e per ulteriori riferimenti cfr. Meli, 2001, p.
1061.
43 Dispone l’art.9 («Abuso di dipendenza economica») della legge 18 giugno 1998, n. 192, sulla subfornitura: «1. È vietato l’abuso da parte di una o più imprese dello stato di dipendenza economica nel
quale si trova, nei suoi o nei loro riguardi, una impresa cliente o fornitrice. Si considera dipendenza
economica la situazione in cui una impresa sia in grado di determinare, nei rapporti commerciali
con un’altra impresa, un eccessivo squilibrio di diritti e di obblighi. La dipendenza economica è
valutata tenendo conto anche della reale possibilità per la parte che abbia subìto l’abuso di reperire sul mercato alternative soddisfacenti. 2. L’abuso può anche consistere nel rifiuto di vendere o
nel rifiuto di comprare, nella imposizione di condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose o
discriminatorie, nella interruzione arbitraria delle relazioni commerciali in atto […]». In argomento
cfr. Lipari, 2000, p. 365.
75
comunque qualificate come illecite, senza necessità di dimostrare la sussistenza
di ulteriori presupposti ai fini della qualificazione; presupposti (la posizione dominante o lo stato di dipendenza economica) la cui dimostrazione è spesso non
agevole e talvolta nei fatti quasi impossibile44.
Ne deriva, evidentemente, una ben più agevole sindacabilità di siffatti comportamenti.
6. La legge n. 9/2013 per uno statuto della concorrenza nel mercato olivicolo
Le prospettive riformatrici, europea e nazionale, sin qui delineate, forniscono un’essenziale chiave per una prima lettura della recente legge n. 9/2013 «Norme sulla qualità e la trasparenza della filiera degli oli di oliva vergini».
Accanto a disposizioni che riguardano l’origine dei prodotti, i controlli, l’etichettatura (cfr. Masini, 2013), giova infatti sottolineare la significativa corrispondenza (non formale, ma di finalità) fra le disposizioni introdotte dagli artt. 4 e 8 della legge n. 9/2013 e quelle contenute nei commi 2 ed 8 dell’art. 62 del D.L. 1/2012.
La legge n. 9/2013, all’art. 4, sanziona come ingannevoli le pratiche commerciali suscettibili di trarre in inganno il consumatore di oli vergini di oliva quanto
all’origine geografica delle olive o quanto alle caratteristiche organolettiche del
prodotto.
Il comma 2 dell’art. 62 del D.L. 1/2012 vieta le pratiche commerciali scorrette fra operatori commerciali.
Nell’un caso e nell’altro - al di là della stessa esplicita distinzione fra aree
soggettive ed oggettive di applicazione - l’obiettivo perseguito dal legislatore è
quello di un ordinato e corretto dispiegarsi della concorrenza nel mercato, avendo
di mira nel medesimo tempo la tutela delle imprese in concorrenza (evitando appropriazione di pregi e distorsione delle scelte) e la tutela del consumatore finale
(al quale si vuole garantire la possibilità di scelte consapevoli).
44 Cfr. Cass. Sez. I, sent. n. 3638 del 13-02-2009 ud. del 21-10-2008, Cetel S.N.C. c. Enel Distribuzione
S.P.A. rv. 606809, secondo cui: «La disparità di trattamento contrattuale non è abusiva - ai sensi
dell’art. 3, legge n. 287 del 1990 - soltanto a condizione che il contraente che la pratica non si trovi
in posizione dominante, perché, in tal caso, tale disparità è frutto del lecito esercizio dell’autonomia negoziale delle parti e trova nella controparte un soggetto altrettanto libero di determinare le
proprie scelte contrattuali; mentre non è così quando la disparità di trattamento sia la conseguenza
della posizione dominante di cui il contraente più forte abusi, a fronte della dipendenza economica
dei contraenti più deboli, i quali sono costretti a sottostare a qualsiasi pretesa, dal momento che a
loro è impossibile, o grandemente difficile, reperire sul mercato adeguate alternative».
76
Le relazioni
L’art. 8 della legge n. 9/2013 ed il comma 8 dell’art. 62 del D.L. 1/2012, lì ove
attribuiscono alla AGCM il compito di vigilare sulle pratiche anticoncorrenziali, e
conseguentemente di sanzionare gli illeciti45, operano entrambi nel senso della valorizzazione dello statuto della concorrenza nel mercato olivicolo quale principale
presidio attivo per la tutela dei produttori.
7.
L’emergere di nuovi modelli
Mi sembra che, con la “tentatività” e provvisorietà di ogni considerazione
proposta nell’immediatezza di profonde riforme legislative, si possa tentare di
trarre alcune conclusioni, che per un verso confermano, con profili nuovi ed originali, il risalente riconoscimento della specialità dell’agricoltura, meglio della specialità della produzione e del mercato dei prodotti agroalimentari, i quali, siccome
prodotti che per loro natura seguono dinamiche diverse da quelle proprie della
generalità dei prodotti industriali, rispondono a bisogni peculiari e sono soggetti a
specifiche tensioni.
Per altro verso, questa specialità nell’oggi tende ad abbandonare i contenuti tradizionali del mercato direttamente regolato dal potere pubblico, per cercare
forme nuove e diverse di autoregolazione.
Ne risulta una riscoperta centralità del contratto, peraltro declinato secondo categorie originali, che recuperano in un tentativo di sintesi quella contrapposizione fra status e contratto, che ha a lungo caratterizzato la riflessione storicocompartiva fra ordinamenti di civil law e di common law (Sumner Maine, 1861;
Gorla, 1955; Atiyah, 1979).
In termini astratti la disciplina nel mercato dei contratti di impresa potrebbe
infatti declinarsi secondo più modelli, riducibili ad alcune categorie di base:
a)la freedom of contract, che si preoccupa di sanzionare soltanto alcuni comportamenti specificamente indicati ed al di fuori di quelli lascia libertà di
autodeterminazione ai singoli;
b)
l’intervento regolatorio, che a sua volta si declina in una varietà di modelli:
i) la determinazione ad opera dei pubblici poteri, in ragione di status variamente riconosciuti, ovvero in ragione di specifici oggetti;
45 Va detto, per completezza di analisi, che l’art. 62 del D.L. 1/2012 prevede specifiche sanzioni la cui
irrogazione è affidata alla AGCM, mentre l’art. 8 della L. 9/2013 si limita a richiamare il potere di
vigilanza della AGCM, ma il richiamo lì operato alla legge 10 ottobre 1990, n. 287, deve intendersi
come richiamo anche al potere di adottare diffide e sanzioni ai sensi dell’art. 15 della citata legge
n. 287/1990.
77
ii) la determinazione ad opera di soggetti privati, collettivi e non, variamente determinati.
I recenti interventi dei legislatori europeo e nazionale si collocano così
nell’ambito della risalente prospettiva di regolazione e controllo delle attività e
delle relazioni di impresa, muovendo dal presupposto dell’inadeguatezza dell’approccio tradizionale basato sulla «privity of contract».
Nel medesimo tempo questi interventi prendono atto di quelli che gli economisti definiscono «fallimenti del mercato» e così della riconosciuta inadeguatezza
del mercato a regolarsi per sé solo, in presenza di irrisolte asimmetrie economiche, produttive, finanziarie ed informative.
Il ricorso a penetranti forme di tutela della leale concorrenza, sia nei confronti del consumatore che nella relazione fra imprese collocate lungo la filiera
olivicola appare dunque rivolto a recuperare, e sostenere, come bene collettivo
l’oggetto stesso della contrattazione e la garanzia di leale ed equilibrata partecipazione al mercato.
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81
La tavola rotonda:
“Prospettive e proposte per la competitività
del prodotto italiano”
La tavola rotonda
LA QUALITÀ NEGLI OLI EXTRAVERGINI DI OLIVA TRA
CERTEZZE E CONFUSIONE
Maurizio Servili1
1.Introduzione
Nell’affrontare la problematica relativa alla qualità degli oli estratti dalle olive, al momento attuale, si evidenzia la necessità incombente di dare risposte a domande sempre più pressanti relative al rapporto tra categoria commerciale di un
olio e qualità reale da esso posseduta. In altre parole, la domanda è semplicemente
questa: “l’olio extravergine di oliva nel suo complesso, sulla base delle normative
comunitarie, è un prodotto che possiamo considerare di alta qualità?”. Tale domanda viene legittimata anche dal fatto che, ad accompagnare la definizione di categoria
commerciale di appartenenza, in etichetta viene inserita la dicitura, sicuramente
chiara dal punto di vista lessicale, ma foriera di innumerevoli incomprensioni «olio di
categoria superiore [ecc...]»”. Chi legge tale indicazione oltre magari a domandarsi,
“ma superiore a chi o a che cosa?”, è in ogni caso legittimato a pensare che si trova
di fronte ad un prodotto che rappresenta il top della produzione degli oli estratti per
via meccanica dalle olive. A questo punto la questione è: ciò corrisponde a realtà? La
risposta non potrà che essere dialettica e quindi: “dipende”. Mai come in questo caso
il “dipende” è d’obbligo e per capirne il perché dobbiamo partire dal quadro analitico
relativo all’olio extravergine di oliva riportato nelle normative comunitarie.
2.
La qualità negli oli extravergini di oliva
In base alle norme vigenti il quadro merceologico utilizzabile nella classificazione degli oli estratti dalle olive tende a garantire due sole cose fondamentali,
ma di per sé limitanti il concetto stesso di qualità:
a)
la purezza, prevalentemente intesa come assenza di aggiunte fraudolente di
oli di altra origine o di “scarsa” qualità;
1 Professore associato presso il Dipartimento di Scienze Economico-Estimative e degli Alimenti, Sezione di Tecnologie e Biotecnologie degli Alimenti, Università degli Studi di Perugia.
85
b)
il basso stato di alterazione, definito da alcuni parametri specifici riportati
nella norma. Ci si riferisce, in particolare, ai valori dell’acidità libera, al numero di perossidi, alle costanti spettrofotometriche ed all’analisi sensoriale.
Il basso stato di alterazione rappresenta certamente una condizione preliminare importate per qualsivoglia discorso relativo alla definizione di un’alta qualità del prodotto; ma sul concetto “basso stato di alterazione” dovremo fare delle
precisazioni prendendo ad esempio un parametro semplice e da tutti conosciuto
quale l’acidità libera dell’olio. Questo parametro è certamente una misura necessaria ma non sufficiente della qualità dell’olio extravergine di oliva, ma il punto è:
siamo sicuri che lo 0,8% di acidità libera, espressa in acido oleico, rappresenti un
basso grado di alterazione? E’ noto come un olio di alta qualità ottenuto da olive
sane, raccolte al giusto grado di maturazione e lavorate subito dopo la raccolta,
evidenzi un livello di acidità libera non superiore allo 0,3%.
La differenza tra i valori di 0,3% e di 0,8% è abissale in quanto non esiste
un’acidità libera “fisiologica” di un olio, intendendo con fisiologica quella dovuta ai
normali processi biochimici di sintesi dei gliceridi, che abbia un valore di 0,8%. Per
raggiungere questo limite, quindi, si sono “verificati” alcuni “errori” relativi allo stato
sanitario delle olive o al tipo e periodo di raccolta o alla pratica della conservazione
delle stesse. Questo a dimostrare, qualora ce ne fosse bisogno, che il valore di acidità libera dell’olio extravergine di oliva fissato a 0,8% è il risultato di una convezione
commerciale definita all’interno dei Paesi appartenenti al Consiglio Olivicolo Internazionale che, non necessariamente, riflette la qualità reale del prodotto.
Quanto detto per l’acidità libera può essere ampiamente esteso ai perossidi,
alle costanti spettrofotometriche ed ancor più al nuovo e tanto discusso parametro
degli alchil esteri, per il quale va osservato che a fronte di un limite massimo della
norma per gli oli extravergini pari a 75 mg/kg, gli oli di alta qualità si collocano sotto a 20 mg/Kg. Ciò potrebbe da solo bastare ad evidenziare che l’olio extravergine
di oliva, quale categoria commerciale, è attualmente troppo ampia e non è in grado
di fornire al consumatore un’indicazione chiara di ciò che si dovrebbe intendere
con «olio di categoria superiore».
Ciò detto, non ci si deve stupire se, d’altra parte, si è passati dalle quattro
classi commerciali atte al consumo diretto, nell’ambito della categoria degli oli
vergini, contemplate nella vecchia normativa nazionale di cinquantennale memoria (legge 13 novembre 1960, n.1407) a, di fatto, una sola categoria che è l’«olio
extravergine di oliva», indicata nel reg. (CEE) n. 2568/91; questo perché la classe
dell’«olio vergine di oliva», seppure prevista dalla norma comunitaria, è di fatto
inesistente a livello di mercato al minuto.
86
La tavola rotonda
Tabella 1 - Composizione chimica dell’olio extravergine di oliva
Ne deriva che l’olio extravergine di oliva, in teoria destinato a rappresentare,
per qualità, il vertice di una piramide nella categoria degli oli estratti dalle olive
(piramide che vedrebbe alla sua base l’olio di oliva), rischia di diventare, paradossalmente, la punta di una piramide spuntata. Questo perché entrano nella categoria degli extravergini oli che per definizione sono «oli di categoria superiore» ma
spesso mediocri dal punto di vista qualitativo, caratterizzati solo dal fatto di essere
stati estratti dalle olive per via meccanica ed aventi un minimo di rispondenza chimica o sensoriale. Ciò è ancora più evidente se dal piano meramente merceologico
ci si sposta su quello più ampio di valutazione della qualità dell’olio extravergine di
oliva che comprenda anche aspetti relativi al valore salutistico ed alle peculiarità
sensoriali del prodotto. In questo caso, il concetto stesso di «olio di categoria superiore» diviene veramente “un portatore sano di confusione” per il consumatore,
87
al quale non viene fornita alcuna indicazione sulle proprietà salutistiche degli oli
extravergini di oliva, dovute alla combinazione peculiare delle attività biologiche
di una serie di molecole in esso contenute (Tab. 1). Facciamo riferimento all’alto
contenuto in acido oleico ed alla presenza di molecole ad attività biologica peculiare, quali i composti fenolici idrofili o “biofenoli” (Tab. 2 e Fig. 1), l’α-tocoferolo e
lo squalene.
Tabella 2 - Composti fenolici presenti nell’olio extravergine di oliva
Acidi fenolici e derivati
Alcoli Fenolici
Acido Vanillico
(3,4-Diidrossifenil)etanolo (3,4 DHPEA)
Acido Siringico
(p-Idrossifenil)etanolo (p-HPEA)
Acido p-Cumarico
(3,4-Diidrossifenil)etanolo-glucoside
Acido o-Cumarico
Acido Gallico
Lignani
Flavonoidi
Acido Caffeico
(+)-1-Acetossipinoresinolo
Apigenina
Acido Protocatechico
(+)-Pinoresinolo
Luteolina
Acido p-Idrossibenzoico
Acido Ferulico
Idrossi-isocromani
Acido Cinnamico
4-(acetossietil)-1,2-diidrossibenzene
Acido Benzoico
Secoiridoidi
Forma dialdeidica dell’ acido decarbossimetil elenolico legato al 3,4-DHPEA ( 3,4 DHPEA-EDA)
Forma dialdeidica dell’acido decarbossimetil elenolico legato al p-HPEA (p-HPEA-EDA)
Oleuropeina aglicone (3,4 DHPEA-EA)
Ligustroside aglicone
Oleuropeina
Forma dialdeidica dell’oleuropeina aglicone
Forma dialdeidica del ligustroside aglicone
Si può pertanto affermare che un olio extravergine di oliva fa bene alla salute non tanto perché è classificato come «extravergine» ma, piuttosto, nella misura
in cui, all’interno di tale categoria, è caratterizzato da un alto tenore in acido oleico
e da un elevato contenuto in α-tocoferolo e biofenoli. Il problema che si pone, però,
è quanto alto deve essere questo contenuto e come comunicarlo al consumatore.
88
La tavola rotonda
Passando ai valori numerici che, forse più di tante parole possono spiegare
la problematica, va osservato come il contenuto in acido oleico di un olio extravergine di oliva, a livello di piattaforma produttiva mondiale, può oscillare tra il 49%
e l’82% della composizione acidica totale; la concentrazione in biofenoli può avere
valori compresi tra 40 mg/Kg e 1.000 mg/Kg, così come una variazione del tutto
analoga si può riscontrare per l’α-tocoferolo (Tab. 1 e Figg. 2 e 3).
Figura 1 - Formule di struttura dei derivati dei secoiridoidi e degli alcoli fenolici
presenti nell’olio di oliva
Considerando che l’indicazione in etichetta riporta, in ogni caso, la definizione
«olio extravergine di oliva» si può facilmente capire come ciò rappresenti un elemento di disinformazione più che di informazione per il consumatore. L’Unione europea,
tramite la commissione dell’EFSA (Agenzia Europea per la Sicurezza Alimentare), ha
iniziato un lungo cammino accettando, con il reg. (CE) n. 432/2012, il claim relativo alla
capacità dei composti fenolici degli oli vergini di oliva di ridurre il rischio delle malattie
89
cardiovascolari2. Infatti, è stato confermato il principio, scientificamente dimostrato, che
il consumo di composti fenolici dell’olio di oliva (idrossitirosolo e derivati dell’oleuropeina
in particolare) in ragione di 5 mg/giorno, riducendo la perossidazione dei lipidi ematici,
può avere un impatto positivo nella prevenzione delle malattie cardiovascolari. L’informativa dell’EFSA evidenzia, però, che tale apporto quotidiano di biofenoli deve essere
compatibile con il moderato consumo giornaliero di sostanze grasse costituito, per una
persona adulta, da 20g/giorno (EFSA, 2011). Questo comporta che un olio extravergine di
oliva può avere gli effetti positivi sulla salute umana sopra ricordati soltanto se contiene
almeno 250-300 mg/Kg di composti fenolici contenenti idrossitirosolo e suoi derivati,
visto che non tutto il patrimonio fenolico di tale olio risulta attivo in tal senso.
Figura 2 - Valori medi (mg/kg) dei polifenoli totali in oli extravergini di oliva*
1000
931,2
900
800
700
600
500
400
388,6
300
200
100
0
45,6
Media
Massimo
Minimo
Polifenoli totali (mg/Kg)
* Dati non pubblicati. Valori medi misurati su 510 campioni di oli extravergini di oliva dove la concentrazione dei polifenoli era determinata secondo quanto riportato da Montedoro et al., 1992.
Fonte: elaborazioni dell’Autore.
2 Secondo il reg. (CE) n. 1924/2006 relativo alle indicazioni nutrizionali e sulla salute fornite sui prodotti
alimentari, le indicazioni “funzionali generiche” sulla salute (health claims) comprendono: 1) il ruolo
di una sostanza nutritiva o di altro tipo per la crescita, lo sviluppo e le funzioni dell’organismo; 2) le
funzioni psicologiche e comportamentali; 3) il dimagrimento o il controllo del peso oppure la riduzione
dello stimolo della fame o un maggiore senso di sazietà o la riduzione dell’energia apportata dal regime
alimentare. L’autorizzazione all’uso degli health claims è concessa con regolamento dell’UE solo se
ne esiste fondamento scientifico, sentita la commissione dell’EFSA. Tale commissione è composta da
esperti scientifici chiamati a esprimere i propri pareri prendendo in considerazione tutti i dati scientifici
pertinenti, condividendo le norme applicate dal Codex Alimentarius e dalla Food and Drug Administration statunitense e considerando gli studi sull’uomo essenziali ai fini della fondatezza.
90
La tavola rotonda
Figura 3 - Valori medi (mg/kg) di α-tocoferolo in oli extravergini di oliva*
800
751,1
700
600
500
400
300
250,6
200
100
23,0
0
Media
Massimo
Minimo
α-tocoferolo
*Dati non pubblicati. Valori medi misurati su 510 campioni di oli extravergini di oliva dove la concentrazione dei tocoferoli era determinata secondo quanto riportato da Psomiadou et al., 1999.
Fonte: elaborazioni dell’Autore.
Un discorso molto simile può essere fatto per gli aspetti sensoriali degli oli
extravergini di oliva. Attualmente sono presenti sul mercato oli che, quando non
rasentano il difetto sensoriale, sono comunque caratterizzati da minimi livelli di
fruttato. A questa tipologia di oli si affiancano, all’interno della stessa classe merceologica e quindi con la stessa dicitura «olio extravergine di oliva» le c.d. “Ferrari
dell’olio extravergine”, ovvero oli di altissima qualità con profili sensoriali da primato, per lo più provenienti da cultivar tradizionali italiane. L’assenza di informazioni dettagliate su queste caratteristiche, genera nella mente del consumatore
una forte confusione che non aiuta la scelta consapevole del prodotto3.
3 D’altra parte, nel sistema agroalimentare, come è noto, è presente una forte «asimmetria informativa» a causa della quale il consumatore non dispone di tutte le informazioni necessarie per
distinguere e acquistare il prodotto che risponde meglio alle proprie aspettative; in tale situazione,
definita «azzardo morale», non è raro il caso in cui le imprese riescono a rifilare ai consumatori
i c.d. bidoni («lemons») poiché, sfruttando la lacunosità delle informazioni e l’assenza di controlli
sulla qualità dei loro prodotti, riescono a vendere alimenti con un livello qualitativo inferiore a quello segnalato ma praticando un prezzo che corrisponde ad una qualità elevata (Akerlof, 1970).
91
3.Conclusioni
In conclusione, il concetto di olio extravergine di oliva non è in grado di
informare il consumatore sulle reali caratteristiche qualitative dell’olio imbottigliato e magari venduto a prezzi stracciati; ne consegue la necessità assoluta
di differenziare, all’interno della stessa classe commerciale, gli oli extravergini di alta qualità, provenienti da filiere certificate e caratterizzati da parametri
analitici in grado di tenere in considerazione anche aspetti della composizione
dell’olio strettamente legati alle sue specificità sensoriali e salutistiche. In questo contesto si possono collocare tutte le iniziative che tendono a segmentare
la categoria degli oli extravergini in modo tale da fare chiarezza sia sull’origine
geografica o genetica, sia sulla reale qualità del prodotto. Ne sono un esempio
l’olio extravergine di oliva che ha ottenuto il marchio «100% Qualità Italiana»4, le
monocultivar e gli oli DOP e IGP, ovvero tutti quei prodotti di alta qualità soggetti
al rispetto di un disciplinare che ne definisce le regole di produzione “dal campo
alla bottiglia”5.
In sintesi, non si può produrre alta qualità senza un’adeguata gestione
della pratiche agronomiche dell’oliveto, dalla concimazione all’irrigazione fino
alla scelta del giusto grado di maturazione del frutto. Tanto meno questo è possibile se non vengono rigorosamente applicate pratiche tecnologiche in grado di
esaltare le qualità intrinseche della materia prima invece di deprimerle. Tutto
ciò è poi legato, in campo agronomico, all’elemento più importante e peculiare
della produzione olivicola nazionale: il fattore cultivar. La cultivar è l’espressione
di quella biodiversità della quale l’Italia agricola si fa a ragione vanto e per la
quale il settore olivicolo rappresenta, con il suo elevatissimo numero di cultivar
in produzione, la punta di diamante. Nessun altro Paese al mondo mantiene,
infatti, l’elevato numero di cultivar riscontrabili in Italia, tali da consentire di ottenere oli diversi sul piano sensoriale, ma per lo più conformi alle indicazioni
dell’EFSA dal punto di vista salutistico.
4 Il marchio si riferisce a un prodotto di alta qualità, ovvero che rispetta parametri analitici e sensoriali più restrittivi di quelli indicati dall’attuale normativa vigente, di sicura provenienza italiana e
tracciato dal sistema UNAPROL (Cfr. Scaramozzino in questo stesso volume).
5 Si veda anche la relazione di Petrucci in questo stesso volume.
92
La tavola rotonda
Bibliografia
Akerlof, G.A., “The market for «Lemons»: quality uncertainty and the market mechanism”, in Quarterly Journal of Economics, 84 (3), 1970, pp. 488-500.
EFSA Panel on Dietetic Products, Nutrition and Allergies (NDA), “Scientific Opinion on the substantiation of health claims related to polyphenols in olive
and protection of LDL particles from oxidative damage (ID 1333, 1638, 1639,
1696, 2865) pursuant to Article 13(1) of Regulation (EC) No 1924/2006”, in
EFSA Journal, 9, 4, 2033, 2011, pp. 1-25.
Legge 13 novembre 1960, n. 1407, “Norme per la classificazione e la vendita degli
oli di oliva”, in Gazzetta Ufficiale, 295, 2/12/1960.
Montedoro, G.F.; Servili, M.; Baldioli, M.; Miniati, E. “Simpleand hydrolyzable phenolic compounds in virgin olive oil. 1. Their extraction, separation, and quantitative and semiquantitative evaluation by HPLC”, in J. Agric. Food Chem.,
40, 1992, pp. 1571-1576.
Psomiadou, E.; Tsimidou. M., “Simultaneous HPLC Determination of Tocopherols,
Carotenoids and Chlorophylls for Monitoring Their Effect on Virgin Olive Oil
Oxidation”, in J. Agric. Food Chem., 46, 1999, pp. 5132-5138.
Regolamento (CEE) n. 2568/91 della Commissione dell’11 luglio 1991, “relativo alle
caratteristiche degli oli d’oliva e degli oli di sansa d’oliva nonché ai metodi
ad essi attinenti”, in Gazzetta Ufficiale, L, 248, 5/9/1991.
Regolamento (UE) n. 432 della Commissione del 16 maggio 2012, “relativo alla
compilazione di un elenco di indicazioni sulla salute consentite sui prodotti
alimentari, diverse da quelle facenti riferimento alla riduzione dei rischi di
malattia e allo sviluppo e alla salute dei bambini”, in Gazzetta Ufficiale, L,
136/1, 25/5/2012.
93
La tavola rotonda
FATTIBILITA’ DELLA TUTELA DELL’OLIO EXTRAVERGINE DI OLIVA ITALIANO
Agostino Macrì1
1.
La produzione dell’olio di oliva
L’olio di oliva è il condimento di base dell’alimentazione degli italiani ed il suo
consumo si aggira intorno ai 15 kg pro capite ogni anno.
E’ costituito da grassi saturi ed insaturi (acido oleico, linoleico e palmitico in
prevalenza), vitamine e numerosi antiossidanti. Si tratta, quindi, di un ottimo componente della dieta che, assunto nelle giuste quantità, può essere molto utile per mantenere un buono stato di salute.
Il processo di produzione dell’olio comincia con la raccolta delle olive e il loro
trasporto presso i frantoi dove, dopo essere state lavate e defogliate e aver subìto una
prima frantumazione, vengono spremute meccanicamente ottenendo l’olio e un residuo solido che viene chiamato “sansa”. Sia il prodotto di “prima spremitura” che
la “sansa” vengono successivamente sottoposti ad altri processi di lavorazione che
portano alla produzione di oli con diverse classificazioni merceologiche, le cui principali sono l’«olio extravergine d’oliva» e l’«olio d’oliva». La differenza è che per olio
extravergine si intende quello ottenuto dalla prima spremitura, mentre quello semplicemente di oliva si ricava dalle lavorazioni successive.
I grassi dell’olio d’oliva sono presenti sotto forma di trigliceridi, ovvero di composti formati da glicerina ed acidi grassi. Quando il processo di produzione dell’olio
non è condotto in modo ottimale, si verificano delle reazioni che scindono i trigliceridi
in glicerina e acido grasso e quindi si ha un aumento dell’acidità dell’olio. Per questo,
uno dei caratteri distintivi dell’olio è rappresentato proprio dall’acidità, ovvero dalla
presenza di acido oleico libero, che nei migliori oli extravergini è inferiore allo 0,5%2.
1 Unione Nazionale Consumatori. L’Unione è un’associazione di cittadini e consumatori - la più antica in Italia, fondata nel 1955 da Vincenzo Dona, riconosciuto padre del movimento consumerista
italiano - legittimata ad agire a tutela collettiva di consumatori e utenti. Lo Statuto prevede, altresì,
che l’Unione promuova la qualità e la sicurezza dei prodotti e degli impianti, il rispetto del territorio
e delle risorse naturali, l’efficienza dei servizi e l’equità delle relative tariffe (www.consumatori.it;
www.sicurezzalimentare.it).
2 Si veda, al riguardo, anche la relazione di Servili in questo stesso volume.
95
E’ bene ricordare, però, che esistono dei processi di “raffinazione” industriale
che consentono di neutralizzare l’acidità. Possono quindi essere presenti in commercio degli oli d’oliva con un grado di acidità molto basso pur non essendo extravergini.
Le caratteristiche organolettiche dell’olio (cioè il suo colore, il suo odore, il suo
sapore) sono influenzate non solo dal livello di acidità, ma anche da molti altri fattori
legati all’intera filiera produttiva. Le piante sono di diverse varietà e, anche in funzione
dell’ambiente in cui vengono coltivate, danno frutti con caratteristiche anche molto
diverse tra loro che conferiscono all’olio gusti molto specifici.
Molto importanti sono poi le condizioni di salute delle piante e se ci sia stata o
meno qualche malattia che potrebbe avere danneggiato i frutti, alterando la qualità
dell’olio (in questi casi, infatti, si deve ricorrere all’uso di fitofarmaci che possono persistere nelle olive e quindi lasciare residui nell’olio).
Le olive vanno raccolte al giusto punto di maturazione ed esistono vari metodi di
raccolta che possono essere quello tradizionale a terra oppure in teloni dove vengono
fatte cadere le olive per essere poi trasportate nei frantoi. Ma è di fondamentale importanza anche la conservazione delle olive dal momento della raccolta alla lavorazione nei frantoi. Se i tempi sono prolungati e le temperature elevate, infatti, si possono
avere dei fenomeni di fermentazione delle olive che, oltre alla formazione di acido oleico libero, possono dare origine anche ad alcol metilico ed alcol etilico. In queste condizioni si verificano delle reazioni tra gli alcoli e gli acidi grassi con la formazioni di alchil
esteri. La presenza di queste sostanze denota quindi degli errori nella conservazione
delle olive (secondo l’Unione europea negli oli extravergini di oliva la concentrazione di
alchil esteri deve essere inferiore a 75 mg/kg), anche se, per ridurre la concentrazione
degli alchil esteri, esistono dei processi industriali di “deodorazione” che consistono
nel sottoporre l’olio ad un processo di distillazione sotto vuoto in una corrente di vapore ad una temperatura elevata.
Comunque, è bene ricordare che le numerose sostanze benefiche dell’olio (polifenoli, fitosteroli, vitamine, ecc.) possono però degradarsi in condizioni di conservazione non favorevoli quali, ad esempio, temperature elevate ed esposizione alla luce.
2.C’è olio e olio
Abbiamo già accennato alla distinzione tra olio extravergine di oliva e olio di
oliva. Ma non è tutto: esistono diverse categorie di oli disponibili in commercio e
che ancora una volta possiamo suddividere nelle seguenti categorie.
La prima è quella dell’olio “grezzo” extravergine che può essere acquistato
96
La tavola rotonda
direttamente presso il frantoio e/o dal produttore che lo ritira immediatamente
dopo la lavorazione.
Poi ci sono gli oli DOP (Denominazione di Origine Protetta) o IGP (Indicazione Geografica Protetta): in questi casi esistono dei disciplinari di produzione
da rispettare che consentono di produrre olio extravergine di oliva proveniente da
determinati ambiti territoriali che conferiscono loro le qualità organolettiche.
C’è poi la categoria degli oli “biologici” che si ottengono da coltivazioni in
ambienti controllati per assicurare l’assenza di sostanze chimiche di sintesi (pesticidi) o contaminanti ambientali. Il metodo di produzione biologico, riconosciuto
e normato a livello comunitario dal reg. (CE) n. 834/2007 relativo alla produzione biologica e all’etichettatura dei prodotti biologici, è provato dalla certificazione
rilasciata da un organismo o da un’autorità di controllo riconosciuti ai sensi del
regolamento stesso.
Esiste infine la categoria più ampia che raggiunge tutti i cittadini e che sono
gli oli elaborati dall’industria alimentare disponibili negli esercizi commerciali.
Questi oli si ottengono mediante una serie di lavorazioni della materia prima che
viene reperita dal mercato nazionale ed anche internazionale e che dà origine alle
varie categorie merceologiche cui si è accennato in precedenza.
3.
La provenienza dell’olio d’oliva
Per il nostro Paese, l’olio d’oliva è sicuramente uno degli alimenti più rappresentativi ed anche tra i più ricercati dai consumatori di tutto il mondo. Non sono
rari, però, i casi di bottiglie di olio di oliva prodotte all’estero ed etichettati con
diciture che richiamano il nostro Paese, ma non sono in verità italiani. E possono
capitare anche situazioni di bottiglie confezionate in Italia utilizzando olio d’importazione.
Per queste ragioni l’Unione Nazionale Consumatori ritiene che sia di fondamentale importanza informare al meglio i cittadini su questo prezioso alimento.
La realtà è molto complessa ed il principale problema è che l’olio di oliva
prodotto interamente in Italia non è sufficiente a coprire i fabbisogni alimentari
nazionali: 510.000 tonnellate l’anno contro un consumo nazionale di 730.000 tonnellate.
Va considerato, anche, che ogni anno vengono esportate 392.000 tonnellate
di olio: in pratica abbiamo quindi un deficit produttivo di oltre 600.000 tonnellate
che vengono coperte con l’importazione da altri Paesi del bacino Mediterraneo.
97
I dati dimostrano che, almeno al momento attuale, non è possibile fare a
meno delle importazioni sia per coprire i fabbisogni nazionali che per riuscire ad
esportare l’olio, che è una voce importante per la nostra bilancia dei pagamenti.
Va detto però che la qualità del nostro prodotto merita di essere tutelata.
E’ innegabile, infatti, che i prodotti di alta qualità siano richiesti dai consumatori più esigenti e che abbiano anche la disponibilità finanziaria per acquistarli.
Si tratta di un mercato nazionale ed internazionale in cui i nostri oli DOP, IGP e
biologici dovrebbero trovare un ampio sostegno, consentendo loro di ridurre i costi
di produzione ed allargare la fascia dei potenziali acquirenti abbassando i prezzi.
Dovrebbe esserci quindi uno stimolo ad incrementare le produzioni olivicole
nazionali e soprattutto quelle di qualità, cercando di invertire la tendenza attuale
ad abbandonare gli oliveti perché scarsamente remunerativi.
4.
La legge «salva olio»: quali vantaggi per i consumatori?
Con la legge c.d. «salva olio» (legge 14 gennaio 2013, n. 9)3, il cui obiettivo
è di difendere le produzioni nazionali dalla “concorrenza” degli oli di importazione
mediante una serie di misure che sostanzialmente dovrebbero consentire di poter
identificare con precisione l’olio italiano, si è deciso di mettere ordine nella produzione e commercializzazione dell’olio di oliva, distinguendo l’olio extravergine
di intera produzione italiana da altri oli imbottigliati in Italia, ma prodotti con oli di
importazione oppure con olive importate e frante nel nostro Paese.
Per riuscire a distinguere il prodotto interamente nazionale è stato deciso di
applicare dei criteri di qualità più rigorosi ed in particolare di abbassare, per l’olio
extravergine di oliva, il limite del valore degli alchil esteri a 30 mg/kg (rispetto ai
70 mg/kg decisi dalla UE).
Inoltre, è stato stabilito che una valutazione possa essere fornita tramite un
esame sensoriale effettuato mediante dei “panel test” e sono state previste sanzioni severe per i “frodatori” in modo da garantire ai consumatori la possibilità di
poter scegliere l’olio sicuramente italiano.
Anche se le misure indicate dal nostro Paese non hanno trovato completo
accoglimento da parte delle strutture comunitarie che, di fatto, hanno “congelato”
per un anno la nostra legge, si deve comunque rilevare che una buona lavorazione assicura un basso livello di alchil esteri sia per gli oli di produzione nazionale
3
98
Si veda, al riguardo, la relazione di Masini in questo stesso volume.
La tavola rotonda
che per quelli di importazione e quindi difficilmente può essere considerato un
carattere distintivo probante. Esiste, inoltre, la possibilità di una deodorazione industriale che di fatto abbassa notevolmente la loro concentrazione e rende molto
complesso fare dei controlli adeguati.
Anche la valutazione sensoriale può essere scarsamente probante per dimostrare che si tratta di un olio di produzione nazionale in quanto i caratteri qualitativi richiesti possono essere ottenuti anche da ottimi oli di importazione. E non si
può poi escludere che ci siano degli oli italiani che non possiedono caratteristiche
organolettiche ottimali. Non si capisce però perché si sia ignorato il valore delle
sostanze antiossidanti presenti nei migliori oli extravergini che conferiscono un
valore aggiunto che sarebbe molto apprezzato dai consumatori più esigenti.
Nonostante l’entusiasmo manifestato anche da parte di certe organizzazioni
consumeristiche, sorge il dubbio che la legge «salva olio» si possa trasformare in
un boomerang che salvaguardi gli interessi di pochi ed in pratica appesantisca i
costi soprattutto per i piccoli produttori e le aziende artigianali, con il rischio che
vengano a trovarsi fuori mercato.
D’altra parte, cercando le opinioni in materia in altri Paesi, non può sfuggire
il fatto che gli olivicoltori spagnoli accusano l’industria olearia italiana di acquistare la materia prima in Spagna per poi procedere all’imbottigliamento in Italia ed
esportare in tutto il mondo le bottiglie con il marchio «made in Italy».
I consumatori trovano grandi difficoltà a capire quali siano i meccanismi che
ci sono dietro le varie operazioni. Non bisogna sottovalutare il fatto che ai consumatori interessa soprattutto la sicurezza dei prodotti alimentari: la prima cosa
che essi vogliono sapere è se l’olio extravergine di oliva che trovano negli scaffali
dei negozi o dei supermercati a prezzi ampiamente sotto i 5 euro siano sicuri o
presentano qualche pericolo. Pertanto, se il consumatore riesce a trovare un olio
sicuro a basso prezzo gli può essere indifferente se si tratta di un olio italiano o di
importazione.
Bisogna dare una risposta precisa perché l’olio è consumato in tutte le fasce
di età ed è un componente essenziale della nostra dieta.
Molti acquistano l’olio direttamente dai produttori e spesso si instaurano dei
rapporti di fiducia e non si hanno difficoltà a pagare il prodotto il doppio o forse più
di un olio commerciale.
La ragione di questo divario di prezzo (apparentemente ingiustificato) dipende dal fatto che quello “commerciale” è tutto di importazione?
Con l’applicazione della nuova legge si deve pensare che sul mercato si troverà olio extravergine di origine italiana garantito dai controlli chimici ed anche
99
sensoriali, ma anche olio straniero, oppure olio italiano tagliato. Si tratta di un
aspetto molto delicato soprattutto perché probabilmente si tratta di oli che da un
punto di vista di sicurezza sono molto simili se non del tutto uguali. Bisognerà
quindi spiegare ai cittadini quali sono le ragioni per cui è opportuno scegliere l’olio
di produzione interamente italiana.
Bisogna anche avere la certezza che gli accertamenti analitici previsti siano sufficienti a garantire l’origine; la prova sensoriale, anche se condotta conformemente a procedure standardizzate e con personale altamente specializzato,
potrebbe, come detto, non garantire l’accertamento delle differenze tra un ottimo
olio spagnolo ed uno italiano.
Una certezza dovrebbe arrivare dagli oli DOP controllati dai Consorzi che ne
garantiscono l’origine e dagli oli biologici di cui gli organi di certificazione controllano il “processo”.
Lo scenario che si presenta ai consumatori è piuttosto complesso e non
sempre facile da comprendere. Indipendentemente dalle norme esistenti è necessario fornire delle indicazioni chiare ai cittadini in primo luogo sulla sicurezza
alimentare dei diversi tipi di olio ed anche sui vantaggi che possono derivare dal
consumo di prodotti interamente italiani. Solo così i consumatori avranno la possibilità di fare una scelta consapevole a tutela della loro salute ed anche degli
interessi delle produzioni nazionali (cfr. Fig. 1).
Figura 1 - Un annullo d’epoca su busta affrancata: già nel 1930 si faceva propaganda all’olio italiano
100
La tavola rotonda
IL SISTEMA OLIO E LE DOP
Stefano Petrucci1
1.
Il mercato dell’olio extravergine d’oliva e le DOP
In un settore in cui le aziende agricole diminuiscono quelle che aderiscono
alla produzione di olio DOP/IGP2 crescono sia in numero sia in superfici (Tabb.
1-3); questo vale anche per le aziende di piccole dimensioni, categoria che, nelle
produzioni agricole nel complesso, ha presentato mortalità più elevata negli ultimi
anni (dati ISTAT).
Tabella 1 - Produzione di olio extravergine d’oliva in Italia (tonn.)
2007/2008
2008/2009
2009/2010
2010/2011
510.000
540.000
430.000
440.000
Fonte: elaborazioni UNAPROL su dati COI e ISTAT.
Tabella 2 - Produzione di olio DOP/IGP in Italia (tonn.) e quota di mercato sul totale nazionale di produzione di olio extravergine d’oliva
2007/2008
2008/2009
2009/2010
2010/2011
7.166
8.509
10.362
10.439
1,41%
1,58%
2,41%
2,37%
Fonte: elaborazioni ISMEA su dati degli Organismi di controllo.
1 Presidente del Consorzio Sabina DOP. Il Consorzio per la tutela e la valorizzazione dell’olio a denominazione di origine protetta della Sabina, riconosciuto con D.M. 23 ottobre 2009 n. 16106, è
dedicato alla tutela della DOP e alla vigilanza sul corretto uso del marchio (si veda logo Fig. 8). Il
Consorzio è costituito tra produttori olivicoli, frantoi e imbottigliatori di una vasta zona che comprende 46 comuni delle province di Roma e Rieti (www.sabinadop.it).
2 La «denominazione di origine» (DOP) e l’«indicazione geografica» (IGP) sono segni comunitari - da
ultimo normati dal reg. (UE) n. 1151/2012, del 21 novembre 2012, sui regimi di qualità dei prodotti
agricoli e alimentari -, ovvero nomi che identificano determinati prodotti oggetto di specifici regolamenti che ne hanno determinato i rispettivi «disciplinari». Nella DOP tutte le fasi del processo
produttivo devono far riferimento ad una zona geografica delimitata mentre nella IGP almeno una
delle fasi deve far riferimento ad un’area circoscritta; in entrambi i casi vi è un nesso diretto di
causalità fra l’area di produzione e le caratteristiche distintive del prodotto.
101
Tabella 3 - Evoluzione di aziende e superfici destinate alla produzione di olio DOP/IGP
2007
2008
2009
2010
Aziende agricole (n.)
17.632
18.167
18.708
19.891
Superficie (ha)
84.513
88.814
92.981
98.092
Fonte: ISTAT.
Figura 1 - Le DOP d’Italia
Fonte: nostre elaborazioni.
Secondo il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali (MIPAAF): «le
102
La tavola rotonda
certificazioni DOP e IGP, dopo 20 anni dalla prima introduzione, hanno coinvolto un numero elevato di aree produttive e di certificazioni, tuttavia non potendo contare su volumi adeguati e essendo percepite come proposte distinte, non è stata applicata un’adeguata strategia di comunicazione e marketing tale da spingerne i consumi in maniera
soddisfacente. L’attuale categoria «extravergine» si presenta molto ampia in termini di
gamma di prezzi, con forti differenze (+120%) tra le quotazioni degli oli DOP e IGP e il
prodotto extravergine base. Tra il prodotto DOP e IGP (cfr. elenco, Fig. 1), i cui volumi
sono ormai stabili intorno al 2% del mercato e gli extra di base, venduti a prezzi molto
inferiori, c’è una vasta area di potenziale valore che non trova proposte coerenti in grado
di posizionarsi»3. L’area in questione è quella del made in Italy4.
Premesso che sia in termini assoluti che in termini percentuali le DOP crescono costantemente mentre la produzione nazionale continua a scendere, si propone di
guardare al mercato delle DOP da un altro punto di vista. Al riguardo, basti fare un paradossale esempio: se un prodotto è oggetto di contraffazione (e l’olio è tra i prodotti
alimentari più contraffatti) si attribuisce maggiore importanza alle quantità prodotte o al
volume di affari? Ovvero, se vengono vendute 1.000 borse false di un marchio prestigioso
rispetto ad un solo prodotto originale, quale è la quota di mercato che rappresenta il
marchio prestigioso 1/1.000? Eppure senza quella borsa quel mercato non esisterebbe.
Figura 2 - Il logo del Consorzio Sabina DOP
2.
L’analisi dei prezzi e delle vendite
Il mercato di un prodotto può essere identificato per quantità o per volume
di affari.
Nelle figure 3-7 e nella tabella 4 viene esaminato il mercato dell’olio dal
punto di vista dei prezzi e del fatturato.
3MIPAAF, Relazione sugli sbocchi di mercato per l’olio extravergine di oliva di alta qualità garantito
dal Sistema di Qualità Nazionale, 12 dicembre 2012.
4 In quest’area si colloca l’olio extravergine di oliva di provenienza italiana.
103
Figura 3 - Prezzi sui mercati all’origine dell’olio di oliva (dati in valore, €/Kg)
Fonte: elaborazioni Cerved Group su dati ISMEA.
Figura 4 - Prezzi sui mercati all’origine dell’olio di oliva DOP IGP (dati in valore, €/Kg)
Fonte: elaborazioni Cerved Group su dati ISMEA.
104
La tavola rotonda
Figura 5 - Media dei valori di prezzo dell’olio extravergine, dell’olio extravergine
100% italiano e dell’olio DOP/IGP per Regione (€/kg), 2011*
*Da sinistra a destra: olio extravergine; olio extravergine 100% italiano; olio DOP/IGP.
Fonte: elaborazione UNAPROL su dati IRI-INFOSCAN.
Nella tabella 4 è opportuno notare come la quota di mercato dell’olio extravergine made in Italy risulti uguale a quella degli oli DOP/IGP, ma è realizzata con
quantità vendute più che doppie.
Tabella 4 - Le vendite in Italia di olio extravergine, olio 100% italiano e olio DOP/
IGP, 2011
Litri venduti
Fatturato (euro)
Prezzo/litro(euro)
Olio extravergine
215.000.000
846.000.000
3,93
Quota di mercato
100%
Olio 100% italiano
23.650.000
109.972.500*
4.65*
13%
Olio DOP/IGP
10.440.000
105.855.513
10,14
13%
* non disponibile direttamente dalla fonte ma stimato in base ai prezzi medi riportati dalla stessa.
Fonte: UNAPROL.
Nel 2012, sulla base delle fonti citate in tabella, le vendite in Italia di
olio extravergine e, in particolare, di olio extravergine «100% italiano» e di olio
DOP/IGP presentano analoghi valori, con una leggera crescita dei volumi per
le DOP (+1%).
Analizzando le vendite in valore degli oli DOP all’interno della Grande Distribuzione Organizzata (GDO) si nota che questa è l’unica quota di mercato che
è controllata per il 43% direttamente dai produttori e per il 45% da produttori e
GDO; i brand principali, invece, controllano appena il 12% del mercato.
105
Figura 6 - Vendite di oli DOP in valore (euro) e per marche all’interno della GDO
Fonte: elaborazioni FEDERDOP su dati IRI-INFOSCAN.
Figura 7 - Vendite di olio DOP in volume (litri) per marche all’interno della GDO
Fonte: elaborazioni FEDERDOP su dati IRI-INFOSCAN.
106
La tavola rotonda
Ciò, a nostro avviso, testimonia inequivocabilmente che gli oli DOP hanno intrapreso la strada giusta per i seguenti motivi:
1)
hanno creato un mercato che prima del 1997 era inesistente;
2)
hanno raggiunto il 13% del mercato senza incentivi, cioè, per riprendere le parole della citata relazione del MIPAAF, «senza un’adeguata strategia di comunicazione e marketing tale da spingerne i consumi in maniera soddisfacente»;
3)
riescono a vendere a valori superiori del 120% rispetto al made in Italy;
4)
i produttori di olio DOP sono gli unici che presidiano direttamente il mercato
finale.
Il problema è il made in Italy che negli ultimi anni, nonostante gli “sforzi legislativi” e le ingenti risorse investite (se paragonate al mondo degli oli DOP) ha ottenuto
la stessa quota di mercato degli oli DOP (13%), con un’importantissima differenza: il
prezzo medio di vendita non giustifica gli sforzi fatti rispetto all’olio senza origine, ovvero non si è raggiunta la valorizzazione del prodotto. Questo spiega, anche, i volumi di
produzione contenuti rispetto al totale nazionale.
3.
Quale mercato possibile per l’olio
L’approccio al mercato analizzato secondo i dati sopra esposti, può essere
illustrato come una piramide (Fig. 8) dove il mercato, con all’apice gli oli DOP/IGP,
è diviso in 4 fasce: l’olio extravergine made in Italy («100% italiano»), l’olio extravergine, l’olio vergine e l’olio lampante.
Figura 8 - Collocazione dell’olio in Italia per fascia di prezzo
Fonte: nostre elaborazioni.
107
A sinistra della figura è riportata la situazione attuale, mentre a destra il
futuro auspicabile, con l’avvicinamento dell’olio extravergine made in Italy alla fascia di prezzo degli oli DOP/IGP. Dalla rappresentazione piramidale sono stati volutamente omessi i prodotti biologici, in quanto la certificazione dell’olio biologico
dovrebbe essere considerata un valore in più per le prime tre categorie e non una
categoria a parte. Inserirla, pertanto, significherebbe che il suo valore prescinde
dall’origine e dalla qualità.
4. Il Sistema di qualità nazionale per l’olio extravergine di oliva
(«SQN Alta Qualità») e l’olio DOP
A nostro avviso il SQN rappresenta un’opportunità per il made in Italy ma
una minaccia per gli oli DOP.
La FEDERDOP Olio5 ha manifestato al MIPAAF forti perplessità sull’impostazione del sistema «SQN Alta Qualità»6. Molti prodotti certificati come DOP non
rientrerebbero nei parametri del «disciplinare Alta Qualità» previsto dal SQN. Il
sistema di certificazione, infatti, risulta simile o anche più restrittivo su alcuni
parametri e più “concessivo” su altri; inoltre, tale sistema elimina alla base tutti i
fruttati leggeri. Tutte premesse per una collocazione del prodotto certificato SQN
al top della gamma; ma se il prodotto così certificato si colloca al top della gamma, ovvero in alternativa alle DOP, potrà l’intero SQN raggiungere le quantità delle
DOP, tra l’altro considerate scarse (13% della quota di mercato)?
Ad oggi “alta qualità” del sistema SQN significa, a nostro avviso, “alternativa alle DOP”, con la conseguenza di generare confusione nei consumatori e nel
mercato, oltre a minare l’unico attore della filiera olio che valorizza veramente il
prodotto e presidia direttamente il suo mercato.
Quest’ultima considerazione spiega, secondo il nostro punto di vista, anche
il favorevole atteggiamento al progetto da parte della grande industria che da domani, con i suoi potenti mezzi (referenze nei supermercati) e laboratori chimici,
potrà togliere di torno quei “fastidiosi” produttori DOP e rientrerà in gioco a pieno
titolo su quel 13% di fatturato (cfr. Tabella 4), con il valore aggiunto più alto. Inoltre,
più prodotti che non rientrano nei parametri del SQN, opportunamente miscelati, risulteranno di “alta qualità”, con la conseguenza che avremo definitivamente
5
FEDERDOP è l’organizzazione nazionale alla quale aderiscono 21 Consorzi di tutela delle DOP degli
oli di eccellenza dei territori italiani.
6 Si veda al riguardo anche la relazione di Antonelli in questo stesso volume.
108
La tavola rotonda
consegnato alla grande industria di trasformazione anche la fascia più alta del
mercato, ad oggi in mano ai produttori.
Si aggiunga a quanto esposto che i primi produttori di made in Italy sono
proprio i territori DOP.
Cerchiamo invece di parlare di qualità italiana con un logo riconoscibile, anche all’estero, dai consumatori ed adottando i parametri dell’olio italiano, con un
sistema di certificazione del prodotto che consenta, come nelle DOP, di smascherare più facilmente i truffatori; allora potremmo intraprendere davvero un percorso nuovo, simile a quello già avviato per le DOP.
Oggi il made in Italy è una prodotto virtuale, costruito prevalentemente con
le carte; introducendo, piuttosto, una certificazione che preveda analisi chimiche e
panel test su tutti i lotti destinati al commercio, potremmo raggiungere veramente
i consumatori con quantità di prodotto certificato considerevoli, premiando i produttori e la qualità.
Perché il made in Italy possa trasformarsi in uno strumento efficace è dunque necessario:
•
introdurre una certificazione del prodotto che prenda le mosse “seriamente” dall’origine e dalla qualità;
•
ridurre al minimo la burocrazia per non replicare uno dei principali ostacoli
alla crescita già sperimentato dalle DOP;
•
pianificare e svolgere un’efficace comunicazione del prodotto;
•
lavorare su un brand e su tutti i suoi attributi (logo, packaging, ecc.) che
renda immediatamente riconoscibile il prodotto da parte dei consumatori.
In un mercato rappresentato, come detto, per il 13% dagli oli DOP, per il 13%
dagli oli made in Italy e per la restante quota da oli senza origine, il MIPAAF dovrebbe organizzare un tavolo sul SQN, includendo le DOP che oggi rappresentano
la più importante filiera olivicola del Paese, portatrice di un’esperienza positiva di
valorizzazione del prodotto.
109
La tavola rotonda
IL PROGRAMMA NAZIONALE DI RINTRACCIABILITA’
DI FILIERA DELL’UNAPROL: UNO STRUMENTO PER
LA TUTELA E LA VALORIZZAZIONE DELL’OLIO EXTRAVERGINE «MADE IN ITALY»
Unaprol 1
Per conto degli imprenditori aderenti, UNAPROL ha intrapreso diversi programmi nazionali di tutela e valorizzazione degli oli di oliva «made in Italy» con
particolare riferimento ai segmenti dell’olio extravergine certificato ai sensi della
norma UNI EN ISO 22005:08 (tracciabilità di filiera) (Box 1) e del disciplinare «Alta
qualità italiana», che prevede requisiti sia di prodotto che di sistema più stringenti
rispetto alla normativa cogente.
In quest’ultima direzione è in corso un programma triennale di tracciabilità
di filiera a valere sul reg. (CE) n. 867/20082 e successive modifiche e integrazioni,
che impegna 570 filiere e oltre 7.000 aziende agricole. Le fasi di coltivazione, raccolta, trasformazione delle olive in olio, conservazione ed imbottigliamento sono
certificate da un ente terzo che ne verifica la rispondenza alle prescrizioni contenute nel disciplinare di produzione adottato dalle filiere.
Il disciplinare di tracciabilità è stato pensato non solo come uno strumento
di controllo ma soprattutto come uno strumento di indirizzo: infatti in esso sono
contenute le linee di comportamento per ogni attore della filiera che consentono
di ottenere un prodotto di qualità rispettoso dell’ambiente.
Il significativo lavoro svolto in questi anni da UNAPROL ha l’obiettivo di tutelare l’olio italiano di alta qualità e conferirgli quel meritato valore aggiunto che
giustifichi il collocamento sul mercato a un prezzo superiore. In questo senso,
recentemente, il Ministero ha pubblicato una proposta per un sistema di qualità
nazionale «SQN-olio» che di fatto consente di differenziare, all’interno del seg1 UNAPROL - Consorzio olivicolo italiano. UNAPROL è la principale organizzazione italiana di olivicoltori nata nel 1966 quale Unione Nazionale tra le Associazioni di produttori di olive con compiti di
gestione ed erogazione degli aiuti comunitari alla produzione dell’olio di oliva e delle olive da tavola.
Scopo sociale dell’UNAPROL è valorizzare la produzione rappresentata anche attraverso la partecipazione ad attività di valenza comunitaria e nazionale in termini di miglioramento della qualità,
dell’impatto ambientale, della tracciabilità e certificazione delle produzioni.
2 Regolamento (CE) n. 867/2008 della Commissione, del 3 settembre 2008, recante modalità di applicazione del regolamento (CE) n. 1234/2007 del Consiglio per quanto riguarda le organizzazioni di
operatori del settore oleicolo, i loro programmi di attività e il relativo finanziamento.
111
mento dell’extravergine, un prodotto avente una qualità significativamente superiore rispetto alle norme commerciali correnti in termini di sanità pubblica, salute delle piante e tutela ambientale3. Partendo dal presupposto che l’extravergine
comprende oli da 0,1 a 0,8 di acidità e che quindi in tale categoria è presente un
segmento che ha delle caratteristiche chimiche ed organolettiche superiori - e che
può fregiarsi dei famosi claims nutrizionali -, ed un segmento vicino allo 0,8 che
di fatto ha delle caratteristiche inferiori, si intuisce l’efficacia di tale strumento nel
differenziare il prodotto.
Box 1 - La certificazione accreditata di parte terza e la norma UNI EN ISO 22005:08
La certificazione accreditata (di parte terza e indipendente) è il mezzo con cui un’azienda, che vi
aderisce volontariamente, può dimostrare agli steakeholder economici e sociali la conformità del suo
sistema di gestione e dei suoi prodotti/servizi ai requisiti della norma tecnica - definiti, controllabili
e misurabili - per cui ha ottenuto la certificazione, internazionalmente riconosciuta, emessa dall’organizzazione internazionale ISO (International Organization for Standardization), adottata dal CEN
(Comitato Europeo di Normazione) e conseguentemente adottata a livello nazionale dall’UNI (Ente
Nazionale Italiano di Unificazione)
La norma UNI EN ISO 22005:08 stabilisce i principi e i requisiti di base della progettazione e dell’esecuzione di un sistema di rintracciabilità dell’alimento e della filiera alimentare.
L’adozione di questa norma permette alle organizzazioni del settore di:
• seguire il flusso dei materiali (olio, materiali di imballaggio);
• identificare la documentazione necessaria e la rintracciabilità in ogni fase di produzione;
• garantire il necessario coordinamento tra gli addetti ai lavori;
• permettere che ogni parte della filiera sia informata almeno riguardo ai suoi fornitori e ai clienti
diretti.
Lo standard di questo sistema consiste in una metodologia aperta, comprensibile, verificabile, con
possibilità di ispezioni complete, dalle materie prime ai prodotti finiti, dall’origine alla consumazione.
Un impegno così importante da parte del Consorzio e dei suoi associati doveva però essere adeguatamente comunicato al consumatore. Per questo abbiamo
sviluppato un’etichetta innovativa basata sul «QR-code» (Fig. 1), una tecnologia
ampiamente sfruttata oggi dalle aziende nel cosiddetto mobile marketing. Questo
sistema nasce come integrazione del servizio di tracciabilità tramite messaggi di
telefonia «Sms», già attivo dal 2002. Su ogni bottiglia di olio è presente un collarino
su cui è riportato un QR-Code, che consente di visualizzare su dispositivi mobili
come smartphone e tablet appositi “contenuti multimediali” on line, semplice3 Si veda, al riguardo, anche la relazione di Antonelli in questo stesso volume.
112
La tavola rotonda
mente inquadrando il QR-code con la fotocamera. In questo modo, il consumatore
in tempo reale accede ad un “mini-sito aziendale” nel quale sono presenti tutte le
informazioni inerenti l’azienda, il territorio di produzione, le caratteristiche chimico-fisiche ed organolettiche del prodotto. Il valore aggiunto di questo portale della
filiera olivicola italiana è che le informazioni/aziende sono validate e garantite da
un sistema di tracciabilità di filiera certificato all’interno del suddetto programma
dell’UNAPROL.
In definitiva, il sistema di tracciabilità UNAPROL è uno strumento strategico
per le imprese olivicole non solo per gli aspetti gestionali e di comunicazione ma
soprattutto perché la tracciabilità - intesa come possibilità di ripercorrere a ritroso
il processo produttivo, ovvero dal prodotto finito all’origine della materia prima,
individuando ogni azienda che ha avuto un ruolo nella produzione e nel confezionamento del prodotto - ricopre un posto di rilievo nei principali standard e nelle
norme dedicate al settore agroalimentare richiesti dalla Grande Distribuzione nazionale ed internazionale.
Figura 1 - Il QR-code filiere UNAPROL
113
La tavola rotonda
IL PROGETTO AIFO DELL’OLIO ARTIGIANALE
Piero Gonnelli e Giampaolo Sodano1
1.Introduzione
Quattro anni fa, dalla tribuna del nostro secondo congresso indicammo, in
risposta alla crisi dell’associazionismo del settore oleario, la volontà di AIFO di
promuovere un processo di unificazione e rinnovamento e di fare sistema tra le
diverse, ma non antagoniste, realtà produttive dell’olio italiano.
Da qui nacque l’unificazione con il FOR (Frantoi Oleari Riuniti), trasformando AIFO nell’associazione più rappresentativa del settore; tanto è vero che la
base associativa, in quattro anni, è passata da 250 a 600 aziende.
Una situazione nuova che ci ha investito di una grande responsabilità.
Una responsabilità che abbiamo voluto tradurre in una strategia: «L’alleanza tra agricoltori, frantoiani e consumatori».
Si aprì davanti a noi tutti un periodo di grande lavoro che fu coronato di
successo grazie alle idee, alla generosità e all’intelligenza di un grande amico,
Ranieri Filo della Torre, che sposò la nostra causa favorendo l’incontro con UNAPROL2, guidata da Massimo Gargano sulla base di un impegno convergente in
difesa dell’olio italiano.
Su questo percorso abbiamo incontrato la Coldiretti, che sotto la guida di
Sergio Marini aveva rinnovato la sua organizzazione e la sua politica.
Aver conseguito questi obiettivi ci ha reso più forti nella difesa delle nostre
ragioni: abbiamo così sostenuto con forza la cosiddetta legge «salva olio»3 della
senatrice Mongiello, intervenendo nel dibattito parlamentare nelle competenti
commissioni di Camera e Senato, mentre al tavolo del Ministero delle Politiche
1
Rispettivamente Presidente e Direttore dell’Associazione Italiana Frantoiani Oleari (AIFO). AIFO nasce nel 1996 per iniziativa di un gruppo di imprenditori del comparto oleario con l’obiettivo di difendere gli interessi delle piccole e medie aziende artigiane che producono l’olio extravergine di oliva,
coniugando gli interessi dell’impresa con la tutela dell’ambiente e la difesa del consumatore. Per
queste ragioni AIFO ha promosso una politica di alleanze con gli agricoltori e le loro associazioni
(Coldiretti e UNAPROL) e con i consumatori e le loro associazioni (CODICI).
2 Si veda al riguardo anche la relazione di Petrucci in questo stesso volume.
3 Si veda al riguardo anche la relazione di Masini in questo stesso volume.
115
agricole ci rendevamo protagonisti della battaglia per l’«Alta qualità»4.
Ma verremmo meno ad un dovere di lealtà verso i nostri associati se non
rivendicassimo l’impegno costante che AIFO ha messo nel sostenere e difendere
tutte le azioni tese a favorire la nascita di un mercato dell’olio pulito e trasparente. Ci siamo alleati con le organizzazioni dei consumatori arrivando a sottoscrivere un protocollo d’intesa con l’«Associazione CODICI centro per i diritti
del cittadino», istituendo una commissione comune con il compito di denunciare
truffe e frodi e di favorire tutte le azioni che hanno la finalità di diffondere la cultura della qualità nel mondo imprenditoriale e della distribuzione, anche con la
realizzazione di un progetto di tracciabilità e organizzando corsi di formazione di
alta specializzazione per gli operatori dei frantoi; così come abbiamo sostenuto
con lealtà e forza l’introduzione del registro telematico, chiedendo che venga
esteso a tutti i frantoi compresi quelli aziendali e ai commercianti di olive.
Questa nostra politica, che ripetiamo ha il solo scopo di far nascere un
mercato trasparente, ci ha messo nelle condizioni di essere oggetto di critiche
e attacchi strumentali da parte di alcuni organi di stampa, ma a volte anche da
parte dei nostri stessi associati, che hanno lamentato un impegno di tempo e di
costi per la gestione del registro a carico delle aziende, coinvolte, come tutto il
Paese, in una situazione di forti difficoltà economiche.
Ma su questa strada vogliamo continuare. Pertanto abbiamo avviato con la
Guardia Forestale dello Stato e l’Agenzia delle Dogane, un’indagine, con la collaborazione di alcune nostre aziende, per individuare quale sia il corretto valore
degli alchil esteri degli oli italiani, perché non siamo interessati a seguire quanti
preferiscono coltivare il campo delle polemiche strumentali che servono solo a
coprire antichi vizi a difesa di interessi particolari.
Noi vogliamo un mercato in cui ci sia una regola semplice, elementare:
che al consumatore vengano date tutte le informazioni per comprare una bottiglia di olio in piena consapevolezza, che sia garantito il suo diritto a sapere ciò
che compra e a pagare il giusto prezzo. In questo impegno assolve un ruolo significativo la Grande Distribuzione Organizzata (GDO) che in alcuni suoi protagonisti
ha già da tempo individuato la strada di rendere chiaro al cliente, sullo scaffale,
la differenza fra prodotti di olio italiano di alta gamma e prodotti dell’industria
di confezionamento. Noi non possiamo che operare affinché questa tendenza si
sviluppi e si consolidi fino a coinvolgere tutta la Grande Distribuzione.
4 Si veda al riguardo anche la relazione di Antonelli in questo stesso volume.
116
La tavola rotonda
2.
Il progetto AIFO dell’olio artigianale
In questi anni abbiamo assistito ad un progressivo mutamento dei mercati
come effetto della profonda crisi economica, della globalizzazione, dell’entrata di
nuovi Paesi emergenti, dello spostamento della ricchezza da Ovest verso Est.
Nulla è come prima: si impone un radicale cambiamento di mentalità e di
offerta, le aziende sono tenute ad anticipare le richieste del mercato e l’Italia in
particolare deve imparare a valorizzare le sue ricchezze e unicità produttive.
Anche l’agricoltura non sarà più la stessa: accanto alle colture estensive
acquisteranno spazi nuovi quelle caratterizzate da un alto tasso di specificità territoriale. Sarà il naturale equilibratore della globalizzazione, così come, sul piano
politico, a realtà sovranazionali come l’Unione europea, è fatale faccia riscontro un
potenziamento dell’autonomia delle comunità locali.
Il processo di industrializzazione si riavvierà su basi nuove, dovendo scontare la competitività di costi e prodotti al livello mondiale. Difficile che un paese montuoso come l’Italia, con poche pianure e difficoltà conseguenti nelle infrastrutture
di grande comunicazione, priva di materie prime e con un elevato costo dell’energia, possa contare su una forte industria pesante. Più facile prevedere un futuro
di piccole e medie industrie manifatturiere cui farà riscontro naturalmente, anche
ai fini occupazionali, uno sviluppo del settore agricolo, di un’agricoltura di qualità
che fa leva sul clima, sulla cultura tradizionale dei campi e su una trasformazione
dei prodotti agricoli che punta sulla unicità e sulla qualità, a fare da contrappunto
alla produzione massificata e priva di specificità anche organolettiche dei prodotti
dell’industria e delle grandi multinazionali.
La biodiversità (in un Paese come il nostro che ha per tanto tempo sommariamente sottovalutato specie vegetali frutto di secoli di esperienza, di innesti
sapienti, di selezioni oculate) è un bene prezioso che andrà sempre più tutelato,
come del resto prevede la convenzione firmata da quasi tutti i Paesi del mondo a
Rio de Janeiro nel 1992 e come stanno già facendo alcune Regioni.
Il frantoio artigiano oleario, dove il mastro oleario miscela le cultivar seguendo antiche usanze, capace di coniugare insegnamenti trasmessi da generazioni con un uso intelligente e creativo delle nuove tecnologie estrattive, è destinato sempre più ad essere il naturale presidio della qualità e soprattutto della
biodiversità.
Abbiamo un progetto: dare una risposta di trasparenza al comparto dell’olio.
Ce lo chiede il consumatore, ce lo chiedono i produttori di eccellenza che
non trovano corrispondenza di valore al prodotto che offrono.
117
In questo progetto quelli che definiamo “produttori di eccellenza” sono i
frantoi artigiani, perché sono aziende in cui lavorano persone competenti ed oneste, pronte a garantire il loro prodotto, perché hanno il controllo dell’intera filiera
(dalla coltivazione dell’oliveto alla bottiglia sulla tavola del consumatore), la competenza professionale nella gestione delle tecnologie, nel metodo di trasformazione e la trasparenza nel processo di produzione e distribuzione; essi curano tutte le
fasi della filiera, comprese le condizioni di distribuzione, perché dopo aver lavorato
per un anno non possono abbandonare il loro prodotto nelle mani del caso.
Nel nostro progetto questi produttori si incontrano, si conoscono, si stimano, si fidano e decidono di fare sistema per arrivare insieme sulle tavole dei loro
clienti garantendo l’eccellenza del loro olio. Pertanto, si rende necessaria la creazione di identità e riconoscibilità a questa categoria di prodotto, per rendere più
semplice e immediata l’individuazione delle loro qualità da parte dei consumatori.
Nel nostro progetto, lavorando insieme, questi produttori si aiutano, si informano, si organizzano, si dotano di competenze interne ed esterne per essere
i migliori, non solo nel contenuto delle loro bottiglie, ma anche nelle forme delle
loro bottiglie, delle loro etichette, dei loro messaggi, delle loro iniziative di cultura,
formazione, promozione. Gli oli artigianali richiedono grandi capacità e sforzi per
essere prodotti, conservati, confezionati e distribuiti. Tale impegno, con i relativi
costi, deve essere riconosciuto dal mercato e compensato. A ciò serve la credibilità, con la competenza e l’onesta che la caratterizzano.
Nel nostro progetto questo sistema si chiama «Olio Artigianale» e AIFO si
impegna perché diventi realtà.
Per realizzare questo progetto proponiamo la costituzione di una «Rete di
imprese»5 che lavoreranno insieme con trasparenza per dare al cliente finale la
sicurezza (garantita) di ottenere l’olio promesso e atteso.
Le imprese della Rete dovranno impegnarsi a:
1.
rispettare il disciplinare di produzione dell’olio artigianale;
2.
mantenere la tracciabilità del processo produttivo;
3.
dotarsi e rispettare il codice etico volontario;
4.
aderire al sistema di certificazioni e controlli della Rete.
5 Cfr. legge n. 33/2009 di conversione del D.L. n. 5/2009 (c.d. «decreto incentivi») che disciplina il
«contratto di rete di imprese» e successive modifiche e integrazioni: legge n. 99/2009 (c.d. «legge
sviluppo»); legge n. 122/2010 di conversione del D.L. n. 78/2010; legge n.134/2012 di conversione
con modifiche del D.L. n. 83/2012 (c.d. «decreto sviluppo»); legge n. 221/2012 di conversione con
modifiche del D.L. n. 179/2012 (c.d. «decreto sviluppo bis»): legge n. 224 del 24 dicembre 2012
(«legge di stabilità 2013»).
118
La tavola rotonda
Chi non rispetta i patti verrà espulso. E’ l’unica possibilità per dare credibilità ai produttori onesti e competenti e per ottenere la giusta remunerazione per
il loro lavoro.
Il consumatore sarà così sicuro di acquistare un olio di alta qualità di cui è
garantita l’origine, la genuinità del prodotto e la trasparenza del processo produttivo: è lo scenario del futuro che stiamo costruendo fin da oggi.
A qualcuno può sembrare una visione utopica priva di elementi certi di riferimento: a pensare in questo modo sono coloro che non hanno fiducia nell’avvenire
dell’agricoltura, ubriacati da un sogno di industrializzazione forzata, sorretta direttamente o indirettamente dal danaro pubblico, con impianti non sempre rispettosi
dell’ambiente. È una strada non destinata a durare ancora a lungo e che ha prodotto già abbondanti danni al nostro Paese.
La nostra azione per un olio artigianale di qualità, per un mercato trasparente di prodotti sani, vuole essere un contributo per un Paese diverso, per un’Italia con un più equilibrato sviluppo sociale ed economico, che rifiuta l’assistenzialismo pubblico, ma vuole precise scelte di fondo.
Confidiamo, con le nostre aziende artigiane, di riuscire ad essere tra i protagonisti di questo cambiamento.
119
La tavola rotonda
IL PUNTO DI VISTA DELL’INDUSTRIA OLEARIA
Claudio Ranzani1
Buongiorno signore e signori.
Rappresento l’industria olearia e vi esporrò perciò un punto di vista diverso
rispetto a quanti mi hanno preceduto.
In primo luogo, desidero ricordare che le marche italiane hanno iniziato ad
esportare alla fine dell’800 e sono oggi leader nel mondo (nel 2011 è stato superato il record storico delle esportazioni, con oltre 402.000 tonnellate, per oltre il 90%
confezionate); questo significa oltre 1,2 miliardi di euro di export e migliaia di posti
di lavoro diretti ed indiretti.
Considerata la nostra leadership, non stupirà sapere che le nostre aziende
occupano tutti i settori di mercato, dall’olio di sansa all’extravergine e, all’interno
di quest’ultimo segmento, che esportano prodotti di nicchia (DOP, IGP e biologico),
olio 100% italiano e naturalmente blend, ottenuti mescolando opportunamente oli
di diversa provenienza
A fronte di questo obiettivo successo delle nostre imprese, il mondo della
produzione da tempo denuncia una situazione di difficoltà e crisi.
È ovvio che i produttori lamentino soprattutto i bassi prezzi, ma l’aspetto
per noi più evidente della crisi è che la produzione nazionale non aumenta ed è
terribilmente insufficiente per le esigenze del mercato. Ogni anno, la produzione
italiana è inferiore al consumo nazionale di 150-250.000 tonnellate. Non si tratta
di un fatto nuovo, visto che importavamo olio d’oliva già nell’antica Roma, e ben
conosciamo le caratteristiche sfavorevoli del nostro territorio.
Fatto sta che per coprire questo deficit, nel 2011 l’import è stato di 625.000
tonnellate, pari a tutto l’export più 225.000 tonnellate per il mercato interno.
A tale proposito, va notato che spesso veniamo accusati di continuare ad
aumentare le importazioni, ma l’accusa è ingiusta, perché l’aumento dell’export
comporta necessariamente l’aumento dell’import, visto che la produzione non ci
segue. Non a caso, compriamo praticamente e da sempre tutto l’olio che i nostri
produttori agricoli ci offrono e sempre non a caso, i dati fino ad ora raccolti sul
1 Direttore generale dell’ASSITOL - Associazione Italiana dell’Industria Olearia. ASSITOL è stata costituita nel 1972 con la fusione delle tre Associazioni allora esistenti per i settori di industria dell’olio di oliva, dell’olio di semi, della margarina e dei prodotti derivati. Oggi ASSITOL rappresenta e
tutela nelle diverse sedi nazionali, comunitarie e internazionali le imprese industriali che operano
nel settore delle materie grasse e dei prodotti derivati (www.assitol.it).
121
2012 indicano una ulteriore crescita delle esportazioni cui si contrappone invece
una piccola riduzione dell’import, a dimostrazione della preferenza accordata alla
produzione nazionale, evidentemente cresciuta quest’anno, fin quando vi è olio disponibile.
Resta il fatto che in questa situazione da ormai molto tempo da parte agricola si continuano a chiedere provvedimenti di legge e controlli.
Sono oltre 15 anni che il settore è sottoposto ad una vera e propria pioggia
di provvedimenti normativi, anche più di uno all’anno, al continuo aumento degli
obblighi amministrativi, dei controlli e così via. Per dare un’idea del problema, un
paio di settimane fa ero in un’azienda con un marchio notissimo, che opera sul
mercato nazionale ed in oltre 70 Paesi da fine ‘800, senza aver mai avuto problemi
rilevanti. In una logica di concentrazione dei controlli sulla base del rischio, si tratta quindi di un’azienda che non dovrebbe averne molti. Ebbene, nel corso del 2012
questa azienda ha subìto 98 controlli di contenitori all’export, con ovvi e pesanti
costi. Che succederà mai alle aziende più giovani ed a quelle, a torto o a ragione,
“chiacchierate”?
Quali sono stati i risultati di questi 15 anni di pressione? A parte la denuncia di qualche rubagalline, citato però dai giornali come autore di “mega truffe”, i
prodotti di nicchia rimangono di nicchia; abbiamo avuto conferma clamorosa che
se sale il prezzo dell’olio nazionale il mercato reagisce penalizzandone fortemente
il consumo, fino al risultato degli ultimi giorni in cui, cosa mai vista a memoria
d’uomo, il prezzo dell’extravergine spagnolo ha addirittura superato quello dell’olio nazionale!
E qui arriviamo alla legge «salva olio», nome che trovo poco appropriato;
personalmente preferirei definirla legge “criminalizza olio”, visto il numero impressionante di disposizioni di carattere penale che essa contiene!
Non a caso, dopo la diffusione del testo, un mio associato mi ha riferito
una storiella che circola nel settore, secondo la quale l’ONU avrebbe modificato la
classifica dei crimini più pericolosi per l’umanità, inserendo ai primi posti il commercio di olio d’oliva, tra il traffico di droga e quello delle armi.
C’è un articolo della legge che abbia l’obiettivo di rendere più competitivo il
prodotto italiano? No, non c’è.
C’è una qualche disposizione tesa ad aumentare la produzione nazionale, ad
aumentare la disponibilità di oli dolci, cioè di quelli che il consumatore chiede, a
ridurre i costi di produzione? No.
C’è qualche proposta tesa a stimolare la ricerca o a migliorare la competitività? No.
122
La tavola rotonda
C’è un articolo della legge che contenga idee che favoriscano la valorizzazione degli oli prodotti in Italia? No, nulla di tutto questo.
La legge contiene solo nuove pene, nuovi divieti, maggiore burocrazia ed
assimila il settore tutto alla criminalità organizzata.
Con l’aggiunta della violazione di una ventina di regolamenti comunitari e di
disposizioni di modifica di norme generali per il solo settore dell’olio d’oliva che
hanno lasciato stupefatti gli esperti giuristi sotto numerosi profili.
Mi sembra che gli unici possibili effetti di una legge siffatta non possano che
essere l’aumento del contenzioso, sontuose parcelle per gli avvocati ed un’ulteriore, potente spinta a portare lavorazioni all’estero, con gravi danni per il nostro
Paese, agricoltura compresa.
Non viene il dubbio, visti i risultati raggiunti dopo oltre 15 anni che si insiste
su questa linea, che si stia sbagliando strada?
Che continuare ad indebolire l’industria, in un momento per di più in cui
molti nostri concorrenti, nell’Unione europea ed in diversi Paesi terzi, stanno cercando in tutti i modi di sottrarci quote di mercato, non sia il modo migliore di valorizzare la produzione nazionale?
Produzione, detto tra parentesi, che non è certo tutta di alta qualità?
Siamo italiani e gli olivicoltori italiani sono i nostri partner naturali e perciò
non vogliamo sottrarci al confronto con loro.
Siamo sempre disponibili a valutare forme di collaborazione e ad operare a
favore del prodotto nazionale, ma sappiamo anche che il consumatore non è uno
stupido da imbrogliare e che il mercato ha regole e leggi che vanno rispettate,
pena l’insuccesso di qualsiasi iniziativa.
Ed industria e commercio pagano con i propri soldi l’insuccesso, fino al fallimento.
Ho ricordato che siamo italiani, anche se a leggere qualche articolo della
legge sembra che lo si metta in discussione; siamo sempre qui, disposti al confronto ed alla collaborazione, ma vorrei ricordare che per confrontarsi e per collaborare è necessario essere almeno in due!
Vi ringrazio per l’attenzione.
123
La tavola rotonda
COMUNICARE L’OLIO
Luigi Caricato1
1.Introduzione
Partiamo da un presupposto di fondo: comunicare è fondamentale. Tant’è che
oggi si avverte, molto più di ieri, la massima necessità e urgenza, anche in considerazione del fatto che la comunicazione sia diventata ormai materia ben più complessa e
rischiosa rispetto a un tempo, non facile da gestire ricorrendo ai consueti metodi cui si è
fatto solitamente ricorso.
Le condizioni sono mutate. Esiste oggi un tale sovraccarico di dati da comunicare
- espressi oltretutto con una velocità tale da rendere ciascun dato soggetto a rapido invecchiamento - che si corre perfino il rischio di non raggiungere efficacemente lo scopo,
o comunque di raggiungerlo male, con esiti a volte contrari a quelli previsti o attesi.
Il fatto è che i meccanismi della comunicazione si rinnovano in maniera così radicale da non trovare gli stessi operatori professionisti della comunicazione a stare al
passo con i tempi. Si pensi alla grande crisi dei giornali cartacei, all’incapacità di gestire
il nuovo corso dove con risorse limitate chi è più bravo e capace può ottenere risultati
migliori. La rivoluzione comunicativa è ormai in atto e le vecchie concezioni, pur poggiando su solide basi, non reggono più il confronto con le dinamiche e gli strumenti della
modernità.
In questa delicata fase di transizione, si è inevitabilmente venuto a creare un serio
problema di gestione dell’atto stesso del comunicare. Così, nel grande bailamme odierno, ci si trova proiettati in un contesto operativo nuovo, determinando una sorta di corto
circuito che favorisce alcuni e penalizza altri. Chi riesce a cogliere i nuovi meccanismi
della comunicazione, ne ottiene tutti i possibili vantaggi, pur assumendosi rischi di gran
lunga più devastanti. Per questo è necessario riformulare la comunicazione, in particolare in un settore come quello dell’olio che a tutt’oggi non conosce né si preoccupa
di sperimentare l’innovazione, soprattutto sul fronte dei linguaggi e dei diversi moduli
espressivi.
1 Scrittore e giornalista (www.luigicaricato.net), direttore di «Olio Officina Food Festival» (www.olioofficina.it), ha coniato l’accezione di «oleologo», termine presente nella banca linguistica della
Treccani e dell’Istituto per il lessico intellettuale europeo.
125
2.Andare oltre le consuetudini, inventare un nuovo percorso
Cambiare il linguaggio dell’olio, ecco cosa occorre fare prima di tutto. Il
mondo dell’olio attende ancora una serie di cambiamenti che fino ad oggi non ci
sono stati, se non episodicamente, e solo per libere e felici iniziative individuali,
portate avanti, seppur con successo, solo da parte di pochi pionieri. Iniziative lodevoli, ma che non hanno inciso sul tessuto sociale, determinando profondi cambiamenti, anche perché la restante parte del comparto, ovvero la maggioranza degli
operatori, non ha saputo, né forse voluto, condividere, emulare o ispirarsi a una
nuova visione del prodotto olio da olive secondo i canoni della modernità. Ci si è
ancorati alla tradizione concependola come un elemento stanziale, non proiettato
al futuro. C’è stata, e continua purtroppo ad esserci, una sorta di chiusura mentale.
Tanto che la maggioranza di coloro che si occupano a vario titolo di olio, si sono
come arroccati in difesa dell’esistente, a difesa di un passato che tuttavia non può
essere riproposto tal quale. L’atteggiamento di chiusura ha investito i linguaggi,
come pure le scelte adottate sul fronte dei modelli comunicativi. Per molti questa
difesa della tradizione è un punto fermo, perché temono che venga per certi versi
violata, mentre è vero il contrario: la tradizione si nutre di sperimentazioni continue e di proiezioni nel futuro. Così, paradossalmente, mentre oggi disponiamo
di oli senza dubbio migliori rispetto al passato, la qualità della comunicazione è
rimasta pesantemente indietro.
Un grave errore, perché oggi non è più tempo di stare ancorati al passato, inseguendo modelli desueti, in forte contrasto con la contemporaneità. Oggi
si rende invece necessario e urgente cambiare il linguaggio, con le sue modalità
espressive, anche perché le formule del passato ormai non comunicano più, né
emozioni, né tanto meno un sapere condiviso. Ci sono infatti espressioni ripetute
- e direi anche: riciclate - fino all’inverosimile, al punto da essere ormai vuote di significato e soprattutto di potenza evocativa. Si pensi per esempio a espressioni ardite come “olio artigianale” o, peggio, a richiami antidiluviani alla vetusta formula un tempo, in altra epoca, carta vincente per far colpo sul consumatore - del “pane
e olio”, oppure a formule, altrettanto abusate, come “prima spremitura a freddo”.
Sia ben chiaro, gustare del pane fresco immerso in un piatto d’olio soddisferà pure
il palato, come pure una efficacissima e calda bruschetta, ma quando si comunica
occorre sforzarsi di andare oltre, di inventarsi qualcosa di nuovo, pur riprendendo,
ma rimodulate, le formule classiche. C’è necessità di un respiro nuovo, di nuovi
percorsi. Finora ci si è concentrati sulla qualità della materia prima, ed è stato
sicuramente un bene; ora, tuttavia, è fondamentale investire in comunicazione per
126
La tavola rotonda
far percepire tale qualità sensoriale (in termini di apprezzamento olfattivo e gustativo) e nutrizionale (in termini salutistici e propriamente legati al benessere, in una
nuova visione, olistica, dell’olio da olive) ma occorre farlo nella giusta maniera, con
nuovi linguaggi e approcci, appunto. Invece è accaduto che in tutti questi anni, si
è continuato a far utilizzare l’olio, a crudo come in cottura, sempre secondo vecchie consuetudini e registri, per pura abitudine. Senza accorgersi, nel frattempo,
che l’olio ha cambiato profondamente aspetto, trasformandosi nella sua struttura
compositiva e nelle sue note sensoriali percepibili al momento dell’assaggio. Tale
mutamento di aspetto, esigeva, parallelamente, un approccio nuovo e discontinuo
con il passato, che invece non c’è stato.
3Ritrovare il senso del comunicare, rivoluzionando contenuti e
forme
Nel corso dell’ultimo ventennio, l’olio ricavato dalle olive ha assunto di fatto
tutta un’altra identità. A favorire tale processo innovativo è stato in parte l’ausilio
della tecnologia estrattiva, con le attenzioni maturate sul campo e la capacità di
realizzare grandi blend (oli ottenuti mescolando opportunamente oli di diversa provenienza, oppure oli dal diverso profilo sensoriale della medesima provenienza),
e, in parte, anche la valorizzazione della biodiversità. La qualità è riuscita così a
proiettarsi in avanti, ma a seguito di una cattiva, o scarsamente efficace comunicazione, non si è saputo trasmettere - né al consumatore, né al fruitore professionale
di tale materia prima, né tanto meno a chi l’olio lo acquista per poi rivenderlo a sua
volta - tale percorso virtuoso, che pur necessitava di essere dapprima spiegato, poi
reso comprensibile nelle sue dinamiche di utilizzo. Il risultato è che i prezzi degli
oli da olive sono costantemente al ribasso, e comunque sempre in promozione,
a testimonianza dell’incapacità, da parte del comparto, nel trasmettere - proprio
per mancanza di una comunicazione efficace - il valore di una qualità che pure si
presenta oggettivamente autentica e perfino unica e peculiare nei suoi tratti caratterizzanti. Così, paradossalmente, mentre oggi, con qualità in alcuni casi eccelse
i prezzi si sono tristemente sviliti, in passato, per contro, con oli di minor pregio, i
prezzi erano piuttosto elevati e remunerativi. Tale perdita di valore fa lanciare oggi
un grido di disperazione inascoltato. La terribile e lacerante contraddizione in cui
si trova il comparto oleario lascia ammutoliti e perplessi, anche perché, valutando
la natura degli acquisti, orientati come sono i consumatori espressamente al prezzo più conveniente, nessuno, al momento, sembra avere a cuore la qualità, anche
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quella nutrizionale. Sottraendo dignità all’olio extravergine di oliva, è inevitabile, di
conseguenza, che l’olio da olive perda in centralità e pregio, restando di fatto solo
un mero veicolo di sapore, un elemento aggregante e nulla più.
L’errore di trascurare i condimenti - e l’esempio calza, per estensione, anche per gli aceti - è dovuto a una comunicazione inefficace che ha determinato
un atteggiamento di pigrizia intellettuale che sembra a tutt’oggi non conoscere
soluzione, riflettendo immancabilmente sulle scelte dei consumatori. Per questo,
l’obiettivo futuro è salvare, attraverso una comunicazione diversa e discontinua
rispetto a passato, ciò che ad oggi viene in maniera indebita percepito come marginale e secondario. Non è un caso che i cuochi non si siano per nulla preoccupati di
riservare all’olio, e in generale ai condimenti, la medesima attenzione che invece
riservano ad altre materie prime. Pensate, per esempio, a quanti acquistano pesce fresco e di pregevole bontà senza badare a spese, salvo poi ricorrere a grassi
indistinti e anonimi, il più delle volte anche ossidati se non addirittura rancidi. Se
tutto ciò accade, non è solo per responsabilità dei cuochi o dei consumatori. La responsabilità più grande è in chi non ha saputo o voluto investire in comunicazione.
Per recuperare il valore perduto è necessario ritrovare il senso del comunicare,
rivoluzionando i contenuti e le forme del comunicare.
4.Un contesto operativo inedito, mai sperimentato in altre epoche
E’ evidente che il quadro in cui oggi si va operando non sia più il medesimo di
quello in cui ci si muoveva fino a qualche decennio fa. La comunicazione odierna è
come un vortice che divora tutto nel breve volgere dei minuti. Si assiste a un rapido
alternarsi di notizie, al punto da rendere alquanto complicato imporre una propria
linea di condotta. Nulla, dunque, può essere dato per scontato se l’obiettivo è comunicare con efficacia. I rischi di fallire sono sempre possibili. Occorre sempre
vigilare, verificando, fin dove è praticabile, ogni contenuto e forma della comunicazione. Anche gli stessi strumenti prescelti per veicolare il messaggio, oltre che il
pubblico cui destinare le informazioni, non possono essere sottovalutati. Nulla può
essere dettato dal caso. Un flusso eccessivo di messaggi, per lo più ripetitivi, non
sempre aiutano a comunicare meglio. Non è detto, infatti, che il bombardamento
di comunicazioni porti con sé buoni frutti. Tra l’altro, se una comunicazione viene
gestita male, si viene a creare in un primo tempo l’illusoria sensazione di dominare
la scena, ma poi, a conti fatti, si noterà che i riscontri o non arrivano, o possono
addirittura sortire effetti contrari alle intenzioni, nonostante possano esserci stati
128
La tavola rotonda
investimenti piuttosto onerosi. Ci vuole equilibrio, che forse è proprio ciò che più
manca. Si pensi alla comunicazione a sfondo negativo, incentrata su frodi e sofisticazioni, per esempio. Purtroppo nel corso degli ultimi anni si sta forzando un po’
la mano su tali problematiche, anche a livello istituzionale, concependo una serie
di messaggi allarmistici che certamente non giovano a una comunicazione serena.
Si proiettano, infatti, verso il mondo esterno una serie di allarmi in cui si mettono
sullo stesso piano le frodi commerciali con le sofisticazioni, con il risultato di ingenerare la cultura del sospetto. Per riparare a un’assenza ultra ventennale di una
strategia di comunicazione e di pianificazione commerciale, si sta facendo ricorso
a tematiche sensibili, riguardanti la sicurezza alimentare, perché sono effettivamente in grado di destare l’attenzione del consumatore. Anche se tale comunicazione viene fatta con il nobile proposito di orientare il consumatore nelle sue scelte
di acquisto, rendendolo più consapevole, in realtà con tale linea non accompagnata
da uno spirito educativo si ottiene solo un drammatico effetto boomerang, un classico della comunicazione a sfondo negativo, suscitando solo allarme. Forse è il
caso di riflettere sul modo di fare comunicazione, magari pensando al consumatore in maniera diversa, educandolo all’acquisto consapevole, ma senza forzature, e,
soprattutto, senza inutili sbavature e infelici allarmismi. Anche se, a ben riflettere,
sono in tanti oggi - e purtroppo anche in ambito istituzionale - forse per carenza di
una visione prospettica delle proprie azioni o, diversamente, per un cedimento culturale, che propendono volentieri per il sensazionalismo. La strada da percorrere
per trasmettere messaggi è sicuramente fascinosa quanto impervia. Alcuni si fermano all’aspetto più fascinoso e seducente della comunicazione, forzando spesso
la mano, talvolta per inconsapevoli ragioni ideologiche o per ignoranza. Non tutti
però si rendono conto che i disastri causati dagli errori della comunicazione prima
o poi si ripercuoteranno sul futuro.
5.Accanto ai rischi restano le grandi opportunità
Se i meccanismi della comunicazione sono piuttosto complessi e rischiosi,
rispetto al passato c’è da rilevare la concreta possibilità di poter oggi avere un
approccio diverso, più aperto e orizzontale, “democratico”. Esistono, d’altra parte,
strumenti nuovi, in continua evoluzione e non ancora sperimentati in tutta la loro
potenzialità espressiva. Si caratterizzano per essere di facile accesso, senza che
siano richiesti grandi investimenti, se non di idee, e talvolta nemmeno di queste si
ha bisogno, visto che è sufficiente coinvolgere il maggior numero di soggetti e farli
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interagire tra loro, pur con una sapiente regia che ne indirizzi le dinamiche. Nonostante le grandi opportunità che ne derivano, alcune precisazioni sono tuttavia
d’obbligo: comunicare non significa riempire uno spazio vuoto. Anche attraverso
il silenzio si può comunicare, perfino con l’assenza, certo, ma restando sempre
onnipresenti e vigili, soprattutto oggi che le dinamiche della comunicazione si fondano stabilmente sull’intreccio delle relazioni a livello planetario, tramite Internet
e i nuovi media. Non c’è altra soluzione, oltretutto. Si vive in una società globale. I ritmi sono velocissimi e incalzanti. E’ necessario giocoforza tenere il passo
vorticoso dei cambiamenti, senza tuttavia restarne schiacciati. La rivoluzione di
Internet è stata determinante. Ha comportato una vera rivoluzione, anche perché
ha permesso di superare ogni barriera, mettendo fortemente in crisi anche i Paesi
più ostativi nel concedere spazi e momenti di libera espressione ai propri cittadini.
Internet tuttavia è una giungla. E’ necessario conoscere bene i meccanismi per
non restarne imbrigliati o fallire il processo comunicativo. Cambia radicalmente
il modo di trasmettere messaggi. Rispetto al passato, sono cambiati gli scenari
di riferimento. Da una parte si registra una più alta scolarizzazione; dall’altra si
assiste a una moltiplicazione vertiginosa dei mezzi di comunicazione. Disporre di
tanti mezzi - va ribadito - non equivale ad avere la certezza di comunicare bene.
I mezzi non producono di per sé la comunicazione, soprattutto se dietro ai mezzi
non vi sono persone capaci, con un progetto solido e credibile. La grande quantità
di informazioni disponibili di fatto annulla o depotenzia i contenuti che si intendono
comunicare. I messaggi possono essere trasmessi senza che nessuno li colga o li
faccia propri. A fare la differenza sono, come al solito, i modi e i tempi del comunicare. Difficoltà a parte, gli strumenti oggi a disposizione sono tanti e tali da aver
messo ovunque in crisi i tradizionali mezzi di comunicazione. Il pubblico da raggiungere è diventato sempre più esteso ed esigente. Si chiedono contenuti certi e
chiari. Si chiede soprattutto un ruolo attivo nel processo comunicativo. La comunicazione, di conseguenza, richiede un alto grado di professionalità nel gestirla. Chi
non possiede le competenze per agire in modo appropriato, è destinato a perdere
terreno ed essere tagliato fuori dalle dinamiche sociali e professionali. Non è un
caso che quando negli Stati Uniti si svolgevano già a partire dagli anni Cinquanta
del Novecento i corsi di scrittura creativa o di pubbliche relazioni e ufficio stampa,
in molti in Europa sorridevano. Un grave errore, perché oggi paghiamo le conseguenze di un ritardo culturale che allora non avevamo compreso e che oggi non
abbiamo ancora colmato.
130
La tavola rotonda
6.
Lo stato della comunicazione nel mondo dell’olio
I mezzi di comunicazione oggi a disposizione sono dunque i più disparati.
Oltre a quelli tradizionali, fortemente in crisi, ve ne sono altri, di recente introduzione, sicuramente più incisivi, sia perché più vantaggiosi per i loro costi limitati,
sia perché più efficaci e determinanti sul piano dei risultati. Nonostante ciò, tali
nuovi mezzi di comunicazione non vengono utilizzati nel migliore dei modi per una
forma di radicato pregiudizio e resistenza di tipo culturale. Il problema di fondo,
sul quale è necessario intervenire in maniera convinta, resta la scarsa sensibilità
e attenzione da parte del mondo dell’olio nel suo insieme, a partire dalle stesse aziende, fino ad arrivare ai professionisti del settore. Tali realtà in effetti non
comunicano, oppure comunicano male. Non tutto è perduto. Qualche segnale di
ripresa lo si è registrato già nel corso degli ultimi anni, ma sono stati casi episodici
e isolati, non sufficienti per determinare una svolta. Una buona comunicazione
implica però un’azione programmata, unitaria e coesa. A tutt’oggi, un progetto di
comunicazione non è stato ancora elaborato. A scanso di equivoci, essere sensibili
alla comunicazione non significa limitarsi a trasmettere all’esterno qualcosa di sé
e del proprio mondo. E’ necessario saper leggere e interpretare le istanze e le esigenze della società, in modo da rispondere sollecitamente a tali attese. La comunicazione è d’altra parte un processo in costante evoluzione. Coloro che pensano
a un fenomeno statico, fondato su schemi fissi e replicabili, sbagliano. Credono di
comunicare, e qualcosa sicuramente comunicano, ma non traggono i riscontri cui
ambiscono. Il ritardo culturale dell’intero mondo agricolo in tutto ciò è abissale.
Sono necessarie nuove spinte propulsive, ma al momento tale esigenza non è ancora avvertita in maniera forte e concreta. Se la comunicazione non provoca reazioni, è segno che le notizie e le informazioni trasmesse non avevano la necessaria
forza comunicativa e, con ogni probabilità, nemmeno contenuti altrettanto forti.
Ciò non significa tuttavia che pur di suscitare l’attenzione si debba falsare la comunicazione. Sarebbe un errore gravissimo. Per comunicare ci si avvale di comunicati
stampa, come pure di pubblicazioni aziendali, brochure, siti Internet, blog, social
network, e certamente, non meno importanti, sono anche le tradizionali conferenze stampa, sempre utili se organizzate bene. La strategia degli eventi, attraverso
convegni, corsi, seminari di approfondimento e manifestazioni culturali o ricreative, è l’altra carta da giocare sul fronte comunicazione. Ebbene, nonostante ciò, il
mondo dell’olio resta ancora carente. A comunicare sono ancora in pochi. La figura
essenziale da cui non si può prescindere è quella dell’addetto stampa e, in alcuni
casi, anche del portavoce. La comunicazione non può essere d’altra parte lasciata
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al caso, ma va programmata ed eseguita in tutte le sue dinamiche da professionisti
esperti in grado di cogliere tutte le possibili novità e renderle di fatto delle opportunità concrete. Finora la comunicazione si è fondata sulla pura trasmissione di
dati. Il comunicato stampa continua a essere il mezzo cui si ricorre abitualmente,
ma non basta più, perché è necessario andare oltre. Andare oltre è possibile, anche perché c’è sempre un modo e un’occasione per inventare qualcosa di nuovo.
E’ necessario compiere uno sforzo creativo ulteriore che vada al di là dei consueti
mezzi a disposizione. Inventarsi qualcosa è sempre possibile. Nel mondo dell’olio
italiano, giusto per fare un esempio, ha fatto ormai storia la prestigiosa rivista «La
Riviera Ligure», primo house organ in Europa che ha visto la luce nel lontano 1895.
Disponendo oggi di tanti strumenti, soprattutto nell’era del web fruibile in ogni angolo di mondo, inventare nuove strade è l’unica soluzione percorribile per essere
davvero incisivi e guadagnare il consenso generale.
7.
L’obiettivo: superare i vecchi cliché
Per concludere tale percorso intorno alle modalità del comunicare con efficacia, ciò che conta sapere per raggiungere il non facile obiettivo di valorizzare
al meglio l’olio extravergine di oliva, è che diventa fondamentale uscire dai vecchi
cliché comunicativi. Le scene di raccolta delle olive a mano, la riproduzione di vecchie macine dei frantoi tradizionali, unitamente ai continui rimandi al passato, non
sono più proponibili o, per lo meno, non lo sono senza una loro rilettura e riattualizzazione. Per essere più incisivi, è necessario cambiare il linguaggio, come pure i
contenuti del messaggio, l’approccio con il prodotto, che deve diventare più diretto,
e lo stile stesso della comunicazione.
Una innovazione degna di attenzione è stata messa in atto con la campagna promozionale dell’olio «Bertolli», lanciata con successo nel 2000, quando la
proprietà del noto marchio apparteneva a «Unilever». Gli spot avevano Luciano De
Crescenzo quale testimonial. Puntavano al lancio delle referenze «Gentile», «Robusto» e «Fragrante». L’idea è stata in seguito imitata e riproposta anche da altre
aziende, e vanta tuttora il merito di aver saputo creare una segmentazione del gusto, resa popolare proprio in quanto si era ricorso al potente mezzo televisivo, oltre
che a un personaggio convincente e credibile. Non ha avuto analogo successo,
invece, a circa dieci anni di distanza, il tentativo di promuovere gli oli extravergini
di oliva made in Italy in tivvù da parte di un ente istituzionale. Lo spot, trasmesso
sul finire del 2009, si era rivelato deludente perché incapace di trasmettere emo-
132
La tavola rotonda
zioni, avendo tra l’altro utilizzato un linguaggio statico e toni autoreferenziali. Una
comunicazione efficace ha necessità invece di una buona inventiva e capacità di
sedurre e convincere. Visto che ancora resistono una serie di luoghi comuni e di
irrisolti pregiudizi intorno agli oli di oliva, occorre fare in modo che si punti a un
rovesciamento di rotta, ricorrendo a stili e linguaggi dirompenti, in grado di scardinare le convinzioni comuni, senza tuttavia far percepire tale forzatura a coloro i
quali si intende trasmettere il messaggio.
Passi falsi non possono più essere compiuti. L’obiettivo è arrivare in tempi
brevi a modernizzare l’immagine e la percezione del prodotto olio extravergine
di oliva presso il consumatore, senza con ciò rinunciare ai valori della tradizione.
Purtroppo, non tutta la filiera dell’olio di oliva è ancora pronta per tale operazione
di svecchiamento e discontinuità rispetto ai canoni di una tradizione che resta fine
a se stessa. Occorre far in modo di adoperare la capacità persuasiva di molti spot
pubblicitari, sempre affascinanti e seduttivi, come quelli realizzati dagli istituti di
credito. La gente non ama le banche, ed è consapevole che i propri risparmi di una
vita non vengano mai presi nella dovuta considerazione; eppure chiunque, guardando gli spot in tivvù, resta per certi versi ammaliato. Le perplessità, e talvolta
i pregiudizi, rimangono, ma lo spot rassicura e rasserena, ottenendo comunque
l’obiettivo di portare a sé l’interlocutore. La comunicazione premia chi è più consapevole dei linguaggi, più motivato e pronto a cogliere le opportunità. Prima di fissare le linee guida per entrare nei meccanismi dei media, sarebbe bene riflettere
su quale obiettivo puntare. Il comparto, specialmente quello della produzione, non
è ancora pronto a muoversi con le proprie gambe.
8.C’è ancora molta strada da fare
Proprio così, c’è ancora molta strada da fare. Le aporie riscontrate sul fronte della comunicazione si possono sintetizzare in un esempio tangibile, frutto di
un’indagine condotta da «Astra Ricerche» nel 2006, ma tuttora attuale nelle sue
evidenze. Dall’indagine in questione si evince molto chiaramente che, nonostante
le tante campagne di comunicazione in corso d’opera, qualcosa continua a non
dare esiti positivi: l’84% della popolazione italiana non è adeguatamente informata
sul tema della qualità degli oli. Ciò che ancora manca è il coinvolgimento attivo dei
consumatori, il non aver pensato a loro come a figure con le quali interagire. Si poteva invece ritagliare anche per loro un ruolo per nulla non secondario nell’attività
di comunicazione: per esempio, attraverso i social forum e i blog. Tale approccio
133
non è però avvenuto, nemmeno è stato pensato, se non eccezionalmente per alcuni casi isolati. Un errore imperdonabile e al quale si può ancora ovviare. Purtroppo,
occorre ammetterlo, fino ad oggi i consumatori hanno ricevuto dall’esterno solo
una serie di input ripetuti, e perfino ossessivi, ma imposti sempre dall’alto, senza
che minimamente si prospetti la possibilità di farli intervenire in prima persona,
così da verificare anche l’efficacia delle comunicazioni e il loro grado di percezione
e apprezzamento. E’ mancata, insomma, l’attenzione a invogliare i consumatori,
fino ad arrivare al punto da far diventare essi stessi parte attiva della comunicazione, facendo loro esprimere un giudizio sulla qualità degli oli e, soprattutto, sulle
applicazioni pratiche degli oli in relazione alle varie formulazioni alimentari, negli
utilizzi a crudo come in cottura. Ed è proprio per tale mancato coinvolgimento dei
consumatori che molti luoghi comuni e radicati e antichi pregiudizi sull’olio da
olive ancora resistono, restando incredibilmente irrisolti. Se ci fosse stata in tutti
questi anni una strategia di comunicazione organica, diversa e più efficace, non
staremmo certo qui a lamentarci della perdita di valore dell’olio extravergine di
oliva. Gli errori e le mancanze di prospettiva si pagano sempre a distanza.
134
La tavola rotonda
I CONTROLLI DELL’ISPETTORATO REPRESSIONE
FRODI (ICQRF) A TUTELA DELLA QUALITÀ DELL’OLIO
EXTRAVERGINE DI OLIVA ITALIANO
Luca Veglia1
1.Premessa
L’Ispettorato centrale della tutela della qualità e della repressione frodi dei
prodotti agroalimentari (ICQRF) opera nel comparto agroalimentare sin dal 1986,
anno in cui è stato istituito con la legge 426/86 con il nome di «Ispettorato centrale
repressione frodi», conferendo alla struttura le funzioni istituzionali di prevenzione
e repressione delle frodi sui prodotti alimentari e sui mezzi tecnici per l’agricoltura
(mangimi, sementi, fertilizzanti, fitofarmaci).
Il Dipartimento ICQRF, organo tecnico di controllo ufficiale del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali (MIPAAF), è organizzato in due Direzioni
Generali con articolazioni sul territorio dove operano 12 uffici ispettivi, con 17 sedi
distaccate, e 4 laboratori, con una sezione distaccata, incaricati delle attività analitiche di prima istanza e un laboratorio centrale che effettua analisi di revisione.
Nell’ambito dell’attività istituzionalmente demandata, il personale è Ufficiale o Agente di Polizia giudiziaria (P.G.), secondo il profilo professionale di appartenenza.
Tra i compiti di istituto sono preponderanti le attività di controllo volte a
contrastare illeciti e frodi, attuate mediante ispezioni presso gli operatori delle
differenti filiere, dirette alla verifica della qualità, genuinità e identità dei prodotti
agroalimentari e dei mezzi tecnici di produzione agricola.
Nel corso delle ispezioni sono prelevati anche campioni dei prodotti controllati, sottoposti in seguito ad analisi chimico-fisiche e, in alcuni casi, anche organolettiche utilizzando la propria rete di laboratori specializzati per settore merceologico.
Il controllo analitico, complementare a quello ispettivo, consente, mediante l’applicazione di metodiche comunitarie, nazionali o comunque riconosciute da
1 Direttore Ufficio Pref 1 - Direzione Generale della Prevenzione e del Contrasto alle Frodi Agroalimentari del MIPAAF.
135
organismi internazionali, la verifica delle caratteristiche di composizione qualiquantitativa dei prodotti e la loro conformità ai requisiti di legge e/o al dichiarato.
L’Ispettorato, inoltre, è stato individuato quale organo deputato a svolgere
le funzioni statali di vigilanza sugli organismi di controllo che operano nell’ambito
delle produzioni di qualità regolamentata da norme comunitarie e nazionali: prodotti alimentari, compresi i vini, che hanno ottenuto la denominazione d’origine
protetta (DOP) o l’indicazione geografica protetta (IGP) e le specialità tradizionali
garantite (STG); prodotti con metodo biologico; carni bovine e di pollame con etichettatura facoltativa in aggiunta a quella obbligatoria.
Altra funzione dell’ICQRF è l’irrogazione di sanzioni amministrative pecuniarie in materia agricola e agroalimentare di competenza statale. Quale autorità
competente, l’Ispettorato provvede all’applicazione, nelle materie di competenza,
di sanzioni amministrative a seguito di violazioni accertate da qualsiasi organismo
di controllo.
Nel corso degli anni, coerentemente con l’evoluzione degli orientamenti politici agroalimentari nazionali e comunitari e in considerazione della necessità di
salvaguardare e tutelare sempre di più la salute e gli interessi dei consumatori,
l’attività dell’Ispettorato è stata adeguata ai nuovi indirizzi.
In particolare, è stata rafforzata l’azione a tutela della qualità e della sicurezza agroalimentare, in linea con le politiche che attribuiscono ai prodotti di
qualità un’importanza strategica in grado di accrescere la capacità di penetrazione
dei mercati internazionali, incrementare i livelli di reddito delle imprese agricole
e alimentari e contrastare con maggiore efficacia la concorrenza sempre più agguerrita dei grandi Paesi esportatori di alimenti.
2.
L’attività operativa nel settore oleario
In quest’ottica si pongono i numerosi controlli che ogni anno l’Ispettorato dedica all’olio extravergine di oliva, prodotto di eccellenza dell’agroalimentare italiano che rappresenta uno dei biglietti da visita del made in
Italy e, pertanto, necessita di una particolare protezione rispetto alle sleali
pratiche commerciali e al contempo richiede controlli rigorosi per preservare
intatto il differenziale qualitativo che lo contraddistingue dalle produzioni di
altri Paesi.
Il decreto MIPAAF del 10 novembre 2009, recante «Disposizioni nazionali relative alle norme di commercializzazione dell’olio d’oliva» prevede che ai controlli
136
La tavola rotonda
previsti dal regolamento comunitario di riferimento, provveda l’ICQRF mediante
uno specifico piano annuale dei controlli che riguardi tutte le fasi della filiera.
In base a tale norma, i controlli vengono effettuati a campione, sulla base
dell’analisi del rischio che tiene conto dei criteri previsti dal reg. (CE) n. 882/2004
e degli ulteriori elementi informativi acquisibili dalle banche dati AGEA, l’Agenzia
che ha competenza in Italia per l’erogazione in agricoltura di aiuti, contributi, premi e interventi comunitari.
Vista l’importanza del settore dell’olio d’oliva, l’Ispettorato impegna nello
stesso un elevato quantitativo di risorse, come dimostrano l’elevato numero dei
controlli e, soprattutto, i pregevoli risultati operativi ottenuti negli ultimi anni grazie a un più completo approccio al fenomeno delle frodi alimentari.
Infatti, attraverso un’analisi del rischio settoriale molto approfondita e articolata che prende in considerazione molteplici fattori concernenti gli operatori
(provenienza del prodotto, quantitativi movimentati, prezzi di acquisto e vendita,
precedenti irregolarità accertate) e, sulla base della ricostruzione dei rapporti societari, vengono selezionati gli operatori presso i quali si eseguono dettagliati controlli di rintracciabilità. Vengono attenzionate, in particolare, le partite di olio extravergine di oliva introdotte dall’estero e quelle designate come «100% italiano».
Tale attività, in caso di particolari situazioni di mercato e considerata la rilevanza del settore oleario per l’economia italiana, viene svolta nell’ambito di un
apposito «Comitato tecnico» coordinato dall’ICQRF (costituito con D.M. 13 febbraio
2003, n. 44) che raggruppa tutti gli organismi di controllo che operano nel comparto agroalimentare: ICQRF, Comando Carabinieri Politiche agricole e alimentari,
Comando Generale delle Capitanerie di porto, Corpo forestale dello Stato, Guardia
di finanza, Comando Carabinieri per la tutela della salute, Polizia di Stato, Agenzia
delle dogane e Agenzia per le erogazioni in agricoltura (AGEA).
In seno al Comitato, a seguito di un’analisi del rischio condivisa, si selezionano congiuntamente i soggetti da controllare e l’attività operativa viene attuata
nell’ambito di uno specifico programma straordinario di controllo.
L’Ispettorato, inoltre, anche a prescindere dalle attività coordinate dal predetto Comitato tecnico, ha rafforzato le collaborazioni con gli altri organi di controllo che operano nel settore agroalimentare al fine di sfruttare le sinergie operative prodotte dalla complementarietà delle strutture, incrementando i controlli
nei punti di ingresso delle merci al fine di monitorare la qualità degli oli in entrata
nel nostro Paese.
Ulteriore e innovativo strumento di cui dispone l’Ispettorato per una migliore azione di contrasto delle frodi è l’Osservatorio antifrode, costituito in collabora-
137
zione con l’Istituto nazionale di economia agraria (INEA) nell’ambito di un progetto
di ricerca, con lo specifico scopo di acquisire informazioni utili all’individuazione
dei fattori che aumentano il rischio di frode nei settori merceologici di competenza
e pervenire alla definizione di specifici indicatori di rischio.
L’Osservatorio è costituito da esperti del mondo universitario e della ricerca
e da tecnici specializzati dell’ICQRF, allo scopo di riunire competenze giuridiche,
economiche, tecnologiche, analitiche e operative, che effettuano un approfondito
e completo confronto su temi connessi con l’evoluzione normativa, l’analisi delle
dinamiche di mercato, le innovazioni tecnologiche e le metodologie di controllo, al
fine di rendere più efficienti ed efficaci le attività di controllo, ispettivo e analitico, e
favorire l’individuazione e il contrasto di nuove tipologie di frode.
3.
I risultati operativi
Nella tabella 1 si riportano i risultati operativi dell’anno 2012, conseguiti
dall’Ispettorato nel settore oleario.
Tabella 1 - I risultati operativi dell’ICQRF, 2012
Attività ispettiva
Settore oleario
4.411
27.107
16,3
Operatori controllati
3.908
24.106
16,2
di cui irregolari (%)
12,5
15,8
8.161
58.200
14
di cui irregolari
595
5.466
di cui irregolari (%)
7,3
9,4
945
8.262
11,4
465
67
911
7,4
29
62
531
11,7
19.321.370
44.790.702
43,1
Notizie di reato
69
312
22,1
Contestazioni
amministrative
482
5.432
8,9
Prodotti controllati
di cui anche panel
Campioni irregolari
di cui irregolari al panel
Sequestri
Valore dei sequestri (euro)
Risultati operativi
138
Oleario/ totale (%)
Ispezioni
Campioni analizzati
Attività analitica
Totale
La tavola rotonda
Si può notare che, rispetto al totale delle ispezioni nell’intero comparto
agroalimentare, oltre il 16% ha riguardato il settore oleario mentre, per quanto
concerne le irregolarità di natura penale, si osserva che quelle accertate nel citato
settore rappresentano oltre il 22% del totale.
Un altro dato interessante riguarda il valore dei prodotti sequestrati, oltre
18,5 milioni di euro, pari al 43% del totale, dovuto all’imponente sequestro di oltre
8.000 tonnellate di olio designato come extravergine di oliva effettuato nei confronti di un’azienda di rilevanza nazionale, con sede e stabilimento in Castellina Scalo
nel Comune di Monteriggioni (SI), nell’ambito della c.d. «operazione Arbequino».
Tale attività merita un approfondimento per aver reso evidente un fenomeno sospettato da tempo che, attraverso un articolato sistema di miscelazione di partite
di olio extravergine di oliva con altre non in possesso dei requisiti per essere designate tali, consentiva di ottenere un prodotto finale formalmente in regola.
4.
L’«operazione Arbequino»: un caso studio
L’attività investigativa, condotta su delega della Procura della Repubblica di
Siena in collaborazione con il Nucleo di Polizia tributaria della Guardia di finanza
di Siena, è stata svolta utilizzando diversi strumenti di indagine.
All’operazione è stato attribuito il nome di una varietà di olive da olio (Arbequìn) molto diffusa in Andalusia, caratterizzata per la sua alta e costante produttività oltre che per le buone caratteristiche organolettiche, il cui prodotto è stato
utilizzato per compiere la frode (Box 1).
Box 1 - L’«operazione Arbequino» in sintesi
• Sequestrati 81.640 quintali totali di olio extravergine e vergine comunitario e nazionale (di cui 4.490
quintali presso clienti).
• Valore del sequestro: 18.632.000 euro.
• Eseguiti 6 ordini di custodia cautelare.
• Declassati a comunitario 17.306,45 quintali di olio extravergine di oliva dichiarati italiano e greco.
• Declassati a lampante 6.795,26 quintali di olio extravergine e vergine di oliva
Nel corso dell’ispezione sono stati rinvenuti, all’interno del laboratorio
chimico dell’azienda, alcuni quaderni manoscritti riportanti annotazioni di “tagli”
di oli diversi e “distinte base” sulle quali erano indicate, in codice, le istruzioni
139
per l’ottenimento di masse di olio che veniva rivendicato come olio extravergine
d’oliva.
Lo studio dei documenti acquisiti, attuato con la fattiva collaborazione di Ufficiali di P.G. dell’Amministrazione centrale ICQRF, ha portato alla luce un meccanismo fraudolento, in atto sin dal 2010, basato su una prassi molto estesa utilizzata
dall’azienda, con artifizi documentali ed anche illeciti assemblaggi tra prodotti oleari
non aventi requisiti per la categoria extravergine e/o di diversa origine geografica
rispetto a quanto dichiarato nel registro ufficiale di carico/scarico del SIAN (Sistema
Informativo Agricolo Nazionale).
Più in particolare, si è proceduto alla consultazione e verifica della documentazione rinvenuta nel corso delle attività di perquisizione locali e informatiche, i cui
estremi (date, quantità, categorie, fornitori e clienti) sono stati sistematicamente incrociati con le scritture ufficiali in seno al registro telematico SIAN.
Per quanto riguarda l’attività di perquisizione locale, particolare attenzione è
stata indirizzata alla ricerca della documentazione extracontabile (agende, schede di
lavoro, appunti manoscritti, ecc.) mentre la ricerca informatica sui personal computer è stata orientata alla posta elettronica e alle cartelle e/o file di lavoro.
Un’attività importante ha riguardato la valutazione delle risultanze analitiche
ed organolettiche dei prodotti oleari sfusi prelevati nel corso dell’ispezione dei luoghi.
Anche in considerazione dell’irripetibilità dell’accertamento, il prelevamento
è stato svolto sulla scorta di un protocollo tecnico operativo, redatto dai funzionari
dell’ICQRF, approvato preventivamente dall’Autorità giudiziaria.
Mediante le informazioni acquisite nel corso dell’attività d’indagine sono stati
preventivamente individuati i serbatoi contenenti le materie prime (acquistate tal
quali da fornitori nazionali ed esteri e non ancora miscelate) e i serbatoi contenenti,
invece, olio extravergine d’oliva già assemblato in partite pronte per la commercializzazione a favore di terzi soggetti imbottigliatori. Ciò ha permesso di mirare il
prelevamento degli oli e di individuare quelli non conformi (analiticamente e/o organoletticamente) ma formalmente presenti come oli extravergini di oliva, rispetto alle
partite già assemblate e, pertanto, rese conformi ai requisiti (acidità, perossidi, alchil
esteri, stigmastadieni, ecc.) previsti dalla disciplina comunitaria vigente.
L’attività di prelevamento e analisi si è svolta in collaborazione con l’Agenzia
delle dogane.
Le attività investigative hanno portato alla formulazione di un’ipotesi di reato
comprendente l’associazione a delinquere, la falsità in registri e documenti, la vendita di sostanze non genuine come genuine e la frode in commercio aggravata (artt.
140
La tavola rotonda
416, 484, 515, 516, 517 bis c.p.), essenzialmente configurabile in due condotte illecite
finalizzate all’ottenimento di masse di:
a) prodotti oleari documentalmente designati come extravergine di oliva ma
ottenuti con materie prime di categoria inferiore, nella fattispecie oli lampanti; tale
attività di assemblaggio - mediante la media ponderata dei valori analitici - portava
alla commercializzazione di masse di olio extravergine di oliva rese conformi ma
ottenute a partire da materie prime non utilizzabili nel processo di ottenimento della
categoria extravergine di oliva. Per tale motivo sono stati sequestrati circa 42.150
quintali di olio extravergine di oliva comunitario risultante dall’illecita miscelazione;
b) olio extravergine di oliva falsamente dichiarato «100% italiano» ma ottenuto dalla miscelazione indistinta di oli di origine spagnola (in particolare provenienti
dalla varietà Arbequino) e greca, venduto a numerose ditte imbottigliatrici ad un
prezzo assolutamente in linea con le aspettative del mercato nazionale, producendo,
anche in questo caso, l’effetto falsato tra qualità e prezzo; per tale motivo sono stati
sequestrati circa 35.000 quintali di olio extravergine di oliva risultante dall’illecita
miscelazione.
Sono stati, inoltre, puntualmente individuati e sequestrati complessivi 4.490
quintali di olio extravergine di oliva comunitario e italiano proveniente dall’illecita
attività, commercializzati a favore di tre imbottigliatori italiani.
5.Ulteriori attività svolte nel comparto dall’ICQRF nel primo
trimestre 2013
Per quanto concerne, invece, i più rilevanti risultati operativi conseguiti nel
primo periodo del 2013, su delega della Procura della Repubblica di Trani, in collaborazione con il Nucleo di Polizia tributaria della Guardia di finanza di Andria e
l’Agenzia delle dogane, l’Ispettorato ha condotto nel mese di febbraio un’imponente operazione in Puglia e Calabria nel corso della quale sono state eseguite 37
perquisizioni e sequestrate 420 tonnellate di olio falsamente dichiarato «made in
Italy» per un valore di oltre un milione di euro.
6. Conclusioni
Dalle considerazioni formulate e dai dati esposti emerge l’elevata attenzione
che l’Ispettorato dedica al settore dell’olio d’oliva, ritenuto strategico per l’econo-
141
mia agricola dell’Italia anche in relazione alle funzioni di tutela ambientale che
l’olivicoltura è in grado di svolgere in determinati territori.
I considerevoli risultati operativi raggiunti negli ultimi anni dall’Ispettorato
sono dovuti anche alle notevoli risorse dedicate allo studio dei fenomeni fraudolenti in atto nel nostro Paese, utilizzando le banche dati disponibili tra le quali, nel
settore oleicolo, riveste fondamentale importanza quella gestita da AGEA.
Tale attività di analisi si è tradotta in controlli più mirati e in un maggior
numero di azioni di particolare rilevanza, rese possibili da un approccio globale
al fenomeno delle frodi grazie a una sempre più approfondita analisi del rischio
effettuata dagli uffici e a un’instancabile attività di ricerca effettuata nei laboratori
specializzati dell’Ispettorato per rilevare le nuove frodi emergenti.
Le azioni di particolare rilevanza sono state spesso operate congiuntamente
con altri organismi di controllo al fine di sfruttare al massimo le sinergie operative, con risultati di elevato spessore dal punto di vista del contrasto alle frodi e alle
forme di sleale concorrenza sul mercato, nonché della tutela dei consumatori.
Particolarmente efficace ai fini dei controlli si è rivelata la collaborazione
con le Capitanerie di porto, grazie al supporto fornito nel corso dei controlli in area
portuale, e con la Guardia di finanza, per la perfetta integrazione raggiunta nel
corso delle attività di indagine e il recupero di notevoli risorse sottratte al bilancio
dello Stato.
142
La tavola rotonda
Le iniziative della Regione Toscana a supporto del settore
Luciano Zoppi1
1.Introduzione
La Toscana vanta certamente un’elevata reputazione, a livello nazionale e
internazionale, sulla qualità dell’olio di oliva, grazie alle caratteristiche climatiche
del suo territorio, ma anche per la grande professionalità e la passione dedicata a
questo prodotto da una moltitudine di operatori, piccoli e grandi (olivicoltori, frantoiani, commercianti, ristoratori, ecc.) e per una tradizione secolare fatta di illuminati scienziati e imprenditori, di mezzadria, di stretti rapporti fra città e campagne.
Oggi la Toscana si trova a dover difendere e consolidare tale reputazione a
fronte di una accentuata competitività, sia sui mercati globali dove emergono sempre nuovi Paesi produttori, che sul mercato interno, dove si assiste ad una rapida
crescita, anche in termini qualitativi, di determinate regioni e aree olivicole.
E’ forse anche grazie alla grande reputazione della Toscana per la qualità
dell’olio di oliva, che sul territorio regionale si è sviluppata, oltre all’olivicoltura,
anche una consolidata e diffusa attività di confezionamento e commercializzazione dell’olio di oliva, con la presenza di alcuni stabilimenti di primaria rilevanza, a
livello nazionale e internazionale.
A tale proposito si può evidenziare che in Toscana vengono prodotte quantità
di olio relativamente modeste (circa il 3-4% del totale nazionale), mentre le quantità di olio confezionato in Toscana risultano pari a oltre dieci volte l’olio prodotto
in regione. Purtroppo, l’integrazione tra le imprese di confezionamento e la fase
agricola della filiera è in generale piuttosto scarsa.
La fama dell’olio extravergine di oliva nel mondo ha causato negli anni anche diffusi casi di imitazione, cioè di prodotti che sfruttano il tuscan sounding, in
analogia a quanto avviene anche a livello nazionale con l’italian sounding2. Questo
fenomeno risulta più diffuso soprattutto nei mercati più distanti, ma alcuni casi di
1 Funzionario Regione Toscana, Settore produzioni agricole vegetali.
2
Il fenomeno dell’italian sounding riguarda la vendita di prodotti che “suonano” come italiani, grazie
a nomi e immagini che richiamano l’Italia, ma che in realtà di made in Italy hanno ben poco o nulla.
143
imitazione si riscontrano anche a livello locale. Per contrastare questi fenomeni e,
più in generale, le svariate irregolarità che emergono nel settore degli oli di oliva,
risulta determinante rafforzare le collaborazioni tra le varie autorità che esercitano i controlli. In tal senso la Regione Toscana ha promosso alcune iniziative finalizzate proprio a rendere più incisive, efficaci e coordinate le attività degli organi di
controllo.
Forse anche per reagire ai diffusi fenomeni di imitazione scorretta, in Toscana si è puntato, più che in altre regioni, sulle denominazioni d’origine protette
(DOP) e sulle indicazioni geografiche protette (IGP), fin dalla loro introduzione
avvenuta ormai diversi anni fa. In proposito si evidenzia che l’IGP Toscano e le
quattro DOP riconosciute sul territorio regionale (Chianti Classico, Terre di Siena, Lucca e Seggiano) rappresentano mediamente circa il 30-40% dei quantitativi
di olio extravergine di oliva certificato DOP e IGP a livello nazionale.
Purtroppo anche le DOP e le IGP non hanno per ora prodotto tutti gli effetti
sperati al momento della loro introduzione, in termini di differenziale di prezzo
rispetto alle produzioni non certificate, e anche l’olivicoltura toscana si trova attualmente in grandi difficoltà, come molte altre olivicolture nazionali, soprattutto
a causa dei costi di produzione troppo elevati rispetto ai prezzi di mercato.
2.
Il tavolo della filiera olivicolo-olearia regionale
A fronte di tali difficoltà, che si sono particolarmente aggravate nelle ultime campagne olearie, l’assessore regionale all’agricoltura, Gianni Salvadori, ha
riunito intorno ad un apposito tavolo tutti i rappresentanti della filiera olivicola
olearia, al fine di affrontare le principali problematiche che affliggono da tempo
questo settore, che per la Regione Toscana riveste una grande importanza, sia
dal punto di vista produttivo che da quello ambientale e paesaggistico. Il tavolo si
è riunito quattro volte tra il 2011 e il 2012 e, sulla base delle proposte presentate
in tali riunioni, sono state individuate le linee di intervento e le iniziative da intraprendere per il settore olivicolo ed oleario regionale, alcune delle quali sono già
state realizzate o sono in corso di realizzazione.
Dal tavolo di filiera è emersa sostanzialmente la necessità di operare su due
fronti principali di intervento: da un lato cercare di ridurre i costi di produzione,
che sono mediamente molto elevati, dall’altro perseguire una sempre maggiore
valorizzazione dei prodotti.
La riduzione dei costi richiederebbe soprattutto una maggiore meccanizza-
144
La tavola rotonda
zione della potatura e della raccolta, che sono le operazioni colturali che assorbono più tempo. Purtroppo, però, lo sviluppo della meccanizzazione è ostacolato,
in molte situazioni, sia dalla presenza di oliveti obsoleti e non razionali che dalle
ridotte dimensioni della maggior parte delle aziende. Laddove le condizioni lo consentono sarebbero quindi necessari interventi di ristrutturazione degli oliveti esistenti o la realizzazione di nuovi oliveti razionali. Purtroppo, si registra uno scarso
interesse da parte delle aziende ad investire in un’attività attualmente poco redditizia. Alcuni miglioramenti più limitati possono comunque essere ottenuti anche
nei vecchi oliveti, attraverso l’introduzione di piccole macchine agevolatrici.
Un altro ambito di lavoro individuato dal tavolo di filiera per cercare di ridurre i costi di produzione è quello della gestione dei sottoprodotti della lavorazione delle olive (acque di vegetazione e sanse). Le destinazioni prevalenti di tali
sottoprodotti (utilizzazione agronomica e sansificio) comportano, infatti, dei costi
crescenti o danno luogo a ricavi sempre più ridotti, che in definitiva si traducono in
un aumento dei costi del servizio di frangitura per gli olivicoltori.
Recentemente sono state avviate, anche in Toscana, alcune interessanti
esperienze innovative finalizzate ad una migliore valorizzazione dei sottoprodotti della lavorazione delle olive e in particolare delle sanse (per la produzione di
biogas, per la produzione di substrati per il vivaismo, ecc.). Tuttavia queste nuove
utilizzazioni si sono scontrate talvolta con interpretazioni non univoche, da parte
delle autorità preposte ai controlli ambientali, della normativa di riferimento, in
particolare per quanto riguarda la distinzione tra sottoprodotti e rifiuti.
La Regione Toscana si è quindi fortemente impegnata per ottenere un chiarimento giuridico che consenta di inquadrare con certezza i reflui della lavorazione
delle olive (acque di vegetazione, sanse, foglie) tra i sottoprodotti (e non tra i rifiuti)
anche qualora destinati ad impieghi alternativi.
Sul fronte della valorizzazione delle produzioni, il tavolo di filiera ha individuato l’esigenza di iniziative di informazione e comunicazione volte a far crescere
la consapevolezza dei consumatori, ma anche di iniziative di carattere promozionale finalizzate ad aumentare la penetrazione e la competitività delle produzioni
regionali sui mercati interno ed estero, con particolare attenzione per quei segmenti di mercato interessati all’acquisto di prodotti di elevata qualità e tipicità.
In tal senso la Regione Toscana, in accordo con Unioncamere Toscana
e attraverso Toscana Promozione e Metropoli - Azienda Speciale della Camera
di Commercio di Firenze - ha organizzato già due edizioni (nel 2011/2012 e nel
2012/2013) della «Selezione regionale degli oli extravergini di oliva DOP e IGP», al
fine di promuovere il prodotto regionale in Italia e all’estero.
145
Altre iniziative scaturite dai lavori del tavolo di filiera, alcune delle quali
sono già state realizzate o sono in corso di realizzazione, riguardano l’ambito dei
controlli, al quale si è già accennato precedentemente, quello della ricerca e quello della formazione, informazione e comunicazione.
3.Gli strumenti di sostegno al settore
Per tutti gli investimenti che interessano la filiera olivicola-olearia gli strumenti di sostegno consistono principalmente nel Piano di sviluppo rurale (PSR) e
in particolare nei Progetti Integrati di Filiera (PIF).
In proposito si ricorda che già nel primo bando regionale attuativo dei PIF,
nel 2011, sono stati finanziati due progetti della filiera olivo-oleicola, attualmente
in corso di realizzazione, che prevedono investimenti per un importo complessivo
di euro 5.654.994 ed un contributo pubblico pari a euro 2.396.318.
Sul secondo bando PIF, nel 2012, sono stati finanziati ulteriori tre progetti
relativi alla filiera olivo-oleicola, per la quale il bando aveva previsto un’apposita
riserva di fondi, per un importo complessivo di investimenti previsti pari ad euro
9.297.841 ed un contributo pubblico di euro 4.338.332.
Complessivamente, quindi, i due bandi PIF consentiranno di attivare 5 progetti nella filiera olivo-oleicola regionale per quasi 15 milioni di euro, sostenendoli
con un contributo pubblico di quasi 7 milioni di euro.
146
Allegato
LEGGE 14 gennaio 2013, n. 9
Norme sulla qualità e la trasparenza della filiera degli oli di oliva vergini.
(13G00030)
(GU n.26 del 31-1-2013)
Vigente al: 1-2-2013
Capo I
NORME SULLA INDICAZIONE DELL’ORIGINE E
CLASSIFICAZIONE DEGLI OLI DI OLIVA VERGINI
La Camera dei deputati ed il Senato della Repubblica hanno approvato;
IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
Promulga
la seguente legge:
Art. 1
Modalità per l’indicazione di origine
1. L’indicazione dell’origine degli oli di oliva vergini prevista dall’articolo 4 del decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali 10 novembre 2009,
pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 12 del 16 gennaio 2010, deve figurare in modo
facilmente visibile e chiaramente leggibile nel campo visivo anteriore del recipiente, in modo da essere distinguibile dalle altre indicazioni e dagli altri segni grafici.
2. L’indicazione dell’origine di cui al comma 1 è stampata sul recipiente o sull’etichetta ad esso apposta, in caratteri la cui parte mediana è pari o superiore a 1,2
mm, ed in modo da assicurare un contrasto significativo tra i caratteri stampati e
lo sfondo.
3. In deroga al comma 2, i caratteri di cui al medesimo comma possono essere
stampati in dimensioni uguali a quelli della denominazione di vendita dell’olio di
oliva vergine, nel medesimo campo visivo e nella medesima rilevanza cromatica.
4. Nel caso di miscele di oli di oliva estratti in un altro Stato membro dell’Unione
europea o in un Paese terzo, l’indicazione dell’origine di cui al comma 1 è imme-
149
diatamente preceduta dall’indicazione del termine «miscela», stampato ai sensi
dei commi 2 e 3 e con diversa e più evidente rilevanza cromatica rispetto allo sfondo, alle altre indicazioni ed alla denominazione di vendita.
5. L’indicazione di cui al comma 4 lascia impregiudicata l’osservanza dell’articolo
4, commi 3 e 4, del citato decreto ministeriale 10 novembre 2009.
Art. 2
Comitato di assaggiatori
1. All’articolo 43 del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni,
dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al comma 1-ter, l’ultimo periodo è soppresso;
b) dopo il comma 1-ter sono inseriti i seguenti:
«1-ter.1. Il capo del comitato di assaggiatori è il responsabile dell’organizzazione e
del funzionamento dell’accertamento di cui al comma 1-ter e ha il compito di convocare gli assaggiatori nel giorno e nell’orario stabiliti per intervenire alla prova. Egli
è responsabile dell’inventario degli utensili, della loro pulizia, della preparazione e
codificazione dei campioni per eseguire la prova.
1-ter.2. Al fine di effettuare l’accertamento di cui al comma 1-ter, le analisi sono effettuate su identici lotti di confezionamento, procedendo al prelievo dei campioni in
base alle seguenti modalità:
a) la quantità di campioni contenuta in ciascun bicchiere per l’assaggio degli oli
deve essere di 15 ml;
b) i campioni di olio per l’assaggio nei bicchieri devono avere una temperatura
equivalente a 28° C p2° C.
1-ter.3. L’assaggiatore, per partecipare ad una prova organolettica di oli d’oliva vergini, oltre ad essere iscritto nell’elenco nazionale di cui al comma 1-ter, deve altresì:
a) essersi astenuto dal fumo da almeno trenta minuti prima dell’ora stabilita per
la prova;
b) non aver utilizzato profumi, cosmetici o saponi il cui odore persista al momento
della prova, nonché sciacquare e asciugare le mani ogni volta sia necessario per
eliminare qualsiasi odore;
c) non aver ingerito alcun alimento da almeno un’ora prima dell’assaggio.
1-ter.4. Qualora l’assaggiatore, al momento della prova, si trovi in condizioni di inferiorità fisiologica tali da comprometterne il senso dell’olfatto o del gusto, o in condizioni psicologiche alterate, deve darne comunicazione al capo del comitato, il quale
ne dispone l’esonero dal lavoro.
1-ter.5. Ai fini della validità delle prove organolettiche è redatto un verbale dal quale
150
devono risultare i seguenti elementi:
a) numero del verbale;
b) data e ora del prelevamento dei campioni;
c) descrizione delle partite di olio, con riferimento al quantitativo, alla provenienza del relativo prodotto, alla tipologia, ai recipienti;
d) nominativo del capo del comitato di assaggio responsabile della preparazione e della codificazione dei campioni ai sensi dell’allegato XII in materia
di valutazione organolettica dell olio di oliva vergine, di cui al regolamento
(CEE) n. 2568/91 della Commissione, dell’11 luglio 1991, e successive modificazioni;
e) attestazione dei requisiti dei campioni di cui al comma 1-ter.2;
f) nominativi delle persone che partecipano all’accertamento come assaggiatori;
g) dichiarazione attestante il rispetto delle condizioni per intervenire in una
prova organolettica di cui al comma 1-ter.3;
h) orario di inizio e di chiusura della procedura di prova».
Art. 3
Ulteriore modifica all’articolo 43 del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134
1. All’articolo 43 del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, dopo il comma 1-bis è inserito il seguente:
«1-bis.1. Al fine di assicurare ai consumatori la possibilità di individuare gli oli
che presentano caratteristiche migliori di qualità, per gli anni 2013, 2014 e 2015,
nell’ambito delle attività di controllo e di analisi degli oli di oliva vergini nella cui
designazione di origine sia indicato il riferimento all’Italia, le autorità preposte che
procedono alla ricerca del contenuto di alchil esteri più metil alchil esteri rendono
note le risultanze delle analisi, che sono pubblicate ed aggiornate mensilmente
in un’apposita sezione del portale internet del Ministero delle politiche agricole
alimentari e forestali. All’attuazione degli adempimenti previsti dal presente comma l’amministrazione interessata provvede con le risorse umane, finanziarie e
strumentali disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori
oneri per la finanza pubblica».
151
Capo II
NORME SULLA TRASPARENZA E
SULLA TUTELA DEL CONSUMATORE
Art. 4
Divieto di pratiche commerciali ingannevoli
1. Una pratica commerciale è ingannevole, in conformità agli articoli 21 e seguenti
del codice del consumo, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, quando
contiene indicazioni che, anche attraverso diciture, immagini e simboli grafici, evocano una specifica zona geografica di origine degli oli vergini di oliva non corrispondente alla effettiva origine territoriale delle olive.
2. È altresì ingannevole la pratica commerciale che, omettendo indicazioni rilevanti
circa la zona geografica di origine degli oli di oliva vergini, può ingenerare la convinzione che le olive utilizzate siano di provenienza territoriale diversa da quella effettiva.
3. È ingannevole attribuire valutazioni organolettiche agli oli di oliva diversi dagli
oli extravergini e comunque indicare attributi positivi non previsti dall’allegato XII in
materia di valutazione organolettica dell’olio di oliva vergine, di cui al regolamento
(CEE) n. 2568/91 della Commissione, dell’11 luglio 1991, e successive modificazioni.
Art. 5
Illiceità dei marchi
1. Non possono costituire oggetto di registrazione come marchio d’impresa i segni
idonei ad ingannare il pubblico sulla provenienza geografica delle materie prime
degli oli di oliva vergini.
2. I marchi registrati per i quali sopravvengano le caratteristiche di cui al comma
1 decadono per illiceità sopravvenuta ai sensi dell’articolo 26 del codice della proprietà industriale, di cui al decreto legislativo 10 febbraio 2005, n. 30. La decadenza
è dichiarata con le procedure di cui al citato decreto legislativo n. 30 del 2005.
3. Nelle ipotesi di cui al comma 2, il titolare del marchio ha l’obbligo di dare notizia
della decadenza e dei relativi motivi di illiceità, a proprie spese, su almeno due
quotidiani a diffusione nazionale.
4. Il titolare di un marchio decaduto ai sensi del presente articolo deve avviare immediatamente le procedure per ritirare dal mercato i prodotti contrassegnati dal
marchio medesimo, assicurandone il completo ritiro entro un anno dalla dichiarazione di decadenza.
152
Art. 6
Ipotesi di reato connesse alla fallace indicazione nell’uso del marchio
1. All’articolo 4 della legge 24 dicembre 2003, n. 350, dopo il comma 49-ter è inserito il seguente:
«49-quater. Fatto salvo quanto disposto dal comma 49-ter e fatte salve le sanzioni di cui all’articolo 16, comma 4, del decreto-legge 25 settembre 2009, n.
135, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 novembre 2009, n. 166, la fallace indicazione nell’uso del marchio, di cui al comma 49-bis, è punita, quando
abbia per oggetto oli di oliva vergini, ai sensi dell’articolo 517 del codice penale».
Art. 7
Termine minimo di conservazione e presentazione
degli oli di oliva nei pubblici esercizi
1. Il termine minimo di conservazione entro il quale gli oli di oliva vergini conservano le loro proprietà specifiche in adeguate condizioni di trattamento non può
essere superiore a diciotto mesi dalla data di imbottigliamento e va indicato con la
dicitura «da consumarsi preferibilmente entro» seguita dalla data.
2. Gli oli di oliva vergini proposti in confezioni nei pubblici esercizi, fatti salvi gli usi
di cucina e di preparazione dei pasti, devono possedere idoneo dispositivo di chiusura in modo che il contenuto non possa essere modificato senza che la confezione
sia aperta o alterata, ovvero devono essere etichettati in modo da indicare almeno
l’origine del prodotto ed il lotto di produzione a cui appartiene.
3. La violazione del divieto di cui al comma 1 comporta l’applicazione al titolare
del pubblico esercizio di una sanzione amministrativa da € 1.000 a € 8.000 e la
confisca del prodotto.
4. All’articolo 4 del decreto-legge 10 gennaio 2006, n. 2, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 marzo 2006, n. 81, i commi 4-quater e 4-quinquies sono
abrogati.
153
Capo III
NORME SUL FUNZIONAMENTO DEL MERCATO
E DELLA CONCORRENZA
Art. 8
Poteri della Autorità garante della concorrenza e del mercato in materia di
intese restrittive nel mercato degli oli di oliva vergini
1. L’Autorità garante della concorrenza e del mercato, in conformità ai poteri ad
essa conferiti dalla legge 10 ottobre 1990, n. 287, vigila sull’andamento dei prezzi
e adotta atti idonei a impedire le intese o le pratiche concordate tra imprese che
hanno per oggetto o per effetto di ostacolare, restringere o falsare in maniera consistente la concorrenza all’interno del mercato nazionale degli oli di oliva vergini
attraverso la determinazione del prezzo di acquisto o di vendita del prodotto.
2. L’Autorità garante della concorrenza e del mercato svolge il potere di vigilanza
di cui al comma 1 sulla base di informazioni fornite dall’Agenzia delle dogane e
resenta annualmente al Parlamento una propria relazione.
Art. 9
Ammissione al regime di perfezionamento attivo per gli oli di oliva vergini
1. Al fine di prevenire le frodi nell’applicazione del regime di perfezionamento
attivo, l’ammissione al medesimo regime, quando la richiesta abbia per oggetto
oli di oliva vergini, è subordinata alla previa autorizzazione del Ministero delle
politiche agricole alimentari e forestali, previo parere obbligatorio e vincolante
del comitato di coordinamento di cui all’articolo 6 del decreto-legge 18 giugno
1986, n. 282, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1986, n. 462.
2. L’autorizzazione di cui al comma 1 è necessaria anche nelle ipotesi di lavorazioni per conto di committenti stabiliti in Paesi non facenti parte dell’Unione
europea.
Art. 10
Norme contro il segreto delle importazioni agroalimentari
1. Gli uffici di sanità marittima, aerea e di frontiera rendono accessibili a tutti gli
organi di controllo e alle amministrazioni interessate alla materia le informazioni
a propria disposizione concernenti l’origine degli oli di oliva vergini e delle olive.
L’accesso ai documenti di cui al presente articolo non comporta il rischio di disvelamenti distorsivi per la concorrenza e per il funzionamento del mercato.
154
2. Fatte salve le ipotesi in cui sussiste segreto istruttorio, per le quali è necessaria l’autorizzazione della competente autorità giudiziaria, le autorità di cui al
comma 1 rendono disponibili le informazioni detenute attraverso la creazione
di collegamenti a sistemi informativi e a banche dati elettroniche gestiti da
altre autorità pubbliche.
Art. 11
Disciplina sulla vendita sottocosto degli oli di oliva extra vergini
1. Nel settore degli oli di oliva extra vergini la vendita sottocosto è soggetta
a comunicazione al comune dove è ubicato l’esercizio commerciale almeno
venti giorni prima dell’inizio e può essere effettuata solo una volta nel corso
dell’anno. È comunque vietata la vendita sottocosto effettuata da un esercizio commerciale che, da solo o congiuntamente a quelli dello stesso gruppo
di cui fa parte, detiene una quota superiore al 10 per cento della superficie
di vendita complessiva esistente nel territorio della provincia dove ha sede
l’esercizio.
Capo IV
NORME SUL CONTRASTO DELLE FRODI
Art. 12
Responsabilità degli enti per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato
1. Gli enti che operano nell’ambito della filiera degli oli vergini di oliva sono responsabili, in conformità al decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, per i reati
di cui agli articoli 440, 442, 444, 473, 474, 515, 516, 517 e 517-quater del codice
penale, commessi nel loro interesse o a loro vantaggio da persone:
a) che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell’ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria
e funzionale, ovvero che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo
dello stesso;
b) sottoposte alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti di cui alla
lettera a).
2. La responsabilità dell’ente sussiste anche quando l’autore del reato non è
stato identificato o non è imputabile.
155
Art. 13
Sanzioni accessorie alla condanna per il delitto di contraffazione di indicazioni
geografiche o denominazioni di origine dei prodotti agroalimentari
1. La condanna per il delitto di cui all’articolo 517-quater del codice penale, quando
la contraffazione di indicazioni geografiche o denominazioni di origine dei prodotti
agroalimentari riguarda oli di oliva vergini, importa la pubblicazione della sentenza a spese del condannato su almeno due quotidiani a diffusione nazionale, ai
sensi dell’articolo 36 del codice penale.
2. La condanna per il delitto di cui al comma 1 importa il divieto per cinque anni
di porre in essere qualsiasi condotta, comunicazione commerciale e attività pubblicitaria, anche per interposta persona, finalizzata alla promozione di oli di oliva
vergini.
Art. 14
Rafforzamento degli istituti processuali ed investigativi
1. Ai delitti di adulterazione o di frode di oli di oliva vergini commessi al fine di conseguire un ingiustificato profitto con più operazioni e attraverso l’allestimento di
mezzi e attività continuative organizzate non si applica la sospensione nel periodo
feriale dei termini delle indagini preliminari, la cui durata complessiva non può
essere superiore a venti mesi.
2. Nel caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta per un delitto
commesso ai fini di cui al comma 1, è sempre dispostala confisca del denaro, dei
beni o delle altre utilità di cui il condannato non può giustificare la provenienza o di
cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulti essere titolare o avere
la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato rispetto al proprio reddito
dichiarato o alla propria attività economica.
3. All’articolo 266, comma 1, del codice di procedura penale, è aggiunta, in fine, la
seguente lettera:
«f-ter) delitti previsti dagli articoli 444, 473, 474, 515, 516 e 517-quater del codice penale».
Art. 15
Sanzioni accessorie in caso di condanna per il delitto di
adulterazione o contraffazione
1. La condanna definitiva per uno dei delitti di cui agli articoli 439, 440, 441, 442,
473, 474 e 517-quater del codice penale nel settore degli oli di oliva vergini comporta il divieto di ottenere:
156
a) iscrizioni o provvedimenti comunque denominati, a contenuto autorizzatorio, concessorio o abilitativo, per lo svolgimento di attività imprenditoriali;
b) l’accesso a contributi, finanziamenti o mutui agevolati o altre erogazioni
dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati da parte dello
Stato, di altri enti pubblici o dell’Unione europea, per lo svolgimento di attività
imprenditoriali.
Art. 16
Obbligo di costituzione e aggiornamento del fascicolo aziendale
1. Al fine di garantire la piena rintracciabilità delle produzioni destinate al commercio e di prevenire eventuali frodi, è obbligatorio, per tutti i produttori di oli vergini, extravergini e lampanti, costituire e aggiornare il fascicolo aziendale, ai sensi
del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 1° dicembre
1999, n. 503, e del decreto legislativo 29 marzo 2004, n. 99. In caso di mancata
ottemperanza a tale adempimento, le produzioni non possono essere destinate al
commercio.
2. La violazione del divieto di cui al comma 1 comporta l’applicazione della sanzione amministrativa pecuniaria del pagamento di una somma da 500 euro a 3.000
euro.
3. Salvo che il fatto costituisca reato, alle imprese riconosciute che provvedono
all’annotazione nel registro di carico e scarico, previsto dal decreto del Ministro
delle politiche agricole alimentari e forestali 10 novembre 2009, pubblicato nella
Gazzetta Ufficiale n. 12 del 16 gennaio 2010, di olive o oli di produttori che non
rispettano l’obbligo di cui al comma 1 si applica la sanzione amministrativa pecuniaria del pagamento di una somma da 500 euro a 3.000 euro, nonché la sanzione
accessoria della sospensione del riconoscimento per un periodo da uno a sei mesi.
Capo V
NORME FINALI
Art. 17
Invarianza degli oneri. Entrata in vigore
1. Dall’attuazione della presente legge non devono derivare nuovi o maggiori oneri
a carico della finanza pubblica.
2. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.
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La presente legge, munita del sigillo dello Stato, sarà inserita nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. È fatto obbligo a chiunque spetti
di osservarla e di farla osservare come legge dello Stato.
Data a Roma, addì 14 gennaio 2013
NAPOLITANO
Monti, Presidente del Consiglio dei Ministri
Visto, il Guardasigilli: Severino
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Finito di stampare nel mese di dicembre 2013
da CSR Centro Stampa e Riproduzione srl
Via di Pietralata, 157 – 00158 Roma
Tel. 06 4182113 - Fax 06 4506671 – [email protected]
Norme e regole per la commercializzazione dell’olio di olivaw
Nell’ambito omogeneo “pubblicazioni congiunturali e ricerche macroeconomiche” rientrano le attività di studio dell’INEA finalizzate alla stesura di rapporti sull’andamento
del sistema agroalimentare italiano, nonché approfondimenti di taglio settoriale, orientati sia all’analisi della struttura e della performance dei mercati, sia all’analisi del funzionamento delle filiere.
Oltre alle tradizionali analisi congiunturali che si sviluppano attraverso una consolidata
attività periodica e che costituiscono la principale componente istituzionale delle attività svolte, trovano spazio monografie dedicate allo studio delle relazioni di tipo verticale
e/o orizzontale che intercorrono fra i soggetti operanti all’interno delle diverse filiere
produttive. La trasmissione del valore, la formazione del prezzo, lo sviluppo delle relazioni contrattuali, la regolamentazione settoriale e l’analisi dei diversi strumenti di
supporto al mercato rappresentano temi di fondamentale importanza per comprendere
come i nuovi scenari si ripercuoteranno sul sistema agricolo nazionale.
norme e regole per la
commercializzazione
dell’olio di oliva
collana PUBBLICAZIONI CONGIUNTURALI E ANALISI MACROECONOMICHE. Quaderni
Luci e ombre nelle dinamiche di mercato
a cura di Sabrina Giuca
INEA 2013
ISBN 978-88-8145-262-0
INEA 2013